Cecchino israeliano uccide donna di Gaza, prima vittima del 2019

Maureen Clare Murphy

11 gennaio 2019 Electronic Intifada

Una donna colpita venerdì durante le proteste nella Striscia di Gaza occupata è la prima vittima palestinese per mano delle forze di occupazione israeliane nel 2019. Lo stesso giorno un uomo palestinese è stato colpito e gravemente ferito dalle forze israeliane in Cisgiordania.

Amal al-Taramsi, 44 anni, è morta a est di Gaza City dopo che le hanno sparato con proiettili veri alla testa durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno. Secondo il gruppo per i diritti umani con sede a Gaza “Al Mezan”, quando è stata colpita si trovava a 200 metri dalla barriera di confine.

Al-Taramsi è la terza donna ad essere uccisa durante la serie di proteste iniziate il 30 marzo dello scorso anno. Le altre due vittime sono state la dottoressa Razan al-Najjar e la quattordicenne Wesal al-Sheikh Khalil.

Più di 180 palestinesi sono stati uccisi durante le dimostrazioni della Grande Marcia del Ritorno che si sono tenute lungo i confini orientali e settentrionali di Gaza.

Secondo Al Mezan, le forze israeliane hanno anche lanciato di proposito candelotti lacrimogeni contro i corpi di palestinesi durante le proteste di venerdì, ferendo 68 persone.

Paramedici e giornalisti presi di mira

Il paramedico volontario Mustafa al-Sinwar, 22 anni, è rimasto gravemente ferito quando è stato colpito alla gola da un lacrimogeno mentre svolgeva il suo lavoro durante le manifestazioni a est di Khan Younis, a sud di Gaza.

Husni Salah, 25 anni, fotogiornalista che lavora per l’agenzia di notizie AFP [Agenzia France Presse, ndtr.], è stato colpito al volto con un candelotto lacrimogeno mentre stava informando sulle proteste lungo il confine centro-orientale di Gaza.

Anche un altro giornalista, Hussein Karsou, 44 anni, è stato colpito al volto da un lacrimogeno a est di Gaza City.

Circa 150 palestinesi sono rimasti feriti durante le proteste di venerdì. Un filmato mostra una persona che sarebbe stata gravemente ferita dopo essere stata colpita alla testa.

Il ministero della Salute di Gaza ha affermato che, da quando sono iniziate, circa 14.000 persone sono state ricoverate in ospedale per le ferite riportate durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno.

I dimostranti chiedono la fine dell’assedio israeliano contro il territorio e che i rifugiati palestinesi possano esercitare il loro diritto al ritorno alle terre da cui le loro famiglie sono state espulse nel periodo della fondazione di Israele nel 1948.

Due terzi dei più di due milioni di abitanti di Gaza sono rifugiati, molti dei quali originari delle terre che si trovano appena al di là della barriera di confine di Israele.

Nel contempo nella Cisgiordania occupata un uomo palestinese è stato colpito da un civile israeliano e da soldati.

L’esercito israeliano sostiene che Ghazi Skafi, 35 anni, ha cercato di accoltellare dei soldati a un posto di controllo militare nella colonia di Kiryat Arba [colonia di stremisti nazional-religiosi, ndtr.], nei pressi di Hebron.

Un video mostra che l’uomo è stato colpito due volte, prima da un uomo con abiti civili e poi da un soldato in uniforme. “Uccidilo” dice nel filmato in inglese un uomo non ripreso dalla telecamera.

Si sentono anche persone che assistono alla scena affermare “Dio è buono, dio è buono” e “Brucia all’inferno, stronzetto” in inglese con accento nordamericano.

Il video mostra Skafi steso sulla strada con sopra una coperta. La cinepresa si sposta verso destra e mostra a terra quello che sembra un piccolo coltello.

Secondo quanto riferito dai media, Skafi è stato curato all’ospedale per ferite all’addome e alle gambe.

Lo scorso anno le forze israeliane e civili armati hanno ucciso 15 palestinesi responsabili, o presunti tali, di attacchi contro israeliani in Cisgiordania.

Incursioni a Ramallah

Questa settimana per cinque giorni consecutivi le forze israeliane hanno fatto incursioni a Ramallah, la sede dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania, e nella vicina città di al-Bireh.

Gli attacchi hanno avuto luogo nel contesto di una caccia all’uomo alla ricerca di un palestinese che la scorsa settimana ha aperto il fuoco contro un autobus che trasportava coloni israeliani, ferendone uno.

Le forze di occupazione hanno fatto irruzione in negozi ed hanno sequestrato riprese di telecamere di sicurezza.

Un’abitante di Ramallah si è servita di Twitter per descrivere come le incursioni hanno colpito la sua vita familiare.

Durante gli attacchi giovani palestinesi si sono scontrati con le forze di occupazione israeliane.

All’inizio della settimana le forze israeliane hanno arrestato Assem Barghouti, che Israele accusa di aver perpetrato l’aggressione armata in cui il mese scorso sono rimasti feriti a morte due soldati in Cisgiordania.

È anche accusato da Israele di essere coinvolto in un’altra sparatoria in Cisgiordania a dicembre, in cui una donna israeliana incinta è stata gravemente ferita. Il suo bambino, nato prematuro, è morto pochi giorni dopo il parto indotto.

Israele ha incolpato Saleh Barghouti, fratello di Assem, di essere l’uomo armato che ha perpetrato l’attacco.

Lo scorso mese il gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq ha fatto un pressante appello riguardo al caso di Saleh Barghouti al Gruppo di Lavoro dell’ONU per le Persone Forzatamente o Involontariamente Scomparse.

Secondo la documentazione di Al-Haq, compresi testimoni oculari, Barghouti è stato catturato vivo il 12 dicembre. Qualche ora dopo la sua scomparsa, i media israeliani hanno informato che Barghouti era stato ucciso da Yamam, un’unità speciale della polizia di frontiera di Israele.

(traduzione di Amedeo Rossi)




JNF Canada sottoposto a controllo per aver utilizzato donazioni per finanziare progetti dell’esercito israeliano: un rapporto

Redazione di MEE

4 gennaio 2019, Middle East Eye

CBC News informa che il Jewish National Fund del Canada è stato sottoposto a un’indagine per aver utilizzato donazioni in beneficienza per finanziare progetti dell’esercito israeliano

La Canadian Broadcasting Corporation [l’Ente televisivo canadese] ha riferito che il Jewish National Fund [Fondo Nazionale Ebraico, ente no profit dell’Organizzazione Sionista Mondiale, ndtr.] del Canada è stato sottoposto a un’indagine da parte dell’ufficio federale delle imposte del Paese perché avrebbe destinato donazioni in beneficienza al finanziamento di progetti dell’esercito israeliano.

Venerdì [4 gennaio] CBS News ha detto che JNF Canada, una delle principali associazioni di beneficienza del Canada, ha finanziato progetti infrastrutturali dell’esercito israeliano, basi aeree e navali.

CBC ha informato che lo scorso anno l’organizzazione ha comunicato ai suoi donatori di essere sottoposta a un’inchiesta da parte della Canada Revenue Agency [Agenzia delle entrate canadese, ndtr.].

Mentre nessuna legge impedisce a un cittadino canadese di intestare un assegno direttamente al ministero della Difesa israeliano, le norme vietano a enti di beneficienza esenti da tasse di destinare entrate fiscali per tali donazioni e proibisce anche ai donatori di chiedere riduzioni fiscali per questo,” ha affermato la televisione nazionale.

CBC ha informato che JNF Canada ha aiutato a finanziare, tra i vari progetti, una zona di fitness all’aria aperta nella base militare di Gadna a Sde Boker, nella regione desertica del Negev nel sud di Israele.

Citando documenti prodotti da Keren Kayemeth LeIsrael (KKL), la società madre in Israele dell’organizzazione JNF Canada, CBC News ha detto che la sezione canadese di JNF ha anche contribuito a finanziare “la nuova cittadella di addestramento dell’IDF [esercito israeliano] nel Negev.”

Le donazioni del JNF Canada sono state destinate anche ad appoggiare lo sviluppo di un complesso di addestramento e un auditorium nella base navale di Bat Galim, come anche addestramento e conferenze nella stessa base e una “specie di refettorio” per reparti nelle basi dell’aviazione di Palmachim e di Nevatim.

Nel reportage di CBC News figura anche il coinvolgimento di JNF Canada in progetti nei territori palestinesi occupati

Il mezzo di informazione ha affermato che le missioni dell’organizzazione hanno contribuito direttamente alla costruzione almeno di un avamposto di coloni su una collina, Givat Oz VeGaon, che è illegale in base alle leggi internazionali ed israeliane.

JNF Canada afferma di aver smesso di finanziare progetti dell’esercito nel 2016

In una mail, l’amministratore delegato di JNF Canada Lance Davis ha detto alla CBC che l’organizzazione ha smesso di finanziare progetti legati all’esercito israeliano nel 2016, dopo essere stata informata delle linee guida della CRA.

Per essere chiari, non abbiamo più finanziato progetti su terreni dell’IDF e JNF Canada ha agito in accordo con le norme della CRA che definiscono il suo status di organizzazione caritativa,” ha scritto Davis.

Comunque le sezioni sia israeliana che canadese del JNF sono state accusate per decenni di essere complici dell’espulsione forzata di palestinesi dalle loro case da parte di Israele, così come di politiche discriminatorie nella destinazione delle terre.

JNF Canada finanziò la creazione del Canada Park, un’estesa riserva naturale a circa 25 km da Gerusalemme, costruita sulle rovine di 3 villaggi palestinesi che vennero spopolati con la forza dall’esercito israeliano nella guerra del 1967.

Gli originari abitanti palestinesi di quei villaggi – Yalu, Imwas and Beit Nuba – vennero espulsi con la forza dalla zona e a molti, se non a tutti, venne impedito di tornarvi.

Independent Jewish Voices Canada” [Voci ebraiche indipendenti del Canada], un gruppo che sostiene i diritti dei palestinesi, ha guidato una campagna “Stop al JNF”, con l’intenzione di togliere all’organizzazione lo status di ente benefico in Canada.

Nel 2017 il gruppo ha aiutato quattro canadesi a presentare un ricorso presso la CRA e il ministero delle Finanze canadese in cui si chiedeva che a JNF Canada non venisse più consentito di operare come associazione di beneficienza.

“Solo negli ultimi anni JNF Canada ha finanziato ben più di una decina di progetti di appoggio all’IDF ed è partner ufficiale dell’IDF e del ministero della Difesa israeliano,” afferma il gruppo nel suo sito web.

IJV-Canada ha anche affermato che il JNF ha piantato alberi nei territori palestinesi occupati, contribuendo quindi al fatto che Israele rafforzasse il proprio controllo su quelle aree, in violazione delle leggi internazionali.

Prendendo il controllo di terre nei (territori palestinesi occupati), questi progetti rafforzano la cinquantennale occupazione militare di Israele, rendendo molto più difficile da raggiungere una giusta pace,” sostiene il gruppo.

Nessuna organizzazione canadese, per non parlare di un’associazione con lo status di ente benefico, dovrebbe sponsorizzare progetti che creano fatti sul terreno in favore di una potenza occupante e che – in violazione delle leggi internazionali – modifica le caratteristiche fisiche del territorio occupato.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Com’è cresciuta la campagna per il boicottaggio di Israele nel 2018?

Nora Barrows-Friedman

31 dicembre 2018, Electronic Intifada

Il 2018 è stato un anno di vittorie degli attivisti per i diritti umani nonostante pesanti pressioni, attacchi e tentativi propagandistici da parte di Israele e dei suoi gruppi lobbistici di ripulire la sua immagine.

All’inizio dell’anno si è appreso che l’alleanza del presidente USA Donald Trump con gruppi suprematisti bianchi e personaggi antisemiti ha spinto verso il basso l’appoggio nei confronti di Israele, soprattutto tra i giovani ebrei americani.

In ottobre un altro sondaggio ha confermato che il sostegno a favore di Israele viene soprattutto dalla base di Trump, un ricettacolo di opinioni di estrema destra, di nazionalisti bianchi e di cristiani sionisti, mentre quello da parte di altri americani continua a ridursi.

All’inizio dell’anno l’AIPAC, il più potente gruppo della lobby israeliana al Congresso [USA], ha dovuto ammettere di dover affrontare crescenti difficoltà nei suoi tentativi di consolidare l’appoggio a Israele tra i dirigenti progressisti americani.

Tuttavia l’AIPAC, insieme all’“Anti-Defamation League” [Lega contro la Diffamazione, ndtr.] e gruppi di pressione simili, hanno continuato a insistere a favore di una legge federale – l’“Israel Anti-Boycott Act” [Legge contro il Boicottaggio di Israele, ndtr.] – che intende criminalizzare i sostenitori del movimento per il boicottaggio, anche se a porte chiuse l’ADL è giunto alla conclusione che tali leggi sono inefficaci e incostituzionali.

Ma ci sono segnali che persino i sostenitori più accaniti di Israele al Congresso hanno iniziato a tirarsi indietro.

Proprio nelle scorse settimane i senatori Bernie Sanders del Vermont e Dianne Feinstein della California hanno esortato i principali leader del Congresso a togliere l’Israel Anti-Boycott Act da un pacchetto di norme di bilancio, facendo riferimento a palesi violazioni del Primo Emendamento [primo articolo della Costituzione USA, ndtr.].

Ali Abunimah, di “The Electronic Intifada”, ha sottolineato che , dopo il premeditato massacro di palestinesi a Gaza del 30 marzo da parte di Israele, nessun democratico di entrambe le Camere del Congresso USA ha parlato in difesa delle azioni di Israele, una notevole differenza nella politica di parlamentari che nel passato lo hanno immediatamente fatto.

Ciò riflette il riconoscimento della sempre più negativa immagine di Israele, soprattutto tra la base democratica.

Gli attacchi di Israele contro gli attivisti del BDS sono stati a volte assurdi – come quando alla fine del 2017 un gruppo israeliano sostenuto dal Mossad per la lotta giudiziaria ha denunciato due attivisti neozelandesi per aver spinto con successo la pop star Lorde ad annullare la sua esibizione a Tel Aviv.

Gli attivisti citati in quell’azione legale – che secondo esperti di diritto non potrebbe essere applicata – hanno sfruttato la pubblicità derivante dal caso per raccogliere fondi a sostegno di un centro per l’assistenza psichiatrica a Gaza e per suscitare maggiore attenzione sulla crisi umanitaria in tutta la Palestina.

La diffusione da parte di “The Electronic Intifada” di un documentario censurato prodotto da Al Jazeera sulle strategie della lobby israeliana negli USA ha contribuito a svelare i tentativi di Israele e dei suoi lobbisti di spiare, calunniare e intimidire i cittadini USA che appoggiano i diritti umani dei palestinesi, soprattutto del movimento BDS.

Nonostante attacchi, calunnie e minacce da parte di Israele, gli attivisti a favore del boicottaggio continuano a ottenere notevoli risultati – con sommo sgomento dei dirigenti israeliani.

Stiamo evidenziando i crimini e le politiche di apartheid di Israele e facendo pressione per porvi fine,” hanno rilevato importanti attivisti del movimento BDS nella loro riunione annuale sui risultati più importanti del boicottaggio.

Ecco alcune delle principali vittorie del BDS su cui “The Electronic Intifada” ha informato nel corso dell’anno.

Israele continua ad avere un’immagine negativa

Nel 2018 alcuni artisti hanno continuato a rinunciare ad esibirsi in Israele, in seguito a insistenti appelli da parte di attivisti per i diritti umani in Palestina e in tutto il mondo.

Shakira e Gilberto Gil hanno guidato una lista di importanti cancellazioni, mentre decine di DJ e produttori musicali si sono pubblicamente impegnati a non esibirsi nello Stato dell’apartheid.

Durante l’estate il festival israeliano “Meteor” si è chiuso senza la sua artista più importante, Lana del Rey, che ha rinunciato al suo spettacolo pochi giorni prima che il festival iniziasse, affermando di voler “trattare tutti i suoi fan allo stesso modo.”

Altre sedici esibizioni del festival “Meteor”, compreso quello di “Of Montreal” [gruppo musicale USA, ndtr.] sono state annullate dal festival in seguito a pressanti appelli da parte di attivisti palestinesi e internazionali a rispettare la richiesta di boicottaggio.

In aprile l’attrice israelo-americana Natalie Portman si è rifiutata di ricevere un premio a Gerusalemme, a quanto pare in seguito ai massacri di palestinesi da parte di Israele, con grande sdegno e sconcerto dei dirigenti israeliani.

In giugno 11 registi LGBTQ si sono rifiutati di consentire a Israele di utilizzarli per occultare i suoi crimini, unendosi al boicottaggio del TLVFest – il festival internazionale LGBT di Tel Aviv.

Alcuni artisti hanno boicottato anche il Film Festival di Istanbul, dopo che si è saputo che Israele lo stava sponsorizzando.

Il boicottaggio culturale ha ottenuto successi anche nel mondo dello sport, in quanto in giugno la nazionale di calcio argentina ha annullato una partita molto importante con Israele dopo un’intensa campagna internazionale iniziata in Argentina e che ha travolto l’America latina e la Spagna. Tifosi e attivisti hanno sollecitato l’Argentina e la stella della squadra, Lionel Messi, a non aiutare Israele a nascondere i massacri di civili disarmati a Gaza.

All’inizio dell’anno una corsa motociclistica sponsorizzata dalla Honda in Israele è stata annullata in seguito a pressioni di attivisti BDS.

In autunno altri tentativi propagandistici di Israele sono falliti e grandi cuochi a livello internazionale hanno rinunciato al festival “Tavole Rotonde”, mentre una fonte diplomatica israeliana ha ammesso che centinaia di eventi culturali inclusi nella “Saison France-Israël” [Stagione Francia-Israele], “non hanno avuto nessun successo riguardo all’immagine di Israele in Francia, o a quella della Francia qui [in Israele, ndtr.].”

Nel contempo in tutta Europa gli attivisti continuano a fare pressione sulle emittenti televisive per non consentire a Israele di ospitare la competizione canora “Eurovision” come parte della sua campagna di riverniciatura della sua immagine.

Manifestanti hanno tenuto regolarmente proteste fuori dalle esibizioni di Netta Barzilai, la vincitrice israeliana dell’Eurovisione 2018 che è stata utilizzata come parte dei tentativi di propaganda a livello internazionale sostenuti ufficialmente dal Paese.

Chiese, imprese e sindacati lasciano Israele

A dicembre il gigante bancario HSBC [primo istituto di credito europeo, con sede a Londra, ndtr.] ha confermato di aver disinvestito dall’impresa bellica israeliana Elbit Systems in seguito a una campagna dal basso.

L’impresa [israeliana, ndtr] è già stata esclusa da fondi pensione e di investimento in tutto il mondo per il suo coinvolgimento nella fornitura di sistemi di sorveglianza e altre tecnologie al muro di Israele e alle colonie nella Cisgiordania occupata.

Affermando di essere la prima chiesa britannica a prendere una simile iniziativa, in novembre la chiesa dei quaccheri ha annunciato che non avrebbe investito alcun fondo posseduto a livello centrale che tragga profitto dalle violazioni dei diritti umani da parte di Israele.

Unendosi ad altre congregazioni religiose cristiane degli USA, la chiesa episcopale ha votato per l’adozione di un controllo sugli investimenti per evitare di trarre profitto da violazioni dei diritti umani contro i palestinesi. Ha anche deciso di tutelare i diritti dei minori palestinesi e dei palestinesi di Gaza, di appoggiare l’autodeterminazione dei palestinesi e di chiedere la prosecuzione dell’aiuto USA ai rifugiati palestinesi.

Un’altra risoluzione chiede un giusto accesso a Gerusalemme e si oppone allo spostamento dell’ambasciata USA in città da parte dell’amministrazione Trump.

In agosto lavoratori del sindacato e attivisti del boicottaggio nel mondo arabo hanno obbligato la compagnia di navigazione israeliana “Zim” a interrompere a tempo indefinito i suoi viaggi verso la Tunisia.

La principale federazione sindacale tunisina, la UGTT, ha chiesto ai propri membri di impedire alla nave “Cornelius A”, legata ad Israele, di fare scalo in Tunisia ed ha appoggiato le richieste di un’inchiesta ufficiale sul commercio clandestino con Israele.

Lavoratori giordani hanno rifiutato di fornire materiale per il gasdotto Giordania-Israele, mentre l’impresa francese Systra si è impegnata a ritirarsi dai piani di espansione del progetto della metropolitana leggera di Israele [a Gerusalemme, ndtr.].

E a novembre il gigante dell’affitto per turisti Airbnb ha annunciato che avrebbe tolto dal suo elenco di offerte proprietà in colonie israeliane nella Cisgiordania occupata. In base alle leggi internazionali ogni colonia israeliana nei territori occupati è illegale.

Benché a questo proposito chi sia stata una certa confusione riguardo a se – e quando – questo cambiamento di politica aziendale verrà messo in pratica o se l’impresa, sotto pressione di Israele, farà marcia indietro rispetto al suo annuncio, ciò è servito a mettere in luce la complicità dell’impresa rispetto ai crimini di guerra israeliani.

Amministrazioni locali sostengono il boicottaggio

Nonostante i tentativi della lobby israeliana di interferire sulle politiche locali e nazionali, consigli comunali in Europa e in America Latina hanno approvato dure risoluzioni di appoggio alla campagna BDS, con una crescente ondata di resistenza ai crimini di guerra di Israele contro i palestinesi.

In giugno Monaghan è diventato il quinto consiglio provinciale o comunale irlandese a dichiarare il proprio sostegno al BDS. Ha fatto seguito al voto in aprile di Dublino, diventata la prima capitale europea a farlo, che ha aderito a un boicottaggio contro Israele e di conseguenza ha interrotto un contratto con HP, una ditta di computer da lungo tempo complice dell’occupazione militare di Israele.

Più o meno nello stesso periodo il consiglio comunale di Valdivia, in Cile, ha approvato una mozione che sostiene la campagna BDS e ha dichiarato la città “zona libera dall’apartheid”.

Una serie di iniziative di “zona libera dall’apartheid” simili è stata approvata da più di 30 città spagnole.

A maggio anche Bologna, la settima città d’Italia per numero di abitanti, ha chiesto un embargo militare contro Israele [sulla scia di Bologna anche i consigli comunali di Torino e Napoli hanno approvato la stessa richiesta. ndtr]

A giugno la Norvegia ha approvato una mozione che appoggia il diritto di singole città di boicottare colonie israeliane, assestando un duro colpo a politici di destra che avevano cercato di opporsi ai boicottaggi approvati nelle città di Trondheim and Tromsø.

Nel Regno Unito membri del partito Laburista hanno votato a larga maggioranza l’appoggio al congelamento della vendita di armi contro Israele.

Leggi contro il BDS sono state bloccate o contestate

Nel 2018 nelgi USA sono state bloccate leggi che cercavano di zittire il diritto al boicottaggio.

Tribunali federali hanno sentenziato contro leggi anti-BDS in Arizona e nel Kansas, mentre ricorsi legali sono stati presentati a tribunali del Texas e dell’Arkansas contro l’imposizione del giuramento di lealtà verso Israele.

In febbraio attivisti dei diritti umani nella città di Maplewood, in New Jersey, hanno contribuito a sconfiggere una decisione locale che avrebbe condannato il movimento BDS. La risoluzione era stata presentata al consiglio comunale da rappresentanti di gruppi di sostegno a Israele che hanno fatto pressione su altre città vicine perché adottassero risoluzioni simili.

E attivisti in Missouri e in Massachusetts hanno fatto con successo una campagna per bloccare misure contro il BDS a livello statale.

In Germania – che è stata ostile all’attivismo BDS e ha stabilito di equiparare il sostegno ai diritti della Palestina con l’antisemitismo – a settembre attivisti locali del boicottaggio hanno ottenuto una significativa vittoria che potrebbe costituire un precedente legale in tutto il Paese.

Il tribunale municipale di Oldenburg ha sentenziato che una precedente decisione del consiglio comunale di annullare un evento del BDS nel 2016 era illegale e violava la libertà di espressione e di riunione. È stata la prima volta che un tribunale amministrativo tedesco ha dichiarato illegale vietare un evento del BDS.

Studenti approvano risoluzioni radicali che proteggono i diritti dei palestinesi.

Resistendo a pressioni della lobby israeliana, di siti web che in modo oscuro stilano liste di proscrizione e di campagne di vessazioni mirate, attivisti studenteschi in tutti gli USA, in Canada e in Europa si sono mantenuti fermi nel sostenere i diritti dei palestinesi e hanno chiesto ad amministrazioni universitarie di disinvestire dai crimini israeliani di occupazione e apartheid.

In maggio studenti dell’università statale della California, East Bay, hanno votato all’unanimità a favore di una mozione che chiede il disinvestimento da imprese che siano state riconosciute complici delle violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi, comprese Caterpillar, HP, la G4S e Motorola.

E rappresentanti degli studenti nel senato accademico dell’università dell’Oregon hanno approvato una mozione per accertarsi che i fondi degli studenti vengano disinvestiti da 10 imprese che traggono profitto dalle violazioni dei diritti dei palestinesi da parte di Israele.

Un referendum in favore del disinvestimento è stato approvato al Barnard College [storico college femminile, ndtr.] di New York. La misura è stata approvata nonostante tentativi recenti e passati da parte dell’amministrazione e dei gruppi della lobby israeliana di intimidire e calunniare studentesse e docenti che appoggiano i diritti dei palestinesi presso il Barnard e il suo partner, la Columbia University.

All’inizio di dicembre anche studenti dell’università di New York hanno votato in massa a favore del disinvestimento con più di 60 gruppi nei campus e 35 membri del corpo docente che hanno appoggiato l’iniziativa.

All’università del Minnesota gli studenti hanno approvato un referendum che invita l’amministrazione a prendere iniziative riguardo alla sua politica di investimenti socialmente responsabili e di disinvestire da imprese che traggano profitto dalle violazioni dei diritti umani da parte di Israele, come anche da prigioni, centri di detenzione per immigrati e imprese che violino la sovranità di comunità indigene.

La Federazione Canadese degli Studenti, la maggiore organizzazione studentesca del Canada, a novembre ha votato l’adesione al movimento BDS, la condanna della continua occupazione e delle atrocità israeliane a Gaza e l’elargizione di donazioni finanziarie a varie organizzazioni palestinesi di solidarietà.

La federazione, che rappresenta più di 500.000 studenti in tutto il Canada, ha affermato anche che avrebbe appoggiato le sezioni locali per iniziare campagne di disinvestimento dalle armi nelle singole amministrazioni universitarie.

In Irlanda l’Unione degli Studenti, che rappresenta 374.000 studenti dell’educazione superiore, ha votato l’adesione al movimento BDS ed ha condannato la “brutale” occupazione militare e la violazione dei diritti umani da parte di Israele.

L’Unione ha deciso di boicottare le istituzioni israeliane che sono “complici nel normalizzare, fornire copertura dal punto di vista intellettuale e sostenere il colonialismo di insediamento” e di fare pressione sulle università irlandesi perché disinvestano da imprese che traggono profitto dalla violazione dei diritti da parte di Israele. Hanno anche ribadito il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi espulsi da Israele.

Il voto ha fatto seguito al provvedimento votato in marzo dagli studenti del Trinity College di Dublino in appoggio alla campagna BDS.

In primavera anche dirigenti studenteschi dell’università di Pisa, in Italia, hanno adottato una mozione con un voto quasi unanime che chiede l’attenzione da parte della comunità accademica verso le politiche di apartheid di Israele e il sostegno alla campagna di boicottaggio accademico.

A novembre quella di Leeds è diventata la prima università del Regno Unito a disinvestire da imprese coinvolte nella vendita di armi ad Israele, dopo una campagna per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni da parte di attivisti in solidarietà con la Palestina.

Nel 2018 anche alcuni professori hanno continuato a dimostrare il proprio appoggio ai diritti dei palestinesi.

In marzo un sindacato che rappresenta il corpo docente della “Los Rios College Federation” [Federazione dei college del distretto di Los Rios] in California ha votato quasi all’unanimità il sostegno al disinvestimento dei fondi pensione da imprese che traggono profitto dall’occupazione israeliana.

Due insegnanti dell’università del Michigan hanno resistito agli attacchi della lobby israeliana ed hanno difeso la loro decisione di non scrivere lettere di presentazione per studenti che desideravano frequentare programmi di studio discriminatori all’estero in Israele.

E in California i docenti dell’università Pitzer [un’università privata. ndtr] hanno chiesto la sospensione dei programmi di studio all’estero in Israele con l’università di Haifa, facendo riferimento alle politiche discriminatorie di Israele in base all’origine e alle opinioni politiche. Il corpo docente ha anche appoggiato il diritto degli studenti ad aderire alla campagna del BDS.

Brindiamo alle vittorie del 2018, mentre gli attivisti si organizzano per quelle che arriveranno nel 2019.

(traduzione di Amedeo Rossi)




La legge di Israele sullo Stato-Nazione discrimina anche gli ebrei mizrahì

Orly Noy

2 gennaio 2019, + 972

Accademici e attivisti mizrahì chiedono che l’Alta Corte israeliana bocci la legge dello Stato-Nazione ebraico, affermando che annulla la loro tradizione culturale e perpetua ingiustizie sia contro di loro che contro i cittadini palestinesi di Israele

Martedì più di 50 illustri ebrei israeliani di origine mizrahì [ebrei originari dei Paesi arabi, ndtr.] hanno presentato una petizione all’Alta Corte di Giustizia chiedendo che bocci la legge sullo Stato-Nazione ebraico e affermando che discrimina sia i cittadini palestinesi che gli ebrei mizrahì cittadini di Israele.

Secondo la petizione, la legge, che degrada l’arabo da lingua ufficiale a lingua con uno “status speciale”, è “anti-ebraica” in quanto esclude la storia e la cultura degli ebrei dei Paesi arabi e musulmani, “rafforzando al contempo l’impressione che la cultura arabo-ebraica sia inferiore…e rafforza l’identità dello Stato di Israele come anti-araba.”

Il ricorso, scritto e presentata dall’avvocatessa Netta Amar-Shiff, fa anche riferimento all’articolo della legge che definisce “di importanza nazionale” le colonie ebraiche. Secondo i ricorrenti, ogni volta che Israele si assume l’onere di “riprogettare” la terra dal punto di vista demografico, danneggia i mizrahì spingendoli nella periferia geografica del Paese scarsamente servita. Questo processo ostacola il loro accesso alla terra di maggior valore attraverso comitati di ammissione, che consentono alle comunità in tutto il Paese di respingere chi chiede di andarvi ad abitare in base alla sua “idoneità sociale”.

Tra i firmatari ci sono il noto scrittore Sami Michael, il professor Yehuda Shenhav, la professoressa Henriette Dahan-Kalev, il militante Black Panther [Pantera nera, movimento di protesta dei mizrahì degli anni ’70, ndtr.] e attivista per la giustizia sociale Reuven Abergil, tra gli altri. (Per correttezza: chi scrive è una dei firmatari della petizione). Secondo gli autori della petizione, i mizrahì sono stati sostanzialmente esclusi dalla formulazione della legge, nonostante il fatto che potrebbe danneggiare il diritto della loro comunità a preservare il proprio retaggio culturale, e che i suoi [della legge] palesi pregiudizi antiarabi potrebbero ripercuotersi negativamente sugli ebrei originari dei Paesi arabi.

Seguendo l’establishment di Israele, le autorità fecero il possibile per eliminare l’identità e la cultura arabe tra gli immigrati dai Paesi arabi e musulmani attraverso la dottrina del “melting pot” [mescolanza, termine riferito alla costruzione della società statunitense, ndtr.] forzato, emarginandoli sia materialmente che culturalmente. Più di sei decenni fa, il diplomatico israeliano e arabista Abba Eban disse: “L’obiettivo deve essere instillare in loro uno spirito occidentale e non lasciare che ci trascinino in un Oriente innaturale. Uno dei maggiori timori…è il pericolo che il gran numero di immigrati di origine mizrahì obblighi Israele a paragonare quanto siamo colti con i nostri vicini.”

Per 70 anni questa visione del mondo ha costituito la base riguardo a come Israele vede i mizrahì. L’establishment politico ha chiesto agli ebrei mirzahì di rinunciare alla loro identità araba, creando una frattura tra loro e la loro storia culturale. Eppure, nonostante i tentativi di annullamento culturale da parte dell’establishment, pareri di esperti e dichiarazioni scritte allegate alla petizione mostrano come molti mizrahì – comprese le generazioni più giovani – continuino a considerare l’arabo come culturalmente e linguisticamente importante nella propria vita privata.

I pareri di esperti intendono anche esporre le complesse vicende storiche degli ebrei originari dei Paesi arabi per spiegare perché la legge, paragonabile a una modifica costituzionale, sarebbe al contempo dannosa per l’eredità culturale dei mizrahì e continuerebbe a incidere negativamente su di loro. Secondo il professor Elitzur bar-Asher, un linguista ed esperto della lingua ebraica, l’obiettivo della legge non è “rafforzare l’ebraico (a spese dell’arabo), ma sminuire la sua controparte araba.”

Nel suo parere di esperto, il dottor Moshe Behar dimostra come l’arabo sia stato parte inseparabile del mondo intellettuale ebraico in Medio Oriente durante i periodi sia ottomano che del Mandato britannico. Secondo Behar, gli intellettuali ebrei consideravano la conoscenza dell’arabo come una necessità per tutti gli ebrei della regione.

La ricercatrice culturale Shira Ohayon descrive l’influenza della lingua araba e il suo rapporto con la rinascita della lingua, poesia e liturgia ebraiche, mentre lo studioso culturale e regista Eyal Sagui Bizawe nota come gli ebrei che vivevano nei Paesi arabi abbiano avuto un ruolo attivo nella creazione della cultura araba e come proprio questa cultura sia divenuta parte del loro retaggio culturale.

La petizione è una importante, e forse rivoluzionaria, pietra miliare nella lotta dei mizrahì in Israele. Tra i firmatari ci sono donne e uomini, religiosi, laici e tradizionalisti, quelli che si definiscono sionisti e altri che non si definiscono tali. Gli autori intendono conservare l’identità mizrahì nel suo significato più profondo, rivendicando i nostri diritti culturali e storici, utilizzando ogni strumento giuridico, accademico ed etico per respingere ogni tentativo di isolare gli ebrei mizrahì dal loro contesto naturale – in beneficio dell’ideologia del “melting pot” di Israele.

Una versione di questo articolo è stato pubblicata per la prima volta in ebraico su “Local Call” [Chiamata Locale, sito israeliano di notizie affiliato a +972, ndtr.].

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’IDF non indaga sulle morti di palestinesi ma le insabbia

Hagai El-Ad

1 gennaio 2019, + 972

L’esercito israeliano vorrebbe condurre indagini sui palestinesi che uccide o ferisce. L’unico problema? Non è in grado di farlo seriamente.

Poco più di un anno fa, l’ultimo giorno dell’ottobre 2017, Muhammad Musa e sua sorella Latifah stavano viaggiando verso Ramallah per fare delle commissioni. Poco dopo che si erano filmati in un corto video lungo il percorso, alcuni soldati aprivano il fuoco contro la loro auto nei pressi dell’incrocio di Halamish. Latifah rimaneva ferita, Muhammad ucciso. Lui aveva 26 anni.

L’inchiesta di B’Tselem sulla sua uccisione è stata resa pubblica circa 5 settimane dopo e includeva una serie di racconti di testimoni oculari come dichiarazioni di paramedici che erano arrivati sul posto. Uno di questi testimoni, Muhammad Nafe’a, è stato identificato con nome e cognome, foto, indirizzo e occupazione.

Eppure circa sei mesi dopo, nel maggio 2018, la “Military Police Investigations Unit” [Unità Investigativa della Polizia Militare] (MPIU) stranamente ha scritto a B’Tselem che sarebbe stata molto grata “di avere le informazioni personali complete di Muhammad Nafe’a per contattarlo e per fare in modo che rilasciasse la sua dichiarazione in materia.”

Benvenuti nell’universo parallelo noto come “inchieste della MPIU”. In questo universo le “inchieste” procedono alla velocità della luce e l’esercito – che controlla totalmente la Cisgiordania e non ha molti problemi ad avere nelle sue mani i palestinesi – agisce come se non potesse individuare un testimone senza l’assistenza di un’organizzazione per i diritti umani, persino quando i suoi dati sono a disposizione di chiunque, insieme al resto delle prove di un’inchiesta indipendente resa pubblica da molto tempo.

Se questa fosse una commedia, la goffaggine e l’assurdità di tutto ciò sarebbero veramente divertenti. Ma questa è realtà, non teatro. Fare indagini sulle uccisioni è estremamente importante, sia in termini di giustizia per le vittime che per evitare il ripetersi di altri incidenti.

La penosa esibizione nell’”inchiesta” sull’uccisione di Muhammad Musa non è un’eccezione – è parte di una politica di lunga data di un sistema di applicazione delle leggi militari che colpisce centinaia, se non più, di casi di uccisioni, ferimenti e violenze. La vasta esperienza acquisita da B’Tselem nel corso di decenni, mentre cercava di promuovere l’assunzione di responsabilità, ha dimostrato che il sistema non ha nessun interesse reale nel promuovere indagini e nel rendere giustizia alle vittime. Il suo principale obiettivo è creare l’apparenza di un sistema giudiziario funzionante, mentre in realtà insabbia i reati e protegge quelli che provocano danni senza giustificazione.

Ecco i dati: dall’inizio della Seconda Intifada, alla fine del 2000, fino al 2015 B’Tselem ha chiesto alla MPIU di aprire un’inchiesta su 739 casi in cui soldati hanno ucciso o in qualche modo danneggiato palestinesi. Il 97% di questi casi sono stati chiusi sia dopo che è stata condotta un’“inchiesta”, sia persino senza che fosse neppure iniziata. Solo in 25 casi sono stati presentati capi d’accusa. Il numero di sentenze è naturalmente persino molto più basso. Inutile dire che quasi nessuno è stato ritenuto colpevole.

Questi dati sono il risultato diretto del modo in cui funziona il sistema. In primo luogo, esso è inaccessibile ai palestinesi che presentano una denuncia – le vittime che si suppone protegga. In secondo luogo, le indagini si trascinano per mesi, persino per anni, e sono quasi esclusivamente basate su interrogatori con i sospetti e in qualche caso con le vittime, invece che su prove esterne. Senza prove la Procura Militare per le Questioni Operative, che riceve le pratiche delle inchieste, può chiuderle proprio per questa ragione.

La Procura Generale militare, che è incaricata sia di dare indicazioni all’esercito in merito alla legalità delle sue azioni e direttive, sia di decidere se iniziare un’indagine sugli incidenti scaturiti da quelle stesse azioni e direttive, si trova in un conflitto di interessi. Come se non bastasse, l’intero sistema si limita a verificare la condotta dei soldati sul terreno invece di quella degli alti ufficiali e dei decisori politici. In queste circostanze la sua idoneità a fare realmente giustizia è estremamente ridotta.

Circa due anni e mezzo fa B’Tselem ha deciso di smettere di chiedere all’esercito israeliano di aprire inchieste e di essere complice degli insabbiamenti della MPIU. Da allora l’organizzazione ha continuato a condurre indagini indipendenti sui casi in cui le forze di sicurezza colpiscono palestinesi ed ha fatto inchieste sulla maggior parte degli incidenti in cui civili palestinesi sono stati uccisi. B’Tselem non contatta più la MPIU, ma rende noti i propri risultati all’opinione pubblica, come per la morte di Muhammad Musa e di centinaia di persone come lui.

Benché la posizione di B’Tselem sia pubblica e ben nota, i funzionari della MPIU occasionalmente inviano ancora all’organizzazione ogni sorta di richieste riguardanti loro “indagini”. A volte chiedono informazioni che sono già state rese pubbliche, altre volte chiedono di aiutarli a trovare testimoni che l’esercito non ha nessuna difficoltà a trovare, e così via.

B’Tselem ha ricevuto simili richieste riguardanti l’uccisione di Ahmad Zidani, un palestinese diciassettenne che è stato ucciso dalle forze di sicurezza mentre stava scappando da loro; o di Ali Qinu, anche lui di 17 anni, che è stato colpito alla testa dai soldati; o di Ahmad Salim, 28 anni, colpito a morte in testa; o di Muhammad Musa.

Recentemente B’Tselem ha ricevuto un’altra lettera dalla MPIU relativa a quello che questa definisce “le circostanze della morte di Muhammad Habali,” un palestinese con problemi mentali che è stato colpito alla testa da soldati all’inizio di dicembre. I soldati hanno sparato da una distanza di circa 80 metri mentre Habali si stava allontanando di corsa da loro; non rappresentava un pericolo. Nella lettera l’investigatore della MPIU afferma che condurrà un’”inchiesta approfondita”, e chiede le riprese video e le informazioni per prendere contatto con un testimone. B’Tselem ha già messo in rete le riprese video inedite complete. La ripetuta richiesta della MPIU di informazioni per avere dati personali la dice lunga sulla vera natura delle sue inchieste.

Ed ecco la risposta che B’Tselem ha inviato al comandante della MPIU col. Gil Mamon:

Nella sua lettera lei ci ha contattato riguardo all’‘avvenimento riguardante la morte di Muahammad Habali’ a Tulkarem il 4 dicembre 2018.

A quanto pare la carta non arrossisce. Tuttavia, dato che lei si è superato, è necessario mettere le cose in chiaro e precisare che quello a cui lei si riferisce come la ‘circostanza della morte’ è stata l’uccisione da lontano di un passante da parte di un soldato.

Inoltre nella sua lettera lei sottolinea che ha intenzione di condurre un’‘inchiesta approfondita’ per ‘scoprire la verità’. Tuttavia, dati i nostri anni di esperienza con il meccanismo di insabbiamento denominato MPIU, la prima parte non è vera, e la seconda non avverrà.

Per inciso, notiamo che, contrariamente al modo in cui nella sua lettera ha scritto il nome dell’organizzazione, non si tratta di un acronimo. Il nostro nome è una parola biblica, B’Tselem, ‘nell’immagine di’. Vedi Genesi 1:27: ‘E dio creò l’uomo a sua immagine. Nell’immagine di dio lo creò.’”

B’Tselem è impegnata a continuare il suo lavoro indipendente documentando le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza nei territori occupati e la mancanza dell’obbligo di rendere conto di questi atti da parte delle autorità dello Stato. L’organizzazione tuttavia continuerà il suo lavoro senza il sistema di applicazione delle leggi militari, che perpetua questa violenza sul terreno. Collaborare con questo inganno non è solo semplicemente inutile, ma è dannoso, in quanto conferisce credibilità a un sistema che dovrebbe essere condannato, consentendogli di continuare a legittimare violazioni dei diritti umani.

Non si tratta solo di una questione teorica. La totale mancanza di responsabilizzazione per l’uccisione e la violenza significa che esse verranno sicuramente ripetute. È per questo che B’Tselem continuerà a fare indagini, a renderle pubbliche e a svelare la verità riguardo all’insabbiamento della cosiddetta applicazione della legge – finché l’occupazione non avrà termine.

L’autore è il direttore esecutivo di B’Tselem, il Centro di Informazione Israeliano per i Diritti Umani nei Territori Occupati. Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su “Local Call” [Chiamata Locale, sito israeliano di notizie affiliato a +972, ndtr.].

(traduzione di Amedeo Rossi)




Quattro palestinesi sono stati uccisi da fuoco israeliano in Cisgiordania e a Gaza

MEE e agenzie

sabato 22 dicembre 2018 Middle East Eye

Nelle ultime 24 ore quattro palestinesi, compresi due adolescenti, sono stati uccisi dal truppe israeliane in Cisgiordania

Fonti del ministero della Salute palestinese hanno affermato che le forze israeliane hanno sparato e ucciso tre palestinesi, tra cui un adolescente, nella Striscia di Gaza durante l’ultima delle proteste settimanali del venerdì. Giovedì notte le truppe israeliane hanno ucciso un altro adolescente nella Cisgiordania occupata.

Mohammed al-Jahjuh, 16 anni, stava partecipando alla Grande Marcia del Ritorno, una protesta di massa palestinese iniziata il 30 marzo per chiedere la fine dell’assedio israeliano contro Gaza e il diritto al ritorno dei rifugiati.

“E’ stato colpito al collo da un proiettile sparato dai soldati israeliani,” ha detto all’AFP [agenzia di stampa francese, ndtr.] il portavoce del ministero, Ashraf al-Qodra.

In seguito il ministero della Salute ha detto che all’inizio della giornata due uomini, di 28 e 40 anni, sono morti per le ferite riportate durante le proteste in due luoghi diversi lungo la barriera con Israele.

Il ministero della Sanità ha detto che sono stati feriti quattro paramedici. L’esercito israeliano ha affermato di aver aperto il fuoco “in base alle regole d’ingaggio” in vigore dal momento in cui i palestinesi hanno iniziato le proteste.

Meno di 24 ore prima in Cisgiordania truppe israeliane hanno sequestrato il corpo del diciassettenne Qassem al-Abasi.

Il portavoce dell’esercito israeliano ha detto all’AFP che “i soldati hanno aperto il fuoco in direzione di un veicolo che stava cercando di oltrepassare una barriera militare nella regione di Ramallah, uccidendo uno degli occupanti.”

Abasi era di Gerusalemme est. L’esercito israeliano ha aperto un’inchiesta sull’incidente.

In base alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Cisgiordania è occupata illegalmente da Israele. Ma dal 1967 Israele ha costruito insediamenti e sequestrato terra palestinese, ha edificato un muro di separazione ed autostrade che collegano le colonie senza attraversare i villaggi palestinesi.

Nelle ultime due settimane vicino a Ramallah palestinesi armati hanno sparato a morte a tre israeliani, due dei quali soldati dell’esercito. Israele ha ucciso cinque palestinesi, l’ultimo il 14 dicembre nel campo profughi di al-Jalazone.

Il 9 dicembre un bimbo è nato prematuro ed è morto dopo che la madre, una colona israeliana, mentre era in viaggio è rimasta ferita in una sparatoria nella colonia illegale di Ofra.

Venerdì scorso in Cisgiordania e a Gaza i palestinesi hanno protestato contro le operazioni militari israeliane in città della Cisgiordania.

Truppe israeliane e veicoli militari sono entrati nel centro di Ramallah, sede del governo dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Anche se gli arresti di palestinesi in incursioni notturne da parte dell’esercito israeliano avvengono quasi quotidianamente, Israele ha intensificato le sue operazioni alla ricerca degli uomini armati palestinesi presumibilmente responsabili dell’uccisione dei soldati israeliani.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




I ricercatori sostengono che l’esercito israeliano ha modificato il filmato del mortale attacco missilistico a Gaza

Oren Ziv

20 dicembre 2018, +972 Magazine

L’esercito israeliano ha reso pubblici i filmati, fatti dai droni, dell’aviazione che bombarda un edificio apparentemente vuoto a Gaza. Inquirenti indipendenti hanno scoperto che è stata tagliata la parte in cui uno dei missili uccide due adolescenti seduti sul tetto.

Secondo un’inchiesta dell’istituto britannico Forensic Architecture [Architettura forense] e del gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, pubblicato questa settimana, l’esercito israeliano avrebbe eliminato alcune riprese chiave di un attacco missilistico che all’inizio di quest’anno ha ammazzato due adolescenti palestinesi seduti su un tetto a Gaza.

Nel tardo pomeriggio del 14 giugno 2018, due adolescenti palestinesi, Luai Kahil e Amir al-Nimra, si sono arrampicarti sul tetto dell’edificio al-Katiba a Gaza City. Il selfie scattato quel giorno sul tetto sarebbe stata la loro ultima foto.

L’aviazione israeliana ha lanciato quattro “missili di avvertimento” verso l’edificio, che diceva essere una struttura di addestramento di Hamas. Secondo l’esercito i missili d’avvertimento, missili a bassa esplosività che nell’esercito israeliano chiamano “bussare al tetto”, hanno lo scopo di avvertire i civili di lasciare l’edificio nel mirino prima che vengano lanciate bombe più grosse.

Dopo i “missili d’avvertimento”, quattro missili più grossi hanno raso al suolo l’edificio. Kahil e al-Nimra, però, erano stati uccisi dal primo dei missili d’avvertimento. Altri ventitre palestinesi sono stati feriti dai missili più grossi.

Il giorno del raid, l’esercito israeliano ha diffuso su Twitter i filmati dei diversi attacchi, che sembrano mostrare quattro diversi “colpi di avvertimento” prima dei missili più potenti. Secondo l’indagine di B’Tselem e Forensic Architecture, tuttavia, sembra che il video pubblicato non corrisponda a come si sono effettivamente svolti i fatti.

Le riprese del primo attacco, in cui i ragazzi furono ammazzati, sono stati omessi dal montaggio diffuso dall’esercito. Quello che l’esercito presenta come primo attacco (il video dell’ufficio stampa dell’esercito non afferma specificamente che siano sequenziali) è in realtà il terzo missile di avvertimento mostrato da una diversa telecamera e un’altra angolazione.

Secondo B’Tselem e Forensic Architecture, l’omissione delle riprese del primo attacco pone la questione se i militari israeliani sapessero che c’erano due ragazzi seduti sul tetto dell’edificio quando hanno lanciato il primo missile, e se stiano tentando di coprire questo fatto. (Comunicazione: ho partecipato a una precedente indagine di Forensic Architecture.)

“Gli attacchi aerei a Gaza sono venduti al pubblico dall’esercito israeliano come azioni chirurgiche, progettate per proteggere i civili, basate su intelligence di precisione, munizioni regolari, sorveglianza delle circostanze reali e grande attenzione al diritto internazionale,” ha dichiarato in un comunicato stampa Haggai El- Ad, il direttore esecutivo di B’Tselem.

“In realtà, questo è per lo più solo propaganda. La verità, invece, è una quantità devastante di vittime civili, una sorveglianza che non è in grado di distinguere i combattenti dagli adolescenti, un’intelligence inetta e la riduzione dei principi legali intesi a proteggere i civili a una sbrigativa lista di controllo, che viene poi usata per mascherare le violazioni dei diritti umani e stabilire l’impunità “, ha aggiunto.

Forensic Architecture ha utilizzato nelle sue indagini una serie di immagini, tra cui le riprese aeree rilasciate dall’esercito israeliano, i filmati presi da vicine telecamere a circuito chiuso e video pubblicati sui social media in quel momento.

Gli investigatori hanno quindi sincronizzato e messo a confronto i materiali per ricostruire una simulazione dell’evento. Sincronizzando i due video, si può vedere che le esplosioni del terzo attacco e di quello che l’esercito sostiene essere il primo attacco sono identiche.

“Questa indagine mostra come una lettura approfondita delle immagini fornite dall’esercito israeliano, apparentemente intese a legittimare gli “avvertimenti” sull’edificio di al-Katibah, possa essere riletta e rivelare una storia diversa,” ha detto in un comunicato stampa Nicholas Masterton, ricercatore e coordinatore di progetto presso Forensic Architecture.

“In questo caso la ricchezza di immagini e video ci ha permesso di condurre una rigorosa indagine indipendente e di contestare le affermazioni dell’esercito israeliano. Non potremo solo dimostrare che Kahil e a-Nimrah sono stati uccisi da un missile mortale, ma anche mostrare il modo subdolo in cui le forze armate israeliane hanno presentato al pubblico i particolari degli attacchi”, ha aggiunto.

Il portavoce dell’esercito israeliano non ha risposto alle specifiche domande sull’eventualità o il perché il video del primo attacco missilistico fosse stato tagliato, intenzionalmente o meno, dal filmato diffuso dall’esercito.

“L’esercito israeliano ha attaccato un edificio di cinque piani nella Striscia di Gaza, utilizzato dalle brigate di Hamas come struttura per l’addestramento al combattimento nelle aree urbane. Dopo l’attacco, è stato detto che avesse causato la morte di due adolescenti. E’ stata aperta un’inchiesta e, in base alle indagini, si è stabilito che al momento in cui sono iniziati i bombardamenti aerei, nessuna persona è stata identificata sul tetto dell’edificio. I risultati dell’indagine sono attualmente all’esame dell’ufficio dell’avvocato generale militare. Sottolineiamo che prima dell’attacco sono stati presi vari provvedimenti cautelativi per minimizzare il più possibile le vittime civili. Alcuni missili con munizioni ridotte sono stati sparati sul tetto dell’edificio, quel che si dice “bussare al tetto”.


Oren Zin è fotoreporter e membro fondatore del collettivo di fotografi Activestills. Dal 2003 documenta una vasta serie di problemi sociali e politici in Israele e nei territori palestinesi occupati.

(traduzione di Luciana Galliano)

 




Passata in prima lettura alla Knesset una legge per l’espulsione di famiglie di palestinesi accusati di aggressione

Yumna Patel 

20 dicembre 2018, Mondoweiss

Mercoledì [19 dicembre 2018], nonostante la netta opposizione dell’intelligence e di comandanti dell’esercito, la Knesset [il parlamento, ndtr.] israeliana ha approvato in prima lettura una legge per la deportazione di famiglie di palestinesi coinvolti in attacchi contro israeliani.

La legge, presentata dal partito di estrema destra “Casa Ebraica”, è stata approvata con 69 voti a favore e 38 contrari.

Se accolta, comporterebbe che entro una settimana da un attacco o tentativo di attacco verrebbe consentito al comando centrale dell’esercito israeliano di espellere i familiari degli aggressori palestinesi dalle loro città d’origine verso altre zone della Cisgiordania.

Permetterebbe anche alle forze israeliane di delimitare un’area in cui la famiglia non potrebbe entrare.

Il voto ha seguito di pochi giorni l’approvazione della legge da parte del Gabinetto per la Sicurezza di Israele e della Commissione Legislativa Ministeriale.

Durante la sessione tre parlamentari palestinesi, Jamal Zahalka, Ahmad Tibi e Masud Ganaim, sono stati espulsi dall’aula.

Secondo l’Anadolu Agency [agenzia di stampa del governo turco, ndtr.] il parlamentare israeliano del partito “Casa Ebraica” Moti Yogev ha definito “terroristi” i suoi colleghi arabi, mentre il deputato della “Lista Unitaria” [coalizione di tutti i partiti arabo-israeliani, ndtr.] Ahmad Tibi gli ha gridato: “Puoi uccidere i palestinesi, ma non puoi opprimere un intero popolo.”

I firmatari del progetto di legge hanno sostenuto che la misura servirebbe come “deterrente” per quanti pensino di prendere di mira israeliani con attacchi con armi da fuoco o all’arma bianca. “L’espulsione di famiglie di terroristi,” afferma la legge, “è un collaudato deterrente che ha il potere di ridurre gli attacchi terroristici e di salvare vite.”

All’inizio di questa settimana Haaretz [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndtr.] ha informato che il direttore dello Shin Bet, il servizio israeliano di intelligence interna, si è opposto alla legge affermando che sarebbe praticamente impossibile metterla in pratica e che “porterebbe al risultato opposto alla deterrenza, dato che la sua applicazione determinerebbe tensioni.”

Haaretz cita un importante ufficiale della sicurezza che sostiene che la legge è stata promossa in seguito a pressioni dell’opinione pubblica dopo una serie di attacchi che hanno preso di mira coloni israeliani, non per una reale necessità operativa o di sicurezza. “Come si suppone esattamente che lo facciamo? Prendere famiglie e sbatterle sulle colline di Hebron? E poi cosa? Tenerle d’occhio in modo che non si spostino? Inseguirle ogni volta che tornano indietro al loro villaggio e poi ricacciarle fuori?”, afferma l’anonimo ufficiale.

Per anni il governo israeliano ha messo in atto una serie di queste cosiddette misure di “deterrenza”, compresa la demolizione delle case di familiari di presunti aggressori, chiudendo interi villaggi da cui sarebbero provenuti sospetti assalitori, effettuando operazioni di arresti massicci che prendono di mira la famiglia e gli amici degli accusati e revocando permessi di lavoro israeliani a parenti vicini e lontani di assalitori.

Gruppi per i diritti umani hanno criticato le politiche del governo in quanto punizioni collettive e ufficiali dell’esercito israeliano hanno già dato indicazioni al governo che prassi come le demolizioni di case non evitano gli attacchi.

L’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha condannato la pratica delle demolizioni punitive di case come “vendetta sanzionata da tribunali”, condotta contro membri di una famiglia che non hanno commesso reati, che rappresenta una punizione collettiva.

La nuova legge, che intende espellere le famiglie di assalitori dalle loro case, potrebbe rappresentare un trasferimento forzato – un crimine di guerra in base alle leggi internazionali.

B’Tselem ha così affermato riguardo a questa pratica: “Il trasferimento forzato – con violenza fisica diretta o creando un contesto coercitivo che faccia in modo che gli abitanti lascino le proprie case – è un crimine di guerra. Ogni persona responsabile di ciò – compresi il primo ministro ed il ministro della Difesa – ne sono personalmente responsabili.”

  • Su Yumna Patel

  • Yumna Patel è una giornalista multimediale che risiede a Betlemme, Palestina.

Includiamo alcune citazioni di esponenti politici israeliani, tra cui ministri, tratte da un blog di commento all’articolo di Mondoweiss e che indicano il clima in cui avviene il dibattito su questa legge.

Un importante parlamentare israeliano chiede “l’uccisione di tutti i palestinesi”

Il ministro degli Affari Strategici Gilad Erdan ha affermato che “il numero di [manifestanti palestinesi pacifici] uccisi non importa perché comunque sono solo dei nazisti.”

Il presidente della Commissione Difesa del parlamento israeliano Avi Dichter ha invocato l’uccisione di tutti i palestinesi nella Striscia di Gaza.

Mentre stava commentando le proteste pacifiche della Grande Marcia del Ritorno che hanno luogo lungo la barriera orientale della Striscia di Gaza, ha detto: “L’esercito israeliano ha abbastanza pallottole per ogni palestinese.”

Dichter è un importante membro del partito di governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il Likud, che è di destra.

Ex direttore del servizio di sicurezza interna, lo Shin Bet, e ministro della Sicurezza Interna, Dichter ha detto che l’esercito israeliano è pronto ad usare ogni mezzo, compresa la forza letale, per scoraggiare i manifestanti palestinesi.

Dal 31 marzo migliaia di manifestanti palestinesi pacifici hanno protestato lungo la barriera orientale della Striscia di Gaza, chiedendo di togliere l’assedio israeliano di dodici anni e ribadendo il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare alle proprie case.

Il ministro degli Affari Strategici Gilad Erdan ha ripetutamente fatto riferimento ai manifestanti uccisi a Gaza come “nazisti”, affermando che non c’erano dimostrazioni, solo “odio nazista”.

Ha aggiunto: “Il numero [di manifestanti palestinesi pacifici] uccisi non importa niente perché comunque sono solo nazisti.”

2.

Parlamentare israeliano: “La nostra vita è più preziosa di quella dei palestinesi” Days of Palestine, 20 dic. 2018

Commentando l’attentato incendiario [in cui morirono un bambino di 18 mesi e il padre, ndtr.] di qualche anno fa contro una famiglia palestinese in Cisgiordania ha detto: “Bruciare una famiglia palestinese non è un’azione terroristica.”

Bezalel Smotrich, membro di estrema destra della Knesset, ha chiesto ai coloni ebrei illegali di attaccare i palestinesi, affermando che “la vita degli ebrei è più importante di quella dei palestinesi.”

Sul suo account twitter Smotrich ha scritto: “Chiedo ai miei eroici amici [coloni] e pionieri di uscire stanotte e di chiudere agli spostamenti dei veicoli arabi la Route 60 su tutta la sua lunghezza.”

Se ci dovessero essere attacchi (della resistenza palestinese contro coloni ebrei illegali), non ci saranno arabi per le strade. Le nostre vite sono più importanti della qualità della loro vita.”

In conseguenza di ciò l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din ha chiesto l’apertura di un’inchiesta contro il politico di “Casa Ebraica” in quanto egli ha twittato un appello alla violenza dei coloni contro i palestinesi.

L’organizzazione ha presentato una richiesta ufficiale al procuratore generale israeliano Avichai Mandelblit, chiedendogli di aprire un’inchiesta penale contro l’appello di Smotrich a favore della violenza contro i palestinesi.

I coloni ebrei illegali hanno risposto al tweet di Smotrich, riunendosi nelle strade principali e attaccando i palestinesi.

Yesh Din afferma che, nelle 24 ore successive al tweet di Smotrich, ha rilevato 25 attacchi condotti dai coloni contro i palestinesi.

Gli attacchi hanno incluso colpi di proiettili veri contro case palestinesi nei vicini villaggi di Ein Yabrud e di Beitin e il lancio di pietre contro auto palestinesi agli incroci di Huwara e Kfar Qaddum, nei pressi di Ofra [colonia israeliana, ndtr.] sulla Route 60 nella Cisgiordania occupata.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Israele reso furioso dal premio francese per i diritti umani

Adri Nieuwhof

14 dicembre 2018, Electronic Intifada

La Francia ha insignito Al-Haq e B’Tselem [due organizzazioni per i diritti umani, una palestinese e l’altra israeliana, ndtr.] con il prestigioso “Premio della Repubblica Francese per i Diritti Umani”.

Ciò è avvenuto nonostante le pesanti pressioni da parte di Israele sul governo francese perché togliesse il riconoscimento alle due associazioni che documentano i crimini di guerra e i soprusi israeliani contro i palestinesi.

Tuttavia la ministra della Giustizia francese Nicole Belloubet ha ceduto alle pressioni e si è rifiutata di partecipare alla cerimonia di premiazione a Parigi lo scorso lunedì [10 dicembre, ndtr.].

Il gruppo della lobby franco-israeliana CRIF ha scritto a Belloubet sostenendo che i due vincitori “chiedono il boicottaggio di Israele,” ed ha affermato che per il ministero della Giustizia francese dare loro il premio “anche in assenza della ministra è un insulto alla giustizia.”

Nel suo discorso di ringraziamento il direttore esecutivo di B’Tselem Hagai El-Ad ha definito “isterica” la risposta del governo israeliano.

El-Ad ha detto che il tentativo israeliano di esercitare pressioni su dirigenti francesi “dimostra la situazione in cui lavoriamo: propaganda, menzogne e minacce da parte di un governo che crede che far tacere e nascondere consentirà ulteriori violazioni dei diritti umani.”

Il direttore di Al-Haq, Shawan Jabarin, ha detto ad Electronic Intifada che il premio è un riconoscimento per il lavoro del suo gruppo in un periodo in cui l’organizzazione è presa di mira da una campagna di calunnie da parte di Israele.

La cerimonia di premiazione del 10 dicembre ha coinciso con il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il ventesimo anniversario della Dichiarazione ONU sui Difensori dei Diritti umani.

Risposta furiosa

Israele ha risposto con ira all’annuncio che la Francia stava per assegnare il prestigioso premio alle due associazioni.

“La Francia consegna il suo riconoscimento più prestigioso a B’Tselem e Al-Haq, che accusano Israele di apartheid, ci delegittimano a livello internazionale, difendono il terrorismo e sostengono il BDS,” ha affermato Michael Oren, vice ministro israeliano per i rapporti diplomatici.

BDS sta per Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni – una campagna palestinese non-violenta per rendere Israele responsabile delle violazioni dei diritti dei palestinesi, sul modello del vincente movimento internazionale di solidarietà che contribuì a porre fine all’apartheid in Sud Africa.

L’ambasciata di Israele in Francia ha twittato di essere “scioccata” per il premio ed ha asserito che Al-Haq sarebbe legata al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un partito politico e un’organizzazione di resistenza che Israele definisce gruppo “terroristico”.

La ministra della Cultura di Israele Miri Regev ha detto che B’Tselem e i suoi membri dovrebbero “vergognarsi”, descrivendo il premio come un “simbolo di disonore”.

La viceministra degli Esteri israeliana Tzipi Hotovely ha definito il premio “deplorevole” ed ha chiesto al governo francese di ripensarci.

Hotovely ha sostenuto che anche il primo ministro Benjamin Netanyahu ha manifestato la sua opposizione durante un incontro con il presidente francese Emmanuel Macron.

Chiudere spazi

Il direttore di Al-Haq Shawan Jabarin ha parlato con Electronic Intifada all’Aia, pochi giorni prima di recarsi a Parigi per la cerimonia di premiazione.

Ha detto che il premio arriva in un momento in cui Israele sta “cercando di chiudere gli spazi” per il lavoro a favore dei diritti umani.

Il riconoscimento francese, ha detto, significa per Al-Haq ancor di più perché “giunge nello stesso giorno del settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.”

Jabarin ha affermato che il premio è stato assegnato “alle vittime in Palestina” ed è “un riconoscimento dei loro diritti.”

Ma ha ammonito che le vittime hanno bisogno di molto più di un riconoscimento simbolico.

“La Francia deve agire in base ai propri impegni,” ha detto, in riferimento ai trattati internazionali sui diritti umani che ha firmato.

Momento di agire

A settant’anni dalla Nakba – l’espulsione dei palestinesi – e dopo 51 anni di occupazione militare della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, ha detto Jabarin, “niente è cambiato, la situazione si sta aggravando, l’occupazione si sta approfondendo, come le sofferenze.”

Il messaggio di Jabarin al governo francese è che “se vuole davvero la pace in Palestina e altrove, deve agire.”

Jabarin ha affermato che, per cambiare la situazione, ci devono essere sanzioni contro Israele, compreso il divieto di commercio dei prodotti delle colonie e un embargo sulle armi.

Gli europei non dovrebbero “lasciare che i criminali viaggino nei loro Paesi,” ha aggiunto Jabarin.

“Se i criminali non pagano il prezzo dei loro crimini, non c’è modo che ripensino o cambino le loro azioni e le loro politiche.”

La CPI propende per la narrazione israeliana?

Jabarin ha anche manifestato delusione nei confronti della Corte Penale Internazionale, che dal 2015 sta portando avanti un “esame preliminare” dei possibili crimini di guerra israeliani contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

“È passato molto tempo,” ha detto Jabarin.

Un esame preliminare è il primo passo nel procedimento della Corte per decidere se aprire un’inchiesta formale, che può poi portare a imputazioni e a un processo.

Ma mentre un esame preliminare è portato avanti ogni volta che viene presentata una richiesta di deferimento, esso è a tempo indefinito e può continuare per anni, a discrezione del procuratore generale.

Benché la procuratrice generale, Fatou Bensouda, lo scorso aprile abbia messo in guardia i dirigenti israeliani che potrebbero dover affrontare un processo per l’uccisione di palestinesi disarmati nella Striscia di Gaza durante la Grande Marcia del Ritorno, la Corte non ha iniziato un’inchiesta formale.

Le “vittime, il popolo che sta soffrendo, non possono più attendere,” ha detto Jabarin. “Questa istituzione deve agire in base al suo mandato e non occuparsi della questione da un punto di vista politico.”

Jabarin ha definito deludente l’ultimo rapporto annuale sullo stato di avanzamento.

Il rapporto afferma che “la procura intende completare l’esame preliminare il prima possibile,” ma non fornisce nessuna data limite.

Jabarin ha descritto il rapporto come “confuso” nell’uso di terminologia e concetti giuridici. Teme che la procuratrice si sia spostata “verso la narrazione israeliana.”

Ma vede “qui e là segnali positivi.”

Spera che la procuratrice si muova rapidamente per aprire un’inchiesta formale e “persegua i criminali e successivamente emetta mandati di arresto.”

“Confido nella professionalità e nell’indipendenza della procuratrice,” ha detto Jabarin. “Il mio messaggio a lei è che il tempo passa e le sofferenze continuano. È il momento di intervenire.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




La Knesset israeliana respinge la proposta di legge per “mantenere uguali diritti tra tutti i suoi cittadini”

Yossi Gurvitz

12 dicembre 2018 , Mondoweiss

La Knesset [parlamento israeliano, ntr.] ha respinto oggi, con un margine di 71 a 38, la Legge Fondamentale sulla Parità presentata dal parlamentare Mossi Raz (Meretz). Il testo del disegno di legge era chiaro e conciso: “Lo Stato di Israele manterrà diritti politici uguali tra tutti i suoi cittadini, senza alcuna differenza tra religioni, razza e sesso.” Questa è una citazione diretta della Dichiarazione di Indipendenza di Israele.

Dopo le dimissioni del ministro della Difesa Lieberman alcune settimane fa, la coalizione di governo ha un margine sottile come un rasoio, di un solo voto: controlla 61 voti su 120. Tuttavia, la coalizione ha beneficiato dell’appoggio di Yesh Atid, guidato da Yair Lapid, l’aspirante Trump israeliano. È improbabile che i suoi undici voti abbiano consegnato la vittoria all’opposizione, poiché molti membri del campo sionista sono usciti dalla sala prima del voto.

Nonostante una delle più grandi imposture politiche della storia – “Israele è l’unica democrazia in Medio Oriente” – la legge israeliana non ha mai riconosciuto l’uguaglianza tra i cittadini. Un tentativo di inserire una clausola di uguaglianza nella Legge Fondamentale sulla dignità umana e sulla libertà, fallì nel 1992 principalmente a causa dell’opposizione dei partiti religiosi. La Corte suprema israeliana, nella doppia funzione anche come Alta corte di giustizia del Paese, ha trovato – o, piuttosto, inventato – elementi di uguaglianza nelle Leggi fondamentali di Israele; fare questo spesso ha richiesto alla corte di fare ricorso alla clausola di parità della Dichiarazione di Indipendenza, sostenendo che fosse la volontà espressa dei Fondatori.

E così dopo il voto di oggi ci vorranno poteri straordinari di giocoleria giudiziaria. E la corte, che non è mai stata la grande e numinosa luce che i suoi sostenitori ritraggono (come denunzia, con esempi schiaccianti uno dopo l’altro, il bellissimo libro Il Muro e la Porta di Michael Sfard) ha sempre meno coraggio nell’affrontare il governo.

Dopo il rumore intorno alla Legge della Nazione Stato, quando i Drusi hanno riempito le strade per protestare – affermando, correttamente, che la legge li avrebbe resi cittadini di seconda classe – Netanyahu ha promesso loro che avrebbe in qualche modo concesso loro un’esenzione. Forse dichiarandoli ebrei onorari. Oggi, Netanyahu ha chiuso loro la porta dell’uguaglianza.

Lo ha fatto non solo con i voti della sua coalizione ultra-nazionalista, ma anche con quelli di Lapid, il cui partito sostiene di essere un partito di centro, mentre funziona come entratura drogata per l’estrema destra. E grazie ai voti assenti dei membri spaventati del Labour. Questi 71 voti rappresentano il nocciolo duro del sionismo pratico – il sionismo così com’è, non come potrebbe essere – che ha deciso che Israele sarà un paese ebraico e non democratico.

La Knesset ha dichiarato al 20% dei cittadini del paese che avrebbe richiesto loro lealtà, ma non gli avrebbe concesso l’uguaglianza. Godranno di una cittadinanza di seconda classe, dipendente dal capriccio della maggioranza ebraica. La prossima volta che il governo di Israele ti dirà che “condivide i valori” con gli Stati Uniti, ricorda qual è quel valore: i 3/5 delle persone.

Così vanno le cose.

(Traduz. di Luciana Galliano)