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Domenica Israele ha espulso Salah Hammouri dalla sua patria, ignorando le proteste della Francia

Ali Abunimah

18 dicembre 2022 – Electronic Intifada

Padre palestinese e madre francese, è arrivato a Parigi accolto da un benvenuto entusiasta della moglie Elsa Lefort e dei suoi sostenitori e ha promesso di continuare a lottare in nome dei palestinesi.

All’aeroporto di Parigi Hammouri, nato a Gerusalemme, ha detto ai giornalisti che l’obiettivo di Israele è “svuotare la Palestina dei suoi cittadini.”

Oggi sento di avere un’enorme responsabilità per la causa mia e del mio popolo,” ha aggiunto Hammouri.

Non rinunceremo alla Palestina, soprattutto perché non permetteremo che le future generazioni debbano patire quello che abbiamo sofferto noi. È nostro diritto resistere.”

Alla domanda se cercherà di ritornare in Palestina, Hammouri, visibilmente emozionato, ha risposto: “Ho lasciato l’anima nella mia patria. E continuerò a lottare per questo, perché secondo me è mio diritto vivere a Gerusalemme, vivere nella mia patria, ed è diritto della mia famiglia stare là.”

Il fatto che Hammouri abbia la cittadinanza di un altro Paese, la Francia, non mitiga in alcun modo la gravità di espellerlo dalla sua città e patria contro la sua volontà” ha dichiarato l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, avvertendo che la sua espulsione stabilisce “un pericoloso precedente per altre deportazioni di palestinesi dai territori occupati.”

Il pretesto israeliano per espellere Hammouri è la “violazione dell’obbligo di fedeltà” dell’avvocato per i diritti umani a una potenza occupante che l’ha sottoposto a varie forme di persecuzione, inclusi parecchi periodi di detenzione da quando aveva 15 anni e a cui non deve alcuna fedeltà.

Da marzo fino alla sua espulsione, Israele l’ha tenuto in “detenzione amministrativa”, reclusione senza accuse o processo basato su supposte “prove segrete.”

Prima della sua forzata espulsione Hammouri ha anche rilasciato un messaggio vocale ai suoi sostenitori in Palestina.

Condanna e silenzio francese

Resta molta rabbia sull’inazione del governo del presidente Emmanuel Macron per impedire a Israele di perpetrare un crimine di guerra.

Patrice Leclerc, sindaco del quartiere parigino di Gennevilliers e uno dei molti politici eletti che hanno accolto Hammouri all’aeroporto, ha espresso la sua “vergogna per l’incapacità”, presumibilmente del governo francese.

Oggi condanniamo la decisione, contraria alla legge, delle autorità israeliane di espellere Salah Hammouri in Francia,” ha detto domenica il ministero degli Esteri a Parigi.

Il ministero degli Esteri si è vantato di aver detto ripetutamente alle autorità israeliane “nel modo più chiaro che si oppone a questa espulsione di un abitante palestinese di Gerusalemme Est, un territorio occupato ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra.”

Come ha detto domenica Amnesty International Francia, l’espulsione di palestinesi dai territori occupati da parte di Israele “costituisce una grave violazione del diritto internazionale e della Quarta Convenzione di Ginevra e un potenziale crimine di guerra.”

L’espulsione potrebbe costituire un crimine contro l’umanità, ha aggiunto Amnesty, notando che tutti questi crimini ricadono sotto la giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Ma piuttosto che affermare quanto sia stata diligente e attiva la Francia a favore di Hammouri, la dichiarazione del ministero degli Esteri va letta come una dichiarazione di un fallimento.

Questo non sorprende poiché, in nessun momento l’amministrazione Macron, strenuamente filoisraeliana, ha neppure accennato al fatto che Israele avrebbe dovuto affrontare delle conseguenza per l’espulsione di Hammouri.

Appelli alle linee aeree

Recentemente, Addameer, l’associazione palestinese per i diritti dei prigionieri per la quale Hammouri lavora, si è unita alla campagna per invitare Easy Jet, Air France e Transavia a non collaborare all’espulsione di Hammouri.

Chiediamo alle linee aeree commerciali di fare tutto il possibile per non collaborare a quello che potrebbe equivalere a un crimine di guerra rifiutando di trasportare individui sottoposti a deportazione forzata illegale e di rilasciare una dichiarazione pubblica a riguardo,” ha detto Addameer.

C’è un precedente recente, quando varie linee aeree hanno rifiutato di aiutare il governo britannico a trasportare richiedenti asilo in Ruanda, una politica che è stata messa in discussione perché crudele e illegale.

Alla fine l’espulsione di Hammouri è avvenuta grazie a una linea nazionale israeliana.

Electronic Intifada ha saputo che Hammouri è rimasto ammanettato dal momento in cui le autorità israeliane l’hanno prelevato dalla prigione di Hadarim e spinto a bordo di un volo della El Al, fino all’apertura del portellone a Parigi.

Porgere scuse

Nel frattempo i sostenitori di Israele in Francia hanno portato a livelli assurdi i loro sforzi per difendere le azioni di Tel Aviv.

Jacques Attali, noto personaggio pubblico ed ex consigliere del presidente François Mitterand, ha rimproverato a una deputata del blocco parlamentare di sinistra La France Insoumise (LFI) di descrivere l’espulsione di Hammouri da Israele come una deportazione.

Qualsiasi cosa si pensi della situazione in Palestina e delle politiche del governo israeliano, usare qui la parola ‘deportazione’ è spregevole e ancora una volta rivela i numerosi slittamenti nell’antisemitismo dei parlamentari di LFI,” ha affermato Attali in risposta a un tweet della parlamentare Ersilia Soudais.

Attali stava presumibilmente alludendo a come la parola francese “deportazione” sia usata per descrivere le azioni dei collaborazionisti francesi che mandarono migliaia di ebrei francesi a morire nei campi di concentramento del governo tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ma il testo ufficiale in francese della Quarta Convenzione di Ginevra, che persino l’amministrazione Macron ammette si applichi ai territori occupati da Israele inclusa Gerusalemme Est, usa la parola “déportation” per descrivere il trasferimento forzato proibito di civili dai territori occupati da parte di una potenza occupante, esattamente quello che è successo ad Hammouri.

Spregevole sarebbe quindi una definizione più accurata dell’uso da parte di Attali degli orribili crimini commessi dai collaborazionisti francesi con i nazisti per spostare l’attenzione dai crimini israeliani di oggi contro i palestinesi.

I propagandisti di Israele definiscono Hammouri anche un “terrorista” perché Israele l’ha accusato nel 2005 sostenendo che abbia fatto parte di un complotto del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina”, [gruppo storico della resistenza armata marxista con numerosi appartenenti di origine cristiana, N.d.T.] per uccidere Ovadia Yosef, un famoso rabbino israeliano che ha abitualmente incitato a livelli di violenza genocida per “annientare” i palestinesi.

Hamouri ha sempre proclamato la propria innocenza. È stato tenuto per tre anni in detenzione amministrativa prima di accettare un patteggiamento del tribunale militare israeliano per ottenere una sentenza più breve dei 14 anni che gli accusatori militari avrebbero voluto.

Il tribunale militare israeliano ha un tasso di condanne per i palestinesi quasi del 100%.

Ora che è ritornato in Francia Hammouri probabilmente dovrà fronteggiare continue campagne di calunnie e diffamazione da parte dei lobbisti israeliani.

Ma prendendo ispirazione da altre lotte anticoloniali resta convinto che alla fine i palestinesi otterranno la libertà.

Gli israeliani non sono più forti degli americani e noi non siamo più deboli dei vietnamiti. Continueremo la lotta fino alla fine” ha detto Hammouri all’aeroporto di Paris. “Finché resistiamo significa che esistiamo.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Direttore di un gruppo palestinese per i diritti umani arrestato dall’intelligence israeliana

Redazione di MEE

21 agosto 2022 – Middle East Eye

Israele continua a perseguitare sei organizzazioni per i diritti umani dicendo che sostengono il terrorismo, accuse respinte dall’ONU e da alcuni Stati UE

L’intelligence israeliana ha arrestato il direttore di un’importante associazione palestinese per i diritti umani mentre continua il giro di vite contro molte altre organizzazioni simili.

Secondo un tweet di Defense of Children International – Palestine (DCI Palestine) [ong indipendente che sostiene e promuove i diritti dei minori, ndtr.] Khaled Quzmar, il suo direttore generale sarebbe stato arrestato domenica dal servizio di sicurezza Shin Bet.

“Alle 14.25 ora locale Quzmar ha ricevuto una telefonata da un agente dello Shin Bet che lo convocava per un interrogatorio. Subito dopo è andato alla base militare israeliana di Ofer,” scrive l’organizzazione.

“Un testimone oculare nella base (militare di Ofer) ha visto Quzmar scortato dentro la sede dello Shin Bet intorno alle 15:20. Al legale di Quzmar non è stato permesso di accompagnarlo.”

Aggiunge che dopo due ore in custodia Quzmar è stato rilasciato.

L’arresto è solo l’ultimo episodio di una campagna lanciata da Israele contro varie organizzazioni palestinesi per i diritti umani nei territori palestinesi occupati.

Tolleranza zero verso le associazioni per i diritti umani

Sei gruppi per i diritti umani: Addameer Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione Addameer per il sostegno e i diritti umani dei prigionieri], Al-Haq, il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], l’Union of Agricultural Work Committees (UAWC) [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo], l’Union of Palestinian Women Committees (UPWC) [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] e DCI Palestine Defence for Children International [la sezione palestinese dell’associazione Protezione Internazionale dei Minori] sono state definite “organizzazioni terroristiche” da Israele nell’ottobre 2021e da allora sono state oggetto di crescenti controlli.

Molte di queste organizzazioni hanno ricevuto fondi da Paesi UE.

Domenica mattina presto Al-Haq aveva twittato che il suo direttore aveva ricevuto una telefonata di minacce relative al suo lavoro da parte di un agente dell’intelligence israeliano.

Secondo Al-Haq, Shawan Jabarin è stato convocato dallo Shin Bet per un “interrogatorio” e la persona al telefono l’aveva “minacciato di arresto e altre misure se Al-Haq avesse continuato le sue attività “.

Venerdì soldati israeliani hanno fatto irruzione, confiscato oggetti e chiuso gli uffici dei gruppi per i diritti umani in Cisgiordania. Sono stati perquisiti anche gli uffici dell’Union of Health Workers Committees [Unione dei comitati di operatori sanitari], che non è stata definita organizzazione terroristica.

I sei gruppi che sono stati così etichettati hanno negato le accuse di “terrorismo” e specificato che la loro chiusura è stata criticata sia dalle Nazioni Unite che da organizzazioni per i diritti umani.

I ministri degli esteri di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna e Svezia hanno detto che Israele non è riuscito a fornire loro “informazioni sostanziali ” circa le accuse e si sono impegnati a continuare la cooperazione con i gruppi in l’assenza di ogni prova.

Venerdì in un comunicato congiunto hanno affermato: “Siamo profondamente preoccupati per i raid che si sono svolti la mattina del 18 agosto che fanno parte di una preoccupante riduzione degli spazi della società civile sul territorio. Queste azioni non sono accettabili.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Palestinese in sciopero della fame si appellerà alla Corte Suprema israeliana

Redazione di Al Jazeera

16 agosto 2022 – Al Jazeera

Il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh continua uno sciopero della fame durato 165 giorni contro la sua detenzione senza accuse né processo

Secondo la sua legale, il prigioniero palestinese in sciopero della fame Khalil Awawdeh si appellerà alla Corte Suprema israeliana contro la sua detenzione dopo che un tribunale militare israeliano ha respinto una richiesta di rilascio per problemi di salute.

Awawdeh – che secondo la sua famiglia è in sciopero della fame per protesta da 165 giorni – sta contestando il fatto di essere detenuto senza accuse né processo in base a quella che Israele definisce “detenzione amministrativa”.

L’avvocatessa Ahlam Haddad sostiene che la salute del suo cliente sta peggiorando e di aver chiesto che venga rilasciato.

“A quest’uomo non è stata fatta giustizia,” ha detto Haddad riguardo alla sentenza del tribunale militare israeliano. “Ci rivolgiamo alla… Corte Suprema di Gerusalemme per ottenere forse la giusta soluzione, cioè il suo rilascio dalla detenzione amministrativa.”

Awawdeh, quarantenne con quattro figli, è uno dei numerosi prigionieri palestinesi in prolungato sciopero della fame che nel corso degli anni hanno protestato contro la detenzione amministrativa.

Israele sostiene che questa politica contribuisce a mantenere le strade sicure e consente al governo israeliano di detenere i sospettati senza divulgare informazioni di intelligence riservate.

Chi lo critica afferma che questo modo di agire nega il giusto processo ai prigionieri palestinesi.

Israele sostiene che Awawdeh è membro di un gruppo armato, un’accusa che tramite la sua avvocatessa egli ha strenuamente respinto.

Miliziani palestinesi del Jihad Islamico hanno chiesto il rilascio di Awawdeh come parte di un accordo di cessate il fuoco mediato dall’Egitto che ha posto fine all’attacco di tre giorni contro la Striscia di Gaza assediata da parte di forze israeliane all’inizio di questo mese. L’organizzazione non lo ha riconosciuto come un suo membro.

Israele attualmente tiene in carcere circa 4.450 prigionieri palestinesi.

Al momento sono in detenzione amministrativa circa 670 palestinesi, un numero in aumento in marzo quando Israele ha iniziato a effettuare retate quasi ogni sera nella Cisgiordania occupata.

Secondo gli ultimi dati resi pubblici dall’associazione per i diritti dei detenuti Addameer, delle migliaia di palestinesi nelle prigioni israeliane 175 sono minorenni e 27 sono donne.

Haddad ha affermato che, secondo la sua famiglia, durante lo sciopero della fame il suo cliente non ha mai mangiato, salvo che in un periodo di 10 giorni in cui ha ricevuto iniezioni di vitamine.

Il servizio di sicurezza interna israeliano Shin Bet non ha fatto commenti sul suo caso.

Israele ha affermato che la detenzione amministrativa garantisce un giusto processo e imprigiona principalmente chi minaccia la sua sicurezza, benché un piccolo numero di prigionieri sia composto da detenuti per reati minori.

I palestinesi e le associazioni per i diritti umani affermano che il sistema è inteso a reprimere l’opposizione all’occupazione militare israeliana delle loro terre durata 55 anni e che non accenna a finire.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’UE si schiera a favore di Israele contro i suoi stessi Stati membri

Ali Abunimah

19 luglio 2022 – The Electronic Intifada

L’Unione Europea è più fedele a Israele che ai propri Stati membri? Sembra proprio di sì.

All’inizio di questo mese nove governi dell’UE hanno finalmente definito una cavolata la designazione di “organizzazioni terroristiche” da parte di Israele di sei organizzazioni palestinesi per i diritti umani molto stimate.

La designazione di ottobre faceva parte della lunga campagna di Israele volta a criminalizzare, definanziare e sabotare chiunque tenti di chiamarlo a rispondere dei suoi crimini contro i palestinesi.

Da Israele non sono pervenute informazioni sostanziali che giustifichino la revisione della nostra politica” nei confronti delle sei organizzazioni, afferma la dichiarazione congiunta del 12 luglio di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Svezia.

“In assenza di tali prove – aggiungono – continueremo la nostra cooperazione e forte sostegno alla società civile nei territori palestinesi occupati”.

Molte delle associazioni prese di mira da Israele ricevono finanziamenti direttamente da questi governi e dall’apparato burocratico dell’UE a Bruxelles.

Tre di loro – Addameer, Al-Haq e Defence for Children International-Palestine – hanno collaborato strettamente con le indagini della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra in Cisgiordania e a Gaza.

Quindi, appena è stata resa nota la dichiarazione dei nove governi, ho scritto a Peter Stano, portavoce dell’UE per gli affari esteri, per chiedere se Bruxelles l’avesse adottata.

Dopo oltre una settimana – e nonostante due solleciti – il solitamente tempestivo Stano non ha inviato alcuna risposta.

Posso solo interpretare questo silenzio come un segnale che l’irresponsabile apparato burocratico dell’UE non sia d’accordo con i propri Stati membri e stia adottando in modo ancora più deciso il proprio approccio filo-israeliano.

In effetti Bruxelles è schierata a favore di Tel Aviv contro i governi dell’UE che sono arrivati ad essere talmente esasperati dalle diffamazioni e dalle bugie di Israele da dichiararlo pubblicamente.

Anche senza una risposta di Stano le prove di ciò sono abbastanza chiare.

The Electronic Intifada ha rivelato in ottobre che Israele ha comunicato in anticipo all’UE la sua intenzione di designare le organizzazioni palestinesi come “terroriste”, ma Bruxelles non ha respinto [la designazione] e non ha nemmeno inviato tale comunicazione ai propri Stati membri.

In quell’occasione Stano ha ammesso che l’UE aveva bisogno di “maggiori informazioni a proposito di queste designazioni” – un’ammissione del fatto che Israele non aveva fornito alcuna prova effettiva.

Sospensione illegittima”.

Il mese scorso Al-Haq è riuscita a presentare una petizione alla Commissione europea perché revocasse la sospensione dei finanziamenti per uno dei progetti dell’ organizzazione per i diritti umani sponsorizzati dall’UE.

Al-Haq ha affermato che la “sospensione vergognosa” era stata “illegale fin dall’inizio e basata sulla propaganda e sulla disinformazione israeliane”.

Una lettera dell’UE ha confermato che l’unità antifrode del blocco OLAF [Ufficio europeo per la lotta antifrode, istituito per contrastare le frodi, la corruzione e qualsiasi attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea, ndt.] aveva “concluso che non vi sono sospetti di irregolarità e/o frode ai danni dei fondi dell’UE” forniti ad Al-Haq.

Al-Haq ha accusato della sospensione Olivér Várhelyi, un alto funzionario non eletto dell’UE, affermando che [la sospensione, ndt.] fosse “mirata a dare al governo israeliano un aiuto nei suoi tentativi di danneggiare e diffamare la società civile palestinese e di opprimere le voci delle organizzazioni e difensori palestinesi dei diritti umani”.

Várhelyi è stato anche responsabile della sospensione degli aiuti dell’UE ai palestinesi, compresi i finanziamenti per pagare le cure salvavita per i malati di cancro palestinesi.

Tali aiuti sono stati sbloccati il mese scorso, poco prima che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si recasse in Israele e nella Cisgiordania occupata, dove ha trascorso la maggior parte del suo tempo a compiacere Tel Aviv.

L’UE rilancia il forum ad alto livello con Israele

Ma qualunque disaccordo possa esserci tra l’UE e i suoi Stati membri sulle sei organizzazioni, ciò non ha intaccato la loro unanimità quando si tratta di offrire a Israele riconoscimenti incondizionati per i suoi crimini contro il popolo palestinese.

Lunedì i 27 ministri degli esteri del blocco hanno deciso di riprendere le riunioni del Consiglio di associazione UE-Israele.

Questo forum di alto livello non si riuniva da un decennio, con grande disappunto di Israele e della sua lobby.

Secondo un comunicato di Bruxelles i ministri “hanno convenuto di riconvocare gli incontri e di iniziare a lavorare per determinare la posizione dell’Ue”.

“La posizione dell’UE sul processo in Medio Oriente non è cambiata rispetto alle conclusioni del Consiglio del 2016 a sostegno della soluzione dei due Stati”, si legge nella dichiarazione.

Sebbene l’UE abbia mantenuto il sostegno verbale alla moribonda “soluzione dei due Stati”, continua a premiare e incentivare la colonizzazione violenta da parte di Israele dei territori palestinesi occupati, vanificando l’idea di uno Stato palestinese indipendente.

La reazione di Várhelyi alla decisione di lunedì sottolinea che non c’è motivo di aspettarsi alcun cambiamento.

Egli ha salutato la ripresa del forum ad alto livello come un ulteriore segno che l’UE è “fermamente impegnata” nelle sue relazioni con Israele e ha esortato il blocco “a cogliere l’opportunità di normalizzare le relazioni tra Israele e un certo numero di Paesi arabi .”

Dimiter Tzantchev, l’ambasciatore dell’UE a Tel Aviv, ha affermato che il Consiglio di associazione UE-Israele “dovrebbe permettere di impegnarci con i nostri partner israeliani e di riflettere sul processo di pace in Medio Oriente e sul ruolo dell’UE in esso”.

La generica formulazione di Tzantchev è stata senza dubbio elaborata con cura per dare l’impressione che questo sfacciato riconoscimento ad Israele farebbe in qualche modo progredire il “processo di pace” morto da tempo, pur non offrendo assolutamente alcun sostegno concreto da parte di Bruxelles per promuovere i diritti dei palestinesi.

Secondo il giornalista israeliano Barak Ravid la decisione dell’UE di ripristinare il dialogo ad alto livello è un “risultato importante” per il primo ministro israeliano Yair Lapid.

Ravid osserva che questo era uno degli obiettivi chiave di Lapid quando ha assunto la carica di ministro degli Esteri israeliano poco più di un anno fa.

Rinvio compiacente

Citando un anonimo “alto funzionario europeo”, il Times of Israel [giornale israeliano online in lingua inglese, ndt.] ha riferito lunedì che Josep Borrell, capo della politica estera dell’UE, ha rinviato la ripresa delle riunioni del consiglio UE-Israele “a causa dell’uccisione della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh” a maggio.

Lo stesso mese Israele ha anche annunciato una massiccia espansione delle sue colonie in Cisgiordania, provocando un’insolita condanna da parte di Borrell.

Secondo The Times of Israel l’anonimo funzionario europeo ha detto: ”Ci sono state due cose inaccettabili sul piano diplomatico: l’uccisione della giornalista e l’annuncio di 4.000 nuovi insediamenti coloniali“.

“Borrell ci ha detto:Come potete immaginare che metta all’ordine del giorno un incontro di cooperazione con le immagini in TV… suvvia!’“, ha aggiunto il funzionario.

Ma questa non è stata una posizione di principio.

Il codardo Borrell era semplicemente preoccupato di salvare le apparenze e pensava che fosse prudente aspettare che l’omicidio della corrispondente di Al Jazeera non fosse più sulle prime pagine dei giornali prima di offrire ulteriori ricompense a Israele.

The Times of Israel riferisce che Borrell ha annunciato che avrebbe portato avanti la questione solo durante i sei mesi di presidenza ceca, iniziata il 1° luglio.

Ed è esattamente quello che è successo – nonostante l’ininterrotta espulsione da parte di Israele degli abitanti dei villaggi palestinesi da Masafer Yatta nella Cisgiordania occupata – tra gli altri crimini di guerra che l’UE pretende di contrastare.

“Il fatto che 27 ministri degli Esteri dell’UE abbiano votato all’unanimità a favore del rafforzamento dei legami economici e diplomatici con Israele è una prova della forza diplomatica di Israele e della capacità di questo governo di creare nuove opportunità con la comunità internazionale”, si è vantato il primo ministro israeliano Lapid dopo la decisione dell’UE di lunedì.

È anche la prova dell’assoluta codardia e della volontaria complicità dell’Unione Europea e di ogni suo membro.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Dopo la morte di una anziana detenuta i palestinesi accusano il carcere israeliano di non averla curata

Redazione di MEE

2 luglio 2022 – Middle East Eye

Saadia Farajallah, la più anziana detenuta palestinese, è morta sei mesi dopo essere stata aggredita da forze israeliane durante l’arresto

L’Associazione dei Detenuti Palestinesi ha informato che sabato [2 luglio], sei mesi dopo essere stata picchiata ed arrestata da forze israeliane nei pressi di un posto di controllo dell’esercito a Hebron, in un carcere israeliano è morta una sessantottenne palestinese.

L’Associazione dei Prigionieri ha accusato le autorità del carcere di Damon di non averle prestato le cure necessarie, in quanto a causa di molteplici patologie croniche, tra cui la pressione alta e il diabete, negli ultimi tempi la salute di Saadia Farajallah era peggiorata.

Afferma che le forze israeliane hanno brutalmente aggredito Farajallah quando il 18 dicembre 2021 l’hanno arrestata nella città vecchia di Hebron perché secondo loro avrebbe tentato un accoltellamento, e ciò ha peggiorato le sue già precarie condizioni di salute.

Il responsabile della Commissione dei Prigionieri ed Ex-Prigionieri, Ibrahim Najajra, ha smentito le affermazioni israeliana riguardo all’incidente, sostenendo che le condizioni di Farajallah le avrebbero impedito qualsiasi sforzo, tanto meno di tentare un’aggressione.

“Al momento la causa della sua morte non è chiara, ma le prime informazioni indicano che ha avuto un infarto ed è morta nella prigione di Damon,” dice Najajra a Middle East Eye.

“Il decesso di Saadia è una conseguenza della mancanza di cure mediche, (le autorità israeliane) non le hanno fornito assistenza adeguata, e della lunga detenzione in condizioni insalubri.”

La morte di Farajallah, la detenuta palestinese più anziana, porta a 230 il totale dei palestinesi deceduti nelle prigioni israeliane dal 1967.

Najajra ha sostenuto che il tribunale israeliano ha ripetutamente respinto le richieste degli avvocati di rilasciare Farajallah, a cui durante la detenzione sono state negate le visite dei familiari.

L’Associazione dei Detenuti Palestinesi ha affermato che Farajallah ha perso conoscenza dopo aver fatto le abluzioni per la preghiera del mattino. Le compagne di detenzione l’hanno subito portata all’ambulatorio della prigione, dove è deceduta.

L’Associazione dei Detenuti afferma che il 28 giugno Farajallah aveva assistito a un’udienza in tribunale su una sedia a rotelle, e in quell’occasione il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a cinque anni di prigione e al pagamento di un’ammenda di 15.000 shekel (circa 4.000 €). In seguito a esami medici che avevano evidenziato il peggioramento del suo stato di salute la sua avvocatessa aveva chiesto che le autorità carcerarie la facessero visitare da uno specialista.

Najajra afferma che la commissione dei detenuti cercherà di avviare un’indagine per scoprire la causa della morte di Farajallah e le circostanze che l’hanno determinata.

Secondo l’associazione palestinese per i diritti dei detenuti Addameer nelle prigioni israeliane ci sono 4.700 palestinesi, tra cui 32 donne e 170 minorenni.

Circa 640 di questi si trovano in “detenzione amministrativa”, un controverso provvedimento che Israele adotta per tenere in carcere [palestinesi] senza accuse o processo per periodi rinnovabili da tre fino a sei mesi.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il governo olandese interrompe il finanziamento di un’associazione della società civile palestinese

Zena Al Tahhan

6 gennaio 2022 – Al Jazeera

L’iniziativa giunge nonostante un’indagine esterna non abbia trovato prove delle accuse israeliane di “terrorismo” contro l’Union of Agricultural Work Committees

Ramallah, Cisgiordania occupata – Il governo olandese ha affermato che non finanzierà più una delle sei importanti organizzazioni palestinesi della società civile e dei diritti umani che Israele ha messo fuorilegge come “associazioni terroristiche” nell’ottobre 2021.

In un comunicato che denuncia la decisione di mercoledì, l’Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo] (UAWC), con sede a Ramallah, – di cui dal 2013 il governo olandese è stato il principale donatore– ha affermato che “questa è la prima volta che un governo interrompe i finanziamenti per la società civile palestinese sulla base di criteri politici.”

L’UAWC fornisce aiuto concreto ai palestinesi, anche recuperando terre a rischio di confisca da parte di Israele. Aiuta decine di migliaia di contadini nell’Area C, più del 60% della Cisgiordania occupata sotto diretto controllo militare israeliano e dove si trova la maggior parte delle illegali colonie israeliane e delle loro infrastrutture.

L’associazione afferma che prenderà in considerazione azioni legali per contrastare “la decisione dannosa e scorretta” del governo olandese che, ha avvertito, probabilmente “avrà ripercussioni ben oltre la nostra organizzazione.”

Nell’ottobre 2021 Israele ha messo fuorilegge sei associazioni in quanto “gruppi terroristici” con il pretesto che sarebbero affiliate al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), di sinistra. La decisione è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale e da organizzazioni per i diritti in quanto “ingiustificata” e “senza fondamento”, poiché il governo israeliano non ha fornito alcuna prova per sostenere le sue accuse.

La definizione israeliana mette in rapporto le sei associazioni con l’ala militare del FPLP, che è stata attiva come gruppo organizzato nella Seconda Intifada (2000-2005), quando ha effettuato attacchi contro obiettivi civili e militari israeliani.

Cinque associazioni sono palestinesi: il gruppo per i diritti dei prigionieri Addameer; l’associazione per i diritti Al-Haq; l’Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] (UPWC); il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo]; l’UAWC. La sesta è la sezione palestinese dell’organizzazione Defence for Children International [Difesa Internazionale dei Bambini], con sede a Ginevra.

Verifica esterna

La decisione del governo olandese ha fatto seguito a una sospensione di 18 mesi dei finanziamenti all’UAWC.

Nel luglio 2020, in seguito all’arresto di due collaboratori palestinesi dell’associazione, il ministero olandese del Commercio Estero e della Cooperazione per lo Sviluppo ha ordinato una verifica. Gli ormai ex-dipendenti sono accusati da Israele di essere stati responsabili nell’agosto 2019 di un attacco dinamitardo lungo una strada che ha ucciso una ragazza israeliana di 17 anni nei pressi della colonia illegale di Dolev, nella Cisgiordania occupata.

La verifica, condotta dall’associazione olandese Proximities Risk Consultancy [Consulenza di Priorità di Rischio], è iniziata nel febbraio 2021 ed ha riguardato il periodo tra il 2007 e il 2020, durante il quale l’UAWC ha ricevuto finanziamenti olandesi. I suoi risultati sono stati presentati mercoledì al parlamento olandese.

Mentre la verifica esterna ha affermato che i due ex-dipendenti hanno “ricevuto parte dei loro stipendi da spese generali finanziate dall’Olanda”, non sono state trovate prove di flussi finanziari tra l’UAWC e il FPLP né di legami tra l’UAWC e l’ala militare del FPLP. L’indagine ha anche affermato che non è stata trovata alcuna prova che personale o membri del consiglio di amministrazione abbiano utilizzato la propria posizione nell’organizzazione per organizzare attacchi armati.

Né è stata trovata alcuna prova di unità organizzativa tra l’UAWC e il FPLP o che il FPLP abbia fornito indicazioni all’UAWC,” afferma il rapporto di verifica, che ha trovato legami con i rami politici e civili del FPLP “a livello individuale tra il personale dell’UAWC e membri della direzione del FPLP.”

Proximities afferma che non si poteva pretendere che l’UAWC fosse al corrente di rapporti di singoli [dipendenti] con il FPLP,” continua il rapporto.

Colpo durissimo”

Nel suo comunicato di mercoledì l’UAWC afferma che la decisione “scioccante e sconvolgente” del governo olandese si è “basata su un certo numero di ‘rapporti di singoli’ che Proximities ha individuato – presunti collegamenti con il FPLP a titolo individuale di membri della direzione o del personale dell’UAWC.”

Evidenziando che “non può (e non vuole) interferire con le convinzioni e affiliazioni politiche personali dei propri dipendenti e membri della dirigenza,” l’UAWC afferma che la decisione legittima ed incoraggia “la strategia israeliana di attaccare le ong palestinesi” attraverso presunti legami politici delle persone che lavorano con esse.

Tutto ciò sta spostando l’attenzione internazionale dal furto e confisca di altra terra palestinese da parte di Israele e dalla sua brutale espulsione del popolo palestinese che vive sotto occupazione militare,” afferma l’UAWC.

Ryvka Barnard, vicedirettrice della Palestine Solidarity Campaign [Campagna di Solidarietà con la Palestina], con sede nel Regno Unito, ha definito l’iniziativa come “vergognosa” e ha affermato che “segna un precedente molto pericoloso” per le associazioni della società civile palestinese.

Con crescenti attacchi in tutto il mondo contro difensori della terra, popoli indigeni e contadini che producono per l’autoconsumo, la decisione del governo olandese di non finanziare più l’UAWC con queste false motivazioni è un gravissimo colpo e passerà alla storia come una vera battuta d’arresto nel progresso,” ha detto Barnard ad Al Jazeera. “Per decenni il lavoro di UAWC è stato fondamentale per appoggiare i contadini palestinesi nelle situazioni più vulnerabili, sottoposti a una terribile violenza dei coloni e a un’illegale furto di terre.”

Osservando che l’UAWC “ha fatto parte di un potente movimento per la sovranità alimentare in Palestina e a livello internazionale,” Barnard ha affermato che “queste sono le persone che ora più che mai dovremmo sostenere, e invece vengono attaccate.”

Martin Konecny, direttore di European Middle East Project [Progetto Europeo per il Medio Oriente], con sede in Belgio, ha affermato che la decisione è “assolutamente politica” e “non fondata su basi legali né su requisiti riguardanti la lotta al terrorismo”. Ha detto che la verifica contraddice la maggior parte delle affermazioni del governo israeliano.

Dal 1967 Israele ha messo fuorilegge più di 400 organizzazioni locali palestinesi e internazionali in quanto “ostili” o “illegali”, compresi tutti i principali partiti politici palestinesi, come Fatah, che governa l’Autorità Nazionale Palestinese, e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che raggruppa varie organizzazioni e con cui nel 1993 Israele firmò gli Accordi di Oslo.

Le autorità israeliane hanno imposto questa etichetta anche a decine di associazioni di beneficienza e mezzi di comunicazione in Palestina e l’hanno utilizzata per fare irruzione nei loro uffici, emettere ordini di chiusura, di arresto e di detenzione contro persone e processarle per un lavoro con cui esercitavano diritti civili e per aver criticato l’occupazione israeliana, considerata illegale in base alle leggi internazionali.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘In fin di vita’: la famiglia del prigioniero in sciopero della fame chiede il suo rilascio immediato

Yumna Patel

3 gennaio 2022 – Mondoweiss

Il prigioniero palestinese Hisham Abu Hawash è entrato lunedì nel suo 140esimo giorno di sciopero della fame e, secondo la sua famiglia, è in condizioni talmente critiche che potrebbe morire in qualsiasi momento”.

Aggiornamento: Hisham Abu Hawash ha concluso il suo sciopero della fame martedì 4 gennaio dopo 141 giorni di sciopero, a seguito di un accordo con Israele per il suo rilascio dalla detenzione amministrativa il 26 febbraio.

Lunedì 3 gennaio il prigioniero palestinese Hisham Abu Hawash, 41 anni, è entrato nel suo 140esimo giorno di sciopero della fame e, secondo la sua famiglia, è in condizioni così critiche che potrebbe “morire in qualsiasi momento”.

Abu Hawash è stato arrestato dalle forze israeliane nell’ottobre 2020 nel cuore della notte nella sua casa di famiglia nella città di Dura, a sud di Hebron, nel sud della Cisgiordania occupata.

Poco dopo il suo arresto Israele lo ha posto in detenzione amministrativa, una pratica utilizzata da Israele che consente la detenzione dei palestinesi a tempo indefinito senza accuse o processo, sulla base di “prove segrete” contro di loro. Abu Hawash aveva precedentemente trascorso nelle prigioni israeliane due distinti periodi di detenzione amministrativa.

Il 15 agosto 2021, dopo quasi 10 mesi di detenzione amministrativa, la Corte Suprema israeliana doveva esaminare un appello sulla detenzione di Abu Hawash. Ma l’udienza è stata annullata in quanto la procura militare israeliana si è opposta alla presentazione dell’appello davanti alla corte affermando che a causa di “prove segrete” fornite da funzionari dell’intelligence israeliana Abu Hawash non avrebbe potuto appellarsi alla sua detenzione fino a quando non avesse scontato due anni di carcere in detenzione amministrativa.

Quel giorno Abu Hawash ha annunciato che avrebbe iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione arbitraria.

Ora, a più di quattro mesi dall’inizio del suo sciopero, la sua famiglia sostiene che Abu Hawash si trova in condizioni critiche ed è in fin di vita.

“Potrebbe morire da un momento all’altro”, ha detto a Mondoweiss il fratello di Abu Hawash, Emad, dal soggiorno della casa di famiglia a Dura.

Non è più in grado di muoversi e riesce a malapena a parlare. La sua vista è offuscata, i suoi muscoli hanno iniziato ad atrofizzarsi e il potassio e gli enzimi epatici sono a livelli criticamente bassi”, riferisce Emad.

“Hisham era già affetto da problemi renali, che sono congeniti nella nostra famiglia, e ora i medici sono preoccupati che i suoi reni e altri organi possano cedere da un momento all’altro”, aggiunge.

Il ministero della Salute palestinese ha organizzato una delegazione che nel fine settimana ha visitato Abu Hawash presso lo Shamir Medical Center (Assaf Harofeh) a sud di Tel Aviv, dove è detenuto. Secondo una dichiarazione del ministero, “Abu Hawash soffre di offuscamento visivo, incapacità di parlare, grave atrofia muscolare e incapacità di muoversi, mentre la sua capacità di percepire ciò che accade intorno a lui è ridotta.“.

Secondo Emad, Hisham, che è padre di cinque figli di età inferiore ai 13 anni, ha rifiutato ogni tipo di vitamine e sostentamento, ad eccezione di una miscela di acqua per mantenerlo in vita. La famiglia di Hisham riferisce che verso le 3 di questa mattina è entrato in coma.

Hisham ha perso metà del suo peso. Un tempo pesava 85 kg e ora ne pesa meno di 40″, dice Emad, sottolineando che nelle immagini che vede di suo fratello sdraiato nel letto d’ospedale gli risulta “irriconoscibilie“.

Crescenti pressioni

Durante il fine settimana la mobilitazione è cresciuta, poiché le organizzazioni internazionali e i parlamentari statunitensi si sono uniti ai cittadini e ai leader palestinesi nella richiesta a Israele di rilasciare immediatamente Abu Hawash.

Manifestazioni si sono svolte nelle città della Cisgiordania, con folle a Ramallah, Betlemme, Hebron e Nablus che hanno chiesto il rilascio di Abu Hawash. Proteste simili sono state segnalate a Gaza, così come in paesi e città palestinesi in Israele.

In base alle informazioni, domenica la polizia israeliana ha picchiato i manifestanti durante una veglia per Abu Hawash a Umm al-Fahm, nel nord di Israele.

Lunedì notte dei manifestanti con le bandiere palestinesi si sono radunati davanti agli uffici dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence interna di Israele, per chiedere il rilascio di Abu Hawash.

Secondo la famiglia di Abu Hawash e i resoconti degli organi di informazione palestinesi, le forze di polizia israeliane hanno fatto irruzione nella sua stanza d’ospedale e hanno allontanato con la forza dall’ospedale sua moglie Aisha, i suoi avvocati e i giornalisti.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha rilasciato una dichiarazione in cui esprime preoccupazione per le condizioni di Abu Hawash, i potenziali effetti “irreversibili” del suo sciopero della fame e la “possibile perdita di una vita”.

I leader palestinesi, incluso il primo ministro palestinese Mohammed Shtayyeh, hanno affermato di ritenere Israele “pienamente responsabile” della vita di Abu Hawash. Il movimento della Jihad islamica a Gaza ha minacciato ritorsioni se Israele non avesse rilasciato immediatamente Abu Hawash.

Appelli per il rilascio di Abu Hawash sono stati diffusi attraverso l’utilizzo dell’hashtag #FreeHishamAbuHawwash sulle piattaforme sociali della rete. Lunedì in Palestina imperversava su Twitter la versione araba dell’hashtag, insieme al tag #FreeThemAll.

La deputata statunitense Rashida Tlaib si è unita agli appelli per il rilascio di Abu Hawash e ha condiviso su Twitter un video virale dei figli di Abu Hawash in lacrime mentre visitano per la prima volta il padre in ospedale.

“Hisham Abu Hawash – sposato, padre di 5 figli, detenuto senza prove, processo o persino un’udienza in tribunale (in violazione della legge internazionale) dall’ottobre 2020. In sciopero della fame per oltre 140 giorni. Solo il governo di Israele è responsabile di questa situazione e della sua salute e sicurezza”, ha scritto Tlaib.

Siamo con Hisham fino alla fine’

Nonostante le crescenti richieste di rilascio di Abu Hawash sulle piattaforme sociali e nelle piazze palestinesi, Emad Abu Hawash dice a Mondoweiss che la comunità internazionale non ha fatto il proprio dovere al fine di difendere suo fratello.

Emad, che collabora con il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) [organizzazione indipendente con sede a Gaza, ndtr.], riferisce di aver inviato decine di lettere urgenti a organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International per attirare l’attenzione sul caso di suo fratello, ma senza alcun risultato.

“Ho inviato lettere giorno dopo giorno a diverse organizzazioni internazionali, ma ho ricevuto poche o nessuna risposta”, dice Emad.

Nelle sue lettere, che ha fornito a Mondoweiss, Emad ha scritto, tra l’altro, del fatto che la tortura dei prigionieri e la detenzione amministrativa possono costituire crimini di guerra ai sensi dello Statuto di Roma [trattato internazionale istitutivo della Corte penale Internazionale, ndtr.] e costituire violazioni della Quarta Convenzione di Ginevra [che protegge da atti di violenza e dallarbitrio i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato, ndtr].

Nelle lettere indirizzate sia a Human Rights Watch che ad Amnesty Emad ha scritto: “Chiedo rispettosamente il vostro intervento per costringere l’occupazione israeliana ad attuare le regole minime standard per il trattamento dei prigionieri e a rilasciare Hisham Abu Hawash data la mancanza di accuse e l’assenza delle garanzie richieste per un libero processo”.

“La comunità internazionale non può trovare scuse sostenendo di non essere consapevole di ciò che sta accadendo”, afferma Emad, che è stato anch’egli recluso in una prigione israeliana in condizioni di detenzione amministrativa.

Sono anni che le organizzazioni palestinesi per i diritti umani denunciano al mondo il crimine della detenzione amministrativa. Il mondo ne è a conoscenza, ma ha scelto di non agire”.

Secondo l’organizzazione per i diritti dei detenuti palestinesi Addameer attualmente 500 prigionieri palestinesi sono imprigionati da Israele in regime di detenzione amministrativa.

Il mese scorso Israele ha rilasciato il prigioniero palestinese Kayed Fasfous dopo 131 giorni di sciopero della fame attuato in protesta contro la sua detenzione amministrativa. Nel novembre 2021 il prigioniero palestinese Miqdad Qawasmeh ha concluso il suo sciopero della fame di 113 giorni dopo che Israele ha accettato di porre fine alla sua detenzione amministrativa a febbraio del 2022.

“Qualsiasi cosa succeda siamo con Hisham”, dice Emad. “Sta lottando per la libertà e noi saremo con lui fino alla fine”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Le star di Hollywood denunciano la designazione da parte di Israele di alcune associazioni palestinesi quali ‘gruppi terroristi’

Redazione di MEE, Washington

17 novembre 2021  Middle East Eye

Richard Gere, Mark Ruffalo, Tilda Swinton, Susan Sarandon e Simon Pegg fra i firmatari di una lettera che chiede ad Israele di revocare la messa al bando di sei associazioni palestinesi

Oltre cento attori, registi, autori e musicisti di Hollywood hanno sottoscritto una lettera aperta mercoledì per contestare la decisione israeliana di designare sei organizzazioni di spicco della società civile palestinese quali organizzazioni terroriste.

La lettera descrive la recente mossa israeliana come “un attacco indiscriminato senza precedenti contro i difensori dei diritti umani palestinesi”, e chiede al Paese di revocare quella designazione.

Ciò che Israele tenta di bloccare è esattamente il lavoro fondamentale svolto da queste sei organizzazioni per proteggere e rafforzare i palestinesi e per denunciare le responsabilità di Israele per le sue gravi violazioni dei diritti umani e per il suo regime di apartheid e di discriminazione razziale istituzionalizzata,” si afferma nella lettera.

Fra i firmatari si trovano le star hollywoodiane Richard Gere, Mark Ruffalo, Tilda Swinton, Susan Sarandon e Simon Pegg; il regista Ken Loach, il musicista Jarvis Cocker, il gruppo musicale Massive Attack e gli autori Rashid Khalidi e Naomi Klein.

Ruffalo è dichiaratamente critico nei confronti di Israele e sostenitore dei diritti palestinesi. In passato ha condiviso una petizione che richiedeva ai leader internazionali di imporre sanzioni contro i settori chiave dell’industria israeliana “fino a quando non vengano garantiti ai palestinesi pieni e pari diritti civili”.

Quanto a Sarandon, attrice ed attivista di lungo corso, durante l’offensiva israeliana di maggio contro Gaza, ha pubblicato diversi tweet sulle tensioni, in uno dei quali affermava che i palestinesi si trovavano ad affrontare la nuova forma di colonialismo imposta da Israele.

Questa lettera non è che l’ultima di una serie di condanne della mossa israeliana – dall’ONU a fondazioni filantropiche e associazioni di attivisti fino a parlamentari USA. 

Lo scorso ottobre il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ha bollato come organizzazioni terroriste sei ONG palestinesi: Addameer, al-Haq, Comitati del Sindacato per il Lavoro Agricolo, Centro “Bisan” per la Ricerca e lo Sviluppo, Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi e Difesa dei Bambini Palestinesi.

Il ministero di Gantz ha accusato le associazioni di essere collegate a gruppi armati, ma la misura ha suscitato ampie critiche da parte dell’ONU, oltre che di note organizzazioni per la difesa dei diritti umani, quali Human Rights Watch e Amnesty International. 

In seguito, un’inchiesta da parte di Frontline Defenders [ONG che protegge gli attivisti per i diritti umani a rischio, ndtr] ha rivelato che i cellulari di diversi palestinesi membri di quelle associazioni erano stati hackerati.

La minaccia di ritorsioni è concreta e mette a repentaglio non solo le associazioni in questione, ma anche l’intera società civile palestinese e le decine di migliaia di palestinesi che esse assistono quotidianamente,” afferma la lettera.

La lettera è uscita mercoledì, esattamente un giorno dopo che oltre cento fra fondazioni filantropiche e donatori avevano firmato un’altra lettera aperta in solidarietà con le associazioni della società civile palestinese.

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)




Israa Jaabis: da un giorno all’altro da vittima a criminale

Israa Jaabis: da un giorno all’altro da vittima a criminale

Mahmoud Usruf

9 novembre 2021 – Monitor de Oriente

 

Nel 2017 un tribunale israeliano ha condannato una madre palestinese con gravi ustioni a undici anni di prigione senza che avesse fatto assolutamente niente. Solo in Israele si può essere incarcerati senza accuse di aver commesso un reato e venire condannati a tenersi le ferite per sempre, fino alla morte.

Israa Jabbis, 37 anni, il 10 ottobre 2015, un giorno prima della presentazione finale del suo progetto di ricerca per un corso di Educazione per alunni con disabilità, stava tornando a casa a Gerusalemme. Improvvisamente la sua auto prese fuoco per un problema tecnico a cinquecento metri dal posto di controllo militare di Al-Zayyim, a Gerusalemme. I soldati israeliani che si trovavano nei pressi pensarono che Israa fosse un potenziale pericolo e puntarono le armi contro la signora, che perse il controllo del veicolo e venne avvolta dalle fiamme.

Secondo l’avvocato di Israa, dell’associazione per i diritti umani Addameer, nell’auto di Israa scoppiò accidentalmente una bombola di gas, e in seguito a ciò lei uscì di corsa dall’auto gridando per chiedere aiuto. Tuttavia le venne risposto puntandole la canna di un fucile e con le urla di un ufficiale israeliano: “Lascia il coltello.” Israa cadde in fiamme sull’asfalto e per 15 minuti rimase ad aspettare la pietà del soldato o una morte imminente. Ma alla fine fu arrestata.

I militari israeliani l’accusarono di “tentativo di assassinio”. Tuttavia non vennero fornite prove. La donna palestinese negò anche con veemenza queste accuse, sottolineando che stava trasportando mobili nella sua casa nel quartiere di Jabal Al-Mukaber.

Questo incidente avvenne durante la cosiddetta “Intifada di Gerusalemme”, scoppiata nel 2014 in seguito all’indignazione dei palestinesi per le provocazioni israeliane nella moschea di Al-Aqsa. L’insurrezione continuò fino alla seconda metà del 2015.

Gli scontri giornalieri e l’ondata di violenza si estesero in Cisgiordania e alla frontiera con Gaza. Tuttavia la risposta israeliana fu spesso una rappresaglia indiscriminata. Un giovane senza gambe, Ibrahim Abu Thuraya, è un esempio delle decine di palestinesi uccisi in modo arbitrario dalle forze israeliane. Venne assassinato nella barriera di separazione di Gaza mentre protestava pacificamente contro le violazioni israeliane a Gerusalemme.

Le forze israeliane uccisero nelle strade della Cisgiordania molti palestinesi anche adolescenti accusati di “avere con sé un coltello”. Durante questi avvenimenti il numero di morti arrivò a 222 palestinesi.

Secondo Addameer, Israa langue nella prigione di Damon, nel nord di Israele, con altre dieci madri palestinesi e trentacinque detenute.

Secondo un rapporto di Medici senza Frontiere presenta ustioni di secondo e terzo grado sul 60% del corpo. Otto delle sue dita si sono fuse a causa delle bruciature ed ha bisogno di assistenza medica urgente.

“Non c’è un dolore peggiore di questo”

Nasreen Abu Kmail, una detenuta rilasciata che è stata nella stessa cella della prigione di Damon con Israa, ha l’descritta come il “caso più difficile” dietro le sbarre. “Non può mangiare né respirare bene e a causa delle sue lesioni patisce di infiammazioni acute.”

Nonostante la sua sofferenza l’amministrazione del carcere di Damon non le fornisce l’assistenza medica necessaria per curare le ferite. Il Servizio Penitenziario Israeliano (ISP) lascia deliberatamente che Israa patisca le conseguenze della mancanza di cure.

“Ogni volta che Israa sollecita un trattamento medico, sia assistenza sanitaria di base che chirurgia plastica, l’amministrazione carceraria risponde che è stata lei stessa a provocarsi il dolore,” ha detto Anhar Al-Deek, una detenuta palestinese liberata su cauzione lo scorso settembre.

Israa è comparsa davanti al tribunale nel gennaio 2018 per presentare appello contro la sua condanna al carcere. Quando durante l’udienza le hanno chiesto del suo stato, ha alzato ciò che resta delle sue mani verso i giudici dicendo: “C’è un dolore peggiore di questo?”.  Il suo volto e gli occhi erano molto eloquenti riguardo a come si senta e a quanto soffra.

La sorella di Israa, Mona Jaabis, ha detto a MEMO che Israa ha bisogno di otto operazioni urgenti, per non parlare dei trenta interventi di chirurgia plastica per curare, almeno parzialmente, le estese lesioni. “Israa respira con la bocca perché le narici sono totalmente ostruite. Ora abbiamo avviato una battaglia legale per fare pressione sull’IPS perché permetta a Israa di sottoporsi alle necessarie operazioni chirurgiche al naso, alle orecchie, alla gola e al labbro inferiore.”

L’IPS non le fornisce alcun tipo di pomata per le ustioni né consente che lo faccia la sua famiglia. “Non consentono alcun tipo di assistenza sanitaria.”

Mona ha evidenziato che dalla sua detenzione sua sorella ha subito un trauma psicologico acuto e l’ha citata: “Quando mi guardo il volto nello specchio mi spavento… e il ricordo dell’incidente è un incubo quotidiano.”

Abu Kmail e Al-Deek, che hanno scontato la loro condanna nella stessa cella di Israa, hanno raccontato che questa madre palestinese si alza tutte le mattine gridando: “Fuoco, fuoco, fuoco!”

“Mamma, fammi vedere le mani.”

Gli attivisti palestinesi si sono mobilitati sulle reti sociali a favore della madre palestinese. L’hashtag #Save_Israa è stato il più utilizzato su Twitter all’inizio di settembre. La famiglia di Israa ha detto a MEMO che la campagna va avanti.

Mutasim, il figlio tredicenne di Israa, ha anticipato questi tentativi. “Ho passato 6 anni separato da mia madre. Tutti i bambini del mondo tornano a casa e vedono la mamma. Ma io no,” ha detto Mutasim in un video.

Fin dal suo arresto l’IPS ha negato a Israa le visite della sua famiglia, con una flagrante violazione della IV convenzione di Ginevra del 1949, salvo che in un incontro speciale tra Israa e Mutasim organizzato dalla Commissione Internazionale della Croce Rossa (CICR) 18 mesi dopo la detenzione.

“C’era un vetro doppio tra Israa e Mutasim e un telefono con un segnale molto debole da una parte e dall’altra della barriera divisoria. I due hanno parlato tra loro attraverso il telefono. “Fammi vedere la tua faccia, mamma.” Israa ha alzato di malavoglia una parte della testa che cercava di nascondere dietro a un ripiano di pietra che si trovava sotto il vetro divisorio. Israa si era anche coperta il volto con una maschera gialla che si era fatta lei stessa.

Ha disegnato sulla maschera un animale dei cartoni animati per nascondere le sue ferite e non spaventare il bambino.

“Fammi vedere il tuo viso, mamma”, ha ripetuto Mutasim, ha raccontato Mona, la sorella di Israa, che ha accompagnato il bambino nella visita.

“A quel punto tutti quelli che erano presenti nella sala visite sono scoppiati a piangere, compresi gli altri visitatori e le guardie carcerarie. ‘Mamma, ti voglio bene così come sei,’ ha detto Mutasim, e ha messo la sua mano da una parte del vetro, invitando sua madre a fare altrettanto.”

Quella è stata la prima e ultima “stretta di mano” tra i due.

Le autorità israeliane hanno anche annullato l’assicurazione sanitaria di Israa, impedendo così ogni possibilità di cure mediche in futuro, in quanto è stata considerata dimessa. L’IPS vuole sopraffare con il dolore e l’umiliazione Israa per il resto della sua vita. Allora, può essere più doloroso rimanere in vita?

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Monitor de Oriente.

 

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




Gli esperti delle Nazioni Unite condannano la designazione da parte di Israele dei difensori dei diritti umani palestinesi come organizzazioni terroristiche

 

ONU DIRITTI UMANI

UFFICIO DELL’ALTO COMMISSARIO

GINEVRA (25 ottobre 2021) – Gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani hanno condannato oggi in modo deciso e inequivocabile la decisione del ministro della Difesa israeliano Benny Gantz di definire organizzazioni terroristiche sei associazioni palestinesi per i diritti umani e a favore della società civile.

“Questa definizione è un attacco frontale al movimento per i diritti umani palestinese e ai diritti umani ovunque”, hanno affermato gli esperti. “Mettere a tacere le loro voci non è ciò che farebbe una democrazia rispettosa di diritti umani e norme umanitarie universalmente accettate. Chiediamo alla comunità internazionale di sostenere i difensori”.

Gli esperti hanno affermato che le leggi antiterrorismo sono progettate per uno scopo specifico e ristretto e non devono essere utilizzate per minare ingiustificatamente le libertà civili o per limitare il lavoro legittimo delle organizzazioni per i diritti umani. Essi hanno aggiunto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Assemblea Generale e il Consiglio per i Diritti Umani sono stati tutti chiari sulla necessità di applicare misure antiterrorismo in modo coerente con il diritto internazionale e di non violare gli obblighi internazionali degli Stati.

“Tale uso improprio delle misure antiterrorismo da parte del governo israeliano mette in pericolo la sicurezza di tutti”, hanno dichiarato gli esperti. “Le libertà di associazione e di espressione devono essere pienamente rispettate al fine di consentire alla società civile di svolgere il proprio indispensabile lavoro e non possono essere compromesse dall’abuso manifestamente eclatante della legislazione antiterrorismo e sulla sicurezza”.

Le sei organizzazioni palestinesi sono Addameer, Al-Haq, Defense for Children International – Palestine [Difesa internazionale dei bambini – Palestina, ndtr.], Union of Agricultural Work Committees [Unione dei comitati del lavoro agricolo, ndtr.], Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la ricerca e lo sviluppo, ndtr.] e Union of Palestine Women Committees [Unione dei comitati delle donne palestinesi, ndtr.]. All’interno delle comunità con cui lavorano ci sono donne e ragazze palestinesi, bambini, famiglie di contadini, prigionieri e attivisti della società civile, ognuno dei quali esposto ad una crescita del grado di discriminazione e persino di violenza.

“Queste organizzazioni parlano il linguaggio dei diritti umani universali”, hanno affermato gli esperti. “Affrontano il loro lavoro basandosi sui diritti, inclusa un’analisi di genere, per documentare violazioni dei diritti umani di ogni tipo in Palestina, comprese quelle connesse alle imprese”.

Questa definizione vieterebbe di fatto a questi difensori dei diritti umani di svolgere il loro lavoro e consentirebbe ai militari israeliani di arrestare il loro personale, chiudere i loro uffici, confiscare i loro beni e proibire le loro attività e l’impegno a favore dei diritti umani. Gli esperti sottolineano la loro preoccupazione che almeno per una di queste organizzazioni questa decisione possa essere stata presa come una forma di rappresaglia nei confronti della cooperazione con gli organismi delle Nazioni Unite.

“Negli ultimi anni l’esercito israeliano ha spesso preso di mira i difensori dei diritti umani, mentre intensificava il suo intervento di occupazione, proseguiva la sua sfida al diritto internazionale e aggravava il suo primato di violazioni dei diritti umani”, hanno affermato gli esperti. “Mentre le organizzazioni internazionali e israeliane per i diritti umani hanno dovuto affrontare pesanti critiche, restrizioni legislative e persino espulsioni, i difensori dei diritti umani palestinesi hanno dovuto sempre subire le costrizioni più severe”.

Gli esperti sui diritti umani hanno invitato la comunità internazionale a far uso della sua gamma completa di strumenti politici e diplomatici per chiedere a Israele di rivedere e revocare questa decisione. “Queste organizzazioni della società civile sono i canarini nella miniera di carbone dei diritti umani, che ci mettono in guardia sui modelli di violazioni, ricordando alla comunità internazionale i suoi obblighi di garantire l’attribuzione di responsabilità e fornendo voce a coloro che non ne hanno”, hanno affermato gli esperti.

Michael Lynk, Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967; Mary Lawlor, Relatrice Speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani; Sig.ra Fionnuala Ní Aoláin, Relatrice Speciale sulla promozione e la protezione dei diritti umani nella lotta al terrorismo; Irene Khan, Relatrice Speciale per la promozione e la tutela del diritto alla libertà di opinione e di espressione; Melissa Upreti (presidente), Dorothy Estrada Tanck (vicepresidente), Elizabeth Broderick, Ivana Radačić e Meskerem Geset Techane, gruppo di lavoro sulla discriminazione contro le donne e le ragazze; Reem Alsalem, Relatrice Speciale sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze; Clément N. Voule Relatore Speciale dell’ONU sul diritto di riunione e associazione pacifica; Surya Deva (presidente), Elżbieta Karska (vicepresidente), Githu Muigai, Dante Pesce e Anita Ramasastry del gruppo di lavoro su imprese e diritti umani: Siobhán Mullally, Relatrice Speciale sulla tratta di persone, in particolare donne e bambini;

I Relatori Speciali fanno parte delle cosiddette Procedure Speciali del Consiglio dei Diritti Umani. Procedure speciali, il più importante organismo di esperti indipendenti all’interno dell’istituzione sui diritti umani delle Nazioni Unite, è la denominazione generica dei sistemi indipendenti di indagine e monitoraggio conoscitivi del Consiglio che affrontano situazioni specifiche di un Paese o questioni tematiche in tutte le parti del mondo. Gli esperti delle Procedure Speciali lavorano su base volontaria; non sono dipendenti delle Nazioni Unite e non ricevono uno stipendio per il loro lavoro. Sono indipendenti da qualsiasi governo o organizzazione e prestano servizio a titolo individuale.

 

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)