È una nuova era, ma gli esercizi di equilibrismo della Cina in Medio Oriente non funzioneranno

Ramzy Baroud

30 ottobre 2018, Palestine Chronicle

Benché i legami tra Washington e Tel Aviv siano più che mai forti, i dirigenti israeliani sono consci di un contesto politico in grande mutamento. Lo stesso fermento politico negli USA e la ridefinizione del potere globale – che è molto evidente in Medio Oriente – indicano che effettivamente si sta realizzando.

Com’era prevedibile, questa nuova era coinvolge la Cina.

Il 22 ottobre il vicepresidente cinese Wang Qishan è arrivato in Israele per una visita di 4 giorni per presiedere la quarta “Commissione per l’Innovazione Cina-Israele”. Si tratta del più alto dirigente cinese a visitare Israele in quasi vent’anni.

Nell’aprile del 2000 l’ex-presidente cinese Jiang Zemin fu il primo leader cinese ad essere andato in Israele, ad aver visitato il museo dell’Olocausto “Yad Vashem” e ad aver reso omaggio diplomatico alle sue controparti israeliane. Allo stesso tempo parlò delle intenzioni della Cina di rinsaldare i legami tra i due Paesi.

Tuttavia la visita di Wang Qishan è diversa. I “legami” tra Pechino e Tel Aviv sono molto più forti di allora, come evidenziato dalle cifre. Poco dopo che i due Paesi scambiarono gli ambasciatori nel 1992 i dati commerciali salirono alle stelle. Anche le dimensioni degli investimenti cinesi in Israele sono cresciute in modo esponenziale, da 50 milioni di dollari all’inizio degli anni ’90 ai clamorosi 16,5 miliardi di dollari, secondo stime del 2016.

I crescenti investimenti cinesi e i rapporti strategici con Israele si basano su forti interessi di entrambi i Paesi nell’innovazione tecnologica, così come nella cosiddetta ferrovia “Red Med”, una rete regionale di infrastrutture marittime e ferroviarie intese a collegare la Cina con l’Europa passando per l’Asia e il Medio Oriente. Inoltre la ferrovia collegherebbe anche i due porti israeliani di Eilat e Ashdod. Notizie sul progetto cinese di gestire il porto israeliano di Haifa hanno già sollevato le ire degli USA e dei loro alleati europei.

Certo i tempi sono cambiati. Sebbene in passato Washington abbia ordinato a Tel Aviv di smettere immediatamente di scambiare tecnologia militare americana con la Cina, obbligandola ad annullare la vendita del sistema di volo di allerta rapida “Phalcon”, ora sta assistendo a come i dirigenti israeliani e cinesi stiano gestendo l’inizio di una nuova era politica che – per la prima volta – non include Washington. Per la Cina il recente amore per Israele è parte di una più complessiva strategia globale che può essere considerata la gemma della rivitalizzata politica estera cinese.

La visita di Qishan in Israele segue immediatamente i serrati tentativi di Pechino di promuovere il suo gigantesco progetto economico da trilioni di dollari, la “Belt and Road Initiative” [nota in Italia come “Nuova Via della Seta”, ndtr.] (BRI).

La Cina spera che il suo grande progetto contribuisca ad aprire nuove opportunità nel mondo e possibilmente a garantire il suo predominio in varie regioni che dalla Seconda Guerra Mondiale ruotano nella sfera di influenza americana. La BRI intende mettere in comunicazione Asia, Africa ed Europa attraverso una “cintura “di strade per il trasporto via terra e un “percorso” marittimo di rotte di navigazione.

La competizione tra la Cina e gli USA si sta accentuando. Washington vuole conservare il più possibile il proprio predominio globale, mentre Pechino sta lavorando con impazienza per soppiantare lo status di superpotenza degli USA, in primo luogo in Asia, poi in Africa e in Medio Oriente. La strategia cinese per raggiungere i suoi obiettivi è assolutamente chiara: a differenza degli sproporzionati investimenti Usa nella potenza militare, la Cina è propensa a conquistarsi lo status a cui ambisce usando, almeno per ora, solo un potere pacifico.

Tuttavia il Medio Oriente è più ricco e quindi più strategico e conteso di ogni altra regione al mondo. Pieno di conflitti e di diversi schieramenti politici, è probabile che più prima che dopo faccia fallire la strategia cinese di un potere pacifico. Mentre la politica estera cinese ha cercato di sopravvivere alla guerra con effetti di polarizzazione in Siria coinvolgendo tutte le parti e giocando in secondo piano rispetto al ruolo guida della Russia nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’occupazione israeliana della Palestina è una sfida politica totalmente diversa.

Per anni la Cina ha mantenuto una posizione coerente di appoggio al popolo palestinese, chiedendo la fine dell’occupazione israeliana e la fondazione di uno Stato palestinese indipendente. Tuttavia la ferma posizione di Pechino riguardo ai diritti dei palestinesi sembra avere pochi effetti sui suoi rapporti con Israele, in quanto la collaborazione tecnologica congiunta, il commercio e gli investimenti continuano ad incrementarsi senza ostacoli.

I responsabili cinesi della politica estera operano con l’errata convinzione che il loro Paese possa essere allo stesso tempo filo-palestinese e filo-israeliano, criticando l’occupazione pur appoggiandola; chiedendo ad Israele di rispettare le leggi internazionali mentre al contempo rafforza Israele, anche senza volerlo, nelle sue continue violazioni dei diritti umani dei palestinesi.

L’hasbara [propaganda, ndtr.] israeliana ha perfezionato l’arte dell’acrobazia politica, e trovare un equilibrio tra il discorso occidentale degli USA e quello cinese non dovrebbe essere un compito troppo difficile.

In effetti sembra che il cliché spesso ripetuto di Israele come “l’unica democrazia del Medio Oriente” venga leggermente corretto per rispondere alle aspettative di una nascente superpotenza, esclusivamente interessata alla tecnologia, al commercio e agli investimenti. I dirigenti israeliani vogliono che la Cina e i suoi investitori pensino ad Israele come l’unica economia stabile in Medio Oriente.

Come prevedibile, le priorità palestinesi sono totalmente diverse.

Con la lotta palestinese per la libertà e i diritti umani che cattura l’attenzione internazionale con la crescita del movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), sempre più Paesi sono sotto pressione perché esprimano una posizione chiara sull’occupazione israeliana e sull’apartheid.

Per la Cina entrare nella mischia con una strategia indecisa ed egoista non è solo moralmente discutibile, ma anche strategicamente insostenibile. I popoli palestinese e arabo sono poco interessati a sostituire la dominazione militare americana con l’egemonia economica cinese che fa poco per cambiare o, al massimo contesta lo status quo prevalente.

Tristemente, mentre Pechino e Tel Aviv lavorano per raggiungere il necessario equilibrio tra politica estera e interessi economici, la Cina si trova senza particolari obblighi di schierarsi con una ben definita posizione araba sulla Palestina, semplicemente perché quest’ultima non esiste. La divisione politica tra i Paesi arabi, le guerre in Siria e altrove hanno allontanato la Palestina dall’essere una priorità araba in uno strano patto che coinvolge la “pace regionale” come parte del cosiddetto “Accordo del Secolo” di Trump.

Questa penosa realtà ha indebolito la posizione palestinese in Cina, che, almeno finora, valuta i propri rapporti con Israele più importanti dei legami storici con la Palestina e con il popolo arabo.

Ramzy Baroud è giornalista, autore e editore di Palestine Chronicle. Il suo prossimo libro è The Last Earth: A Palestinian Story (Pluto Press, Londra). Baroud ha conseguito il dottorato di ricerca in Studi Palestinesi presso l’Università di Exeter ed è studioso non residente presso il Centro Orfalea per gli Studi Globali e Internazionali, Università della California a Santa Barbara. Il suo sito web è www.ramzybaroud.net.

(traduzione di Amedeo Rossi)




A Hebron i coloni israeliani attaccano palestinesi che raccolgono le olive

Ma’an News

31 ottobre 2018

Hebron (Ma’an) – Martedì un gruppo di coloni israeliani ha attaccato palestinesi che raccoglievano le olive nella zona di Tel Rumeida, nella città di Hebron, nel sud della Cisgiordania occupata, ed ha cercato di impedire loro di raccogliere le olive nelle loro terre nei pressi dell’illegale colonia israeliana di Ramat Yishai.

Le terre sono di proprietà della locale famiglia di Muhammad Abu Haikal; il proprietario della terra, insieme ad attivisti locali ed internazionali, è entrato nel terreno nonostante le procedure militari israeliane.

I raccoglitori di olive hanno continuato [il lavoro] nonostante attacchi da parte di coloni israeliani in quanto hanno insistito sul fatto di essere sui propri terreni e di non lasciarli senza protezione.

La scorsa settimana a Tel Rumeida il gruppo “Youth against Settlement” [“Giovani contro le Colonie”, attivisti palestinesi di Hebron, ndtr.] ha lanciato una campagna per la raccolta delle olive, con la partecipazione di organizzazioni internazionali che lavorano per la pace e la giustizia.

Il coordinatore della campagna, Izzat al-Karaki, ha detto: “Stiamo lavorando per appoggiare la tenacia delle famiglie palestinesi che subiscono gli attacchi dei coloni israeliani e dell’esercito nelle aree chiuse della città di Hebron.”

Al-Karaki ha sottolineato che decine di attivisti internazionali e locali hanno partecipato alla raccolta delle olive.

L’agronomo Murad Amr, coordinatore del gruppo “Youth against Settlement”, ha detto che la campagna continua nelle zone ad alta tensione di Tel Rumeida e nelle aree adiacenti alla colonia di Kiryat Arba, ad Hebron.

Amr ha aggiunto che il suo gruppo ha anche formato un comitato di sorveglianza notturna per evitare che il raccolto di olive venga rubato dai coloni israeliani.

La zona di Tel Rumeida è da lungo tempo un punto caldo di tensione tra i palestinesi e i coloni e l’esercito israeliani, in quanto si trova nei pressi di colonie israeliane illegali i cui abitanti sono notoriamente aggressivi verso i palestinesi.

Tel Rumeida è all’interno dell’area della città denominata H2, una zona che occupa la maggior parte della Città Vecchia di Hebron, sotto totale controllo militare israeliano e il luogo in cui si trovano cinque colonie israeliane che si espandono continuamente nei vicini quartieri palestinesi.

L’area H2, controllata dagli israeliani, è abitata da 30.000 palestinesi e circa 800 coloni israeliani che vivono sotto la protezione delle forze israeliane.

Tra i 500.000 ed i 600.000 israeliani vivono nelle colonie di soli ebrei a Gerusalemme est e nella Cisgiordania occupate in violazione delle leggi internazionali.

Il governo palestinese non ha giurisdizione sugli israeliani in Cisgiordania, e azioni poste in atto da coloni israeliani spesso avvengono in presenza delle forze militari israeliane che raramente intervengono per proteggere gli abitanti palestinesi.

La maggior parte dei furti commessi contro i palestinesi rimane impunita, e raramente gli israeliani pagano le conseguenze per tali furti.

Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din, solo l’1,9% delle denunce presentate dai palestinesi contro attacchi o furti da parte di coloni israeliani porta ad una condanna, mentre il 95,6% delle indagini per danni agli ulivi viene chiuso per inadempienza della polizia israeliana.

Secondo gruppi palestinesi e dei diritti umani il principale obiettivo di Israele, sia delle sue politiche nell’Area C, in cui più del 60% del territorio palestinese è sotto totale controllo israeliano, che dell’illegale colonizzazione israeliana, è spopolare la terra dei suoi abitanti palestinesi e sostituirli con comunità ebraiche israeliane per manipolare la situazione demografica in tutta la Palestina storica.

B’Tselem afferma che lo spostamento di coloni israeliani che hanno occupato la terra palestinese e poi cacciato la locale popolazione palestinese è stato una “costante” della politica israeliana fin dalla conquista della Cisgiordania e di Gerusalemme nel 1967, sottolineando che tutte le “istituzioni legislative, legali, di pianificazione, di finanziamento e di difesa israeliane” hanno giocato un ruolo attivo nella spoliazione dei palestinesi della loro terra.

B’Tselem sostiene anche che, spacciandola per “occupazione militare temporanea”, Israele ha “utilizzato la terra come se fosse sua: rubandola, sfruttando a proprio favore le risorse naturali della zona e fondando colonie permanenti,” stimando che Israele nel corso degli anni ha espropriato i palestinesi di circa 200.000 ettari di terre nei territori palestinesi occupati.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Il comitato dell’OLP vota la sospensione del riconoscimento dello Stato di Israele

MEE staff

Lunedì 29 ottobre 2018, Middel East Eye

Il comitato centrale dell’OLP ha votato per sospendere tutti gli impegni presi con “le autorità occupanti”, fino a che Israele non riconoscerà lo Stato palestinese.

Il comitato centrale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha annunciato la sospensione del riconoscimento dello Stato di Israele.

Nella sua decisione, resa nota lunedì sera dopo una riunione, l’OLP ha detto che annullerà tutti i suoi impegni verso le “autorità occupanti” fino a che Israele non riconoscerà uno Stato palestinese entro i confini del 1967 con Gerusalemme est come capitale.

Questo comprende la cooperazione per la sicurezza e gli accordi commerciali stabiliti tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese.

Se le decisioni del comitato centrale non sono vincolanti, rappresentano però una raccomandazione all’ANP sulle future decisioni politiche. Il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas era presente alla riunione.

Nel 2015 il comitato centrale aveva già chiesto la fine del coordinamento per la sicurezza con Israele.

Ha incaricato Abbas e il Comitato Esecutivo dell’OLP di dar seguito alle decisioni di lunedì.

Il comitato ha anche esplicitamente disapprovato il processo di pace condotto da Donald Trump ed il suo piano di “accordo del secolo” per porre fine al conflitto.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese Wafa ha riferito che “il comitato ha apprezzato gli sforzi del presidente (Abbas)… per insistere nel rifiuto dell’accordo del secolo e nel contrastarlo con tutti i mezzi disponibili per farlo fallire, come anche nel ritenere l’amministrazione USA partner del governo israeliano di occupazione e parte del problema, non la soluzione”.

Il Consiglio inoltre ha attaccato Hamas, che controlla la Striscia di Gaza, accusandolo di non aver rispettato il suo impegno e l’accordo di unificazione firmato nell’ottobre dell’anno scorso.

Abbas è sembrato appoggiare le decisioni di lunedì, dicendo che è arrivato il momento di mettere in atto le precedenti misure approvate dal comitato centrale.

Secondo una dichiarazione pubblicata da Wafa, Abbas ha chiamato i palestinesi ad unirsi dietro all’OLP come “unico legittimo rappresentante” del popolo palestinese.

Di fronte alla crescente pressione da parte di Washington per porre fine all’assistenza pubblica dell’Autorità Nazionale Palestinese alle famiglie dei prigionieri e delle persone uccise dalle forze israeliane, Abbas ha detto: “Gli stanziamenti per le famiglie dei martiri e dei feriti costituiscono una linea rossa: non possiamo negoziare riguardo ai loro diritti.”(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Australia e Palestina-Israele: la minaccia dell’estrema destra

Noura Mansour

28 ottobre 2018, Al Shabaka

Recentemente il governo australiano, insieme a Israele e USA, ha votato contro la risoluzione ONU per eleggere la Palestina alla presidenza del “Gruppo dei 77”, che le consente di agire nel 2019 come Stato membro [dell’ONU] a tutti gli effetti. Durante la stessa settimana il primo ministro australiano Scott Morrison ha annunciato che sta prendendo in considerazione il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e lo spostamento là dell’ambasciata australiana.

Per molti aspetti simili iniziative ed annunci non rappresentano una sorpresa: la politica estera australiana su Palestina e Israele è sempre stata assolutamente filo-israeliana e anti-palestinese. Ciò deriva da due ragioni principali.

In primo luogo, entrambi i Paesi rappresentano progetti di colonialismo di insediamento fondati sulla supremazia bianca. In effetti, in un’intervista del 2006 ad “Haaretz” [giornale israeliano di centro-sinistra, ndtr.], l’ex-ambasciatore israeliano in Australia Naftali Tamir ha definito Israele e Australia come “due sorelle bianche in Asia,” e ha parlato di come condividano la stessa razza – diversa dagli “asiatici gialli e con gli occhi a mandorla.” La retorica colonialista del partito Liberale che attualmente governa l’Australia ripete queste opinioni. Alcuni dei suoi membri sostengono che la colonizzazione abbia portato molti vantaggi alle popolazioni native dell’Australia, mentre altri arrivano fino al punto di negare che l’Australia sia mai stata colonizzata – proprio come i sionisti negano che la Palestina sia stata occupata e soggetta a pulizia etnica, affermando che ci fosse “una terra senza popolo per un popolo senza terra.”

Secondo, la politica estera australiana è in gran parte un riflesso della politica estera e interna degli USA. Ciò si vede non solo nelle sue politiche su Palestina-Israele, ma anche nell’ascesa di movimenti politici di estrema destra in seguito all’elezione di Donald Trump. Più di recente, ministri del partito Liberale hanno votato in appoggio a una mozione palesemente suprematista bianca – denominata “Va bene essere bianchi” –, portata avanti dalla senatrice estremista di destra e anti-immigrati Pauline Hanson, che invitava il senato australiano a riconoscere “la deplorevole ascesa di un razzismo anti-bianco e di attacchi alla civiltà occidentale”. Ovviamente tale appoggio non dovrebbe sorprendere in un Paese che nega cure mediche a richiedenti asilo, tenuti per anni in campi di detenzione all’estero, che tentano il suicidio, o che attribuisce visti speciali per coltivatori sudafricani bianchi perché, proprio come gli australiani, “amano il cricket, le spiagge e le grigliate.”

Quindi, nonostante il fatto che la dichiarazione di Morrison in merito all’ambasciata sia coerente con il quadro su delineato, si tratta di uno spostamento ancora più a destra rispetto alla posizione dei suoi predecessori. All’inizio di quest’anno l’ex-primo ministro Malcolm Turnbull e l’ex-ministra degli Esteri Julie Bishop [entrambi del partito Liberale, ndtr.] si sono opposti alla decisione del consiglio federale del Partito Liberale di seguire l’esempio di Trump e di spostare l’ambasciata.

Paesi vicini come l’Indonesia e la Malaysia hanno manifestato il proprio disappunto riguardo all’affermazione di Morrison, e l’iniziativa rischia di compromettere le relazioni e lo status dell’Australia nella regione. L’Indonesia ha persino diffuso un comunicato secondo cui avrebbe sospeso un importantissimo accordo commerciale con l’Australia se Morrison avesse proceduto a spostare l’ambasciata.

Inoltre i media australiani hanno descritto la dichiarazione del primo ministro come avventata, sciocca e un disperato tentativo sia di far appello alla propria base di estrema destra che di vincere le elezioni suppletive a Wentworth, comune della periferia orientale di Sidney, rivolgendosi agli elettori ebrei, che rappresentano circa il 13% della popolazione della zona. Ciò presuppone che tutti gli ebrei che abitano a Wentworth siano sionisti e accolgano positivamente queste politiche di estrema destra – un presupposto che si è dimostrato falso, in quanto Wentworth ha votato contro il partito Liberale. Ciò lascia il partito con un seggio in meno rispetto alla maggioranza nella Camera dei Rappresentanti, benché il governo federale rimanga invariato.

Consigli politici

  1. Il dibattito riguardante lo spostamento dell’ambasciata ha ignorato due importanti aspetti –giuridici ed etici – che dovrebbero essere messi in luce nelle discussioni sulle politiche filo-israeliane dell’Australia. I discorsi riguardanti lo spostamento dovrebbero sottolinearne l’illegalità in base alle leggi internazionali, così come la sua immoralità, soprattutto il fatto che vada contro valori universali e valori nazionali australiani di democrazia ed impegno per i diritti umani.

2. Le organizzazioni della società civile e i gruppi filo-palestinesi devono organizzare manifestazioni e proteste, così come fare pressione e presentare petizioni per mandare un messaggio a Morrison che la sua politica non sarà ben accolta e sostenuta dal popolo australiano. Dato che si tratta di un punto critico, l’impulso ora deve essere sostenuto, indipendentemente dai risultati delle elezioni suppletive e dalla sconfitta del candidato del partito Liberale, per continuare a fare pressione su un governo che storicamente ha danneggiato i diritti dei palestinesi.

3. L’Australia dovrebbe ridefinire la propria politica estera per metterla più in sintonia con il contesto geopolitico del Paese e con gli interessi nazionali, piuttosto che continuare con le proprie politiche basate sulla razza e con l’importazione di politiche dagli USA indipendentemente dal fatto che siano adatte al contesto australiano. L’Australia deve riconoscere il proprio ruolo in quanto Nazione asiatica con relazioni commerciali fondamentali con Paesi come la Malaysia e l’Indonesia, le cui politiche filo-palestinesi differiscono notevolmente da quelle degli USA. Pressioni dell’opinione pubblica, dei media e dei gruppi della società civile sui partiti più di sinistra, Laburista e Verde, potrebbero contribuire a cambiare la retorica e il discorso in questo senso e, in ultima istanza, rafforzare un cambiamento nella politica relativa a Palestina-Israele.

Noura Mansour

Esperta di politica di Al-Shabaka, Noura Mansour è un’insegnante, scrittrice, attivista e organizzatrice di comunità palestinese originaria della città di Acri [in Israele, ndtr.]. Ha studiato scienze politiche ed educazione ed ha conseguito un master in Relazioni Internazionali all’università di Haifa [in Israele, ndtr.]. Noura ha partecipato al lavoro di sviluppo e di comunità con Ong a Gerusalemme, in Cisgiordania e nella Palestina del ’48 [cioè in Israele, ndtr.]. Ha lavorato con Ong e con movimenti di solidarietà internazionali in Corea e in Australia, dove ora vive e lavora nel settore educativo. Noura è anche una moderatrice di dibattiti ed ha istruito e gestito molti incontri internazionali in Asia, Medio Oriente, Europa ed Australia.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Israele approva 20.000 unità abitative a Maale Adumim

Ma’an News

28 ottobre 2018,Ma’an News

Gerusalemme (Ma’an) – Il governo israeliano ha approvato la costruzione di più di 20.000 nuove unità abitative nelle colonie israeliane illegali di Maale Adumim, a est di Gerusalemme. Mezzi di comunicazione in lingua ebraica hanno informato che l’approvazione delle nuove abitazioni è arrivata dopo un lungo periodo di timore e di scontri politici.

Alcune fonti hanno menzionato l’esistenza di un accordo di sviluppo complessivo tra il ministero della Costruzione e dell’Abitazione e il Comune di Maale Adumim per la costruzione nei prossimi anni di unità abitative nelle colonie illegali.

Alcune notizie affermano che, con la firma dell’accordo, sarà possibile iniziare i lavori di costruzione di 470 unità abitative, mentre le rimanenti abitazioni, che rappresentano 20.000 alloggi, sono soggette all’approvazione dei partiti politici.

Il ministro israeliano delle Costruzioni e delle Abitazioni, Yoav Galant [del partito di centro Kulanu, ndtr.], ha affermato: “Ci rallegriamo per la firma dell’accordo complessivo che porterà allo sviluppo e al consistente aumento della popolazione di Maale Adumim.”

Galant ha aggiunto che, oltre alle nuove unità abitative, nelle colonie illegali verranno costruiti edifici pubblici ed istituzioni, compresi sinagoghe ebraiche, scuole e asili.

Dobbiamo continuare a rafforzare il controllo sulla zona di Gerusalemme, da Maale Adumim a est fino a Givat Zeev a ovest, da Atarut, nel nord , alla zona di Betlemme e alla tomba di Rachele verso Efrat e Gush Etzion, che sono di importanza storica, strategica e nazionale,” ha sottolineato.

Maale Adumim è la terza più grande colonia per abitanti, e include una larga estensione territoriale all’interno del distretto di Gerusalemme nella Cisgiordania occupata. Molti israeliani la considerano una città della periferia di Gerusalemme, nonostante si trovi su territorio palestinese occupato, in violazione delle leggi internazionali.

Secondo “Peace Now”, che monitora le colonie, nell’anno e mezzo da quando si è insediato il presidente Trump sono state approvate circa 14.454 unità abitative in Cisgiordania, più di tre volte il totale approvato nell’anno e mezzo precedente il suo insediamento (4.476 unità).

Dall’occupazione nel 1967 della Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, da 500.000 a 600.000 israeliani si sono spostati nelle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati, in violazione delle leggi internazionali.

Le circa 196 colonie riconosciute dal governo israeliano sparse nei territori palestinesi sono tutte considerate illegali dal diritto internazionale.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Il ministero afferma che tre giovani palestinesi sono stati uccisi dagli attacchi aerei su Gaza

MEE e agenzie

Domenica 28 ottobre 2018, Middle East Eye

Tre ragazzini palestinesi di 13 e 14 anni uccisi domenica quando aerei israeliani hanno sparato su di loro

Il ministero della Salute dell’enclave assediata ha affermato che tre giovanissimi palestinesi sono stati uccisi domenica in un attacco aereo israeliano contro la Striscia di Gaza.

Il ministero della Salute di Gaza ha detto che equipe della Mezzaluna Rossa palestinese hanno trasportato al complesso ospedaliero Nasser i corpi dei tre dalla zona orientale tra Khan Younis e Deir al- Balah.

Il ministero ha identificato i ragazzini come Khaled Bassam Saeed, 14 anni; Abdul Hamid Abu Zaher e Mohammed Ibrahim al-Sattari, entrambi di 13 anni.

Secondo l’AFP [agenzia di stampa francese, ndtr.] l’esercito israeliano ha sostenuto che uno dei suoi aerei ha sparato contro un gruppo di palestinesi nei pressi della barriera che separa Gaza e Israele.

Poco fa tre palestinesi si sono avvicinati alla barriera di sicurezza nel sud della Striscia di Gaza, cercando di danneggiarla, e sembravano intenti a piazzare un ordigno esplosivo improvvisato nei pressi di essa,” afferma un comunicato.

In risposta, un aereo dell’esercito israeliano ha sparato verso di loro,” ha aggiunto.

Le tensioni sono state molto forti lungo la frontiera tra Israele e Gaza da quando i palestinesi, in marzo, hanno iniziato una serie di proteste lungo la barriera di sicurezza.

Più di 200 palestinesi sono stati uccisi ed almeno 10.000 feriti dalle forze israeliane da quando il 30 marzo è iniziata la “Grande Marcia del Ritorno”. Nello stesso periodo un soldato israeliano è stato ucciso durante le violenze.

Dal 2008 Israele e i combattenti palestinesi di Gaza, governata da Hamas, hanno combattuto tre guerre.

Nei mesi successivi all’inizio delle proteste ci sono stati parecchi scontri militari, che hanno provocato il timore di una nuova guerra tra le due parti.

L’ultimo è avvenuto quando venerdì e sabato combattenti palestinesi hanno lanciato decine di razzi nel sud di Israele, che ha risposto con pesanti incursioni aeree.

Nelle prime ore di sabato l’esercito israeliano ha portato una serie di attacchi aerei contro Gaza, nella più violenta offensiva contro il territorio costiero palestinese dall’estate.

Il notiziario israeliano Ynet ha informato che l’esercito israeliano ha lanciato almeno 87 raid aerei, affermando che si trattava di una risposta ai 34 razzi sparati dall’enclave contro il sud di Israele.

La Jihad islamica ha rivendicato la responsabilità dei razzi, sostenendo in un comunicato che si trattava di una rappresaglia per l’uccisione da parte dell’esercito israeliano di cinque manifestanti palestinesi venerdì.

La violenza è terminata dopo che la Jihad islamica ha detto che avrebbe accettato una tregua negoziata attraverso l’Egitto.

Sabato circa 200 abitanti israeliani di comunità sul confine di Gaza hanno protestato a Tel Aviv contro le politiche del governo, chiedendo una risposta più decisa contro Gaza.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Le forze israeliane lanciano 87 attacchi aerei notturni contro la Striscia di Gaza

MEE staff

Sabato 27 ottobre 2018,Middle East Eye

La Jihad islamica, che ha lanciato razzi su Israele dopo l’uccisione di cinque palestinesi, dice che è stato raggiunto un cessate il fuoco in seguito alla più grande offensiva su Gaza da agosto.

Nelle prime ore di sabato l’esercito israeliano ha condotto una serie di attacchi aerei in tutta la Striscia di Gaza assediata, nell’offensiva più pesante sul territorio costiero palestinese dall’estate.

La rete israeliana di notizie Ynet ha informato che l’esercito israeliano ha lanciato almeno 87 attacchi aerei, affermando che si trattava della risposta a circa 34 razzi sparati dall’enclave verso il sud di Israele.

La Jihad islamica ha rivendicato la responsabilità per i razzi, sostenendo in una dichiarazione che si è trattato della rappresaglia per l’uccisione da parte dell’esercito israeliano di cinque manifestanti palestinesi venerdì.

La resistenza non accetterà la formula imposta dal nemico basata sulle uccisioni da parte loro e il silenzio da parte nostra”, ha dichiarato il gruppo [islamico].

Dopo questi scontri, sabato mattina l’ufficio stampa della Jihad islamica ha annunciato di aver accettato una mediazione dell’Egitto per un cessate il fuoco con Israele.

Gente del luogo ha detto a Middle East Eye che un edificio di quattro piani nel centro di Gaza City, che è stato ridotto in macerie nella notte, ospitava enti di assistenza e centri di ricerca. Intanto il ministero della Sanità di Gaza ha detto che gli attacchi aerei hanno preso di mira il perimetro dell’ospedale indonesiano a Beit Lahiya nel nord della Striscia, provocando danni materiali all’edificio.

Il ministero non ha subito dato conto di vittime o di feriti palestinesi per gli attacchi aerei. I media israeliani hanno detto che durante i lanci di razzi erano state lievemente ferite sei persone.

Dall’inizio della Grande Marcia del Ritorno del 30 marzo sono stati uccisi più di 200 palestinesi e ne sono stati feriti almeno 10.000 dalle forze israeliane.

Nello stesso periodo è stato ucciso un soldato israeliano.

Migliaia di manifestanti palestinesi sono scesi in strada per 31 settimane per denunciare il blocco della Striscia di Gaza e chiedere il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi nelle loro case, da cui loro e le loro famiglie furono scacciati durante la creazione dello Stato di Israele.

L’ultima serie di attacchi aerei è avvenuta mentre dirigenti israeliani di alto livello nelle ultime settimane hanno intensificato gli appelli ad un “grave colpo” contro Gaza e il ministro della Difesa Avigdor Lieberman non ha escluso “un conflitto su larga scala”.

Israele mantiene un pesante assedio alla Striscia di Gaza, che chi lo critica afferma rappresenti una punizione collettiva dei due milioni di abitanti dell’impoverita enclave.

Anche l’Egitto sostiene il blocco, ponendo restrizioni all’entrata e all’uscita da Gaza attraverso il suo confine.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




I partiti europei sono stati invitati a sottoscrivere che le pratiche di boicottaggio sono antisemite

Arthur Neslen

24 ottobre 2018, The Guardian

Un convegno spalleggiato dal governo israeliano intende proporre linee rosse per i futuri membri del Parlamento Europeo

Una conferenza a Bruxelles spalleggiata dal governo israeliano intende spingere tutti i partiti politici europei a firmare delle “linee rosse” che dichiarino le pratiche di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) “essenzialmente antisemite”.

La conferenza di due giorni, a cui parteciperà il ministro israeliano per le questioni di Gerusalemme, Ze’ev Elkin, proporrà ai futuri membri del Parlamento Europeo e ai partiti politici un testo da firmare prima delle elezioni europee nel maggio del prossimo anno.

Il testo invita gli Stati membri dell’UE a firmare la “definizione operativa di antisemitismo” dell’Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto e ad escludere dal governo tutti i politici o i partiti che la violino.

La più controversa delle linee rosse – basata su una risoluzione adottata nel 2016 in Germania dall’Unione Cristiano-Democratica di Angela Merkel – invita “tutti i partiti politici ad approvare una risoluzione vincolante che respinga le attività BDS come essenzialmente antisemite.”

Il rabbino Menachem Margolin, fondatore dell’Associazione Ebraica Europea (EJA), una coalizione di organizzazioni che sta organizzando la conferenza insieme al gruppo Affari Pubblici Europa-Israele (EIPA), ha detto: “Quando saranno approvate, queste ‘linee rosse’rappresenteranno le nostre linee scritte non sulla sabbia, ma nel cemento, e fungeranno da sveglia per i politici per segnalargli che qui è davvero in gioco il futuro dell’Europa ebraica.”

Nel suo materiale promozionale per la conferenza del 6-7 novembre l’’EJA afferma che gli inviti sono coordinati con i ministeri israeliani per le Questioni di Gerusalemme e degli Affari Esteri, di cui sono indicati i loghi.

Nessuno dei due ministeri ha per ora risposto alle richieste di un commento.

Negli ultimi anni il governo israeliano ha cambiato atteggiamento, passando dall’ignorare il movimento BDS contro Israele, negli anni seguenti alla sua fondazione nel 2005, al lancio di una campagna internazionale contro di esso, sostenendo che mira a delegittimare lo Stato ebraico. Israele ha approvato una legge che vieta l’ingresso agli stranieri che sostengono pubblicamente il boicottaggio di Israele ed ha creato gruppi in altre Nazioni per contrastare le attività e le argomentazioni del BDS.

Il ministero israeliano per gli affari strategici, che pare abbia stanziato un budget di 72 milioni di dollari per contrastare il movimento mondiale BDS, dice di non essere coinvolto nella conferenza. Tuttavia, The Guardian è a conoscenza che i suoi funzionari pubblici ed altro personale del ministero degli Esteri israeliano sono stati regolarmente in contatto con almeno una figura coinvolta nell’organizzazione dell’evento.

Secondo il sito web del gruppo, l’anno scorso il ministro degli Affari Strategici, Gilad Erdan, ha visitato l’EIPA per dare sostegno e tenere riunioni informative che in parte riguardavano “il contrasto alla narrazione del BDS”. “Come posizione ufficiale, il ministero ritiene il BDS antisemita per i suoi doppi standard e per la demonizzazione di Israele”, ha riferito una fonte vicina all’ufficio di Erdan.

Margrete Auken [del gruppo dei Verdi/Alleanza Libera Europea, ndtr.], vice-capo della delegazione del Parlamento Europeo per le relazioni con la Palestina, ha detto di non appoggiare il BDS. Tuttavia ha affermato: “Respingo i continui tentativi di assimilare questo movimento a guida palestinese all’antisemitismo”.

C’è un’evidente intenzione di mettere a tacere i sostenitori del BDS per proteggere le politiche illegali di annessione e spoliazione da parte del governo Netanyahu. La criminalizzazione e la repressione della legittima espressione della libertà di parola non possono essere accettate nelle nostre società.”

Durante l’estate le questioni relative all’assimilazione tra antisemitismo e antisionismo hanno diviso il partito Laburista nel Regno Unito. Un ‘organizzatore della conferenza ha detto che le linee rosse “potrebbero creare difficoltà ai compagni del partito Laburista nelle elezioni europee che sostengono Jeremy Corbyn come il salvatore della socialdemocrazia.”

Ed ha aggiunto: “Dobbiamo stilare queste linee e fare in modo che le persone le firmino prima di queste elezioni, in modo che in seguito noi possiamo chiedergliene conto.”

Un altro segnale che una nuova battaglia su questa questione potrebbe essere in preparazione, è il fatto che l’ambasciatore israeliano presso l’Unione Europea, Aharon Leshno-Yaar, ha accusato la vice-capo del gruppo socialista nel Parlamento Europeo, Elena Valenciano, di avere “una strana ossessione nei confronti dello Stato ebraico”, dopo che lei aveva criticato le politiche israeliane.

Sono preoccupato per il crescente numero di episodi antisemiti in Europa negli ultimi tempi”, ha detto Yaar, citando rapporti sullo spionaggio iraniano in centri ebraici. “Il vostro silenzio su questi argomenti è assordante. State adottando una narrazione che ha un unico scopo – denigrare lo Stato democratico del popolo ebreo.”

Quest’anno le accuse del ministero di Erdan secondo cui l’Unione Europea ha finanziato Ong che supportavano il BDS e il terrorismo gli si sono ritorte contro, quando il capo della politica estera dell’Unione, Federica Mogherini, le ha definite “disinformazione”.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Nonostante il rinvio, Israele ha deciso di distruggere Khan al-Ahmar

Tamara Nassar

23 ottobre 2018,Electronic Intifada

Sabato Israele ha rimandato la demolizione e deportazione del villaggio palestinese di Khan al-Ahmar.

Secondo il quotidiano israeliano “Haaretz” il ritardo intende “finalizzare una proposta per l’evacuazione volontaria”.

Gli abitanti del villaggio si sono sistematicamente ed energicamente opposti al trasferimento forzato dalla loro terra, che non può essere in nessun caso “volontario” se avviene sotto minaccia.

Khan al-Ahmar sarà evacuato, è un verdetto della corte, è la nostra politica e sarà fatto,” ha detto domenica il primo ministro Benjamin Netanyahu in una conferenza stampa con il ministro del Tesoro USA Steven Mnuchin.

Netanyahu ha aggiunto che il ritardo sarà breve, finché gli abitanti daranno il loro “assenso” a sgomberare e distruggere il loro villaggio.

Alcuni ministri israeliani di Destra, tra cui il ministro dell’Educazione Naftali Bennett, la ministra della Giustizia Ayelet Shaked e il deputato Bezalel Smotrich, si sono opposti alla decisione di Netanyahu.

Tutti e tre sono membri del partito nazionalista di estrema destra “Casa Ebraica”.

Khan al-Ahmar deve essere distrutto. Dobbiamo opporci al mondo,” ha detto Smotrich lunedì da una collina che sovrasta il villaggio, secondo il giornale israeliano “The Jerusalem Post” [giornale israeliano di destra in lingua inglese, ndtr.].

Dobbiamo togliere di mezzo questa comunità dopo aver dato loro un’alternativa,” ha detto la vice-ministra Tzipi Hotovely sulla collina di mattina presto.

Il governo israeliano ha investito milioni per creare questa alternativa e penso che la comunità internazionale sarebbe molto più d’aiuto se non utilizzasse i beduini come strumento politico,” ha detto Hotovely.

Yehuda Glick, parlamentare dello stesso partito di Netanyahu, il Likud, e uno dei dirigenti del movimento estremista ebreo che intende distruggere la moschea di al-Aqsa a Gerusalemme, si è unito a Hotovely nella sua visita a Khan al-Ahmar.

La scelta tra spazzatura e liquami

Le alternative che Israele ha proposto non sono adeguate alla vita nomade dei beduini che vivono a Khan al-Ahmar.

Le alternative che Israele sta proponendo sono nei pressi di una discarica o dello scarico di una fogna,” ha detto all’israeliano “i24 News” [canale televisivo di informazioni in arabo, francese e inglese, ndtr.] Tawfique Jabareen, un avvocato che rappresenta gli abitanti di Khan al Ahmar.

Israele vuole obbligarli a spostarsi in una zona chiamata “al-Jabal ovest”, situata nei pressi della discarica del villaggio palestinese di Abu Dis. Israele ha anche proposto di spostare gli abitanti del villaggio in una zona vicina a un impianto di trattamento dei rifiuti nei pressi della colonia di Mitzpe, vicino alla città di Gerico, nella Cisgiordania occupata.

Jabareen ha aggiunto che gli abitanti hanno proposto all’Alta Corte israeliana di spostarsi di qualche centinaio di metri dalla loro attuale sistemazione, ma rimanendo ancora all’interno [della zona] di Khan al-Ahmar, un’idea che Israele ha rifiutato.

La Corte Penale Internazionale mette in guardia contro crimini di guerra

Il rinvio annunciato da Israele avviene dopo che la procuratrice generale della Corte Penale Internazionale Fatou Bensouda ha manifestato preoccupazione per la situazione a Khan al-Ahmar.

Una vasta distruzione di proprietà senza necessità di carattere militare e il trasferimento di popolazione in un territorio occupato costituiscono crimini di guerra,” ha affermato Bensouda il 17 ottobre.

Di conseguenza mi vedo obbligata a ricordare a tutte le parti che la situazione resta sotto esame preliminare da parte del mio ufficio.”

Secondo Haaretz alla polizia israeliana e all’amministrazione civile – la burocrazia militare che gestisce l’occupazione della Cisgiordania – non sia stato detto di lasciare la zona.

Nelle scorse settimane le autorità israeliane sono arrivate nel villaggio per preparare la demolizione, e talvolta hanno arrestato e ferito i manifestanti. Anche i coloni israeliani maltrattano regolarmente gli abitanti.

Durante la notte attivisti e giornalisti sono rimasti con loro nel villaggio per resistere all’invasione e all’imminente demolizione.

Khan al Ahmar si trova tra le colonie israeliane di Maaleh Adumim e Kfar Adumim.

Questa terra a est di Gerusalemme, la cosiddetta zona E1, si trova dove Israele pianifica di espandere la sua grande colonia di Maaleh Adumim, completando l’isolamento tra loro della parte nord da quella sud della Cisgiordania e circondando Gerusalemme di colonie.

In base alle leggi internazionali tutte le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata sono illegali.

Lunedì la Francia – uno dei numerosi Stati europei che si sono opposti al progetto di Israele di distruggere Khan al-Ahmar sulla base del fatto che in questo modo verrebbe compromessa la soluzione dei due Stati – ha detto di “prendere nota” del rinvio.

Chiediamo alle autorità israeliane di abbandonare definitivamente i progetti di demolire Khan al-Ahmar e di far cessare l’incertezza che circonda il destino di questo villaggio.”

Tuttavia, a parte l’opposizione verbale, gli Stati dell’UE non hanno espresso chiaramente le conseguenze per Israele se dovesse sfidare questi appelli.

Prendere il controllo di Hebron

Nel contempo, all’inizio di questo mese Israele ha approvato un progetto per espandere la colonia esclusivamente ebraica nel cuore della città di Hebron, nella Cisgiordania occupata.

Secondo Haaretz questa sarà la prima costruzione di una colonia nel cuore di Hebron in oltre un decennio.

L’edificazione del progetto da 6 milioni, che è destinato a includere 31 unità abitative, potrebbe iniziare in qualunque momento.

Parte del progetto riguarda una ex-base militare israeliana che, secondo Haaretz, “è stata costruita su terreni che erano di proprietà di ebrei.”

Quando Israele costruisce colonie in Cisgiordania spesso vengono presentate fittizie rivendicazioni di proprietà sul terreno [da edificare].

Incendiare la regione”

Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha festeggiato il nuovo insediamento.

Un nuovo quartiere ebraico a Hebron per la prima volta in 20 anni,” ha twittato.

Lieberman ha elogiato il governo per aver approvato il suo progetto per il quartiere, il cosiddetto quartiere “Hezekiah”, che ha definito “un’altra importante pietra miliare nell’estesa attività che stiamo conducendo per rafforzare l’insediamento in Giudea e Samaria.”

Ayman Odeh, capo della “Lista Araba Unita” [coalizione di tutti i partiti arabo-israeliani, ndtr.] nel parlamento israeliano, ha condannato l’iniziativa, accusando il governo di “infiammare continuamente la regione e poi gridare che non ci sono partner” per fare la pace, tutto a vantaggio di un “pugno di coloni estremisti.”

Più di 800 coloni vivono in un’area nel cuore di Hebron sotto totale controllo militare israeliano.

I coloni israeliani hanno preso il controllo della maggior parte della moschea di Abramo [o Tomba dei patriarchi, per gli ebrei, ndtr.] nella città, in seguito al massacro nel 1994 da parte di Baroch Goldstein, un colono americano, di 29 fedeli palestinesi nel sito.

A lungo i palestinesi hanno temuto che la divisione della moschea di Abramo potesse servire come modello per una presa di possesso totale o parziale da parte di Israele del complesso di al-Aqsa a Gerusalemme.

Coloni si aggirano liberamente nella zona di Hebron, sotto totale controllo militare israeliano, mentre i palestinesi sono sottoposti a severe restrizioni negli spostamenti, comprese strade segregate, e alle violenze e ai maltrattamenti dei soldati come dei coloni.

Demolizioni a Hebron

Nel frattempo le forze di occupazione israeliane hanno messo in atto demolizioni di case palestinesi nelle zone nei dintorni di Hebron e in altre parti della Cisgiordania occupata.

All’inizio di questo mese le forze israeliane hanno confiscato nel villaggio di Khirbet al-Halawa, sulle colline meridionali di Hebron, nella Cisgiordania occupata, una tenda di una famiglia composta da sei persone.

La famiglia include quattro bambini, che secondo B’Tselem [associazione israeliana per i diritti umani, ndtr.] sono rimasti senza casa.

Khirbet al-Halawa è una frazione dei villaggi chiamati Masafer Yatta.

Il 3 ottobre le forze israeliane sono arrivate a Khirbet al-Mufaqara, sempre a Masafer Yatta, ed hanno confiscato materiale edile per una casa prefabbricata.

Gli abitanti dei villaggi di Masafer Yatta hanno vissuto per vent’anni sotto minaccia di espulsione forzata.

B’Tselem ha affermato: “Dagli anni ’90 Israele ha sistematicamente tentato di cacciare gli abitanti palestinesi di Masafer Yatta dalle loro case.”

Sia Masafer Yatta che Khan al.-Ahmar si trovano nell’area C, che rappresenta il 60% della Cisgiordania occupata.

In base ai termini degli accordi di Oslo, firmati tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina negli anni ’90, l’area C resta sotto il totale controllo militare israeliano.

Israele ha negato praticamente a ogni palestinese il permesso edilizio nell’area C, obbligando i palestinesi a costruire senza permessi e a vivere con la continua paura che le loro case o comunità vengano demolite.

Martedì mattina le forze di occupazione israeliane hanno smantellato e confiscato roulotte utilizzate come aule scolastiche a Ibziq, un villaggio nel nord della valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata.

Un video postato da attivisti mostra le forze israeliane che portano via le strutture su camion.

Pare che le roulotte siano state finanziate dall’Unione Europea e dalla Finlandia, che non hanno fatto niente per chiedere conto ad Israele della distruzione delle decine di milioni di dollari dei progetti per i palestinesi pagate dai contribuenti europei.

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’Autorità Nazionale Palestinese e Hamas guidano Stati di polizia paralleli — Human Rights Watch

Annelies Verbeek

23 ottobre 2018, Electronic Intifada

Un nuovo rapporto di Human Rights Watch ritiene sia l’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania che Hamas a Gaza colpevoli di fare largo uso di arresti arbitrari e di tortura per reprimere le critiche e l’opposizione politica.

Il rapporto, intitolato “Due autorità, un sistema, zero dissenso”, è il risultato di due anni di ricerca. Si avvale di 86 casi di studio e 147 interviste, la maggior parte di ex detenuti.

Venticinque anni dopo Oslo, le autorità palestinesi hanno ottenuto un potere molto limitato in Cisgiordania e a Gaza, eppure, laddove hanno autonomia, hanno sviluppato stati di polizia paralleli”, ha detto Tom Porteous, un rappresentante di Human Rights Watch.

Gli appelli dei dirigenti palestinesi per salvaguardare i diritti dei palestinesi suonano vuoti dal momento che sopprimono il dissenso.”

Gli arresti arbitrari prendono di mira soprattutto coloro che criticano le autorità o esprimono sostegno per l’opposizione politica sui social media, sui giornali e nei campus universitari. Secondo Human Rights Watch le autorità spesso giustificano gli arresti sulla base di leggi generiche che criminalizzano attività che “provocano tensioni settarie” o “offendono le più alte autorità.”

Il rapporto riferisce numerosi esempi di casi individuali di abuso. Un uomo, precedentemente incarcerato da Israele, è stato in seguito arrestato 15 volte dalle forze di sicurezza dell’ANP per essersi affiliato al gruppo di Hamas quando era in prigione.

Un altro esempio è la detenzione per 15 giorni di un giornalista di Gaza che ha scritto su Facebook: “Mi chiedo se i figli dei nostri dirigenti dormono sul pavimento come i nostri figli”. È stato accusato di “uso scorretto della tecnologia” e definito “un istigatore alla sovversione”.

Tortura “abituale, deliberata e largamente utilizzata.”

Nel rapporto si afferma che la tortura e gli abusi durante la detenzione sono “abituali, deliberati e largamente impiegati”.

Entrambe le autorità utilizzano frequentemente un metodo di tortura chiamato ‘shabeh’, in cui i detenuti sono costretti in posizioni dolorose.

Human Rights Watch descrive i metodi usati come “analoghi alle annose prassi israeliane contro i palestinesi.”

Altri abusi documentati includono l’uso di scosse elettriche e colpi [inflitti] con cavi.

Human Rights Watch chiede agli USA e all’ Unione Europea, che sostengono finanziariamente l’Autorità Nazionale Palestinese, come anche al Qatar, all’Iran e alla Turchia, che sostengono Hamas, di sospendere l’assistenza alle forze di sicurezza coinvolte nei diffusi arresti arbitrari e torture. Inoltre raccomanda che gli arresti arbitrari e gli abusi da parte dell’ANP e di Hamas siano inclusi in ogni futura inchiesta della Corte Penale Internazionale sulla Palestina.

Sia Hamas che l’ANP negano che gli abusi siano sistematici e che vadano oltre casi limitati ed eccezionali. Inoltre entrambe le autorità affermano che tali casi vengono sottoposti ad indagine quando siano portati all’attenzione delle autorità.

Lo staff di Human Rights Watch non ha potuto recarsi a Gaza a parlare con le autorità di Hamas riguardo alle accuse, poiché Israele ha negato l’ingresso ai ricercatori.

Sia l’ANP che Hamas sono dotati di meccanismi interni idonei per presentare denunce contro gli abusi delle autorità. Centinaia di denunce sono state presentate da cittadini e organizzazioni per i diritti umani ma, secondo il rapporto di Human Rights Watch, solo “una esigua minoranza” ha avuto come esito un’azione disciplinare.

Associazioni per i diritti umani in Cisgiordania hanno posto l’Autorità Nazionale Palestinese – guidata da Mahmoud Abbas – sotto attenzione particolare a causa del suo coordinamento sulla sicurezza con Israele. L’ANP trasmette ad Israele le registrazioni dell’intelligence e degli interrogatori e vi sono stati casi documentati in cui gli israeliani che li interrogavano hanno detto ai prigionieri palestinesi di aver ricevuto le registrazioni dei loro interrogatori dall’ANP.

C’è la sensazione che non si possa criticare la leadership palestinese perché questo distoglierebbe l’attenzione dall’occupazione israeliana”, ha detto Yara Hawari del gruppo di esperti palestinese al-Shabaka.

Ma noi dobbiamo parlare degli abusi in modo da fornire il quadro completo. L’ANP e Hamas non stanno nel vuoto. Molte delle violazioni dei diritti umani che commettono avvengono sotto gli occhi di Israele e con l’avallo israeliano.”

Questo abuso di potere dimostra che le leadership palestinesi sono assolutamente deboli ed incapaci di guidare il loro popolo”, ha detto Hawari a ‘The Electronic Intifada’.

Ciò è triste. Ma io penso che questo tipo di rapporti sia importante perché dà ai palestinesi l’opportunità di ragionare su che genere di leadership in realtà vogliono e su che cosa, piuttosto che su chi, verrà dopo Abbas.”

Annelies Verbeek è una giornalista belga che vive a Ramallah.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)