Attacchi israeliani all’ospedale Kamal Adwan e a un edificio di Nuseirat nel nord di Gaza

Redazione Al Jazeera

7 dicembre 2024-Al Jazeera

Il bombardamento arriva mentre il sistema sanitario di Gaza sta crollando per i ripetuti attacchi dell’esercito israeliano.

Secondo l’ospedale Al-Awda Israele ha ucciso almeno 26 persone e ne ha ferite più di 60, tra cui bambini e donne, in un attacco aereo su una casa nel campo profughi di Nuseirat nella Striscia di Gaza centrale.

Il raid è avvenuto nelle prime ore della sera di venerdì e “ha danneggiato diverse case vicine”, ha detto all’agenzia di stampa AFP il portavoce dell’agenzia di difesa civile Mahmoud Basal.

L’esercito israeliano ha effettuato diversi attacchi mortali nel corso della giornata mentre assediava l’ospedale Kamal Adwan a Beit Lahiya e l’area circostante nel nord di Gaza.

Uno di questi attacchi, ripreso in un video in una clip autenticata dall’unità di verifica Sanad di Al Jazeera, ha visto le forze israeliane aprire il fuoco su un’ambulanza della Mezzaluna Rossa palestinese.

Attacco a un ospedale

Secondo il dott. Eid Sabbah, direttore dei servizi infermieristici dell’ospedale, venerdì le forze israeliane hanno ucciso circa 30 persone quando hanno preso d’assalto l’ospedale Kamal Adwan sotto la copertura di un pesante fuoco di artiglieria e attacchi aerei.

Sabbah ha affermato che: “Persone che non conoscevamo sono state mandate all’interno dell’ospedale, indossavano uniformi diverse e erano dotate di armi e altoparlanti. Hanno ordinato al [direttore dell’ospedale] dott. Hussam Abu Safia e ai suoi colleghi…di evacuare l’ospedale, compresi pazienti e personale medico. Hanno chiesto loro di evacuare verso i carri armati. Questa operazione ha portato all’uccisione di 30 persone all’interno dell’ospedale, compresi quattro membri dello staff. Sono stati presi di mira e uccisi”.

I resoconti dei testimoni suggeriscono anche che l’esercito israeliano abbia utilizzato droni per colpire i palestinesi all’interno dell’ospedale.

Le strutture mediche, il loro personale e i loro veicoli sono protetti dalla Convenzione di Ginevra.

Intrappolare persone spaventate

Il medico norvegese Mads Gilbert, che ha lavorato a lungo come chirurgo d’urgenza in tutta Gaza, ha detto di credere che l’esercito israeliano stia usando la struttura medica come una “trappola”.

“Questo è successo ripetutamente. Le forze israeliane … attaccano i dintorni, poi quando le persone corrono in ospedale per chiedere aiuto attaccano l'”ospedale”, ha detto Gilbert.

Sembra quindi che l’esercito israeliano stia usando Kamal Adwan come una trappola per catturare o uccidere coloro che vuole”.

Venerdì il Ministero della Salute palestinese a Gaza ha accusato l’esercito israeliano di aver commesso un crimine di guerra a Kamal Adwan. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha detto che le forze israeliane hanno bombardato la struttura apparentemente senza avvisare il suo personale.

Per giustificare le sue azioni Israele afferma che i combattenti di Hamas stanno usando edifici civili, tra cui ospedali e scuole, come copertura operativa durante i 14 mesi di guerra a Gaza.

Hamas lo ha negato e ha accusato Israele di bombardamenti e aggressioni indiscriminate. Il Ministero della Salute palestinese ha affermato che i tre principali ospedali nel nord dell’enclave sono a malapena funzionanti e sono stati sottoposti a ripetuti attacchi da quando a ottobre Israele ha inviato i carri armati a Beit Lahiya e nelle vicine Beit Hanoon e Jabalia.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Morire all'”Inferno”: il destino dei medici palestinesi incarcerati da Israele

Simon Speakman Cordall

24 novembre 2024 – Aljazeera

Secondo recenti rivelazioni uno dei medici più importanti di Gaza potrebbe essere stato violentato a morte. Non è l’unico.

Attenzione: questo articolo include descrizioni o riferimenti a violenze sessuali che alcuni lettori potrebbero trovare inquietanti.

La vita del dottor Adnan Al-Bursh è in netto contrasto con il modo in cui il carismatico 49enne è morto.

A dicembre il primario di ortopedia dell’ospedale al-Shifa di Gaza stava lavorando all’ospedale al-Awda nel nord di Gaza quando lui e altri medici sono stati arrestati dall’esercito israeliano per riferite “ragioni di sicurezza nazionale”.

Secondo quanto dichiarato dall’organizzazione israeliana per i diritti umani HaMoked, quattro mesi dopo le guardie della prigione di Ofer hanno trascinato Al-Bursh e lo hanno scaricato nel cortile della prigione, nudo dalla vita in giù, sanguinante e incapace di stare in piedi.

Avendolo riconosciuto alcuni prigionieri hanno portato Al-Bursh in una stanza vicina, dove è morto pochi istanti dopo.

Entrare in un “Inferno”

Il dott. Al-Bursh era diventato una presenza costante nella vita di molti attraverso i video-diari che postava prima del suo arresto.

I suoi video lo mostravano con i suoi colleghi mentre scavavano fosse comuni nel cortile di al-Shifa per seppellire le persone perché Israele non permetteva che i loro corpi venissero portati in un cimitero, o mentre intervenivano su feriti e moribondi con poca o nessuna attrezzatura e aspettavano insieme l’assalto israeliano contro un ospedale dove migliaia di persone avevano cercato sicurezza.

L’assalto è avvenuto a metà novembre quando, in scene catturate dal dott. Al-Bursh, l’esercito israeliano ha ordinato ai pazienti, al personale e a circa 50.000 sfollati rifugiati ad al Shifa di andarsene.

Il dott. Al-Bursh ha raggiunto l’ospedale indonesiano nel nord di Gaza dove ha lavorato fino a quando anche quello non è stato preso di mira, a novembre, e si è trasferito all’ospedale Al-Awda.

Lì è stato arrestato e condotto in un sistema carcerario che l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem descrive come “Inferno”.

Israele spesso imprigiona operatori sanitari come il dottor Al-Bursh per “indagini” e li mantiene in condizioni orribili.

“La maggior parte dei medici e infermieri [detenuti da Israele e che hanno parlato con PHRI] ha riferito di essere stati sottoposti ad interrogatori al fine di ottenere informazioni ma senza che gli venisse rivolta alcuna accusa”, ha affermato Naji Abbas, direttore del dipartimento dei prigionieri di Physicians for Human Rights Israel [Medici per i diritti umani – Israele].

“Il nostro avvocato ha visitato decine di operatori sanitari che [sono] ancora in detenzione israeliana da lunghi mesi senza accuse o senza un giusto processo e la maggior parte di loro non ha mai visto un avvocato”, ha aggiunto.

Il Ministero della Salute palestinese a Gaza riferisce che dall’inizio della guerra a Gaza nell’ottobre 2023 Israele ha arrestato almeno 310 operatori sanitari palestinesi.

Molti di loro hanno denunciato abusi e trattamenti crudeli, tra cui l’imposizione di posizioni forzate, la privazione di cibo e acqua e la violenza sessuale, compreso lo stupro.

“Gli operatori sanitari con cui abbiamo parlato sono stati trattenuti per un periodo compreso tra sette giorni e cinque mesi”, ha affermato Milena Ansari di Human Rights Watch (HRW), il cui rapporto di agosto sulla detenzione arbitraria e la tortura degli operatori sanitari ha documentato la situazione.

“Molti non vengono nemmeno accusati, vengono solo poste loro domande generiche, come: ‘Chi è il tuo imam?’, ‘In quale moschea vai?’ o anche ‘Sei un membro di Hamas?’, ma senza fornire alcuna prova”, ha detto.

Di male in peggio e poi diventa un “Inferno”

I resoconti diffusi delle torture e dei maltrattamenti sui prigionieri palestinesi nelle prigioni israeliane sono di lunga data.

Tuttavia tutti gli analisti con cui ha parlato Al Jazeera hanno notato due fasi distinte nel drammatico deterioramento delle condizioni e nell’aumento degli abusi: la prima dopo la nomina di Itamar Ben-Gvir a ministro della sicurezza nazionale nel 2022, seguita dall’esplosione di maltrattamenti dei detenuti dopo l’inizio della guerra israeliana a Gaza nell’ottobre 2023.

“Non gli importa se sei di Gaza o di Gerusalemme, se sei un medico o un lavoratore: se sei un palestinese, sei il nemico”, ha affermato Shai Parness dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem.

“È brutale e sistematico”, ha detto di un sistema che il rapporto di agosto di B’Tselem, Welcome To Hell, ha descritto come “una rete di campi di tortura”.

“Non è solo violenza, umiliazione e abuso sessuale, è tutto”, ha detto Ansari.

“I resoconti di violenza fisica e sessuale sono abituali. Tra le persone abusate fisicamente le ferite alla testa, alle spalle e, nel caso degli uomini, tra le gambe e il sedere sono abbastanza comuni”, ha aggiunto Ansari.

Ha descritto nei dettagli il caso di un paramedico che ha riferito a HRW di aver incontrato un altro detenuto che sanguinava dall’ano, il quale ha raccontato come tre guardie israeliane si fossero alternate a violentarlo con i loro fucili M16.

“Ridurre i loro diritti”

A luglio, nel rispondere alle accuse di sovraffollamento da parte dello Shin Bet, l’agenzia di sicurezza interna di Israele, Ben-Gvir si è vantato delle condizioni abominevoli nei suoi sistemi carcerari, scrivendo su X: “Da quando ho assunto la carica di ministro della sicurezza nazionale, uno degli obiettivi più importanti che mi sono prefissato è quello di peggiorare le condizioni dei terroristi nelle prigioni e di ridurre i loro diritti al minimo richiesto dalla legge”.

All’inizio della stessa settimana ha pubblicato un video in cui affermava: “Si dovrebbe sparare ai prigionieri invece di dar loro da mangiare”.

“Era terribile, è sempre stato terribile”, ha detto Abbas ad Al Jazeera, “Ma le cose sono diventate molto pesanti dopo la nomina di Ben-Gvir. Da ottobre è come un altro mondo. È diventato orripilante.

“Prima della guerra c’erano centinaia di prigionieri palestinesi con malattie croniche. Ora in prigione ci sono migliaia di persone in più, il che significa molte più persone con condizioni croniche che non vengono curate”.

A luglio, in seguito all’arresto di soldati israeliani accusati di torture sistematiche e stupri presso il centro di detenzione di Sde Teiman, manifestanti israeliani, tra cui politici eletti, hanno preso d’assalto Sde Teiman e la vicina base di Beit Lid chiedendo il rilascio dei soldati arrestati.

In seguito Ben Gvir ha scritto al primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu condannando l’arresto dei soldati per stupro e tortura in quanto “vergognoso” e dicendo delle condizioni nel suo sistema carcerario: “I campi estivi e la pazienza per i terroristi sono finiti”.

Secondo una dichiarazione rilasciata dall’esercito israeliano alla Sky News del Regno Unito, il dottor Al-Bursh è stato portato da Al-Awda a Sde Teiman.

Un altro detenuto, il dottor Khalid Hamouda, ha valutato che più o meno un quarto dei circa 100 prigionieri di Sde Teiman erano operatori sanitari.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele: cosa c’è da sapere

Mat Nashed

26 novembre 2024 – Al Jazeera

È iniziato il cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele, ma quali sono i dettagli? Reggerà?

Beirut, Libano – Il Libano ha approvato un accordo sul cessate il fuoco con Israele, in rappresentanza di tutte le fazioni del popolo libanese, incluso Hezbollah.

Il governo israeliano ha approvato il cessate il fuoco martedì notte e le ostilità sono cessate alle 4 del mattino di mercoledì.

L’accordo mette fine a più di un anno di violenza, iniziata quando Hezbollah ha cominciato a lanciare attacchi contro Israele l’8 ottobre 2023, dichiarando che avrebbe continuato fino a quando Israele non avesse messo fine alla sua guerra contro la gente di Gaza.

Da ottobre 2023 in Libano Israele ha costretto alla fuga 1,2 milioni di persone e ne ha uccise 3.768, per la maggior parte negli ultimi due mesi.

Hezbollah – insieme ai suoi rivali e alleati libanesi – è favorevole a mettere fine alla guerra, ma quali sono i termini del cessate il fuoco? A che punto è al momento? Durerà?

Ecco cosa sappiamo:

Il cessate il fuoco è cominciato?

Adesso che tutte le parti lo hanno sottoscritto, il cessato il fuoco è considerato in vigore.

Le ostilità sono cessate alle 4 del mattino, sei ore prima che il Libano accettasse formalmente l’accordo.

Che cosa comporta il cessate il fuoco?

Le truppe israeliane si dovrebbero ritirare dal Libano meridionale e Hezbollah dovrebbe arretrare a nord del fiume Litani, mettendo fine alla propria presenza nel sud [del Libano].

Queste operazioni richiederebbero 60 giorni e l’esercito libanese, il quale è stato perlopiù uno spettatore nell’attuale guerra, si schiererebbe a sud per vigilare sul cessate il fuoco.

La sua implementazione dovrebbe essere supervisionata anche da una task force internazionale, guidata dagli Stati Uniti e comprendente forze di pace francesi.

L’esercito libanese sarà chiamato a espandere il proprio ruolo in Libano, soprattutto nel sud, dove diventerebbe l’unico corpo armato e assumerebbe il controllo di tutte le attività legate alle armi nel paese.

E le persone che hanno dovuto lasciare le loro case?

I civili libanesi e israeliani dovrebbero poter fare gradualmente ritorno alle proprie abitazioni.

La distruzione nel sud del Libano è tuttavia così vasta che è difficile dire quante persone proveranno a farvi ritorno.

Dal lato israeliano i residenti del nord potrebbero tornare o meno, poiché si prevede che molti non avranno fiducia nel cessate il fuoco.

Il cessate il fuoco durerà?

Beh, almeno per alcuni anni, dicono gli esperti.

“In assenza di un accordo politico complessivo che coinvolga anche l’Iran, il cessate il fuoco rischia di essere una misura temporanea” ha detto ad Al Jazeera Imad Salamey, professore di scienze politiche all’Università americana libanese.

“Anche a queste condizioni, il cessate il fuoco probabilmente permetterà diversi anni di pace relativa”, ha aggiunto.

Altri analisti sono meno ottimisti, in particolare Alon Pinkas, editorialista di Haaretz, il quale dice ad Al Jazeera che l’accordo – sulla base delle informazioni comunicate – sembra molto fragile e impossibile da attuare, in particolare per quanto riguarda l’ampliamento del ruolo dell’esercito libanese.

Le due parti sono soddisfatte dei termini?

Israele ha richiesto il diritto di colpire il Libano per “far rispettare” i termini del cessate il fuoco se l’esercito libanese e la task force internazionale non riusciranno a tenere Hezbollah fuori dalla zona lungo il confine.

Secondo gli esperti, accettare la richiesta israeliana significherebbe dare a Israele una “autorizzazione” internazionale a violare regolarmente la sovranità libanese ogni volta che lo ritenga opportuno.

“Forse stiamo entrandoin una nuova fase… la sirianizzazione (del Libano)”, ha detto Karim Émile Bitar, esperto di Libano e professore associato di relazioni internazionali all’Università Saint Joseph di Beirut.

Il Libano si è a lungo opposto all’idea che Israele possa avere il diritto di colpire il suo territorio a proprio piacimento, sostenendo che ciò costituirebbe una violazione della propria sovranità.

Non è chiaro se questa clausola sarà inclusa nel cessate il fuoco o se farà parte di un accordo separato tra Stati Uniti e Israele.

E il giorno dopo?

Israele ha distrutto circa 37 villaggi e raso al suolo Nabatieh e Tiro, i quartieri principali di Beirut.

La maggior parte degli sfollati sono musulmani sciiti – gruppo demografico dal quale Hezbollah trae la maggior parte del proprio sostegno – che non potranno tornare ai loro villaggi nell’immediato futuro.

Il protrarsi di questo sfollamento senza precedenti potrebbe logorare le relazioni con le comunità di diverso orientamento religioso che li ospitano.

Le comunità confessionali del Libano hanno sofferto gravi violenze nel corso della guerra civile libanese, dal 1975 al 1990. Quella violenza ha portato a sfollamenti di massa e alla segregazione geografica delle principali comunità confessionali del Libano.

Queste comunità saranno adesso costrette a vivere l’una con l’altra senza particolare aiuto da parte del governo provvisorio, che risente di una acuta crisi economica.

Quale sarà il futuro di Hezbollah?

La presenza della task force internazionale e l’opposizione interna al ruolo militarizzato di Hezbollah rendono difficile per il gruppo recuperare la forza che ha avuto, secondo Salamey.

“Hezbollah potrebbe essere costretto a rivolgere la propria attenzione verso l’interno, nel tentativo di consolidare la propria importanza dentro lo Stato libanese, invece di dedicarsi a operazioni militari esterne, assumendo così un ruolo nel plasmare il futuro paesaggio politico del Libano”, ha dichiarato ad Al Jazeera.

(traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)




Un ministro israeliano di estrema destra sta ordinando preparativi per l’annessione della Cisgiordania

Redazione di Al Jazeera

11 novembre 2024 – Al Jazeera

Smotrich, il ministro israeliano delle Finanze, spera che il neoeletto presidente USA Trump sosterrà il piano per annettere la Cisgiordania occupata nel 2025.

Bezalel Smotrich, ministro israeliano delle Finanze di estrema destra, ha ordinato preparativi per l’annessione della Cisgiordania occupata prima dell’insediamento del neoeletto presidente USA Donald Trump nel gennaio 2025.

Lunedì in una dichiarazione Smotrich ha espresso la sua speranza che la nuova amministrazione a Washington riconoscerà l’iniziativa di Israele per rivendicare la “sovranità” sul territorio occupato.

Oltre al suo incarico alle finanze Smotrich, lui stesso un abitante di una colonia israeliana illegale, detiene anche una posizione nel Ministero della Difesa da cui sovrintende l’amministrazione della Cisgiordania occupata e delle sue colonie.

2025: l’anno della sovranità su Giudea e Samaria,” ha scritto Smotrich su X, usando i nomi biblici con cui Israele si riferisce alla Cisgiordania occupata.

Lunedì, in un incontro della sua fazione di estrema destra nel parlamento israeliano o Knesset, Smotrich ha accolto con favore l’elezione di Trump e la sua vittoria contro Kamala Harris e ha detto di aver dato istruzioni alla Direzione delle colonie e dell’Amministrazione Civile del Ministero della Difesa di gettare le basi per l’annessione.

Ho ordinato l’inizio del lavoro da parte di professionisti per preparare le infrastrutture necessarie per esercitare la sovranità israeliana su Giudea e Samaria,” ha detto, “non ho dubbi che il presidente Trump, che ha mostrato coraggio e determinazione nelle sue decisioni durante il suo primo mandato, sosterrà lo Stato di Israele in questa decisione,” ha aggiunto.

Smotrich ha detto che nella coalizione al governo in Israele ci sono un ampio accordo su questa iniziativa e un’opposizione alla formazione di uno Stato palestinese.

L’unico modo di rimuovere questo pericolo dal programma è di esercitare la sovranità israeliana sulle colonie in Giudea e Samaria,” ha dichiarato.

Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha detto che le considerazioni di Smotrich confermano le intenzioni del governo d’Israele di annettere la Cisgiordania occupata in violazione del diritto internazionale.

Noi riteniamo le autorità israeliane di occupazione completamente responsabili delle ripercussioni di tali pericolose politiche. Gli Stati Uniti sono anche responsabili del continuo sostegno offerto all’aggressione israeliana”, ha detto.

Gideon Saar, ministro degli Esteri israeliano, ha detto che mentre i leader del movimento dei coloni possono essere fiduciosi che Trump potrebbe essere incline a sostenere tali decisioni il governo non ha preso alcuna decisione.

Nessuna decisione è stata presa a proposito,” ha detto Saar lunedì nel corso di una conferenza stampa a Gerusalemme.

L’ultima volta in cui abbiamo discusso il tema è stato durante il primo mandato di Trump,” ha detto. “E quindi diciamo che se sarà pertinente verrà ridiscusso anche con i nostri amici a Washington.”

La Cisgiordania è occupata dal 1967 e da allora le colonie israeliane si sono ampliate nonostante siano illegali ai sensi del diritto internazionale e, nel caso degli avamposti, della legge israeliana.

Smotrich aveva già dichiarato la sua intenzione di estendere la sovranità israeliana sui territori occupati ostacolando la nascita di uno Stato palestinese.

Ha anche minacciato di destabilizzare la coalizione di Benjamin Netanyahu se si negoziasse un cessate il fuoco con Hezbollah sul fronte settentrionale di Israele.

Quando [Smotrich] parla di rafforzare la sovranità israeliana sta parlando dell’annessione della Cisgiordania che fa parte del programma governativo israeliano,” ha detto Nour Odeh di Al Jazeera, che scrive da Amman, Giordania perché ad Al Jazeera è stato proibito di operare da Israele.

Odeh fa osservare che Netanyahu ha anche aggiunto al suo gabinetto un ministro senza portafoglio del partito di Smotrich.

Quando Smotrich parla di annessioni molti osservatori dicono che dobbiamo credergli,” aggiunge.

Durante il suo primo mandato nel 2017 Trump ha riconosciuto Gerusalemme quale capitale di Israele ribaltando decenni di politiche USA e di consenso internazionale. Ha anche sostenuto politiche che hanno consentito la continua espansione delle colonie e proposto un piano per una “entità palestinese” che non avrebbe piena sovranità.

All’inizio dell’anno l’Amministrazione Civile dell’esercito israeliano ha ceduto un maggiore controllo sulla Cisgiordania occupata all’Amministrazione delle colonie guidata da Smotrich, conferendole competenze in ambiti che vanno dai regolamenti sugli edifici alla gestione di terreni agricoli, parchi e foreste.

Da quando è entrato nella coalizione governativa di Netanyahu Smotrich ha apertamente sostenuto l’espansione delle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata quale passo verso un’eventuale annessione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




No, per la Palestina e il Medio Oriente Trump non sarà peggio di Biden

Muhannad Ayyash – Professore di sociologia alla Mount Royal University di Calgary, Canada.

11 novembre 2024 – Al Jazeera

Perché l’amministrazione Biden ha semplicemente continuato la politica estera della prima amministrazione Trump nella regione.

All’indomani della vittoria elettorale dell’ex-presidente degli Stati Uniti Donald Trump, molti osservatori hanno previsto che la sua amministrazione sarebbe stata di gran lunga peggiore per la Palestina e il Medio Oriente. La sua retorica filo-israeliana e le sue minacce di bombardare l’Iran, dicono, sono indicative delle sue intenzioni in politica estera.

Ma un più attento esame della politica estera statunitense negli ultimi otto anni rivela che non cambierà niente di sostanziale per il popolo palestinese e per la regione nel suo insieme. L’amministrazione del presidente Joe Biden infatti ha di fatto continuato le politiche della prima presidenza Trump senza significativi cambiamenti. Certo, ci potrebbero essere sorprese e sviluppi imprevisti, ma la seconda amministrazione Trump continuerà nella stessa direzione che ha stabilito già nel 2017 e che Biden ha deciso di mantenere nel 2021.

Questa politica estera ha tre elementi principali. Il primo è la decisione di abbandonare ogni residua finzione circa il sostegno statunitense a favore di una “soluzione a due Stati”, in virtù della quale la Palestina godrebbe di piena autodeterminazione e sovranità all’interno dei confini del 1967 e avrebbe Gerusalemme Est come capitale.

La prima amministrazione Trump ha chiarito questo punto spostando l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, accettando l’annessione israeliana di territori palestinesi, incentivando l’espansione degli insediamenti coloniali illegali e sostenendo la creazione di una “entità palestinese” priva di sovranità.

Quello che l’amministrazione Trump ha offerto ai palestinesi è un po’ di sostegno economico in cambio della rinuncia ai loro diritti politici e aspirazioni di autodeterminazione.

Mentre l’amministrazione Biden ha sostenuto a parole la “soluzione a due Stati”, essa non ha fatto niente per promuoverne la realizzazione. Anzi, essa ha continuato le politiche avviate dall’amministrazione Trump che pregiudicano tale soluzione.

Biden non ha chiuso l’ambasciata statunitense a Gerusalemme e non ha fatto nulla per fermare l’espansione delle colonie o per contrastare gli sforzi israeliani tesi all’annessione di ampie porzioni della Cisgiordania occupata. Sebbene siano state applicate alcune sanzioni a coloni israeliani come singoli individui, si è trattato in gran parte di una mossa simbolica che non ha ostacolato il progredire degli insediamenti coloniali o l’espulsione dei palestinesi dalle loro case e dalle loro terre.

Inoltre l’amministrazione Biden ha accettato l’idea che qualsivoglia futuro Stato palestinese non avrà pieni diritti di autodeterminazione e sovranità.

Lo possiamo asserire perché l’amministrazione Biden sostiene che si può arrivare a uno Stato palestinese soltanto “attraverso negoziati diretti tra le parti”. Ma poiché Israele ha fatto capire sia a livello politico che legislativo che non accetterà mai uno Stato palestinese, la posizione dell’amministrazione Biden significa di fatto il rifiuto dell’autodeterminazione e della sovranità palestinesi.

Il secondo elemento della politica estera Trump-Biden è l’avanzamento della normalizzazione dei rapporti tra mondo arabo e Israele attraverso gli Accordi di Abramo. La prima amministrazione Trump ha avviato questo percorso con accordi di normalizzazione tra Israele e Marocco, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. L’amministrazione Biden ha seguito con decisione questo percorso, profondendosi in sforzi considerevoli per normalizzare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita. Non fosse per il genocidio in corso da un anno, ormai questo accordo di normalizzazione sarebbe già stato ottenuto.

Il percorso degli Accordi di Abramo comporta essenzialmente che gli Stati arabi riconoscano la piena sovranità di Israele sulla Palestina storica, mettendo fine alle rivendicazioni di restituzione e giustizia per il popolo palestinese. Esso negherebbe ai palestinesi il diritto al ritorno e abolirebbe lo status di rifugiato per i profughi palestinesi. Esso inoltre garantirebbe legittimazione e riconoscimento da parte del mondo arabo a un’entità palestinese creata su un territorio compreso tra il 5 e l’8 per cento della Palestina storica, dotata di limitata autonomia amministrativa e priva di ogni diritto all’autodeterminazione.

Il terzo elemento della politica Trump-Biden è il contenimento dell’Iran. L’amministrazione Trump ha notoriamente cancellato il Piano d’azione congiunto globale (JCPOA), che garantiva l’attenuazione delle sanzioni in cambio di limiti al programma nucleare iraniano. Essa ha inoltre imposto all’Iran sanzioni più severe e ha tentato di isolarlo politicamente ed economicamente. L’amministrazione Biden non ha ripristinato il JCPOA e ha mantenuto le stesse sanzioni contro l’Iran.

Per di più essa ha anche continuato a promuovere la strategia di Trump per l’instaurazione di un nuovo assetto economico e di sicurezza nella regione tra Israele e Stati arabi, tale da garantire gli interessi degli Stati Uniti e isolare l’Iran.

Se dovesse concretizzarsi, questo patto rafforzerebbe la capacità degli Stati Uniti di proiettare la propria potenza militare, garantirebbe loro l’accesso a risorse energetiche e rotte commerciali di primaria importanza e indebolirebbe la resistenza all’imperialismo statunitense, cosicché gli Stati Uniti si troverebbero in una posizione migliore per affrontare non solo l’Iran ma anche la Cina e altri avversari.

Così, in sintesi, nonostante le vuote dichiarazioni e il preteso impegno per i diritti umani, l’amministrazione Biden non ha fatto nulla di diverso dal suo predecessore. Entrambe le amministrazioni hanno lavorato negli ultimi otto anni per mettere fine alla lotta palestinese per l’autodeterminazione e la piena sovranità e creare un Medio Oriente in cui Israele gioca un ruolo economico e militare ancora più preminente nella difesa degli interessi imperiali statunitensi.

L’amministrazione Biden si è spinta ancora più in là, permettendo a Israele di trasformare il suo genocidio da lento in accelerato, laddove i palestinesi sono sterminati in numeri inimmaginabili e ampie porzioni di Gaza spopolate.

Sulla base dei proclami durante la campagna elettorale di Trump durante la campagna elettorale e dei consiglieri, finanziatori e sostenitori di cui si è circondato, ci sono tutte le ragioni per credere che la sua seconda amministrazione continuerà a spingersi in avanti lungo questo percorso bipartisan per eliminare la “Questione palestinese” una volta per tutte.

Possiamo aspettarci di vedere più sostegno incondizionato a Israele mentre annette ufficialmente la maggior parte della Cisgiordania, la colonizzazione israeliana permanente di parti della Striscia di Gaza, l’espulsione di masse di palestinesi con la scusa di perseguire “pace, sicurezza e prosperità” e l’avanzamento dell’integrazione economica e securitaria di Israele nella regione per indebolire l’Iran e i suoi alleati, Cina inclusa.

Coloro che intralciano questo piano sono il popolo palestinese con le sue aspirazioni nazionali di libertà ed emancipazione e autonomia così come altre nazioni nel mondo arabo che sono stanche di guerra, violenza politica, repressione e impoverimento.

L’amministrazione Trump tenterà di occuparsi di questa resistenza comprandola con incentivi economici e minacce di violenza e repressione. Ma questo approccio avrà – come ha sempre avuto – un impatto limitato.

La resistenza a questi piani continuerà perché i palestinesi e altri nella regione capiscono che rinunciare al proprio diritto alla giustizia significa rinunciare alla propria stessa identità di essere umano libero e provvisto di dignità. E le persone preferirebbero subire le minacce dell’impero piuttosto che rinunciare alla propria umanità.

Ciò significa che in ultima istanza non solo la resistenza continuerà, ma probabilmente crescerà e si intensificherà, portando il mondo più vicino a un periodo di grandi guerre – l’esatto opposto di ciò per cui gli americani hanno votato alle elezioni del 5 novembre.

I palestinesi, insieme ad altre nazioni nella regione e, in una certa misura, agli americani comuni, soffriranno le conseguenze di una politica estera bipartitica che ha messo gli Stati Uniti sulla via fondamentalmente essenzialmente distruttiva del genocidio e della guerra.

Le posizioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

(traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)




In che modo la carestia di Gaza provocata da Israele si ripercuote sul resto dei palestinesi

Samah Jabr

Responsabile dell’Unità di Salute Mentale presso il Ministero della Salute palestinese

2 novembre 2024Al Jazeera

Come professionista della salute mentale riscontro sempre più spesso tra i palestinesi disturbi alimentari causati da traumi socio-politici.

La guerra israeliana a Gaza ha preso forma attraverso una molteplicità di atroci manifestazioni di cui la più perfida e devastante è l’uso della fame come arma. Il 9 ottobre 2023 il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato che “non sarà consentito l’ingresso a Gaza di elettricità, né cibo, né carburante”. La giustificazione era che Israele “sta combattendo contro gli animali umani”.

Due settimane dopo il membro della Knesset Tally Gotliv ha dichiarato: “Senza fame e sete tra la popolazione di Gaza… non saremo in grado di corrompere le persone con cibo, bevande, medicine per ottenere informazioni”.

Nei mesi successivi Israele non solo ha ostacolato la consegna degli aiuti ai palestinesi a Gaza ma ha anche preso di mira e distrutto infrastrutture per la produzione alimentare, tra cui campi coltivati, panifici, mulini e negozi di alimentari.

Questa strategia deliberata, volta a sottomettere e spezzare lo spirito del popolo palestinese, ha causato innumerevoli vittime a Gaza, molte delle quali neonati e bambini piccoli. Ma ha avuto anche profonde conseguenze per il resto dei palestinesi.

Come professionista della salute mentale ho assistito in prima persona al tributo psicologico e fisico che questa punizione collettiva ha avuto sugli individui nella Gerusalemme Est occupata e nella Cisgiordania occupata. Ho osservato come i giovani palestinesi stiano sviluppando rapporti complicati col cibo, i loro corpi e la loro identità sociale e nazionale in risposta agli orrori di cui sono testimoni e di cui sentono parlare ogni giorno.

La guarigione richiederebbe un intervento molto più complesso, che tenga conto non solo del trauma individuale ma anche di quello politico e storico dell’intera società.

Matrice politica e sociale del trauma

Per comprendere l’effetto dell’arma della fame è essenziale considerare il più ampio quadro sociale e psicologico in cui si verifica. Ignacio Martín-Baró, una figura di spicco nella psicologia della liberazione, ha postulato che il trauma sia un evento sociale. Ciò significa che il trauma non è semplicemente un’esperienza individuale, ma è radicato ed esacerbato dalle condizioni e dalle strutture sociali che circondano l’individuo.

A Gaza l’insieme di elementi traumatogeni comprende l’assedio in corso, l’aggressione genocida e la deliberata privazione di risorse essenziali come cibo, acqua e medicine. Il trauma che ne deriva è aggravato dalla memoria collettiva della sofferenza durante la Nakba (la pulizia etnica di massa dei palestinesi nel 1947-8), dagli spostamenti continui e dall’oppressione sistemica dell’occupazione. In questo ambiente il trauma non è solo un’esperienza personale ma una realtà collettiva, socialmente e politicamente radicata.

Sebbene i palestinesi fuori Gaza non stiano sperimentando direttamente la violenza genocida scatenata lì da Israele, sono esposti quotidianamente a immagini e storie strazianti su di essa. E’ soprattutto traumatizzante assistere all’imposizione incessante e sistematica della fame sugli abitanti di Gaza.

Nel giro di poche settimane dalla dichiarazione di Gallant, a Gaza ha iniziato a farsi sentire la carenza di cibo. A gennaio i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti alle stelle, soprattutto nella parte settentrionale di Gaza, dove un collega mi ha detto di aver pagato 186 euro per una zucca. Più o meno in questo periodo hanno iniziato ad essere diffuse notizie su palestinesi costretti a mescolare foraggio per animali alla farina per fare il pane. A febbraio le prime immagini di neonati e bambini palestinesi morti di malnutrizione hanno inondato i social media.

A marzo l’UNICEF segnalava che nel nord di Gaza 1 bambino su 3 sotto i 2 anni era gravemente malnutrito. Ad aprile Oxfam stimava che l’assunzione media di cibo per i palestinesi nel nord di Gaza non superasse le 245 calorie al giorno, ovvero solo il 12% del fabbisogno giornaliero. Più o meno nello stesso periodo il Ministero della Salute palestinese ha annunciato che 32 palestinesi, tra cui 28 bambini, erano stati uccisi dalla fame, sebbene il numero reale di morti fosse probabilmente molto più alto.

Sono circolate anche storie di palestinesi uccisi a colpi di arma da fuoco mentre erano in attesa della distribuzione degli aiuti alimentari o annegati in mare mentre cercavano di raggiungere [le casse di] cibo paracadutato da parte di governi che sostengono la guerra israeliana contro Gaza.

In una lettera pubblicata il 22 aprile sulla rivista medica The Lancet il dottor Abdullah al-Jamal, l’unico psichiatra rimasto nel nord di Gaza, ha scritto che l’assistenza sanitaria riguardante la salute mentale era stata completamente devastata. Ha aggiunto: “I problemi più grandi ora a Gaza, specialmente nel nord, sono la carestia e la mancanza di sicurezza. La polizia non è in grado di operare perché viene immediatamente presa di mira da droni spia e aerei mentre tenta di ristabilire l’ordine. Bande armate che collaborano in qualche modo con le forze israeliane controllano la distribuzione e i prezzi di prodotti alimentari e farmaceutici che entrano a Gaza come aiuti, compresi quelli lanciati con i paracadute. Alcuni prodotti alimentari, come la farina, hanno raddoppiato il loro prezzo molte volte, il che esacerba la crisi della popolazione”.

Casi clinici di trauma da fame

La carestia imposta da Israele a Gaza ha avuto sulle comunità palestinesi effetti a catena psicologici e fisici. Nella mia pratica clinica ho incontrato diversi casi nella Gerusalemme Est occupata e nella Cisgiordania occupata che illustrano come il trauma della fame a Gaza si rifletta sulle vite dei giovani palestinesi lontani dalla zona di conflitto. Eccone alcuni.

Ali, un diciassettenne della Cisgiordania, ha sperimentato cambiamenti nel comportamento alimentare e ha perso 8 kg in due mesi dopo l’arresto di un suo amico da parte delle forze israeliane. Nonostante la significativa perdita di peso, ha negato di sentirsi triste, insistendo sul fatto che “la prigione rende uomini”. Tuttavia, riusciva ad esprimere più apertamente la sua rabbia per le condizioni a Gaza e le interruzioni dei ritmi del suo sonno suggerivano un profondo impatto psicologico. “Non riesco a smettere di guardare i bombardamenti e la carestia a Gaza, mi sento così impotente”. La perdita di appetito di Ali è una manifestazione dell’interiorizzazione della sua rabbia e del suo dolore, come riflesso del più ampio trauma sociale che lo ha avvolto.

Salma, di soli 11 anni, ha accumulato nella sua camera da letto scatolette di cibo, bottiglie d’acqua e fagioli secchi. Ha detto che si sta “preparando al genocidio” in Cisgiordania. Il padre di Salma ha riferito che quando porta a casa cibi costosi come carne o frutta lei diventa “isterica”. La graduale diminuzione dell’assunzione di cibo e il rifiuto di mangiare, che si sono esacerbati durante il mese del Ramadan, rivelano un profondo senso di ansia e colpa per la fame dei bambini a Gaza. Il caso di Salma illustra come il trauma della fame, anche se sperimentato indirettamente, possa alterare profondamente il rapporto di un bambino con il cibo e il suo senso di sicurezza nel mondo.

Layla, una ragazza di 13 anni, si presenta con una strana incapacità di mangiare e la descrive come una sensazione che “qualcosa nella mia gola mi impedisce di mangiare; c’è una spina che mi blocca la gola”. Nonostante approfonditi esami clinici non è stata trovata alcuna causa fisica. Nel corso di ulteriori colloqui è emerso che il padre di Layla è stato arrestato dalle forze israeliane e da allora non ha più saputo nulla di lui. L’incapacità di Layla di mangiare è una risposta psicosomatica al trauma della prigionia di suo padre e alla sua consapevolezza della fame, della tortura e della violenza sessuale inflitte ai prigionieri politici palestinesi. È stata anche profondamente colpita dai resoconti sulla fame e violenza a Gaza e sente la relazione tra la sofferenza a Gaza e il destino incerto di suo padre; il che ha amplificato i suoi sintomi psicosomatici.

Riham, una ragazza di 15 anni, ha sviluppato vomito involontario ripetuto e un profondo disgusto per il cibo, in particolare la carne. La sua famiglia ha una storia di obesità e gastrectomia, ma lei ha negato qualsiasi preoccupazione per l’immagine corporea. Attribuisce il suo vomito alle immagini di sangue e smembramento di persone a Gaza. Nel tempo, la sua avversione si è estesa ai cibi a base di farina, spinta dalla paura che potessero essere mescolati con foraggio per animali. Sebbene sia consapevole che questo non accade dove si trova, quando cerca di mangiare il suo stomaco rifiuta il cibo.

Un invito all’azione

Le storie di Ali, Salma, Layla e Riham non sono casi classici di disturbi alimentari. Li raggrupperei come casi di disordine alimentare dovuto a un trauma politico e sociale senza precedenti nel contesto di Gaza e del territorio palestinese nel suo complesso.

Questi bambini non sono solo pazienti con problemi psicologici eccezionali. Soffrono gli effetti di un ambiente traumatogeno creato dalla violenza coloniale in corso, dall’uso della fame come arma e dalle condotte politiche che perpetuano queste condizioni.

In quanto professionisti della salute mentale è nostra responsabilità non solo curare i sintomi presentati da questi pazienti ma anche affrontare le radici politiche del loro trauma. Ciò richiede un approccio olistico che tenga conto del contesto sociopolitico più ampio in cui vivono questi individui.

Il supporto psicosociale dovrebbe dare forza ai sopravvissuti, ripristinare la dignità e soddisfare i bisogni di base, in modo che comprendano l’interazione tra condizioni oppressive e la loro vulnerabilità e sentano di non essere soli. Gli interventi basati sulla comunità dovrebbero essere eseguiti promuovendo spazi sicuri in cui le persone possano elaborare le proprie emozioni, impegnarsi in narrazioni collettive e ricostruire un senso di controllo.

I professionisti della salute mentale in Palestina devono adottare un quadro di psicologia della liberazione, integrando il lavoro terapeutico con il supporto della comunità, la difesa pubblica e gli interventi strutturali. Questo comprende affrontare le ingiustizie, contrastare le narrazioni che normalizzano la violenza e partecipare agli sforzi per porre fine all’assedio e all’occupazione. La difesa da parte dei professionisti della salute mentale fornisce ai pazienti un riconoscimento, riduce l’isolamento e promuove la speranza attraverso la dimostrazione di solidarietà.

Solo attraverso un tale approccio onnicomprensivo possiamo sperare di guarire le ferite degli individui e della comunità.

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autrice e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.

Samah Jabr

Responsabile dell’Unità di Salute Mentale presso il Ministero della Salute Palestinese

La dott.ssa Samah Jabr è una specialista in psichiatria che esercita in Palestina, dove si occupa delle comunità di Gerusalemme Est e della Cisgiordania. Attualmente è responsabile dell’Unità di Salute Mentale presso il Ministero della Salute Palestinese. È professoressa associata di Psichiatria e Scienze Comportamentali presso la George Washington University di Washington DC. La dott.ssa Jabr è una formatrice e supervisora con un’attenzione particolare alla Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT), collabora con la mhGAP [La Mental Health Gap Action Programme guideline dell’OMS che offre indicazioni, raccomandazioni e aggiornamenti per il trattamento di disturbi mentali, neurologici e abuso di sostanze, ndt.] e con il Protocollo di Istanbul per la documentazione della tortura.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




“Inaccettabile”: Israele spara sulla missione di pace ONU in Libano, il mondo reagisce

Redazione

10 ottobre 2024 – Al Jazeera

La forza di interposizione in Libano dice che l’attacco contro i caschi blu è stato un atto “deliberato” dell’esercito israeliano.

Le forze armate israeliane hanno fatto fuoco contro il quartier generale UNIFIL nel Libano meridionale, ferendo due caschi blu indonesiani.

UNIFIL – la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite – ha dichiarato giovedì che due caschi blu sono rimasti feriti quando un carro armato israeliano ha aperto il fuoco contro una torre di osservazione del quartier generale della missione nella città di confine di Naqoura, provocandone la caduta.

Qualsiasi attacco contro le forze di pace è una “grave violazione del diritto umanitario internazionale”, ha dichiarato l’UNIFIL in un comunicato.

La missione di pace, che conta 10.000 unità da 50 paesi ed è stata fondata nel 1978, ha dichiarato che le forze israeliane hanno “deliberatamente” fatto fuoco contro le sue postazioni lungo il confine.

Ecco alcune reazioni all’attacco:

Nazioni Unite

Jean-Pierre Lacroix, sottosegretario generale dell’ONU per le missioni di pace, ha detto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che “la protezione e la sicurezza” delle forze di pace in Libano sono “sempre più a rischio”.

Ha detto che le attività operative sono pressoché ferme dal 23 settembre, data in cui Israele ha lanciato un’ondata di attacchi contro le roccaforti di Hezbollah in Libano.

“Le forze di pace sono rinchiuse all’interno delle loro basi, dove passano considerevoli periodi di tempo nei rifugi”, ha detto, aggiungendo che l’UNIFIL è pronto a collaborare a ogni sforzo per giungere a una soluzione diplomatica.

“L’UNIFIL ha il compito di sostenere l’attuazione della risoluzione 1701, ma dobbiamo sottolineare che spetta alle parti stesse provvedere all’attuazione delle disposizioni di questa risoluzione”, ha dichiarato durante una riunione di emergenza dei 15 membri del Consiglio.

La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite assegna all’UNIFIL il compito di aiutare l’esercito libanese a mantenere il confine meridionale con Israele libero da armi e personale armato all’infuori di quello dello Stato libanese.

Il portavoce UNIFIL Andrea Tenenti ha detto ad Al Jazeera che l’attacco costituisce un’evoluzione “molto grave”.

Tenenti ha spiegato che Israele aveva chiesto precedentemente che le forze di pace abbandonassero “certe posizioni” vicino al confine, ma “abbiamo deciso di rimanere perché è importante che la bandiera dell’ONU continui a sventolare nel sud del Libano”.

“Se la situazione diventa tale da rendere impossibili le operazioni della missione nel sud del Libano… spetterà al Consiglio di Sicurezza decidere come procedere”, ha detto.

“Per il momento restiamo, stiamo cercando di fare tutto quello che possiamo per monitorare e fornire assistenza”, ha aggiunto Tenenti.

Indonesia

Il ministro degli Affari Esteri Retno Marsudi ha confermato venerdì che due caschi blu indonesiani sono stati feriti nell’attacco e sono sotto osservazione in ospedale.

“L’Indonesia condanna fermamente l’attacco” ha dichiarato. “Attaccare personale e beni dell’ONU è una grave violazione del diritto umanitario internazionale”.

L’Indonesia, critico accanito di Israele e sostenitore della Palestina, al momento ha circa 1.232 unità dispiegate con UNIFIL in Libano.

Israele

L’esercito israeliano sostiene che le sue truppe hanno aperto il fuoco vicino a una base UNIFIL dopo aver dato istruzione alle forze di pace nella zona di rimanere in spazi protetti.

Ha affermato in un comunicato che i combattenti di Hezbollah operano dall’interno e nelle vicinanze di aree civili nel sud del Libano, incluse aree vicine alle postazioni UNIFIL.

L’esercito dice che “sta operando nel Libano meridionale e mantiene una comunicazione costante con UNIFIL”.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon ha detto che consiglia di spostare le forze di pace cinque chilometri a nord “finché la situazione lungo la Linea Blu rimane esplosiva a causa dell’aggressione da parte di Hezbollah”, facendo riferimento alla linea di demarcazione tra Libano e Israele [la Linea Blu è la linea di demarcazione provvisoria tra gli Stati di Israele e Libano tracciata dall’ONU nel 2000, dopo il ritiro dal Libano dell’esercito israeliano che lo aveva invaso nel 1982. n.d.t.].

United States

La Casa Bianca è “molto preoccupata” dai resoconti secondo i quali Israele ha fatto fuoco sul quartier generale della missione di pace ONU nel sud del Libano, ha detto un portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale.

“A quanto ci risulta Israele sta conducendo operazioni mirate vicino alla Linea Blu per distruggere infrastrutture di Hezbollah che potrebbero essere usate per minacciare cittadini israeliani”, ha detto il portavoce. “Nel portare avanti queste operazioni è fondamentale che le forze di pace dell’ONU non siano minacciate”.

Italia

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha definito l’attacco alle basi UNIFIL “del tutto inaccettabile”.

“Questo non è stato uno sbaglio né un incidente”, ha detto Crosetto in conferenza stampa.

“Potrebbe costituire un crimine di guerra e rappresenta una gravissima violazione del diritto militare internazionale”, ha detto.

Ha aggiunto che ha convocato l’ambasciatore israeliano per chiedergli spiegazione dell’attacco.

Francia

Il Ministero per l’Europa e gli Affari Esteri ha condannato l’attacco e ha detto di attendere una spiegazione da Israele circa il perché l’attacco abbia avuto luogo.

“La Francia esprime la sua più profonda preoccupazione per gli attacchi di cui UNIFIL è stata fatta bersaglio e condanna ogni attacco alla sicurezza di UNIFIL”, recita un comunicato del Ministero.

“La protezione delle forze di pace è un dovere per tutte le parti coinvolte nel conflitto”, ha aggiunto il comunicato.

Spagna

Il Ministero degli Affari Esteri ha definito l’attacco una “grave violazione della legge internazionale”.

“Il governo spagnolo condanna fermamente l’attacco israeliano che ha colpito il quartier generale UNIFIL a Naqoura”, ha detto il Ministero in un comunicato, aggiungendo che la sicurezza delle forze di pace è “garantita”.

Irlanda

Il capo di governo irlandese Simon Harris ha condannato l’attacco e ha detto che “fare fuoco in prossimità di truppe o strutture UNIFIL è un atto sconsiderato e deve cessare”.

L’Irlanda contribuisce alla missione di pace con circa 370 soldati.

Turchia

“L’attacco israeliano alle forze dell’ONU, preceduto dai massacri di civili a Gaza, in Cisgiordania e in Libano esprime la percezione da parte di Israele che i suoi crimini resteranno impuniti”, ha detto il Ministero degli Affari Esteri.

“La comunità internazionale è tenuta ad assicurarsi che Israele rispetti le leggi internazionali”, ha detto il Ministero in un comunicato.

La Turchia conta cinque unità nel personale del quartier generale UNIFIL e contribuisce alla Task Force marittima UNIFIL con una “corvetta/fregata”.

Unione Europea

Il rappresentante per gli Affari Esteri Josep Borrell ha detto che l’attacco contro le forze di pace, le cui postazioni sono ben note, è un “atto inammissibile, per il quale non c’è giustificazione”.

“Due caschi blu sono stati feriti e questo è inaccettabile. Ogni attacco deliberato contro le forze di pace è una grave violazione della Legge Umanitaria Internazionale e della Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Israele ha il dovere di rispettarle entrambe. È necessaria una piena assunzione di responsabilità”, ha scritto Borrell su X.

Ha inoltre ribadito il “pieno sostegno” dell’Unione Europea all’UNIFIL.

Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha detto: “Un attacco contro una missione di pace ONU è irresponsabile, non è accettabile e per questo facciamo appello a Israele e facciamo appello a tutte le parti affinché rispettino la legge umanitaria internazionale”.

Cina

Il portavoce del Ministero degli Esteri Mao Ning ha detto venerdì che la Cina esprime “seria preoccupazione e ferma condanna” per l’attacco dell’esercito israeliano “contro basi e postazioni di osservazione UNIFIL, che ha causato il ferimento di personale UNIFIL”.

Canada

“Il Canada chiede la protezione delle forze di pace e degli operatori umanitari, e chiede a tutte le parti di rispettare la legge umanitaria internazionale”, recita un comunicato del Ministero degli Affari Esteri.

Il Canada, che si è dimostrato ampiamente favorevole all’offensiva militare israeliana in Libano, ha detto che l’attacco contro le forze di pace ONU è “allarmante e inaccettabile”.

(traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)




L’attacco missilistico dell’Iran contro Israele: che cosa sappiamo e che cosa succederà

Redazione Al Jazeera

1 ottobre 2024 Al Jazeera

Israele promette una ritorsione dopo la salva di missili iraniani lanciata in risposta alle uccisioni dei leader di Hamas e Hezbollah.

 

L’Iran la lanciato un attacco senza precedenti contro Israele, lanciando una salva di missili contro il Paese nell’ultima escalation dopo settimane di crescenti violenze e tensioni nella regione.

Martedì i Corpi della Guardia Rivoluzionaria Islamica dell’Iran (IRGC) hanno dichiarato di aver lanciato i missili contro Israele in risposta ai mortali attacchi israeliani a Gaza e in Libano e agli assassinii dei massimi leader di IRGC, Hamas e Hezbollah.

Martedì sera sono risuonati gli allarmi in Israele quando i missili sono caduti sulle principali città e cittadine.

Israele e il suo principale alleato, gli Stati Uniti, hanno detto che i loro rispettivi eserciti hanno agito congiuntamente per abbattere la maggior parte dei quasi 200 missili sparati dall’Iran.

L’esercito israeliano ha detto che solo “pochi” colpi sono andati a segno nelle parti centrale e meridionale del Paese, mentre secondo il servizio di soccorso di Israele due persone sono state ferite dalla caduta di un missile nell’area di Tel Aviv.

Ecco ciò che sappiamo sull’attacco e sul contesto più ampio, e ciò che potrebbe succedere adesso.

Che cosa è successo?

  • I dettagli esatti dell’operazione iraniana restano poco chiari, ma IRGC ha affermato in una dichiarazione che i missili erano destinati a “vitali obbiettivi militari e di sicurezza” in Israele.

  • IRGC in seguito ha detto che il suo attacco era destinato specificamente a tre basi militari nell’area di Tel Aviv.

  • L’attacco, accompagnato da un cyberattacco su larga scala, per la prima volta ha impiegato anche i nuovi missili balistici ipersonici Fatah dell’Iran, secondo i media dello Stato iraniano.

  • L’esercito israeliano ha detto di aver intercettato “un gran numero” dei 180 missili balistici lanciati dall’Iran, ma che vi sono stati “isolati” impatti nel centro e nel sud di Israele. IRGC ha detto che il 90% dei missili ha colpito gli obbiettivi.

  • Il consigliere per la Sicurezza Nazionale USA Jake Sullivan ha detto che l’esercito americano “si è strettamente coordinato” con le sue controparti israeliane per abbattere i missili.

  • I caccia torpedinieri USA si sono uniti alle unità di difesa aerea israeliana per lanciare intercettori per abbattere i missili in arrivo”, ha detto Sullivan ai giornalisti alla Casa Bianca.

  • Sullivan ha affermato che non sono state riferite vittime in Israele: “In breve, sulla base di quanto sappiamo al momento, questo attacco sembra essere stato debellato e inefficace”, ha detto.

A che cosa rispondeva l’attacco?

  • IRGC ha detto che l’attacco di martedì era una risposta all’assassinio di Hassan Nasrallah, capo dell’organizzazione libanese Hezbollah, e del comandante dell’IRGC Abbas Nilforoushan la settimana scorsa a Beirut, ed anche all’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh a Tehran a luglio.

  • Esperti hanno avvertito nel corso dell’anno passato che il Medio Oriente era sull’orlo di una guerra regionale nel quadro della guerra di Israele contro la Striscia di Gaza, che ha ucciso più di 41.000 palestinesi da ottobre 2023.

  • L’organizzazione libanese Hezbollah ha iniziato a lanciare razzi sul nord di Israele dopo l’inizio della guerra di Gaza, sostenendo che intendeva supportare i palestinesi nell’enclave assediata.

  • L’esercito israeliano ha avuto scambi a fuoco con Hezbollah lungo il confine tra Israele e Libano a partire da quel momento, sfollando decine di migliaia di persone in entrambi i Paesi.

  • Nel mese scorso l’esercito israeliano ha incrementato gli attacchi al Libano, colpendo obbiettivi nella capitale Beirut e alimentando ulteriori timori di una guerra totale.

Come hanno reagito i leader mondiali all’attacco iraniano?

  • Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che l’Iran “ha commesso un grosso errore” e “pagherà per questo”.

  • L’inviato di Israele alle Nazioni Unite Danny Danon ha detto che il Paese “prenderà tutte le misure necessarie per proteggere i cittadini di Israele”: “Come abbiamo già chiarito alla comunità internazionale, ogni nemico che attacca Israele deve attendersi una dura risposta”, ha scritto Danon sui social media.

  • Il Presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha scritto in un post su X che l’attacco è stato “una risposta decisiva” alle “aggressioni” di Israele. “Netanyahu deve sapere che l’Iran non cerca la guerra, ma risponde con fermezza ad ogni minaccia”, ha scritto. “Non entrate in conflitto con l’Iran”.

  • Mohammad Javad Zarif, il consigliere strategico di Pezeshkian, ha detto che “l’Iran ha un intrinseco diritto all’autodifesa contro i ripetuti attacchi armati israeliani contro il territorio iraniano e i suoi cittadini.”

  • Hamas, l’organizzazione palestinese che governa Gaza, ha salutato l’attacco iraniano come “eroico” e ha detto che ha inviato “un forte messaggio al nemico sionista e al suo governo fascista che aiuterà a dissuadere e frenare il loro terrorismo.”

  • Gli USA hanno assicurato il proprio “ferreo” appoggio a Israele e il Presidente Biden ha detto che il suo Paese è “pienamente, pienamente, pienamente al fianco di Israele”. Il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller ha detto che Washington “starà accanto al popolo di Israele in questo momento critico.”

  • Il Pentagono ha anche detto che il Segretario alla Difesa USA Lloyd Austin e il suo omologo israeliano Yoav Gallant hanno discusso “le gravi conseguenze per l’Iran” se avesse lanciato un attacco militare diretto” contro Israele. Non ha specificato quali sarebbero tali conseguenze.

  • La Ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha detto che il suo Paese ha messo in guardia l’Iran contro la “pericolosa escalation”, che, ha affermato, “sta spingendo la regione sempre più sull’orlo dell’abisso”.

  • Il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres ha condannato “l’estendersi del conflitto in Medio Oriente con un’escalation dopo l’altra”. In un post su X ha scritto: “Questo deve finire. Abbiamo assolutamente bisogno di un cessate il fuoco.”

Che cosa succederà adesso?

  • Il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari ha detto che Israele “è assolutamente preparato a difendersi e a vendicarsi” contro l’attacco iraniano, puntualizzando che ciò avverrà “tempestivamente”.

  • Sullivan, il consigliere della Casa Bianca, ha detto ai giornalisti che l’amministrazione Biden “ha chiarito che vi saranno conseguenze – gravi conseguenze – per questo attacco” dell’Iran e gli USA “lavoreranno con Israele per far sì che questo accada”.

  • L’Iran ha messo in guardia Israele contro una risposta a questo attacco, minacciando di lanciare altri missili sul Paese se esso reagisse.

  • Raed Jarrar, direttore del gruppo di sostegno del team di esperti DAWN con sede in USA, ha detto a Al Jazeera che il Medio Oriente si trova ora “in una guerra su scala pienamente regionale” che non finirà senza un cambio nella politica americana. “Non finirà senza che gli Stati Uniti battano i piedi per terra e dicano “Non manderemo altre armi a Israele. Non finanzieremo e aiuteremo i crimini israeliani”, ha detto.

  • Omar Rahman, un membro del Consiglio del Medio Oriente per gli Affari Globali, ha detto che “non c’è dubbio” che Israele risponderà. “Si sta per entrare in quel tipo di azioni di ritorsione, avanti e indietro, che genera una guerra più ampia”, ha detto a Al Jazeera.

  • Rahman ha aggiunto che Israele “ha cercato di provocare questa guerra” con le sue azioni degli ultimi mesi. “Israele è capace di imponenti distruzioni, come vediamo in Libano. Dispone di enormi capacità di intelligence e può provocare davvero una guerra di distruzione. L’Iran, io credo, ha cercato di evitarla, ma sta andando verso qualche forma di guerra con Israele”.

Fonte: Al Jazeera

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




La polio e il genocidio per logoramento a Gaza

Nicola Perugini

Professore associato in Relazioni Internazionali all’Università di Edimburgo

2 settembre 2024 – Al Jazeera

Ad agosto il Ministero della Sanità di Gaza ha annunciato la comparsa del primo caso accertato di infezione da poliomielite da 25 anni. Il virus ha infettato un bambino di 10 mesi a Deir al-Balah, lasciandolo paralizzato. Anche se finora è stato confermato un solo caso, ciò non significa che sia l’unico o che la diffusione del virus sia contenuta.

Anche se la polio può provocare la paralisi e perfino la morte, molti di coloro che sono infettati dal virus non presentano alcun sintomo. Ecco perché sono necessari test e valutazioni mediche per determinare correttamente la portata dell’infezione. Ma questo è quasi impossibile a Gaza, data la massiccia distruzione da parte di Israele del settore sanitario.

Sappiamo che il tipo 2 di virus della polio (cVDPV) è stato identificato in sei campioni di liquame raccolti in diversi luoghi a Khan Younis e Deir el-Balah a luglio. Dopo che queste rilevazioni sono state rese pubbliche il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Ghebreyesus ha avvertito che “è solo questione di tempo prima che il virus raggiunga le migliaia di bambini che sono rimasti senza protezione.”

Israele ha respinto le richieste delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco e ha concordato “pause umanitarie” localizzate solo per pochi giorni. Contemporaneamente ha intensificato i bombardamenti su Gaza e le espulsioni di massa di civili. Tra il 19 e il 24 agosto l’esercito israeliano ha emanato il più alto numero di ordini di evacuazione in una settimana dal 7 ottobre, facendo sì che l’ONU sospendesse temporaneamente le operazioni umanitarie.

Ciononostante domenica è stata ufficialmente avviata una campagna di vaccinazioni. L’operazione è iniziata nel centro della Striscia di Gaza – il governatorato di Deir el-Balah – e nei giorni successivi dovrebbe essere estesa a Khan Younis nel sud della Striscia e poi ai governatorati del nord, dove Israele ha gravemente limitato gli aiuti e la mobilità.

Non è chiaro se l’ONU raggiungerà l’obbiettivo di vaccinare 640.000 bambini, date le difficili condizioni in cui si opera, l’altissimo numero di persone sfollate, le restrizioni israeliane sulle forniture di carburante necessario a far funzionare i generatori e i frigoriferi per conservare i vaccini e il rifiuto di Israele di sospendere completamente i combattimenti.

Perché il vaccino sia efficace devono essere somministrate due dosi almeno a un mese di distanza. Non vi è ancora nessuna garanzia che ci saranno le condizioni per la seconda fase della campagna di vaccinazioni.

Purtroppo lo scoppio della polio non è l’unica emergenza sanitaria che i palestinesi a Gaza stanno affrontando. Altre pericolose malattie infettive, comprese epatite e meningite, si stanno diffondendo in tutta la Striscia. Da ottobre sono stati registrati a Gaza più di 995.000 casi di infezioni respiratorie acute e 577.000 casi di diarrea acquosa acuta.

Inoltre centinaia di migliaia di persone con malattie croniche non ricevono le cure adeguate che necessitano, il che comporta molte morti prevenibili, che non vengono registrate nel numero di morti ufficiali a Gaza.

Tutto ciò è un risultato del genocidio per logoramento di Israele: cioè la distruzione delle condizioni di sopravvivenza dei palestinesi come comunità, tramite tecniche di uccisione meno visibili dell’orrenda violenza trasmessa in diretta a cui abbiamo assistito negli ultimi 11 mesi.

Per citare l’avvocato ebreo-polacco Raphael Lemkin, che ha introdotto la nozione di genocidio nel 1944, il “mettere in pericolo la salute” e la creazione di condizioni di vita “ostili alla salute” costituiscono una delle principali tecniche di genocidio.

Durante gli ultimi 11 mesi Israele non ha fatto che cancellare il sistema sanitario di Gaza. I recenti dati pubblicati dal Cluster Sanitario Globale dell’OMS parlano da soli: nei primi 300 giorni di guerra sono stati danneggiati 32 su 36 ospedali, non sono più in funzione 20 su 36 ospedali e 70 su 119 centri di assistenza sanitaria primaria. Sono stati riferiti circa 492 attacchi alle strutture sanitarie, il che ha provocato la morte di 747 persone.

L’esercito israeliano ha anche distrutto sistematicamente il sistema idrico e fognario di Gaza. Secondo un rapporto di Oxfam pubblicato a luglio la gente di Gaza dispone di soli 4,74 litri di acqua a persona al giorno per tutti gli usi, inclusi bere, cucinare e lavarsi.

Ciò significa una riduzione del 94% della quantità di acqua disponibile prima di ottobre e un livello significativamente al di sotto dello standard minimo accettato a livello internazionale di 15 litri di acqua a persona al giorno per la minima sopravvivenza nelle emergenze.

Contemporaneamente da ottobre Israele ha distrutto il 70% delle tubature per le acque reflue e il 100% degli impianti di trattamento delle acque reflue. La distruzione e l’interruzione delle infrastrutture idriche e sanitarie di Gaza hanno avuto effetti catastrofici sulla salute pubblica, provocando sicuramente un numero significativo di morti indirette.

Importanti rapporti sulla sanità pubblica hanno prospettato scenari terrificanti a proposito delle morti causate dalla diffusione di malattie infettive a Gaza. Secondo uno studio della London School of Hygiene e della Johns Hopkins University migliaia di palestinesi potrebbero essere morti negli ultimi sei mesi a causa di malattie infettive.

La narrazione israeliana per giustificare queste morti è che esse sono il risultato di una tragica crisi umanitaria provocata dai palestinesi. Ma non erano involontarie, come hanno rivelato più oneste dichiarazioni di funzionari israeliani.

Nel novembre 2023 l’ex capo del Consiglio della Sicurezza Nazionale di Israele Giora Eiland e l’attuale consigliere del Ministero della Difesa Yoav Gallant hanno scritto su Yedioth Aharonoth che “la comunità internazionale ci avverte di un disastro umanitario a Gaza e di gravi epidemie. Non dobbiamo evitare questo, per difficile che possa essere”, aggiungendo che “dopo tutto, gravi epidemie nel sud della Striscia di Gaza avvicineranno la vittoria e ridurranno le vittime tra i soldati dell’esercito.”

Il ministro delle finanze di Netanyahu, Bezalel Smotrich, ha twittato che è d’accordo con “ogni parola” scritta da Eiland nel suo articolo. In altri termini, le malattie infettive sono tra gli strumenti del genocidio per logoramento presi in considerazione dalla dirigenza israeliana.

Non è una storia del tutto nuova. Israele ha già sottoposto i palestinesi a politiche di morte lenta e menomazione, con i picchi più alti durante le due Intifada. Ma dal 7 ottobre queste politiche hanno toccato un livello senza precedenti e si scontrano con due principi chiave della Convenzione sul Genocidio.

Primo, cancellando il settore sanitario e ostacolando la distribuzione di prodotti e servizi per la cura Israele si assicura che i palestinesi di Gaza subiscano gravi danni fisici e mentali.

Secondo, distruggendo quasi interamente il sistema idrico e fognario e creando un ambiente debilitante, l’esercito israeliano ha inflitto ai palestinesi di Gaza condizioni di vita mirate a portare alla loro distruzione fisica del tutto o in parte.

Ecco come Israele perpetra un genocidio per logoramento a Gaza.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Al Jazeera.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Il ministro israeliano Ben-Gvir dice che costruirebbe una sinagoga sul complesso di Al-Aqsa

Redazione Al Jazeera

26 agosto 2024  Al Jazeera

Molte critiche ai commenti “pericolosi” del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir che sfidano lo status quo

Un ministro israeliano di estrema destra ha suscitato indignazione dicendo che, se potesse, costruirebbe una sinagoga ebraica nel complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata, rafforzando la narrazione secondo cui il luogo sacro musulmano e simbolo nazionale palestinese è in pericolo.

Il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, che ha più volte ignorato il divieto del governo israeliano che da tempo proibisce agli ebrei di pregare in quel luogo, ha detto lunedì alla radio dell’esercito che se fosse possibile costruirebbe una sinagoga nel complesso di Al-Aqsa, noto agli ebrei come il Monte del Tempio.

Il complesso di Al-Aqsa è il terzo luogo più sacro dell’Islam e un simbolo dell’identità palestinese. Gli ebrei lo considerano anche il sito del Primo e del Secondo Tempio, quest’ultimo distrutto dai Romani nel 70 d.C.

“Se potessi fare tutto ciò che voglio metterei una bandiera israeliana sul sito”, ha detto Ben-Gvir nell’intervista.

Alla ripetuta domanda da parte del giornalista se, nel caso fosse di sua competenza, costruirebbe una sinagoga in quel luogo, Ben-Gvir alla fine ha risposto: “Sì”.

Secondo lo status quo pluridecennale garantito dalle autorità israeliane, agli ebrei e ad altri non musulmani è consentito visitare il complesso nella Gerusalemme est occupata durante orari specifici, ma non è loro consentito pregare lì o esporre simboli religiosi.

Ben-Gvir è stato criticato anche da alcuni ebrei ortodossi che considerano il sito un luogo troppo sacro perché gli ebrei possano entrarvi. Secondo i principali rabbini, è vietato a qualsiasi ebreo entrare in qualsiasi parte di Al-Aqsa a causa della sua santità.

Negli ultimi anni le restrizioni al complesso sono state violate sempre più spesso da nazionalisti religiosi radicali come Ben-Gvir, provocando talvolta scontri con i palestinesi.

Considerata un tempo un movimento marginale, la campagna per costruire un “Terzo Tempio” su Al-Aqsa sta crescendo in Israele, e molti palestinesi vedono parallelismi con quanto accaduto a Hebron, dove la Moschea Ibrahimi, conosciuta anche come la Grotta dei Patriarchi, è stata ripartita.

Da quando nel dicembre 2022 è entrato in carica come Ministro della Sicurezza Nazionale, Ben-Gvir ha visitato il luogo santo almeno sei volte, suscitando severe condanne.

Il complesso della moschea di Al-Aqsa è amministrato dalla Giordania, ma di fatto l’accesso al sito è controllato dalle forze di sicurezza israeliane.

Ben-Gvir ha detto alla radio dell’esercito che agli ebrei dovrebbe essere permesso di pregare nel complesso.

“Gli arabi possono pregare dove vogliono, quindi gli ebrei dovrebbero poter pregare dove vogliono”, ha detto, sostenendo che “la politica attuale consente agli ebrei di pregare in quel luogo”.

Diversi politici ebrei ultra-ortodossi hanno già denunciato i tentativi di Ben-Gvir di incoraggiare la preghiera ebraica ad Al-Aqsa.

Uno di loro, il Ministro degli Interni Moshe Arbel, ha precedentemente definito “blasfemia” i commenti di Ben-Gvir sull’argomento, aggiungendo che “il divieto della preghiera ebraica sul Monte del Tempio è la posizione di tutti i grandi uomini di Israele da generazioni”.

“Pericoloso”

La Giordania ha risposto alle ultime osservazioni di Ben-Gvir.

“Al-Aqsa e i luoghi santi sono un luogo di culto solo per i musulmani”, ha detto in una nota il portavoce del Ministero degli Esteri giordano Sufian Qudah.

“La Giordania prenderà tutte le misure necessarie per fermare gli attacchi ai luoghi santi” e “sta preparando i documenti legali necessari per agire nei tribunali internazionali contro gli attacchi ai luoghi santi”, ha detto Qudah.

Anche diversi funzionari israeliani hanno condannato Ben-Gvir, mentre una dichiarazione dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu afferma che “non vi è alcun cambiamento” nella politica attuale.

“Sfidare lo status quo del Monte del Tempio è un atto pericoloso, non necessario e irresponsabile”, ha detto il Ministro della Difesa Yoav Gallant su X.

“Le azioni di Ben-Gvir mettono in pericolo la sicurezza nazionale dello Stato di Israele”.

Il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha detto su X che i ripetuti commenti di Ben-Gvir dimostrano che “Netanyahu ha perso il controllo del suo governo”.

Il portavoce della presidenza palestinese Nabil Abu Rudeineh ha avvertito che “Al-Aqsa e i luoghi santi sono una linea rossa che non permetteremo assolutamente venga toccata”.

Hamas, con cui Israele è impegnato in un’aspra guerra nella Striscia di Gaza, ha affermato che i commenti del Ministro sono “pericolosi” e ha invitato i paesi arabi e islamici “ad assumersi la responsabilità di proteggere i luoghi santi”.

Il Ministero degli Esteri egiziano ha invitato Israele a rispettare i suoi obblighi come potenza occupante e a fermare le dichiarazioni provocatorie volte ad aumentare le tensioni, ha riferito Egyptian Ahram Online.

“Queste dichiarazioni ostacolano gli sforzi per raggiungere una tregua e un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e rappresentano una seria minaccia per il futuro di una soluzione definitiva della questione palestinese, basata sulla soluzione dei due Stati e sulla creazione di uno Stato palestinese indipendente lungo i confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme Est come capitale”, si legge nella nota.

I commenti di lunedì sono arrivati ​​meno di due settimane dopo che Ben-Gvir aveva suscitato indignazione – anche in influenti rabbini israeliani – visitando il complesso con centinaia di sostenitori, molti dei quali sembravano pregare apertamente in violazione alle norme dello status quo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)