L’appoggio dell’UE a Israele la rende complice di genocidio

Niamh Ni Bhriain e Mark Akkerman

6 luglio 2024 – Al Jazeera

L’UE continua ad esportare armi verso Israele e finanzia vari enti israeliani

Sono passati 9 mesi dall’inizio della guerra genocida di Israele contro Gaza che ha ucciso più di 38.000 palestinesi, ne ha feriti più di 86.000 e ne ha sfollati più di 1.9 milioni. Nonostante le frequenti condanne a parole, i leader europei hanno fatto ben poco per fermarla. Ancora peggio, molti Paesi europei continuano a sostenere economicamente e militarmente Israele.

Poiché gli Stati Uniti sono considerati il maggior sostenitore della macchina da guerra israeliana, è facile non tenere in considerazione l’appoggio europeo. Tuttavia uno sguardo più attento sulle dimensioni dell’assistenza finanziaria e militare europea a Israele mette a nudo la complicità dell’UE con il continuo genocidio a Gaza e le varie atrocità nella Cisgiordania occupata.

Fornitura di armi utilizzate per il genocidio

L’UE è il secondo maggior fornitore di armi a Israele dopo gli USA. Secondo le cifre della banca dati COARM [Esportazione di armi convenzionali] dell’European External Action Service [Servizio Europeo per le Azioni all’Estero] tra il 2018 e il 2022 gli Stati membri dell’UE hanno venduto a Israele armi per un valore di 1,76 miliardi di euro.

Le armi hanno continuato a passare dai Paesi europei a Israele anche dopo che in gennaio la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso una sentenza provvisoria in base alla quale probabilmente l’esercito israeliano sta commettendo un genocidio. L’UE ha in vigore un sistema per imporre un embargo sulle armi, ma si è rifiutata di applicarlo a Israele, lasciando agli Stati membri la possibilità di mettere in atto lentamente misure sotto la pressione della società civile, con scarsa volontà politica di farlo e molto al di sotto di quanto necessario.

Alcuni Paesi dell’UE, tra cui Italia, Olanda, Spagna e la regione belga della Vallonia, hanno annunciato che avrebbero sospeso il trasferimento di armi a Israele, ma alcune di queste dichiarazioni non sono state seguite da azioni concrete e tempestive, o, quando lo sono state, hanno rappresentato una sospensione temporanea o parziale di vendita di armi, molto meno di un embargo militare contro Israele.

Secondo il SIPRI [Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace, con sede a Stoccolma, ndt.] la Germania è di gran lunga il maggior fornitore europeo, avendo rifornito Israele con il 30% del suo armamento tra il 2019 e il 2023. Lo scorso anno le esportazioni sono salite da 32,3 a 326,5 milioni di euro, e la maggior parte delle licenze è stata concessa dopo il 7 ottobre.

Secondo i dati dell’UE tra il 2018 e il 2022 ci sono stati altri importanti fornitori europei a Israele. Essi includono la Romania, che ha esportato licenze per un valore di 314,9 milioni di euro, l’Italia, con 90,30 milioni di euro, la Repubblica Ceca, con 81,55 milioni di euro, e la Spagna, con 62,9 milioni di euro. L’UE non ha ancora presentato i dati dei trasferimenti nel 2023. Oltre ai rifornimenti diretti a Israele, gli armamenti dell’UE spesso vengono esportati indirettamente in Israele attraverso gli USA.

Benché l’esportazione di armi sia soggetta ad accordi con l’utilizzatore finale, gli USA rifiutano di rispettare questa condizione e i Paesi dell’UE non la mettono in pratica. Ciò rende impossibile tracciare in che misura le armi e componenti di armamenti dell’UE esportati negli USA finiscono successivamente nei sistemi d’arma inviati in Israele.

Ciononostante le esportazioni militari note dell’UE verso Israele possono essere direttamente legate al genocidio a Gaza. I carrarmati israeliani Merkava, che dall’invasione di terra iniziata alla fine di ottobre operano a Gaza, stanno utilizzando componenti per motori fabbricati dall’impresa tedesca MTU (una controllata di Rolls Royce), mentre le corvette Sa’ar, navi da guerra costruite dall’impresa tedesca ThyssenKrupp Marine Systems, sono state in attività nelle acque che circondano la Striscia assediata.

L’impresa britannica BAE Systems, in collaborazione con la tedesca Rheinmetall, produce gli obici semoventi M109, che sono stati utilizzati per bombardare zone densamente abitate di Gaza. Amnesty International ha trovato prove che queste armi di artiglieria hanno utilizzato anche munizioni al fosforo bianco, che possono bruciare la pelle fino all’osso e provocare disfunzioni organiche. In base alle leggi internazionali il loro uso in aree civili è limitato.

I caccia da guerra F-35, prodotti negli USA e utilizzati per i bombardamenti a tappeto contro Gaza, si basano su componenti europei con almeno il 25% di pezzi di ricambio esportati direttamente in Israele dall’Europa. Solo l’Olanda ha imposto limitazioni su di essi in seguito a una denuncia intrapresa da organizzazioni della società civile vinta in appello.

Soldi pubblici europei per le armi israeliane

I Paesi europei non solo esportano armi in Israele mentre c’è un crescente consenso internazionale sul fatto che Israele sta portando avanti un genocidio a Gaza, ma stanno anche spendendo denaro pubblico per appoggiare i produttori di armi che le fabbricano.

Una nuova ricerca del Transnational Institute [gruppo di studio e ricerca olandese, ndt.] e di Stop Wapenhandel [organizzazione olandese contro il commercio e la produzione di armi, ndt.] rivela che il denaro dei contribuenti europei per un importo di 426 milioni di euro sta attualmente finanziando imprese che armano Israele.

L’impresa tedesca Rheinmetall, che invia in Israele proiettili per carrarmati, ha ricevuto oltre 169 milioni di euro, mentre la compagnia finno-norvegese Nammo, il cui lanciarazzi a spalla “anti-bunker” vengono esportati in Israele, ha ricevuto più di 123 milioni di euro. Altri beneficiari includono Leonardo, ThyssenKrupp, Rolls Royce, BAE Systems e Renk.

Il denaro pubblico europeo è anche andato a finanziare progetti di sicurezza e difesa che hanno beneficiato la macchina da guerra israeliana. Dal 2008 sono stati 84 gli enti israeliani a ricevere 69,39 milioni di euro da un totale di 132 progetti per la sicurezza. Nonostante violi sistematicamente da decenni i diritti umani dei palestinesi, il ministero della Sicurezza Pubblica [israeliano] ha partecipato ai principali progetti per la sicurezza finanziati dall’UE.

Inoltre molta della produzione di conoscenza utilizzata nello sviluppo degli strumenti per la guerra digitale israeliana attualmente utilizzati a Gaza è stata probabilmente perfezionata e migliorata in università che beneficiano dei finanziamenti europei per la ricerca.

Dal 7 ottobre l’UE ha concesso 126 milioni di euro per finanziare 130 progetti di ricerca che coinvolgono enti israeliani. Due di questi progetti stanno fornendo un totale di 640.000 euro per l’impresa bellica Israel Aerospace Industries. Negli anni che hanno preceduto il 7 ottobre 2023 alcuni enti israeliani hanno ricevuto 503 milioni di euro in base a Horizon Europe [programma di finanziamento dell’UE per progetti scientifici, ndt.] (2021-2023).

Inoltre per decenni i Paesi dell’UE hanno speso denaro dei contribuenti in armamenti per Israele, supportandone quindi il complesso militare-industriale. Israele è tra i primi 10 esportatori di armi al mondo, con circa il 25% delle sue esportazioni per la difesa che vanno a Paesi europei.

Le aziende israeliane pubblicizzano regolarmente i propri prodotti come “testati sul campo”, una strategia che è legittimata dai Paesi dell’UE quando fanno affari con loro. I droni sono di gran lunga il prodotto di maggior successo e l’agenzia di sicurezza dei confini dell’UE Frontex li noleggia da Elbit e dalle Israel Aerospace Industries (IAI) per voli di sorveglianza sul Mediterraneo.

Dopo il 7 ottobre i Paesi dell’Ue hanno continuato a collaborare con imprese di armamenti israeliane. Mentre c’è stato un tentativo della Francia di escludere le compagnie israeliane dalla fiera delle armi Eurosatory, l’iniziale sentenza a tal fine di un tribunale è stata di fatto ribaltata da una corte di Parigi e alle imprese israeliane è stato concesso di parteciparvi.

Il fatto che denaro pubblico europeo sia destinato a industrie belliche e ad altri enti coinvolti nel massacro israeliano a Gaza significa di fatto che l’UE sta finanziando un genocidio.

Con tutti i suoi discorsi sui diritti umani e lo Stato di diritto l’UE non ha tenuto fede a nessuno dei due in risposta alla guerra genocida di Israele contro Gaza, facendo a pezzi la sua credibilità e legittimità. Non è troppo tardi per invertire parte dei danni imponendo un embargo sulle armi contro Israele e riducendo il flusso di armi statunitensi che transitano attraverso l’Europa verso il regime genocida. Non farlo, soprattutto alla luce della sentenza transitoria della CIG sulla plausibilità del genocidio, renderebbe complici l’UE e i suoi Stati membri.

Le opinioni espresse in questo articolo sono degli autori e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Al Jazeera.

Niamh Ni Bhriain

Coordinatrice del Transnational Institute.

Niamh Ni Bhriain coordina il programma Guerra e Pacificazione del Transnational Institute, che si concentra sullo stato di guerra permanente e sulla resistenza pacifica. Ha conseguito un master in Leggi Internazionali per i Diritti Umani presso l’Irish Centre for Human Rights [Centro Irlandese per i Diritti Umani] all’università statale d’Irlanda di Galway (NUIG). Prima di arrivare al TNI Niamh ha passato alcuni anni in Colombia e Messico lavorando con organizzazioni della società civile e con l’ONU nelle aree di costruzione della pace, giustizia transizionale, protezione dei difensori dei diritti umani e analisi dei conflitti.

Mark Akkerman

Ricercatore presso Stop Wapenhandel.

Mark Akkerman è un ricercatore di Stop Wapenhandel ed è attivamente coinvolto nelle ricerche del Transnational Institute sulla militarizzazione dei confini. Ha anche scritto e fatto campagne su argomenti come l’esportazione di armamenti in Medio Oriente, il settore degli eserciti e della sicurezza privati, il greenwashing del mercato delle armi e la militarizzazione della risposta al cambiamento climatico.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele ha trasformato le ‘zone sicure’ in campi di sterminio come aveva già fatto lo Sri Lanka

Neve Gordon e Nicola Perugini

11 giugno 2024 – Al Jazeera

Ma c’è una differenza importante fra i due casi: il genocidio a Gaza non sta avvenendo di nascosto.

Mentre i nostri occhi erano puntati sul “Blocco 2371” a Rafah, la piccola zona nel sud di Gaza che il 22 maggio l’esercito israeliano aveva designato come “zona umanitaria sicura” ma che ha bombardato solo quattro giorni dopo, massacrando almeno 45 civili che si erano rifugiati nelle tende, ci è tornato alla mente il cablogramma confidenziale di 15 anni fa intercettato da WikiLeaks in cui si descriveva il dramma dei civili negli ultimi giorni della guerra civile in Sri Lanka.

Inviato nel maggio 2009 dall’ambasciata degli Stati Uniti a Colombo al Dipartimento di Stato americano a Washington, il dispaccio raccontava come il vescovo di Mannar avesse telefonato per chiedere all’ambasciata di intervenire in favore di sette preti cattolici intrappolati in una cosiddetta “No Fire Zone” che era stata istituita come spazio sicuro dall’esercito dello Sri Lanka.

Il vescovo stimava che ci fossero ancora fra i 60.000 e i 75.000 civili confinati in quella particolare zona, situata su un piccolo lembo di terra costiera grande circa il doppio di Central Park a Manhattan. Dopo la telefonata del vescovo l’ambasciatore americano parlò con il ministro degli Esteri dello Sri Lanka chiedendogli di allertare i militari che la maggior parte delle persone rimaste nella “No Fire Zone” erano civili. Sembra che temesse che, a causa degli intensi bombardamenti dell’artiglieria, la fascia costiera sarebbe diventata una trappola mortale.

Non diversamente dagli sforzi dell’esercito israeliano per spingere i civili palestinesi da tutta la Striscia di Gaza nella cosiddetta “zona umanitaria sicura” a Rafah, a un certo punto l’esercito dello Sri Lanka aveva esortato la popolazione civile a riunirsi nelle aree designate come “No Fire Zone” lanciando volantini dagli aerei e facendo annunci con megafoni.

Mentre circa 330.000 sfollati interni si assembravano in queste zone, le Nazioni Unite costruirono campi improvvisati e, insieme a diverse organizzazioni umanitarie, iniziarono a fornire cibo e assistenza medica alla popolazione disperata.

Sembra però che anche le Tigri Tamil, il gruppo armato che combatteva l’esercito dello Sri Lanka, si fossero ritirate in queste “No Fire Zones”. I combattenti avevano precedentemente allestito una complessa rete di bunker e fortificazioni in queste aree e da lì condussero la loro resistenza finale contro i militari.

Mentre l’esercito dello Sri Lanka affermava di essere impegnato in “operazioni umanitarie” volte a “liberare i civili”, l’analisi delle immagini satellitari e di numerose testimonianze rivelò che i militari colpivano continuamente con mortai e fuoco di artiglieria le “No Fire Zones”, trasformando questi spazi dichiarati sicuri in campi di sterminio.

Tra i 10.000 e i 40.000 civili intrappolati morirono nelle cosiddette zone sicure, mentre molte altre migliaia furono quelli gravemente feriti che spesso giacevano a terra per ore e giorni senza ricevere cure mediche perché praticamente ogni ospedale – sia permanente che di fortuna – era stato colpito dall’artiglieria.

Le somiglianze tra lo Sri Lanka del 2009 e Gaza del 2024 sono sorprendenti.

In entrambi i casi i militari hanno sfollato centinaia di migliaia di civili, ordinando loro di riunirsi in “zone sicure” dove non sarebbero stati colpiti.

In entrambi i casi, i militari hanno bombardato le “zone dichiarate sicure”, uccidendo e ferendo indiscriminatamente un gran numero di civili.

In entrambi i casi i militari hanno bombardato anche unità mediche responsabili di salvare la vita dei civili.

In entrambi i casi i portavoce militari hanno giustificato gli attacchi, ammettendo di aver bombardato le zone sicure, ma sostenendo che le Tigri Tamil e Hamas erano responsabili della morte dei civili poiché si erano nascosti tra la popolazione civile usandola come scudo.

In entrambi i casi i Paesi occidentali, pur criticando l’uccisione di innocenti, hanno continuato a fornire armi ai militari. Nel caso dello Sri Lanka, Israele era tra i principali fornitori di armi.

In entrambi i casi l’ONU ha affermato che le parti in conflitto stavano commettendo crimini di guerra e contro l’umanità.

In entrambi i casi i governi hanno mobilitato squadre di esperti che hanno utilizzato acrobazie legali per giustificare i massacri. La loro interpretazione delle regole di ingaggio e dell’applicazione dei concetti fondamentali del diritto internazionale umanitario, tra cui distinzione, proporzionalità, necessità e le nozioni stesse di zone sicure e avvertimenti, sono state messe al servizio della violenza eliminatoria.

Ma c’è anche una differenza importante tra i due casi.

Il genocidio a Gaza non avviene di nascosto.

Mentre in Sri Lanka c’è voluto del tempo per raccogliere le prove delle violazioni e condurre indagini indipendenti, l’attenzione globale su Gaza e le immagini trasmesse in diretta di bambini decapitati e corpi carbonizzati nel “Blocco 2371” possono impedire il ripetersi degli orrori dello Sri Lanka.

I media hanno già mostrato come la “zona sicura” a sud di Wadi Gaza sia stata colpita da bombe di quasi mille chilogrammi uccidendo migliaia di palestinesi.

La Corte Penale Internazionale (CPI) ha raccolto le prove e ora ha emesso mandati di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Galant per i loro presunti crimini di guerra e contro l’umanità.

La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha rilevato l’impiego da parte di Israele di incessanti violenze contro i civili e ordinato al governo di “fermare immediatamente” la sua offensiva a Rafah, specificando che le sue azioni non sono state sufficienti “ad alleviare l’immenso rischio [incluso quello di non essere protetti dalla Convenzione sul Genocidio] a cui è esposta la popolazione palestinese a seguito dell’offensiva militare a Rafah”.

Israele ha risposto alla sentenza della più alta corte al mondo continuando a bombardare le zone sicure. Il massacro del Blocco 2371 è avvenuto solo 48 ore dopo l’ordine della CIG. Meno di due settimane dopo un altro attacco aereo israeliano contro una scuola gestita dalle Nazioni Unite nel campo di Nuseirat, anch’esso indicato come “zona sicura”, ha ucciso almeno 40 persone, principalmente donne e bambini. Il 9 giugno un’operazione israeliana per liberare quattro prigionieri israeliani nello stesso campo è costata la vita a 274 palestinesi e il ferimento di centinaia di altri.

Tutti gli occhi sono puntati su Rafah e sul resto della devastata Striscia di Gaza, eppure Israele continua imperterrito a perpetrare i suoi crimini sotto i riflettori, mentre Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania continuano a fornirgli armi.

La CIG e la CPI si sono espresse così come Sudafrica, Spagna, Irlanda, Slovenia e Norvegia. Gli accampamenti universitari e il movimento di solidarietà globale chiedono ai loro governi di applicare un embargo sulle armi e di reclamare un cessate il fuoco mentre testimoniano come Israele abbia trasformato le zone sicure che ha creato in campi di sterminio.

Come in altre situazioni di estrema violenza coloniale l’accelerazione da parte di Israele delle sue pratiche di sterminio a Gaza e il suo goffo tentativo di dipingerle come rispettose della legge sono sintomi del tramonto del suo progetto di espropriazione. Le ex potenze coloniali come Regno Unito, Francia e Germania dovrebbero saperlo. Gli Stati Uniti dovrebbero saperlo. Tutti gli occhi sono su Gaza. Tutti gli occhi sono anche su di loro.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Oltre La Linea.

Neve Gordon è docente di Diritto Internazionale presso la Queen Mary University a Londra. È anche l’autore di Israel’s Occupation [L’occupazione israeliana, Diabasis ed.] e coautore di The Human Right to Dominate [Il diritto umano di dominare, Nottetempo ed.]

Nicola Perugini insegna Relazioni Internazionali all’Università di Edimburgo. È coautore di The Human Right to Dominate [Il diritto umano di dominare, Nottetempo ed.] e Human Shields. A History of People in the Line of Fire (2020) [Scudi umani. Una storia dei popoli sulla linea di fuoco].

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le forze israeliane uccidono sei palestinesi in una incursione in Cisgiordania

Redazione di Al Jazeera

11 giugno 2024 – Al Jazeera

L’attacco a Kafr Dan vicino a Jenin avviene mentre l’esercito israeliano intensifica i suoi attacchi mortali nella Cisgiordania occupata.

Il ministero palestinese della Sanità ha affermato che le forze israeliane hanno ucciso sei palestinesi durante una incursione nel villaggio di Kafr Dan, vicino a Jenin, nella Cisgiordania occupata mentre Israele intensifica gli attacchi sul territorio durante la guerra contro Gaza.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese Wafa ha riferito che martedì una unità di forze speciali israeliane è entrata nel villaggio ed ha assediato una casa prima di bombardarla.

Secondo il ministero della Sanità i sei uomini assassinati avevano un’età compresa tra i 21 e i 32 anni,. Uno di loro, Ahmad Smoudi, era il fratello di un ragazzo di 12 anni ucciso dalle forze israeliane a Jenin nel 2022.

Il battaglione di Jenin delle brigate al-Quds – l’ala militare della Jihad islamica palestinese – ha affermato già nella giornata di martedì di essere stato impegnato in un “agguerrito” combattimento contro le truppe israeliane a Kafr Dan.

L’esercito israeliano ha sostenuto di aver portato avanti un’operazione di “controterrorismo” nel villaggio, uccidendo quattro palestinesi armati. L’esercito ha aggiunto di aver usato nell’attacco elicotteri da combattimento e di non aver avuto vittime.

Lunedì l’esercito israeliano aveva ucciso quattro palestinesi ad ovest di Ramallah e altri tre a Jenin venerdì.

L’esercito israeliano ha condotto regolarmente incursioni mortali in Cisgiordania negli ultimi anni – un trend che è aumentato con l’inizio della guerra contro Gaza.

Secondo le autorità palestinesi della sanità da ottobre, quando a Gaza è scoppiata la violenza, Israele ha ucciso in Cisgiordania 544 palestinesi, inclusi 133 minori.

I palestinesi in Cisgiordania hanno anche affrontato violenti attacchi da parte dei coloni israeliani, che nei mesi passati hanno aggredito gli agricoltori e hanno effettuato incursioni nelle città palestinesi, spesso con la protezione dell’esercito israeliano.

Rawhi Fattouh, del Consiglio Nazionale Palestinese, ha affermato che le incursioni israeliane nella Cisgiordana sono la “continuazione dei massacri, della pulizia etnica e del genocidio che hanno come obiettivo il popolo palestinese a Gaza.

Questo governo razzista [israeliano] cerca con tutti i mezzi di far scoppiare la situazione in Cisgiordania e nella regione e di trasformare il conflitto in una lotta religiosa e ideologica che trascinerebbe la regione in una spirale di violenza, uccisioni e massacri,” ha affermato Fattouh in una dichiarazione.

Egli chiede alla comunità internazionale di intervenire e di “porre fine a questa follia.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Lettera aperta al mondo degli accademici e amministratori universitari di Gaza

Accademici e amministratori universitari di Gaza

29 maggio 2024Al Jazeera

Facciamo appello ai nostri sostenitori perché ci aiutino a resistere alla campagna di scuolicidio e a ricostruire le nostre università

Accademici e personale delle università palestinesi di Gaza ci siamo uniti per affermare la nostra esistenza, l’esistenza dei nostri colleghi e dei nostri studenti per insistere sul nostro futuro minacciato da tutti gli attuali tentativi di cancellarci.

Le forze di occupazione israeliana hanno demolito i nostri edifici, ma le nostre università continuano a vivere. Noi riaffermiamo la nostra determinazione collettiva a rimanere sulla nostra terra, per riprendere appena possibile a insegnare, studiare e far ricerca a Gaza nelle nostre università palestinesi.

Facciamo appello ai nostri amici e colleghi in tutto il mondo a resistere alla campagna di scuolicidio in corso nella Palestina occupata, a lavorare con noi per ricostruire le nostre università demolite e a respingere tutti i piani che cercano di bypassare, cancellare o indebolire l’integrità delle nostre istituzioni accademiche. Il futuro dei nostri giovani a Gaza dipende da noi e dalla nostra capacità di rimanere nella nostra terra per continuare a servire le prossime generazioni del nostro popolo.

Lanciamo questo appello sotto le bombe delle forze di occupazione nella Gaza occupata, dai campi profughi di Rafah e dai luoghi dei temporanei nuovi esili in Egitto e negli altri Paesi ospitanti. Lo stiamo divulgando mentre l’occupazione israeliana continua a condurre quotidianamente la sua campagna genocida contro il nostro popolo, tentando di eliminare ogni aspetto della nostra vita collettiva e individuale.

Le nostre famiglie, i nostri colleghi e studenti sono assassinati mentre noi siamo ancora una volta diventati dei senzatetto, rivivendo le esperienze dei nostri genitori e nonni durante i massacri e l’espulsione di massa da parte delle forze armate sioniste nel 1947 e 1948.

Le nostre infrastrutture civiche, università, scuole, ospedali, biblioteche, musei e centri culturali, costruiti nel corso di generazioni dal nostro popolo, sono in rovina a causa di questa premeditata e continua Nakba. Prendere deliberatamente di mira le nostre infrastrutture didattiche è un palese tentativo per rendere Gaza inabitabile ed erodere il tessuto intellettuale e culturale della nostra società. Tuttavia ci rifiutiamo di permettere che tali atti estinguano la fiamma della conoscenza e della resilienza che brucia dentro di noi.

Alleati dell’occupazione israeliana negli Stati Uniti e nel Regno Unito stanno aprendo di nuovo un altro fronte di scuolicidio promuovendo presunti piani di ricostruzione che cercano di eliminare la possibilità di una vita educativa palestinese indipendente a Gaza. Noi respingiamo tutti questi progetti e esortiamo i nostri colleghi a rifiutare qualunque complicità in essi. Noi sollecitiamo anche tutte le università e i colleghi in tutto il mondo a coordinare direttamente con le nostre università ogni sforzo umanitario.

Noi estendiamo il nostro sincero apprezzamento alle istituzioni nazionali e internazionali che ci hanno mostrato solidarietà, fornendo sostegno e assistenza durante questi tempi difficili. Tuttavia sottolineiamo l’importanza di coordinare questi sforzi per riaprire concretamente le università palestinesi a Gaza.

Noi sosteniamo l’urgente necessità di rimettere in piedi le istituzioni educative di Gaza non solamente aiutando gli studenti attuali, ma garantendo la resilienza e la sostenibilità del nostro sistema di educazione terziaria a lungo termine. L’educazione non è solo un mezzo per impartire conoscenza, è un pilastro vitale della nostra esistenza e un faro di speranza per il popolo palestinese.

Pertanto è essenziale formulare una strategia a lungo termine per rimettere in sesto le infrastrutture e ricostruire tutti i servizi universitari. Tuttavia tale impresa richiederà un tempo considerevole e consistenti finanziamenti, mettendo a rischio la capacità delle istituzioni accademiche di sostenere gli interventi e causando la possibile perdita di personale e di studenti e impedendo la riapertura.

Date le presenti circostanze è fondamentale passare rapidamente all’insegnamento online per limitare i disagi causati dalla distruzione delle infrastrutture. Questo passaggio necessita di un’assistenza completa per coprire i costi operativi, inclusi gli stipendi del personale accademico.

Dall’inizio del genocidio le rette degli studenti, la principale fonte di reddito per le università, sono crollate. La mancanza di entrate ha lasciato i dipendenti senza salari, costringendo molti di loro a cercare altrove opportunità di reddito.

Oltre a colpire la sussistenza del personale accademico e amministrativo, questo sforzo finanziario causato dalla deliberata campagna di scuolicidio pone una minaccia esistenziale al futuro delle università stesse.

Bisogna quindi prendere urgentemente delle misure per risolvere la presente crisi finanziaria delle istituzioni accademiche per garantire la loro stessa sopravvivenza. Facciamo appello a tutte le parti interessate a coordinare immediatamente i loro sforzi per sostenere questo importante obiettivo.

La ricostruzione delle istituzioni accademiche di Gaza non è solo una questione di istruzione, è una testimonianza della nostra resilienza, della determinazione e dell’incrollabile impegno per garantire un futuro alle prossime generazioni.

Il destino dell’istruzione terziaria a Gaza appartiene alle università di Gaza, alle loro facoltà, al loro personale, ai loro studenti e a tutto il popolo palestinese. Noi apprezziamo gli sforzi delle persone e dei cittadini di tutto il mondo che operano per porre fine a questo continuo genocidio.

Facciamo appello ai nostri colleghi in patria e a livello internazionale per sostenere i nostri costanti tentativi di difesa e conservazione delle nostre università per il bene del futuro del nostro popolo e della nostra possibilità di restare sulla nostra terra palestinese a Gaza. Abbiamo costruito queste università dalle tende [dei rifugiati del 1987-48]. E dalle tende, con l’aiuto dei nostri amici, le ricostruiremo ancora una volta.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)

Firmatari:

Dr Kamalain Shaath, Vice Chairman of the Board of Trustees, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Omar Milad, President of Al Azhar University Gaza, Al Azhar University Gaza

Dr Mohamed Reyad Zughbur, Dean of the Faculty of Medicine, Al Azhar University Gaza

Dr Nasser Abu Alatta, Dean of Students Affairs, Al Aqsa University

Dr Akram Mohammed Radwan, Dean of Admission, Registration, and Student Affairs, University College of Applied Sciences – Gaza

Dr Atta Abu Hany, Dean of Faculty of Science, Al Azhar University Gaza

Prof Hamdi Shhadeh Zourb, Dean of the Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Ahmed Abu Shaban, Dean of the Faculty of Agriculture and Veterinary Medicine, Al Azhar University Gaza

Dr Ahmed A Najim, Dean of Admission and Registration, Al Azhar University Gaza

Dr Noha A Nijim, Dean of Economics and Administrative Science Faculty, Al Azhar University Gaza

Prof Hatem Ali Al-Aidi, Dean of Planning and Quality, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Ihab A Naser Dean of Faculty of Applied Medical Sciences, Al Azhar University Gaza

Eng Amani Al-Mqadama, Head of the International Relations, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Mohammed R AlBaba, Dean of Faculty of Dentistry, Al Azhar University Gaza

Dr Rami Wishah , Dean of the Faculty of Law, Al Azhar University Gaza

Prof Basim Mohammad Ayesh, Head of MSc Programme Committee and Professor of Molecular Genetics, Al Aqsa University

Prof Hassan Asour, Dean of Scientific Research, Al Azhar University Gaza

Khaled Ismail Shahada Tabish, Head of Salaries Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Mazen Sabbah, Dean of Faculty of Sharia, Al Azhar University Gaza

Dr Ashraf J Shaqalaih, Head of Laboratory Medicine Dept, Al Azhar University Gaza

Dr Mahmoud El Ajouz, Head of Food Analysis Center and Lecturer at the Faculty of Agriculture, Al Azhar University Gaza

Dr Mazen AbuQamar, Head of Nursing Department, Al Azhar University Gaza

Eng Abed Elnaser Mustafa Abu Assi, Head of Engineering Office, Al Azhar University Gaza

Dr Ahmed Rezk Al-Wawi, Vice President of the Islamic University Workers’ Union, Islamic University of Gaza (IUG)

Shareef El Buhaisi, Head of Administration Office at the Faculty of Applied Medical Sciences, Al Azhar University Gaza

Dr Saeb Hussein Al-Owaini, Director of Employees, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Mai Ramadan, Director of the Drug and Toxicology Analysis Centre, Al Azhar University Gaza

Dr Mohammed S M Kuhail, Director of Libraries, Al Azhar University Gaza

Eng Emad Ahmed Ismail Al-Nounou, Director, Technical Department, Al Azhar University Gaza

Eng Ismail Abdul Rahman Abu Sukhaila, Director Engineering Office, Islamic University of Gaza (IUG)

Osama R Shawwa, Director of Administrative Office in the Department of Political Sciences, Al Azhar University Gaza

Adnan A S El-Ajrami, Director of Administrative Office at the Faculty of Medicine, Al Azhar University Gaza

Hashem Mahmoud Kassab, Director of Public Relations and Media Department, Al Azhar University Gaza

Mazen Hilles, Director of Administration of Diploma Programme, Al Azhar University Gaza

Adel Mansour Suleiman Al-Louh , Services Manager, Islamic University of Gaza (IUG)

Hammam Al-Nabahen, Director of IT Services, Islamic University of Gaza (IUG)

Maher Haron Ereif, Audit Department Assistant Director, Al Azhar University Gaza

Khalid Solayman Alsayed, Information Technology Administrator, Al Azhar University Gaza

Dr Amani H Abujarad, Assistant Professor of Applied Linguistics Department of English, Al Azhar University Gaza

Dr Ayman Shaheen, Assistant Professor in Political Sciences, Al Azhar University Gaza

Prof Alaa Mustafa Al-Halees, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Basil Hamed, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Mohamed Elhindy, Assistant Professor in Veterinary Medicine, Al Azhar University Gaza

Prof Bassam Ahmed Abu Zaher, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Fakhr Abo Awad, Faculty of Science – Department of Chemistry, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Saher Al Waleed, Professor of Law, Al Azhar University Gaza

Prof Kamal Ahmed Ghneim, Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Khadir Tawfiq Khadir, Department of English Language – Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Marwan Saleem El-Agha, Assistant Professor of Business Administration, Al Azhar University Gaza

Dr Mona Jehad Wadi, Assistant Professor of microbiology, Al Azhar University Gaza

Dr Mohammed Faek Aziz, Deanship of Quality and Development, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Muhammed Abu Mattar, Associate Professor in Law, Al Azhar University Gaza

Prof Abdul Fattah Nazmi Hassan Abdel Rabbo, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Saher Al Waleed, Professor of Law, Al Azhar University Gaza

Dr Sari El Sahhar, Assistant Professor in Plant Protection, Al Azhar University Gaza

Dr Nidal Jamal Masoud Jarada, Law, University College of Applied Sciences – Gaza

Dr Sherin H Aldani, Assistant Professor in Social Sciences, Al Azhar University Gaza

Dr Wael Mousa, Assistant Professor in Food Technology, Al Azhar University Gaza

Prof Mohamed I H Migdad, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Alaa Mustafa Al-Halees, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Usama Hashem Hamed Hegazy, Professor of Applied Mathematics, Al Azhar University Gaza

Prof Basil Hamed, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Tawfik Musa Allouh, Professor of Arabic Literature, Al Azhar University Gaza

Prof Bassam Ahmed Abu Zaher, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Zaki S Safi, Professor of Chemistry, Al Azhar University Gaza

Prof Fakhr Abo Awad, Faculty of Science – Department of Chemistry, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Kamal Ahmed Ghneim, Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Khadir Tawfiq Khadir, Department of English Language – Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Khaled Hussein Hamdan, Faculty of Fundamentals of Religion, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Ata Hasan Ismail Darwish, Professor of Science Education and Curriculum, Al Azhar University Gaza

Prof Hazem Falah Sakeek, Professor of Physics, Al Azhar University Gaza

Prof Mohammed Abdel Aati, Department of Electrical Engineering and Intelligent Systems, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Nader Jawad Al-Nimra, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Prof Nasir Sobhy Abu Foul, Professor of Food Technology, Al Azhar University Gaza

Dr Rawand Sami Abu Nahla, Lecturer at Faculty of Dentistry, Al Azhar University Gaza

Prof Hussein M. H. Alhendawi, Professor of Organic Chemistry, Al Azhar University Gaza

Prof Ihab S. S. Zaqout, Professor in Computer Science, Al Azhar University Gaza

Dr Rushdy A S Wady, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Abed El-Raziq A Salama, Assistant Professor in Food Technology, Al Azhar University Gaza

Dr Ahmed Aabed, Admin Assistant in Administrative and Financial Affairs Office, Al Azhar University Gaza

Dr Ahmed Mesmeh, Faculty of Sharia and Law, Al Azhar University Gaza

Dr Emad Khalil Abu Alkhair Masoud, Associate professor of microbiology, Al Azhar University Gaza

Dr Alaa Issa Mohammed Saleh, Lecturer at the faculty of Dentistry, Al Azhar University Gaza

Dr Ali Al-Jariri, Continuing Education Department, Al Quds Open University

Dr Arwa Eid Ashour, Faculty of Science, Department of Mathematics, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Hala Zakaria Alagha, Assistant Professor in Clinical Pharmacy, Al Azhar University Gaza

Prof Marwan Khazinda, Professor of Mathematics, Al Azhar University Gaza

Prof Moamin Alhanjouri, Associate Professor in Statistics, Al Azhar University Gaza

Prof Sameer Mostafa Abumdallala, Professor of Economics, Al Azhar University Gaza

Dr Bilal Al-Dabbour, Faculty of Medicine, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Nabil Kamel Mohammed Dukhan, Faculty of Education – Department of Psychology, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Jamal Mohamed Alshareef, Assistant Professor, Linguistics Department of English, Al Azhar University Gaza

Dr Sadiq Ahmed Mohammed Abdel Aal, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Khaled Abushab, Associate Professor in Applied Medical Sciences, Al Azhar University Gaza

Dr Abed El-Raziq A Salama, Assistant Professor in Food Technology, Al Azhar University Gaza

Dr Emad Khalil Abu Alkhair Masoud, Associate Professor of Microbiology, Al Azhar University Gaza

Dr Hala Zakaria Alagha, Assistant Professor in Clinical Pharmacy, Al Azhar University Gaza

Dr Jamal Mohamed Alshareef, Assistant Professor, Linguistics Department of English, Al Azhar University Gaza

Dr Khaled Abushab, Associate Professor in Applied Medical Sciences, Al Azhar University Gaza

Dr Suheir Ammar, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Dr Waseem Bahjat Mushtaha, Associate Professor in Dental Medicine, Al Azhar University Gaza

Prof Ali Abu Zaid, Professor of Statistics, Al Azhar University Gaza

Dr Zahir Mahmoud Khalil Nassar, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Abdul Hamid Mustafa Said Mortaja, Faculty of Arts, Department of Arabic Language, Islamic University of Gaza (IUG)

Abdul Rahman Salman Nasr Al-Daya, Associate Professor at the Faculty of Sharia and Law, Islamic University of Gaza (IUG)

Ayman Salah Khalil Abumayla, Officer – Student Affairs Department, Al Azhar University Gaza

Abdullah Ahmed Al-Sawarqa, Library, Islamic University of Gaza (IUG)

Ashraf Ahmed Mohammed Abu Mughisib, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Abdul Fattah Abdel Rabbo, Deanship of Engineering and Information Systems, University College of Applied Sciences – Gaza

Basheer Ismail Hamed Hammo, Faculty of Fundamentals of Religion, Islamic University of Gaza (IUG)

Bssam Fadel Nssar, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Eng Mohammed Awni Abushaban, Teaching Assistant IT Department, Al Azhar University Gaza

Etemad Mohammed Abdul Aziz Al-Attar, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Fahd Ghassan Abdullah Al-Khatib, Engineering Office, Islamic University of Gaza (IUG)

Ibrahim K I Albozom, Administrative Officer Faculty of Arts, Al Azhar University Gaza

Abdullah Ahmed Anaqlah, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Abdelrahman Abu Saloom, Radiologist at the College of Dentistry, Al Azhar University Gaza

Feryal Ali Mahmoud Farhat, Administrator, Islamic University of Gaza (IUG)

Fifi Al-Zard, Campus Services, Islamic University of Gaza (IUG)

Manar Y Abuamara, Secretary, Al Azhar University Gaza

Hani Rubhi Abdel Aal, Graduate Studies, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Abdul Raouf Al-Mabhouh, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Adnan Al-Qazzaz, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Sfadi Salim Abu Amra, Supporting Services Department, Al Azhar University Gaza

Hassan Ahmed Hassan Al-Nabih, Department of English Language – Faculty of Arts, Islamic University of Gaza (IUG)

Hassan Nasr, Information Technology, University College of Applied Sciences – Gaza

Hatem Barhoom, Islamic University of Gaza (IUG)

Tamer Musallam, Lecturer in Business Diploma Programme, Al Azhar University Gaza

Ahmed Adnan Mahmoud Mattar, Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Jaber Mahmoud Al-Omsey, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Khalil Ibrahim Qadoura, Administrator, Islamic University of Gaza (IUG)

Hussein Al-Jadaily, Faculty of Nursing, Islamic University of Gaza (IUG)

Ibrahim Issa Ibrahim Seidem, Faculty of Fundamentals of Religion, Islamic University of Gaza (IUG)

Ezia Abu Zaida, Secretary, Al Azhar University Gaza

Khaled Mutlaq Issa, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Khalil Mohammed Said Hassan Abu Kuweik, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Ibraheem Almasharawi, Instructor at the Faculty of Agriculture and Veterinary Medicine, Al Azhar University Gaza

Maher Jaber Mahmoud Shaqlieh, Information Technology Affairs, Islamic University of Gaza (IUG)

Mahmoud Abdul Rahman Mousa Asraf, Department of English Language, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Mohammed Said Abu Safi, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Omar Ismail Al-Dahdouh, Faculty of Information Technology, University College of Applied Sciences – Gaza

Ahmed Salman Ali Abu Amra, Faculty of Sharia and Law, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Saqer, Faculty of Science, Department of Mathematics, Islamic University of Gaza (IUG)

Ahmed Younes Abu Labda, Personnel Affairs, Islamic University of Gaza (IUG)

Alaa Fathi Salim Abu Ajwa, Islamic University of Gaza (IUG)

Mahmoud Said Mohammed Al- Damouni, Central Library, Islamic University of Gaza (IUG)

Ghasasn Alswairki, Adminstration Officer at Faculty of Pharmacy, Al Azhar University Gaza

Mahmoud Shukri Sarhan, Faculty of Education, Islamic University of Gaza (IUG)

Mahmoud Youssef Mohammed Al- Shoubaki, Faculty of Fundamentals of Religion, Islamic University of Gaza (IUG)

Majdi Said Aqel, Faculty of Education, Islamic University of Gaza (IUG)

Muahmmed Abu Aouda, Security Department, Al Azhar University Gaza

Majed Hania, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Majed Mohammed Ibrahim Al-Naami, Faculty of Literature, Islamic University of Gaza (IUG)

Mamoun Abdul Aziz Ahmed Salha, Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Emad Ali Ahmed Abdel Rabbo, Administrator, Islamic University of Gaza (IUG)

Imad Alwaheidi Lecturer in Livestock Production Al Azhar University Gaza

Manar Mustafa Al-Maghari, Medical Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Bassam Mohammed Al- Kurd, Campus Services, Islamic University of Gaza (IUG)

Marwa Rouhi Abu Jalaleh, Information Technology Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Yousif Altaban, Security Department, Al Azhar University Gaza

Hala Muti Mahmoud Abu Naqeera, Student Affairs, Islamic University of Gaza (IUG)

Marwan Ismail Abdul Rahman Hamad, Faculty of Education, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammad Hussein Kraizem, Health Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed AlAshi, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Hassan Al-Sar, Faculty of Engineering, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Ibrahim Khidr Al-Gomasy, Faculty of Education, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Juma Al-Ghoul, Faculty of Sharia and Law, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Khalil Ayesh, Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Faiz Ahmed Ali Hales, Computer Maintenance Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Mohammed Taha Mohammed Abu Qadama, Administrator, Islamic University of Gaza (IUG)

Yousef Fahmy Krayem, Lab Technician at Faculty of Agriculture and Veterinary Medicine, Al Azhar University Gaza

Nabhan Salem Abu Jamous, Department of Supplies and Purchases, Head of Storage Section, Islamic University of Gaza (IUG)

Nihad Mohammed Sheikh Khalil, Faculty of Arts – Department of History, Islamic University of Gaza (IUG)

Tamer Nazeer Nassar Madi, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Rami Othman Mohammed Hassan Skik, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Salah Hassan Radwan, Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Salem Abushawarib, Faculty of Economics and Administrative Sciences, Islamic University of Gaza (IUG)

Salem Jameel Bakir Al-Sazaji, Faculty of Information Technology, Islamic University of Gaza (IUG)

Abed Alraouf S Almasharawi, Administrative Officer in the Library, Al Azhar University Gaza

Samah Al-Samoni, Public Relations, Islamic University of Gaza (IUG)

Wafa Farhan Ismail Ubaid, Faculty of Nursing, Islamic University of Gaza (IUG)

Tawfiq Sufian Tawfiq Harzallah, Admission and Registration Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Walid Zuheir Aidi Abu Shaaban, Finance and Auditing Department, Islamic University of Gaza (IUG)

Yasser Zaidan Salem Al-Nahal, Faculty of Science, Islamic University of Gaza (IUG)

Youssef Sobhi Abdel Nabi Al-Rantissi, Computer Technician, Islamic University of Gaza (IUG)




“L’obiettivo è distruggere Gaza”: ecco perché Israele rifiuta il cessate il fuoco con Hamas

Mat Nashed

7 maggio 2024 Al Jazeera

Israele ha rifiutato il cessate il fuoco e lanciato un’operazione a Rafah, suscitando il timore che la guerra a Gaza possa protrarsi.

Israele sembra essere stato colto di sorpresa lunedì dall’annuncio che Hamas aveva accettato la proposta egiziano-qatarina di cessate il fuoco. Ma il governo di Israele ha chiarito rapidamente la sua posizione: la proposta non era accettabile e, per chiarire ulteriormente la questione, il suo esercito ha preso il controllo del lato palestinese del confine fra Egitto e Gaza a Rafah.

Per molti analisti il messaggio del governo israeliano è chiaro: non ci sarà un cessate il fuoco permanente e la devastante guerra a Gaza continuerà.

Israele vuole avere il diritto di continuare le operazioni a Gaza,” ha detto Mairav Zonszein, analista esperta di Israele-Palestina dell’International Crisis Group (ICG) [Ong con sede in Belgio che cerca di prevenire i conflitti, ndt.].

Ha aggiunto che un accordo sembra impossibile finché Israele si rifiuta di porre definitivamente fine alla guerra.

Se stipuli un accordo di cessate il fuoco, allora [alla fine] sarà necessario il cessate il fuoco”, ha detto ad Al Jazeera.

Il bombardamento di Rafah da parte di Israele ha l’obiettivo apparente di smantellare i battaglioni di Hamas e assumere il controllo del valico Gaza-Egitto, che Israele accusa Hamas di utilizzare per contrabbandare armi nell’enclave assediata. Ma le associazioni umanitarie hanno subito segnalato che la chiusura del valico avrà conseguenze disastrose per oltre un milione di palestinesi che vivono a Rafah, quasi tutti già sfollati.

E metterebbe a repentaglio anche le speranze di raggiungere un accordo tra Israele e Hamas, che Egitto, Qatar e Stati Uniti hanno passato giorni a cercare di mediare insieme a William Burns, il capo della Central Intelligence Agency (CIA), fortemente impegnato.

Israele ha affermato che i termini del cessate il fuoco di Hamas differiscono dalle proposte precedenti. Ma gli analisti ritengono che il problema più ampio sia che Israele non è disposto ad accettare un cessate il fuoco permanente, anche dopo che Hamas avrà liberato gli ostaggi israeliani.

Gli ultimi due giorni hanno dimostrato che Israele non stava realmente negoziando in buona fede. Nel momento in cui Hamas ha accettato l’accordo, Israele ha cercato di farlo saltare iniziando l’attacco a Rafah”, ha detto Omar Rahman, esperto di Israele-Palestina presso il Consiglio del Medio Oriente per gli Affari Globali, un think tank di Doha in Qatar.

L’obiettivo è distruggere completamente Gaza”, ha detto ad Al Jazeera.

Sicuri della vittoria?

Rafah è diventata l’ultimo rifugio per i palestinesi in fuga dagli attacchi israeliani nelle regioni centrali e settentrionali dell’enclave. Ci sono stati alcuni attacchi, ma l’esercito israeliano non ha inviato – fino a lunedì – forze di terra ad occupare il territorio.

Ma dopo aver condotto operazioni di terra nel resto di Gaza, e con Hamas ancora operativo e decine di ostaggi israeliani ancora detenuti, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lanciato l’attacco, anche se è ancora da determinare fino a che punto si spingeranno i militari dentro Rafah.

Il dilemma che Netanyahu si trova ad affrontare è che ha promesso agli israeliani la vittoria contro Hamas – e la grande maggioranza degli ebrei israeliani sostiene un’invasione di Rafah, secondo un sondaggio condotto a marzo dall’Israeli Democracy Institute. Ma gli Stati Uniti, nonostante il loro schiacciante sostegno a Israele durante tutta la guerra a Gaza, hanno chiarito che non sosterranno un’invasione su vasta scala.

Il gabinetto di guerra israeliano potrebbe cercare di soddisfare l’opinione pubblica portando avanti l’offensiva di Rafah e rifiutando inizialmente un cessate il fuoco, ha affermato Hugh Lovatt, esperto di Israele-Palestina presso il Consiglio europeo per le Relazioni Estere (ECFR).

Potrebbe essere troppo difficile per il governo israeliano accettare una proposta che viene vista [dall’opinione pubblica israeliana] assecondare le condizioni di Hamas”, ha detto ad Al Jazeera. “Si può pensare che entrando a Rafah, Israele stia dicendo ‘abbiamo preso il controllo del corridoio, abbiamo sradicato le infrastrutture terroristiche e ora possiamo accettare il cessate il fuoco’ ”.

Aggrappato al potere

La carriera politica di Netanyahu dipende anche dalla continuazione della guerra a Gaza, dicono gli analisti ad Al Jazeera, che spiegano come un cessate il fuoco permanente potrebbe condurre al collasso della sua coalizione di estrema destra, portando ad elezioni anticipate e alla sua rimozione dal potere.

Il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, entrambi di estrema destra, avrebbero minacciato di abbandonare e far crollare la coalizione di Netanyahu se Israele accettasse un accordo vincolante e un cessate il fuoco.

Khaled Elgindy, analista per Israele-Palestina presso il Middle East Institute, ritiene che l’accettazione da parte di Hamas di una proposta di cessate il fuoco metta Netanyahu in una posizione imbarazzante poiché non può più sostenere che sul tavolo non ci sia un accordo ragionevole.

Netanyahu ha bisogno che la guerra continui e si espanda per poter restare al potere. Personalmente non ha altra motivazione”, ha detto ad Al Jazeera.

Lovatt, del Consiglio europeo per le Relazioni Estere, ha aggiunto che l’invasione di Rafah comporta rischi a medio e lungo termine anche per Netanyahu e Israele. Teme che se Israele intensificherà significativamente la sua offensiva su Rafah perderà i restanti ostaggi israeliani senza avvicinarsi all’obiettivo dichiarato di “sradicare Hamas”.

Se Israele entra a Rafah e provoca carneficine e distruzione certo non si avvicinerà al suo obiettivo strategico e penso che ciò creerà ulteriori complicazioni per Netanyahu nelle settimane e nei mesi a venire”, ha detto ad Al Jazeera.

A maggio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha messo in guardia Netanyahu dall’invasione di Rafah e ha affermato che tale mossa rappresenterebbe il superamento di una “linea rossa”.

Lovatt ritiene che gli Stati Uniti dovrebbero penalizzare Netanyahu per aver ignorato la minaccia di Biden. Ha aggiunto che gli Stati Uniti dovrebbero sospendere gli aiuti militari e chiarire che la proposta di cessate il fuoco accettata da Hamas è in linea con quella che il capo della CIA Burns ha contribuito a mediare.

Sembra che Israele stia aggirando la proposta di cessate il fuoco su cui ha lavorato Will Burns. È una mossa grave contro la diplomazia statunitense e penso che gli Stati Uniti debbano puntare i piedi”, ha detto Lovatt ad Al Jazeera.

Si tratta di salvare Netanyahu da lui stesso e Israele da sé stesso”.

Gli Stati Uniti hanno ritardato la vendita di migliaia di armi di precisione a Israele, ma Elgindy è scettico sul fatto che gli Stati Uniti eserciteranno maggiori pressioni per evitare una catastrofe a Rafah.

Afferma che Biden sembra ancora non comprendere l’errore strategico di Israele a Gaza e la portata del disastro che ha consentito.

Alcune persone nell’amministrazione Biden sono arrivate a questa conclusione [che Israele ha commesso un errore strategico], ma non sono coloro che prendono le decisioni. Non sono il presidente”, ha detto ad Al Jazeera.

Zonszein, del Gruppo di Crisi, ha aggiunto che non è chiaro fino a che punto gli Stati Uniti si spingeranno per costringere Netanyahu ad accettare un cessate il fuoco, ma ha detto che gli Stati Uniti sembrano aver dato garanzie in privato ai mediatori che qualsiasi cessate il fuoco porterebbe infine alla fine permanente della guerra.

“Gli Stati Uniti sono molto intenzionati a fermare questa invasione di Rafah e penso che abbiano la capacità di fermarla”, ha detto. “Semplicemente non si vuole dare l’impressione di aiutare Hamas, ed è quindi una situazione complicata”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Mentre continuano i colloqui per il cessate il fuoco a Gaza Netanyahu afferma che Israele invaderà Rafah

Redazione di Al Jazeera

30 aprile 2024-Al Jazeera

Il primo ministro israeliano Netanyahu dice che le forze israeliane entreranno nella città meridionale di Gaza “con o senza un accordo”.

Mentre sono in corso difficili negoziati di tregua per raggiungere un accordo di cessate il fuoco, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ribadito la sua promessa che Israele lancerà un assalto di terra a Rafah, nel sud di Gaza.

Martedì Netanyahu ha detto che Israele distruggerà i battaglioni di Hamas a Rafah “con o senza un accordo” per ottenere la “vittoria totale” nella guerra che dura da quasi sette mesi.

Israele e Hamas stanno negoziando un potenziale accordo di cessate il fuoco e uno scambio tra ostaggi detenuti da gruppi palestinesi a Gaza con prigionieri detenuti nelle carceri israeliane.

L’idea che fermeremo la guerra prima di raggiungere tutti i suoi obiettivi è fuori discussione. Entreremo a Rafah ed elimineremo lì i battaglioni di Hamas, con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale,” ha detto il primo ministro in un incontro con le famiglie degli ostaggi detenuti dai gruppi armati a Gaza.

Hamas ha ripetutamente affermato che non accetterà un accordo che non includa un cessate il fuoco permanente e un ritiro completo delle forze israeliane da Gaza – questi sono stati i principali punti critici dei negoziati.

Per mesi Netanyahu si è ripetutamente impegnato a procedere con l’invasione di Rafah, nonostante l’esplicita contrarietà da parte del principale alleato di Israele, gli Stati Uniti.

Le agenzie umanitarie hanno avvertito che un assalto a Rafah, dove hanno trovato rifugio più di un milione di palestinesi sfollati, sarebbe catastrofico.

Martedì il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato Israele a non procedere con un attacco militare che “costituirebbe un’intollerabile escalation che ucciderebbe migliaia di civili e costringerebbe centinaia di migliaia di persone a fuggire”.

Assalto incombente

La radio dell’esercito israeliano ha affermato che un piano per attaccare Rafah otterrà il via libera “nei prossimi giorni” se non verrà raggiunto un accordo di cessate il fuoco con Hamas.

La radio israeliana GLZ, attribuendo le informazioni a “funzionari della sicurezza”, ha affermato in un post sui social media che “verrà dato l’ordine di lanciare un’operazione a Rafah” se non verranno fatti progressi entro pochi giorni nei “negoziati per un accordo”.

In un post su X il media israeliano N12 ha riferito che, secondo quanto riferito dalle famiglie degli ostaggi, Netanyahu ha detto loro che l’evacuazione della popolazione a Rafah è già iniziata.

Tuttavia, il capo dell’UNRWA Philippe Lazzarini ha dichiarato martedì che “alla popolazione non è stato ancora chiesto di evacuare Rafah.

Ma c’è la sensazione che se non ci sarà un accordo di cessate il fuoco questa settimana, potrebbe accadere in qualsiasi momento”, ha detto durante una conferenza stampa a Ginevra.

L’agenzia di stampa Reuters ha riferito che “una persona vicina al primo ministro Benjamin Netanyahu” ha detto che Israele sta aspettando la risposta di Hamas alla sua proposta prima di inviare una squadra in Egitto per continuare i colloqui per il cessate il fuoco.

Secondo il ministro degli Esteri britannico David Cameron la proposta israeliana prevede una pausa di 40 giorni nei combattimenti invece di un cessate il fuoco permanente come Hamas ha ripetutamente chiesto.

Una risposta da parte di Hamas all’ultima proposta di Israele è prevista entro mercoledì sera, ha riferito Stefanie Dekker di Al Jazeera. [Oggi, 2 maggio, ore 09,30 ora italiana, la risposta non è ancora arrivata, ndt.]

Hamas valuta la proposta

Il segretario di Stato americano Antony Blinken non ha risposto direttamente ai giornalisti quando gli è stato chiesto dei piani di Netanyahu di procedere con l’assalto di terra. Ha invece sottolineato che l’obiettivo di Washington è raggiungere un accordo di tregua e il rilascio degli ostaggi.

Ora tocca ad Hamas. Niente più ritardi, niente più scuse. Il momento di agire è adesso,” ha detto Blinken alla stampa alla periferia della capitale della Giordania, Amman. “Nei prossimi giorni vogliamo vedere questo accordo concretizzarsi.”

[Una tregua] è il modo migliore, il modo più efficace, per alleviare le sofferenze e anche per creare un contesto in cui si possa sperare di andare avanti verso qualcosa che sia veramente sostenibile e offra una pace duratura per le persone che ne hanno così disperatamente bisogno”, ha aggiunto.

Si prevede che nel suo ultimo viaggio nella regione, iniziato lunedì in Arabia Saudita, Blinken visiterà Israele.

Hamas ha detto che continua a valutare la proposta israeliana. Un alto funzionario del gruppo ha osservato che [Israele] persiste nell’ignorare le richieste per la fine definitiva della guerra.

Dal documento israeliano emerge chiaramente che stanno ancora insistendo su due questioni principali: non vogliono un cessate il fuoco permanente e non stanno parlando in modo serio del ritiro da Gaza. In effetti stanno ancora parlando della loro presenza, il che significa che continueranno ad occupare Gaza”, ha detto Hamdan lunedì ad Al Jazeera.

Abbiamo domande cruciali per i mediatori. Se ci saranno risposte positive, penso che potremo andare avanti”.

Egitto, Qatar e Stati Uniti stanno mediando i colloqui tra Israele e Hamas.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Quasi 200 corpi trovati in una fossa comune nell’ospedale Khan Younis di Gaza

Redazione Al Jazeera

21 aprile 2024 – Al Jazeera

Le autorità palestinesi affermano che 180 corpi sono stati recuperati dal complesso ospedaliero Nasser mentre Israele continua gli attacchi mortali a Gaza.

Al Jazeera ha appreso che le squadre della protezione civile palestinese hanno scoperto una fossa comune all’interno del complesso ospedaliero Nasser a Khan Younis, a Gaza, con 180 corpi recuperati finora, mentre Israele continua il bombardamento dell’enclave costiera devastata da più di sei mesi.

La scoperta di sabato, che prosegue durante la domenica, arriva dopo che l’esercito israeliano ha ritirato le sue truppe dalla città meridionale il 7 aprile. Gran parte di Khan Younis è ora in rovina.

Domenica Hani Mahmoud di Al Jazeera riporta da Khan Younis che: “Nel cortile dell’ospedale membri della protezione civile e paramedici hanno recuperato 180 corpi, tra cui donne anziane, bambini e giovani uomini, sepolti in questa fossa comune dall’esercito israeliano”.

In una dichiarazione di sabato scorso i servizi di emergenza palestinesi hanno affermato: “Le nostre squadre continueranno le loro operazioni di ricerca e recupero dei restanti martiri nei prossimi giorni poiché ce ne sono ancora molti”.

Le identità delle persone sepolte nella fossa comune dai militari devono ancora essere determinate, e non è chiaro quando siano morte durante l’assalto israeliano.

All’inizio di questa settimana una fossa comune è stata scoperta presso l’ospedale al-Shifa dopo un assedio durato due settimane. Era una delle numerose fosse comuni trovate ad al-Shifa, la più grande struttura medica nell’enclave costiera.

Secondo i funzionari sanitari locali la guerra di Israele a Gaza ha ucciso più di 34.000 palestinesi, ha devastato le due città più grandi di Gaza e ha lasciato una scia di distruzione in tutto il territorio.

Almeno due terzi delle vittime sono minori e donne. Si dice anche che il bilancio reale sia probabilmente più alto poiché molti corpi sono rimasti bloccati sotto le macerie lasciate dagli attacchi aerei o si trovano in aree irraggiungibili per le squadre mediche.

Israele ha lanciato la sua guerra a Gaza dopo che combattenti di Hamas e altri gruppi palestinesi hanno effettuato un attacco all’interno di Israele il 7 ottobre uccidendo circa 1.139 persone e facendone prigioniere più di 200.

Israele uccide 18 minori a Rafah

Nel frattempo sono in corso attacchi israeliani nell’enclave costiera, anche nella città di Rafah, nel sud di Gaza, dove i raid notturni hanno ucciso 22 persone, tra cui 18 minori, hanno dichiarato domenica funzionari sanitari.

Secondo il vicino ospedale kuwaitiano, che ha ricevuto i corpi, il primo attacco, avvenuto domenica mattina presto, ha ucciso un uomo, sua moglie e il loro bambino di tre anni. La donna era incinta e i medici sono riusciti a salvare il bambino, ha riferito l’ospedale.

Israele ha effettuato raid aerei quasi giornalieri su Rafah dove più della metà della popolazione di Gaza, composta da 2,3 milioni di abitanti, ha cercato rifugio dai combattimenti in altre zone.

Secondo i registri ospedalieri il secondo attacco ha ucciso 17 minori e due donne tutti appartenenti alla stessa famiglia. La notte prima un attacco aereo a Rafah aveva ucciso nove persone, tra cui sei minori.

Hani Mahmoud di Al Jazeera in un reportage da Rafah ha detto che le minacce di un’imminente invasione di terra a Rafah stanno “crescendo”.

“Intere famiglie vengono prese di mira direttamente all’interno delle case residenziali in cui si rifugiano”, ha detto.

“Qualsiasi senso di sicurezza e protezione è andato in frantumi per le persone già traumatizzate dalla fuga da un luogo all’altro”.

Israele si è anche impegnato ad espandere la sua offensiva di terra nella città al confine con l’Egitto, nonostante le richieste internazionali di moderazione, anche da parte degli Stati Uniti.

Tuttavia mentre spingono per la fine delle ostilità della guerra che si protrae da sei mesi gli Stati Uniti continuano le forniture di armi a Israele. Sabato la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, con un ampio sostegno bipartisan, ha approvato un pacchetto legislativo da 95 miliardi di dollari che fornisce assistenza in materia di sicurezza a Ucraina, Israele e Taiwan.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Il parlamento israeliano approva una legge che spiana la strada alla chiusura di Al Jazeera

Redazione di Al Jazeera

1 aprile 2024 – Al Jazeera

Il primo ministro Benjamin Netanyahu promette di usare la nuova legge per chiudere gli uffici locali di Al Jazeera.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso di “agire immediatamente per interrompere” nel Paese le attività di Al Jazeera dopo l’approvazione del parlamento israeliano di una legge che concede ai ministri poteri di chiudere le reti di informazione straniere ritenute un rischio per la sicurezza.

Al Jazeera ha danneggiato la sicurezza di Israele partecipando attivamente al massacro del 7 ottobre e ha incitato contro i soldati israeliani,” ha scritto Netanyahu su X lunedì.

Intendo agire immediatamente in conformità con la nuova legge per fermare le attività del canale,” ha detto.

La rete qatarina ha respinto quelle che ha descritto come “accuse diffamanti” e ha accusato Netanyahu di “incitamento [all’odio]”.

In seguito al suo incitamento e a queste false accuse ignobili Al Jazeera ritiene il primo ministro israeliano responsabile della sicurezza del proprio personale e delle sedi della rete nel mondo,” ha detto in una dichiarazione.

Al Jazeera ribadisce che tali accuse infamanti non ci dissuaderanno dal continuare la nostra copertura coraggiosa e professionale e ci riserviamo il diritto di intraprendere ogni azione legale.”

Netanyahu cercava da tempo di chiudere l’emittente qatarina adducendo un pregiudizio contro Israele.

La legge approvata dalla Knesset con una votazione di 71 a 10 dà al primo ministro e al ministro delle Comunicazioni l’autorità di ordinare la chiusura di reti televisive straniere che operano in Israele e confiscare le loro apparecchiature se si ritiene che pongano “un pericolo alla sicurezza dello Stato”.

Lunedì Karine Jean-Pierre, la portavoce della Casa Bianca, ha detto che la decisione israeliana di chiudere Al Jazeera sarebbe “preoccupante”.

Gli Stati Uniti sostengono il lavoro estremamente importante dei giornalisti in tutto il mondo e ciò include coloro che ci stanno informando sul conflitto a Gaza,” ha detto Jean-Pierre ai reporter.

Quindi noi crediamo che il lavoro sia importante. La libertà di stampa è importante. E se quei reportage sono veritieri ciò ci riguarda.”

Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), che controlla che i media siano liberi, ha detto che la nuova legge israeliana “pone una significativa minaccia per i media internazionali”.

Ciò contribuisce a un clima di autocensura e ostilità verso la stampa, una tendenza in crescita dall’inizio della guerra tra Israele e Gaza,” ha detto il CPJ.

Una lunga campagna

Dall’inizio della guerra di Israele a Gaza in ottobre il governo israeliano ha approvato con il consenso dei tribunali norme di guerra che consentono di chiudere temporaneamente media stranieri giudicati una minaccia per gli interessi nazionali.

L’approvazione della legge arriva circa cinque mesi dopo che Israele ha affermato che avrebbe bloccato il canale libanese Al Mayadeen. Si era astenuto dal chiudere contemporaneamente Al Jazeera.

Lunedì, dopo il voto, il ministro delle Comunicazioni di Israele, Shlomo Karhi [del principale partito di governo, il Likud, ndt.], ha detto che intende procedere con la chiusura e che Al Jazeera agisce come “un braccio della propaganda di Hamas incoraggiando la lotta armata contro Israele”.

È impossibile tollerare un organo di stampa con credenziali dell’Ufficio Stampa governativo e con uffici in Israele che agisca dall’interno contro di noi, e certamente non in tempo di guerra,” ha proseguito.

Il suo ufficio ha detto che l’ordine avrebbe cercato di bloccare le trasmissioni del canale in Israele e di impedirne le attività nel Paese. L’ordine non si applicherebbe alla Cisgiordania occupata o a Gaza.

Israele si è spesso scagliato contro Al Jazeera che ha uffici nella Cisgiordania occupata e a Gaza. Nel maggio 2022 l’esercito israeliano ha ucciso la giornalista di Al Jazeera Shirin Abu Akleh mentre stava coprendo un attacco dell’esercito israeliano nella città cisgiordana di Jenin.

Una relazione commissionata dalle Nazioni Unite ha concluso che per ammazzarla le forze israeliane hanno usato “una forza letale senza giustificazioni”, violando il suo “diritto alla vita”.

Durante la guerra a Gaza sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani parecchi giornalisti e loro familiari.

Il 25 ottobre un raid aereo ha ucciso la famiglia di Wael Dahdouh, capo dell’ufficio [di Al Jazeera] a Gaza: moglie, figlio, figlia, nipote e almeno altri otto parenti.

La legge è stata approvata mentre Netanyahu fronteggia enormi proteste contro la sua gestione della guerra a Gaza e il fallimento della sicurezza che non ha scoperto in anticipo l’attacco del 7 ottobre guidato da Hamas nel sud di Israele.

Secondo le autorità israeliane almeno 1.139 persone sono state uccise in quegli attacchi e circa 250 ostaggi sono stati portati a Gaza.

Secondo le autorità palestinesi la guerra israeliana contro Gaza ha ucciso almeno 32.782 persone, in maggioranza donne e bambini.

Domenica decine di migliaia di persone si sono riunite davanti all’edificio del parlamento israeliano a Gerusalemme Est nella più grande manifestazione antigovernativa dall’inizio della guerra.

I manifestanti hanno chiesto al governo di garantire un cessate il fuoco che liberi gli ostaggi detenuti da Hamas e ha invocato elezioni anticipate.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Questi bambini hanno lasciato Gaza ma soffrono ancora di traumi psichici a causa della guerra israeliana

Monjed Jadou

19 marzo 2024 – AlJazeera

Attraverso larte e stringendosi gli uni agli altri 68 bambini sfollati a Betlemme stanno affrontando il loro dolore.

Betlemme, Cisgiordania occupata Un gruppo di bambini di Gaza è impegnato in un laboratorio artistico nel Villaggio di SOS Children [organizzazione internazionale impegnata nel fornire una casa e dei legami familiari a bambini orfani di guerra, ndt.] a Betlemme, a 102 km da Rafah, la città più meridionale della Striscia di Gaza.

I bambini stanno lavorando sulla rappresentazione del viaggio di tre giorni che hanno intrapreso da Rafah a Betlemme, un viaggio tortuoso per coprire una distanza che potrebbe essere percorsa in un’ora.

Come per tutti i palestinesi, i loro spostamenti sono impediti dal governo israeliano, che già in tempi normali limita fortemente la possibilità di movimento dei palestinesi, una situazione aggravata dalla guerra che Israele sta conducendo a Gaza.

Questo mese con il sostegno del governo tedesco sessantotto bambini sono stati evacuati dal Villaggio di SOS Chidren a Rafah e inseriti nella struttura dellorganizzazione benefica a Betlemme, accompagnati dagli 11 operatori che si prendevano cura di loro a Gaza.

Esprimere dolore e paura

Per loro salvaguardia e privacy, i bambini di età compresa tra i due e i 14 anni non possono essere intervistati o fotografati direttamente, ma ad Al Jazeera è stato permesso di osservare le loro attività e interazioni.

Una ragazza era concentrata nel ritagliare la parola Rafahe incollarla in un angolo del suo foglio, scrupolosamente intenta nell’operazione con un’espressione triste, spaventata e accigliata.

Da quel punto percorreva la pagina con un filo di lana di un giallo brillante con cui avvolgeva all’interno di un nodo allentato una faccia arrabbiata, quindi lo lo avvolgeva in ampi cerchi fino a raggiungere “Betlemme”, che aveva incollato nell’angolo opposto.

Per quanto già affiatati grazie al tipo di organizzazione degli SOS Villages sembra che durante il loro lungo viaggio verso Betlemme i bambini si siano ulteriormente avvicinati tra di loro.

Un ragazzo si china per aiutare un bambino più piccolo a capire cosa fare con il suo foglio, spiegando che le diverse faccine sonoperché il bambino esprima cosa avesse provato nei diversi momenti del viaggio e aspetta che il suo amico più giovane le posizioni prima di spiegare l’uso del tubetto della colla.

All’altra estremità della stanza un bambino di cinque anni è rimasto impigliato nella sua giacca a causa delle maniche rovesciate. Una sua amica di 14 anni gliela sfila e lo sistema rinfilandogliela, e appena lui è pronto a partecipare all’attività lo tira a sé per abbracciarlo.

Il dottor Mutaz Lubad, esperto in arte e terapia psicologica, afferma che queste sedute di creazione artistica guidata consentono ai bambini di provare un po’ di sollievo, aprendo loro uno spazio per esprimere ciò che hanno in mente attraverso la loro arte.

I bambini elaborano un insieme spaventoso di emozioni: tristezza nel lasciare la propria casa assieme ai tanti bambini le cui famiglie non hanno dato il consenso allo sfollamento, sollievo per la fuga dalla guerra, paura dei rumori forti dopo aver subito i bombardamenti, una gioia fugace nel raggiungere Betlemme e il sogno di tornare a casa, a Rafah.

“Poiché i bambini spesso trovano difficile esprimere verbalmente ciò che provano lavoriamo per esaminare le loro difficoltà attraverso la loro arte”, ha detto Lubad ad Al Jazeera.

Nelle attività artistiche guidate come questa, in cui a tutti viene chiesto di riprodurre lo stesso soggetto, i bambini possono scegliere i colori, le espressioni delle faccine preferite per i diversi punti del loro viaggio e il grado di tortuosità applicato al percorso del filo di lana incollato per rappresentare i loro tre giorni di viaggio.

Alla domanda sul significato dei nodi allentati che alcuni bambini inseriscono nel percorso del loro viaggio Lubad risponde: I nodi rappresentano momenti in cui i bambini sono stati esposti a situazioni di turbamento o spavento, ma il fatto che abbiano generalmente inserito dei nodi allentati dimostra che si tratta di situazioni che sentono di essere in grado di superare.

Il lavoro di un ragazzo è particolarmente espressivo. Quando gli è stato detto che sarebbe stato trasferito da Rafah ha avuto paura dellignoto, di lasciare la sua stanza e la sua casa. Poi durante il viaggio si è sentito di volta in volta preoccupato e stressato finché, alla fine, si è sentito rincuorato trovandosi al sicuro a Betlemme. Tutto ciò si riflette nelle espressioni delle faccine che ha scelto”.

Proteggere i bambini

L’SOS Village di Rafah è ancora aperto e accoglie bambini le cui famiglie sono morte in guerra o che si sono separate dai loro parenti. Molti bambini sono rimasti nella struttura di Rafah in quanto i loro tutori legali hanno rifiutato il loro sfollamento da Gaza.

Mantenere i contatti – quelli già esistenti – con le famiglie dei bambini è un importante elemento per mantenere i legami con la comunità, ma cercare di scoprire quali parenti siano sopravvissuti e quali morti è stato quasi impossibile, dice ad Al Jazeera Sami Ajur, responsabile del programma presso la Children’s Village Foundation a Gaza.

Aggiunge che nonostante le difficoltà che sta affrontando durante la guerra la fondazione continua il suo lavoro e sottolinea che la struttura di Rafah sta anzi cercando sostegno per espandere le sue attività in modo da poter accogliere un numero maggiore dei bambini che ogni giorno a Gaza rimangono orfani o vengono separati dalle loro famiglie.

Il trauma che a Gaza i bambini stanno vivendo a causa della guerra si manifesta in molti modi, tra cui ansia, incontinenza, incubi e insonnia, afferma Ghada Harazallah, direttrice nazionale dei Villaggi dei Childrens Villages in Palestina, aggiungendo che la loro missione proteggere i bambini non è cambiata.

Al tramonto i bambini di Gaza e quelli che vivono nel villaggio di Betlemme avranno un iftar [cena rituale, ndt.] di gruppo per interrompere il digiuno del Ramadan.

La struttura di SOS Childrens Villages nel mondo incoraggia un rapporto di tipo familiare tra i bambini e tra loro e lo staff adulto. Un membro dello staff viene assegnato come genitorea ciascun gruppo di bambini, che vengono cresciuti in gruppi familiaridove possono formare legami reciproci.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’amore ai tempi del genocidio

Susan Abulhawa

12 marzo 2024 – Al Jazeera

Continuano gli atti di amore e di eroismo in mezzo alla carneficina di Israele a Gaza.

Durante un recente viaggio nel sud di Gaza, per settimane ho raccolto storie di donne ricoverate in ospedale, ognuna delle quali era là per ristabilirsi da quelle che si chiamano “ferite di guerra”. Ma non si tratta di una guerra perché solo una delle parti ha un vero esercito. Solo una delle parti è uno Stato con una completa dotazione militare.

Queste vittime erano madri, donne e bambini, i cui deboli corpi sono stati straziati, lacerati, spezzati e bruciati. Le loro ferite più profonde non sono visibili finché loro non rivelano come hanno vissuto durante gli ultimi cinque mesi.

All’inizio raccontano le cose principali: una bomba ha distrutto la casa, sono state estratte dalle macerie, hanno riportato gravi ferite, membri della famiglia sono stati uccisi e la situazione era terribile. Questo è quanto hanno sempre detto sugli orrori inimmaginabili che hanno vissuto e continuano a vivere.

Ma io cerco i dettagli. Che cosa stavi facendo pochi minuti prima? Quale è stata la prima cosa che hai visto, la prima che hai sentito? Quale era l’odore? Fuori era buio o chiaro?

Le spingo a guardare a fondo nella struttura molecolare di ogni fatto – la sabbia in bocca, la polvere nei polmoni, il peso di qualcosa, il liquido tiepido che scende per la schiena, il dito deformato che si vede ma non si sente, il momento in cui ci si rende conto, l’attesa di essere salvate e la paura che nessuno arrivi, il suono nelle orecchie, gli strani pensieri, ciò che si muove e ciò che non può muoversi, l’attesa della morte e la speranza che sia rapida, il desiderio di vivere.

Nei mesi e settimane da quando uno degli eserciti più potenti del mondo ha preso di mira le loro vite non hanno ancora affrontato, né tantomeno verbalizzato, i dettagli di questo genocidio. Appena si avventurano oltre le linee generali delle proprie storie i loro occhi si incupiscono e a volte incominciano a tremare. Il minimo rumore inatteso le spaventa.

Le lacrime si addensano e potrebbero scendere, ma solo in poche si consentono di piangere. Poche lasciano che gli orrori che hanno in testa oltrepassino le barriere. Non si tratta di qualche forza sovrumana. Proprio il contrario. Sono stordite in modo tale che è come dovessero ancora comprendere l’enormità di ciò che hanno vissuto e continuano a vivere.

Jamila

Una giovane madre, Jamila (non è il vero nome), ha pianto per la prima volta quando ha toccato il corpo senza vita di suo figlio di sei anni nel buio, con le dita accidentalmente affondate nel suo cervello. Lei è una delle poche che hanno pianto, sopraffatta dal ricordo.

La loro famiglia era stata presa di mira da un carro armato, non da un missile. Un drone, secondo lei forse con sensori termosensibili, ha aleggiato fuori dal loro edificio e un bombardamento li ha inseguiti mentre correvano da un lato all’altro del loro appartamento, incapaci di uscire.

Era certa che qualcuno dietro a uno schermo stesse giocando con loro prima di assestare il colpo finale che ha trapassato il bambino e ha ferito suo padre. Poi si è fatto silenzio. I colpi del carro armato sono terminati, “come se fossero arrivati solo per uccidere il mio adorato figlio”, dice.

Non ha pianto allora. Non ha emesso alcun suono. “Mio marito era preoccupato e mi ha detto di piangere, ma io non l’ho fatto. Non so perché”, dice.

Due settimane dopo, dopo essere fuggita da un posto all’altro, un soldato israeliano ha sparato a sua figlia Nour di tre anni mentre la teneva in braccio, frantumandole entrambe le gambe, mentre si nascondevano in preda al terrore dentro un ospedale che pensavano fosse sicuro.

Quando l’ho incontrata la piccola Nour aveva barre di metallo sporgenti dalle sue magre cosce e una lunga cicatrice che correva lungo il polpaccio destro, da dove era uscito il proiettile. I medici l’avevano dimessa alcuni giorni prima, ma le avevano permesso insieme a sua madre Jamila di restare qualche giorno in più fino a che potessero in qualche modo ottenere una tenda da qualche parte.

Il marito di Jamila, a malapena in grado di camminare per le ferite riportate, aveva vissuto in una tenda con un gruppo di uomini, il massimo che può fare è procurarsi un po’ di cibo e di acqua ogni giorno. E’ venuto a trovarle una volta mentre ero là dopo essere riuscito a risparmiare 10 shekel (circa 3 dollari) per il trasporto e per un regalino a sua figlia.

La manifestazione della minima intimità fisica tra innamorati è un fatto privato a Gaza, ma non esiste privacy in un ospedale dove 40 pazienti e chi li assiste dividono una singola stanza, con file di letti appiccicati con solo lo spazio sufficiente a camminare tra l’uno e l’altro.

Jamila era al settimo cielo per aver trascorso un’ora con suo marito dopo un mese che non lo vedeva né sapeva nulla di lui (il suo telefono era stato distrutto nel bombardamento). Ma in seguito mi ha detto che le sarebbe piaciuto abbracciarlo, magari anche baciarlo sulle guance. “Soffre così tanto”, ha detto, reggendo il suo dolore con il proprio e quello di un’intera nazione sulle sue esili spalle.

Nina

Nina (non è il vero nome) ha un sorriso disarmante ed è di un espansivo buon carattere. E’ ansiosa di raccontarmi come ha salvato suo marito dalle grinfie dei soldati israeliani.

Si era sposata da appena un anno quando il bombardamento vicino a casa sua si è intensificato. Le registrazioni diffuse online da alcune di quelle notti sono inimmaginabili. Un esercito di draghi che calpestano e bruciano tutto intorno facendo tremare gli edifici, rompendo i vetri, terrorizzando giovani e vecchi; tuoni e terremoti, mostri che si avventano da sopra e da sotto.

Il marito di Nina, Hamad (anche questo non è il vero nome), prese la decisione di andare via insieme a diversi membri della sua famiglia – i genitori, gli zii, le zie e i loro congiunti e figli – e alcuni loro vicini. In tutto erano circa 75 persone, che andavano di città in città, senza trovare un posto sicuro in cui rimanere per più di pochi giorni ogni volta.

Circa una settimana dopo la partenza Nina ha saputo che la casa della sua famiglia era stata bombardata. In un solo istante, da un bottone schiacciato da un israeliano di una ventina d’anni, 80 membri della sua famiglia sono stati assassinati – padre, fratelli, zie, zii, cugini, nonni, nipoti.

Inizialmente le era stato detto che sua madre era morta, ma per fortuna si è saputo che era sopravvissuta. E’ stata gravemente ferita e ricoverata in ospedale, dove Nina è diventata la sua cara assistente. Ecco come mi è capitato di incontrare questa straordinaria giovane donna.

Nina, suo marito e gli altri del gruppo alla fine si sono fermati temporaneamente a Gaza City, da cui sono andati via lungo i muri di barriera per raggiungere un riparo. Si sono mossi uno alla volta, considerando che se Israele gli avesse sparato non sarebbero morti tutti. Perdere una persona era meglio di 75 in un colpo solo.

Effettivamente una persona fu colpita da un cecchino dopo che quasi la metà di loro ce l’aveva fatta, frazionando il gruppo per un po’ finché nuovamente hanno trovato il coraggio di correre, di nuovo uno per volta. I bambini sono stati divisi tra i genitori. Mezza famiglia uccisa è meglio che una intera. Queste erano le scelte che dovevano fare, non diversamente da La scelta di Sofia (romanzo di William Styron, 1976, ndt.)

Dopo non molto il loro rifugio è stato circondato dai carri armati. Un elicottero “quadrirotore” – una nuova invenzione del terrore israeliana – è volato nelle stanze, cospargendo i muri sopra di loro di pallottole. Tutti gridavano e piangevano, “anche gli uomini”, dice Nina. “Mi ha spezzato il cuore vedere i forti uomini della nostra famiglia tremare di paura in quel modo.”

Infine sono entrati i soldati. “Almeno 80”, dice. Hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini, spogliando i primi di tutto tranne i boxer, in pieno inverno. Le donne e i bambini sono stati ammassati in uno sgabuzzino, gli uomini divisi in due aule. Per tre notti e quattro giorni hanno sentito le grida dei loro mariti, padri e fratelli che venivano picchiati e torturati nelle altre stanze, finché alla fine i soldati hanno ordinato alle donne, in un arabo sgrammaticato, di prendere i loro figli e “andare a sud”.

Tutte le donne hanno obbedito, tranne Nina. “Non mi importava più niente. Ero pronta a morire, ma non sarei partita senza mio marito.” E’ andata di corsa nelle stanze dove venivano tenuti gli uomini, chiamando Hamad. Nessuno ha osato rispondere. Era buio e i soldati la stavano trascinando via. Ha lottato con loro mentre ridevano, probabilmente divertiti dalla sua isteria. La chiamavano “pazza”.

Ha riconosciuto i boxer rossi di suo marito nella seconda stanza ed è corsa da lui, strappandogli la benda dagli occhi, baciandolo, abbracciandolo, promettendo di morire con lui se fosse stato il caso. Alternava le imprecazioni contro i soldati alle preghiere di rilasciare suo marito. Infine gli hanno tagliato i lacci di plastica e lo hanno lasciato andare.

Ma lei non aveva finito. Mentre Hamad si avviava, è tornata dentro per raccogliere i vestiti per lui e per i suoi zii seduti nudi al freddo. Non sarebbero stati rilasciati ancora per settimane. Alcuni di quegli uomini sarebbero stati uccisi.

Lei e Hamad sono scappati insieme. Quando finalmente sono arrivati in un posto sicuro si sono resi conto che la gamba di lui era rotta, i suoi polsi erano tagliati dai lacci di plastica e sulla schiena aveva impressa la stella di Davide.

Tra le urla che Nina aveva sentito nei giorni precedenti vi erano quelle di suo marito, mentre un soldato con un coltello incideva il simbolo ebraico sulla sua schiena.

Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)