Ventiquattro palestinesi uccisi nei raid aerei israeliani contro Gaza*

Al Jazeera e agenzie

10 maggio 2021- Al Jazeera

*Alle 00,17 di mercoledì 12 maggio le vittime palestinesi sono 28 di cui 10 bambini [ ndr]

Secondo il ministero della Salute palestinese, almeno 24 palestinesi sono stati uccisi a seguito dei raid aerei israeliani contro la Striscia di Gaza occupata, dopo che Hamas aveva lanciato dal territorio costiero dei razzi verso Israele.

Le forze israeliane hanno continuato a bombardare il territorio fino a martedì mattina, prendendo di mira siti a Khan Younis, nel campo profughi di al-Bureij e nel quartiere di al-Zaitoun.

All’alba sono morti almeno 3 civili, uccisi da un aereo da guerra israeliano che ha preso di mira una casa del campo profughi di al-Shati.

Raed al-Dahshan, portavoce della difesa civile di Gaza, ha detto ad Al Jazeera che fra i tre ci sono una donna e un disabile.

Il ministero della Salute palestinese di Gaza ha detto che, in seguito agli attacchi israeliani, il bilancio delle vittime è salito a 24 persone, inclusi nove bambini. Almeno altre 106 persone sono state ferite.

La maggior parte dei bambini apparteneva alla stessa famiglia. Due di loro, Ibrahim, undicenne, e il fratellino Marwan, di sette anni, erano gli unici figli di Yousef al-Masri.

In attesa dell’iftar, il pasto serale che interrompe il digiuno del Ramadan, i ragazzini stavano giocando davanti alle loro case a Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza, quando due esplosioni hanno fatto tremare la strada.

Lunedì, Eman Basher, insegnante, ha reso omaggio a Rahaf al-Masri,10 anni, uccisa durante gli attacchi.

Dopo il ferimento di centinaia di palestinesi da parte delle forze israeliane che hanno preso d’assalto il complesso della moschea di Al Aqsa che si trova nella Gerusalemme Est occupata, Hamas, l’organizzazione che governa a Gaza, ha lanciato decine di razzi contro Israele, incluso bombardamento che ha fatto scattare le sirene contro i raid aerei fino a Gerusalemme.

Hamas ha dato un ultimatum a Israele perché ritirasse le forze da Al Aqsa, il terzo luogo più sacro dell’Islam e anche per gli ebrei [come luogo su cui sorgeva il Secondo Tempio, ndtr.].

Le tensioni a Gerusalemme sono state alimentate dalle previste espulsioni forzate di famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e dai raid delle forze israeliane contro Al Aqsa, in una delle notti più sante del mese di Ramadan.

Israele avverte Hamas

In un discorso il primo ministro Benjamin Netanyahu ha minacciato un’operazione di lunga durata contro Hamas, accusando il gruppo di aver varcato la “linea rossa” con gli ultimi lanci di razzi, promettendo una pesante reazione. “Chi ci attacca pagherà un prezzo altissimo,” ha detto.

Un soldato israeliano ha riferito che, nella parte sud del Paese un civile ha riportato leggere ferite dopo che un veicolo è stato colpito da un missile anticarro partito da Gaza.

Abu Obeida, portavoce dell’ala militare di Hamas, ha detto che l’attacco contro Gerusalemme è stato la risposta a quelli che lui chiama “crimini e aggressioni” israeliane nella città. “Questo è un messaggio che il nemico farebbe bene a capire”, ha aggiunto.

Ha minacciato altri attacchi se le forze israeliane ritorneranno nel complesso della moschea di Al Aqsa o espelleranno famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme Est.

Attacco contro Al Aqsa

All’inizio della giornata la polizia israeliana ha lanciato lacrimogeni, granate stordenti e usato proiettili ricoperti di gomma contro i fedeli palestinesi alla moschea di Al Aqsa.

Più di una decina di lacrimogeni e granate stordenti sono finite nella moschea, mentre la polizia ha attaccato i manifestanti all’interno delle mura che circondano il complesso.

Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese più di 300 palestinesi sono stati feriti dalle forze armate israeliane, incluse 228 persone ricoverate in ospedali e ambulatori per essere curati. La polizia israeliana ha dichiarato che sono stati feriti 21 agenti, tre dei quali sono stati portati in ospedale. Paramedici israeliani hanno detto che sono stati feriti anche sette civili israeliani.

Di conseguenza, e in un apparente tentativo di evitare ulteriori scontri, le autorità israeliane hanno cambiato il percorso pianificato di una marcia di israeliani dell’estrema destra ultra-nazionalista attraverso il quartiere musulmano della Città Vecchia per ricordare la “Giornata di Gerusalemme”, che celebra la conquista israeliana di Gerusalemme Est che non è riconosciuta dalla comunità internazionale come territorio israeliano.

Lo scontro di lunedì è stato l’ultimo dopo settimane di attacchi quasi ogni notte da parte di truppe israeliane nella Città Vecchia di Gerusalemme contro manifestanti palestinesi durante il sacro mese musulmano di Ramadan.

Sabato, più di 250 persone sono state ferite dopo l’ingresso di forze israeliane dentro Al Aqsa durante la Laylat ul-Qadr, una delle notti più sante dell’Islam.

Espulsioni forzate

Le tensioni nella Gerusalemme Est occupata sono state alimentate dalla prevista espulsione forzata di decine di palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah, dove coloni israeliani illegali stanno cercando di occupare proprietà di famiglie palestinesi.

Abitanti del quartiere e attivisti della solidarietà locale e internazionale hanno recentemente tenuto veglie a sostegno delle famiglie palestinesi minacciate di sfratto.

Lunedì la Corte Suprema israeliana ha rimandato una sentenza definitiva sul caso, citando le “circostanze”.

La polizia di frontiera e le forze israeliane hanno attaccato i sit-in usando acqua maleodorante, lacrimogeni, proiettili di gomma e granate stordenti. Decine di palestinesi sono stati arrestati.

Nida Ibrahim, reporter di Al Jazeera da Ramallah, ha detto che in tutta la Cisgiordania occupata hanno avuto luogo “moltissime proteste spontanee” di sostegno.

Abbiamo sentito persone intonare slogan a sostegno di quelli di Gerusalemme Est e Sheikh Jarrah, inneggiando alla libertà, affinché i palestinesi non vengano cacciati dalle proprie case.”

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno manifestato profonda preoccupazione per gli scontri a Gerusalemme Est, esortando Israele a calmare la situazione e a non eseguire le espulsioni forzate. Anche gli alleati arabi di Israele e la Turchia hanno condannato le azioni di Israele.

Israele ha conquistato Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza durante la Guerra dei Sei giorni nel 1967.

Ha poi annesso unilateralmente Gerusalemme Est e considera l’intera città quale sua capitale, una decisione non riconosciuta dalla vasta maggioranza della comunità internazionale. I palestinesi vogliono i territori occupati per uno Stato futuro con capitale Gerusalemme Est.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Adolescente palestinese ucciso durante un’incursione in un villaggio della Cisgiordania

Al Jazeera e agenzie di notizie

6 maggio 2021- Al Jazeera

Il sedicenne Said Odeh è morto dopo essere stato colpito due volte alla schiena da forze israeliane nella Cisgiordania occupata.

Fonti palestinesi affermano che durante un’incursione in un villaggio a sud della città di Nablus, nella Cisgiordania occupata, truppe israeliane hanno sparato a un sedicenne palestinese uccidendolo.

Secondo Defense for Children International Palestine [Difesa Internazionale dei Minori-Palestina, Ong internazionale, ndtr.] (DCIP) forze israeliane che si trovavano in un uliveto all’ingresso del villaggio di Odala hanno sparato per due volte alla schiena a Said Odeh. Afferma che per 15 minuti è stato impedito a un’ambulanza di raggiungere Odeh , che al suo arrivo è stato dichiarato morto dopo essere stato trasferito all’ospedale Rafidia di Nablus.

Le forze israeliane uccidono sistematicamente minori palestinesi in modo illegale nella più totale impunità, utilizzando intenzionalmente una forza letale contro minori palestinesi che non stanno rappresentando alcun pericolo,” afferma Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma per la responsabilizzazione di DCIP. “L’impunità sistematica ha favorito un contesto in cui le forze israeliane non conoscono limiti.”

In un comunicato il ministero della Salute palestinese afferma che mercoledì un secondo palestinese è stato colpito alla schiena durante scontri ed è stato curato in ospedale, e annuncia la morte del sedicenne.

L’esercito israeliano afferma che nella notte di mercoledì le truppe hanno sparato a palestinesi che lanciavano molotov nei pressi del villaggio palestinese di Beita, a sud di Nablus.

Le truppe hanno agito per bloccare sospetti sparando verso di loro,” ha detto una portavoce dell’esercito israeliano, aggiungendo che sull’incidente ci sarà un’indagine.

Alcuni abitanti di Beita e Odala affermano che ci sono state proteste contro le incursioni delle forze israeliane, che hanno sparato lacrimogeni e proiettili veri, vicino agli ingressi dei villaggi nelle ultime notti.

Le incursioni sono state condotte come parte delle ricerche da parte dell’esercito israeliano in alcuni villaggi nella zona di un presunto palestinese armato che domenica ha aperto il fuoco al posto di controllo di Za’tara nella Cisgiordania occupata, ferendo gravemente due israeliani e leggermente un altro.

Uno degli israeliani, un diciannovenne, è morto mercoledì notte per le ferite, ha detto su Twitter il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz.

L’Agenzia Israeliana per la Sicurezza, nota anche come Shin Bet, ha detto di aver arrestato un palestinese sospettato di aver sparato, identificandolo come Muntaser Shalabi, un quarantaquattrenne abitante del villaggio palestinese di Turmus Ayya.

Lo Shin Bet ha detto che Shalabi, trovato in un edificio abbandonato nel villaggio di Silwad, non è affiliato ad alcun gruppo armato.

Veglia a Sheikh Jarrah attaccata

Nella Gerusalemme est occupata la polizia di frontiera israeliana ha ancora una volta attaccato la veglia notturna di Sheikh Jarrah, organizzata da abitanti che devono affrontare l’espulsione dalle loro case e da attivisti solidali con loro.

Decine di persone sono rimaste ferrite e, secondo l’agenzia di notizie palestinese Maan, almeno 10 palestinesi, tra cui un medico, sono stati arrestati.

Le forze israeliane hanno anche sparato lacrimogeni e acque reflue chimicamente potenziate nella casa degli al-Kurds, una delle famiglie minacciate di espulsione dalle loro case a favore di coloni israeliani, come stabilito dal tribunale distrettuale israeliano di Gerusalemme.

Martedì la Corte Suprema di Israele deciderà se le famiglie palestinesi hanno il diritto di presentare appello contro l’ordine del tribunale distrettuale di cacciarli.

Attivisti per i diritti umani affermano che se i palestinesi perderanno la battaglia legale ciò potrebbe rappresentare un precedente per decine di altre case nella zona.

Dovranno ucciderci… è l’unico modo per farci andare via,” ha detto alla Reuter [agenzia di notizie britannica, ndtr.] Abdelfatteh Iskafi.

Nuha Attieh, 58 anni, ha affermato di temere che la sua famiglia sia la prossima [ad essere cacciata] se la sentenza verrà confermata. “Temo per la mia casa, per i miei ragazzi, ho paura di tutto.”

Mercoledì, parlando con Al Jazeera, il capo del partito [laico di sinistra, ndtr.] Iniziativa Nazionale Palestinese Mustafà Barghouti ha affermato che quanto sta avvenendo a Sheikh Jarrah è un “processo di pulizia etnica”.

Non è niente di nuovo, ma parte di un metodo sistematico che il governo israeliano ha seguito dall’annessione di Gerusalemme (est), cercando di eliminare la presenza palestinese dalla città,” ha affermato.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




“Un golpe”: le fazioni palestinesi criticano il rinvio delle elezioni politiche

Al Jazeera e agenzie

30 aprile 2021 – Al Jazeera

Hamas afferma che la decisione del presidente Abbas “è un golpe contro il percorso verso la collaborazione politica e il consenso”.

Il movimento palestinese Hamas, che governa la Striscia di Gaza assediata, ha duramente criticato la decisione del presidente Mahmoud Abbas di rimandare le elezioni politiche previste il 22 maggio.

Giovedì notte il presidente Abbas ha annunciato il rinvio facendo riferimento al rifiuto israeliano di permettere che si tengano le elezioni a Gerusalemme est. Ha tuttavia sottolineato che una volta che Israele consenta di votare a Gerusalemme, le elezioni si terranno “entro una settimana”.

Abbiamo accolto con rammarico la decisione di Fatah (il partito) e dell’Autorità Nazionale Palestinese espressa dal loro presidente, Mahmoud Abbas, di interrompere le elezioni palestinesi,” ha affermato in un comunicato l’organizzazione Hamas.

Essa afferma di ritenere totalmente responsabili l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e Fatah del rinvio e delle sue ripercussioni, considerando questo passo “un golpe contro il cammino verso la collaborazione nazionale e il consenso.”

Il comunicato afferma che Hamas ha boicottato l’incontro [che ha preceduto la decisione di rinviare il voto, ndtr.], in quanto “sapeva già che l’ANP e Fatah stavano andando verso l’annullamento delle elezioni per calcoli diversi, non riguardanti Gerusalemme.” Anche il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, respingendo la decisione, ha chiesto l’osservanza degli accordi nazionali per tenere le elezioni, aggiungendo che cercherà in ogni modo di ribaltare la decisione di rimandare il voto. V

Anche il commissario dell’Unione Europea per la politica estera Josep Borrell ha condannato la decisione di rinviare il voto a lungo atteso.

La decisione di rimandare le previste elezioni palestinesi, comprese quelle legislative fissate originariamente per il 22 maggio, è molto deludente,” ha detto Borrell in un comunicato.

Incoraggiamo vivamente tutti gli attori palestinesi a riprendere gli sforzi basandosi sui colloqui fruttuosi tra le fazioni durante i mesi scorsi. Dovrebbe essere fissata senza indugio una nuova data per le elezioni.”

Il ritardo rischia di accentuare le tensioni  in una società palestinese politicamente divisa.

All’inizio di questa settimana il quotidiano “Al-Quds”, noto per essere vicino all’ANP, ha rivelato che Abbas è stato sottoposto a pressioni da parte araba e statunitense perché rinviasse il voto. Ha affermato che le pressioni erano dovute alla probabilità che Hamas vincesse le elezioni.

Proteste

Parlando con Al Jazeera prima della decisione, alcuni palestinesi nella Cisgiordania occupata hanno detto che se il governo palestinese avesse voluto realmente andare al voto avrebbe trovato una soluzione. “È facile trovare delle scuse,” ha detto un negoziante palestinese.

Dopo la decisione di Abbas, centinaia di palestinesi arrabbiati si sono riuniti nella città centrale di Ramallah e nella Striscia di Gaza per condannare la mossa.

C’è un’intera generazione di giovani che non sa cosa siano le elezioni,” ha detto all’agenzia di notizie AFP Tariq Khudairi, un manifestante di Ramallah. “Questa generazione ha il diritto di eleggere i propri dirigenti.”

Guadagnare tempo

Chi critica Abbas lo accusa di aver utilizzato la questione di Gerusalemme per guadagnare tempo in quanto le prospettive politiche di Fatah erano peggiorate.

Hamas è vista come meglio organizzata di Fatah e con buone prospettive di conquistare terreno in Cisgiordania.

Alcuni osservatori hanno anche visto il problema di Gerusalemme come un possibile pretesto per l’annullamento, perché una vittoria della profondamente divisa Fatah di Abbas è considerata incerta.

In recenti sondaggi, due terzi degli interpellati hanno manifestato scontento nei confronti del presidente. Abbas ha anche affrontato l’opposizione da parte di gruppi scissionisti di Fatah, tra cui uno guidato da Nasser al-Kidwa, nipote del leggendario leader palestinese Yasser Arafat, e un altro dal potente ex-capo dei servizi di sicurezza di Fatah, in esilio, Mohammed Dahlan.

Controsenso”

Durante le ultime elezioni palestinesi, gli abitanti di Gerusalemme est hanno votato nei dintorni della città e migliaia l’hanno fatto via posta, un’iniziativa simbolica accettata da Israele.

Questa settimana il ministero degli Esteri israeliano ha affermato che le elezioni sono una “questione interna dei palestinesi e che Israele non ha intenzione di interferire con esse o di impedirle.”

Ma non ha fatto alcun commento riguardo al voto a Gerusalemme, la città che descrive come sua “capitale indivisibile” e dove ora vieta ogni attività politica dei palestinesi.

Abbas ha detto ai dirigenti dell’OLP di aver ricevuto un messaggio da Israele in cui si dice di non poter dare indicazioni sulla questione di Gerusalemme perché lo Stato ebraico attualmente non ha un governo.

Lo stesso Israele è impantanato nella sua peggiore crisi politica di sempre, senza aver ancora formato un governo in seguito alle inconcludenti elezioni del 23 marzo.

Veto” israeliano

Parlando con alcuni inviati prima dell’annuncio di venerdì, la giornalista palestinese Nadia Harhash, critica con Abbas, ha detto che utilizzare Gerusalemme per giustificare un rinvio “non è affatto una mossa astuta per l’ANP.”

Harhash, candidata alle elezioni con una fazione contraria ad Abbas, ha sostenuto che ciò concede a Israele il potere di veto de facto sul diritto di voto dei palestinesi.

Anche Hamas ha affermato che un ritardo rappresenta una resa al “veto dell’occupazione israeliana.” Le elezioni sono state in parte viste come un tentativo unitario da parte di Hamas e Fatah per rafforzare la fiducia a livello internazionale sulla capacità di governo dei palestinesi prima della possibile ripresa dell’attività diplomatica guidata dagli USA con il presidente Joe Biden, dopo quattro anni di Donald Trump, che hanno visto Washington appoggiare obiettivi fondamentali di Israele.

Alcuni analisti hanno affermato che Abbas sperava che le elezioni consentissero a Fatah e Hamas di continuare a condividere il potere, ma si è sentito minacciato dall’emergere di forti fazioni scissioniste e dal sorgere di nuovi gruppi critici nei confronti della sua leadership.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Gli Stati Uniti non possono continuare a ignorare i crimini di Israele a Gerusalemme

Daoud Kuttab

27 aprile 2021   Al Jazeera

L’amministrazione Biden deve usare maniere forti con Israele se vuole fare la differenza in Medio Oriente.

È diventato praticamente un cliché. La nuova amministrazione statunitense si insedia e delude le aspettative che intensifichi gli sforzi per risolvere il conflitto israelo-palestinese, elencando invece nuove priorità estere come Afghanistan, Russia e Cina. Allo stesso modo, l’amministrazione Biden ha segnalato una mancanza di serio interesse per la questione palestinese.

Ma le proteste violente e gli scontri scoppiati nella Gerusalemme est occupata all’inizio di questo mese dovrebbero smuovere la leadership degli Stati Uniti dalla loro apatia.

Il primo giorno di Ramadan le autorità israeliane hanno deciso di rompere il fondamentale impegno a rispettare il diritto di culto entrando con la forza nei quattro minareti della moschea di Al Aqsa, per interrompere la chiamata serale alla preghiera, che coincideva con la cerimonia israeliana per la Giornata della Memoria svoltasi presso il Muro Occidentale di Gerusalemme alla presenza di alti funzionari israeliani.

Dopo di che le autorità israeliane hanno anche deciso di negare l’ingresso ad Al Aqsa a un gran numero di fedeli musulmani che volevano unirsi ai loro fratelli e sorelle per la rottura del digiuno nel cortile della moschea. Ai palestinesi è stato anche vietato di riunirsi presso la Porta di Damasco, cosa che fanno tradizionalmente durante il Ramadan.

Le affermazioni dei funzionari che queste misure fossero state prese per proteggere i palestinesi dal COVID-19 non sono credibili. La maggior parte dei residenti di Gerusalemme Est è già stata vaccinata, poiché, a differenza dei palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania, hanno avuto accesso ai vaccini dalle autorità israeliane. A un numero limitato di palestinesi nel resto dei territori occupati è stato concesso il permesso di visitare la città occupata e tutti hanno dovuto presentare un certificato di vaccinazione.

Come se non bastasse, la polizia israeliana ha permesso a centinaia di giovani dell’organizzazione di estrema destra Lehava, considerata razzista ed estremista anche dagli israeliani, di marciare verso la città vecchia di Gerusalemme al grido di “morte agli arabi” e “via gli arabi”. Quando i palestinesi li hanno fronteggiati, per disperdere la folla palestinese la polizia israeliana ha usato granate assordanti, gas lacrimogeni e violenza fisica.

In tutto il mondo, le tattiche per prevenire la violenza includono non solo una presenza di polizia ampia e controllata, ma anche tentativi di convincere i leader politici o religiosi a usare la loro posizione per incoraggiare i membri della loro comunità a non entrare in alterchi fisici e a disperdersi pacificamente.

Il problema è che Israele ha da tempo abbandonato questi strumenti di comunicazione con i palestinesi di Gerusalemme est. Dal 1993, con la firma degli accordi di Oslo alla Casa Bianca a Washington, gli israeliani agiscono aggressivamente per recidere ogni legame dei palestinesi di Gerusalemme con la loro leadership nazionale.

Le autorità israeliane interrompono regolarmente gli eventi nella città occupata sponsorizzati dal governo palestinese di Ramallah anche se l’evento è uno spettacolo di marionette per bambini. I leader locali palestinesi vengono spesso trascinati via e imprigionati o minacciati di pene detentive se continuano a comunicare con i leader palestinesi loro colleghi.

E le violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi in Gerusalemme non si fermano qui. Israele ha rifiutato di onorare una serie di clausole del patto interinale quinquennale degli accordi di Oslo che riguardano i gerosolimitani. Ha rifiutato di negoziare lo status della città occupata e ha continuato la sua campagna demografica e di sicurezza intesa a sradicare i residenti palestinesi. Ha anche continuato negli sforzi diplomatici per far riconoscere Gerusalemme come sua capitale.

Ora sta anche pianificando di impedire ai palestinesi di Gerusalemme di votare alle elezioni legislative palestinesi che si terranno il 22 maggio. Questo nonostante il fatto che l’accordo interinale garantisca il diritto dei palestinesi di Gerusalemme di votare alle elezioni palestinesi.

Il governo israeliano, che dichiara costantemente di presiedere “all’unica democrazia del Medio Oriente” e di rispettare il diritto dei fedeli di tutte le religioni a praticare la loro fede a Gerusalemme e in tutta la Terra Santa, sta tristemente venendo meno su entrambi i fronti.

Nel frattempo l’amministrazione Biden ha rilasciato solo una debole dichiarazione di “preoccupazione” sulla marcia degli estremisti ebrei a Gerusalemme che ha provocato tensioni. Significa anche che non si opporrà al rinvio delle elezioni palestinesi, cosa che l’Autorità Nazionale Palestinese potrebbe essere costretta a fare poiché non è riuscita a ottenere da Israele il permesso di indire le votazioni a Gerusalemme est.

In patria, l’amministrazione Biden si è opposta all’estremismo di estrema destra e alla repressione degli elettori. Non ha senso che la sua politica estera nei confronti di Israele e Palestina non rifletta gli stessi principi.

Se il presidente Joe Biden è davvero deciso a riparare i danni che il suo predecessore Donald Trump ha fatto in patria e all’estero, allora deve cambiare tattica con Israele. Chiudere un occhio sui crimini israeliani contro i palestinesi e scegliere continuamente di compiacere Israele non porterà a una risoluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.

Biden deve fare pressione su Israele affinché sia accomodante su Gerusalemme, consenta lo svolgimento delle elezioni palestinesi in modo che possa essere eletta una nuova leadership palestinese, e poi procedere per riportare le due parti al tavolo dei negoziati.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione della redazione di Al Jazeera.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




I risultati finali delle elezioni israeliane confermano la situazione di stallo

26 marzo 2021 – Al Jazeera

Il conteggio definitivo mostra il partito Likud del premier Benjamin Netanyahu e i suoi alleati otto seggi sotto la maggioranza per la guida del Paese.

I risultati finali delle elezioni hanno mostrato che Israele si trova ancora una volta in una situazione di stallo politico, dato che il primo ministro Benjamin Netanyahu e i suoi oppositori non hanno raggiunto la maggioranza necessaria per governare.

Il voto di martedì, le quarte elezioni parlamentari in due anni in Israele, è stato generalmente visto come un referendum sull’adeguatezza di Netanyahu a governare in concomitanza con il processo per corruzione.

Egli ha posto al centro della sua campagna il grande risultato della campagna di vaccinazioni in Israele, ma è stato criticato per i precedenti passi falsi durante la pandemia e per aver rifiutato di dimettersi dopo essere stato incriminato.

Giovedì la commissione elettorale israeliana ha dichiarato che con il 100% dei voti scrutinati il partito di destra Likud di Netanyahu e i suoi alleati naturali hanno conquistato 52 dei 120 seggi della Knesset, il parlamento israeliano. Uno schieramento ideologicamente diversificato di partiti impegnati nel volerlo rimpiazzare ha conquistato 57 seggi.

Un partito di destra [Nuova Destra, ndtr.], guidato dall’ex alleato di Netanyahu Naftali Bennett, ha conquistato sette seggi e un partito arabo islamista [Lista Araba Unita, ndtr.] guidato da Mansour Abbas ne ha ottenuti quattro. Nessuno dei due partiti è legato a una coalizione, ma, date le molte rivalità in parlamento, non è chiaro se uno dei due possa concedere i propri voti per la maggioranza richiesta.

Ma giovedì il dirigente del Partito Sionista Religioso [di estrema destra, alleato di Netanyahu, ndtr.] Bezalel Smotrich ha sostenuto che “non ci sarà un governo di destra con il sostegno di Abbas”, chiudendo di fatto la porta a una possibile alleanza tra il partito islamista israeliano e quelli ebraici religiosi.

Gideon Saar, un transfuga del Likud di Netanyahu che ora è a capo di un partito con sei seggi [Nuova Speranza, ndtr.] impegnato a cacciarlo dal potere, ha dichiarato che “è chiaro che Netanyahu non ha la maggioranza per formare un governo sotto la sua guida. Ora occorre fare in modo che si possa formare un governo per il cambiamento”.

Il Likud, che ha conquistato un numero di seggi maggiore rispetto a tutti gli altri partiti, ha reagito dicendo che un tale veto sarebbe “antidemocratico”. Ha paragonato gli oppositori di Netanyahu alla dirigenza religiosa dell’Iran, acerrimo nemico di Israele, che controlla i candidati alle alte cariche.

Yohanan Plesner, presidente dell’Israel Democracy Institute [centro indipendente di ricerca e impegno dedicato al rafforzamento delle basi della democrazia israeliana, ndtr.], ha descritto la situazione di stallo come la “peggiore crisi politica israeliana degli ultimi decenni”.

“È evidente che il nostro sistema politico trova molto difficile esprimere un risultato definitivo“, ha detto Plesner.

Ha aggiunto che le debolezze intrinseche del sistema elettorale israeliano sono aggravate dal “fattore Netanyahu”: un primo ministro popolare che lotta per rimanere al potere mentre è posto in stato di accusa.

“Su tale questione gli israeliani sono divisi a metà.”

Molti degli oppositori di Netanyahu hanno iniziato a discutere la presentazione di un disegno di legge per impedire che un politico sotto accusa possa essere incaricato di formare un governo, una misura volta a escludere il primo ministro di lunga data dall’incarico. Un disegno di legge simile è stato presentato dopo le elezioni del marzo 2020, ma non è mai stato approvato.

Netanyahu è sotto processo per frode, abuso di fiducia e per tre casi di corruzione. Ha negato qualsiasi addebito e ha respinto le accuse in quanto si tratterebbe di una caccia alle streghe da parte di magistrati e organi d’informazione faziosi.

Nonostante le accuse contro di lui il partito Likud di Netanyahu ha ricevuto circa un quarto dei voti, che ne fa il più grande partito in parlamento.

In tutto 13 partiti, il numero più elevato dalle elezioni del 2003, hanno ottenuto voti sufficienti per entrare alla Knesset e rappresentano una molteplicità di tendenze ultra-ortodosse, arabe, laiche, nazionaliste e progressiste.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




Ingerenze straniere nelle elezioni palestinesi

Adnan Abu Amer

21 Marzo 2021 Al-Jazeera

Mentre i palestinesi iniziano il conto alla rovescia per le loro elezioni legislative e presidenziali rispettivamente in maggio e luglio, sembra crescere l’interesse tra soggetti stranieri nel manipolare il loro esito. Questo ha iniziato a preoccupare la leadership palestinese.

Il 16 febbraio il general maggiore Jibril Rajoub, segretario generale del Comitato Centrale di Fatah, ha dichiarato alla televisione palestinese che alcuni Paesi arabi hanno cercato di interferire pesantemente nelle elezioni palestinesi e nei colloqui di riconciliazione tra Fatah e Hamas.

Tre giorni dopo Bassam al-Salhi, segretario generale del Partito del Popolo Palestinese e membro del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), in un’intervista sul sito web Arabi21 ha detto: “Molti Paesi invieranno ingenti quantità di denaro perché vogliono influenzare il Consiglio Legislativo. Siamo di fronte ad interferenze da parte di molti Paesi, arabi e stranieri.”

Benché questi dirigenti palestinesi non abbiano fatto i nomi dei soggetti stranieri a cui si riferiscono, sembra che siano preoccupati soprattutto per le pressioni di Egitto, Giordania e Emirati Arabi Uniti (EAU). Tutti loro hanno parecchie poste in gioco nelle elezioni e preconizzano determinati risultati in linea con i loro interessi regionali e interni.

Interessi stranieri

Non è un segreto che indire le elezioni da parte del presidente (dell’ANP) Mahmoud Abbas non è stata una decisione volontaria o dovuta a iniziative arabe, ma il risultato di pressioni americane ed europee. L’Unione Europea ha persino minacciato di interrompere il supporto finanziario che fornisce a Ramallah se fossero state cancellate le elezioni. Sia Bruxelles che Washington vogliono che l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) riconquisti legittimità prima di procedere con le loro trattative con i palestinesi. Le elezioni sono anche appoggiate da altri due importanti attori regionali: la Turchia e il Qatar.

Tuttavia l’annuncio delle votazioni non è stato ben accolto da alcune capitali arabe, soprattutto Il Cairo e Amman. Entrambe temono il ripetersi delle elezioni del 2006, quando Hamas riportò una netta vittoria a Gaza, che condusse ad un conflitto armato con Fatah. Se ciò accadesse di nuovo, potrebbe avere un effetto destabilizzante sugli affari interni sia dell’Egitto che della Giordania.

In particolare il regime egiziano considera Hamas un ramo della Fratellanza Musulmana, che ha cercato di sradicare fin dal colpo di Stato contro il presidente Mohamed Morsi nel 2013. Una vittoria potrebbe rendere Hamas più sordo alle pressioni del Cairo, dal momento che otterrebbe una legittimazione elettorale. Potrebbe anche ridare vigore alla Fratellanza (Musulmana) in Egitto.

Anche la Giordania teme un rafforzamento di Hamas, ma è preoccupata anche da una possibile instabilità post-elettorale, che potrebbe provocare agitazioni all’interno della vasta popolazione palestinese che vi abita.

Gli Emirati Arabi Uniti mostrano altresì un serio interesse nelle elezioni palestinesi. Guidando l’azione della normalizzazione araba con Israele, hanno tentato di strappare la questione palestinese ai suoi sponsor tradizionali – Egitto e Giordania – per rinsaldare ulteriormente le relazioni con Israele ed assicurarsi l’appoggio USA.

Neanche Israele è stato felice all’annuncio delle nuove elezioni palestinesi. Anche se i suoi propri cittadini sono stati chiamati a quattro elezioni in due anni, Israele preferisce che i palestinesi non vadano affatto alle urne perché vuole mantenere lo status quo. Israele vuole che Abbas resti al potere e continui a collaborare con i servizi di sicurezza israeliani, consentendo ad Israele di espandere costantemente l’occupazione e l’apartheid. Perciò chiunque formi il governo israeliano dopo le elezioni del 23 marzo probabilmente auspicherà una vittoria di Fatah (specialmente della componente vicina a Abbas) e cercherà di indebolire Hamas.

Le forze israeliane hanno già cercato di intimidire i membri di Hamas in Cisgiordania, arrestando alcuni loro leader e attaccandone altri per scoraggiarli dal partecipare alle elezioni.

Diplomazia della pressione

La prima avvisaglia che le elezioni palestinesi non sarebbero state una questione interna è giunta il 17 gennaio, meno di 48 ore dopo che Abbas ha emesso il decreto presidenziale con l’annuncio della data delle elezioni, con i capi dell’intelligence egiziana e giordana, Abbas Kamel e Ahmed Hosni, arrivati a Ramallah.

Ho saputo da fonti palestinesi informate su questa prima visita che Kamel e Hosni hanno discusso con Abbas i dettagli procedurali delle elezioni, compresa la situazione politica di Fatah, che ha affrontato divisioni interne e potrebbe andare incontro a defezioni prima del voto.

Attualmente non vi è accordo all’interno del partito riguardo alla rielezione di Abbas e c’è la possibilità che emergano degli sfidanti. C’è un ormai crescente sostegno alla candidatura di Marwan Barghouti, un leader di Fatah che sta scontando diversi ergastoli in un carcere israeliano.

Inoltre all’interno di Fatah non c’è accordo nemmeno sui candidati al Consiglio Legislativo. Al momento si stanno predisponendo diverse liste elettorali che cercheranno di attrarre l’elettorato tradizionale di Fatah: una della cerchia di Abbas; una di Nasser al-Qudwa, nipote del defunto leader palestinese Yasser Arafat; e una di Mohammed Dahlan, ex capo della sicurezza di Gaza, espulso da Fatah nel 2011.

Questi disaccordi all’interno di Fatah prima delle elezioni sicuramente favoriranno Hamas, che è riuscito a garantire una coesione interna e avrà gioco facile nello sconfiggere il suo indebolito e diviso antagonista.

E’ per questo motivo che Egitto e Giordania vogliono assicurarsi che Fatah abbia una lista elettorale unica ed un candidato condiviso per l’elezione presidenziale. Ed è per la stessa ragione che stanno facendo pressione su Abbas perché si riconcili con Dahlan.

L’ex dirigente di Fatah è stato uno stretto alleato degli EAU, che negli ultimi dieci anni lo hanno appoggiato, sponsorizzato e sostenuto in tutti i modi. Alcuni osservatori ritengono che Abu Dhabi abbia formato Dahlan come futuro capo dell’Autorità Nazionale Palestinese. Ciò ha provocato molta ansia ad Abbas, che finora ha rifiutato di riammettere Dahlan nel partito.

Dahlan ed i suoi sostenitori non fanno mistero dell’appoggio politico, mediatico e finanziario che ricevono dagli Emirati per poter rientrare nella politica palestinese. Questo appoggio li ha messi in grado di creare alleanze con forze politiche palestinesi, compresi personalità di Fatah scontente di Abbas.

Hamas, contrario al ritorno di membri della fazione di Dahlan nella Striscia di Gaza a causa del loro ruolo nel conflitto armato del 2007, alla fine ha accettato di lasciarli tornare dopo aver ricevuto pressioni dall’Egitto. Questo ha permesso a Dahlan di annunciare diversi progetti umanitari per i palestinesi, compresa la distribuzione di vaccini anti Covid, senza coordinarsi con l’Autorità Nazionale Palestinese.

Lo scopo finale di tutte queste attività è assicurare che qualunque nuova leadership palestinese venga eletta sarà facilmente influenzabile da quelle potenze straniere e spinta ad accettare qualunque nuova richiesta proverrà da Israele. Ciascuno di questi attori vuole giocare un ruolo importante nella questione palestinese, sperando di ingraziarsi gli USA e ottenere il loro appoggio.

Ma ciò che faranno queste ingerenze sarà minare il processo democratico in Palestina e sabotare ancora una volta l’autorità del volere del suo popolo.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Adnan Abu Amer

Il dott. Adnan Abu Amer è capo del Dipartimento di Scienze Politiche all’università Ummah di Gaza. E’ ricercatore a tempo parziale presso molti centri di ricerca palestinesi ed arabi e scrive periodicamente per Al Jazeera, The New Arabic e The Monitor. Ha scritto più di 20 libri sul conflitto arabo-israeliano, sulla resistenza palestinese e su Hamas.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il Dan David Prize di Israele e l’apartheid vaccinale

Samah SabawiNick Riemer

2 marzo 2021 – Al Jazeera

Accettare un riconoscimento israeliano per aver contribuito alla salute pubblica nel mezzo dell’apartheid vaccinale israeliano è immorale

Quando abbiamo fatto circolare una lettera aperta per chiedere alla docente australiana Alison Bashford di rivedere la sua decisione di accettare il Dan David Prize di Israele ci aspettavamo che in tutto il mondo ci sarebbe stato un massiccio appoggio al nostro appello. Avevamo ragione. Finora più di 300 accademici e ricercatori hanno firmato, e la lista dei firmatari continua ad aumentare.

Bashford è una dei sette destinatari del premio, che quest’anno è stato assegnato ai contributi scientifici alla salute pubblica e alla medicina. L’imprevista somma di 3 milioni di dollari del premio verrà condiviso tra questi sette: 1 milione di dollari ad Anthony Fauci, l’eminente infettivologo e consigliere del presidente USA; 1 milione di dollari condiviso fra tre scienziati per il loro contributo alla medicina molecolare; 1 milione di dollari diviso tra Bashford, che studia la storia della medicina e della salute e i loro rapporti con la storia universale ed ambientale, Keith Wailoo, che lavora su razza, scienza ed equità sanitaria negli USA, e Katherine Park, che si occupa di medicina medievale e rinascimentale.

Le motivazioni contro l’accettazione del premio in denaro riguardano tutti e sette i destinatari, ma, in quanto ricercatori australiani, pensavamo di avere un particolare obbligo e opportunità di rivolgerci a Bashford. Nell’annunciare i premi, il presidente della Dan David Foundation, Itamar Rabinovich, ex-ambasciatore di Israele negli USA, ha affermato che la scelta dei campi scientifici [da premiare] era stata influenzata dall’impatto della pandemia su ogni aspetto della vita.

Il premio giunge nel momento in cui Israele sta festeggiando i suoi significativi progressi nella vaccinazione della popolazione. Il Paese è il primo al mondo come percentuale della popolazione vaccinata. Recentemente il governo ha affermato che circa metà dei cittadini israeliani ha ricevuto la prima dose e il 35% la seconda.

Ma, come nel caso di altri risultati scientifici che Israele ha celebrato, questo giunge nel contesto dell’oppressione dei palestinesi. Mentre il governo israeliano si gloria già del drastico calo dei casi di COVID-19, nella Cisgiordania occupata essi stanno aumentando vertiginosamente. Lì i palestinesi, nel tentativo di controllare l’epidemia in quanto non c’è stato un approvvigionamento regolare di vaccini per loro, stanno per entrare in un nuovo blocco totale.

Per mesi Israele ha rifiutato di vaccinare i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, benché in base alla Quarta Convenzione di Ginevra sia un suo obbligo legale. Nel marzo 2020 in una dichiarazione il relatore speciale dell’ONU per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati Michael Lynk ha ricordato ad Israele che “il dovere legale, stabilito dall’articolo 56 della Quarta Convenzione di Ginevra, richiede che Israele, la potenza occupante, debba garantire che venga utilizzato qualunque mezzo preventivo necessario a disposizione per ‘combattere la diffusione di malattie infettive ed epidemie.’”

Eppure non solo Israele sta attivamente bloccando la consegna di vaccini ai palestinesi, ma sta di fatto inviando dosi in eccesso a Paesi come l’Honduras, la Repubblica Ceca e l’Ungheria in cambio di favori politici, come il loro impegno a spostare le rispettive ambasciate a Gerusalemme o ad aprirvi uffici dell’ambasciata.

Forse nell’entusiasmo di aver vinto una somma di denaro così sostanziosa e la celebrazione ideale del progresso umano è stato facile dimenticare i cinque milioni di palestinesi sotto totale occupazione israeliana che non hanno nessuna significativa protezione contro la pandemia e che sono costantemente soggetti a gravi spoliazioni, arresti arbitrari, uccisioni extra-giudiziarie, esilio, privazioni e repressione imposti loro da Israele.

Ma niente obbliga nessuno dei premiati del Dan David ad accettarlo. Di fatto farlo è una diretta violazione dell’appello palestinese al boicottaggio sia delle istituzioni accademiche israeliane che delle attività culturali che nascondono le politiche dell’apartheid israeliano.

L’università di Tel Aviv, dove viene gestito ed ha sede il premio, contribuisce in modo significativo alla guerra permanente di Israele contro i palestinesi attraverso i suoi legami strutturali con il sistema militare e politico israeliano, compresi l’esenzione dal pagamento delle tasse universitarie e le borse di studio per i soldati israeliani, e la sua complicità con la violenta occupazione della terra palestinese.

C’è già un precedente rifiuto del riconoscimento. Nel 2018 la storica britannica Catherine Hall ha rifiutato il premio per quella che ha definito come “una scelta politica indipendente”, una scelta che a molti è parsa ammirevolmente coerente con il suo lavoro accademico progressista sulla storia di genere, razza e schiavitù.

C’è chi sostiene che i boicottaggi accademici violano la “libertà accademica” e devono quindi essere rifiutati. Ma, come molti, compresi noi due, hanno affermato, l’obbligo a boicottare quanti violano i diritti umani o fanno parte di un sistema che li viola, giustifica totalmente i ricercatori che fanno la scelta politica e morale di non unirsi a loro.

Ciò detto, quello che colpisce del premio Dan David è che esso non rientra affatto in alcun discorso riguardante la “libertà accademica”. Non accettando i soldi del premio non viene violata alcuna libertà accademica. Di conseguenza non c’è nessuna ragione di principio per cui gli accademici non facciano ciò che i loro colleghi palestinesi continuano a chiedere, e non rifiutino il premio, a maggior ragione quando si vedono le conclusioni tratte nelle loro stesse ricerche da alcuni dei premiati.

Per esempio, nel suo libro del 2014 “Pain: A Political History” [Sofferenza: una storia politica] Wailoo esamina come le persone sofferenti abbiano spesso “visto come le loro particolari rivendicazioni … siano state spesso assorbite e definite dai più generali conflitti politici dell’epoca.” Egli lamenta il fatto che persone sofferenti diventino “attrezzi di scena” in un “teatro politico”.

I palestinesi sarebbero d’accordo. Gli americani “hanno un problema culturale nel comprendere la sofferenza delle altre persone,” afferma Wailoo, sottolineando la necessità di guardare “in modo critico e attento” quanti giudicano la sofferenza altrui.

Eppure, nonostante l’empatia nei confronti della sofferenza che esprime nel suo libro, Wailoo è ancora disposto ad accettare un premio dal cuore stesso dell’establishment politico e accademico che reprime brutalmente i palestinesi e ora sta utilizzando una pandemia per perseguire la pulizia etnica di un intero popolo.

L’accettazione del premio sembra contraddire anche quello che Bashford ha scritto e detto come studiosa. Tra le altre cose le sue ricerche prendono in considerazione la segregazione tra le popolazioni, per esempio attraverso la quarantena, una misura che descrive nel suo libro del 2003 “Imperial Hygiene” [Igiene imperiale] “come sia igienica, cioè componente della salute pubblica, che razziale, in quanto parte dei sistemi e delle culture di controllo razziale.” Alla luce di ciò c’è da chiedersi come Bashford consideri l’apartheid vaccinale che Israele sta attualmente praticando.

In un saggio del 2003 scritto con Carolyn Strange, Bashford ha notato che “è difficile immaginare, per esempio, la caduta dell’apartheid in Sud Africa senza il coro di appelli internazionali per il rilascio di importanti prigionieri politici di Robben Island [famoso carcere sudafricano in cui sono stati reclusi Mandela ed altri dissidenti, ndtr.]”. Tuttavia, quando si tratta di partecipare ad un appello per porre fine all’apartheid in Israele, Bashford sembra aver dimenticato la sua stessa lezione.

Non c’è alcun dubbio che le istituzioni accademiche israeliane siano un potente pilastro su cui si basa l’oppressione dello Stato. Le università israeliane forniscono allo Stato scienza, tecnologia militare e strumenti strategici ed ideologici che rafforzano e giustificano il suo regime di occupazione e di apartheid.

Senza dubbio accettare il premio porta vantaggi economici, ma il costo morale sarà molto alto, in quanto esso pone i destinatari dalla parte sbagliata della storia, appoggiando e ripulendo l’immagine di un sistema di oppressione, ingiustizia e tirannia.

Le opinioni espresse in questo articolo sono degli autori e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Al Jazeera

Samah Sabawi
 è giornalista e consulente politica palestinese di Al-Shabaka, la rete politica palestinese.

Nick Riemer è docente dei dipartimenti di Inglese e Linguistica dell’università di Sidney, Australia.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




I palestinesi condannano la mossa di Israele di inviare vaccini all’estero

Linah Alsaafin

25 febbraio 2021 – Al Jazeera

Il ministro degli esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese denuncia l’invio di vaccini da parte di Israele agli alleati stranieri come “ricatto politico”.

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha condannato in quanto “iniziativa immorale” l’impegno da parte di Israele di inviare vaccini contro il coronavirus a Paesi lontani ignorando i cinque milioni di palestinesi che vivono a pochi chilometri di distanza sotto la sua occupazione militare.

Giovedì l’Honduras ha ricevuto da Israele la prima spedizione di vaccini contro il COVID-19, dopo che i media israeliani avevano riferito all’inizio di questa settimana l’intenzione del governo di inviare vaccini al Paese centroamericano, oltre che a Guatemala, Ungheria e Repubblica Ceca.

Il Guatemala ha seguito la discutibile decisione degli Stati Uniti di trasferire lo scorso anno la propria ambasciata a Gerusalemme, mentre l’Honduras ha promesso di fare lo stesso.

L’Ungheria ha aperto a Gerusalemme un ufficio per le missioni commerciali e anche la Repubblica Ceca si è impegnata ad aprire uffici diplomatici in quella città.

Il ministro degli Affari Esteri dell’ANP, Riyad al-Malki, ha detto che la decisione di Israele di fornire vaccini ad alcuni Paesi in cambio di concessioni politiche è una forma di “ricatto politico e un’iniziativa immorale”.

Giovedì in un’intervista all’emittente radio Voice of Palestine [stazione radio con sede a Ramallah, filiale della Palestinian Broadcasting Corporation sotto il controllo dell’ANP, ndtr.] al-Malki ha detto che la decisione “conferma l’assenza di principi morali e di valori” da parte di Israele.

Condurremo una campagna internazionale per combattere un tale sfruttamento dei bisogni umanitari di questi Paesi”, ha affermato.

I casi di coronavirus nella Gerusalemme Est occupata, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sono arrivati a più di 203.000. Almeno 2.261 persone sono morte a causa del virus e mercoledì la ministra della Salute dell’Autorità Nazionale Palestinese Mai al-Kaila ha affermato che il numero di casi di coronavirus è in forte aumento.

“Il numero di test positivi ha superato il 20% nella Cisgiordania occupata e il 9% nella Striscia di Gaza”, ha detto a una stazione radio locale.

Al-Kaila ha aggiunto che il tasso di ospedalizzazione nella Cisgiordania occupata è dell’80%, il più alto dall’inizio della pandemia.

Il potere persuasivo del vaccino

Yara Asi, una ricercatrice presso l’Università della Florida centrale, esperta di salute e sviluppo negli Stati colpiti da conflitti, ha denunciato il potere persuasivo del vaccino israeliano.

L’uso della promessa del farmaco salvavita per fare pressione sui Paesi in via di sviluppo perché spostino ambasciate o prendano altre complesse decisioni politiche è cinismo politico ad altissimo livello“, ha detto ad Al Jazeera.

“Queste operazioni consentono inoltre a Israele di fornire alcuni vaccini ai palestinesi sotto l’egida della ‘generosità‘, offuscando ulteriormente i loro doveri legali in qualità di potenza occupante e trattando la Palestina come se fosse solo un altro Paese povero che ha bisogno di aiuto, e non un territorio in cui Israele esercita un controllo economico e politico quasi totale”.

In base alla Quarta Convenzione di Ginevra Israele, in quanto potenza occupante, deve garantire “l’adozione e l’applicazione delle misure di profilassi e prevenzione necessarie per combattere la diffusione di malattie contagiose ed epidemie”.

Funzionari delle Nazioni Unite e organizzazioni a favore dei diritti umani hanno affermato che Israele è una potenza occupante responsabile del benessere dei palestinesi. Israele ha sostenuto di non avere tali obblighi sulla base degli accordi di pace ad interim degli anni ’90.

[Israele] in poco meno di due mesi ha già fornito dosi di vaccino a più della metà dei suoi 9,3 milioni di abitanti, divenendo leader mondiale nella campagna di vaccinazione delle popolazioni. Tuttavia, nonostante abbia annunciato il mese scorso che avrebbe consegnato 5.000 dosi di vaccino all’Autorità Nazionale Palestinese, finora ne sono state ricevute solo 2.000.

Inoltre, dopo che in un primo tempo Israele ha bloccato una spedizione del vaccino russo destinato alla Striscia di Gaza, l’enclave costiera sotto assedio ha ricevuto la scorsa settimana 1.000 vaccini Sputnik a doppia somministrazione.

[Gaza] ha ricevuto separatamente dagli Emirati Arabi Uniti 22.000 vaccini Sputnik, ma gli operatori sanitari di Gaza hanno affermato di aver bisogno di 2,6 milioni di dosi per vaccinare tutte le persone di età superiore ai 16 anni.

“La selezione da parte di Israele dei Paesi da aiutare se vi vede un vantaggio politico è qualcosa di completamente diverso”, dice Asi.

“Fare ciò mentre i palestinesi anziani e ad alto rischio che vivono letteralmente a qualche chilometro di distanza aspettano i vaccini che per la maggior parte dei palestinesi non arriveranno nè nell’arco dei prossimi mesi nè addirittura nel 2021 rappresenta un disprezzo palese per i cinque milioni di persone che vivono sotto l’occupazione israeliana da più di 50 anni.”

Il senatore americano Bernie Sanders ha condannato l’iniziativa di Israele di inviare vaccini ad altri Paesi politicamente allineati prima di distribuirli ai palestinesi.

“In quanto potenza occupante Israele è responsabile della salute di tutte le persone sotto il suo controllo”, ha twittato mercoledì Sanders. “È vergognoso che [il primo ministro israeliano] Netanyahu utilizzi vaccini di scorta per ricompensare i suoi alleati stranieri mentre tanti palestinesi nei territori occupati stanno ancora aspettando.

“Non politicamente vantaggioso”

Sono state sollevate obiezioni anche all’interno del governo israeliano, ma le questioni sono incentrate sugli aspetti tecnici piuttosto che sull’obbligo di dare la priorità alla vaccinazione dei palestinesi sotto l’occupazione israeliana.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il ministro della Difesa Benny Gantz avrebbe chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di interrompere immediatamente il processo di invio di vaccini contro il coronavirus in Paesi stranieri e di consultare il consiglio di sicurezza prima di prendere tali decisioni.

“I vaccini sono di proprietà dello Stato di Israele e quando hai sostenuto che ‘sono state raccolte dosi di vaccino inutilizzate’, mentre la maggior parte della popolazione di Israele non è stata ancora vaccinata con la seconda dose, hai detto il falso”, ha sostenuto Gantz in una lettera a Netanyahu, al consigliere per la sicurezza nazionale e al procuratore generale.

Netanyahu, che il 23 marzo è in lizza per la rielezione, ha messo in gioco il suo successo politico sulla riuscita della campagna di vaccinazione in Israele.

Asi sottolinea che il programma COVAX sostenuto dalle Nazioni Unite – progettato per fornire i vaccini ai Paesi più poveri contemporaneamente ai Paesi ricchi – è fondamentale per porre fine a questa pandemia, ma agisce su un piano di “equità e di non discriminazione”.

“In sostanza il messaggio è che fornire vaccini ai palestinesi non è politicamente abbastanza vantaggioso da costituire una priorità“, spiega.

“E Netanyahu ha scommesso sul fatto che, a solo un mese di distanza da difficili elezioni, vale la pena resistere alla condanna internazionale che Israele sta ricevendo per aver ignorato i palestinesi a vantaggio dei propri interessi politici”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il blocco israeliano infiamma la crisi di COVID-19 a Gaza: Rapporto

3 febbraio 2021 – Al Jazeera

Uno studio afferma che il perdurante blocco aereo, terrestre e marittimo imposto da Israele è ‘il fattore principale’ nel peggioramento della situazione umanitaria.

Un nuovo studio avverte che il devastante assedio israeliano contro la Striscia di Gaza che dura da 13 anni sta inasprendo la crisi da coronavirus nell’enclave palestinese, minacciando la vita dei suoi quasi due milioni di abitanti.

In un rapporto diffuso mercoledì un gruppo di ricercatori internazionali ha descritto “le minacce all’accesso alla sanità e ad altre risorse essenziali, come anche il prezzo economico che il virus ha imposto alle persone e alle loro famiglie”, come afferma un comunicato.

Lo studio si è incentrato sulla diffusione dell’informazione sanitaria relativa al COVID-19, sulle misure prese per ridurne la diffusione e sull’impatto economico della pandemia.

Mohammed al-Ruzzi, un ricercatore dell’università di Bath [in Gran Bretagna, ndtr.] e membro del gruppo di ricerca, ha detto a Al Jazeera che più di 70 persone di differenti località di Gaza hanno preso parte allo studio.

Mentre il rapporto indica che la consapevolezza dei rischi e la comprensione delle misure di salute pubblica tese a ridurre il numero dei contagi sono garantite, ha però rilevato che vi è stato spesso “un insufficiente supporto nel dare la possibilità alle persone di mettersi in isolamento.”

Il risultato è che molti considerano le misure di sanità pubblica “più difficili da accettare della malattia stessa”, afferma la dichiarazione.

Tali minacce sono state esacerbate dall’incessante blocco aereo, terrestre e marittimo imposto da Israele, descritto nel rapporto come “il principale fattore del peggioramento della situazione umanitaria…(che si manifesta) nell’inadeguatezza del sistema sanitario locale, dell’economia e delle comunità a far fronte alla situazione.”

Il blocco israeliano ha devastato l’economia di Gaza e questo ha un forte impatto sulla possibilità della gente di rispettare le misure di isolamento, quando ciò significa perdere le proprie già scarse fonti di reddito”, dice la ricercatrice capo Caitlin Procter dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze.

Molti non si fanno curare per altri problemi di salute per paura di essere contagiati dal COVID e della grave perdita di reddito che comporterebbe se venisse loro diagnosticato [il COVID, ndtr.]. Per lo stesso motivo alcuni operatori sanitari sono restii a curare pazienti COVID e molte persone con sintomi non si sottopongono ai test.”

Oltre al perdurante blocco, anche l’alto tasso di disoccupazione, i tagli dei finanziamenti ONU e le divisioni politiche tra palestinesi sono fattori che contribuiscono alla condizione agonizzante dell’economia di Gaza

Tutti questi fattori hanno inciso sulla situazione economica della popolazione. Lo scoppio della pandemia e le regole dello “stare in casa” pongono molti, compresi i lavoratori a giornata, nell’impossibilità di provvedere alle proprie famiglie”, dice al-Ruzzi.

Casi in aumento

Il sistema sanitario di Gaza è nel caos e i suoi abitanti martoriati dalla guerra sono particolarmente vulnerabili in quanto vivono sotto un blocco israeliano-egiziano dal 2007.

L’assedio aereo, terrestre e marittimo ha limitato l’ingresso di risorse essenziali come, tra gli altri, attrezzature mediche, materiali per la sanità e le costruzioni.

Le dure misure di distanziamento sociale e le procedure di quarantena si sono rivelate molto difficili da applicare, affermano i ricercatori.

Secondo le ultime stime dell’OMS del 31 gennaio, da quando sono iniziate le rilevazioni nel luglio 2020, a Gaza ci sono stati 51.312 casi confermati e 522 morti per COVID-19.

Con l’aumento del numero dei casi, le autorità sanitarie di Gaza hanno avvertito che non possono più condurre i test del coronavirus per mancanza di kit. Il mese scorso hanno auspicato un’azione urgente per procurare l’attrezzatura necessaria all’unico laboratorio dell’enclave in grado di analizzare i campioni dei test di coronavirus.

L’Agenzia ONU per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA) ha ammonito che il sistema sanitario della Striscia di Gaza potrebbe collassare se il numero dei casi continuerà ad aumentare.

Israele ha ricevuto una crescente pressione mondiale, anche dall’ONU, perché aiuti i palestinesi che vivono sotto occupazione israeliana in Cisgiordania e Striscia di Gaza ad avere accesso ai vaccini.

Mentre molti Paesi in tutto il mondo hanno iniziato le campagne vaccinali – con Israele in prima linea nel mondo – i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania occupata stanno ancora aspettando il proprio turno.

Fonti ufficiali hanno detto che questa settimana l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha iniziato le vaccinazioni per il COVID in Cisgiordania, dopo aver ricevuto 2.000 dosi da Israele. I vaccini Moderna sono la prima tranche dei 5.000 promessi forniti da Israele per vaccinare gli operatori sanitari.

Ma a Gaza e in Cisgiordania ci sono più di 4 milioni e mezzo di palestinesi che non hanno accesso al vaccino.

Istituzioni internazionali e l’OMS condurranno campagne per rendere accessibile il vaccino ai palestinesi e sviluppare programmi per aumentare la capacità del settore sanitario a Gaza, dice al-Ruzzi.

La pandemia ci mostra chiaramente quanto sia vulnerabile il sistema sanitario pubblico. Il lavoro dei soggetti locali e internazionali qui è cruciale”, dice.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il responsabile della politica estera di Biden: USA intendono mantenere l’ambasciata a Gerusalemme.

Al Jazeera e agenzie di notizie

20 gennaio 2021 – Al Jazeera

Antony Blinken afferma che l’amministrazione Biden non annullerà il controverso trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme, voluto da Donald Trump.

La nuova amministrazione del presidente eletto Joe Biden manterrà l’ambasciata USA in Israele a Gerusalemme, ha affermato il suo candidato a Segretario di Stato durante l’audizione di conferma al Senato.

Siete d’accordo che Gerusalemme sia la capitale di Israele e vi impegnate a che gli Stati Uniti mantengano la propria ambasciata a Gerusalemme?”, ha chiesto il senatore repubblicano del Texas Ted Cruz [esponente dell’estrema destra trumpiana, ndtr.].

Sì e ancora sì”, ha detto Antony Blinken nella sua audizione martedì.

Il presidente uscente Donald Trump annunciò il riconoscimento USA di Gerusalemme come capitale di Israele nel dicembre 2017. Gli USA trasferirono l’ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme nel maggio dell’anno seguente.

Gerusalemme resta al centro del pluridecennale conflitto mediorientale, con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che sostiene che Gerusalemme est – occupata illegalmente da Israele dal 1967 – debba essere la capitale di uno Stato palestinese.

L’unico modo per garantire il futuro di Israele come Stato ebraico e democratico e per dare ai palestinesi uno Stato a cui hanno diritto sta nella cosiddetta soluzione a due Stati”, ha detto Blinken.

Penso che realisticamente sia difficile vedere prospettive a breve termine per avanzare a questo proposito. Ciò che sarebbe importante è garantire che nessuna delle parti prenda iniziative che rendano ancor più insidioso il già arduo processo”, ha aggiunto.

Finora non vi è stato alcun commento da parte della leadership palestinese.

Lama Khater, una giornalista che vive nella città di Hebron nella Cisgiordania occupata, ha scritto su twitter: “Tutto può cambiare nei programmi delle varie amministrazioni USA, tranne l’assoluta lealtà verso Israele”.

L’amministrazione Trump è stata sfrontata nel suo aperto sostegno ad Israele.

Gli scorsi quattro anni hanno consolidato il favore statunitense nei confronti di Israele attraverso politiche come la cancellazione degli aiuti USA all’ANP e l’annullamento dei finanziamenti all’agenzia ONU per i rifugiati, da cui milioni di palestinesi dipendono per l’istruzione, il cibo e il sostentamento.

In conflitto con la posizioni condivisa a livello internazionale, l’amministrazione Trump ha riconosciuto la sovranità di Israele su Gerusalemme e sulle Alture del Golan occupate e ha dichiarato che la costruzione di colonie non è illegale.

Circa 500.000 israeliani vivono in colonie situate nella Cisgiordania occupata. Negli ultimi anni l’espansione delle colonie si è intensificata, mettendo a serio rischio la possibilità di uno Stato palestinese indipendente come parte della soluzione a due Stati.

Benché Biden abbia affermato che la sua amministrazione ripristinerà la politica di Washington precedente a Trump di opposizione all’espansione delle colonie, dichiara tuttavia “un ferreo sostegno” ad Israele.

Gli analisti hanno sottolineato che la politica di Biden verso Israele sarà probabilmente in continuità, non in opposizione, alla precedente amministrazione. Funzionari della campagna di Biden hanno affermato che probabilmente lui non annullerà nemmeno il riconoscimento di Trump della sovranità di Israele sulle Alture del Golan occupate.

Biden ha detto che lascerà l’ambasciata USA a Gerusalemme.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)