Hamas non partecipa allo scontro

Menachem Klein

13 novembre 2019 – + 972

Perché Hamas si tiene fuori dallo scontro tra Israele e la Jihad Islamica

Il coordinamento politico e per la sicurezza di Israele con Hamas ha risposto ad interessi condivisi per molti anni. Ora Hamas spera di rimanere fuori dall’attuale scontro per estendere se possibile il suo potere politico in Cisgiordania

Nella nuova serie di scontri tra Israele e la Jihad Islamica a Gaza si ha l’impressione che ci sia un accordo non scritto tra Israele e Hamas. Ciò non è fuori dal comune nei rapporti tra nemici con interessi comuni. Siria e Israele, per esempio, una volta avevano un accordo riguardante i limiti invalicabili del coinvolgimento di quest’ultimo in Libano.

Per comprendere la delicata danza tra Israele e Hamas è necessario conoscere la storia recente. Nel 2007 Hamas cacciò Fatah, che allora governava Gaza con l’uomo forte Mohammed Dahlan. In risposta, Israele impose un blocco a Gaza, sperando che avrebbe fatto crollare il regime di Hamas attraverso pressioni esterne o provocando una rivolta interna palestinese. Quella strategia è fallita: fino ad oggi Hamas è rimasta al potere.

Verso il 2010 Israele cambiò la politica di cacciare Hamas, optando invece per una sorta di coesistenza. Il governo decise di istituzionalizzare la separazione tra Gaza e la Cisgiordania, annettendo gradualmente parti di quest’ultima e cercando nel contempo accordi concreti con Hamas. Israele rifiuta di consentire ad Hamas di avere una posizione forte in Cisgiordania, che è una delle ragioni principali della sua collaborazione per la sicurezza con Mahmoud Abbas e l’Autorità Nazionale Palestinese.

Quindi Israele rafforza il potere di Abbas incentivando sospetti e ostilità nei confronti di Hamas, ma si è prefissato la conservazione del potere di Hamas a Gaza. Utilizza la classica tattica del divide et impera per controllare entrambe le parti dei palestinesi, comprendendo che, se Hamas dovesse cadere, il vuoto potrebbe essere riempito da uno dei gruppi affiliati all’ISIS presenti nel Sinai. Israele ha bisogno di un rapporto stabile con Hamas per tenere l’ISIS fuori da Gaza.

Il coordinamento con Hamas è stato sospeso nel 2014, dopo che militanti palestinesi rapirono e uccisero tre ragazzi israeliani in Cisgiordania. Israele accusò Hamas di essere responsabile, ignorando le sue smentite, e riarrestò prigionieri palestinesi che erano stati rilasciati come parte di un accordo per la liberazione di Gilad Shalit [soldato israeliano rapito da Hamas nel 2006, ndtr.]. Ciò mise in moto uno confronto militare che terminò nello stesso modo di precedenti scontri – con la conferma di precedenti accordi strategici, compreso il fatto di alleggerire il blocco, estendere la zona di pesca di Gaza e consentire che entrassero a Gaza finanziamenti del Qatar.

A settembre, quando la Jihad Islamica ha sparato razzi contro Ashdod mentre Netanyahu vi stava facendo un comizio elettorale, i media israeliani iniziarono a concentrarsi sul bellicoso comandante del gruppo, Baha Abu al-Ata, assassinato martedì mattina. Riunioni dell’intelligence hanno sottolineato che Abu al-Ata era probabilmente un comandante ribelle che non accettava l’autorità di Hamas.

Abu al-Ata era un obiettivo perché danneggiava gli accordi tra Israele ed Hamas. Assassinandolo Israele ha mandato il messaggio ad Hamas di essere interessato a mantenere questi accordi. Da quando i miliziani della Jihad Islamica hanno iniziato a lanciare razzi in risposta all’assassinio, Hamas ne è rimasta fuori, mentre Israele ha chiarito di agire solo contro la Jihad Islamica. Hamas, i cui principali dirigenti non hanno fatto commenti, non ha interesse a rafforzare la Jihad Islamica o ad essere trascinata in un conflitto armato con Israele. Tuttavia, se la risposta israeliana dovesse uccidere troppi civili palestinesi, Hamas probabilmente risponderà. In una situazione di crescenti tensioni, ciò potrebbe avvenire in conseguenza di errori operativi o di malintesi.

Politicamente Hamas è concentrata sulle elezioni palestinesi che Abbas ha annunciato all’inizio dell’anno. L’organizzazione intende accettare i parametri di Abbas: elezioni parlamentari seguite da quelle presidenziali. Hamas ha anche accettato che le elezioni avvengano con modalità diverse. Invece di elezioni regionali in 16 distretti dei territori occupati – in cui il partito che vince prende tutto – le elezioni saranno in tutto il Paese. Ciò significa che anche se Hamas non vincesse la maggioranza dei voti, avrebbe la possibilità di conquistarsi una solida posizione in Cisgiordania e presentare un proprio candidato alla presidenza. Abbas, un leader molto impopolare, si è impegnato a non presentarsi per un ulteriore mandato. Hamas spera di poter andare oltre il governo a Gaza e di partecipare alle elezioni nazionali.

Menachem Klein è docente di scienze politiche all’università [israeliana] di Bar Ilan. E’ stato consigliere della delegazione israeliana con l’OLP nel 2000 e uno dei leader della Geneva Initiative [Iniziativa di Ginevra, un gruppo di dirigenti politici e intellettuali israeliani e palestinesi che hanno stilato un piano di pace non accettato né da Israele né dai palestinesi, ndtr.]. Il suo nuovo libro “Arafat and Abbas: Portraits of Leadership in a State Postponed” [Afarat e Abbas: ritratti di dirigenti in uno Stato rinviato], è stato da poco pubblicato da Hurst London and Oxford University Press New York.

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)