Sfollamenti senza fine: la tragedia delle espulsioni forzate a Tulkarem e Jenin
Fayha Shalash – Ramallah
24 aprile 2025 – Palestine Chronicle
Decine di migliaia di palestinesi continuano a subire sfollamenti e perdite a Tulkarem e in altri campi profughi della Cisgiordania settentrionale sotto la continua aggressione militare israeliana.
Tasneem Sleit continua a patire le sofferenze dello sfollamento dopo essere stata espulsa con la sua famiglia dalla loro casa nel campo di Tulkarem, come decine di migliaia di altri palestinesi.
L’aggressione militare israeliana contro i campi profughi nella Cisgiordania settentrionale è in corso da tre mesi, senza che se ne veda una fine.
Tutti i residenti dei campi di Jenin, Tulkarem e Nur Shams sono stati sfrattati con la forza dalle loro case e centinaia di queste abitazioni sono state demolite nell’ambito di un piano più ampio per cancellare i campi profughi e alterarne completamente la struttura con il pretesto di eliminare le cellule della resistenza armata.
Oltre 40.000 sfollati da questi campi vivono in condizioni difficili, senza alcun sostegno palestinese ufficiale. Più della metà di loro si è stabilita in centri, residenze e locali pubblici nelle città di Jenin e Tulkarem, soffrendo per la mancanza di aiuti e un futuro incerto.
Non c’è disperazione più grande
Il 27 gennaio un aereo israeliano ha bombardato un obiettivo nel campo di Tulkarem uccidendo due palestinesi. In quel momento, Tasneem si trovava fuori dalla sua casa, nel quartiere di al-Madaris, e non è riuscita a rientrarvi a causa di un raid su larga scala dell’esercito israeliano.
Da allora Tasneem non ha più visto la sua casa. Lei e suo marito sono stati costretti a prendere in affitto un’abitazione alla periferia del campo, ma l’esercito israeliano l’ha presa d’assalto il 12 marzo, trasformandola in una caserma militare e costringendo la famiglia a fuggire ancora una volta.
“Qualche settimana fa i miei genitori hanno ricevuto dal tribunale israeliano un ordine di demolizione della loro casa all’interno del campo. In seguito ho saputo che la mia casa era stata demolita. Non c’è sensazione più penosa di questa: vedere i ricordi, gli oggetti personali e gli anni meravigliosi che abbiamo trascorso lì svanire in momenti simili. È una cosa estremamente dura”, ha dichiarato al Palestine Chronicle.
“Gli sfollati sono completamente esausti”, dice Tasneem nel descrivere la loro situazione, mentre l’esercito israeliano annuncia che rimarrà nei campi fino al prossimo anno, senza un futuro chiaro davanti a loro.
“Stiamo aspettando notizie di un ritiro così da poter tornare alle nostre case, la maggior parte delle quali è stata distrutta, e quelle rimaste sono gravemente danneggiate. La vita nel campo è insostenibile. C’è chi dice che torneremo al campo anche se dovremo vivere in una tenda, pur sapendo che ci è proibito ricostruire le nostre abitazioni,” afferma.
Gli sfollati non cercano solo cibo; hanno anche bisogno di molte cose che non sono disponibili, come i vestiti che hanno lasciato nelle loro case, ora sepolti sotto le macerie, e beni di prima necessità per i bambini.
La maggior parte dei volontari che si occupano degli sfollati ha smesso di lavorare, incapace di far fronte al carico sempre più gravoso. Per non parlare dell’elevato numero di abitanti di Tulkarem le cui case sono state distrutte dai soldati perché si affacciavano sul campo o utilizzate come caserme militari.
Gli abitanti non hanno alternative abitative oltre ai rifugi già sovraffollati.
Quando finirà la nostra tragedia?
L’autista di ambulanze Hazem Masarweh sta vivendo i giorni più difficili dopo essere stato sfollato dalla sua casa nel campo di Jenin.
Masarweh ci ha raccontato di essere stato costretto a lasciare l’abitazione all’inizio dell’offensiva. È riuscito a prendere una casa in affitto per evitare di essere confinato nei rifugi, ma non possiede utensili per cucinare o per fare il bucato.
“Tutti gli aiuti alimentari forniti agli sfollati contengono cereali da cucinare, ma non abbiamo fornelli né forni, il che ha aggravato le nostre sofferenze”, ci ha detto.
Per distribuire il pesante carico Hazem e i suoi due figli sono stati costretti a trasferirsi in un luogo mentre sua moglie e sua figlia si sono spostate in un altro e il figlio maggiore in un terzo. Si fanno visita ogni 20 giorni.
Masarweh possiede il Centro Medico Ibn Sina, dove l’esercito israeliano ha fatto irruzione più volte distruggendone i contenuti. Non è a conoscenza della sorte della sua casa all’interno del campo.
“Stiamo vivendo uno stato psicologico complesso. Cerchiamo di sopravvivere con quel poco che abbiamo, e pensiamo costantemente alle nostre case e ai vicoli del campo in cui siamo cresciuti. Ci torneremo mai? Come saranno ora? Quando finirà la nostra interminabile tragedia?”
Forse la preoccupazione maggiore per gli sfollati è la mancanza di prospettive o di una fine a questa aggressione, come per le precedenti incursioni. Il continuo sfollamento grava pesantemente sulle spalle degli espulsi e sulle loro speranze di una vita dignitosa, che sembrano un miraggio sotto l’occupazione.
– Fayha’ Shalash è una giornalista palestinese di Ramallah. Si è laureata all’Università di Birzeit nel 2008 e da allora lavora come reporter e conduttrice. I suoi articoli sono apparsi su diverse pubblicazioni online. Ha collaborato con questo articolo a The Palestine Chronicle.
(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)