La polizia israeliana aggredisce i fedeli e chiude il complesso di Al-Aqsa

12 marzo 2019, Al-Jazeera

Sono scoppiati disordini dopo che la polizia israeliana ha affermato che era stata lanciata una bomba incendiaria contro la sua postazione all’interno dell’area sacra

Una fonte ufficiale palestinese ha detto che forze israeliane hanno chiuso tutte le entrate nel conflittuale complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata, tra continui scontri con fedeli palestinesi. “Decine di soldati israeliani hanno fatto irruzione nel complesso di Al-Aqsa e aggredito alcune personalità religiose,” ha detto martedì in un comunicato Firas al-Dibs, portavoce dell’Autorità delle Dotazioni Religiose di Gerusalemme, un ente diretto dalla Giordania incaricato della supervisione dei luoghi musulmani e cristiani della città.

Secondo al-Dibs, il direttore della moschea di Al-Aqsa Omar Kiswani e Sheikh Wasef al-Bakri, il giudice supremo dei tribunali islamici di Gerusalemme attualmente in carica, sono stati tra le persone aggredite dalla polizia israeliana. Ha affermato che poliziotti che brandivano bastoni hanno attaccato decine di fedeli musulmani nei pressi della moschea di Omar [o Cupola della Roccia, ndt.], nel complesso di Al-Aqsa.

“Almeno cinque palestinesi sono stati fermati prima di essere arrestati per ulteriori accertamenti,” ha detto al-Dibs.

Informando da Gerusalemme est occupata, Harry Fawcett di Al Jazeera ha affermato che la polizia israeliana sostiene che “una bottiglia molotov è stata lanciata verso un edificio della polizia” all’interno del complesso.

“Abbiamo sentito fonti palestinesi all’interno del luogo sostenere che invece potrebbero essere stati fuochi d’artificio. Quello che è avvenuto in seguito sono stati scontri piuttosto prevedibili tra le forze di sicurezza israeliane e fedeli palestinesi,” ha detto Fawcett, aggiungendo che sono state chiuse porte all’interno della Città Vecchia.

Secondo l’ong palestinese “Ir Amim” [organizzazione israeliana che sostiene la convivenza tra ebrei e palestinesi a Gerusalemme, ndt.] almeno 10 palestinesi sono rimasti feriti durante gli scontri, dopo di che tutti i fedeli sono stati obbligati ad uscire dal sito.

Martedì “Ir Amim” ha scritto in un comunicato che “la polizia ha risposto con una forza eccessiva, buttando violentemente a terra una donna e spingendo con aggressività altre persone.”

“La risposta eccessivamente dura da parte della polizia israeliana può essere interpretata come una sfacciata affermazione dell’autorità israeliana sul complesso. Svuotare Al-Aqsa, chiuderne le porte e limitare l’accesso a tre importanti ingressi della Città Vecchia trasmette un chiaro messaggio di controllo unilaterale di Israele.”

L’ong ha avvertito che l’uso eccessivo della forza per minacciare lo status quo porterà a un ulteriore incremento delle tensioni nel sito.

Mentre la presidenza palestinese ha condannato l’escalation nel conflittuale luogo religioso, le autorità israeliane non hanno ancora fatto commenti.

Un comunicato pubblicato dall’agenzia di notizie palestinese WAFA dice che il presidente palestinese Mahmoud Abbas sta mantenendo “intensi contatti” con tutte le parti interessate nella speranza di disinnescare la situazione.

Abbas ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire ed ha accusato la polizia israeliana e i coloni di “violare sistematicamente la sacralità della moschea e di provocare la sensibilità dei musulmani.”

Lo scorso mese nella Gerusalemme occupata è montata la tensione quando la polizia israeliana ha chiuso la porta Al-Rahma del complesso di Al-Aqsa, situata nei pressi del muro orientale della Città vecchia, scatenando manifestazioni palestinesi.

Nelle settimane seguenti le autorità israeliane hanno vietato a decine di palestinesi, compresi funzionari religiosi, di entrare ad Al-Aqsa, il terzo luogo più sacro per l’Islam.

“Quella che era già una situazione tesa in seguito a una lotta di tre settimane per quest’area all’interno del complesso della moschea di Al-Aqsa, con questo ultimo incidente è ora precipitata,” ha detto Fawcett.

Israele ha occupato Gerusalemme est, dove si trova il complesso di Al-Aqsa, durante la guerra arabo-israeliana del 1967. Ha annesso tutta la città nel 1980 con un’iniziativa che non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Il New York Times lascia che sia Israele a fare il suo “controllo dei fatti”

Michael F. Brown

7 marzo 2019, Electronic Intifada

Il New York Times mi ha detto che è assolutamente disposto ad accettare la parola del governo israeliano sui fatti.

Avevo avvertito il giornale dell’informazione secondo cui l’editorialista Bret Stephens ha travisato i fatti nella sua implicita replica all’incisivo articolo di opinione di Michelle Alexander che chiedeva di rompere il silenzio sulla Palestina.

Stephens aveva scritto: “In questo secolo circa 1.300 civili israeliani sono stati uccisi durante attacchi terroristici palestinesi: questo in proporzione corrisponde a circa 16 volte l’11 settembre negli Stati Uniti.”

Ciò è falso.

Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, che raccoglie statistiche scrupolose, dal 29 settembre 2000 alla fine di gennaio di quest’anno sono stati uccisi 823 civili israeliani, insieme a 433 “persone delle forze di sicurezza israeliane”.

Nello stesso periodo circa 10.000 palestinesi sono stati uccisi da Israele – il corrispettivo di decine di 11 settembre, per utilizzare il metro di valutazione di Stephens – anche se per lui a quanto pare le vittime palestinesi non hanno nessuna importanza.

Invece di correggere o verificare con decisione l’informazione errata presentata dal suo editorialista antipalestinese, il caporedattore degli articoli di opinione James Dao mi ha scritto che Stephens aveva avuto la sua “informazione dal governo israeliano, e a me va bene così.”

A me invece non va per niente bene. Trasmettere all’opinione pubblica un’informazione falsa del governo israeliano come se fosse vera è propaganda, non giornalismo o un commento legittimo.

Stephens è autorizzato ad avere le proprie opinioni, ma non i propri dati di fatto. Né lo è il governo israeliano. La parola del governo israeliano – e di Bret Stephens – dovrebbe essere messa a confronto con i dati reali.

In questo caso, non solo ci ha mentito, ma ha affermato che tutti i combattenti palestinesi sono terroristi e tutti gli israeliani – anche i soldati armati dell’occupazione – sono civili.

Il giornale, che giustamente è pronto a contraddire le menzogne del presidente Donald Trump, in questo caso sta prendendo un atteggiamento molto diverso verso le menzogne del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Notevole peggioramento

Ciò è pericoloso. E riduce la credibilità di un giornale che ho a lungo sollecitato perché facesse di meglio.

Non aver fatto una rettifica rappresenta un notevole peggioramento da quando, quasi 14 anni fa, parlai al public editor [giornalista incaricato di verificare la correttezza degli articoli pubblicati dal suo quotidiano, ndt.] del New York Times, Daniel Okrent.

Ci sono meno opportunità ora di quante ce ne fossero allora, in quanto il quotidiano non ha più un garante a cui i lettori possano rivolgersi.

Non lo posso sapere con certezza, ma penso che Okrent sarebbe sconcertato dal fatto che il “controllo dei fatti” sia stato appaltato al governo israeliano.

Stephens è di parte. E gioca a favore del razzismo contro i palestinesi. La sua credibilità è stata intaccata – o lo avrebbe dovuto essere – quando ha scritto di un “feticismo del sangue dei palestinesi.” Questo è un estremismo vile e lampante contro il popolo palestinese.

Sorprendentemente ha fatto un’affermazione altrettanto generale nel suo recente articolo domenicale quando ha reagito contro i progressisti che sono sempre più preoccupati per le politiche discriminatorie di Israele: “Tutto ciò è profondamente inquietante per una comunità ebraica che ha in genere visto il partito Democratico come il proprio referente politico.”

Questa è una generalizzazione antisemita da parte di Stephens, né tutti nella comunità ebraica la pensano come sostiene Stephens. Gli ebrei americani non sono monolitici quando si tratta dei tentativi di garantire i diritti e la libertà dei palestinesi.

Molti ebrei si oppongono all’occupazione israeliana e ad altri crimini, e sono profondamente sconvolti dai continui attacchi da parte di membri della lobby israeliana contro donne di colore che parlano a favore dei diritti dei palestinesi.

Oltretutto molti ebrei rifiutano l’ideologia ufficiale di Israele, il sionismo, in quanto colonialismo di insediamento e apartheid. Oltre ai dubbi sollevati da “Jewish Voice for Peace” [“Voce Ebraica per la Pace”, organizzazione di ebrei USA contraria all’occupazione dei territori palestinesi, ndt.] riguardo al sionismo, gruppi ebraici antisionisti includono Neturei Karta [gruppo di ebrei religiosi contrari al sionismo e all’esistenza di Israele, ndt.] e Satmar Hasidim, la principale setta hassidica [corrente religiosa ebraica con tendenze mistiche e messianiche, ndt.] negli Stati Uniti.

Lettere invece di un fatto accertato

Invece di pubblicare una rettifica, Dao mi ha suggerito di mandare piuttosto una lettera. Ma quella era stata la mia reazione prima ancora di rivolgermi a lui.

La lettera non era stata pubblicata. Né avrebbe sortito un risultato del tutto accettabile. Una rettifica da parte del giornale ha un peso molto maggiore rispetto all’opinione di chi avesse scritto una lettera.

Più di un decennio fa il New York Times Magazine [supplemento domenicale del NYT, ndt.] ebbe un approccio simile e insistette che scrivessi una lettera su un errore riguardante la posizione della barriera israeliana e il fatto che in molti punti non separa Israele dalla Cisgiordania occupata ma la Cisgiordania dalla Cisgiordania [perché non segue il percorso del confine tra Israele e Giordania precedente alla guerra del ’67, ma passa per lo più nei territori palestinesi occupati, ndt.].

Invece il supplemento pubblicò una rettifica piuttosto insignificante riguardo all’articolo, rilevando che una didascalia “aveva sbagliato ad identificare un mezzo meccanico su una strada nei pressi della struttura. Si trattava di un veicolo militare israeliano e non di un carrarmato.”

Questa “rettifica” affermava persino che l’articolo a cui faceva riferimento riguardava la “discussa barriera costruita per separare Israele dalla Cisgiordania.” In altre parole, la “rettifica” conteneva un errore peggiore di quello che avrebbe dovuto correggere.

Come segnalato, il giornale da allora ha fatto lo stesso errore e non lo ha corretto nonostante numerose sollecitazioni.

Nel marzo 2017 il giornalista Russell Goldman ha scritto: “L’inafferrabile artista di strada Banksy ha decorato gli interni dell’hotel “Walled Off” [Recintato], un albergo di nove stanze nella città cisgiordana di Betlemme le cui finestre danno sulla barriera che separa il territorio da Israele.”

Ancora una volta il New York Times avrebbe dovuto descrivere una barriera che in larga misura separa i palestinesi tra loro e dalle loro terre all’interno della Cisgiordania occupata.

La posizione della barriera e il fatto che molti israeliani uccisi non erano civili ma forze militari di occupazione sono dati informativi che possono essere facilmente verificabili.

Il fatto che il New York Times rifiuti di correggere Stephens, confidando in modo incondizionato nelle affermazioni di fonti ufficiali israeliane, indica che a Stephens è stato dato troppo spazio per proporre la propaganda legata ad Israele.

Non credo che Dao nutra lo stesso animo antipalestinese di Stephens – e venerdì persino Stephens ha criticato gli “attacchi demagogici contro gli arabi israeliani” da parte di Netanyahu, benché non si sia potuto spingere fino a chiamarli cittadini palestinesi di Israele o manifestare un minimo di preoccupazione per l’occupazione e per i crimini di guerra di Netanyahu a Gaza e in Cisgiordania.

Ma critiche relativamente moderate nei confronti di Netanyahu non possono mitigare grossolani errori riguardo ai fatti, insinuazioni razziste e indulgenza nei confronti delle violazioni dei diritti umani da parte di Israele, come Stephens ha fatto nella sua carriera. Con questi precedenti, Dao non dovrebbe privilegiare la parola di Stephens – e del governo israeliano – rispetto a quella di una credibile organizzazione per i diritti umani.

Il New York Times dovrebbe pubblicare una rettifica alla fine del prossimo articolo di Stephens, chiarendo che il governo israeliano ha fornito un’informazione errata e che chi controlla i fatti non ha cercato altre fonti di informazione più attendibili.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Khalida Jarrar lascia il carcere israeliano con “messaggi di libertà”

Tamara Nassar

2 marzo 2019, Electronic Intifada

Giovedì Israele ha rilasciato la parlamentare [del Consiglio Legislativo Palestinese dell’Autorità Nazionale Palestinese, ndtr.] di sinistra Khalida Jarrar, dopo averla tenuta in carcere senza accuse né processo per 20 mesi.

È stata portata via da casa sua il 2 luglio 2017 durante un’incursione prima dell’alba nella città di Ramallah, nella Cisgiordania occupata.

Israele ha incarcerato Jarrar molte volte.

“Hanno detto alla mia famiglia che sarei stata rilasciata a mezzogiorno al checkpoint militare di al-Jalameh, ma l’autorità penitenziaria ha fatto arrivare un bosta speciale e ha deciso di portarmi al checkpoint di Salem e di rilasciarmi al mattino presto”, ha detto Jarrar in un video.

Bosta è il nome di un veicolo usato per trasferire i prigionieri in piccole gabbie di metallo con braccia e gambe incatenate, spesso per lunghe ore – una crudele forma di violenza.

“Hanno rilasciato la mamma molto presto al mattino e in un luogo diverso e l’hanno lasciata a camminare da sola in mezzo al nulla. A dispetto dei tentativi di Israele di disturbare la festa [per accogliere il suo rilascio], la mamma è libera!”, ha detto sui social media la figlia di Jarrar, Yafa, secondo quanto riportato dall’associazione per i diritti dei prigionieri “Samidoun”.

Dopo il suo rilascio Khalida Jarrar ha fatto visita alla tomba del padre.

“ In definitiva, ci auguriamo il rilascio di tutti i prigionieri e portiamo i loro messaggi di libertà”, ha aggiunto Jarrar.

Le condizioni dei prigionieri

La parlamentare ha sottolineato “le difficili condizioni in cui vivono le donne detenute, soprattutto dopo che sono state raggruppate e trasferite dal carcere HaSharon a quello di Damon, dove vivono in condizioni disumane.”

La commissione per i prigionieri dell’Autorità Nazionale Palestinese ha dichiarato che le autorità penitenziarie israeliane distribuivano alle detenute di Damon cibo avariato e scaduto.

Ha aggiunto che vi sono ancora telecamere di sorveglianza installate nel cortile, che costringono le donne a indossare l’hijab – il velo sul capo – anche dentro le loro stanze.

Intanto i palestinesi delle prigioni israeliane nella regione del Naqab (Negev) nel sud di Israele stanno sciogliendo le organizzazioni dei prigionieri per protesta contro le repressioni delle autorità carcerarie israeliane.

Le donne palestinesi detenute nel carcere di HaSharon hanno contestato la decisione delle autorità di installare a settembre telecamere di sorveglianza nel cortile del carcere, rifiutandosi di andare in cortile.

Secondo The Times of Israel, Jarrar ha parlato del piano di peggiorare le condizioni dei palestinesi nelle prigioni israeliane e riportare il loro livello di vita al “minimo indispensabile” , annunciato il mese scorso, del ministro israeliano per la Pubblica Sicurezza Gilad Erdan.

Erdan fa parte di una commissione composta da diversi membri del parlamento israeliano, come anche lo Shin Bet [servizio di sicurezza interno, ndtr.], che stabilisce le condizioni dei prigionieri palestinesi ed impone loro ulteriori restrizioni.

“Parte dell’attacco è stato contro le donne detenute”, ha detto Jarrar alla rete televisiva Wattan dopo il suo rilascio. “Stanno cercando di ridurre le detenute in una situazione in cui ricomincino la loro lotta dal punto di partenza.”

“Le celle sono molto umide, le installazioni elettriche sono pericolose perché sono bagnate, soprattutto d’inverno, e questo provoca incendi”, ha detto Jarrar. “Il cortile è pieno di telecamere. Non abbiamo una biblioteca, non abbiamo un’aula scolastica. Non esiste cucina e le detenute sono costrette a cucinare nelle loro umide celle.”

Erdan ha annunciato il blocco dei fondi destinati dall’Autorità Nazionale Palestinese ai servizi per i detenuti, riducendo la loro autonomia e limitando le forniture d’acqua.

Secondo Haaretz, ha sostenuto che il consumo d’acqua dei prigionieri è “folle” ed è un loro modo “di sovvertire lo Stato”.

Il quotidiano non ha specificato quanta acqua si presume consumino i prigionieri palestinesi.

Citati in un rapporto del governo

Allo scopo di screditare e diffamare il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni [contro Israele] (BDS) per i diritti dei palestinesi, il governo israeliano il mese scorso ha pubblicato un rapporto intitolato “Terroristi in giacca: i legami tra le ONG che promuovono il BDS e le organizzazioni terroriste”.

Il rapporto definisce Jarrar, che fa parte del consiglio direttivo dell’associazione “Addameer” per i diritti dei prigionieri, come una dei “numerosi membri e agenti terroristi che sono diventati figure dirigenti in organizzazioni non governative che delegittimano e promuovono boicottaggi contro Israele, mentre nascondono o minimizzano il loro passato di terroristi.”

È da notare che Israele non ha mai formulato accuse contro Jarrar negli scorsi 20 mesi, nonostante sostenga che lei abbia legami “col terrorismo”.

Jarrar è membro del Consiglio Legislativo Palestinese e ex leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Israele considera quella fazione politica, come praticamente tutti gli altri partiti politici palestinesi, un’organizzazione “terroristica”. Attualmente ci sono otto parlamentari palestinesi nelle carceri israeliane, cinque dei quali in detenzione amministrativa [cioè senza accuse e senza processo, ndtr.].

Anche l’artista palestinese Mustapha Awad è citato nel rapporto.

E’ in carcere da luglio e a novembre è stato condannato ad una pena di un anno in una prigione israeliana.

Awad, che ha 36 anni, è nato nel campo profughi di Ein al-Hilweh in Libano e a 20 anni ha ottenuto asilo in Belgio.

Come molti rifugiati palestinesi, Awad non era mai stato in Palestina e ha deciso di visitarla la scorsa estate, ma è stato arrestato dalle autorità israeliane quando ha cercato di entrare nella Cisgiordania occupata dalla Giordania, e da allora è in carcere.

Israele accusa Awad, che è co-fondatore di un gruppo di danza popolare, di appartenere al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

L’Egitto rilascia membri di Hamas

Giovedì le autorità egiziane hanno rilasciato quattro membri di Hamas, che erano stati rapiti da uomini armati in Egitto nell’agosto 2015, e altri quattro palestinesi della Striscia di Gaza.

I membri di Hamas Abdeldayim Abu Libdah, Abdullah Abu al-Jubain, Hussein al-Zibdah e Yasir Zannoun sono arrivati attraverso il valico di Rafah nella Striscia di Gaza accompagnati dal membro dell’ufficio politico di Hamas Rawhi Mushtaha.

Il leader di Hamas Ismail Haniyeh, che era tornato nella Striscia il giorno prima, avrebbe ringraziato le autorità egiziane per aver rilasciato gli uomini.

I quattro membri di Hamas sono stati rapiti da uomini mascherati dopo essere entrati in Egitto da Gaza attraverso il valico di Rafah e si trovavano su un autobus diretto all’aeroporto internazionale del Cairo quando è avvenuto il rapimento.

L’Egitto non ha mai ammesso ufficialmente di detenerli in carcere.

Tamara Nassar è assistente di redazione di ‘The Electronic Intifada’

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 




Israele dovrebbe essere giudicato per l’uccisione illegale di manifestanti a Gaza

Middle East Monitor

28 febbraio 2019

video proiettato durante le sedute della Commissione ONU

La Reuter [agenzia di stampa britannica, ndt.] ha informato che giovedì membri di una commissione d’inchiesta ONU hanno affermato che lo scorso anno a Gaza le forze di sicurezza israeliane potrebbero aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità per l’uccisione di 189 palestinesi e il ferimento di più di altri 6.100 durante le proteste settimanali.

La commissione indipendente ha affermato di aver avuto informazioni confidenziali su coloro che ritiene essere responsabili di queste uccisioni illegali, compresi cecchini e comandanti dell’esercito israeliano. Ha chiesto ad Israele di incriminarli.

Quando hanno sparato le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso e menomato manifestanti palestinesi che non rappresentavano una minaccia immediata di morte o di gravi ferite ad altri, né stavano partecipando direttamente agli scontri,” si afferma, aggiungendo che le proteste sono state “di carattere civile”.

Le vittime includono minori, giornalisti e una persona amputata ad entrambe le gambe che era su una sedia a rotelle.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto il rapporto ed ha accusato il Consiglio ONU per i Diritti Umani, che ha promosso l’inchiesta, di ipocrisia e di menzogne alimentate da “un odio ossessivo verso Israele.”

Israele ha affermato di aver aperto il fuoco per difendere il confine da incursioni e attacchi da parte di miliziani armati.

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha affermato che i risultati dell’indagine confermano che “Israele ha commesso crimini di guerra contro il nostro popolo a Gaza e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme.”

In un comunicato ha detto che la Corte Penale Internazionale dovrebbe agire immediatamente e aprire un’inchiesta in merito.

Le proteste sul confine tra Israele e la Striscia di Gaza sono iniziate nel marzo dello scorso anno, con i gazawi che chiedevano che Israele alleggerisse il blocco dell’enclave e il riconoscimento del loro diritto al ritorno alle terre da cui le loro famiglie fuggirono o che vennero obbligate a lasciare quando Israele venne fondato nel 1948.

La commissione ha scoperto che 183 dei 189 manifestanti sono stati uccisi con proiettili veri. Ha espresso una grande preoccupazione per le regole d’ingaggio segrete stilate dai dirigenti civili e militari israeliani che “a quanto pare consentono di sparare proiettili veri contro dimostranti come ultima risorsa… e di sparare alle gambe dei ‘principali agitatori’.”

Sostiene che il concetto israeliano di ‘principali agitatori’ non esiste nelle leggi internazionali.

Dice che circa 122 feriti, tra cui 20 minori, hanno avuto un arto amputato.

La commissione afferma che nessun soldato israeliano è stato ucciso durante le proteste, tranne uno durante un giorno di manifestazioni ma non in un luogo in cui stavano avvenendo proteste, mentre quattro sono stati feriti.

Una portavoce militare israeliana lo ha contestato, sostenendo che il soldato sia stato colpito a morte durante disordini nelle vicinanze che erano “stati provocati per attirare soldati e poterli attaccare.”

Il rapporto, che riguarda il periodo dal 30 marzo al 31 dicembre 2018, si basa su centinaia di interviste con vittime e testimoni, così come su reperti medici, video, riprese da droni e fotografie.

Il rapporto dice che il 14 maggio le forze israeliane hanno ucciso 60 dimostranti, il più alto numero di vittime in un solo giorno a Gaza dall’attacco militare del 2014 [l’operazione “Margine Protettivo”, ndt.].

In un comunicato Amnesty International ha affermato: “I responsabili da questi crimini deprecabili non devono rimanere impuniti. I risultati di questo rapporto devono portare a fare giustizia per le vittime di crimini di guerra.”

Corte Penale Internazionale

I membri della commissione d’indagine dicono che l’alta commissaria ONU per i diritti umani Michelle Bachelet dovrebbe condividere i risultati con la CPI.

Israele non fa parte della CPI né ne riconosce la giurisdizione, ma la corte con sede all’Aia nel 2015 ha aperto un’indagine preliminare riguardo alle denunce di violazioni dei diritti umani da parte di Israele sul territorio palestinese.

La Striscia di Gaza, l’enclave costiera controllata dal gruppo islamista Hamas, ospita 2 milioni di palestinesi. Nel 2005 Israele ritirò le sue truppe e i suoi coloni da Gaza, ma conserva un rigido controllo sui suoi confini terrestri e marittimi. Anche l’Egitto limita il movimento dentro e fuori Gaza.

Il presidente della commissione Santiago Cantón, un giurista argentino, ha detto: “Alcune di queste violazioni possono rappresentare crimini di guerra o contro l’umanità e devono essere immediatamente indagate da Israele.”

Durante una conferenza stampa ha affermato: “La nostra inchiesta ha scoperto che i manifestanti erano nella stragrande maggioranza disarmati, anche se non sempre pacifici.”

Trentacinque minori, due giornalisti e tre paramedici “chiaramente individuabili” sono stati tra le vittime delle forze israeliane, in violazione delle leggi umanitarie internazionali, afferma il rapporto.

Sara Hossain, membro della commissione e avvocatessa presso la Corte Suprema del Bangladesh, ha sostenuto: “Stiamo affermando che hanno sparato intenzionalmente a minori. Hanno sparato intenzionalmente a persone disabili, hanno sparato intenzionalmente a giornalisti.” E ha aggiunto: “Abbiamo scoperto che una persona con entrambe le gambe amputate è stata colpita ed uccisa mentre era seduta sulla sua sedia a rotelle. In due giorni diversi due persone visibilmente con le stampelle sono state colpite alla testa. Sono state uccise.”

Israele afferma che le sue forze sono state a volte vittime di attacchi da armi da fuoco o granate durante le proteste.

Betty Murungi, che ha fatto parte della commissione, ha anche detto che le autorità di Gaza dovrebbero interrompere l’uso di aquiloni e palloni incendiari, congegni che hanno distrutto coltivazioni israeliane.

Il funzionario di Hamas Ismail Rudwan ha detto alla Reuter a Gaza: “La richiesta della commissione ONU di mettere sotto processo i dirigenti dell’occupazione israeliana è una prova che le forze di occupazione hanno commesso crimini contro l’umanità nella Striscia di Gaza.”

Nell’ultimo decennio Israele e Hamas hanno combattuto tre guerre.

(traduzione di Amedeo Rossi)




GERUSALEMME. Tensioni ad Al-Aqsa, nuovo punto di rottura

Ben White

Middle East Eye, 21 febbraio 2019

Roma, 25 febbraio 2019, Nena News –  Passate inosservate sui media occidentali, le tensioni nella Gerusalemme occupata si sono intensificate. La scorsa settimana è nato un nuovo scontro sulla questione del complesso della Moschea di Al-Aqsa, nel contesto degli sforzi sempre più intensi che le autorità israeliane e i coloni stanno mettendo in campo per cambiare lo status quo e impossessarsi delle proprietà palestinesi nella Città Vecchia e dintorni.

Il governo giordano ha recentemente deciso di allargare la struttura della Waqf – l’istituzione incaricata di gestire il complesso di Al-Aqsa – per includere un certo numero di “pezzi grossi” palestinesi, oltre ai consolidati membri giordani.

Accessi chiusi 

La mossa è giunta in risposta a quella che Ofer Zalzberg, dell’Unità di Crisi Internazionale, ha descritto ad Haaretz come “l’erosione dello status quo” nella zona, che include anche la tolleranza, da parte delle forze di occupazione israeliane, di un “tranquillo pregare” degli ebrei all’interno del complesso – “uno sviluppo alquanto recente”, nota il giornale.

Giovedì scorso, il comitato appena allargato ha fatto un sopralluogo, e pregato, nell’edificio situato alla Porta della Misericordia (Bab al-Rahma), chiuso dalle autorità israeliane di occupazione dal 2003. Al tempo, la chiusura venne motivata sulla base di ipotetiche attività politiche e legami con Hamas, ma l’edificio da allora è rimasto chiuso.

Domenica notte le forze israeliane hanno messo nuovi lucchetti ai cancelli metallici che portano all’edificio. Quando i fedeli palestinesi hanno cercato di aprire i cancelli, sono scoppiati scontri, e diversi palestinesi sono stati arrestati dalla polizia israeliana.

Martedì sera ci sono stati altri scontri e arresti, mentre un tribunale israeliano, mercoledì, ha vietato a una decina di palestinesi di entrare nel complesso. Sia l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina che Hamas hanno condannato tali sviluppi, e hanno lanciato l’allarme sulla precarietà della situazione.

Una nuova realtà dei fatti

Ciò che è successo al complesso di Al-Aqsa dev’essere considerato all’interno del più ampio scenario di Gerusalemme, e in particolare di ciò che l’ong israeliana Ir Amir ha definito una “rapida e sempre più intensa catena di nuovi avvenimenti”, tra cui “un crescente numero di campagne, sostenute dallo Stato, per gli insediamenti all’interno dei quartieri palestinesi”.

Un’espressione di tali campagne è lo sfratto di famiglie palestinesi dalle proprie case, in modo che i coloni possano prenderne possesso.  Domenica scorsa, la famiglia di Abu Assab è stata espulsa dalla propria casa nel quartiere musulmano della Città Vecchia, un destino che attende altre centinaia di famiglie palestinesi nella Gerusalemme Est occupata.

Ciò che si sta concretizzando a Gerusalemme è una “campagna organizzata e sistematica dei coloni, con il sostegno degli enti governativi, per espellere intere comunità da Gerusalemme Est e per stabilire insediamenti al loro posto”, secondo le parole di un supervisore israeliano degli insediamenti.

“Ciò che vogliono è evidente: una maggioranza ebraica qui e a Gerusalemme Est”, ha dichiarato recentemente all’Independent Jawad Siyam, un attivista di Silwan. La sua comunità è rovinata dalla presenza dell’insediamento coloniale “Città di David”, destinato a ricevere un nuova spinta dalle autorità israeliane di occupazione, sotto forma di un progetto per una stazione di teleferica.

Gerusalemme è stata per un bel po’ assente dai titoli dei giornali, visto che la gran parte dell’attenzione, per motivi più che comprensibili, è stata riservata alle manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno nella Striscia di Gaza e ai tentativi, arenati, di ottenere la liberazione dal blocco. Ci sono all’orizzonte anche le elezioni israeliane, e continuano le congetture su cos’abbia in serbo l’amministrazione Trump con il cosiddetto ‘piano di pace’.

In sottofondo, comunque, l’accelerazione delle politiche coloniali israeliane a Gerusalemme Est potrebbe portare a un nuovo punto di rottura.

Attivismo di base 

La Waqf ha dichiarato di mirare all’apertura del sito di Bab al-Rahma, una richiesta che potrebbe diventare il punto fondamentale di quel genere di proteste di massa che si sono viste nell’estate del 2017. Allora, i metal detector introdotti dalle forze israeliane di occupazione fuori dal complesso della moschea di Al-Aqsa innescarono manifestazioni spontanee, e alla fine vennero rimossi.

Che il Waqf decida o meno di procedere, potrebbe ritrovarsi con le mani legate dalla pressione dell’attivismo di base; c’è parecchia preoccupazione, tra i palestinesi, che il governo israeliano – insieme al cosiddetto “Movimento del Tempio” – si stia adoperando per una divisione dello spazio del complesso di Al-Aqsa, con l’instaurazione al suo interno di preghiere ebraiche formalizzate.

Nel frattempo, gli Stati Uniti stanno procedendo alla chiusura del loro Consolato a Gerusalemme Est e allo spostamento degli “affari” palestinesi in un ufficio all’interno della nuova Ambasciata: un segnale potente, se ce ne fosse bisogno, del fatto che la visione dell’amministrazione Trump traccia una netta separazione anche dalla semplice finzione di una “soluzione dei due Stati”, e del suo timbro di approvazione su Israele come unico Stato di fatto.

Gli eventi di questa settimana, comunque si svilupperanno, costituiscono un monito: mentre Israele e gli Stati Uniti vedono in Gerusalemme una facile preda per un rapido processo di colonizzazione e di maggiore imposizione della sovranità israeliana, i residenti palestinesi della città sono navigati guastafeste dei piani israeliani e potrebbero presto riprendere questo ruolo

Traduzione di Elena Bellini/ Nena News




Deputati israeliani firmano una petizione per insediare 2 milioni di ebrei in Cisgiordania

Ma’an News – 9 febbraio 2019

Betlemme (Ma’an) – Decine tra ministri israeliani e importanti esponenti del Likud e di altri partiti di destra hanno firmato una petizione a favore dell’insediamento di due milioni di ebrei nella Cisgiordania occupata.

Il presidente della Knesset [parlamento] israeliano Yuli Edelstein e i ministri Gilad Erdan, Miri Regev, Yisrael Katz del Likud, Ayelet Shaked e Naftali Bennett del partito “Nuova Destra” sono tra i firmatari di una petizione per abbandonare la soluzione dei due Stati e fondare nuovi insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata.

La petizione che hanno firmato è stata promossa dal movimento “Nahala”, un gruppo di coloni israeliani, per promuovere un progetto di colonizzazione israeliano proposto sotto il governo del defunto primo ministro Yitzhak Shamir all’inizio degli anni ’90.

Il principale obiettivo della petizione è di insediare 2 milioni di ebrei in Cisgiordania.

Recentemente gli attivisti di “Nahala” hanno protestato fuori dalla residenza del primo ministro Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, chiedendo che il prossimo governo lavori per la colonizzazione di tutta la Cisgiordania e che venga abbandonata l’idea di una soluzione a due Stati.

Tra i membri del Likud che hanno firmato ci sono Il presidente della Knesset israeliana Yuli Edelstein, il ministro dei Trasporti Yisrael Katz, il ministro del Turismo Yariv Levin, Il ministro della Protezione Ambientale e delle Questioni di Gerusalemme Zeev Elkin, il ministro della Pubblica Sicurezza Gilad Erdan, la ministra della Cultura Miri Regev, il ministro della Cooperazione Regionale Tzachi Hanegbi, il ministro delle Comunicazioni Ayoub Kara, il ministro dell’Immigrazione e dell’Integrazinoe Yoav Gallant, la ministra dell’Uguaglianza Sociale Gila Gamliel e il ministro della Scienza e della Tecnologia Ofir Akunis. Anche la ministra della Giustizia Ayelet Shaked e il ministro dell’Educazione Naftali Bennett, entrambi del partito “Nuova Destra”, hanno firmato la petizione.

La dichiarazione del movimento “Nahala” afferma: “Con la presente mi impegno ad essere leale nei confronti della terra di Israele, a non cedere un centimetro di quanto abbiamo ereditato dai nostri antenati. Con la presente mi impegno a realizzare il progetto di insediamento di due milioni di ebrei in Giudea e Samaria [la Cisgiordania, ndtr.] in base al piano del primo ministro Yitzhak Shamir, così come a incoraggiare e guidare la redenzione di tutte le terre in Giudea e Samaria. Mi impegno ad agire per cancellare la dichiarazione dei due Stati per due popoli e a sostituirla con la solenne dichiarazione: la terra di Israele: un Paese per un popolo.”

In un comunicato il movimento “Nahala” ha affermato che la petizione è una “verifica ideologica e di fedeltà etica.”

Tra 500.000 e 600.000 israeliani vivono nelle colonie solo per ebrei a Gerusalemme est e nella Cisgiordania occupate in violazione delle leggi internazionali, con recenti annunci di espansione delle colonie che hanno provocato la condanna da parte della comunità internazionale.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Gruppi LGBTQ invitano al boicottaggio di ‘Eurovision’

Riri Hylton

1 febbraio 2019 The Electronic Intifada

Attivisti per i diritti di gay, lesbiche e transessuali hanno chiesto il boicottaggio del concorso musicale ‘Eurovision’ di quest’anno a Tel Aviv.

Più di 60 gruppi LGBTQ da tutto il mondo si sono uniti ad un nuovo appello per dimostrare solidarietà ai palestinesi.

In una dichiarazione, i gruppi accusano Israele di “usare spudoratamente la competizione ‘Eurovision’ ” per sviare l’attenzione da crimini di guerra.

L’organizzazione “alQaws per la Differenza Sessuale e di Genere nella Società Palestinese” sostiene che Israele sia impegnato in un ‘pinkwashing’ – il cinico uso dei diritti LGBTQ da parte di Stati e imprese per minimizzare le loro attività negative.

Haneen Maikey, direttrice di alQaws, ha detto che “Israele sta usando ‘Eurovision’ come diplomazia della cultura pop” e sta cercando di “sfruttare” i sostenitori LGBTQ della competizione.

Maikey ha affermato che Israele “ostenta sostegno ai diritti dei gay mentre rinchiude migliaia di nativi palestinesi in bantustan.”

La dichiarazione appoggiata dai gruppi LGBTQ sostiene che possono essere riscontrate “assonanze” tra la violenza della polizia e dell’esercito subita dai palestinesi e quella inflitta agli attivisti gay e lesbiche. L’incursione della polizia nel 1969 allo Stonewall Inn di New York e i disordini che ne sono seguiti sono universalmente considerati eventi chiave nella storia del movimento di liberazione LGBTQ.

Progressista?

Nonostante diffonda un’immagine progressista, Israele ha negato uguaglianza di diritti tra coppie eterosessuali ed omosessuali. È anche noto che Israele ha posto sotto sorveglianza i palestinesi LGBTQ ed ha cercato di ricattarli con la minaccia di informare gli amici palestinesi.

L’israeliana Netta Barzilai ha vinto la competizione ‘Eurovision’ 2018 a Lisbona con la canzone pop “Toy” ritenuta a favore dell’emancipazione femminile. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu quella sera ha risposto con una telefonata in diretta alla vincitrice, nel corso della quale ha detto a Barzilai che lei era “la miglior ambasciatrice” del Paese.

Il mattino seguente Netanyahu ha definito la vittoria un “regalo”.

Due giorni dopo la sua vittoria, Barzilai si è esibita in Piazza Rabin, a Tel Aviv.

Qualche ora prima, i soldati israeliani hanno compiuto un massacro durante la Grande Marcia del Ritorno a Gaza. E’ stato il giorno più sanguinoso  dall’attacco a Gaza del 2014 durato 50 giorni.

Barzilai nel 2014 ha fatto parte della marina israeliana e si dice che abbia cantato una canzone per i colleghi che hanno preso parte all’attacco a Gaza [si riferisce all’operazione “Margine protettivo”, ndtr.].

Da allora, è apparsa in molti eventi sponsorizzati da Israele, compreso il Pride di Tel Aviv.

“Tolleranza fittizia”

Gli attivisti LGBTQ stanno cercando di boicottare il Pride di Tel Aviv del 2019, come anche ‘Eurovision’.

“Il Pride di Tel Aviv non è come gli altri cortei pride”, ha dichiarato Maikey. “È un esercizio di ‘pinkwashing’, strettamente connesso al governo israeliano e parte della sua ben collaudata strategia di propaganda del “marchio Israele” per trasformare i turisti gay in comparse per il fittizio spettacolo di tolleranza che ha messo in scena.”

La scorsa estate Barzilai ha rilasciato un’intervista alla Associated Press [agenzia di stampa USA, ndtr.] in cui ha detto: “Israele è fantastico”, ma “abbiamo pessime pubbliche relazioni nel mondo.”

Nel tentativo di promuovere il sostegno a ‘Eurovision’, a novembre Barzilai ha intrapreso un tour. Si è trovata di fronte a proteste e scarsa affluenza.

La sua prima tappa è stata Vienna, dove si è esibita davanti a un pubblico di sole 100 persone, mentre lo spettacolo programmato a Zurigo è stato cancellato a causa della mancanza di interesse riscontrata.

Analogamente, a Berlino si è recato a vederla solo uno scarso numero di persone, in un locale che può ospitare 500 persone.

A Londra si è svolta una manifestazione di protesta particolarmente numerosa, quando Barzilai ha cantato nel gay club Heaven.

All’avvicinarsi di ‘Eurovision’, che si svolgerà a maggio, i sostenitori dei diritti umani hanno intensificato la loro attività. Il mese scorso a Parigi manifestanti hanno invaso il palcoscenico durante un evento indetto per stilare una lista ridotta di candidati a rappresentare la Francia a ‘Eurovision’.

Barzilai stava per presentarsi al pubblico quando è iniziata la protesta.

La campagna di boicottaggio di ‘Eurovision’ di quest’anno ha avuto molto seguito in Irlanda – che ha vinto la competizione ben sette volte.

La sezione radiofonica di Dublino dell’Unione Nazionale Giornalisti ha recentemente messo in discussione ‘Eurovision’. Ha offerto appoggio ai giornalisti che hanno dichiarato obiezione di coscienza per non seguire la competizione.

Questa decisione fa seguito all’impegno preso dalla direzione di RTE, l’emittente irlandese, che nessun membro dello staff subirà punizioni se si rifiuta di andare a Tel Aviv.

E questa settimana 50 artisti britannici hanno chiesto alla BBC di non trasmettere ‘Eurovision’ 2019.

Una lettera pubblicata su The Guardian afferma che “ ‘Eurovision’ può anche essere uno spettacolo leggero, ma non è esente da considerazioni sui diritti umani – e noi non possiamo ignorare la sistematica violazione da parte di Israele dei diritti umani dei palestinesi.”

Tra coloro che hanno firmato la lettera compaiono i musicisti Peter Gabriel e Roger Waters, il regista Ken Loach e la stilista Vivienne Westwood.

“La rapida diffusione spontanea e vivace dell’appoggio all’appello palestinese di boicottare ‘Eurovision’ in Israele ci dà speranza”, ha detto Haneen Maikey di alQaws. “Il ‘marchio’ di Israele è appannato e il suo vero volto di regime coloniale di apartheid si sta sempre più rivelando al mondo.”

Riri Hylton è giornalista e editor freelance che lavora sia nella carta stampata che nel giornalismo radiofonico. Vive tra Londra e Berlino.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Un prigioniero palestinese sotto custodia israeliana muore per l’incuria medica

1 febbraio 2019 Ma’an News

RAMALLAH (Ma’an) – Un prigioniero palestinese di 51 anni della Striscia di Gaza assediata è morto mercoledì a causa di incuria medica, dopo aver scontato 28 anni nelle prigioni israeliane, quattro dei quali in isolamento.

Secondo il Comitato per i Rapporti con i Prigionieri e gli Ex-prigionieri Palestinesi, Fares Baroud, 51 anni, del campo profughi al-Shati, è morto poco dopo essere stato trasferito dalla prigione israeliana di Rimon, nel sud di Israele, in un ospedale israeliano per terapia intensiva in seguito al deteriorarsi della sua salute.

Baroud, che è stato incarcerato nel 1991 e condannato all’ergastolo, oltre ai 35 anni per aver ucciso un colono israeliano, ha sofferto in prigione di ernia, malattie del fegato e asma.

Ha subito un intervento chirurgico l’anno scorso per rimuovere parte di un rene.

A Baroud erano state negate dalle autorità israeliane tutte le visite di famiglia per 18 anni, comprese quelle della madre, Rayya Baroud.

È da notare che Baroud avrebbe dovuto essere rilasciato nel 2013 nello scambio di prigionieri con Israele, ma Israele si ritirò dall’accordo e rifiutò di rilasciare i 30 prigionieri.

Il Comitato ha ritenuto i Servizi Penitenziari israeliani pienamente responsabili della morte a causa di incuria medica e ha segnalato che altri palestinesi con malattie croniche potrebbero morire nel sistema carcerario israeliano.

Il Comitato ha confermato che dall’occupazione nel 1967della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, 60 prigionieri palestinesi sono morti durante la detenzione israeliana a causa di incuria medica.

(Traduzione di Luciana Galliano)




Ragazza palestinese colpita a morte ad un checkpoint israeliano

Ali Abunimah

30 gennaio 2019, Electronic Intifada

Mercoledì forze israeliane hanno ucciso una ragazza palestinese al checkpoint di al-Zaayim nella Cisgiordania occupata a est di Gerusalemme.

La polizia israeliana ha sostenuto che Samah Zuhair Mubarak ha tentato di accoltellare una guardia di sicurezza del posto di controllo prima di essere colpita mortalmente.

Il ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese ha attribuito a Mubarak l’età di 16 anni, e i mezzi di comunicazione hanno informato che era in terza superiore.

Come in molti casi precedenti in cui un presunto aggressore palestinese è stato ucciso, nessun soldato israeliano è rimasto ferito durante l’incidente.

Un portavoce della polizia israeliana ha twittato una foto del coltello che secondo lui portava Mubarak: la polizia israeliana ha anche rilasciato un montaggio video che mostrerebbe parte dell’incidente.

Il filmato mostra una persona tutta vestita di nero e con uno zainetto che si avvicina al checkpoint. Poi mostra da lontano una lite in cui una persona appare inciampare o fare un balzo in avanti, e poi cadere all’indietro a terra come se le avessero sparato.

Il video è tagliato, per cui non mostra quello che è successo nei secondi precedenti alla discussione e agli spari.

Mostra anche un soldato che mette le manette a Mubarak chiaramente inerme stesa a terra, mentre un altro soldato le punta contro un fucile.

Cure mediche negate

In molti casi di attacchi presunti o reali da parte di palestinesi contro soldati israeliani, le forze di occupazione hanno abitualmente utilizzato forza letale – esecuzioni extragiudiziarie – contro persone che non rappresentavano un pericolo imminente o avevano smesso di rappresentare un pericolo.

Dopo gli spari di mercoledì il “Times of Israel” [giornale on line israeliano che si autodefinisce indipendente, ndtr.] ha affermato: “In alcuni casi fonti ufficiali israeliane hanno detto che palestinesi sembravano aver attuato aggressioni o tentato di farlo per essere uccisi dalle forze di sicurezza israeliane, come forma di ‘suicidio per mano di un poliziotto’”.

I media locali hanno informato che le forze israeliane hanno impedito ai primi soccorritori di prestare aiuto a Mubarak dopo che era stata colpita.

Nessuna delle immagini rilasciate dalla polizia israeliana o che hanno circolato nelle reti sociali e visionate da “Electronic Intifada” mostra assistenza a Mubarak da parte di personale medico o che siano stati messi in atto tentativi di salvarle la vita.

Generalmente cure mediche a palestinesi colpiti dalle forze di occupazione israeliane vengono negate o attivamente impedite.

Riguardo a simili incidenti del passato, Amnesty International ha affermato che “in base alle leggi internazionali è un dovere fondamentale fornire soccorso sanitario a un ferito, e non farlo – soprattutto se in modo intenzionale – viola il divieto di tortura e di altre punizioni crudeli, inumane e degradanti.”

Famiglia scioccata

Un membro della famiglia ha detto ai media palestinesi che, in seguito all’uccisione di Mubarak, Israele ha arrestato suo padre Zuhair Mubarak dopo averlo convocato per un interrogatorio alla prigione militare di Ofer.

“Noi sapevamo che Samah stava andando a scuola e siamo rimasti sorpresi dalla notizia della sua morte. Non sappiamo nessun altro dettaglio su quello che è avvenuto al posto di controllo,” ha aggiunto il membro della famiglia.

La famiglia di Mubarak è originaria della Striscia di Gaza, ma vive nella città di al-Ram, nella Cisgiordania occupata a nord di Gerusalemme, dove suo padre si è trasferito all’età di 18 anni.

È la terza minorenne palestinese ad essere uccisa dalle forze israeliane dall’inizio del 2019. “Samah aveva una personalità infantile, non aveva opinioni o ideologie estremiste, era di una famiglia religiosa, siamo tutti religiosi, e non avrebbe mai fatto quello che sostiene Israele,” ha detto alla rivista Donia al-Watan [sito palestinese di notizie in rete, ndtr.] lo zio di Samah, Fathi al-Khalidi.

Candelotto lacrimogeno letale

Nel contempo martedì a Gaza il quarantasettenne Samir Ghazi al-Nabbahin è morto in seguito alle ferite ricevute durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno dello scorso venerdì.

Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che al-Nabbahin era stato colpito al volto da un candelotto lacrimogeno sparato dalle forze di occupazione israeliane.

Il 14 gennaio un altro palestinese di Gaza, il tredicenne Abd al-Raouf Ismail Salha, era morto in seguito alle lesioni riportate quando giorni prima era stato colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno israeliano. Al-Nabbahin è stato sepolto mercoledì in mezzo a scene di dolore.

Martedì almeno altri cinque palestinesi sono rimasti feriti dal fuoco israeliano mentre partecipavano a una marcia settimanale nel nord di Gaza contro il blocco marittimo israeliano del territorio.

Tamara Nassar ha contribuito alla ricerca.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Un generale israeliano lancia la sfida a Netanyahu sbandierando il massacro di Gaza

Jonathan Cook

28 gennaio 2019, Palestine Chronicle

Con l’avvicinarsi delle elezioni di aprile, Benjamin Netanyahu ha buoni motivi di temere Benny Gantz, il suo ex capo di stato maggiore dell’esercito. Gantz ha creato un nuovo partito, chiamato “Resilienza Israeliana”, proprio quando la rete di incriminazioni per corruzione si sta stringendo attorno al primo ministro.

Già ora, all’inizio della campagna, circa il 31% dell’elettorato israeliano opta per Gantz al comando del prossimo governo piuttosto di Netanyahu, a cui mancano solo pochi mesi per diventare il leader rimasto più a lungo in carica nella storia di Israele.

Gantz è indicato come la nuova speranza, un’opportunità di cambiare direzione dopo che negli ultimi decenni una serie di governi guidati da Netanyahu hanno spinto Israele ancor più a destra.

Come i precedenti generali di Israele diventati uomini politici, da Yitzhak Rabin a Ehud Barak e Ariel Sharon, Gantz viene dipinto – e lui stesso si dipinge – come un guerriero forgiato in battaglia, in grado di portare alla pace da una posizione di forza.

Prima ancora che avesse fatto una sola dichiarazione politica, i sondaggi gli hanno attribuito 15 su 120 seggi parlamentari, un segnale incoraggiante per coloro che sperano che una coalizione di centro-sinistra questa volta possa trionfare.

Ma ciò per cui in realtà Gantz si batte – rivelato questa settimana nei suoi primi video elettorali – è ben lungi dall’essere rassicurante.

Nel 2014 ha condotto Israele nell’operazione militare più lunga e più spietata che si ricordi: 50 giorni in cui la stretta enclave costiera di Gaza è stata bombardata incessantemente.

Alla fine, una delle aree più densamente popolate al mondo – con i suoi due milioni di abitanti già intrappolati da un lungo assedio israeliano – versa in rovine. Nell’offensiva sono stati uccisi più di 2.200 palestinesi, un quarto dei quali minori, e decine di migliaia sono rimasti senza casa.

Il mondo ha assistito, sgomento. Indagini da parte di associazioni per i diritti umani, come Amnesty International, hanno concluso che Israele ha commesso crimini di guerra.

Si sarebbe potuto pensare che nella sua campagna elettorale Gantz avrebbe voluto stendere un velo su quell’inquietante periodo della sua carriera militare. Neanche per sogno.

Uno dei video della sua campagna sorvola le macerie di Gaza, dichiarando orgogliosamente che Gantz è stato responsabile della distruzione di molte migliaia di edifici. “Parti di Gaza sono state riportate all’età della pietra”, si vanta il video.

Questo è un riferimento alla dottrina Dahiya, una strategia sviluppata dal comando militare israeliano di cui Gantz era un membro di spicco. Lo scopo è quello di radere al suolo le infrastrutture moderne dei vicini di Israele, costringendo i sopravvissuti a condurre un’esistenza di stenti, piuttosto che resistere a Israele. La punizione collettiva implicita nell’apocalittica dottrina Dahiya è senza dubbio un crimine di guerra.

In particolare, il video inneggia alla distruzione di Rafah, un centro di Gaza che ha subito il più intenso bombardamento dopo che un soldato israeliano è stato rapito da Hamas. In pochi minuti l’ indiscriminato bombardamento israeliano ha ucciso almeno 135 civili palestinesi e distrutto un ospedale.

Secondo le indagini, Israele aveva invocato la ‘Procedura Annibale’, nome in codice per un ordine che consente all’esercito di utilizzare qualunque mezzo per porre fine alla cattura di uno dei suoi soldati. Ciò include l’uccisione di civili, come “danno collaterale” e, cosa più discutibile per gli israeliani, anche del soldato stesso.

Il video di Gantz presenta un numero totale di “1.364 terroristi uccisi”, in cambio di “tre anni e mezzo di calma.” Come ha osservato il quotidiano israeliano progressista Haaretz, il video “esalta un conto delle vittime come se fosse un gioco al computer.”

Ma il numero dei morti citato da Gantz supera persino la stima ufficiale dell’esercito israeliano – mentre ovviamente disumanizza quei “terroristi” che lottano per la loro libertà.

In quanto osservatore più imparziale, l’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem stima che i combattenti palestinesi uccisi da Israele ammontavano a 765. Secondo i suoi calcoli, e quelli di altri enti come le Nazioni Unite, quasi due terzi dei gazawi uccisi nell’operazione israeliana del 2014 erano civili.

Inoltre, il “tranquillo” Gantz si attribuisce il merito di ciò che ha beneficiato soprattutto Israele.

A Gaza i palestinesi subiscono sistematici attacchi militari, un assedio continuo che impedisce l’ingresso di beni essenziali e devasta le industrie di esportazione ed una politica di esecuzioni da parte di cecchini israeliani che sparano su manifestanti disarmati presso la barriera che circonda ed imprigiona l’enclave.

Gli slogan della campagna di Gantz, “Solo i forti vincono” e “Israele prima di ogni cosa”, parlano da soli. ‘Ogni cosa’, per Gantz, chiaramente include i diritti umani.

È abbastanza vergognoso che egli creda che la sua consolidata serie di crimini di guerra convincerà gli elettori. Ma lo stesso approccio è stato espresso dal nuovo capo di stato maggiore dell’esercito di Israele.

Aviv Kochavi, soprannominato l’“ufficiale filosofo” per via dei suoi studi universitari, questo mese si è insediato come nuovo capo dell’esercito. In un importante discorso, ha promesso di trasformare il famoso “esercito più morale del mondo” in un esercito “letale, efficiente”.

Nella visione di Kochavi, l’aggressivo esercito un tempo comandato da Gantz ha bisogno di migliorare la sua strategia. Ed egli è un provato esperto in distruzione.

Nelle prime fasi della rivolta palestinese che scoppiò nel 2000, l’esercito israeliano lottò per trovare il modo di annientare i combattenti palestinesi nascosti nelle città densamente popolate sotto occupazione.

A Nablus, dove era comandante di brigata, Kochavi escogitò un’ingegnosa soluzione .L’esercito avrebbe fatto irruzione in una casa palestinese, poi abbattuto i suoi muri, spostandosi da una casa all’altra, penetrando di nascosto in città. Lo spazio palestinese non fu solamente usurpato, ma distrutto da cima a fondo.

Gantz, l’ex generale che spera di guidare il governo, e Kochavi, il generale a capo del suo esercito, sono sintomi di quanto totale sia in realtà la logica militarista che si è impossessata di Israele. Un Israele deciso a diventare una moderna Sparta.

Se dovesse provocare la caduta di Netanyahu, Gantz, come i politici-generali che lo hanno preceduto, si dimostrerà un falso uomo di pace. È stato abituato a comprendere solo la forza, le strategie a somma zero, la conquista e la distruzione, non la pietà o il compromesso.

Cosa ancor più pericolosa, la glorificazione di Gantz del proprio passato militare probabilmente rafforzerà nelle menti israeliane la necessità non della pace, ma in maggior misura della stessa cosa: sostegno ad una destra ultranazionalista intrisa di una filosofia di suprematismo etnico, che respinge ogni riconoscimento dei palestinesi come esseri umani con dei diritti.

(Una versione di questo articolo è comparsa per la prima volta sul National, Abu Dhabi.)

Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. Tra i suoi libri: “Israele e il crollo della civiltà: Iraq, Iran ed il piano per rifare il Medio Oriente” (Pluto Press), e “Palestina scomparsa: esperimenti israeliani in disperazione umana” (Zed Books). Ha fornito questo articolo a PalestineChronicle.com.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)