Israele stravolge la legge per evitare l’inchiesta della CPI

Maureen Clare Murphy

30 maggio 2019 – The Electronic Intifada

Israele conta sui muscoli degli USA per bloccare l’inchiesta della Corte Penale Internazionale sui presunti crimini di guerra perpetrati nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza occupate.

“La Corte Penale Internazionale dell’Aia non ha giurisdizione per discutere materie riguardanti il conflitto israelo-palestinese”, ha dichiarato questa settimana Sharon Afek, procuratore generale militare di Israele, alla conferenza annuale di Herzliya, una riunione ad alto livello delle élite politiche e militari israeliane.

“Israele è un Paese rispettoso delle leggi, con un sistema giudiziario indipendente e forte e non vi è motivo perché le sue azioni vengano prese in esame dalla CPI”, ha aggiunto Afek.

Il quotidiano di Tel Aviv Haaretz ha affermato che recentemente l’ufficio della procura generale militare ha anche pubblicato un rapporto che sostiene che l’esercito ha svolto “conferenze e seminari sulle implicazioni giuridiche” delle azioni delle forze di occupazione.

“L’iniziativa è stata sollecitata dagli scontri settimanali tra soldati e palestinesi nell’ultimo anno, come anche dall’esame della Corte Penale Internazionale sulle azioni (dell’esercito) nella guerra contro Gaza del 2014”, ha aggiunto Haaretz.

La situazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza è sottoposta ad indagine preliminare da parte della Corte Penale Internazionale dal 2015. Lo scorso anno il suo procuratore capo rivolto un monito senza precedenti ai leader israeliani, avvertendo che potrebbero subire un processo per le uccisioni di manifestanti disarmati a Gaza.

Durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno a Gaza più di 200 palestinesi, compresi 44 minori, sono stati uccisi e altre migliaia sono state ferite. Nella sola giornata del 14 maggio 2018, il giorno più letale delle proteste da quando sono cominciate all’inizio di quell’anno, circa 1400 palestinesi sono stati colpiti da proiettili veri nel corso delle proteste.

I giudici dell’Aia hanno anche ordinato alla Corte Penale Internazionale di mettersi in comunicazione con le vittime dei crimini di guerra in Palestina.

Indagini di facciata

Afek ha ordinato un’inchiesta della polizia militare sull’uccisione di 11 palestinesi durante la Grande Marcia del Ritorno.

Israele mantiene l’apparenza di un solido apparato interno di indagine per evitare di essere chiamato a rispondere di fronte ai tribunali internazionali. Le associazioni per i diritti umani hanno definito le inchieste dell’esercito israeliano sulle sue violazioni contro i palestinesi un meccanismo di insabbiamento.

All’inizio di questo mese l’esercito ha chiuso la sua indagine sull’uccisione di Ibrahim Abu Thurayya, un uomo con le gambe amputate colpito alla testa durante una protesta nel dicembre 2017.

A settembre 2016 l’associazione palestinese per i diritti umani Al-Haq ha affermato che “dal 1987 nessun soldato o comandante israeliano è stato incriminato per aver deliberatamente causato la morte di un palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza occupate.”

Da allora vi sono state due incriminazioni – entrambe in episodi di notevole gravità in cui l’uccisione è stata ripresa in un video.

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Nel 2017 il medico militare israeliano Elor Azarya è stato condannato a 18 mesi (di carcere) per l’uccisione a bruciapelo di Abd al-Fattah al-Sharif nella città cisgiordana di Hebron nel 2016. Quella sentenza è stata in seguito ridotta di un terzo.

L’anno scorso Ben Dery è stato condannato a nove mesi di prigione per quella che ‘Defence for Children International Palestine’ ha definito l’“uccisione deliberata” del diciassettenne Nadim Nuwara durante le proteste fuori da una prigione militare della Cisgiordania nel maggio 2014.

Distorcere la legge

Durante il suo intervento alla conferenza di Herzliya, Afek ha accusato le autorità di Hamas a Gaza di mandare migliaia di persone “a varcare la barriera di confine.”

“Questo solleva sostanziali problemi giuridici, incluso quale sia l’adeguato quadro giuridico in base al quale l’esercito deve rispondere”, ha aggiunto.

Israele ha cercato di giustificare l’uso della forza letale contro i manifestanti di Gaza dicendo che le manifestazioni e la loro repressione mortale fanno parte di un conflitto armato con Hamas.

Una commissione d’inchiesta indipendente promossa dalle Nazioni Unite ed associazioni palestinesi per i diritti umani lo hanno confutato. Affermano che le manifestazioni di massa lungo il confine tra Gaza e Israele sono una questione di applicazione della legge riguardante i civili sottoposta al diritto umanitario internazionale. Le uccisioni e le menomazioni di manifestanti non possono quindi essere giustificate sostenendo che sono avvenute durante un conflitto armato.

La commissione d’inchiesta ha predisposto un fascicolo riservato contenente dei dossier su presunti responsabili di crimini internazionali in relazione alla Grande Marcia del Ritorno, da sottoporre alla Corte Penale Internazionale.

Israele fa affidamento sulle minacce e intimidazioni da parte degli USA per impedire una regolare inchiesta da parte della CPI.

Anche Paul Ney, procuratore del Dipartimento della Difesa USA, è intervenuto alla conferenza di Herzliya durante quello che Haaretz ha descritto come “un attacco coordinato contro la giurisdizione della Corte Penale Internazionale”, da parte di USA e Israele.

Ney ha detto che gli USA “non hanno in nessun modo dato il consenso ad alcun esercizio della competenza giurisdizionale da parte della CPI” e che la sua presa in esame di accuse contro personale USA è ritenuta “una flagrante violazione della nostra sovranità nazionale e un attacco allo stato di diritto americano.”

La CPI si arrende alle intimidazioni

In aprile i giudici istruttori della CPI hanno deciso all’unanimità di rinunciare ad aprire un’inchiesta sui crimini di guerra in Afghanistan, adducendo le scarse probabilità di “ottenere una significativa collaborazione da parte delle autorità competenti”, riferendosi agli USA.

L’annuncio è arrivato alcuni giorni dopo che gli USA hanno revocato il visto al procuratore capo della Corte Penale Internazionale.

Il presidente USA Donald Trump ha avvertito che “qualunque tentativo di incriminare personale americano, israeliano o alleato troverà una pronta e dura risposta.”

Alla conferenza di Herzliya Ney ha detto che la CPI non ha giurisdizione per perseguire presunti crimini internazionali di Israele e degli USA, perché nessuno dei due Stati ha aderito allo Statuto di Roma, il trattato che ha istituito la Corte.

Gli USA hanno inoltre adottato misure punitive e coercitive contro l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina per i suoi tentativi di vedere Israele incriminato presso la CPI, compresa la chiusura della sua rappresentanza a Washington l’anno scorso.

L’Autorità Nazionale Palestinese ha aderito allo Statuto di Roma nel 2015, accettando la giurisdizione della CPI riguardo a presunti crimini commessi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, dal 13 giugno 2014.

Maureen Clare Murphy è capo redattrice di ‘The Electronic Intifada’ e vive a Chicago.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




La strategia anti-BDS di Israele alimenta miti e falsità

Mohammad Makram Balawi

Middle East Monitor15 Febbraio, 2019

Il ministero degli Affari Strategici israeliano ha pubblicato un rapporto dal titolo Terrorists in Suits: The Ties Between NGOs promoting BDS and Terrorist Organizations [Terroristi in cravatta: i legami tra ONG pro-BDS e organizzazioni terroristiche]. L’inchiesta ha i toni del melodramma, specialmente quando raffigura immagini di attivisti pro-BDS affisse su una bacheca in sughero e collegate le une alle altre da tratti rossi, come in una scena di un film giallo.

L’uomo dietro l’inchiesta è il ministro per la Pubblica Sicurezza e degli Affari Strategici Gilad Erdan; senza dubbio ha una fervida immaginazione. Un guazzabuglio di nomi, luoghi, date, eventi, assemblee e immagini mischiati insieme per presentare uno scenario che si presume dissuada la gente dall’appoggiare il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni e spazzi via tutti i crimini di Israele nei confronti del popolo palestinese. Così facendo, non fa che spacciare miti e falsità.

Nel rapporto si asserisce che tutti gli attivisti pro-Palestina e a favore della giustizia che vi sono menzionati non siano in realtà ciò che sembrano. Viene ad esempio citata una descrizione fatta dalla Corte Suprema di Israele nel 2007 a proposito di Shawan Jabarin, direttore generale della Al-Haq Foundation, una delle più antiche organizzazioni per i diritti umani della Cisgiordania, come di una personalità alla “Dr. Jekyll e Mr. Hyde”. Per “rilevanti questioni di sicurezza”, il tribunale ha appoggiato la decisione dell’esercito di vietargli di lasciare il Paese. Anche la vicedirettrice dell’organizzazione per i diritti Addameer, Khalida Jarrar, è stata descritta in modo analogo; dal 2017 si trova in stato di detenzione amministrativa per il suo ruolo come importante membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) e per le sue presunte attività terroristiche. La detenzione amministrativa consente a Israele di mantenere persone – guarda caso sempre palestinesi – dietro le sbarre senza alcuna accusa né processo, per periodi di sei mesi rinnovabili.

Una sezione del rapporto punta a presentare un atto di pirateria in mare aperto come una sorta di gesto eroico contro il terrorismo, ovvero quando nel 2010 le truppe israeliane attaccarono la Mavi Marmara, un’imbarcazione battente bandiera turca che faceva parte di un convoglio di navi che portava aiuti umanitari nella Striscia di Gaza assediata. In acque internazionali e nell’assoluto disprezzo del diritto internazionale e della vita umana, gli israeliani sequestrarono il convoglio e uccisero nove attivisti turchi: İbrahim Bilgen, Çetin Topçuoğlu, Furkan Doğan, Cengiz Akyüz, Ali Heyder Bengi, Cevdet Kılıçlar, Cengiz Songür, Fahri Yaldız, Necdet Yıldırım. Un decimo, Ugur Suleyman Soylemez, fu così gravemente ferito da morire dopo un coma di quattro anni. Israele alla fine ha accettato di pagare un risarcimento di più di 20 milioni di dollari alle famiglie delle vittime. I propagandisti israeliani al servizio del ministro Erdan sono ancora oggi impegnati a infangare l’immagine dei martiri e distorcere la realtà riguardo l’accaduto. Difatti, chiunque abbia mai avuto un qualsiasi legame con la Mavi Marmara e il suo convoglio viene ancora accusato di “terrorismo”, compreso l’allora capo della Campagna Britannica di Solidarietà per la Palestina Sarah Colborne, Ismail Patel dell’associazione Amici di Al-Aqsa e i leader palestinesi esiliati Muhammad Sawalha e Zaher Birawi.

Le accuse contro tali attivisti includono: apparire su canali televisivi di Al-Aqsa, di proprietà di Hamas; incoraggiare le flottiglie di liberazione a rompere l’assedio di Gaza; chiedere la fine della vendita di armi ad Israele e organizzare manifestazioni in favore del legittimo diritto al ritorno dei palestinesi e le proteste nell’ambito della Grande Marcia del Ritorno. Secondo il rapporto di Erdan, sarebbe già sufficiente andare a Gaza per offrire supporto umanitario e morale ai palestinesi, o descrivere Israele come uno Stato di apartheid, per essere additati come terroristi, nonostante Israele rientri perfettamente nei criteri per essere definita tale.

In tutto il testo di Terroristi in cravatta… c’è uno sfrontato disprezzo per il diritto internazionale, per le risoluzioni dell’ONU e anche per il puro e semplice buonsenso, e rispecchia lo spregio che Israele mostra nei confronti di quelle leggi e convenzioni mirate a proteggere chi è più vulnerabile e a offrire loro giustizia. In nessun punto del testo pare che i suoi autori siano anche solo lontanamente consapevoli della brutale occupazione militare di Israele, a cui sono asserviti i tribunali del Paese e le sue agenzie di sicurezza. Il rapporto cita infatti sentenze e inchieste di Shin Bet, l’agenzia per la sicurezza interna, come se fossero documenti indipendenti e completamente imparziali, cosa del tutto irragionevole. Qualsiasi opposizione o resistenza all’occupazione illegale e belligerante viene classificata come terrorismo, e guai a chi la pensi diversamente.

Secondo Erdan e il suo staff, nessuno è immune a tali gravi accuse, siano essi organizzazioni di società civile, fazioni di palestinesi, intellettuali o attivisti. L’inchiesta sostiene che 42 fra le principali ONG su quasi 300 organizzazioni internazionali promuovano la “delegittimazione di Israele” e la campagna BDS contro lo Stato sionista. Anche solo questo, insiste il reportage, è ragione sufficiente per classificarli come “terroristi” e per screditarli, insieme al loro considerevole lavoro. Tale attivismo, agli occhi del ministero degli Affari Strategici, sarebbe accettabile solo quando ciò avvantaggia Israele, altrimenti è bollato come “terrorismo”.

Esattamente come quando il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, in seguito agli eventi dell’11 settembre, affermò che “chiunque non è con noi è con i terroristi”, non viene lasciato alcuno spazio alla via di mezzo, nonostante sia perfettamente ragionevole essere sia contro gli Stati Uniti che anche contro il terrorismo. Israele ha adottato la stessa filosofia, per cui o sei pro-Israele o sei un terrorista, non si può essere a favore della giustizia se quella giustizia va a vantaggio delle popolazioni della Palestina occupata.

Quando, mi chiedo, Israele e i suoi sostenitori si accorgeranno che l’attivismo a favore della giustizia e pro-Palestina non sono un problema, bensì che è l’occupazione israeliana a costituire il nocciolo della questione?

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione di Maria Monno)




Israele reso furioso dal premio francese per i diritti umani

Adri Nieuwhof

14 dicembre 2018, Electronic Intifada

La Francia ha insignito Al-Haq e B’Tselem [due organizzazioni per i diritti umani, una palestinese e l’altra israeliana, ndtr.] con il prestigioso “Premio della Repubblica Francese per i Diritti Umani”.

Ciò è avvenuto nonostante le pesanti pressioni da parte di Israele sul governo francese perché togliesse il riconoscimento alle due associazioni che documentano i crimini di guerra e i soprusi israeliani contro i palestinesi.

Tuttavia la ministra della Giustizia francese Nicole Belloubet ha ceduto alle pressioni e si è rifiutata di partecipare alla cerimonia di premiazione a Parigi lo scorso lunedì [10 dicembre, ndtr.].

Il gruppo della lobby franco-israeliana CRIF ha scritto a Belloubet sostenendo che i due vincitori “chiedono il boicottaggio di Israele,” ed ha affermato che per il ministero della Giustizia francese dare loro il premio “anche in assenza della ministra è un insulto alla giustizia.”

Nel suo discorso di ringraziamento il direttore esecutivo di B’Tselem Hagai El-Ad ha definito “isterica” la risposta del governo israeliano.

El-Ad ha detto che il tentativo israeliano di esercitare pressioni su dirigenti francesi “dimostra la situazione in cui lavoriamo: propaganda, menzogne e minacce da parte di un governo che crede che far tacere e nascondere consentirà ulteriori violazioni dei diritti umani.”

Il direttore di Al-Haq, Shawan Jabarin, ha detto ad Electronic Intifada che il premio è un riconoscimento per il lavoro del suo gruppo in un periodo in cui l’organizzazione è presa di mira da una campagna di calunnie da parte di Israele.

La cerimonia di premiazione del 10 dicembre ha coinciso con il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il ventesimo anniversario della Dichiarazione ONU sui Difensori dei Diritti umani.

Risposta furiosa

Israele ha risposto con ira all’annuncio che la Francia stava per assegnare il prestigioso premio alle due associazioni.

“La Francia consegna il suo riconoscimento più prestigioso a B’Tselem e Al-Haq, che accusano Israele di apartheid, ci delegittimano a livello internazionale, difendono il terrorismo e sostengono il BDS,” ha affermato Michael Oren, vice ministro israeliano per i rapporti diplomatici.

BDS sta per Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni – una campagna palestinese non-violenta per rendere Israele responsabile delle violazioni dei diritti dei palestinesi, sul modello del vincente movimento internazionale di solidarietà che contribuì a porre fine all’apartheid in Sud Africa.

L’ambasciata di Israele in Francia ha twittato di essere “scioccata” per il premio ed ha asserito che Al-Haq sarebbe legata al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un partito politico e un’organizzazione di resistenza che Israele definisce gruppo “terroristico”.

La ministra della Cultura di Israele Miri Regev ha detto che B’Tselem e i suoi membri dovrebbero “vergognarsi”, descrivendo il premio come un “simbolo di disonore”.

La viceministra degli Esteri israeliana Tzipi Hotovely ha definito il premio “deplorevole” ed ha chiesto al governo francese di ripensarci.

Hotovely ha sostenuto che anche il primo ministro Benjamin Netanyahu ha manifestato la sua opposizione durante un incontro con il presidente francese Emmanuel Macron.

Chiudere spazi

Il direttore di Al-Haq Shawan Jabarin ha parlato con Electronic Intifada all’Aia, pochi giorni prima di recarsi a Parigi per la cerimonia di premiazione.

Ha detto che il premio arriva in un momento in cui Israele sta “cercando di chiudere gli spazi” per il lavoro a favore dei diritti umani.

Il riconoscimento francese, ha detto, significa per Al-Haq ancor di più perché “giunge nello stesso giorno del settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.”

Jabarin ha affermato che il premio è stato assegnato “alle vittime in Palestina” ed è “un riconoscimento dei loro diritti.”

Ma ha ammonito che le vittime hanno bisogno di molto più di un riconoscimento simbolico.

“La Francia deve agire in base ai propri impegni,” ha detto, in riferimento ai trattati internazionali sui diritti umani che ha firmato.

Momento di agire

A settant’anni dalla Nakba – l’espulsione dei palestinesi – e dopo 51 anni di occupazione militare della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, ha detto Jabarin, “niente è cambiato, la situazione si sta aggravando, l’occupazione si sta approfondendo, come le sofferenze.”

Il messaggio di Jabarin al governo francese è che “se vuole davvero la pace in Palestina e altrove, deve agire.”

Jabarin ha affermato che, per cambiare la situazione, ci devono essere sanzioni contro Israele, compreso il divieto di commercio dei prodotti delle colonie e un embargo sulle armi.

Gli europei non dovrebbero “lasciare che i criminali viaggino nei loro Paesi,” ha aggiunto Jabarin.

“Se i criminali non pagano il prezzo dei loro crimini, non c’è modo che ripensino o cambino le loro azioni e le loro politiche.”

La CPI propende per la narrazione israeliana?

Jabarin ha anche manifestato delusione nei confronti della Corte Penale Internazionale, che dal 2015 sta portando avanti un “esame preliminare” dei possibili crimini di guerra israeliani contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

“È passato molto tempo,” ha detto Jabarin.

Un esame preliminare è il primo passo nel procedimento della Corte per decidere se aprire un’inchiesta formale, che può poi portare a imputazioni e a un processo.

Ma mentre un esame preliminare è portato avanti ogni volta che viene presentata una richiesta di deferimento, esso è a tempo indefinito e può continuare per anni, a discrezione del procuratore generale.

Benché la procuratrice generale, Fatou Bensouda, lo scorso aprile abbia messo in guardia i dirigenti israeliani che potrebbero dover affrontare un processo per l’uccisione di palestinesi disarmati nella Striscia di Gaza durante la Grande Marcia del Ritorno, la Corte non ha iniziato un’inchiesta formale.

Le “vittime, il popolo che sta soffrendo, non possono più attendere,” ha detto Jabarin. “Questa istituzione deve agire in base al suo mandato e non occuparsi della questione da un punto di vista politico.”

Jabarin ha definito deludente l’ultimo rapporto annuale sullo stato di avanzamento.

Il rapporto afferma che “la procura intende completare l’esame preliminare il prima possibile,” ma non fornisce nessuna data limite.

Jabarin ha descritto il rapporto come “confuso” nell’uso di terminologia e concetti giuridici. Teme che la procuratrice si sia spostata “verso la narrazione israeliana.”

Ma vede “qui e là segnali positivi.”

Spera che la procuratrice si muova rapidamente per aprire un’inchiesta formale e “persegua i criminali e successivamente emetta mandati di arresto.”

“Confido nella professionalità e nell’indipendenza della procuratrice,” ha detto Jabarin. “Il mio messaggio a lei è che il tempo passa e le sofferenze continuano. È il momento di intervenire.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Nuove prove di crimini di guerra a Gaza inviate alla CPI

Ali Abunimah

30 aprile 2018, Electronic Intifada

Secondo Tareq Zaqoot, un ricercatore del gruppo per i diritti umani “Al-Haq”, almeno 28 palestinesi hanno perso un arto inferiore in conseguenza del fatto che cecchini israeliani hanno sparato contro i partecipanti alle manifestazioni della “Grande Marcia del Ritorno” nei pressi della frontiera di Gaza con Israele.

Zaqoot, che si trova a Gaza, e la sua collega Rania Muhareb nella città di Ramallah, nella Cisgiordania occupata, hanno raccontato a “the Real News” [sito nordamericano indipendente di notizie, ndt.] come stiano documentando i crimini israeliani per ottenere giustizia a favore delle vittime.

Muhareb ha rivelato che “Al-Haq”, insieme al “Centro Palestinese per i Diritti Umani” e ad “Al Mezan”, ha già “presentato una denuncia alla Corte Penale Internazionale in cui indica i nomi delle vittime e delle uccisioni perpetrate dalle forze di occupazione israeliane dal 30 marzo.”

Non solo abbiamo specificato i nomi degli uccisi, abbiamo anche evidenziato l’intenzione di uccidere e di sparare per uccidere manifestanti palestinesi, il che rappresenta un crimine di guerra di omicidio premeditato,” ha aggiunto Muhareb.

Muhareb cita come esempio di tali prove la recente intervista tradotta da “Electronic Intifada” in cui il generale israeliano Zvika Fogel spiega l’accurato processo attraverso il quale i cecchini ricevono l’autorizzazione di sparare al “piccolo corpo” di un bambino.

Questi gruppi per i diritti umani avevano consegnato in precedenza dei dossier di prove alla CPI in cui documentavano crimini contro palestinesi nella Cisgiordania occupata e durante i precedenti attacchi israeliani contro Gaza.

All’inizio di questo mese il procuratore generale della CPI ha emanato un avvertimento pubblico senza precedenti, secondo cui i dirigenti israeliani potrebbero dover affrontare un processo per la violenza contro civili palestinesi disarmati a Gaza. Nelle ultime due settimane durante le proteste lungo il confine le forze di occupazione israeliane hanno ucciso almeno 39 palestinesi, compresi cinque minori e due giornalisti.

I manifestanti chiedono la fine dell’assedio israeliano contro Gaza e il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi espulsi ed esclusi dalle loro terre in Israele perché non sono ebrei.

Si ha notizia che domenica altri tre palestinesi sono stati uccisi dalle forze di occupazione in seguito ad incidenti in cui secondo l’esercito israeliano i palestinesi avrebbero cercato di aprire una breccia nella barriera di confine con Gaza.

Parvenza di legalità

Lunedì l’Alta Corte israeliana ha tenuto un’udienza sulle richieste di vari gruppi per i diritti umani che chiedono la revoca delle regole dell’esercito per aprire il fuoco, che hanno portato all’impressionante bilancio di morti e feriti a Gaza.

La politica dell’esercito israeliano che consente di aprire il fuoco contro manifestanti a Gaza è palesemente illegale,” ha affermato Suhad Bishara, avvocatessa di uno di questi gruppi, “Adalah”. “Questa politica concepisce i corpi umani (palestinesi) come un oggetto sacrificabile, senza valore.”

Il gruppo [israeliano] per i diritti umani “B’Tselem” ha invitato i soldati a sfidare questi ordini illegali di sparare per uccidere e mutilare.

Prima dell’udienza, i militari israeliani si sono rifiutati di rendere pubblici gli ordini di aprire il fuoco, sostenendo che sono riservati.

Israele ha cercato di presentare le proteste di massa a Gaza come un complotto orchestrato da Hamas per coprire attività “terroristiche”.

Israele non è stato in grado di mostrare alcuna prova di attività armate durante le proteste e i suoi portavoce hanno fatto ricorso a montature – come false accuse secondo cui un video diffuso in rete mostra una ragazza di Gaza che dice degli israeliani “li vogliamo uccidere.”

Lunedì, durante l’udienza, pubblici ministeri dello Stato di Israele hanno continuato a insistere con questo discorso, sostenendo che “informazioni di intelligence riservate” mostrano che le proteste fanno “parte delle ostilità di Hamas contro Israele.”

La Corte israeliana ha aggiornato la seduta senza prendere una decisione, tuttavia storicamente il suo ruolo è stato quello di fornire una parvenza di legalità alle sistematiche violazioni israeliane dei diritti umani palestinesi e di contribuire a far passare Israele a livello internazionale come uno Stato che rispetta il principio di legalità, nonostante decenni di impunità senza controlli e di comportamenti illegali.

Contro le prove

Durante il fine settimana il quotidiano [israeliano] Haaretz ha citato la dichiarazione di un anonimo ufficiale dell’esercito israeliano secondo cui “la maggior parte delle uccisioni di palestinesi da parte dell’esercito israeliano durante le proteste sul confine di Gaza sono state causate da cecchini che miravano alle gambe dei manifestanti, mentre la morte è stato un risultato non intenzionale perché il manifestante si è chinato, un cecchino ha sbagliato il colpo, un proiettile è rimbalzato o circostanze simili.” Secondo l’ufficiale, ha affermato Haaretz, “gli ordini di aprire il fuoco sul confine consentono ai cecchini di sparare solo alle gambe di persone che si avvicinano alla frontiera, e che il petto di una persona può essere preso di mira solo in presenza di un’evidente volontà dell’altra parte di utilizzare armi e di minacciare la vita di israeliani.”

Ma ciò è in netto contrasto con le prove raccolte da ricercatori per i diritti umani e l’affermazione potrebbe indicare che alcuni ufficiali israeliani sono preoccupati delle conseguenze internazionali della politica di uccisioni e mutilazioni premeditate e calcolate. La scorsa settimana Amnesty International ha dichiarato che nella maggior parte dei casi mortali che ha preso in considerazione “le vittime sono state colpite alla parte superiore del corpo, compresi testa e petto, alcune alle spalle.”

Testimoni oculari, prove video e fotografiche suggeriscono che molti sono stati uccisi o feriti deliberatamente mentre non rappresentavano alcun pericolo immediato per i soldati israeliani,” ha aggiunto Amnesty.

Allo stesso modo “Adalah” ha sostenuto che “il 94% dei feriti a morte sono stati colpiti nella parte superiore del corpo (testa, collo, volto, petto, stomaco e schiena).”

Sono stati feriti più di 5.500 palestinesi, di cui 2.000 da proiettili veri.

Nessun israeliano risulta essere stato ferito in seguito alle proteste a Gaza.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




A Gaza Israele uccide un minorenne e spezza ossa

Maureen Clare Murphy

20 aprile 2018, Electronic Intifada

Le forze israeliane hanno ucciso quattro palestinesi, compreso un ragazzino, mentre per il quarto venerdì consecutivo si svolgevano manifestazioni di massa lungo il lato orientale di Gaza come parte di una protesta di sei settimane per la “Grande Marcia del Ritorno”.

Muhammad Ibrahim Ayyoub, 14 anni, colpito venerdì alla testa a est di Jabaliya nel nord di Gaza, è il quarto minorenne tra i più di 30 palestinesi uccisi durante le proteste da quando, il 30 marzo, le manifestazioni sono iniziate.

Infermieri che oggi hanno portato via il ragazzino hanno dichiarato che è stato colpito alla testa con un proiettile letale a circa 50 metri dalla barriera, a est di Jabaliya, senza nessun indizio che rappresentasse un pericolo per le forze israeliane,” ha affermato venerdì l’ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie.

L’inviato delle Nazioni Unite per la pace in Medio Oriente Nickolay Mladenov ha abbandonato le sue abitualmente caute dichiarazioni che esprimono “preoccupazione” e chiedono “la massima moderazione”.

Su Twitter Mladenov ha sostenuto che è “vergognoso sparare a un ragazzino!” ed ha aggiunto che “il tragico incidente deve essere indagato.”

Gli altri tre palestinesi uccisi venerdì sono stati identificati dal ministero della Salute di Gaza come Ahmad Nabil Abu Aqel, 20 anni, Ahmad Rashad al-Athamna, 24, e Saad Abd al-Majid Abd al-Al Abu Taha, 29.

Abu Aqel, di Beit Hanoun, nella parte settentrionale di Gaza, è stato colpito da un proiettile alla nuca durante proteste a est del campo di rifugiati di Jabaliya. Fotografie che circolano sulle reti sociali mostrano che parte del suo cranio è stata strappata via.

Immagini che mostrano Abu Aqel prima che venisse colpito sono circolate sulle reti sociali in seguito all’annuncio della sua morte.

Una di queste lo mostra mentre viene curato da un medico per una lieve ferita prima che venisse ucciso.

Secondo il gruppo per i diritti umani “Al Mezan”, con sede a Gaza, Abu Aqel era “seduto su una collina di sabbia a circa 150 metri a ovest della barriera di confine, e voltava la schiena alle forze di occupazione israeliane quando queste ultime gli hanno sparato” venerdì.

Abu Aqel usava le stampelle in seguito al fatto di essere rimasto ferito da un proiettile vero alla gamba sinistra durante la protesta dell’8 dicembre contro il riconoscimento USA di Gerusalemme come capitale di Israele.

Al Mezan afferma che l’uccisione di Abu Aqel, un disabile che non rappresentava nessuna ragionevole minaccia per le forze israeliane, a molta distanza e protette da fortificazioni di terra e da barriere, ricorda l’uccisione da parte di un cecchino, nel dicembre 2017, di Ibrahim Abu Thurrayya, un uomo in sedia a rotelle che aveva perso le sue gambe in un precedente attacco israeliano.

Ahmad Rashad al-Athamna è stato ferito mortalmente venerdì da una pallottola alla schiena a Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza.

Dopo l’annuncio della sua morte sulle reti sociali è circolata una sua foto.

Il ministero della Salute di Gaza ha affermato che Saad Abd al-Majid Abd al-Al Abu Taha è stato colpito al collo durante proteste a est di Khan Younis.

Il ministero ha informato che più di 700 persone sono rimaste ferite durante le proteste di venerdì, 156 delle quali da proiettili veri. Quattro sarebbero state gravemente ferite.

Al Mezan” ha chiesto “alla comunità internazionale di passare dalla semplice condanna a un’azione concreta per proteggere i civili e garantire il rispetto dei principi dei diritti umani e delle leggi umanitarie.”

Il gruppo ha aggiunto che la continua tolleranza nei confronti del comportamento di Israele costituisce “un incoraggiamento perché le forze israeliane mettano in atto sistematiche violazioni delle leggi internazionali.”

Secondo “Al Mezan” dal 30 marzo più di 1.600 palestinesi di Gaza sono rimasti feriti da proiettili veri durante le proteste.

Questa settimana il gruppo palestinese per i diritti umani “Al-Haq” ha affermato di aver documentato ferite da parte delle forze israeliane “che hanno preso di mira deliberatamente specifiche parti del corpo dei manifestanti palestinesi a Gaza, provocando la morte o ferite gravi e permanenti.”

Il direttore del pronto soccorso dell’ospedale al-Shifa, il più grande di Gaza, ha detto ad “Al-Haq” che la maggior parte delle ferite sono state provocate da “munizioni vere, per lo più dirette agli arti inferiori, con la rottura di vaste parti ossee, il taglio di vene, nervi e muscoli e la perdita di pelle nella zona ferita.”

Secondo Al-Haq l’ospedale ha osservato “una nuova caratteristica delle ferite” dall’inizio delle proteste della “Grande Marcia del Ritorno” il 30 marzo, “per cui il punto di entrata del proiettile è piccolo mentre il foro d’uscita è grande.” Questi casi “richiedono operazioni di molte ore e una equipe medica più numerosa.”

Al-Shifa ha anche avuto casi senza precedenti di danni provocati da gas lacrimogeni che comprendono “commozione cerebrale, forti crampi e perdita dei sensi a causa dell’inalazione dei gas, che necessitano di immediata sedazione, ausili respiratori e trattamenti di evaporazione.”

Il gruppo umanitario “Medici senza Frontiere” ha anche osservato nelle scorse tre settimane “ferite insolitamente gravi e devastanti da armi da fuoco.”

La grande maggioranza dei pazienti – per lo più giovani, ma anche qualche donna e bambino – presenta ferite insolitamente gravi agli arti inferiori,” ha affermato il gruppo, sottolineando che alcuni dei fori d’uscita erano “delle dimensioni di un pugno.”

Giovedì l’associazione umanitaria ha dichiarato che “il numero di pazienti curati nei nostri ambulatori nelle ultime tre settimane è maggiore del numero di quelli che abbiamo assistito durante tutto il 2014, quando è stata lanciata l’operazione militare israeliana “Margine protettivo” contro la Striscia di Gaza.

Marie-Elisabeth Ingres, capo della missione di “Medici senza Frontiere” in Palestina, ha affermato in un comunicato stampa che “metà dei più di 500 pazienti che abbiamo accolto nei nostri ambulatori presenta ferite in cui la pallottola ha letteralmente distrutto il tessuto dopo aver fatto a pezzi l’osso.”

Questi pazienti necessiteranno di operazioni chirurgiche estremamente complesse e molti di loro rimarranno disabili a vita,” ha aggiunto.

Alcuni pazienti dovranno subire l’amputazione delle gambe se non riceveranno da Israele il permesso di avere cure mediche specialistiche fuori da Gaza, come è già successo per molti manifestanti feriti.

Jamie McGoldrick, il vice-coordinatore speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente, giovedì ha affermato che “l’attuale picco di necessità umanitarie è una crisi che è più grave di una catastrofe.”

McGoldrick ha aggiunto che “gli operatori dei servizi essenziali di Gaza non hanno al momento la possibilità di gestire l’attuale situazione.”

Venerdì l’ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari ha detto che il sistema sanitario di Gaza è “sull’orlo del collasso in seguito al blocco decennale, alla divisione politica sempre più profonda tra i palestinesi, alla crisi energetica in peggioramento, al pagamento irregolare del personale medico del settore pubblico e alla crescente mancanza di medicine e di prodotti monouso.”

L’OCHA ha aggiunto che “l’esposizione alla violenza durante le ultime tre settimane ha anche avuto conseguenze significative per la salute mentale e psicosociale, soprattutto tra i bambini.”

Propaganda israeliana

Israele continua a sostenere la versione secondo cui la sua repressione mortale contro manifestanti disarmati è necessaria per difendere i suoi confini e i civili da “disordini” utilizzati come copertura del “terrorismo” di Hamas.

Un video propagandistico dell’esercito afferma: “È per questo che l’IDF (l’esercito israeliano) deve proteggere la barriera di sicurezza.”

Non un solo soldato o civile israeliano risulta essere stato ferito in seguito alle proteste della “Grande Marcia del Ritorno”.

Due terzi dei due milioni di abitanti di Gaza sono rifugiati provenienti dalle terre su cui è stato dichiarato lo Stato di Israele nel 1948. Israele ha da molto tempo impedito ai rifugiati palestinesi di tornare nelle loro terre e case in quanto non sono ebrei.

Venerdì mattina l’esercito israeliano ha lanciato su Gaza volantini che mettono in guardia gli abitanti dall’avvicinarsi o danneggiare la barriera di confine tra Gaza e Israele.

L’IDF prenderà iniziative contro qualunque tentativo di danneggiare la barriera e le sue parti e di ogni altra struttura militare”, afferma il volantino.

L’avvertimento dell’esercito aggiunge: “Hamas vi sta utilizzando per promuovere gli interessi del suo movimento. Non seguite gli ordini di Hamas che mettono in pericolo le vostre vite.”

All’inizio della settimana il COGAT, il braccio amministrativo dell’occupazione militare israeliana, ha affermato che avrebbe sanzionato 14 compagnie di autobus che trasportano “terroristi di Hamas e rivoltosi violenti” al confine orientale di Gaza.

Il COGAT aveva in precedenza pubblicato quella che ha sostenuto essere una registrazione tra uno dei propri funzionari e un rappresentante della compagnia di autobus di Gaza, in cui il funzionario dice che “non consentiremo che tu e la tua famiglia manteniate un qualunque rapporto commerciale o imprenditoriale o personale con il lato israeliano” come punizione per aver trasportato manifestanti.

I messaggi di Israele non sembrano aver avuto effetto, in quanto Israele ha ricevuto un avvertimento dalla procura generale della Corte Penale Internazionale che i suoi dirigenti potrebbero dover affrontare un processo per l’uccisione di manifestanti disarmati.

Ha anche ricevuto la condanna di una serie di esperti dei diritti umani dell’ONU che hanno chiesto la fine immediata del blocco di Gaza.

La scorsa settimana Israele ha pubblicato una foto che mostrerebbe giornalisti utilizzati come scudi umani durante le proteste a Gaza.

L’agenzia France Press ha informato che, quando per la prima volta ha distribuito la foto, il 13 aprile, l’esercito ha sostenuto che mostrava “un terrorista che brandiva un oggetto sospettato di essere un ordigno esplosivo utilizzato per fini terroristici mentre giornalisti e una persona invalida gli stavano vicino.”

Un’inchiesta dell’APF ha scoperto, invece, che il “terrorista” mostrato nella foto stava “cercando senza riuscirci di accendere quello che sembrava un normale fuoco d’artificio mentre era a terra in mezzo al fumo nero di copertoni incendiati.”

Il giornalista dell’AFP che si vede nell’immagine ha detto che l’uomo “in seguito ha rinunciato e se n’è andato.”

Secondo la “Commissione per la Protezione dei Giornalisti”, dal 30 marzo almeno 13 giornalisti palestinesi sono stati colpiti da cecchini israeliani mentre informavano sulle proteste, compreso uno che è stato ucciso.

Venerdì quattro giornalisti sono stati feriti da proiettili veri, da inalazioni di gas lacrimogeni e da un candelotto lacrimogeno.

In una lettera al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu la “Commissione per la Protezione dei Giornalisti” (CPJ) ha osservato che la maggior parte dei giornalisti colpiti dal 30 marzo portava giubbotti con la scritta “STAMPA” al momento del ferimento.

I colpi sparati suggeriscono che le autorità israeliane potrebbero star cercando di reprimere la copertura mediatica delle proteste,” ha affermato il CPJ.

Persino se l’IDF (l’esercito israeliano) non stesse deliberatamente prendendo di mira giornalisti,” ha aggiunto il gruppo, “il suo uso di munizioni letali come primo strumento da utilizzare invece di mezzi non letali sottopone i giornalisti – soprattutto i fotografi e i video operatori che devono essere in prima linea per riprendere le immagini – a un rischio terribile, rendendo il loro lavoro quasi impossibile.”

Anche le affermazioni fatte dal ministro della Difesa di Israele Avigdor Lieberman secondo cui Yaser Murtaja, un cameraman ucciso il 6 aprile dalle sue forze armate mentre stava informando sulle proteste, era un membro stipendiato dell’ala militare di Hamas, sono state smentite da organi di controllo della libertà di stampa, compresa la CPJ.

Nel contempo il gruppo della resistenza palestinese Jihad Islamica ha diramato un proprio video propagandistico, avvertendo Israele che “state uccidendo la nostra gente a sangue freddo e pensate di essere al sicuro, ma i mirini dei nostri cecchini sono puntati sui vostri comandanti in capo.”

Il video mostra ufficiali dell’esercito, compreso il capo del COGAT Yoav Mordechai, visti attraverso un binocolo e il mirino di un fucile.

Il video della Jihad Islamica sembra essere una risposta alla propaganda presentata dal portavoce in arabo dell’esercito israeliano, che mostra manifestanti, compreso un bambino, inquadrati da un binocolo con l’avvertimento che “vi vediamo bene” o minacce del genere.

In risposta al video [della Jihad Islamica, ndt.], il ministro israeliano dell’Intelligence Yisrael Katz ha diramato una minaccia secondo cui qualunque aggressione a importanti personalità dell’esercito israeliano da parte dei gruppi della resistenza palestinese “porterà immediatamente alla ripresa degli omicidi mirati dei dirigenti di Hamas.”

Un rapporto di “Human Rights Watch” [organizzazione per i diritti umani con sede a New York, ndt.] afferma che la violenza letale di Israele contro i palestinesi che manifestavano durante l’inizio della “Grande Marcia del Ritorno” è stata premeditata, illegale in base alle leggi internazionali e ordinata dai più alti livelli del governo.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Dopo una brutale aggressione al figlio minorenne, una famiglia palestinese querela Israele e l’impresa olandese che fornisce cani all’esercito [israeliano]

Yumna Patel

26 febbraio 2018, Mondoweiss

Quando aveva 15 anni, Hamza Abu Hashem è stato aggredito da cani dell’esercito israeliano ed ha riportato gravi ferite alle gambe, alle braccia e alla schiena.

In un video dell’aggressione, che è avvenuta il 23 dicembre 2014 nel villaggio di Beit Ummar nel sud della Cisgiordania occupata, si possono sentire soldati israeliani dire “dagliele, figlio di puttana” e “chi ha paura?”, mentre il ragazzo piangeva e urlava di dolore.

Dopo che il video è stato reso pubblico, Michael Ben-Ari, un ex deputato del partito di destra “National Union Party”, lo ha postato sulla sua pagina Facebook dicendo: “I soldati stanno dando una lezione al piccolo terrorista. Diffondete! In modo che ogni piccolo terrorista che pensi di fare del male ai nostri soldati saprà che ci sarà un prezzo da pagare.”

Hamza è stato arrestato immediatamente dopo l’aggressione, per la quarta volta da quando aveva 11 anni, e condannato a tre mesi e mezzo di prigione con l’accusa di aver lanciato pietre – un crimine che è costato a lui e ai suoi cinque fratelli il carcere per decine di volte in due decenni.

Prima di essere trasferito in prigione è stato ricoverato in ospedale in Israele per una settimana, con le mani incatenate al letto per tutto il tempo e senza che la sua famiglia potesse visitarlo.

Adesso, quattro anni dopo l’aggressione che gli ha lasciato la mente ed il corpo segnati per tutta la vita, Hamza, insieme alla sua famiglia, sta facendo causa al governo israeliano per l’aggressione, ed anche all’impresa olandese che per più di 20 anni ha fornito ad Israele cani da attacco.

Secondo un reportage del 2015 del giornale olandese NRC, ‘Four Winds K9’, l’impresa a cui Hamza sta facendo causa, risulta aver esportato in Israele “cani di servizio” per 23 anni.

Nel reportage, NRC cita il proprietario di ‘Four Winds K9, Tonny Boeijen, che avrebbe detto di aver spedito in Israele ogni anno decine di cani addestrati all’attacco, e che il 90% dei cani dell’esercito israeliano venivano addestrati dalla sua impresa.

In seguito alle pressioni di politici olandesi e di organizzazioni come l’Ong palestinese per i diritti umani Al-Haq, nel giugno 2016 l’impresa ha comunicato che avrebbe interrotto l’esportazione di “cani da attacco” ad Israele ed avrebbe fornito allo Stato solo dei “segugi”, mentre la comproprietaria dell’impresa Linda Boeijen ha detto a NRC: “Non intendiamo violare i diritti umani.”

Ma per i genitori di Hamza, Ahmad e Hamda, questo non è abbastanza. “Dobbiamo mettere fine alla vendita di tutti i cani all’esercito israeliano di occupazione”, hanno detto a Mondoweiss nel loro salotto, mentre sullo schermo televisivo scorreva il video dell’aggressione ad Hamza.

Vogliamo sottolineare che non si tratta di soldi”, ha detto categoricamente Ahmad, dicendo a Mondoweiss che la famiglia non ha richiesto un solo shekel in nessuna delle sue denunce.

È intervenuta Hamda: “Nel corso degli anni, mio marito e tutti i miei sei ragazzi sono stati incarcerati molte volte da Israele, ed abbiamo pagato decine di migliaia di dollari di cauzione all’occupante. Tuttavia, non è il denaro che vogliamo.”

Scuotendo la testa, Hamda ha detto a Mondoweiss che l’ultima volta che la sua famiglia di 10 persone si è riunita è stato durante l’ultimo Ramadan, appena prima che il figlio maggiore Thaer, che è tuttora in carcere, fosse nuovamente arrestato. Prima di allora, dice che non ricorda nemmeno l’ultima volta in cui si sono trovati tutti insieme.

L’associazione per i diritti dei prigionieri Addameer ha calcolato che circa il 40% degli uomini palestinesi viene arrestato da Israele ad un certo punto della propria vita.

L’impresa olandese ha cercato di chiudere la faccenda con noi, dicendo che avrebbero dato a Hamza circa 10.000 euro se avessimo ritirato la denuncia e non avessimo pubblicato nulla della sua vicenda”, ha continuato. “Che insulto è questo? Pensano che vogliamo del denaro? No, vogliamo che i diritti di tutti i bambini palestinesi vengano protetti, ecco che cosa vogliamo.”

Per Ahmad e Hamda vi sono due principali obiettivi che sperano di raggiungere attraverso la loro denuncia. Primo, nella loro denuncia contro il governo israeliano – che ammettono abbia poca probabilità di ottenere giustizia – l’obiettivo è rendere responsabili i soldati che hanno aggredito Hamza ed i politici come Ben-Ari, che loro dicono abbia in seguito istigato alla violenza contro i bambini. “Israele non assicura quasi mai giustizia ai palestinesi vittime dell’occupazione, ma, anche se solo simbolicamente, dobbiamo portarli in tribunale per i loro crimini”, ha detto Ahmad, aggiungendo che è stato dopo aver visto i commenti di Ben-Ari riguardo a Hamza che si è deciso a sporgere denuncia.

Secondo, per Ahmad e Hamda il presupposto della loro denuncia contro ‘Four Winds K9 è che per anni l’impresa ha scientemente venduto cani ad una potenza occupante che viola sistematicamente i diritti e le leggi internazionali.

L’impresa, e tutte le imprese del mondo, dovrebbero sapere che quando vendono ad Israele stanno facendo profitti grazie all’oppressione, alle uccisioni e all’incarcerazione di bambini”, ha detto Ahmad, e Hamda ha annuito. “Lo scopo di tutto questo è ottenere giustizia, sì, ma anche di impedire che ciò che è avvenuto a mio figlio accada ad altri bambini ed altre persone, in Palestina e in tutto il mondo.”

Segnato per tutta la vita

Oggi, a 19 anni, Hamza – che ha perso gran parte della sua infanzia in diverse prigioni israeliane per il reato di lancio di pietre – è più maturo dei suoi anni per come si comporta e per come parla, ma dice di essere ancora colto da un’indescrivibile, infantile paura quando vede dei soldati israeliani con i loro cani, costantemente presenti a Beit Ummar.

Adesso, tutte le volte che vedo proteste o disordini nel villaggio, sono terrorizzato e cerco di scappare via il più presto possibile”, ha detto Hamza a Mondoweiss, mentre camminavamo nello spiazzo dove anni fa è stato aggredito.

Ero stato arrestato molte volte dall’occupante israeliano prima dell’aggressione, ma quella è stata di gran lunga la cosa più spaventosa accaduta a me e alla mia famiglia”, ha detto.

Seguito da Seja, la sua sorellina più piccola, Hamza ha indicato le decine di bambini che giocavano a calcio in una strada vicina, “Ciò che è ancor più spaventoso della mia aggressione, tuttavia, è che ci sono persone che intendono fornire all’occupante cani e armi, che in ogni momento possono essere usati contro questi bambini.”

Ecco perché non cederemo a tentativi di corruzione o minacce”, ha detto, “è una questione che è molto più grande di me. Si tratta del diritto di ogni bambino palestinese di vivere un’infanzia normale, una cosa che a me non è stata concessa.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)