‘Non sono antisemita’: artisti filopalestinesi boicottati in Europa

Alisdair Soussi

30 novembre 2023 – Al Jazeera

Un famoso fotogiornalista bengalese, un regista palestinese e uno scrittore USA segnalano che gli spazi culturali sono a rischio di repressione.

All’inizio di ottobre, quando Israele ha cominciato a bombardare Gaza, Shahidul Alam, fotogiornalista bengalese, era impegnato nella co-curatela di una mostra fotografica in programma in Germania.

Angosciato, si è preso una pausa dal lavoro e si è rivolto ai social media per condannare gli attacchi israeliani contro l’enclave palestinese densamente popolata.

Alam stesso è abituato a violazioni dei diritti umani e a dire cosa pensa.

Nel 2018 è stato celebrato dalla rivista Time per la sua decennale carriera nel documentare l’instabilità politica in Bangladesh. Quell’anno era stato incarcerato per più di 100 giorni, accusato di “false” dichiarazioni per aver criticato in un’intervista la prima ministra Sheikh Hasina.

Fin dall’inizio della guerra di Israele contro Gaza, Alam ha scritto decine di post sul conflitto su Facebook per i suoi 114.000 follower.

Uno dei post dell’8 ottobre ha detto: “La notizia di corpi seminudi di israeliani messi in fila è orrenda e non può essere giustificata … Soffro per tutte le vite distrutte di palestinesi e israeliani.”

In un altro post il 29 ottobre ha scritto: “L’orrenda violenza di questo weekend è la cruda realtà dell’apartheid israeliano, il frutto malvagio di decenni di occupazione di un popolo senza patria, privato dei diritti fondamentali e della libertà.”

Il 21 novembre la Biennale tedesca di fotografia contemporanea ha ritirato il fotografo di lungo corso, accusandolo di antisemitismo.

Vari post di Shahidul Alam sul suo canale Facebook dopo il 7 ottobre hanno offerto spazio a contenuti che posso essere letti come antisemiti e di contenuto antisemita,” si dice.

I due co-curatori bangladesi di Alami, Tanzim Wahab e Munem Wasif, si sono dimessi in solidarietà, inducendo gli organizzatori ad annullare il tour del prossimo anno della mostra in tre città tedesche.

Hanno detto che fra i post che sarebbero antisemiti c’è “in un’intervista senza commenti di Shahidul Alam con l’ambasciatore palestinese in Bangladesh, un paragone della guerra attuale con l’Olocausto, e accuse di genocidio dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinesi a Gaza”.

Hanno anche protestato perché Alam non avrebbe cancellato dalla sua pagina “commenti razzisti e altri simili” contro gli israeliani, palesemente fatti da alcuni dei suoi follower.

Alam, Wahab e Wasif hanno respinto le accuse.

Noi abbiamo la responsabilità morale di decidere da quale parte della storia stiamo,” hanno riferito martedì in una dichiarazione.

Alam ha detto ad Al Jazeera: “Sono un antisionista, il che significa che sono contro colonialismo, colonialismo di insediamento, razzismo, apartheid e genocidio.

Non sono antisemita ed è veramente deprecabile che la Germania scelga di confondere le due cose, [poiché questo] è al servizio e promuove il suprematismo bianco.”

L’episodio è una delle molte conseguenze negative con accuse di antisemitismo verso personalità di alto livello del mondo artistico occidentale nelle settimane recenti riguardo alla guerra in Medio Oriente.

Alta la tensione per vari casi in Germania, che ha una responsabilità speciale verso Israele data la sua storia derivante dall’Olocausto. Tuttavia artisti, manifestanti e attivisti dicono che il giro di vite di Berlino confonde la critica alle politiche israeliane con il razzismo antiebraico.

Estremamente sconvolgente

Israele ha cominciato a bombardare Gaza dopo che Hamas, che governa la densamente popolata Striscia, ha attaccato il sud di Israele, uccidendo circa 1.200 israeliani e prendendo oltre 200 ostaggi. Ad oggi gli attacchi di Israele, che ufficialmente mirano a distruggere il gruppo palestinese, hanno ucciso oltre 15.000 persone, fra cui molti minori.

All’indomani dell’attacco di Hamas, la Fiera del Libro di Francoforte “ha rinviato sine die” l’intervento della scrittrice palestinese Adania Shibli, che il 20 ottobre doveva ricevere un premio per il suo romanzo Un dettaglio minore.

Il 13 novembre Anaïs Duplan, curatore nato ad Haiti, è rimasto “senza parole” dopo l’improvvisa cancellazione della sua mostra Afrofuturism al Museum Folkwang in Germania da parte del direttore Peter Gorschluter.

Gorschluter ha detto che i post di Duplan sui social media “non citano l’attacco terroristico di Hamas e considerano un genocidio l’operazione militare israeliana a Gaza”.

Nel frattempo parecchi artisti si sono ritirati dalla famosa mostra di arte moderna Documenta, uno scontro che ha dominato le prime pagine culturali europee per settimane.

Il 16 novembre la maggior parte dei sei membri della commissione di ricerca della mostra ha rimesso il proprio incarico in solidarietà con Ranjit Hoskote, che aveva rassegnato le dimissioni giorni prima dopo che un quotidiano tedesco, Suddeutsche Zeitung, aveva rivelato che nel 2019 aveva firmato una lettera pubblicata dalla sezione indiana del movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).

In Germania quella lettera aveva sollevato accuse di antisemitismo contro Hoskote, uno scrittore e curatore.

In precedenza, l’amministratore delegato di Documenta, Andreas Hoffmann, aveva pubblicamente condannato i due direttori artistici indonesiani dell’ultima Documenta nel 2022 perché avrebbero postato un like, poi un unlike, a un post su Instagram a sostegno della Palestina.

Il post filopalestinese era stato pubblicato da un artista e attivista britannico, Hamja Ahsan, che aveva partecipato all’edizione del 2022 di Documenta. Il nome utente sull’account di Ahsan, ‘realdocumenta’ è poi stato sospeso. Avrebbe sostenuto che Hoffmann aveva presentato una protesta alla piattaforma di social media per una violazione del marchio registrato.

Ahsan ha detto ad Al Jazeera di credere che la protesta di Hoffman sia un pretesto per censurare il suo contenuto filopalestinese, e descrive l’episodio come “estremamente sconvolgente”.

Hoffmann ha detto che l’username di Ahsan “violava il marchio ‘Documenta’ … Basandosi sulle sue condizioni di uso, Instagram è arrivato alla conclusione che l’account doveva essere bloccato.”

Propaganda contro i palestinesi’

Anche i settori culturali, dal Regno Unito all’Olanda, sono stati coinvolti.

All’inizio di questo mese vari registi si sono ritirati dal festival di documentari più importante al mondo, che si tiene in Olanda, dopo che gli organizzatori avevano criticato una protesta filopalestinese alla serata della prima, durante la quale alcuni attivisti avevano sventolato sul palcoscenico uno striscione con la scritta ‘Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera’”.

Il direttore artistico del Festival Internazionale del Documentario di Amsterdam (IDFA), Orwa Nyrabia, inizialmente aveva applaudito la protesta, ma poi ha condannato lo slogan.

La regista palestinese Basma Alsharif, fra quanti hanno abbandonato il festival, ha accusato Nyrabia di spargere disinformazione.

Questo tipo di propaganda contro i palestinesi accusati di essere antisemiti è stato usato ampiamente contro di noi per molto tempo,” ha detto Alsharif ad Al Jazeera dello slogan “dal fiume al mare”, ritenuto un grido di battaglia da parte dei manifestanti filopalestinesi, ma una richiesta di distruggere Israele dai sostenitori dello Stato ebraico.

Ci sono stati decenni di lotte per far chiarezza e piazza pulita [di quella interpretazione errata], ma è evidente che non sta funzionando, perché [accuse come questa] proprio ora sono usate molto aggressivamente contro di noi.”

Nathan Thrall, un acclamato autore americano che vive a Gerusalemme, non vedeva l’ora di partecipare il 12 ottobre al lancio londinese del suo libro A Day in the Life of Abed Salama: A Palestine Story, [Un giorno nella vita di Abed Salama: una storia palestinese], ma l’evento è stato improvvisamente cancellato dalla polizia per motivi di sicurezza.

Il Festival di Letteratura Palestinese che lo doveva ospitare ha annunciato la misura, che la polizia metropolitana di Londra non ha negato: “Non rilasciamo commenti su consigli sulla sicurezza dati a individui,” hanno detto ad Al Jazeera.

Il lavoro di saggistica narrativa di Thrall descrive in dettaglio le difficoltà fronteggiate dai palestinesi sotto l’occupazione israeliana.

Egli ha riferito ad Al Jazeera che la sua presenza londinese sarebbe stato “l’evento più importante del tour per il mio libro”.

È un momento in cui l’atmosfera nel Regno Unito è [politicamente] molto ostile a espressioni di simpatia per i palestinesi,” ha detto Thrall.

Lo scrittore, i cui eventi americani per il libro sono stati anch’essi cancellati, ha aggiunto: “Ovviamente non volevo tenere un evento se c’era veramente un problema di sicurezza,” ma si è chiesto se “gli incontri centrati su un libro filoisraeliano avrebbero sollevato le stesse preoccupazioni sulla sicurezza”.

Dopo quasi due mesi di cancellazioni e condanne, gli artisti palestinesi in Europa vedono un futuro incerto.

Essere un artista è già così precario,” ha detto Alsharif. “Come è possibile [che si possano] punire in campo culturale le opinioni politiche personali su qualcosa?

Questo è un precedente molto pericoloso. E se non prendi posizione significa che tutto [ciò che dici o fai] può essere controllato per vedere se rientra nell’ambito del pensiero dominante.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Storia della Brigata ebraica. Gli ebrei della Palestina che combatterono in Italia nella Seconda guerra mondiale,

G.Fantoni 

Einaudi, Torino, 2022.

25 aprile 2022, Recensione di Amedeo Rossi

Dopo la pausa forzata dovuta all’epidemia di COVID-19, è ripresa come ogni anno la polemica relativa alla presenza di bandiere palestinesi e di quelle israeliane durante le commemorazioni del 25 aprile, anche se questa volta messe in ombra dalle contestazioni dalle bandiere NATO.

Pubblicato nel gennaio scorso, questo libro rappresenta probabilmente il saggio più completo ed aggiornato sull’argomento e aiuta a fare chiarezza su una serie di questioni non esclusivamente accademiche. Il saggio è diviso in due parti: la prima ricostruisce le varie vicende che portarono alla costituzione della brigata e partecipazione ad alcuni eventi bellici in Italia, nonché le sue attività successive nel nostro Paese e in Austria e Belgio; la seconda si occupa delle ragioni per cui in Italia questa vicenda ha provocato un accanito dibattito e tante polemiche.

Uno dei motivi del lungo oblio che ne ha oscurato la memoria è dovuto alla consistenza numerica (4.000 militari) e il fatto che partecipò alla campagna d’Italia quando ormai le truppe tedesche erano in ritirata. Essa combatté sostanzialmente in due scontri, in Romagna e poi in Emilia, mentre per il resto il suo apporto fu assolutamente trascurabile. Dopo la fine della guerra si dedicò all’assistenza ai profughi ebrei sopravvissuti alle persecuzioni e al tentativo di portare quelli atti alle armi in Palestina per ridurre il divario demografico rispetto alla popolazione arabo-palestinese. Alcuni componenti della brigata furono protagonisti di vendette contro ex-SS e anche civili tedeschi per le terribili sofferenze e le stragi perpetrate dai nazisti a danno degli ebrei.

La parte più interessante e significativa del libro è però la seconda. A parere di Fantoni si tratta di un tipico caso di uso politico della storia: “La Brigata ebraica serviva infatti a rilanciare la storiografia israeliana classica, essenzialmente basata su una lettura sionista della storia del mandato [britannico] palestinese e della fondazione di Israele.”

Questo recupero della memoria della Brigata, ricorda l’autore, è avvenuto prima in area anglosassone, tuttavia è in Italia che ha avuto le maggiori ripercussioni nel dibattito pubblico, in primo luogo per ragioni interne. La fine della Prima Repubblica ha dato il via ad un “uso sfacciato della storia nell’agone politico” sottolinea. Basti pensare alle varie commemorazioni che hanno ridefinito le occasioni di celebrazione ridefinendo il nostro passato, ultima ma non meno problematica l’istituzione della “Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino”, il 26 gennaio di ogni anno, in ricordo della battaglia di Nikolajewka.

Le polemiche sulla Brigata ebraica si inquadrano in questo contesto. La destra, vecchia e nuova, intende evitare le accuse di antisemitismo legate alla storia del fascismo e indicare come suo principale, se non esclusivo, torto le leggi razziali. La “sinistra” vede nell’appoggio a Israele e alla sua narrazione l’opportunità di ribadire l’appartenenza al blocco occidentale.

Anche Israele ha tutto l’interesse a utilizzare la memoria della Brigata ebraica. Sottolineando la partecipazione sionista alla lotta contro il nazi-fascismo ribadisce la propria collocazione nel campo delle democrazie occidentali, e nel contempo intende sottolineare il presunto filo-fascismo e filo-nazismo degli arabi in generale e dei palestinesi in particolare.

In Italia, ricorda Fantoni, la questione della Brigata ebraica è diventata fonte di polemiche a partire dal 2004, quando era ormai evidente il fallimento del cosiddetto processo di pace (gli accordi di Oslo) Era necessario far dimenticare alla comunità internazionale il fatto che in quei 10 anni la colonizzazione dei territori occupati, la ragione principale del fallimento di Oslo, era continuata. Nel contempo le opere dei nuovi storici israeliani avevano iniziato a demolire tutti i miti fondativi del cosiddetto Stato ebraico costruiti dalla narrazione sionista. Sostenere che l’avversione degli arabi, e dei palestinesi in particolare, non era dovuta alla pulizia etnica, alla colonizzazione, all’oppressione ma all’antisemitismo intrinseco alla loro mentalità e alla religione islamica era funzionale a ribaltare le possibili critiche. Ciò sollevava Israele da ogni responsabilità, ed anzi lo legittimava a resistere. Da qui l’insistenza di storici e politici sionisti sul legame tra Hitler e Mohammed Amin al-Husseini, il Gran Muftí di Gerusalemme, indicato come l’unico rappresentante politico dei palestinesi.

Il libro di Fantoni confuta in modo dettagliato non solo queste affermazioni palesemente false, ma anche l’effettiva rappresentatività di Husseini rispetto al mondo politico palestinese dell’epoca, ricordando anche che molti arabo-palestinesi combatterono nelle file degli eserciti alleati. Lo stesso Ben-Gurion ebbe il coraggio di ammettere: “Ci sono stati l’antisemitismo, i nazisti, Hitler, Auschwitz, ma loro [i palestinesi] in questo cosa c’entravano? Essi vedono una sola cosa: siamo venuti e abbiamo rubato il loro paese. Perché dovrebbero accettarlo?” Un altro elemento che viene sollevato a sfavore dei palestinesi, afferma giustamente l’autore, è il fatto che sono in maggioranza musulmani, e quindi stigmatizzati in quanto tali.

Oltre a ribadire la scarsa importanza di un personaggio ambiguo e screditato come il Gran Muftí, Fantoni accenna alle simpatie di Jabotinsky e di altri dirigenti della destra sionista nei confronti di Mussolini. È un riferimento che sarebbe stato utile approfondire, in quanto i rapporti tra i capi sionisti sia di destra che di “sinistra” con fascismo e nazismo furono tutt’altro che cristallini. Ad esempio essi non interruppero mai i rapporti economici con la Germania nazista, e Jabotinsky non si limitò a “esprimere in alcune lettere ammirazione per il fascismo italiano”, ma arrivò ad incolpare delle leggi razziali le attività degli ebrei antifascisti.

In conclusione, riguardo allo specifico problema delle polemiche che accompagnano le celebrazioni del 25 aprile, Fantoni sostiene una posizione in parte condivisibile: da anni si assiste ad un attacco condotto sia dalla destra che dal centro-sinistra nei confronti di questa ricorrenza e dell’ANPI. A suo parere la soluzione sarebbe non alimentare ulteriori polemiche, limitandosi a salvaguardare la memoria dei combattenti che liberarono il nostro Paese dalla dittatura, per “disinnescare una polemica che contribuisce a danneggiare un fronte antifascista già parecchio indebolito”. Quindi niente bandiere palestinesi o israeliane, ma neppure di altri Paesi che sono stati o sono protagonisti di una coraggiosa resistenza all’oppressione? Il punto m) dell’articolo 2 dello Statuto dell’ANPI cita tra gli scopi dell’associazione “dare aiuto e appoggio a tutti coloro che si battono, singolarmente o in associazione, per quei valori di libertà e di democrazia che sono stati fondamento della guerra partigiana e in essa hanno trovato la loro più alta espressione.” Se quella dei partigiani è una memoria viva è perché si perpetua in chi oggi combatte la stessa battaglia ovunque nel mondo e in chi con queste lotte solidarizza, non perché si rinnova con una ritualità puramente celebrativa. Per questo pare scontata quanto consolatoria la conclusione del libro: “Gli storici […] possono avere un ruolo importante per costruire un futuro di comprensione e di pace, in Palestina come altrove. Questo libro vuole essere un contributo in tale direzione.” Proprio la ricerca storica, compresi i nuovi storici israeliani, spesso citati nel libro, ha indicato chiaramente le responsabilità nel conflitto. Una parte sempre più consistente dell’ebraismo, soprattutto negli USA, le sta riconoscendo. La differenza tra chi difende senza distinguo Israele e chi propugna invece gli ideali universalistici incarnati nella Resistenza italiana è stata a suo tempo sintetizzata efficacemente da Philip Wohlstetter, intellettuale ebreo statunitense: “Per [Elie] Wiesel era ‘mai più a noi’; per [Primo] Levi ‘mai più a nessuno’.”

Chi celebra insieme alla Liberazione le lotte attuali degli altri popoli non può che concordare con Primo Levi. Ed è su questa contrapposizione che si giocano le polemiche sulla presenza delle bandiere palestinesi o su quelle della Brigata ebraica alle manifestazioni del 25 aprile.




Il fango su Ken Loach e Jeremy Corbyn è il volto della nostra nuova politica tossica

Jonathan Cook

9 aprile 2020 Z Net Italy

Ken Loach, uno dei registi britannici più acclamati, ha passato più di mezzo secolo a mettere in scena il calvario dei poveri e dei vulnerabili. I suoi film hanno spesso presentato l’indifferenza casuale o l’attiva ostilità dello stato mentre esercita sulla gente comune un potere non chiamato a rispondere.

Il mese scorso Loach si è trovato gettato in una vicenda feroce che avrebbe potuto essere stata tratta direttamente da uno dei suoi film. Questo cronista veterano dei mali della società è stato costretto a dimettersi da giudice di un concorso scolastico antirazzista, accusato falsamente di razzismo lui stesso e senza mezzi per rimediare.

Voce degli inermi

Dovrebbero esserci pochi dubbi sulle credenziali di Loach sia come antirazzista, sia come caustico difensore degli inermi e dei denigrati.

Nei suoi film ha rivolto il suo sguardo risoluto su alcuni degli episodi più odiosi della repressione e della brutalità dello stato britannico in Irlanda, nonché su lotte storiche contro il fascismo in altre parti del globo, dalla Spagna al Nicaragua.

Ma la sua attenzione critica è stata concentrata principalmente sul vergognoso trattamento della Gran Bretagna dei suoi stessi poveri, delle sue minoranze e dei suoi rifugiati. Nel suo recente film I, Daniel Blake ha esaminato l’insensibilità della burocrazia statale nell’attuare politica di austerità, mentre l’uscita di quest’anno di Sorry We Missed You si è concentrata sulle vite precarie di una forza lavoro a zero ore costretta a scegliere tra la necessità di lavorare e la responsabilità della famiglia.

Inevitabilmente, questi studi aspri della disfunzione sociale e politica britannica – esposta in modo ancor più feroce dall’attuale pandemia del coronavirus – significano che Loach è onorato molto meno in patria che nel resto del mondo, dove i suoi film ricevono regolarmente premi.

Il che può spiegare perché le straordinarie accuse di razzismo contro di lui – o più specificamente di antisemitismo – non sono state più diffusamente denunciate come maligne.

Campagna di denigrazione

Dal momento in cui è stato annunciato a febbraio che Loach e Michael Rosen, un famoso poeta di sinistra per bambini, dovevano giudicare un concorso artistico per le scuole contro il razzismo, la coppia ha subito una campagna di denigrazione incessante e di alto profilo. Ma considerato il fatto che Rosen è ebreo, a fare le spese dell’attacco è stato Loach.

L’organizzazione del premio, ‘Show Racism the Red Card’ [Mostra il cartellino rosso al razzismo], che inizialmente aveva rifiutato di capitolare al bullismo, si è trovata rapidamente a subire minacce al suo status di associazione di beneficenza e alla sua opera di sradicamento del razzismo dal calcio.

In una dichiarazione la società di produzione di Loach, Sixteen Films, ha affermato che Show Racism the Red Card era stata “oggetto di una campagna aggressiva per convincere sindacati, dipartimenti governativi, squadre di calcio e politici a smettere di finanziare o di sostenere in altro modo l’associazione di beneficenza e il suo lavoro”.

“Pressioni dietro le quinte” sono state esercitate dal governo e da squadre di calcio che hanno cominciato a minacciare di tagliare i legami con l’associazione di beneficenza.

Più di duecento figure di spicco dello sport, dell’accademia e delle arti, si erano schierate a difesa di Loach, ha segnalato Sixteen Films, ma era presto in gioco “l’esistenza stessa” dell’associazione di beneficenza. Di fronte a questo continuo attacco Loach ha accettato di dimettersi il 18 marzo.

Questa non è stata una protesta comune, bensì una organizzata con feroce efficienza che ha trovato rapidamente orecchie favorevoli nei corridoi del potere.

Lobby israeliana in stile statunitense

A guidare la campagna contro Loach e Rosen sono stati il Consiglio dei Deputati degli Ebrei Britannici e il Movimento Laburista Ebreo [JLM], due gruppi con cui molti a sinistra hanno familiarità.

Hanno lavorato in precedenza all’interno e all’esterno del Partito Laburista per contribuire a indebolire Jeremy Corbyn, il suo leader eletto. Corbyn si è dimesso questo mese per essere sostituito da Keir Starmer, il suo ex ministro della Brexit, dopo aver perso elezioni generali a dicembre contro il Partito Conservatore al governo.

Sforzi clandestini e di lungo corso del Movimento Laburista Ebreo per deporre Corbyn sono stati rivelati due anni fa in un’inchiesta sotto copertura filmata da Al-Jazeera.

Il JLM è piccolo gruppo lobbistico, fortemente filoisraeliano affiliato al Partito Laburista, mentre il Consiglio dei Deputati afferma falsamente di rappresentare la comunità ebrea britannica quando in realtà opera da lobby per gli elementi più conservatori di essa.

Echeggiando la loro più recente campagna contro Loach, i due gruppi hanno regolarmente accusato Corbyn di antisemitismo e di presiedere quello che hanno definito un Partito Laburista “istituzionalmente antisemita”. Pur attirando molta attenzione mediatica acritica alle loro affermazioni, nessuna delle due organizzazioni ha prodotto una qualsiasi prova se non aneddotica.

Il motivo di queste campagne di denigrazione è stato scarsamente celato. Loach e Corbyn hanno condiviso una lunga storia di difensori appassionati dei diritti dei palestinesi in un tempo in cui Israele sta intensificando gli sforzi per estinguere qualsiasi speranza che i palestinesi ottengano mai la condizione di stato o un diritto all’autodeterminazione.

In anni recenti il Consiglio dei Deputati e il Movimento Laburista Ebreo hanno adottato le tattiche di una lobby in stile statunitense decisi a cancellare le critiche di Israele dalla sfera pubblica. Non per caso, quanto peggiore è cresciuta la violenza di Israele contro i palestinesi, tanto più intensamente questi gruppi hanno reso difficile parlare di giustizia per i palestinesi.

Starmer, il successore di Corbyn, si è scomodato a placare la lobby durante la campagna del mese scorso per la direzione del Partito Laburista, allegramente rendendo una cosa sola la critica di Israele e l’antisemitismo, per evitare uno scontro simile. La sua vittoria è stata apprezzata sia dal Consiglio sia dal JLM.

Diffamazione

Ma il trattamento riservato a Ken Loach dimostra che l’uso dell’antisemitismo come arma è lungi dall’essere terminato, e continuerà contro critici di spicco di Israele. E’ una spada pendente su futuri leader laburisti, che li costringe a sradicare i membri del partito che persistono nell’evidenziare o l’intensificazione israeliana della violenza contro i palestinesi o il ruolo nefasto di gruppi lobbistici filoisraeliani quali il Consiglio e il JLM.

Le basi per le accuse contro Loach erano, al meglio, inconsistenti, radicate in una logica circolare che è divenuta ultimamente la norma nel giudicare presunti esempi di antisemitismo.

Il reato di Loach secondo il Consiglio dei Deputati e il Movimento Laburista Ebreo è consistito nell’aver negato – coerentemente con tutti i dati – che il Partito Laburista sia istituzionalmente antisemita.

La richiesta di prove a sostegno delle affermazioni fatte da questi due organismi che il Partito Laburista abbia una crisi di antisemitismo è ora trattata anch’essa come prova di antisemitismo, trasformandola nell’equivalente della negazione dell’Olocausto.

Ma quando Show Racism the Red Card ha inizialmente mantenuto la posizione contro le calunnie, il Consiglio e il Movimento Laburista Ebreo hanno prodotto un’accusa successiva. L’associazione di beneficenza antirazzista è risultata usarla come pretesto per tirarsi fuori dai guai montanti associati a sostenere Loach.

La nuova affermazione contro Loach è consistita non tanto in una diffamazione quanto in una diffamazione mediante tenue associazione.

Il Consiglio e il Movimento Laburista Ebreo hanno sollevato il fatto irrilevante che un anno fa Loach ha risposto a una e-mail di un membro del sindacato GMB che era stato espulso.

Peter Gregson aveva chiesto la valutazione professionale di Loach di un video in cui accusava il sindacato di averlo perseguitato per la sua opposizione a una nuova definizione consultiva dell’antisemitismo da parte dell’Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto (IHRA) che parifica apertamente l’antisemitismo con la critica di Israele.

La definizione dell’IHRA è stata propinata al Partito Laburista due anni fa dagli stessi gruppi – il Movimento Laburista Ebreo e il Consiglio dei Deputati – in larga misura come modo per isolare Corbyn. C’era stata una gran quantità di opposizione da parte dei membri della base.

Opposizione alla nuova definizione

Al gruppo lobbistico filoisraeliano è piaciuta questa nuova definizione – sette dei suoi esempi di antisemitismo si riferiscono a Israele, non agli ebrei – perché rendeva impossibile a Corbyn e ai suoi sostenitori criticare Israele senza finire sotto la forca mediante affermazioni che erano antisemiti nel farlo.

Loach è stato tra i molti sostenitori di Corbyn a tentare di opporsi all’imposizione della definizione dell’IHRA. Così non è stata certo una sorpresa, considerate le affermazioni di Gregson e i paralleli della sua vicenda con molte altre che Loach ha documentato per decenni, che il regista avesse risposto, offrendo la sua opinione critica del video.

Solo in seguito è stato raccontato a Loach che c’erano problemi separati riguardo al comportamento di Gregson, tra cui un’accusa che si era scontrato con un membro ebreo del sindacato. Loach ha preso le distanze da Gregson e appoggiato la decisione del GMB.

Ciò avrebbe dovuto dire la parola fine alla vicenda. Loach è una figura pubblica che considera parte del suo ruolo coinvolgersi con persone comuni bisognose d’aiuto; nulla di meno, considerate le sue idee politiche, lo renderebbe un ipocrita. Ma non è onnisciente. Non può conoscere il passato di ogni individuo che gli attraversa la strada. Non può controllare ogni persona prima di inviare una e-mail.

Sarebbe sciocco, tuttavia, prendere alla lettera le manifestazioni di preoccupazione a proposito di Loach del Consiglio e del Movimento Laburista Ebreo. Di fatto la loro opposizione a lui è relativa a un dissenso molto più fondamentale circa che cosa possa o non possa essere detto riguardo a Israele, un dissenso su cui la definizione dell’IHRA serve da cruciale campo di battaglia.

Discorso tossico

I loro attacchi evidenziano un discorso sempre più, e intenzionalmente, tossico a proposito dell’antisemitismo che oggi domina la vita pubblica britannica. Attraverso la recente pubblicazione dei suoi cosiddetti dieci impegni, il Consiglio dei Deputati ha richiesto a tutti i futuri leader laburisti di accettare questo stesso discorso tossico o subire il destino di Corbyn.

Non è una coincidenza che il caso di Loach abbia echi così forti della persecuzione pubblica di Corbyn.

Entrambi sono figure pubbliche rare che hanno dedicato per molti decenni il loro tempo e le loro energie a schierarsi dalla parte dei deboli contro i forti, difendendo i meno in grado di difendersi da soli.

Entrambi sono sopravvissuti di una generazione che sta svanendo di attivisti politici e intellettuali che continuano a promuovere la tradizione di una lotta di classe manifesta, basata su diritti universale, anziché sulla politica più alla moda, ma fortemente divisiva, dell’identità e delle guerre culturali.

Loach e Corbyn sono i rimasti di una sinistra britannica postbellica le cui ispirazioni erano molto diversa da quelle del centro e della destra politica, e dalle influenze su molti giovani di oggi.

Lotta contro il fascismo

In patria sono stati ispirati dalle lotte antifasciste dei loro genitori negli anni Trenta con le Camice Brune di Oswald Moseley, quali la Battaglia di Cable Street. E in gioventù sono stati incoraggiati dalla solidarietà di classe che costruì un Servizio Sanitario Nazionale dagli anni Quaranta in poi, che per la prima volta forniva assistenza sanitaria uguale per tutti nel Regno Unito.

All’estero furono galvanizzati dalla lotta popolare, estesa in tutto il pianeta, contro il razzismo istituzionale dell’apartheid in Sudafrica, una lotta che gradualmente erose il sostegno dei governi occidentali al regime bianco. E sono stati in prima linea nell’ultima grande mobilitazione politica di massa contro le menzogne ufficiali che giustificavano la guerra di aggressione di USA-Regno Unito contro l’Iraq nel 2003.

Ma come la maggior parte di questa sinistra morente sono perseguitati dal maggior fallimento della solidarietà internazionale della loro generazione. Le loro proteste non hanno fatto finire i molti decenni di oppressione coloniale sofferti dal popolo palestinese e patrocinati dagli stessi stati occidentali che un tempo erano schierati con il Sudafrica dell’apartheid.

I paralleli tra questi due progetti coloniali d’insediamento appoggiati dall’occidente, in gran parte oscurati da politici e da media britannici, sono estremi e inquietanti per loro.

Purga della politica di classe

La demonizzazione di Loach e Corbyn quali antisemiti – e gli sforzi paralleli attraverso l’Atlantico di zittire Bernie Sanders (resi più complicati dal suo essere ebreo) – sono prova di una purga pubblica finale da parte delle dirigenze politiche e mediatiche occidentali di questo tipo di coscienza di classe della vecchia scuola.

Attivisti come Loach e Corbyn vogliono una resa dei conti storica per l’interferenza coloniale dell’occidente in altre parti del mondo, tra cui l’eredità catastrofica da cui i cosiddetti “migranti” stanno fuggendo oggi.

E’ stato l’occidente che ha saccheggiato per secoli suoli stranieri, poi armato i dittatori che avrebbero portato l’indipendenza a quelle ex colonie e oggi invadono o attaccano quelle stesse società in falsi “interventi umanitari”.

Analogamente la lotta internazionalista, su basi classe, di Loach e Corbyn rigetta una politica identitaria che, anziché riconoscere la lunga storia di crimini commessi dall’occidente contro donne, minoranze e profughi, incanala le energie degli emarginati in una competizione per chi possa avere il permesso di sedere al massimo tavolo con una élite bianca.

E’ precisamente questo genere di falsa coscienza che conduce ai festeggiamenti delle donne quando dirigono il complesso militare-industriale, o all’eccitazione per un nero che diventa presidente degli Stati Uniti sono per usare il suo potere per fissare nuovi record di assassinii extragiudiziali all’estero e di repressione del dissenso politico in patria.

L’attivismo di base di Loach e Corbyn è l’antitesi di una politica moderna in cui le imprese usano la loro enorme ricchezza per condizionare e comprare politici, che a loro volta usano i loro propagandisti per controllare il discorso pubblico attraverso media industriali fortemente di parte e favorevoli.

Preoccupazione ipocrita

Il Consiglio dei Deputati e il Movimento Laburista Ebreo sono fortemente radicati in quest’ultimo tipo di politica, sfruttando un’identità politica per conquistare un posto al massimo tavolo e poi usarlo per il lobbismo a favore della loro causa scelta di Israele.

Se questo sembra scorretto, si ricordi che mentre il Consiglio e il Movimento Laburista Ebreo hanno martellato su una presunta crisi di antisemitismo a sinistra definita principalmente in termini di ostilità a Israele, la destra e l’estrema destra anno ricevuto un lasciapassare per attizzare livelli sempre maggiori di nazionalismo e razzismo bianco contro minoranze.

Queste due organizzazioni hanno non solo deviato lo sguardo dall’ascesa della destra nazionalista – che è ora inserita nel governo britannico – ma si sono schierate dalla sua parte.

In particolare i leader del Consiglio – nonché il rabbino capo Ephraim Mirvis, che ha pubblicamente oltraggiato Corbyn come antisemita giorni prima delle elezioni generali dell’anno scorso – si sono a malapena presi la briga di celare il loro sostegno al governo Conservatore e al primo ministro Boris Johnson.

Le loro manifestazioni di preoccupazione per il razzismo e i loro attacchi allo status di associazione di beneficenza di Show Racism the Red Card sono tanto più ipocrite, considerato i loro precedenti di sostegno del razzismo.

Entrambi i gruppi hanno ripetutamente appoggiato Israele nelle sue violazioni dei diritti umani e nei suoi attacchi contro i palestinesi, compreso l’impiego israeliano di cecchini per abbattere uomini, donne e bambini in protesta contro più di un decennio di strangolamento di Gaza con un blocco.

Le due organizzazioni sono rimaste studiatamente in silenzio riguardo alla politica razzista israeliana di consentire a squadre di calcio degli insediamenti ebrei illegali nella West Bank di partecipare alla lega calcio in violazione delle regole della FIFA.

E hanno appoggiato anche lo status di associazione di beneficenza del Fondo Nazionale Ebreo nel Regno Unito, anche se finanzia progetti razzisti di insediamento e i programmi di rimboschimento che sono mirati a cacciare palestinesi dalla loro terra.

La loro ipocrisia è sconfinata.

La verità capovolta

Il fatto che il Consiglio dei Deputati e il Movimento Laburista Ebreo siano stati in grado di esercitare una simile influenza contro Loach su accuse prive di qualsiasi prova indica quanto entusiasticamente la lobby israeliana sia stata integrata nel sistema britannico e ne serva i propositi.

Israele è un pilastro di un’alleanza militare occidentale informale desiderosa di proiettare il proprio potere nel Medio Oriente ricco di petrolio. Israele esporta la sua tecnologia oppressiva e i suoi sistemi di sorveglianza, affinati nel dominare sui palestinesi, a stati occidentali affamati di sistemi di controllo più sofisticati. E Israele ha contribuito a fare a pezzi le regole internazionali radicando la sua occupazione, oltre che aprendo la strada alla legittimazione della tortura e delle esecuzioni extragiudiziali, oggi perni della politica estera statunitense.

Il posto centrale di Israele in questa matrice di potere è raramente discusso, perché le dirigenze occidentali non hanno interesse a vedere rivelati la loro malafede e i loro doppi metri.

Il Consiglio e il Movimento Laburista Ebreo stanno aiutando a controllare e imporre tale silenzio su Israele, un alleato chiave dell’occidente. In stile realmente orwelliano stanno capovolgendo l’accusa di razzismo, usandola contro i nostri più eminenti e più risoluti antirazzisti.

E meglio ancora per le dirigenze occidentali, figure come Loach e Corbyn  –  veterani della lotta di classe che hanno trascorso decenni immersi nella lotta per costruire una società migliore – sono ora costretti all’oblio sull’incudine della politica identitaria.

Se a questa perversione del nostro discorso democratico sarà consentito di proseguire, le nostre società saranno condannate e divenire luoghi più orrendi, più divisi e divisivi.

Questo articolo è apparso inizialmente sul blog di Jonathan Cook: https://www.jonathan-cook.net/blog/

Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il Giornalismo. I suoi libri includono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” (Pluto Press) e “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net