Nuovi rapporti confermano mesi di torture, abusi e violenze sessuali da parte di Israele contro i prigionieri palestinesi

Yumna Patel

27 febbraio 2027 Mondoweiss

Per mesi i prigionieri palestinesi hanno dato testimonianze di torture per mano delle autorità militari e carcerarie israeliane. Nuovi rapporti fanno luce sugli abusi perpetrati all’interno dei centri di detenzione israeliani, in particolare sulla violenza sessuale.

La settimana scorsa sono apparsi due nuovi rapporti riguardanti la tortura e il crudele trattamento dei palestinesi nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani dopo il 7 ottobre, comprese testimonianze di violenza sessuale contro donne e ragazze palestinesi. I rapporti hanno rinnovato il dibattito sulle dure condizioni dei palestinesi prigionieri in Israele, sulle quali gli stessi detenuti palestinesi e alcune associazioni per i diritti umani lanciano l’allarme da mesi.

Il 19 febbraio esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno espresso il loro allarme per quelle che hanno descritto come “vergognose violazioni dei diritti umani” perpetrate dalle forze israeliane contro donne e ragazze palestinesi a Gaza. Oltre alle esecuzioni extragiudiziali e arbitrarie di donne e bambini a Gaza, gli esperti delle Nazioni Unite hanno sottolineato il trattamento delle detenute palestinesi nelle carceri israeliane.

Secondo quanto riferito, molte sono state sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, sono state private di assorbenti mestruali, cibo e medicine e sono state duramente picchiate. In almeno un’occasione, le donne palestinesi detenute a Gaza sarebbero state tenute in gabbia sotto la pioggia e al freddo, senza cibo”, si legge nella nota.

Siamo particolarmente angosciati dalle notizie secondo cui le donne e le ragazze palestinesi in detenzione sono state sottoposte anche a molteplici forme di violenza sessuale, come essere spogliate nude e perquisite da ufficiali maschi dell’esercito israeliano. Almeno due detenute palestinesi sarebbero state violentate, mentre altre sarebbero state minacciate di stupro e violenza sessuale”, hanno detto gli esperti, aggiungendo che foto di detenute palestinesi in “circostanze degradanti” sarebbero state scattate dall’esercito israeliano e caricate online.

Nel loro insieme, questi presunti atti possono costituire gravi violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario, e rappresentare crimini gravi ai sensi del diritto penale internazionale che potrebbero essere perseguiti ai sensi dello Statuto di Roma”, hanno detto gli esperti. “I responsabili di questi presunti crimini devono essere incriminati e le vittime e le loro famiglie hanno diritto a pieno risarcimento e giustizia”, hanno aggiunto.

Lo stesso giorno delle dichiarazioni degli esperti delle Nazioni Unite, Physicians for Human Rights Israel (PHRI, Medici per i Diritti Umani di Israele) ha pubblicato un rapporto di 41 pagine sulla condizione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane dal 7 ottobre, che l’organizzazione ha detto essere diventate “un apparato di vendetta e punizione.”

Il rapporto PHRI descrive nel dettaglio le estese violazioni dei diritti dei prigionieri da parte del Servizio penitenziario israeliano (IPS) e di altri organismi di sicurezza israeliani a partire dal 7 ottobre, compreso l’isolamento dei prigionieri dal mondo esterno, la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria, la negazione della luce del giorno o dell’ora d’aria e il sovraffollamento delle celle prive di arredi e risorse di base come materassi e coperte, nonché di acqua ed elettricità.

Oltre a tali condizioni, il PHRI descrive nel dettaglio anche il “trattamento crudele, inumano e degradante” dei prigionieri, comprese le molestie sessuali e la violenza. “In decine di casi… le guardie sono entrate in uno o due alla volta nelle celle e hanno picchiato brutalmente [i prigionieri] con i manganelli… le persone in carcere hanno anche riferito di aggressioni fisiche che includevano pugni, schiaffi e calci quando uscivano dalle loro celle o mentre venivano trasferiti in un’altra struttura, anche contro persone malate e disabili”, afferma il rapporto PHRI.

Persone entrate di recente in detenzione hanno raccontato che le guardie dell’IPS li hanno costretti a baciare la bandiera israeliana e chi si rifiutava veniva violentemente aggredito”.

Similmente a decine di rapporti redatti in precedenza da associazioni per i diritti dei prigionieri palestinesi e da esperti in diritti umani, il rapporto PHRI sottolinea che i modelli di abuso e tortura indicano che “non si tratta di episodi isolati di guardie ribelli, ma di modelli di violenza sistematica”.

Dopo il 7 ottobre vengono alla luce gli abusi

All’indomani degli attacchi di Hamas del 7 ottobre, mentre Israele iniziava la sua campagna militare su Gaza, un’altra campagna è partita nella Cisgiordania occupata. I raid militari israeliani, consueti eventi notturni nel territorio, sono diventati molto più frequenti.

Nel giro di poche settimane migliaia di palestinesi, compresi i lavoratori giornalieri di Gaza intrappolati [in Israele], sono stati arrestati nel cuore della notte. Con la stessa rapidità con cui la popolazione carceraria ha cominciato ad aumentare, hanno cominciato ad arrivare le testimonianze dei palestinesi di soldati israeliani violenti che picchiavano i fermati e le loro famiglie e saccheggiavano le case.

Allo stesso tempo ha iniziato ad emergere una tendenza inquietante. Sui social media hanno iniziato a circolare video e foto che mostravano le forze israeliane sottoporre detenuti palestinesi ad abusi fisici, sessuali e verbali. Le riprese sono state filmate e pubblicate online con orgoglio dagli stessi soldati.

Il 31 ottobre uno dei primi video di questo tipo ha iniziato a circolare sui social media.

Mostrava un gruppo di uomini palestinesi distesi a terra, bendati con mani e piedi legati, molti dei quali parzialmente o completamente nudi. Gli uomini venivano portati in giro, presi a calci e picchiati da soldati militari israeliani in uniforme. Alcuni uomini piangevano di dolore, altri giacevano inerti, i corpi nudi ammucchiati uno sopra l’altro.

L’allarmante video ha provocato un’onda d’indignazione all’interno della comunità palestinese. Molti utenti online hanno paragonato le scene inquietanti alle famigerate foto dei corpi ammucchiati dei prigionieri iracheni torturati dalle forze armate statunitensi nella prigione di Abu Ghraib in Iraq quasi 20 anni fa.

Sono emerse voci contrastanti su dove siano avvenute le torture: alcuni indicavano che avessero avuto luogo nella Cisgiordania occupata, mentre altri dicevano che fossero scene di palestinesi detenuti nelle aree fuori dalla Striscia di Gaza. Mondoweiss non ha potuto verificare il luogo esatto dei fatti. Tuttavia, due associazioni per i diritti dei prigionieri hanno verificato che si tratta di un video autentico, girato in Cisgiordania dopo il 7 ottobre.

Secondo quanto riportato dai media israeliani, gli uomini palestinesi torturati erano lavoratori della Cisgiordania arrestati nella zona delle colline a sud di Hebron dopo aver presumibilmente tentato di entrare in Israele senza permesso.

In una rara ammissione di colpa l’esercito israeliano ha affermato di stare indagando sull’incidente, dichiarando: “la condotta [dei soldati] che emerge da queste scene è grave e non corrisponde ai valori dell’IDF”.

Ma la montagna di prove di torture, abusi e molestie nei confronti dei detenuti palestinesi per mano delle forze israeliane accumulata negli ultimi mesi continua a contraddire chiaramente le dichiarazioni dell’esercito israeliano sui suoi “valori” e sulla moralità dei suoi soldati. .

Secondo gli ultimi dati di Addameer, un’organizzazione per i diritti dei prigionieri palestinesi con sede a Ramallah dal 7 ottobre, l’esercito israeliano ha rastrellato e arrestato più di 6.000 palestinesi.

Video e denunce di abusi fisici e torture hanno cominciato ad emergere già alla fine di ottobre ma le denunce non sono cessate e hanno continuato ad accumularsi sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza. Mentre un gran numero di palestinesi vengono sottoposti a detenzione arbitraria, coloro che sono potuti uscire hanno condiviso varie testimonianze di derisioni e molestie sino alle percosse fisiche e alle aggressioni sessuali.

Dal 7 ottobre almeno otto prigionieri palestinesi sono morti nelle carceri israeliane. Le associazioni per i diritti umani sospettano fortemente che si tratti di crimini, anche se è impossibile confermarlo poiché Israele si rifiuta di rilasciare i loro corpi.

Questo è il momento più pericoloso e violento degli ultimi anni per essere arrestati in Cisgiordania”, ha detto a Mondoweiss Abdullah al-Zghari, portavoce dell’Associazione dei prigionieri palestinesi. “Loro [Israele] stanno arrestando tutti, persone di età diverse, giovani e anziani, bambini, donne, ragazze, ex prigionieri, tutti”.

È evidente dal modo in cui arrestano le persone, dal tipo di aggressioni e abusi a cui abbiamo assistito, che questa è una campagna di vendetta”, ha detto al-Zghari.

Stanno portando avanti la loro vendetta per quanto accaduto il 7 ottobre”.

In un rapporto approfondito di gennaio, Addameer ha dipinto un quadro simile, affermando che gli arresti di massa e l’intensificarsi della brutalità contro i prigionieri palestinesi in risposta ad atti di resistenza palestinese sono tattiche comuni utilizzate da Israele fin dall’inizio della sua occupazione.

Con il tempo, l’intensità della brutalità e degli arresti non fa che aumentare come forma di

punizione e come modo per sopprimere la resistenza, con l’obiettivo di controllare tutti gli aspetti della vita palestinese e punire un’intera società”, ha affermato Addameer.

Arresto arbitrario e abusi: “Sono stato picchiato per cent’anni della mia vita”

Comune a tutti i resoconti sulla campagna di arresti e incarcerazioni di massa di Israele delle organizzazioni per i diritti umani è la natura del tutto arbitraria con cui i palestinesi vengono presi di mira, arrestati e maltrattati.

Mentre Israele considera tutti i palestinesi sotto detenzione come “prigionieri di sicurezza”, quasi 3.500 dei circa 9.000 prigionieri sono detenuti nelle carceri israeliane senza essere mai stati accusati di un crimine o sottoposti a processo. Quel numero comprende persone comuni nonché attivisti, giornalisti e operatori per i diritti umani.

Altre centinaia di palestinesi arrestati ma poi rilasciati hanno raccontato di essere stati arbitrariamente fermati ai posti di blocco e successivamente arrestati e maltrattati fisicamente e verbalmente.

Questo è il caso del diciannovenne Mahmoud Dweik, un adolescente palestinese della città di Hebron nel sud della Cisgiordania occupata.

Il 4 novembre Dweik era in giro con i suoi amici per Hebron quando una jeep militare israeliana ha fermato la loro macchina. I soldati israeliani hanno iniziato a perquisire il veicolo e i telefoni dei ragazzi.

La perquisizione dei soldati ha portato alla luce prove sufficienti per arrestare i tre giovani: un bastone e un taglierino trovati in una cassetta degli attrezzi nel bagagliaio dell’auto e la foto di un posto di blocco israeliano sul telefono di Mahmoud, scattata più di un anno prima.

I soldati hanno poi portato Mahmoud e i suoi due amici in un accampamento militare in cima alla collina che domina la città di Hebron. E allora sono iniziate le violenze.

Circa 40 soldati, in gruppi, si sono alternati a picchiarci dall’inizio del nostro sequestro, dalle 19:00 fino alle 5 del mattino”, si legge in una testimonianza scritta da Mahmoud, condivisa con Mondoweiss da suo padre Badee. Il giovane adolescente l’ha descritta come una “festa di botte”.

“Sono stato picchiato [abbastanza] per cent’anni della mia vita”, ha detto Mahmoud, aggiungendo che i soldati hanno usato mani, piedi, fucili e bastoni per picchiare i ragazzi. Dopo circa otto ore di abusi i ragazzi sono stati portati in una stazione di polizia israeliana nell’insediamento illegale di Kiryat Arba, nel cuore della città vecchia di Hebron. I ragazzi hanno trascorso un’ora alla stazione di polizia prima di essere trasportati nuovamente al campo militare dove erano stati picchiati.

Abbiamo dormito per terra senza coperte o altro per proteggerci. Abbiamo semplicemente dormito all’aperto”, ha detto Mahmoud. Poche ore dopo, i ragazzi sono stati riportati alla stazione di polizia di Kiryat Arba. Ogni speranza di essere rilasciati e tornare a casa è stata delusa quando, poco dopo, i tre amici sono stati portati nella prigione militare di Ofer fuori Ramallah, nella Cisgiordania centrale.

Un viaggio che avrebbe dovuto durare due ore è stato tirato per le lunghe sino a più di 12 ore, ha detto Mahmoud, descrivendo il trasporto in “gabbie” all’interno di veicoli militari israeliani, dove stavano seduti su massacranti panche di ferro. Non è stato dato loro alcun cibo e l’acqua è stata fornita solo una volta.

Quando è arrivato in prigione è stato spogliato dei suoi vestiti e perquisito dalle guardie carcerarie, che lo hanno costretto a “piegarsi su e giù più volte con la faccia rivolta al muro”, ha detto Mahmoud.

Alla fine Mahmoud è stato accusato di “possesso di materiale sul telefono che minaccia la sicurezza dello Stato di Israele”. Il materiale in questione era la foto del posto di blocco militare che Mahmoud aveva scattato con il suo cellulare più di un anno e mezzo prima. Dopo 12 giorni di prigione, è stato rilasciato dietro pagamento di una cauzione di 1.000 shekel (250 euro).

Mahmoud dice di essere stato rilasciato a un posto di blocco vicino alla città di Ramallah nel cuore della notte senza telefono, con indosso solo i boxer e un paio di pantaloni da carcerato troppo grandi.

Grazie alla gentilezza di sconosciuti Mahmoud si è potuto vestire e prendere in prestito un telefono per chiamare suo cugino che viveva a Ramallah. Ha trascorso la notte a casa di suo cugino prima di tornare a Hebron il giorno successivo dove si è ricongiunto con i genitori.

“Sono stati i giorni più infernali della mia vita”, ha detto.

Di tendenza sui social media: i soldati documentano i propri abusi

Quando un palestinese viene arrestato dalle forze israeliane spesso passano diversi giorni prima che la sua famiglia venga a conoscenza di dove e in quali condizioni il congiunto è detenuto.

Questo rimane un dato di fatto, ma dal 7 ottobre sempre più famiglie palestinesi sono venute ad avere notizie dei loro cari attraverso i social media, imbattendosi in foto e video di membri della loro famiglia degradati, torturati e umiliati, registrati e pubblicati dai soldati israeliani.

Wajd Jawabreh, 33 anni, è madre di tre ragazze di età inferiore ai 10 anni e residente in un campo profughi nella zona di Betlemme. Il 31 ottobre Jawabreh era a casa e dormiva con suo marito, Khader Lutfi e le figlie, quando le forze israeliane hanno fatto irruzione in casa e arrestato suo marito.

Circa 30 minuti dopo il suo arresto a Wajd, già sconvolta, è stato inviato il link a un video sui social media. Ciò che ha visto è stato un colpo al cuore.

Nel video si vedeva suo marito, Khader, bendato e con le mani legate, in ginocchio davanti a un soldato israeliano, e si può sentire il soldato, che sembra essere quello che ha filmato il video, urlare imprecazioni a Khader, dicendo in arabo: “Buongiorno stronzo”, mentre gli dà un calcio nello stomaco.

Sono rimasta scioccata e sopraffatta. Mi ha spezzato il cuore. Non riuscivo a smettere di piangere”, ha detto Wajd a Mondoweiss a dicembre, più di un mese dopo l’arresto di Khader. “È davvero difficile vedere la persona con cui hai condiviso la vita in quelle condizioni.”

Wajd ha detto a Mondoweiss che il video è stato “girato con uno scopo”, ovvero umiliare suo marito, che è molto stimato nella loro comunità. “Da quando ho visto il video fino ad ora ho cercato di non lasciare che il video spezzasse la mia determinazione, perché è ciò che vuole l’occupazione”.

Il video di Khader è stato ampiamente diffuso sui social media, accumulando centinaia di migliaia di visualizzazioni. Wajd ha detto che ha cercato più di ogni altra cosa di assicurarsi che le sue figlie non lo vedessero mai, e che ogni nuova visione e condivisione del video la feriva ancora di più.

Non voglio che mio marito venga visto o ricordato in questo modo. Voglio che venga ricordato come la persona gentile e forte che è”, ha detto.

L’umiliazione e la vergogna che Wajd ha provato guardando il video di suo marito picchiato e umiliato sono proprio l’obiettivo di quei contenuti, dicono le associazioni per i diritti dei palestinesi.

Gli israeliani stanno cercando di umiliare i prigionieri e i detenuti dopo quello che è successo a Gaza [il 7 ottobre]. Li stanno mettendo alla prova in modi disgustosi, li spogliano dei loro vestiti, li picchiano nudi a terra, li rilasciano senza vestiti in modo che provino vergogna e umiliazione nelle loro comunità”, ha detto Abdullah al-Zghari a Mondoweiss.

Anche questo fa parte della tortura e della paura collettive instaurate dall’occupazione nella popolazione palestinese: far sì che le persone abbiano paura di essere arrestate. Questa è la prova di quanto ci disumanizzino e non ci considerino come esseri umani”, ha detto.

Torture e violenze sessuali nelle carceri

Se gli abusi sui detenuti palestinesi iniziano al momento dell’arresto, i rapporti delle associazioni per i diritti umani e degli stessi prigionieri indicano che alcune delle peggiori torture e maltrattamenti avvengono mentre i palestinesi sono chiusi nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani.

Testimonianze strazianti sono ripetutamente emerse da parte dei palestinesi di Gaza che sono stati imprigionati durante l’invasione di terra da parte di Israele, con i detenuti che hanno raccontato di essersi visti negare l’accesso al cibo, all’acqua e ai bagni. Video e foto hanno mostrato segni profondi e tagli sui polsi e le caviglie dei detenuti di Gaza rilasciati, che hanno affermato di essere stati legati per giorni senza alcun sollievo o riposo. In alcuni casi, secondo quanto riferito, le forze israeliane hanno utilizzato i cani dell’esercito per minacciare i detenuti.

A gennaio, durante una visita a Gaza, Ajith Sunghay, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha dichiarato di aver visitato un certo numero di detenuti palestinesi che erano stati detenuti “in luoghi sconosciuti” per un periodo compreso tra 30 e 55 giorni.

Hanno raccontato di essere stati picchiati, umiliati, sottoposti a maltrattamenti e a ciò che può costituire tortura. Hanno riferito di essere stati bendati per lunghi periodi, alcuni di loro per diversi giorni consecutivi”, ha detto Sunghay. “Un uomo ha detto di aver avuto accesso a una doccia solo una volta durante i 55 giorni di detenzione. Ci sono segnalazioni di uomini che sono stati successivamente rilasciati ma solo in mutande e senza indumenti adeguati per questo clima freddo”.

Si stima che circa 600 palestinesi di Gaza siano detenuti nelle carceri israeliane. Di contro altre centinaia sono trattenute nei campi di detenzione israeliani, anche se il numero esatto di quest’ultima categoria è sconosciuto. Nei campi di detenzione Haaretz ha riferito che i prigionieri dormono praticamente nudi ed esposti al rigido freddo invernale, sono costantemente bendati e sottoposti a continue torture quasi ad ogni ora del giorno.

Nel dicembre 2023, è stato riferito, un numero non dichiarato di detenuti di Gaza “è morto” all’interno dei campi di detenzione israeliani. Tali rapporti non includevano gli almeno altri otto palestinesi non originari di Gaza che sono morti nelle carceri israeliane dal 7 ottobre.

Mentre i prigionieri di Gaza stanno probabilmente affrontando torture e abusi estremi a causa della loro identità, pratiche simili di tortura e abusi di ogni tipo, inclusa la violenza sessuale, sono stati impiegati anche contro palestinesi provenienti da altre parti dei territori occupati che sono detenuti nelle carceri israeliane.

Citando un avvocato palestinese che ha visitato i detenuti palestinesi ogni settimana dal 7 ottobre Amnesty International ha affermato: “Ai detenuti palestinesi è stato negato il diritto all’attività fisica all’aperto e una delle forme di umiliazione a cui sono sottoposti durante il conteggio dei detenuti è di essere costretti a inginocchiarsi sul pavimento.”

L’avvocato Hassan Abadi ha aggiunto che ai palestinesi detenuti “sono stati confiscati e talvolta bruciati tutti gli effetti personali inclusi libri, diari, lettere, vestiti, cibo e altri oggetti. Le autorità carcerarie hanno confiscato gli assorbenti alle detenute palestinesi nel carcere di al-Damon”. Secondo Abadi, una cliente da lui difesa gli ha detto che quando è stata arrestata e bendata un ufficiale israeliano “l’ha minacciata di stupro”.

Nel suo rapporto di gennaio, Addameer ha dettagliato diversi casi di minacce sessuali e violenze da parte delle forze israeliane contro uomini e donne palestinesi in detenzione. L’associazione ha affermato che tale violenza è strutturalmente impiegata dall’occupazione israeliana che è “ben consapevole dello stigma nei confronti degli uomini e delle donne palestinesi e dell’importanza dell’integrità e dell’onore del loro corpo. Ciò è particolarmente importante nelle società arabe”.

Molte testimonianze provenienti da donne vittime includono aspetti di molestie sessuali, minacce di stupro e perquisizioni forzate delle donne all’interno delle carceri e spesso persino

davanti ai propri figli durante le intrusioni domestiche. Questi sono tutti metodi di coercizione attuati per far sentire le donne impotenti e dare all’occupazione un senso di controllo sulle donne e sul loro corpo. È un abuso di potere e di autorità e gioca sulla paura delle vittime”, ha affermato l’associazione.

Addameer ha segnalato il caso di un prigioniero maschio di Gerusalemme, denominato “O.J.” nel rapporto, il quale afferma di essere stato sottoposto ad una perquisizione durante la quale gli agenti israeliani “hanno accarezzato ripetutamente le sue parti intime con la scusa di una perquisizione approfondita. Una volta denudato lo avrebbero fatto sedere e alzarsi più volte. Inoltre, mentre era nudo e veniva perquisito, l’ambiente in cui era tenuto aveva finestre senza vetri, così che il vento freddo entrava nella stanza.”

In un altro caso documentato da Adammeer, le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di una donna a Gerusalemme, l’hanno minacciata di stupro, le hanno sputato in faccia e l’hanno costretta a spogliare del tutto la sua nipotina appena nata di due settimane.

Questi atti di costrizione di uomini e donne a denudarsi toccandoli in modo inappropriato con la scusa della perquisizione di sicurezza sono compiuti con l’intento di mettere in imbarazzo e molestare sessualmente uomini e donne palestinesi”, ha detto Addameer.

Nel rapporto di Medici per i Diritti Umani, un prigioniero di nome “A.G.” che è stato detenuto nella prigione israeliana di Ktzi’ot, ha detto che le forze speciali israeliane sono entrate nella loro cella e hanno picchiato tutti, urlando insulti sessualmente espliciti tra cui “voi puttane”, “vi scoperemo tutti”, “scoperemo le vostre sorelle e mogli”, ecc. A.G. è stato poi portato in un bagno dove le forze israeliane urinavano su di loro.

A.G. ha anche descritto dettagliatamente episodi di perquisizioni violente, in cui le guardie carcerarie “bloccavano insieme individui nudi e infilavano un dispositivo di ricerca in alluminio nelle natiche. In un caso, le guardie hanno fatto passare una tessera magnetica fra le natiche di una persona. Ciò è avvenuto davanti agli altri detenuti e alle guardie, che hanno espresso il loro divertimento”.

Con il pretesto della guerra a Gaza, il Ministero della Sicurezza Nazionale, il suo ministro e il Ministero della Difesa, con il sostegno attivo e passivo di altri membri e ministri della Knesset, hanno promosso abusi senza precedenti dei diritti dei palestinesi in custodia militare e in detenzione. ” conclude il rapporto PHRI.

Lo Stato ha ripetutamente insistito sul fatto che si tratta di misure necessarie adottate nell’ambito delle ordinanze di emergenza per mantenere la sicurezza nazionale. Eppure, in realtà, queste misure violano il diritto locale e internazionale, nonché i trattati internazionali”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele rifiuta di rilasciare un prigioniero palestinese malato terminale, nonostante ‘l’immediato pericolo per la sua vita’

Redazione di MEMO

27 giugno 2023 – Middle East Monitor

Ieri la commissione per la libertà condizionata, presieduto dal giudice in pensione Zvi Segal, ha rifiutato la richiesta di rilascio anticipato del prigioniero palestinese Walid Daqqa, malato terminale, nonostante gli avvertimenti che egli è a rischio di morte.

Contraddicendo l’opinione di un esperto medico facente parte dell’Israel Prison Service [il servizio carcerario israeliano, ndt.] (IPS) secondo cui la vita di Daqqa è in “concreto pericolo” come paziente oncologico, la commissione per la libertà condizionata ha concluso che le condizioni di salute dell’uomo sessantunenne non sono una ragione sufficiente per il suo rilascio anticipato.

Dopo aver effettuato la diagnosi, l’IPS ha confermato che “ha i giorni contati e che c’è un rischio immediato per la sua vita”.

Come altri prigionieri palestinesi, Daqqa, a cui è stata diagnosticata per la prima volta la leucemia nel 2015, durante i suoi 37 anni in prigione ha sofferto di incuria sanitaria che ha peggiorato la sua salute. A causa del deterioramento delle sue condizioni di salute all’inizio dell’anno è stato spostato dall’ambulatorio della prigione Ramla al centro medico Shamir.

A causa della protesta per la privazione del suo diritto di comunicare con la famiglia, Daqqa è stato riportato all’assistenza medica del’amministrazione dell’ambulatorio della prigione di Ramla.

Daqqa venne arrestato nel 1986 e gli fu comminata una sentenza a 37 anni di prigione che ha scontato nel marzo 2023; tuttavia nel 2017 le autorità israeliane hanno esteso il suo periodo di detenzione di due anni con l’accusa di contrabbando di telefoni mobili nella prigione.

Secondo l’organizzazione non governativa palestinese Addameer, Daqqa è uno scrittore, attivista e prigioniero politico palestinese originario di Baqa Al-Gharbiya, una cittadina palestinese in Israele, a cui nel 2022 è stata diagnosticata una rara forma di cancro del midollo osseo.

Egli è uno dei 19 palestinesi che hanno passato più di 30 anni nelle prigioni dell’occupazione israeliana e uno dei 23 palestinesi che sono stati incarcerati da prima degli accordi di Oslo del 1991.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Domenica Israele ha espulso Salah Hammouri dalla sua patria, ignorando le proteste della Francia

Ali Abunimah

18 dicembre 2022 – Electronic Intifada

Padre palestinese e madre francese, è arrivato a Parigi accolto da un benvenuto entusiasta della moglie Elsa Lefort e dei suoi sostenitori e ha promesso di continuare a lottare in nome dei palestinesi.

All’aeroporto di Parigi Hammouri, nato a Gerusalemme, ha detto ai giornalisti che l’obiettivo di Israele è “svuotare la Palestina dei suoi cittadini.”

Oggi sento di avere un’enorme responsabilità per la causa mia e del mio popolo,” ha aggiunto Hammouri.

Non rinunceremo alla Palestina, soprattutto perché non permetteremo che le future generazioni debbano patire quello che abbiamo sofferto noi. È nostro diritto resistere.”

Alla domanda se cercherà di ritornare in Palestina, Hammouri, visibilmente emozionato, ha risposto: “Ho lasciato l’anima nella mia patria. E continuerò a lottare per questo, perché secondo me è mio diritto vivere a Gerusalemme, vivere nella mia patria, ed è diritto della mia famiglia stare là.”

Il fatto che Hammouri abbia la cittadinanza di un altro Paese, la Francia, non mitiga in alcun modo la gravità di espellerlo dalla sua città e patria contro la sua volontà” ha dichiarato l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, avvertendo che la sua espulsione stabilisce “un pericoloso precedente per altre deportazioni di palestinesi dai territori occupati.”

Il pretesto israeliano per espellere Hammouri è la “violazione dell’obbligo di fedeltà” dell’avvocato per i diritti umani a una potenza occupante che l’ha sottoposto a varie forme di persecuzione, inclusi parecchi periodi di detenzione da quando aveva 15 anni e a cui non deve alcuna fedeltà.

Da marzo fino alla sua espulsione, Israele l’ha tenuto in “detenzione amministrativa”, reclusione senza accuse o processo basato su supposte “prove segrete.”

Prima della sua forzata espulsione Hammouri ha anche rilasciato un messaggio vocale ai suoi sostenitori in Palestina.

Condanna e silenzio francese

Resta molta rabbia sull’inazione del governo del presidente Emmanuel Macron per impedire a Israele di perpetrare un crimine di guerra.

Patrice Leclerc, sindaco del quartiere parigino di Gennevilliers e uno dei molti politici eletti che hanno accolto Hammouri all’aeroporto, ha espresso la sua “vergogna per l’incapacità”, presumibilmente del governo francese.

Oggi condanniamo la decisione, contraria alla legge, delle autorità israeliane di espellere Salah Hammouri in Francia,” ha detto domenica il ministero degli Esteri a Parigi.

Il ministero degli Esteri si è vantato di aver detto ripetutamente alle autorità israeliane “nel modo più chiaro che si oppone a questa espulsione di un abitante palestinese di Gerusalemme Est, un territorio occupato ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra.”

Come ha detto domenica Amnesty International Francia, l’espulsione di palestinesi dai territori occupati da parte di Israele “costituisce una grave violazione del diritto internazionale e della Quarta Convenzione di Ginevra e un potenziale crimine di guerra.”

L’espulsione potrebbe costituire un crimine contro l’umanità, ha aggiunto Amnesty, notando che tutti questi crimini ricadono sotto la giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Ma piuttosto che affermare quanto sia stata diligente e attiva la Francia a favore di Hammouri, la dichiarazione del ministero degli Esteri va letta come una dichiarazione di un fallimento.

Questo non sorprende poiché, in nessun momento l’amministrazione Macron, strenuamente filoisraeliana, ha neppure accennato al fatto che Israele avrebbe dovuto affrontare delle conseguenza per l’espulsione di Hammouri.

Appelli alle linee aeree

Recentemente, Addameer, l’associazione palestinese per i diritti dei prigionieri per la quale Hammouri lavora, si è unita alla campagna per invitare Easy Jet, Air France e Transavia a non collaborare all’espulsione di Hammouri.

Chiediamo alle linee aeree commerciali di fare tutto il possibile per non collaborare a quello che potrebbe equivalere a un crimine di guerra rifiutando di trasportare individui sottoposti a deportazione forzata illegale e di rilasciare una dichiarazione pubblica a riguardo,” ha detto Addameer.

C’è un precedente recente, quando varie linee aeree hanno rifiutato di aiutare il governo britannico a trasportare richiedenti asilo in Ruanda, una politica che è stata messa in discussione perché crudele e illegale.

Alla fine l’espulsione di Hammouri è avvenuta grazie a una linea nazionale israeliana.

Electronic Intifada ha saputo che Hammouri è rimasto ammanettato dal momento in cui le autorità israeliane l’hanno prelevato dalla prigione di Hadarim e spinto a bordo di un volo della El Al, fino all’apertura del portellone a Parigi.

Porgere scuse

Nel frattempo i sostenitori di Israele in Francia hanno portato a livelli assurdi i loro sforzi per difendere le azioni di Tel Aviv.

Jacques Attali, noto personaggio pubblico ed ex consigliere del presidente François Mitterand, ha rimproverato a una deputata del blocco parlamentare di sinistra La France Insoumise (LFI) di descrivere l’espulsione di Hammouri da Israele come una deportazione.

Qualsiasi cosa si pensi della situazione in Palestina e delle politiche del governo israeliano, usare qui la parola ‘deportazione’ è spregevole e ancora una volta rivela i numerosi slittamenti nell’antisemitismo dei parlamentari di LFI,” ha affermato Attali in risposta a un tweet della parlamentare Ersilia Soudais.

Attali stava presumibilmente alludendo a come la parola francese “deportazione” sia usata per descrivere le azioni dei collaborazionisti francesi che mandarono migliaia di ebrei francesi a morire nei campi di concentramento del governo tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ma il testo ufficiale in francese della Quarta Convenzione di Ginevra, che persino l’amministrazione Macron ammette si applichi ai territori occupati da Israele inclusa Gerusalemme Est, usa la parola “déportation” per descrivere il trasferimento forzato proibito di civili dai territori occupati da parte di una potenza occupante, esattamente quello che è successo ad Hammouri.

Spregevole sarebbe quindi una definizione più accurata dell’uso da parte di Attali degli orribili crimini commessi dai collaborazionisti francesi con i nazisti per spostare l’attenzione dai crimini israeliani di oggi contro i palestinesi.

I propagandisti di Israele definiscono Hammouri anche un “terrorista” perché Israele l’ha accusato nel 2005 sostenendo che abbia fatto parte di un complotto del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina”, [gruppo storico della resistenza armata marxista con numerosi appartenenti di origine cristiana, N.d.T.] per uccidere Ovadia Yosef, un famoso rabbino israeliano che ha abitualmente incitato a livelli di violenza genocida per “annientare” i palestinesi.

Hamouri ha sempre proclamato la propria innocenza. È stato tenuto per tre anni in detenzione amministrativa prima di accettare un patteggiamento del tribunale militare israeliano per ottenere una sentenza più breve dei 14 anni che gli accusatori militari avrebbero voluto.

Il tribunale militare israeliano ha un tasso di condanne per i palestinesi quasi del 100%.

Ora che è ritornato in Francia Hammouri probabilmente dovrà fronteggiare continue campagne di calunnie e diffamazione da parte dei lobbisti israeliani.

Ma prendendo ispirazione da altre lotte anticoloniali resta convinto che alla fine i palestinesi otterranno la libertà.

Gli israeliani non sono più forti degli americani e noi non siamo più deboli dei vietnamiti. Continueremo la lotta fino alla fine” ha detto Hammouri all’aeroporto di Paris. “Finché resistiamo significa che esistiamo.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Direttore di un gruppo palestinese per i diritti umani arrestato dall’intelligence israeliana

Redazione di MEE

21 agosto 2022 – Middle East Eye

Israele continua a perseguitare sei organizzazioni per i diritti umani dicendo che sostengono il terrorismo, accuse respinte dall’ONU e da alcuni Stati UE

L’intelligence israeliana ha arrestato il direttore di un’importante associazione palestinese per i diritti umani mentre continua il giro di vite contro molte altre organizzazioni simili.

Secondo un tweet di Defense of Children International – Palestine (DCI Palestine) [ong indipendente che sostiene e promuove i diritti dei minori, ndtr.] Khaled Quzmar, il suo direttore generale sarebbe stato arrestato domenica dal servizio di sicurezza Shin Bet.

“Alle 14.25 ora locale Quzmar ha ricevuto una telefonata da un agente dello Shin Bet che lo convocava per un interrogatorio. Subito dopo è andato alla base militare israeliana di Ofer,” scrive l’organizzazione.

“Un testimone oculare nella base (militare di Ofer) ha visto Quzmar scortato dentro la sede dello Shin Bet intorno alle 15:20. Al legale di Quzmar non è stato permesso di accompagnarlo.”

Aggiunge che dopo due ore in custodia Quzmar è stato rilasciato.

L’arresto è solo l’ultimo episodio di una campagna lanciata da Israele contro varie organizzazioni palestinesi per i diritti umani nei territori palestinesi occupati.

Tolleranza zero verso le associazioni per i diritti umani

Sei gruppi per i diritti umani: Addameer Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione Addameer per il sostegno e i diritti umani dei prigionieri], Al-Haq, il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], l’Union of Agricultural Work Committees (UAWC) [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo], l’Union of Palestinian Women Committees (UPWC) [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] e DCI Palestine Defence for Children International [la sezione palestinese dell’associazione Protezione Internazionale dei Minori] sono state definite “organizzazioni terroristiche” da Israele nell’ottobre 2021e da allora sono state oggetto di crescenti controlli.

Molte di queste organizzazioni hanno ricevuto fondi da Paesi UE.

Domenica mattina presto Al-Haq aveva twittato che il suo direttore aveva ricevuto una telefonata di minacce relative al suo lavoro da parte di un agente dell’intelligence israeliano.

Secondo Al-Haq, Shawan Jabarin è stato convocato dallo Shin Bet per un “interrogatorio” e la persona al telefono l’aveva “minacciato di arresto e altre misure se Al-Haq avesse continuato le sue attività “.

Venerdì soldati israeliani hanno fatto irruzione, confiscato oggetti e chiuso gli uffici dei gruppi per i diritti umani in Cisgiordania. Sono stati perquisiti anche gli uffici dell’Union of Health Workers Committees [Unione dei comitati di operatori sanitari], che non è stata definita organizzazione terroristica.

I sei gruppi che sono stati così etichettati hanno negato le accuse di “terrorismo” e specificato che la loro chiusura è stata criticata sia dalle Nazioni Unite che da organizzazioni per i diritti umani.

I ministri degli esteri di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna e Svezia hanno detto che Israele non è riuscito a fornire loro “informazioni sostanziali ” circa le accuse e si sono impegnati a continuare la cooperazione con i gruppi in l’assenza di ogni prova.

Venerdì in un comunicato congiunto hanno affermato: “Siamo profondamente preoccupati per i raid che si sono svolti la mattina del 18 agosto che fanno parte di una preoccupante riduzione degli spazi della società civile sul territorio. Queste azioni non sono accettabili.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Palestinese in sciopero della fame si appellerà alla Corte Suprema israeliana

Redazione di Al Jazeera

16 agosto 2022 – Al Jazeera

Il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh continua uno sciopero della fame durato 165 giorni contro la sua detenzione senza accuse né processo

Secondo la sua legale, il prigioniero palestinese in sciopero della fame Khalil Awawdeh si appellerà alla Corte Suprema israeliana contro la sua detenzione dopo che un tribunale militare israeliano ha respinto una richiesta di rilascio per problemi di salute.

Awawdeh – che secondo la sua famiglia è in sciopero della fame per protesta da 165 giorni – sta contestando il fatto di essere detenuto senza accuse né processo in base a quella che Israele definisce “detenzione amministrativa”.

L’avvocatessa Ahlam Haddad sostiene che la salute del suo cliente sta peggiorando e di aver chiesto che venga rilasciato.

“A quest’uomo non è stata fatta giustizia,” ha detto Haddad riguardo alla sentenza del tribunale militare israeliano. “Ci rivolgiamo alla… Corte Suprema di Gerusalemme per ottenere forse la giusta soluzione, cioè il suo rilascio dalla detenzione amministrativa.”

Awawdeh, quarantenne con quattro figli, è uno dei numerosi prigionieri palestinesi in prolungato sciopero della fame che nel corso degli anni hanno protestato contro la detenzione amministrativa.

Israele sostiene che questa politica contribuisce a mantenere le strade sicure e consente al governo israeliano di detenere i sospettati senza divulgare informazioni di intelligence riservate.

Chi lo critica afferma che questo modo di agire nega il giusto processo ai prigionieri palestinesi.

Israele sostiene che Awawdeh è membro di un gruppo armato, un’accusa che tramite la sua avvocatessa egli ha strenuamente respinto.

Miliziani palestinesi del Jihad Islamico hanno chiesto il rilascio di Awawdeh come parte di un accordo di cessate il fuoco mediato dall’Egitto che ha posto fine all’attacco di tre giorni contro la Striscia di Gaza assediata da parte di forze israeliane all’inizio di questo mese. L’organizzazione non lo ha riconosciuto come un suo membro.

Israele attualmente tiene in carcere circa 4.450 prigionieri palestinesi.

Al momento sono in detenzione amministrativa circa 670 palestinesi, un numero in aumento in marzo quando Israele ha iniziato a effettuare retate quasi ogni sera nella Cisgiordania occupata.

Secondo gli ultimi dati resi pubblici dall’associazione per i diritti dei detenuti Addameer, delle migliaia di palestinesi nelle prigioni israeliane 175 sono minorenni e 27 sono donne.

Haddad ha affermato che, secondo la sua famiglia, durante lo sciopero della fame il suo cliente non ha mai mangiato, salvo che in un periodo di 10 giorni in cui ha ricevuto iniezioni di vitamine.

Il servizio di sicurezza interna israeliano Shin Bet non ha fatto commenti sul suo caso.

Israele ha affermato che la detenzione amministrativa garantisce un giusto processo e imprigiona principalmente chi minaccia la sua sicurezza, benché un piccolo numero di prigionieri sia composto da detenuti per reati minori.

I palestinesi e le associazioni per i diritti umani affermano che il sistema è inteso a reprimere l’opposizione all’occupazione militare israeliana delle loro terre durata 55 anni e che non accenna a finire.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’UE si schiera a favore di Israele contro i suoi stessi Stati membri

Ali Abunimah

19 luglio 2022 – The Electronic Intifada

L’Unione Europea è più fedele a Israele che ai propri Stati membri? Sembra proprio di sì.

All’inizio di questo mese nove governi dell’UE hanno finalmente definito una cavolata la designazione di “organizzazioni terroristiche” da parte di Israele di sei organizzazioni palestinesi per i diritti umani molto stimate.

La designazione di ottobre faceva parte della lunga campagna di Israele volta a criminalizzare, definanziare e sabotare chiunque tenti di chiamarlo a rispondere dei suoi crimini contro i palestinesi.

Da Israele non sono pervenute informazioni sostanziali che giustifichino la revisione della nostra politica” nei confronti delle sei organizzazioni, afferma la dichiarazione congiunta del 12 luglio di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Svezia.

“In assenza di tali prove – aggiungono – continueremo la nostra cooperazione e forte sostegno alla società civile nei territori palestinesi occupati”.

Molte delle associazioni prese di mira da Israele ricevono finanziamenti direttamente da questi governi e dall’apparato burocratico dell’UE a Bruxelles.

Tre di loro – Addameer, Al-Haq e Defence for Children International-Palestine – hanno collaborato strettamente con le indagini della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra in Cisgiordania e a Gaza.

Quindi, appena è stata resa nota la dichiarazione dei nove governi, ho scritto a Peter Stano, portavoce dell’UE per gli affari esteri, per chiedere se Bruxelles l’avesse adottata.

Dopo oltre una settimana – e nonostante due solleciti – il solitamente tempestivo Stano non ha inviato alcuna risposta.

Posso solo interpretare questo silenzio come un segnale che l’irresponsabile apparato burocratico dell’UE non sia d’accordo con i propri Stati membri e stia adottando in modo ancora più deciso il proprio approccio filo-israeliano.

In effetti Bruxelles è schierata a favore di Tel Aviv contro i governi dell’UE che sono arrivati ad essere talmente esasperati dalle diffamazioni e dalle bugie di Israele da dichiararlo pubblicamente.

Anche senza una risposta di Stano le prove di ciò sono abbastanza chiare.

The Electronic Intifada ha rivelato in ottobre che Israele ha comunicato in anticipo all’UE la sua intenzione di designare le organizzazioni palestinesi come “terroriste”, ma Bruxelles non ha respinto [la designazione] e non ha nemmeno inviato tale comunicazione ai propri Stati membri.

In quell’occasione Stano ha ammesso che l’UE aveva bisogno di “maggiori informazioni a proposito di queste designazioni” – un’ammissione del fatto che Israele non aveva fornito alcuna prova effettiva.

Sospensione illegittima”.

Il mese scorso Al-Haq è riuscita a presentare una petizione alla Commissione europea perché revocasse la sospensione dei finanziamenti per uno dei progetti dell’ organizzazione per i diritti umani sponsorizzati dall’UE.

Al-Haq ha affermato che la “sospensione vergognosa” era stata “illegale fin dall’inizio e basata sulla propaganda e sulla disinformazione israeliane”.

Una lettera dell’UE ha confermato che l’unità antifrode del blocco OLAF [Ufficio europeo per la lotta antifrode, istituito per contrastare le frodi, la corruzione e qualsiasi attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea, ndt.] aveva “concluso che non vi sono sospetti di irregolarità e/o frode ai danni dei fondi dell’UE” forniti ad Al-Haq.

Al-Haq ha accusato della sospensione Olivér Várhelyi, un alto funzionario non eletto dell’UE, affermando che [la sospensione, ndt.] fosse “mirata a dare al governo israeliano un aiuto nei suoi tentativi di danneggiare e diffamare la società civile palestinese e di opprimere le voci delle organizzazioni e difensori palestinesi dei diritti umani”.

Várhelyi è stato anche responsabile della sospensione degli aiuti dell’UE ai palestinesi, compresi i finanziamenti per pagare le cure salvavita per i malati di cancro palestinesi.

Tali aiuti sono stati sbloccati il mese scorso, poco prima che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si recasse in Israele e nella Cisgiordania occupata, dove ha trascorso la maggior parte del suo tempo a compiacere Tel Aviv.

L’UE rilancia il forum ad alto livello con Israele

Ma qualunque disaccordo possa esserci tra l’UE e i suoi Stati membri sulle sei organizzazioni, ciò non ha intaccato la loro unanimità quando si tratta di offrire a Israele riconoscimenti incondizionati per i suoi crimini contro il popolo palestinese.

Lunedì i 27 ministri degli esteri del blocco hanno deciso di riprendere le riunioni del Consiglio di associazione UE-Israele.

Questo forum di alto livello non si riuniva da un decennio, con grande disappunto di Israele e della sua lobby.

Secondo un comunicato di Bruxelles i ministri “hanno convenuto di riconvocare gli incontri e di iniziare a lavorare per determinare la posizione dell’Ue”.

“La posizione dell’UE sul processo in Medio Oriente non è cambiata rispetto alle conclusioni del Consiglio del 2016 a sostegno della soluzione dei due Stati”, si legge nella dichiarazione.

Sebbene l’UE abbia mantenuto il sostegno verbale alla moribonda “soluzione dei due Stati”, continua a premiare e incentivare la colonizzazione violenta da parte di Israele dei territori palestinesi occupati, vanificando l’idea di uno Stato palestinese indipendente.

La reazione di Várhelyi alla decisione di lunedì sottolinea che non c’è motivo di aspettarsi alcun cambiamento.

Egli ha salutato la ripresa del forum ad alto livello come un ulteriore segno che l’UE è “fermamente impegnata” nelle sue relazioni con Israele e ha esortato il blocco “a cogliere l’opportunità di normalizzare le relazioni tra Israele e un certo numero di Paesi arabi .”

Dimiter Tzantchev, l’ambasciatore dell’UE a Tel Aviv, ha affermato che il Consiglio di associazione UE-Israele “dovrebbe permettere di impegnarci con i nostri partner israeliani e di riflettere sul processo di pace in Medio Oriente e sul ruolo dell’UE in esso”.

La generica formulazione di Tzantchev è stata senza dubbio elaborata con cura per dare l’impressione che questo sfacciato riconoscimento ad Israele farebbe in qualche modo progredire il “processo di pace” morto da tempo, pur non offrendo assolutamente alcun sostegno concreto da parte di Bruxelles per promuovere i diritti dei palestinesi.

Secondo il giornalista israeliano Barak Ravid la decisione dell’UE di ripristinare il dialogo ad alto livello è un “risultato importante” per il primo ministro israeliano Yair Lapid.

Ravid osserva che questo era uno degli obiettivi chiave di Lapid quando ha assunto la carica di ministro degli Esteri israeliano poco più di un anno fa.

Rinvio compiacente

Citando un anonimo “alto funzionario europeo”, il Times of Israel [giornale israeliano online in lingua inglese, ndt.] ha riferito lunedì che Josep Borrell, capo della politica estera dell’UE, ha rinviato la ripresa delle riunioni del consiglio UE-Israele “a causa dell’uccisione della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh” a maggio.

Lo stesso mese Israele ha anche annunciato una massiccia espansione delle sue colonie in Cisgiordania, provocando un’insolita condanna da parte di Borrell.

Secondo The Times of Israel l’anonimo funzionario europeo ha detto: ”Ci sono state due cose inaccettabili sul piano diplomatico: l’uccisione della giornalista e l’annuncio di 4.000 nuovi insediamenti coloniali“.

“Borrell ci ha detto:Come potete immaginare che metta all’ordine del giorno un incontro di cooperazione con le immagini in TV… suvvia!’“, ha aggiunto il funzionario.

Ma questa non è stata una posizione di principio.

Il codardo Borrell era semplicemente preoccupato di salvare le apparenze e pensava che fosse prudente aspettare che l’omicidio della corrispondente di Al Jazeera non fosse più sulle prime pagine dei giornali prima di offrire ulteriori ricompense a Israele.

The Times of Israel riferisce che Borrell ha annunciato che avrebbe portato avanti la questione solo durante i sei mesi di presidenza ceca, iniziata il 1° luglio.

Ed è esattamente quello che è successo – nonostante l’ininterrotta espulsione da parte di Israele degli abitanti dei villaggi palestinesi da Masafer Yatta nella Cisgiordania occupata – tra gli altri crimini di guerra che l’UE pretende di contrastare.

“Il fatto che 27 ministri degli Esteri dell’UE abbiano votato all’unanimità a favore del rafforzamento dei legami economici e diplomatici con Israele è una prova della forza diplomatica di Israele e della capacità di questo governo di creare nuove opportunità con la comunità internazionale”, si è vantato il primo ministro israeliano Lapid dopo la decisione dell’UE di lunedì.

È anche la prova dell’assoluta codardia e della volontaria complicità dell’Unione Europea e di ogni suo membro.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Dopo la morte di una anziana detenuta i palestinesi accusano il carcere israeliano di non averla curata

Redazione di MEE

2 luglio 2022 – Middle East Eye

Saadia Farajallah, la più anziana detenuta palestinese, è morta sei mesi dopo essere stata aggredita da forze israeliane durante l’arresto

L’Associazione dei Detenuti Palestinesi ha informato che sabato [2 luglio], sei mesi dopo essere stata picchiata ed arrestata da forze israeliane nei pressi di un posto di controllo dell’esercito a Hebron, in un carcere israeliano è morta una sessantottenne palestinese.

L’Associazione dei Prigionieri ha accusato le autorità del carcere di Damon di non averle prestato le cure necessarie, in quanto a causa di molteplici patologie croniche, tra cui la pressione alta e il diabete, negli ultimi tempi la salute di Saadia Farajallah era peggiorata.

Afferma che le forze israeliane hanno brutalmente aggredito Farajallah quando il 18 dicembre 2021 l’hanno arrestata nella città vecchia di Hebron perché secondo loro avrebbe tentato un accoltellamento, e ciò ha peggiorato le sue già precarie condizioni di salute.

Il responsabile della Commissione dei Prigionieri ed Ex-Prigionieri, Ibrahim Najajra, ha smentito le affermazioni israeliana riguardo all’incidente, sostenendo che le condizioni di Farajallah le avrebbero impedito qualsiasi sforzo, tanto meno di tentare un’aggressione.

“Al momento la causa della sua morte non è chiara, ma le prime informazioni indicano che ha avuto un infarto ed è morta nella prigione di Damon,” dice Najajra a Middle East Eye.

“Il decesso di Saadia è una conseguenza della mancanza di cure mediche, (le autorità israeliane) non le hanno fornito assistenza adeguata, e della lunga detenzione in condizioni insalubri.”

La morte di Farajallah, la detenuta palestinese più anziana, porta a 230 il totale dei palestinesi deceduti nelle prigioni israeliane dal 1967.

Najajra ha sostenuto che il tribunale israeliano ha ripetutamente respinto le richieste degli avvocati di rilasciare Farajallah, a cui durante la detenzione sono state negate le visite dei familiari.

L’Associazione dei Detenuti Palestinesi ha affermato che Farajallah ha perso conoscenza dopo aver fatto le abluzioni per la preghiera del mattino. Le compagne di detenzione l’hanno subito portata all’ambulatorio della prigione, dove è deceduta.

L’Associazione dei Detenuti afferma che il 28 giugno Farajallah aveva assistito a un’udienza in tribunale su una sedia a rotelle, e in quell’occasione il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a cinque anni di prigione e al pagamento di un’ammenda di 15.000 shekel (circa 4.000 €). In seguito a esami medici che avevano evidenziato il peggioramento del suo stato di salute la sua avvocatessa aveva chiesto che le autorità carcerarie la facessero visitare da uno specialista.

Najajra afferma che la commissione dei detenuti cercherà di avviare un’indagine per scoprire la causa della morte di Farajallah e le circostanze che l’hanno determinata.

Secondo l’associazione palestinese per i diritti dei detenuti Addameer nelle prigioni israeliane ci sono 4.700 palestinesi, tra cui 32 donne e 170 minorenni.

Circa 640 di questi si trovano in “detenzione amministrativa”, un controverso provvedimento che Israele adotta per tenere in carcere [palestinesi] senza accuse o processo per periodi rinnovabili da tre fino a sei mesi.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il governo olandese interrompe il finanziamento di un’associazione della società civile palestinese

Zena Al Tahhan

6 gennaio 2022 – Al Jazeera

L’iniziativa giunge nonostante un’indagine esterna non abbia trovato prove delle accuse israeliane di “terrorismo” contro l’Union of Agricultural Work Committees

Ramallah, Cisgiordania occupata – Il governo olandese ha affermato che non finanzierà più una delle sei importanti organizzazioni palestinesi della società civile e dei diritti umani che Israele ha messo fuorilegge come “associazioni terroristiche” nell’ottobre 2021.

In un comunicato che denuncia la decisione di mercoledì, l’Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo] (UAWC), con sede a Ramallah, – di cui dal 2013 il governo olandese è stato il principale donatore– ha affermato che “questa è la prima volta che un governo interrompe i finanziamenti per la società civile palestinese sulla base di criteri politici.”

L’UAWC fornisce aiuto concreto ai palestinesi, anche recuperando terre a rischio di confisca da parte di Israele. Aiuta decine di migliaia di contadini nell’Area C, più del 60% della Cisgiordania occupata sotto diretto controllo militare israeliano e dove si trova la maggior parte delle illegali colonie israeliane e delle loro infrastrutture.

L’associazione afferma che prenderà in considerazione azioni legali per contrastare “la decisione dannosa e scorretta” del governo olandese che, ha avvertito, probabilmente “avrà ripercussioni ben oltre la nostra organizzazione.”

Nell’ottobre 2021 Israele ha messo fuorilegge sei associazioni in quanto “gruppi terroristici” con il pretesto che sarebbero affiliate al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), di sinistra. La decisione è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale e da organizzazioni per i diritti in quanto “ingiustificata” e “senza fondamento”, poiché il governo israeliano non ha fornito alcuna prova per sostenere le sue accuse.

La definizione israeliana mette in rapporto le sei associazioni con l’ala militare del FPLP, che è stata attiva come gruppo organizzato nella Seconda Intifada (2000-2005), quando ha effettuato attacchi contro obiettivi civili e militari israeliani.

Cinque associazioni sono palestinesi: il gruppo per i diritti dei prigionieri Addameer; l’associazione per i diritti Al-Haq; l’Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] (UPWC); il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo]; l’UAWC. La sesta è la sezione palestinese dell’organizzazione Defence for Children International [Difesa Internazionale dei Bambini], con sede a Ginevra.

Verifica esterna

La decisione del governo olandese ha fatto seguito a una sospensione di 18 mesi dei finanziamenti all’UAWC.

Nel luglio 2020, in seguito all’arresto di due collaboratori palestinesi dell’associazione, il ministero olandese del Commercio Estero e della Cooperazione per lo Sviluppo ha ordinato una verifica. Gli ormai ex-dipendenti sono accusati da Israele di essere stati responsabili nell’agosto 2019 di un attacco dinamitardo lungo una strada che ha ucciso una ragazza israeliana di 17 anni nei pressi della colonia illegale di Dolev, nella Cisgiordania occupata.

La verifica, condotta dall’associazione olandese Proximities Risk Consultancy [Consulenza di Priorità di Rischio], è iniziata nel febbraio 2021 ed ha riguardato il periodo tra il 2007 e il 2020, durante il quale l’UAWC ha ricevuto finanziamenti olandesi. I suoi risultati sono stati presentati mercoledì al parlamento olandese.

Mentre la verifica esterna ha affermato che i due ex-dipendenti hanno “ricevuto parte dei loro stipendi da spese generali finanziate dall’Olanda”, non sono state trovate prove di flussi finanziari tra l’UAWC e il FPLP né di legami tra l’UAWC e l’ala militare del FPLP. L’indagine ha anche affermato che non è stata trovata alcuna prova che personale o membri del consiglio di amministrazione abbiano utilizzato la propria posizione nell’organizzazione per organizzare attacchi armati.

Né è stata trovata alcuna prova di unità organizzativa tra l’UAWC e il FPLP o che il FPLP abbia fornito indicazioni all’UAWC,” afferma il rapporto di verifica, che ha trovato legami con i rami politici e civili del FPLP “a livello individuale tra il personale dell’UAWC e membri della direzione del FPLP.”

Proximities afferma che non si poteva pretendere che l’UAWC fosse al corrente di rapporti di singoli [dipendenti] con il FPLP,” continua il rapporto.

Colpo durissimo”

Nel suo comunicato di mercoledì l’UAWC afferma che la decisione “scioccante e sconvolgente” del governo olandese si è “basata su un certo numero di ‘rapporti di singoli’ che Proximities ha individuato – presunti collegamenti con il FPLP a titolo individuale di membri della direzione o del personale dell’UAWC.”

Evidenziando che “non può (e non vuole) interferire con le convinzioni e affiliazioni politiche personali dei propri dipendenti e membri della dirigenza,” l’UAWC afferma che la decisione legittima ed incoraggia “la strategia israeliana di attaccare le ong palestinesi” attraverso presunti legami politici delle persone che lavorano con esse.

Tutto ciò sta spostando l’attenzione internazionale dal furto e confisca di altra terra palestinese da parte di Israele e dalla sua brutale espulsione del popolo palestinese che vive sotto occupazione militare,” afferma l’UAWC.

Ryvka Barnard, vicedirettrice della Palestine Solidarity Campaign [Campagna di Solidarietà con la Palestina], con sede nel Regno Unito, ha definito l’iniziativa come “vergognosa” e ha affermato che “segna un precedente molto pericoloso” per le associazioni della società civile palestinese.

Con crescenti attacchi in tutto il mondo contro difensori della terra, popoli indigeni e contadini che producono per l’autoconsumo, la decisione del governo olandese di non finanziare più l’UAWC con queste false motivazioni è un gravissimo colpo e passerà alla storia come una vera battuta d’arresto nel progresso,” ha detto Barnard ad Al Jazeera. “Per decenni il lavoro di UAWC è stato fondamentale per appoggiare i contadini palestinesi nelle situazioni più vulnerabili, sottoposti a una terribile violenza dei coloni e a un’illegale furto di terre.”

Osservando che l’UAWC “ha fatto parte di un potente movimento per la sovranità alimentare in Palestina e a livello internazionale,” Barnard ha affermato che “queste sono le persone che ora più che mai dovremmo sostenere, e invece vengono attaccate.”

Martin Konecny, direttore di European Middle East Project [Progetto Europeo per il Medio Oriente], con sede in Belgio, ha affermato che la decisione è “assolutamente politica” e “non fondata su basi legali né su requisiti riguardanti la lotta al terrorismo”. Ha detto che la verifica contraddice la maggior parte delle affermazioni del governo israeliano.

Dal 1967 Israele ha messo fuorilegge più di 400 organizzazioni locali palestinesi e internazionali in quanto “ostili” o “illegali”, compresi tutti i principali partiti politici palestinesi, come Fatah, che governa l’Autorità Nazionale Palestinese, e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che raggruppa varie organizzazioni e con cui nel 1993 Israele firmò gli Accordi di Oslo.

Le autorità israeliane hanno imposto questa etichetta anche a decine di associazioni di beneficienza e mezzi di comunicazione in Palestina e l’hanno utilizzata per fare irruzione nei loro uffici, emettere ordini di chiusura, di arresto e di detenzione contro persone e processarle per un lavoro con cui esercitavano diritti civili e per aver criticato l’occupazione israeliana, considerata illegale in base alle leggi internazionali.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘In fin di vita’: la famiglia del prigioniero in sciopero della fame chiede il suo rilascio immediato

Yumna Patel

3 gennaio 2022 – Mondoweiss

Il prigioniero palestinese Hisham Abu Hawash è entrato lunedì nel suo 140esimo giorno di sciopero della fame e, secondo la sua famiglia, è in condizioni talmente critiche che potrebbe morire in qualsiasi momento”.

Aggiornamento: Hisham Abu Hawash ha concluso il suo sciopero della fame martedì 4 gennaio dopo 141 giorni di sciopero, a seguito di un accordo con Israele per il suo rilascio dalla detenzione amministrativa il 26 febbraio.

Lunedì 3 gennaio il prigioniero palestinese Hisham Abu Hawash, 41 anni, è entrato nel suo 140esimo giorno di sciopero della fame e, secondo la sua famiglia, è in condizioni così critiche che potrebbe “morire in qualsiasi momento”.

Abu Hawash è stato arrestato dalle forze israeliane nell’ottobre 2020 nel cuore della notte nella sua casa di famiglia nella città di Dura, a sud di Hebron, nel sud della Cisgiordania occupata.

Poco dopo il suo arresto Israele lo ha posto in detenzione amministrativa, una pratica utilizzata da Israele che consente la detenzione dei palestinesi a tempo indefinito senza accuse o processo, sulla base di “prove segrete” contro di loro. Abu Hawash aveva precedentemente trascorso nelle prigioni israeliane due distinti periodi di detenzione amministrativa.

Il 15 agosto 2021, dopo quasi 10 mesi di detenzione amministrativa, la Corte Suprema israeliana doveva esaminare un appello sulla detenzione di Abu Hawash. Ma l’udienza è stata annullata in quanto la procura militare israeliana si è opposta alla presentazione dell’appello davanti alla corte affermando che a causa di “prove segrete” fornite da funzionari dell’intelligence israeliana Abu Hawash non avrebbe potuto appellarsi alla sua detenzione fino a quando non avesse scontato due anni di carcere in detenzione amministrativa.

Quel giorno Abu Hawash ha annunciato che avrebbe iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione arbitraria.

Ora, a più di quattro mesi dall’inizio del suo sciopero, la sua famiglia sostiene che Abu Hawash si trova in condizioni critiche ed è in fin di vita.

“Potrebbe morire da un momento all’altro”, ha detto a Mondoweiss il fratello di Abu Hawash, Emad, dal soggiorno della casa di famiglia a Dura.

Non è più in grado di muoversi e riesce a malapena a parlare. La sua vista è offuscata, i suoi muscoli hanno iniziato ad atrofizzarsi e il potassio e gli enzimi epatici sono a livelli criticamente bassi”, riferisce Emad.

“Hisham era già affetto da problemi renali, che sono congeniti nella nostra famiglia, e ora i medici sono preoccupati che i suoi reni e altri organi possano cedere da un momento all’altro”, aggiunge.

Il ministero della Salute palestinese ha organizzato una delegazione che nel fine settimana ha visitato Abu Hawash presso lo Shamir Medical Center (Assaf Harofeh) a sud di Tel Aviv, dove è detenuto. Secondo una dichiarazione del ministero, “Abu Hawash soffre di offuscamento visivo, incapacità di parlare, grave atrofia muscolare e incapacità di muoversi, mentre la sua capacità di percepire ciò che accade intorno a lui è ridotta.“.

Secondo Emad, Hisham, che è padre di cinque figli di età inferiore ai 13 anni, ha rifiutato ogni tipo di vitamine e sostentamento, ad eccezione di una miscela di acqua per mantenerlo in vita. La famiglia di Hisham riferisce che verso le 3 di questa mattina è entrato in coma.

Hisham ha perso metà del suo peso. Un tempo pesava 85 kg e ora ne pesa meno di 40″, dice Emad, sottolineando che nelle immagini che vede di suo fratello sdraiato nel letto d’ospedale gli risulta “irriconoscibilie“.

Crescenti pressioni

Durante il fine settimana la mobilitazione è cresciuta, poiché le organizzazioni internazionali e i parlamentari statunitensi si sono uniti ai cittadini e ai leader palestinesi nella richiesta a Israele di rilasciare immediatamente Abu Hawash.

Manifestazioni si sono svolte nelle città della Cisgiordania, con folle a Ramallah, Betlemme, Hebron e Nablus che hanno chiesto il rilascio di Abu Hawash. Proteste simili sono state segnalate a Gaza, così come in paesi e città palestinesi in Israele.

In base alle informazioni, domenica la polizia israeliana ha picchiato i manifestanti durante una veglia per Abu Hawash a Umm al-Fahm, nel nord di Israele.

Lunedì notte dei manifestanti con le bandiere palestinesi si sono radunati davanti agli uffici dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence interna di Israele, per chiedere il rilascio di Abu Hawash.

Secondo la famiglia di Abu Hawash e i resoconti degli organi di informazione palestinesi, le forze di polizia israeliane hanno fatto irruzione nella sua stanza d’ospedale e hanno allontanato con la forza dall’ospedale sua moglie Aisha, i suoi avvocati e i giornalisti.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha rilasciato una dichiarazione in cui esprime preoccupazione per le condizioni di Abu Hawash, i potenziali effetti “irreversibili” del suo sciopero della fame e la “possibile perdita di una vita”.

I leader palestinesi, incluso il primo ministro palestinese Mohammed Shtayyeh, hanno affermato di ritenere Israele “pienamente responsabile” della vita di Abu Hawash. Il movimento della Jihad islamica a Gaza ha minacciato ritorsioni se Israele non avesse rilasciato immediatamente Abu Hawash.

Appelli per il rilascio di Abu Hawash sono stati diffusi attraverso l’utilizzo dell’hashtag #FreeHishamAbuHawwash sulle piattaforme sociali della rete. Lunedì in Palestina imperversava su Twitter la versione araba dell’hashtag, insieme al tag #FreeThemAll.

La deputata statunitense Rashida Tlaib si è unita agli appelli per il rilascio di Abu Hawash e ha condiviso su Twitter un video virale dei figli di Abu Hawash in lacrime mentre visitano per la prima volta il padre in ospedale.

“Hisham Abu Hawash – sposato, padre di 5 figli, detenuto senza prove, processo o persino un’udienza in tribunale (in violazione della legge internazionale) dall’ottobre 2020. In sciopero della fame per oltre 140 giorni. Solo il governo di Israele è responsabile di questa situazione e della sua salute e sicurezza”, ha scritto Tlaib.

Siamo con Hisham fino alla fine’

Nonostante le crescenti richieste di rilascio di Abu Hawash sulle piattaforme sociali e nelle piazze palestinesi, Emad Abu Hawash dice a Mondoweiss che la comunità internazionale non ha fatto il proprio dovere al fine di difendere suo fratello.

Emad, che collabora con il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) [organizzazione indipendente con sede a Gaza, ndtr.], riferisce di aver inviato decine di lettere urgenti a organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International per attirare l’attenzione sul caso di suo fratello, ma senza alcun risultato.

“Ho inviato lettere giorno dopo giorno a diverse organizzazioni internazionali, ma ho ricevuto poche o nessuna risposta”, dice Emad.

Nelle sue lettere, che ha fornito a Mondoweiss, Emad ha scritto, tra l’altro, del fatto che la tortura dei prigionieri e la detenzione amministrativa possono costituire crimini di guerra ai sensi dello Statuto di Roma [trattato internazionale istitutivo della Corte penale Internazionale, ndtr.] e costituire violazioni della Quarta Convenzione di Ginevra [che protegge da atti di violenza e dallarbitrio i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato, ndtr].

Nelle lettere indirizzate sia a Human Rights Watch che ad Amnesty Emad ha scritto: “Chiedo rispettosamente il vostro intervento per costringere l’occupazione israeliana ad attuare le regole minime standard per il trattamento dei prigionieri e a rilasciare Hisham Abu Hawash data la mancanza di accuse e l’assenza delle garanzie richieste per un libero processo”.

“La comunità internazionale non può trovare scuse sostenendo di non essere consapevole di ciò che sta accadendo”, afferma Emad, che è stato anch’egli recluso in una prigione israeliana in condizioni di detenzione amministrativa.

Sono anni che le organizzazioni palestinesi per i diritti umani denunciano al mondo il crimine della detenzione amministrativa. Il mondo ne è a conoscenza, ma ha scelto di non agire”.

Secondo l’organizzazione per i diritti dei detenuti palestinesi Addameer attualmente 500 prigionieri palestinesi sono imprigionati da Israele in regime di detenzione amministrativa.

Il mese scorso Israele ha rilasciato il prigioniero palestinese Kayed Fasfous dopo 131 giorni di sciopero della fame attuato in protesta contro la sua detenzione amministrativa. Nel novembre 2021 il prigioniero palestinese Miqdad Qawasmeh ha concluso il suo sciopero della fame di 113 giorni dopo che Israele ha accettato di porre fine alla sua detenzione amministrativa a febbraio del 2022.

“Qualsiasi cosa succeda siamo con Hisham”, dice Emad. “Sta lottando per la libertà e noi saremo con lui fino alla fine”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Le star di Hollywood denunciano la designazione da parte di Israele di alcune associazioni palestinesi quali ‘gruppi terroristi’

Redazione di MEE, Washington

17 novembre 2021  Middle East Eye

Richard Gere, Mark Ruffalo, Tilda Swinton, Susan Sarandon e Simon Pegg fra i firmatari di una lettera che chiede ad Israele di revocare la messa al bando di sei associazioni palestinesi

Oltre cento attori, registi, autori e musicisti di Hollywood hanno sottoscritto una lettera aperta mercoledì per contestare la decisione israeliana di designare sei organizzazioni di spicco della società civile palestinese quali organizzazioni terroriste.

La lettera descrive la recente mossa israeliana come “un attacco indiscriminato senza precedenti contro i difensori dei diritti umani palestinesi”, e chiede al Paese di revocare quella designazione.

Ciò che Israele tenta di bloccare è esattamente il lavoro fondamentale svolto da queste sei organizzazioni per proteggere e rafforzare i palestinesi e per denunciare le responsabilità di Israele per le sue gravi violazioni dei diritti umani e per il suo regime di apartheid e di discriminazione razziale istituzionalizzata,” si afferma nella lettera.

Fra i firmatari si trovano le star hollywoodiane Richard Gere, Mark Ruffalo, Tilda Swinton, Susan Sarandon e Simon Pegg; il regista Ken Loach, il musicista Jarvis Cocker, il gruppo musicale Massive Attack e gli autori Rashid Khalidi e Naomi Klein.

Ruffalo è dichiaratamente critico nei confronti di Israele e sostenitore dei diritti palestinesi. In passato ha condiviso una petizione che richiedeva ai leader internazionali di imporre sanzioni contro i settori chiave dell’industria israeliana “fino a quando non vengano garantiti ai palestinesi pieni e pari diritti civili”.

Quanto a Sarandon, attrice ed attivista di lungo corso, durante l’offensiva israeliana di maggio contro Gaza, ha pubblicato diversi tweet sulle tensioni, in uno dei quali affermava che i palestinesi si trovavano ad affrontare la nuova forma di colonialismo imposta da Israele.

Questa lettera non è che l’ultima di una serie di condanne della mossa israeliana – dall’ONU a fondazioni filantropiche e associazioni di attivisti fino a parlamentari USA. 

Lo scorso ottobre il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ha bollato come organizzazioni terroriste sei ONG palestinesi: Addameer, al-Haq, Comitati del Sindacato per il Lavoro Agricolo, Centro “Bisan” per la Ricerca e lo Sviluppo, Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi e Difesa dei Bambini Palestinesi.

Il ministero di Gantz ha accusato le associazioni di essere collegate a gruppi armati, ma la misura ha suscitato ampie critiche da parte dell’ONU, oltre che di note organizzazioni per la difesa dei diritti umani, quali Human Rights Watch e Amnesty International. 

In seguito, un’inchiesta da parte di Frontline Defenders [ONG che protegge gli attivisti per i diritti umani a rischio, ndtr] ha rivelato che i cellulari di diversi palestinesi membri di quelle associazioni erano stati hackerati.

La minaccia di ritorsioni è concreta e mette a repentaglio non solo le associazioni in questione, ma anche l’intera società civile palestinese e le decine di migliaia di palestinesi che esse assistono quotidianamente,” afferma la lettera.

La lettera è uscita mercoledì, esattamente un giorno dopo che oltre cento fra fondazioni filantropiche e donatori avevano firmato un’altra lettera aperta in solidarietà con le associazioni della società civile palestinese.

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)