Sei morti nel corso di un attacco israeliano contro un campo profughi nella Cisgiordania occupata

Redazione di Al Jazeera

27 dicembre 2023 – Al Jazeera

Le ambulanze sarebbero state bloccate dall’esercito israeliano dopo l’attacco contro il campo profughi di Nur Shams, vicino a Tulkarem.

Almeno sei palestinesi sono stati uccisi da un drone israeliano durante un raid contro un campo profughi nel nord della Cisgiordania occupata mentre le forze israeliane hanno esteso le loro operazioni sul territorio.

La Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) e funzionari sanitari hanno riferito che mercoledì notte un drone ha colpito un gruppo di palestinesi nel campo profughi di Nur Shams, vicino a Tulkarem.

Secondo il Ministero palestinese della Salute sei corpi sono stati portati in un ospedale locale, oltre a varie persone ferite nel corso dell’attacco.

Secondo quello che ha riferito Imran Khan di Al Jazeera nel suo reportage di mercoledì da Nur Shams, le sei vittime sarebbero giovani fra i 16 e i 29 anni che stavano assistendo al raid.

Il drone è sceso dall’alto, chiaramente gli uomini non hanno avuto scampo. È stato un attacco mortale intenzionale,” ha detto.

L’incursione è stata il “secondo più massiccio raid” sul campo profughi in 24 ore, ha precisato Alan Fisher di Al Jazeera, che si trova nella Gerusalemme Est occupata ha riferito dei continui scontri a Tulkarem e Nur Shams durati fino alle 7 di mercoledì mattina.

Ci hanno avvertiti che c’erano cecchini sul tetto, che gli israeliani erano entrati a Nur Shams per cercare di arrestare persone che dicevano essere ‘ricercate’.”

La seconda notte consecutiva di raid contro il campo hanno fatto preoccupare la gente ancora di più per quello che sarebbe potuto succedere più tardi quella sera, ha aggiunto Fisher.

Ambulanze ‘bloccate’

opo l’attacco a Nur Shams, la PRCS ha detto che l’esercito israeliano ha impedito alle ambulanze di trasportare i morti e i feriti.

La gente ha cercato di aiutare [le vittime], ma per almeno un’ora e mezza gli israeliani non hanno permesso l’accesso alle ambulanze,” ha detto Khan di Al Jazeera. “Alla fine hanno dovuto prelevare i corpi e portarli giù dove stavano le ambulanze. Ovviamente a quel punto era troppo tardi. Erano morti.”

Al Jazeera ha parlato con fonti presso l’ospedale locale, secondo cui un soldato israeliano è entrato in un’ambulanza e ha pugnalato al collo un uomo ora ricoverato in un’unità di terapia intensiva.

L’esercito israeliano ha anche condotto raid notturni contro le città di Betlemme, Jenin, Hebron e Tubas. Secondo quanto riferito dalla palestinese agenzia di stampa Wafa, tre persone sono state ferite nel campo profughi di Dheisheh a Betlemme.

Stando a quanto dichiarato dalla Commissione degli Affari dei detenuti ed ex-detenuti e del Club dei Prigionieri palestinesi, almeno 12 persone sono state incarcerate dall’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata in raid notturni.

La violenza in Cisgiordania è esplosa con l’inizio della guerra israeliana contro la Striscia di Gaza il 7 ottobre. In questo periodo durante i raid oltre 300 persone sono state uccise e 4.700 palestinesi sono stati arrestati.

Nella Striscia di Gaza almeno 20.915 persone sono state uccise e 54.918 ferite nel corso degli attacchi israeliani dal 7 ottobre. Il bilancio aggiornato delle vittime dell’incursione di Hamas in Israele è di 1.139.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che il suo esercito non diminuirà l’intensità dei combattimenti, anzi “espanderà le operazioni a sud di Gaza”, mentre Herzi Halevi, il capo di stato maggiore israeliano, ha precisato che la guerra a Gaza continuerà per “molti mesi”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’ONU chiede un’indagine in seguito alle accuse mosse all’esercito israeliano di aver ucciso palestinesi disarmati

Redazione di Al Jazeera

21 dicembre 2023 – Al Jazeera

L’ufficio per i diritti umani dell’ONU invoca un’indagine per ‘possibili crimini di guerra’ a fronte della notizia che l’esercito israeliano avrebbe ‘giustiziato’ 11 uomini palestinesi a Gaza.

L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha chiesto un’indagine indipendente sulle accuse secondo cui l’esercito israeliano avrebbe “sommariamente giustiziato” almeno 11 uomini palestinesi in quello che ha definito “un possibile crimine di guerra”.

Le autorità israeliane devono immediatamente avviare un’indagine indipendente, accurata ed efficace su queste affermazioni e, se fossero comprovate, i responsabili devono essere consegnati alla giustizia e si devono implementare misure per evitare che tali serie violazioni si ripetano,” ha dichiarato mercoledì l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani (OHCHR).

Al Jazeera ha parlato con vari testimoni del raid di martedì durante il quale i soldati israeliani avrebbero circondato e fatto irruzione in un edificio residenziale, andando da un piano all’altro, separando gli uomini dalle donne e dai bambini per poi uccidere 11 degli uomini davanti alle loro famiglie. I sopravvissuti hanno detto che gli uomini avevano dai 20 ai 30 anni.

Hanno visto che eravamo uomini con le loro mogli e bambini. Mio cognato ha tentato di parlare per spiegare che in casa eravamo tutti civili, ma l’hanno ammazzato,” ha detto uno dei sopravvissuti ad Al Jazeera descrivendo l’attacco contro le famiglie rifugiatesi nell’edificio al-Adwa nel quartiere Remal a Gaza City.

I soldati “fatto irruzione in ogni casa, hanno ucciso gli uomini e trattenuto le donne e i bambini. Non sappiamo dove si trovino ora. Hanno fatto la stessa cosa ad ogni piano. Tutte le donne sono state portate in una stanza. Quando sono arrivati da noi al sesto piano hanno cominciato a uccidere tutti gli uomini,” ha detto una donna, aggiungendo che hanno sparato a suo suocero e al figlio che sono morti all’istante.

I sopravvissuti hanno detto che i soldati israeliani hanno anche aggredito le donne e i bambini dopo averli ammassati in una stanza dell’edificio noto come Annan.

Quando tutte le donne erano in una stanza ci hanno sparato contro tre bombe da mortaio e poi hanno continuato a mitragliarci,” ci ha riferito una donna ferita.

Io sono stata colpita con una pallottola alla mano, mia figlia alla testa, la mia figlia più piccola è stata uccisa e mio figlio è stato accecato. Mio marito è stato giustiziato a sangue freddo. Tutte le mie altre figlie hanno subito gravi ferite, ossa fratturate, le carni lacerate. Siamo stati tutti colpiti da pallottole o schegge,” ha aggiunto.

L’analista Tamer Qarmout, assistente universitario presso l’Istituto di Studi Universitari a Doha, ha accolto favorevolmente la richiesta di indagini dell’ONU per “le uccisioni illegali”, precisando ad Al Jazeera che la questione fondamentale è come saranno condotte.

A nessuno degli organismi che potrebbero indagare sui presunti crimini israeliani contro i palestinesi è permesso al momento di entrare nella Striscia di Gaza, ha fatto notare Qarmout.

Altri testimoni hanno riferito che gli uomini sono stati costretti a svestirsi prima di essere uccisi e un uomo ha detto che “neppure i ragazzini sono stati risparmiati. Sono stati tutti colpiti a bastonate. Hanno le ossa fratturate e sono ricoverati in ospedale.”

Non ci sono stati commenti dell’esercito israeliano in merito all’aggressione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le forze israeliane assaltano l’ospedale Kamal Adwan di Gaza dopo giorni di bombardamenti

Redazione di Al Jazeera e agenzie di stampa

12 dicembre 2023 – Al Jazeera

L’ONU afferma che all’interno si trovano decine di pazienti e circa 3.000 sfollati e il Ministero della Sanità di Gaza chiede l’aiuto internazionale.

Varie fonti e il Ministero della Sanità palestinese hanno detto che le forze israeliane hanno assaltato l’ospedale Kamal Adwan nel nord di Gaza, dopo averlo assediato e bombardato per diversi giorni.

Ashraf al-Qudra, un portavoce del ministero, ha detto che le truppe israeliane martedì hanno radunato uomini e ragazzi nel cortile dell’ospedale a Beit Lahiya, compreso il personale medico.

Temiamo che li arrestino e che arrestino il personale medico o li uccidano”, ha detto, invocando l’intervento internazionale.

Facciamo appello alle Nazioni Unite, all’Organizzazione Mondiale della Sanità e al Comitato Internazionale della Croce Rossa perché agiscano immediatamente per salvare la vita delle persone

Dentro ci sono pazienti, personale medico e migliaia di civili che vi si sono rifugiati dopo essere stati costretti a fuggire dalle loro case.

Nella sua cronaca di martedì dal sud di Gaza Hani Mahmoud di Al Jazeera ha detto che l’assalto avveniva “sotto un intenso fuoco di armi leggere e artiglieria”.

Carri armati hanno sfondato i cancelli e l’intera struttura è sotto un pesante bombardamento”, ha detto. “Vengono usati megafoni per intimare a chiunque abbia più di 15 anni di uscire dall’edificio con le mani in alto.”

Ha aggiunto che le forze israeliane che hanno assaltato la struttura hanno anche chiesto alle guardie di sicurezza a protezione dell’ospedale di consegnare le armi. 

Kamal Adwan è l’unica struttura sanitaria rimasta nella parte nord di Gaza, ha detto il nostro corrispondente.

“Negli ultimi giorni è finito sotto pesanti bombardamenti, attacchi aerei e granate di carri armati che hanno distrutto la gran parte delle sue strutture e tutte le principali strade che vi conducono.”

Ospedale ‘assediato’

L’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite OCHA ha detto che due madri sono state uccise quando il reparto maternità del Kamal Adwan è stato colpito lunedì.

L’ospedale resta assediato dalle truppe e dai carri armati israeliani”, ha detto OCHA, aggiungendo che l’ospedale in quel momento ospitava 65 pazienti, compresi 12 minori in terapia intensiva e sei neonati in incubatrice.

Circa 3.000 sfollati restano intrappolati nella struttura e attendono di essere evacuati in mancanza di acqua, cibo e energia”, ha aggiunto.

La situazione al Kamal Adwan è catastrofica, ha detto a Al Jazeera Leo Cans, capomissione in Palestina di Medici Senza Frontiere (MSF).

Siamo indignati per ciò che sta accadendo”, ha detto, aggiungendo che i medici a Gaza operano in condizioni simili a quelle della prima guerra mondiale.

Operiamo sul pavimento. I bambini arrivano con ferite molto gravi e i chirurghi devono fare diverse operazioni allo stesso tempo ma non ci sono più letti”, ha detto.

Le truppe israeliane precedentemente hanno assalito ed evacuato altre strutture mediche a Gaza, compreso l’ospedale indonesiano e al-Shifa, l’ospedale più grande del territorio.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che solo 11 dei 36 ospedali di Gaza restano parzialmente funzionanti e supplica che non vengano danneggiati.

Non possiamo permetterci di perdere strutture sanitarie e ospedali”, ha detto Rik Peeperkorn, rappresentante dell’OMS per i territori palestinesi occupati, in una conferenza stampa ONU in videocollegamento da Gaza. “Speriamo, scongiuriamo che non accada.”

Da quando Israele ha iniziato la guerra contro Gaza il 7 ottobre sono stati uccisi più di 18.000 palestinesi.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




“Allarmante”: i palestinesi accusano il procuratore generale della CPI di parzialità dopo la visita in Israele

Mat Nashed e Zena Al Tahhan

9 dicembre 2023 – Al Jazeera

Sebbene la CPI rappresenti un’alternativa ai tribunali israeliani, nessun mandato di arresto è stato emesso contro politici e comandanti militari israeliani

Cisgiordania occupata – Il 2 dicembre Eman Nafii è stata una delle decine di palestinesi invitati a un incontro con il procuratore generale della Corte Penale Internazionale nella Cisgiordania occupata Karim Khan. In quanto moglie del prigioniero palestinese detenuto da più anni in Israele, Nafii voleva parlare a Khan di suo marito e dell’occupazione israeliana.

Ma Khan ha passato la maggior parte dell’incontro a parlare prima che i suoi collaboratori dessero a Nafii e ad altre vittime palestinesi solo 10 minuti per condividere le loro storie.

Le persone erano arrabbiate. Gli hanno detto: ‘Sei venuto per ascoltarci 10 minuti? Come possiamo venire a parlarti delle nostre vicende in 10 minuti?” dice Nafii ad Al Jazeera.

Una delle donne (tra noi) era di Gaza. Ha perso 30 membri della sua famiglia nella (guerra in corso). Ha gridato: ‘Come possiamo spiegare questo in 10 minuti?’”

Benché alla fine Khan abbia ascoltato le vittime per circa un’ora, i palestinesi temono che egli applichi un doppio standard concentrando il suo impegno contro Hamas e ignorando i gravi crimini che Israele è accusato di aver perpetrato in oltre due mesi di una guerra letale.

Molti sono stati delusi del fatto che Khan abbia accettato un invito israeliano a visitare le comunità e le zone israeliane attaccate da Hamas il 7 ottobre rifiutando invece l’invito dei palestinesi a visitare centinaia di colonie illegali e posti di blocco israeliani e campi di rifugiati nella Cisgiordania occupata.

Durante la sua visita di 3 giorni Israele non ha consentito a Khan di entrare a Gaza, dove dal 7 ottobre Israele ha ucciso più di 17.000 persone ed espulso dalla propria casa la maggioranza dei 2.3 milioni di abitanti dell’enclave assediata.

La maggior parte delle persone uccise sono donne e minori, mentre migliaia di giovani ora sono stati rastrellati, molti denudati e portati in località sconosciute. Alcuni giuristi hanno segnalato che le atrocità di Israele a Gaza potrebbero presto configurare un genocidio.

Secondo politici, vittime e giuristi palestinesi, nonostante le crescenti prove e le continue atrocità, Khan ha evidenziato scarso interesse nel mettere seriamente sotto inchiesta Israele.

Khan si è dimostrato entusiasta di iniziare questa indagine (nei territori occupati) dopo il 7 ottobre. Ciò è allarmante,” afferma Omar Awadallah, che monitora le organizzazioni ONU per i diritti umani come membro dell’Autorità Palestinese, l’entità politica che governa la Cisgiordania.

(L’Autorità Palestinese) gli ha attribuito la competenza retroattivamente a partire dal 2014. (Khan) non può dire di non vedere i crimini commessi (nei territori occupati) dal 2014 fino al 7 ottobre,” ha detto Awadallah ad Al Jazeera.

Un’alternativa possibile?

Il 2 gennaio 2015 lo Stato di Palestina ha firmato lo Statuto di Roma, attribuendo alla CPI la competenza per indagare su atrocità come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio nella Cisgiordania occupata e a Gaza.

L’iniziativa era stata accolta come una vittoria dalle associazioni per i diritti umani palestinesi e israeliane, che ne avevano abbastanza del sistema giudiziario israeliano perché non puniva politici, militari e coloni israeliani responsabili di crimini come il furto di terre e uccisioni extragiudiziarie nei territori occupati.

Secondo Yesh Din, un’organizzazione israeliana per i diritti umani che si oppone alla colonizzazione illegale in Cisgiordania, i palestinesi vittime di soldati israeliani hanno meno dell’1% di probabilità di ottenere giustizia se presentano una denuncia in Israele.

Secondo un esperto giuridico di Al Mezan, un’organizzazione per i diritti umani che chiede giustizia per Gaza, benché la CPI rappresenti un’alternativa ai tribunali israeliani, nessun mandato di arresto è stato emesso contro politici o militari israeliani per aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità a Gaza e in Cisgiordania.

Abbiamo sottoposto parecchie analisi legali e prove all’ufficio del procuratore generale anche prima che Khan venisse eletto” dice ad Al Jazeera l’esperto, che chiede di rimanere anonimo per timore di rappresaglie da parte delle autorità israeliane. “Pensiamo che l’ufficio (di Khan) abbia già sufficienti prove per emettere mandati di arresto contro dirigenti politici e militari israeliani.”

Dopo essere tornato dalla sua visita di tre giorni in Israele e Cisgiordania, Khan ha rilasciato una dichiarazione in cui ha appena accennato alle crescenti prove che coinvolgono Israele nella commissione di crimini contro l’umanità, come quello di apartheid in Cisgiordania e crimini di guerra in Cisgiordania e Gaza.

Khan ha semplicemente affermato che la sua visita non era “di natura investigativa” e ha chiesto a Israele di rispettare i principi giuridici di “distinzione, precauzione e proporzionalità” nella sua campagna di bombardamenti e nell’offensiva di terra in corso a Gaza.

Khan ha utilizzato un tono diverso quando si è riferito agli attacchi di Hamas il 7 ottobre, definendoli “gravi crimini internazionali che sconvolgono le coscienze dell’umanità.”

Il comunicato di Khan ha indignato le vittime palestinesi che aveva incontrato brevemente a Ramallah.

Ciò che ci ha veramente contrariati è stato quello che ha scritto dopo la visita,” afferma Nafii. “Non avrebbe dovuto tracciare un’equivalenza tra la vittima e i suoi assassini. Volevamo che dicesse agli israeliani di smettere di fare quello che stanno facendo ai detenuti e di (fermare) quello che stanno facendo a Gaza.”

Al Jazeera ha inviato alcune domande scritte all’ufficio di Khan che accolgono le critiche palestinesi alla sua visita in Cisgiordania e al suo comunicato. L’ufficio ha risposto inviando ad Al Jazeera alcune precedenti dichiarazioni di Khan senza rispondere ad alcuna delle domande.

Politicamente compromesso?

Nel settembre 2021 Khan aveva affermato che avrebbe dato minore priorità ai crimini commessi dalle forze statunitensi in Afghanistan e concentrato la sua indagine sulle atrocità commesse dai talebani e dallo Stato Islamico ISKP (ISIS-K) nella provincia del Khorasan.

I critici pensano che Khan si sia inchinato alle pressioni politiche da parte degli Stati Uniti, uno Stato che non aderisce allo Statuto di Roma e che aveva sanzionato il predecessore di Khan per aver osato aprire un’indagine contro le truppe americane in Afghanistan.

Ma Khan ha giustificato la propria decisione sostenendo che la Corte ha risorse limitate e che i talebani e lo Stato Islamico hanno commesso crimini più gravi. Ora i palestinesi temono che Khan possa far ricorso a una giustificazione simile per indagare contro Hamas ma non contro Israele.

Non abbiamo ancora visto un procuratore generale che prenda seriamente in considerazione la questione della Palestina, il che dimostra che tutto il sistema delle leggi internazionali è stato fatto a pezzi,” afferma Diana Buttu, una giurista palestinese.

Butto aggiunge che la CPI è di fatto diventata un tribunale che agisce per gli interessi politici di potenti Stati occidentali invece che in base a principi strettamente giuridici.

Cita la decisione di Khan di incriminare il presidente russo Vladimir Putin per crimini di guerra commessi durante l’invasione russa dell’Ucraina.

La CPI è diventata un tribunale politico che è riuscito ad emettere un’incriminazione contro Putin. Ma, dopo otto settimane da quello che è presumibilmente il peggior disastro (a Gaza) per mano dell’uomo, il procuratore generale è rimasto in silenzio ed è venuto (in visita) su richiesta di Israele.”

Nafii è d’accordo e aggiunge che Khan non può sostenere di non sapere o di essere all’oscuro delle atrocità israeliane contro i palestinesi.

Quante persone vuole vedere morte prima di parlare?” dice ad Al Jazeera. “Vorrei che fosse abbastanza coraggioso da dire la verità e dirla pubblicamente.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Nella guerra di Israele a Gaza le redazioni sono diventate campo di battaglia

Somdeep Sen


8 dicembre 2023, Al Jazeera

E nella battaglia su come viene raccontata la guerra da Gaza, i giornalisti sono le vittime principali.

Non molto tempo fa il mondo è stato testimone di immagini fortemente contrastanti.

Da un lato abbiamo visto sui nostri schermi il giornalista televisivo palestinese Salman al-Bashir visibilmente distrutto dal dolore alla notizia della morte del suo collega Mohammad Abu Hatab. Hatab era in onda 30 minuti prima. Tornato a casa Hatab e undici membri della sua famiglia sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano.

Al-Bashir era in lacrime: “Non ne possiamo più. Siamo esausti, siamo qui vittime e martiri in attesa della morte, uno dopo l’altro, e nessuno si preoccupa di noi o della immane catastrofe e del crimine a Gaza”. Poi si è tolto l’equipaggiamento protettivo aggiungendo: “Nessuna protezione, nessuna protezione internazionale, nessuna immunità verso nulla, questo equipaggiamento protettivo non ci protegge e nemmeno i caschi”.

Abbiamo visto anche le immagini della CNN, attentamente preparate e selezionate, che seguono l’operazione di terra dell’esercito israeliano a Gaza. Ci è stato detto che la CNN era “integrata” all’esercito. Come condizione per entrare a Gaza con il supporto aereo israeliano, i media sono tenuti a “presentare all’esercito israeliano tutto il materiale e i filmati all’esercito israeliano per la revisione prima della pubblicazione”. La CNN aveva accettato.

Se non era già abbastanza evidente, i media e il giornalismo sono diventati un campo di battaglia fondamentale in questa guerra Israele-Gaza. E nella lotta su come viene raccontata la guerra i giornalisti sono stati le vittime principali.

Il 3 dicembre Shima El-Gazzar, giornalista palestinese della rete Almajedat, è stata uccisa insieme ai suoi familiari in un attacco aereo israeliano sulla città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Il 23 novembre un attacco aereo sulla sua casa nel campo profughi di Nuseirat, al centro di Gaza, è costato la vita al giornalista Muhammad Moin Ayyash e a circa 20 membri della sua famiglia.

Il 19 novembre Bilal Jadallah, direttore di Press House-Palestine, un’organizzazione non-profit che sostiene lo sviluppo dei media palestinesi indipendenti, è stato ucciso da un attacco aereo israeliano contro la sua auto.

Il 7 novembre è stato riferito che il giornalista palestinese Mohammad Abu Hasira è stato ucciso insieme a 42 membri della sua famiglia in un attacco aereo israeliano sulla sua casa vicino a Gaza City.

Solo due giorni prima i media avevano riportato che Mohamed al-Jaja, un altro operatore dei media per Press House-Palestine, era stato ucciso insieme a sua moglie e due figli in un attacco aereo nel nord di Gaza.

Il 30 ottobre anche Nazmi al-Nadim, vicedirettore delle finanze e dell’amministrazione della TV palestinese, è stato ucciso in un attacco aereo insieme ai suoi familiari.

Il 26 ottobre, il mondo ha visto il capo dell’ufficio arabo di Al Jazeera Wael Dahdouh seppellire “moglie, figlio, figlia e nipote” uccisi in un attacco aereo sul campo di Nuseirat. In una dichiarazione l’esercito israeliano ha affermato che stava prendendo di mira “infrastrutture terroristiche nell’area”.

Il 13 ottobre Issam Abdallah, eminente giornalista di Reuters– che indossava indumenti protettivi con sopra la dicitura “stampa” – è stato ucciso da un razzo israeliano lanciato attraverso il confine tra Israele e Libano.

In totale, secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ) [organizzazione indipendente e senza scopo di lucro che promuove la libertà di stampa in tutto il mondo, ndt.] nel periodo dei due mesi tra il 7 ottobre e il 6 dicembre dentro e intorno alla Striscia di Gaza sono stati uccisi 63 giornalisti e operatori dei media, per lo più palestinesi. Jonathan Dagher, responsabile dell’ufficio Medio Oriente di Reporter Senza Frontiere, ha dichiarato: “Ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza è una tragedia per il giornalismo… La situazione è drammatica. Chiediamo la protezione dei giornalisti nella Striscia e che sia consentito l’ingresso nel territorio a giornalisti stranieri che possano lavorare liberamente”.

Tuttavia la battaglia non riguarda solo chi potrà riferire di questa guerra. È anche una battaglia su come viene raccontata la guerra. Sono importanti le parole, le frasi e le immagini utilizzate in onda per descrivere gli eventi sul campo.

Durante una conversazione John Collins, professore di studi globali alla St Lawrence University e direttore del quotidiano indipendente Weave News, mi diceva: “Le parole costruiscono per noi la realtà. In tempo di guerra le parole usate dai giornalisti dovrebbero aiutarci a chiarire cosa sta succedendo e perché. Ma troppo spesso quelle parole servono a distrarci, a fuorviarci o a proteggere i potenti dalle loro responsabilità”.

Questo giornalismo fuorviante avviene a un livello molto elementare nel modo in cui le morti palestinesi vengono descritte nelle notizie. Mentre si dice che i palestinesi sono “morti”, gli israeliani vengono “uccisi”. La seconda formulazione riconosce un’azione attiva di uccisione da parte di qualcuno, ma la prima è passiva. Come a dire che nessuno è responsabile delle morti palestinesi o suggerire – come ha fatto il portavoce militare israeliano tenente colonnello Richard Hecht in seguito all’attacco al campo profughi di Jabalia – che le morti palestinesi siano semplicemente un’inevitabile “tragedia di guerra”.

Certamente una minimizzazione del bilancio delle vittime palestinesi è stata fatta anche dal presidente Biden quando ha messo in dubbio l’accuratezza dei numeri, visto che il Ministero della Sanità a Gaza è gestito da Hamas. Ha detto: “Sono sicuro che degli innocenti siano stati uccisi, ed è il prezzo da pagare nell’intraprendere una guerra… Ma non credo al numero che i palestinesi stanno dando”. Tale accusa ha effettivamente piantato il seme del dubbio sull’effettiva gravità della sofferenza palestinese, con diversi organi di stampa che hanno valutato e riportato il modo in cui il Ministero della Salute ha calcolato le vittime – questo mentre le agenzie umanitarie internazionali insistono che i numeri del ministero sono effettivamente affidabili.

Anche il modo in cui i media inquadrano il “perché”, il “come”, e il “cosa accadrà dopo” di questa guerra in corso, influenza l’opinione pubblica. In qualità di studioso di disinformazione e propaganda Nicholas Rabb ha scoperto che “la retorica fuorviante e la copertura incessantemente unilaterale” da parte dei media statunitensi e israeliani ha consentito la “demonizzazione acritica dei palestinesi”.

Ciò include i media di destra negli Stati Uniti che seminano allarme su un’imminente “Giornata globale della Jihad” indetta da Hamas. Un funzionario della Sicurezza Nazionale ha affermato che non c’erano prove credibili di una minaccia imminente sul suolo americano. Tuttavia, dopo aver ascoltato un discorso conservatore alla radio ed essersi allarmato per un imminente “Giorno della Jihad”, un uomo di 71 anni ha aggredito la sua inquilina, una donna palestinese americana, prima di pugnalarne a morte il figlio di sei anni.

Il gruppo Honest Reporting, che monitora e denuncia i pregiudizi anti-israeliani nei media, ha anche sollevato questioni etiche sui fotoreporter residenti a Gaza che lavorano con aziende del calibro di Reuters, Associated Press, CNN e New York Times e su come siano riusciti a catturare immagini dalle aree di confine forzate il 7 ottobre. Si chiedeva: “Cosa stavano facendo lì così presto in quello che normalmente sarebbe stato un tranquillo sabato mattina? È stato coordinato con Hamas? Le rispettabili agenzie di stampa che hanno pubblicato le loro foto avevano approvato la loro presenza in territorio nemico, insieme agli infiltrati terroristi?”

Mentre tutte le agenzie accusate negavano con veemenza le accuse secondo cui fossero a conoscenza dell’attacco, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha cavalcato la cosa e ha detto: “Questi giornalisti sono complici di crimini contro l’umanità, le loro azioni sono contrarie all’etica professionale”.

Indignati per gli attacchi ai giornalisti, al giornalismo indipendente e alla rappresentazione della guerra da parte dei media, 750 giornalisti hanno firmato una lettera aperta chiedendo la protezione dei giornalisti. La lettera incoraggia inoltre i giornalisti a “dire tutta la verità senza timore o favoritismi” e a utilizzare “termini precisi e ben definiti dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani” come “apartheid”, “pulizia etnica” e “genocidio” nei servizi giornalistici. La lettera si conclude dicendo: “Riconoscere che distorcere le nostre parole per nascondere prove di crimini di guerra o di oppressione dei palestinesi da parte di Israele è una negligenza giornalistica e un’abdicazione alla limpidezza morale. L’urgenza del momento non può essere sottovalutata. È necessario cambiare rotta”.

Considerando la crisi umanitaria a Gaza pochi possono negare l’urgenza di questo momento. Tuttavia, solo il tempo dirà se ciò si tradurrà nel riconoscimento dell’importanza di proteggere i giornalisti e il giornalismo in un momento di crisi estrema.

Somdeep Sen è professore associato di Studi sullo Sviluppo Internazionale presso l’Università di Roskilde in Danimarca. È autore di Decolonizing Palestine: Hamas between the Anticolonial and the Postcolonial (Decolonizzare la Palestina: Hamas tra anticoloniale e postcoloniale, Cornell University Press, 2020).

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Netanyahu rischierà un conflitto nei tunnel per “estirpare Hamas” e rimanere al potere?

Nils Adler

8 dicembre 2023- Al Jazeera

Le forze israeliane potrebbero rischiare uno scontro sotto Gaza mentre Netanyahu, politicamente in difficoltà, persegue la sconfitta totale di Hamas.

La presa di Benjamin Netanyahu sulla propria carica di primo ministro di Israele appare sempre più debole.

Molti israeliani ritengono lui e il suo gabinetto responsabili dei fallimenti in termini di sicurezza del 7 ottobre, ed egli è stato oggetto di pesanti critiche interne per la gestione della guerra contro Gaza. A ciò si aggiunge il fatto che da tempo è impelagato in accuse di corruzione e critiche sui progetti di modifica del sistema giudiziario.

Diversi sondaggi mostrano che se le elezioni si tenessero adesso sarebbe costretto a dimettersi.

Ora, mentre i soldati israeliani marciano più in profondità nel sud di Gaza, Netanyahu potrebbe trovarsi di fronte a una decisione in grado di comportare enormi conseguenze politiche per la sua carriera: se inviare truppe israeliane nella rete di tunnel di 500 km sotto Gaza.

Ogni tunnel rappresenta una minaccia significativa”

Secondo Philip Ingram, membro dell’MBE [ordine dell’impero britannico, principale onorificenza del Paese, ndt.] ed ex ufficiale dellintelligence militare britannica, se gli israeliani dovessero entrare nella rete di tunnel di Gaza ciò inaugurerebbe una nuova fase della guerra, riducendo significativamente il differenziale di potenza militare tra i contendenti.

In superficie Israele ha intrapreso un implacabile bombardamento aereo e uninvasione di terra dellenclave di 365 kmq sfruttando la sua superiorità sul piano degli armamenti.

Sottoterra Hamas potrebbe fare affidamento su una sofisticata rete di tunnel che costringerebbero i soldati israeliani a procedere a piedi in un’unica fila.

Le sfide per gli israeliani sarebbero enormi” a causa della mancanza di informazioni sufficienti sulla localizzazione dei tunnel, sulla loro estensione e sull’entità delle trappole esplosive che Hamas potrebbe aver predisposto, ha detto Ingram, aggiungendo che dal punto di vista militare gli israeliani vorrebbero certamente evitare di dover combattere nei tunnel”.

Data lesperienza di Hamas nel predisporre trappole esplosive e agguati ogni tunnel rappresenta una minaccia significativa” per le truppe israeliane, ritiene Elijah Magnier, un analista militare che si è occupato di Medio Oriente per più di 30 anni.

Nell’eventualità di una guerra nei tunnel la resistenza palestinese sembra godere di un vantaggio strategico”, dice, riferendosi allelevato numero di soldati israeliani che muoiono o rimangono feriti nella ricerca degli ingressi alla rete di tunnel.

Lesercito israeliano vanta tra i suoi ranghi i Weasels [faine, ndt.] (Samur), ununità specializzata nella guerra nei tunnel, riferisce Ingram, spiegando che le truppe specializzate avranno tutti gli strumenti” e cani addestrati per essere agevolati nel farsi strada nei tunnel.

Tuttavia, non importa quanto si siano esercitati, dice: quale sia la reale situazione laggiù resta in gran parte sconosciuto, il che rende il tutto molto rischioso.

L’organizzazione predisposta da Hamas e la sua profonda conoscenza della vasta rete di tunnel sposterebbero anche i combattimenti da un conflitto a 360 gradi” in superficie a uno in 3D” per le truppe israeliane, che potrebbero dover affrontare un attacco da ogni angolo, afferma.

In ogni caso, gli esperti ritengono che un potenziale conflitto nei tunnel resti probabile a causa della promessa di Netanyahu di eliminare Hamas e i suoi centri di comando sotterranei.

Magnier ritiene che la recente pausa umanitaria” di sette giorni a Gaza ha permesso ad Hamas e alla Jihad islamica di ristrutturare le loro strategie difensive e prepararsi al conflitto in corso”.

Settimane fa i media hanno riferito che Israele avrebbe preso in considerazione la possibilità di avvalersi a proprio favore dell’utilizzo all’interno dei tunnel di gas tossici per cercare di debellare i combattenti di Hamas al loro interno. Lipotesi ha suscitato scalpore a livello internazionale.

Il Wall Street Journal ha recentemente affermato che Israele potrebbe valutare come alternativa all’ingresso delle truppe l’ipotesi di allagare i tunnel con acqua di mare.

Citando funzionari statunitensi, i media hanno affermato che le forze israeliane avrebbero già assemblato a metà novembre un complesso di cinque pompe appena a nord del campo profughi di Shati.

Si legge nell’articolo che le pompe attingerebbero l’acqua dal Mediterraneo immettendola nei tunnel e sarebbero in grado di allagare la rete nel giro di poche settimane.

Estirpare Hamas

Netanyahu si è impegnato a distruggere Hamas” come una delle risposte allattacco del 7 ottobre.

E alla fine per salvare la sua carriera politica potrebbe decidere di inviare truppe nei tunnel nonostante il rischio di enormi perdite, ha detto Nader Hashemi, professore associato di Politica Medio Orientale e Islamica alla Georgetown University.

Netanyahu, ha aggiunto Hashemi, sa che a meno che non riesca a estirpare Hamas e… rivendicare una vittoria finale, non avrà la possibilità di proseguire la sua carriera politica in Israele”.

Netanyahu non ha promesso solo la sconfitta di Hamas, ma anche il rilascio dei 125 prigionieri che secondo Israele si trovano ancora a Gaza.

Israele ritiene che i prigionieri siano tenuti nelle reti sotterranee sotto Gaza, il che significa, secondo Magnier, che l’accesso ai tunnel sarà considerato cruciale dalle forze israeliane incaricate di liberarli.

Unoperazione militare nei tunnel potrebbe anche mettere a rischio i prigionieri, un’altra cosa che Netanyahu potrebbe essere disposto a rischiare per garantire la sconfitta di Hamas.

Hashemi fa riferimento alla Direttiva Annibale, una oscura politica militare israeliana che, secondo quanto riferito, consentirebbe nel caso di rapimento di un soldato luso del massimo della forza, anche se ciò provocasse la morte del soldato, come indicazione che Israele potrebbe dare priorità ai suoi obiettivi militari rispetto alla morte degli ostaggi”.

Costi militari vs benefici politici

Hashemi dice che anche se Netanyahu prende in considerazione un’eventuale operazione nei tunnel, la domanda nella sua mente sarà “quante vittime è disposto a subire davanti all’opinione pubblica” per raggiungere il suo obiettivo.

Ingram ritiene che la decisione verrà presa dopo aver soppesato rischi e benefici e che un probabile risultato sarà che Israele continuerà a mappare la rete dallalto, con l’uso di radar che penetrano nel terreno nel tentativo di identificare i centri di comando chiave, in modo da prenderli di mira espressamente facendo uno squarcio” nella rete.

Dice che, sebbene in molti conflitti precedenti ci sia stata una guerra nei tunnel, la città sotterranea” creata da Hamas ha raggiunto una nuova dimensione”. Afferma che lesercito israeliano si trova ad affrontare un compito senza precedenti e dovrà essere incredibilmente cauto.

Non è chiaro quando Israele potrebbe tentare di entrare nei tunnel.

Magnier dice che Israele è sotto pressione di fronte alle crescenti critiche internazionali e ai crimini di guerra e contro lumanità” e mentre ciò implica che avrebbe bisogno di raggiungere i suoi obiettivi più velocemente, stabilire un calendario specifico per le operazioni di terra costituisce una sfida per qualsiasi comandante militare”.

Lavanzata israeliana, prosegue, è stata straordinariamente lenta nonostante sia avvenuta in una zona residenziale piccola ma densamente popolata” e spiega come il bombardamento indiscriminato di aree civili da parte di Israele abbia aiutato involontariamente la resistenza fornendole copertura e riparo.

Se le truppe israeliane entrassero nella rete di tunnel ciò potrebbe significare un conflitto prolungato, che si svolgerebbe sotto terra in un vuoto di informazioni.

Se accerchiato Hamas potrebbe trovarsi ad affrontare una carenza di carburante e di rifornimenti mentre, al contrario, le truppe israeliane potrebbero procedere a rilento per settimane e settimane solo per avanzare di 100 metri”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Disputa online tra Israele e OMS sulla rimozione delle forniture mediche a Gaza

Redazione di Al Jazeera e altre agenzie

5 dicembre 2023 – Al Jazeera

Israele nega di aver ordinato all’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite di rimuovere le forniture mediche dal suo magazzino nel sud di Gaza.

È emersa una disputa online tra lOrganizzazione mondiale della sanità (OMS) e Israele dopo che lorganismo sanitario delle Nazioni Unite ha dichiarato che lesercito israeliano gli avrebbe ordinato di rimuovere il materiale [medico] dal suo magazzino nel sud di Gaza, affermazione che Israele ha poi negato.

L’“OMS ha ricevuto una notifica” dall’esercito israeliano secondo cui entro 24 ore dovremmo rimuovere le forniture di materiale sanitario dal nostro magazzino nel sud di Gaza poiché le operazioni di terra lo renderanno inutilizzabile”, ha detto lunedì in un post su X il suo responsabile Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Ha chiesto a Israele di ritirare l’ordine e adottare misure per proteggere infrastrutture e ospedali.

Martedì lesercito israeliano ha ribattuto dicendo di non aver mai lanciato un’ingiunzione del genere. La verità è che non vi abbiamo chiesto di svuotare i magazzini e lo abbiamo anche chiarito [e per iscritto] ai rappresentanti delle Nazioni Unite competenti,” ha detto su X il COGAT, lorganismo del ministero della Difesa israeliano responsabile degli affari civili palestinesi.

“Da un funzionario delle Nazioni Unite ci aspetteremmo, almeno, di essere più preciso”, ha aggiunto.

Questa controversia sta divampando sui social media e ci si può aspettare che continuerà,” ha detto Alan Fisher il giornalista di Al Jazeera da Gerusalemme Est occupata.

“Possiamo constatare che l’OMS ha preso la cosa sul serio e ha iniziato a spostare il materiale fuori dal magazzino”, afferma il nostro corrispondente, aggiungendo che il magazzino rifornisce 11 ospedali nel sud di Gaza, e tra i funzionari delle Nazioni Unite ci sono preoccupazioni che la rimozione delle forniture possa determinare un ulteriore sovraccarico per gli ospedali del Sud.

Ciò potrebbe trasformarsi in una disputa diplomatica più ampia,” osserva.

LOMS, come altre agenzie delle Nazioni Unite, ha ripetutamente invitato Israele a limitare luso della forza per evitare di prendere di mira strutture civili e sanitarie nella sua offensiva militare a Gaza.

Non c’è nessun posto sicuro a Gaza”

Nel frattempo, lunedì, Lynn Hastings, coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite per i territori palestinesi, ha avvertito che sta per manifestarsi uno scenario ancora più infernale, in cui le operazioni umanitarie potrebbero non essere in grado di fornire risposte”, aggiungendo che non esistono le condizioni necessarie per garantire gli aiuti alla popolazione di Gaza”.

Dopo la cessazione di una tregua durata sette giorni le forze militari israeliane si sono spinte nel sud di Gaza, costringendo decine di migliaia… in spazi sempre più compressi, alla disperata ricerca di cibo, acqua, riparo e sicurezza”, ha affermato Hastings in una nota. Non c’è nessun posto sicuro a Gaza e non c’è più nessun posto dove andare”.

Dopo che il 7 ottobre Hamas ha lanciato un assalto nel sud di Israele uccidendo più di 1.100 persone, Israele ha bombardato la Striscia di Gaza uccidendo più di 15.900 palestinesi, tra cui 6.600 bambini. Interi quartieri sono stati polverizzati e circa 1,9 milioni di persone, più dell80% della popolazione, sono fuggite dalle proprie case.

LOMS ha registrato un numero senza precedenti di attacchi al sistema sanitario della Striscia, di cui 203 contro ospedali, ambulanze, attrezzature mediche, e l’arresto di operatori sanitari.

Afflusso di cadaveri’

Nel fine settimana, dopo aver concentrato per più di un mese la maggior parte dei raid aerei e terrestri nel nord di Gaza l’esercito israeliano ha annunciato l’espansione delle sue operazioni nel sud in seguito alla rottura della tregua. La mossa ha suscitato grandi preoccupazioni tra i funzionari sanitari che temono un ulteriore peggioramento di una crisi umanitaria già catastrofica.

Siamo inondati da un afflusso di cadaveri,” ha detto lunedì ad Al Jazeera Munir al-Bursh, direttore generale del Ministero della Salute di Gaza, descrivendo un sistema sanitario al collasso, incapace di far fronte ai bisogni della popolazione a fronte di una grave carenza del personale e delle forniture mediche.

Le aree del sud sono piene di civili sfuggiti ai bombardamenti nel nord dopo aver obbedito agli ordini israeliani di evacuazione che indicavano il sud di Gaza come uno spazio sicuro. Ma mentre quellarea viene pesantemente bombardata e i carri armati si avvicinano alla principale città del sud, Khan Younis, i civili esprimono un grande senso di paura e frustrazione su dove spostarsi in seguito.

LOMS ha rilasciato una dichiarazione in cui avverte che lintensificazione delle operazioni militari di terra a Khan Younis potrebbe privare migliaia di persone dellassistenza sanitaria, in particolare da parte dei due principali ospedali della zona, poiché il numero di feriti e malati è in aumento”.

L’agenzia dell’ONU stima che nel sud migliaia di persone si stiano ora rifugiando presso il Nasser Medical Complex e altre 70.000 circa presso lospedale europeo di Gaza, provvisto di 370 posti letto.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




‘Non sono antisemita’: artisti filopalestinesi boicottati in Europa

Alisdair Soussi

30 novembre 2023 – Al Jazeera

Un famoso fotogiornalista bengalese, un regista palestinese e uno scrittore USA segnalano che gli spazi culturali sono a rischio di repressione.

All’inizio di ottobre, quando Israele ha cominciato a bombardare Gaza, Shahidul Alam, fotogiornalista bengalese, era impegnato nella co-curatela di una mostra fotografica in programma in Germania.

Angosciato, si è preso una pausa dal lavoro e si è rivolto ai social media per condannare gli attacchi israeliani contro l’enclave palestinese densamente popolata.

Alam stesso è abituato a violazioni dei diritti umani e a dire cosa pensa.

Nel 2018 è stato celebrato dalla rivista Time per la sua decennale carriera nel documentare l’instabilità politica in Bangladesh. Quell’anno era stato incarcerato per più di 100 giorni, accusato di “false” dichiarazioni per aver criticato in un’intervista la prima ministra Sheikh Hasina.

Fin dall’inizio della guerra di Israele contro Gaza, Alam ha scritto decine di post sul conflitto su Facebook per i suoi 114.000 follower.

Uno dei post dell’8 ottobre ha detto: “La notizia di corpi seminudi di israeliani messi in fila è orrenda e non può essere giustificata … Soffro per tutte le vite distrutte di palestinesi e israeliani.”

In un altro post il 29 ottobre ha scritto: “L’orrenda violenza di questo weekend è la cruda realtà dell’apartheid israeliano, il frutto malvagio di decenni di occupazione di un popolo senza patria, privato dei diritti fondamentali e della libertà.”

Il 21 novembre la Biennale tedesca di fotografia contemporanea ha ritirato il fotografo di lungo corso, accusandolo di antisemitismo.

Vari post di Shahidul Alam sul suo canale Facebook dopo il 7 ottobre hanno offerto spazio a contenuti che posso essere letti come antisemiti e di contenuto antisemita,” si dice.

I due co-curatori bangladesi di Alami, Tanzim Wahab e Munem Wasif, si sono dimessi in solidarietà, inducendo gli organizzatori ad annullare il tour del prossimo anno della mostra in tre città tedesche.

Hanno detto che fra i post che sarebbero antisemiti c’è “in un’intervista senza commenti di Shahidul Alam con l’ambasciatore palestinese in Bangladesh, un paragone della guerra attuale con l’Olocausto, e accuse di genocidio dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinesi a Gaza”.

Hanno anche protestato perché Alam non avrebbe cancellato dalla sua pagina “commenti razzisti e altri simili” contro gli israeliani, palesemente fatti da alcuni dei suoi follower.

Alam, Wahab e Wasif hanno respinto le accuse.

Noi abbiamo la responsabilità morale di decidere da quale parte della storia stiamo,” hanno riferito martedì in una dichiarazione.

Alam ha detto ad Al Jazeera: “Sono un antisionista, il che significa che sono contro colonialismo, colonialismo di insediamento, razzismo, apartheid e genocidio.

Non sono antisemita ed è veramente deprecabile che la Germania scelga di confondere le due cose, [poiché questo] è al servizio e promuove il suprematismo bianco.”

L’episodio è una delle molte conseguenze negative con accuse di antisemitismo verso personalità di alto livello del mondo artistico occidentale nelle settimane recenti riguardo alla guerra in Medio Oriente.

Alta la tensione per vari casi in Germania, che ha una responsabilità speciale verso Israele data la sua storia derivante dall’Olocausto. Tuttavia artisti, manifestanti e attivisti dicono che il giro di vite di Berlino confonde la critica alle politiche israeliane con il razzismo antiebraico.

Estremamente sconvolgente

Israele ha cominciato a bombardare Gaza dopo che Hamas, che governa la densamente popolata Striscia, ha attaccato il sud di Israele, uccidendo circa 1.200 israeliani e prendendo oltre 200 ostaggi. Ad oggi gli attacchi di Israele, che ufficialmente mirano a distruggere il gruppo palestinese, hanno ucciso oltre 15.000 persone, fra cui molti minori.

All’indomani dell’attacco di Hamas, la Fiera del Libro di Francoforte “ha rinviato sine die” l’intervento della scrittrice palestinese Adania Shibli, che il 20 ottobre doveva ricevere un premio per il suo romanzo Un dettaglio minore.

Il 13 novembre Anaïs Duplan, curatore nato ad Haiti, è rimasto “senza parole” dopo l’improvvisa cancellazione della sua mostra Afrofuturism al Museum Folkwang in Germania da parte del direttore Peter Gorschluter.

Gorschluter ha detto che i post di Duplan sui social media “non citano l’attacco terroristico di Hamas e considerano un genocidio l’operazione militare israeliana a Gaza”.

Nel frattempo parecchi artisti si sono ritirati dalla famosa mostra di arte moderna Documenta, uno scontro che ha dominato le prime pagine culturali europee per settimane.

Il 16 novembre la maggior parte dei sei membri della commissione di ricerca della mostra ha rimesso il proprio incarico in solidarietà con Ranjit Hoskote, che aveva rassegnato le dimissioni giorni prima dopo che un quotidiano tedesco, Suddeutsche Zeitung, aveva rivelato che nel 2019 aveva firmato una lettera pubblicata dalla sezione indiana del movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).

In Germania quella lettera aveva sollevato accuse di antisemitismo contro Hoskote, uno scrittore e curatore.

In precedenza, l’amministratore delegato di Documenta, Andreas Hoffmann, aveva pubblicamente condannato i due direttori artistici indonesiani dell’ultima Documenta nel 2022 perché avrebbero postato un like, poi un unlike, a un post su Instagram a sostegno della Palestina.

Il post filopalestinese era stato pubblicato da un artista e attivista britannico, Hamja Ahsan, che aveva partecipato all’edizione del 2022 di Documenta. Il nome utente sull’account di Ahsan, ‘realdocumenta’ è poi stato sospeso. Avrebbe sostenuto che Hoffmann aveva presentato una protesta alla piattaforma di social media per una violazione del marchio registrato.

Ahsan ha detto ad Al Jazeera di credere che la protesta di Hoffman sia un pretesto per censurare il suo contenuto filopalestinese, e descrive l’episodio come “estremamente sconvolgente”.

Hoffmann ha detto che l’username di Ahsan “violava il marchio ‘Documenta’ … Basandosi sulle sue condizioni di uso, Instagram è arrivato alla conclusione che l’account doveva essere bloccato.”

Propaganda contro i palestinesi’

Anche i settori culturali, dal Regno Unito all’Olanda, sono stati coinvolti.

All’inizio di questo mese vari registi si sono ritirati dal festival di documentari più importante al mondo, che si tiene in Olanda, dopo che gli organizzatori avevano criticato una protesta filopalestinese alla serata della prima, durante la quale alcuni attivisti avevano sventolato sul palcoscenico uno striscione con la scritta ‘Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera’”.

Il direttore artistico del Festival Internazionale del Documentario di Amsterdam (IDFA), Orwa Nyrabia, inizialmente aveva applaudito la protesta, ma poi ha condannato lo slogan.

La regista palestinese Basma Alsharif, fra quanti hanno abbandonato il festival, ha accusato Nyrabia di spargere disinformazione.

Questo tipo di propaganda contro i palestinesi accusati di essere antisemiti è stato usato ampiamente contro di noi per molto tempo,” ha detto Alsharif ad Al Jazeera dello slogan “dal fiume al mare”, ritenuto un grido di battaglia da parte dei manifestanti filopalestinesi, ma una richiesta di distruggere Israele dai sostenitori dello Stato ebraico.

Ci sono stati decenni di lotte per far chiarezza e piazza pulita [di quella interpretazione errata], ma è evidente che non sta funzionando, perché [accuse come questa] proprio ora sono usate molto aggressivamente contro di noi.”

Nathan Thrall, un acclamato autore americano che vive a Gerusalemme, non vedeva l’ora di partecipare il 12 ottobre al lancio londinese del suo libro A Day in the Life of Abed Salama: A Palestine Story, [Un giorno nella vita di Abed Salama: una storia palestinese], ma l’evento è stato improvvisamente cancellato dalla polizia per motivi di sicurezza.

Il Festival di Letteratura Palestinese che lo doveva ospitare ha annunciato la misura, che la polizia metropolitana di Londra non ha negato: “Non rilasciamo commenti su consigli sulla sicurezza dati a individui,” hanno detto ad Al Jazeera.

Il lavoro di saggistica narrativa di Thrall descrive in dettaglio le difficoltà fronteggiate dai palestinesi sotto l’occupazione israeliana.

Egli ha riferito ad Al Jazeera che la sua presenza londinese sarebbe stato “l’evento più importante del tour per il mio libro”.

È un momento in cui l’atmosfera nel Regno Unito è [politicamente] molto ostile a espressioni di simpatia per i palestinesi,” ha detto Thrall.

Lo scrittore, i cui eventi americani per il libro sono stati anch’essi cancellati, ha aggiunto: “Ovviamente non volevo tenere un evento se c’era veramente un problema di sicurezza,” ma si è chiesto se “gli incontri centrati su un libro filoisraeliano avrebbero sollevato le stesse preoccupazioni sulla sicurezza”.

Dopo quasi due mesi di cancellazioni e condanne, gli artisti palestinesi in Europa vedono un futuro incerto.

Essere un artista è già così precario,” ha detto Alsharif. “Come è possibile [che si possano] punire in campo culturale le opinioni politiche personali su qualcosa?

Questo è un precedente molto pericoloso. E se non prendi posizione significa che tutto [ciò che dici o fai] può essere controllato per vedere se rientra nell’ambito del pensiero dominante.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele arresta quasi tanti palestinesi quanti ne ha rilasciati durante la tregua

Zena Al Tahhan

28 novembre – Al Jazeera

Nei primi quattro giorni dello scambio di prigionieri tra Israele e Hamas, Israele ha rilasciato 150 palestinesi e ne ha arrestati 133

Ramallah, Cisgiordania occupata – Mentre si svolgeva lo scambio di prigionieri con Hamas, il gruppo armato con sede a Gaza, Israele ha continuato ad arrestare decine di palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

Nei primi quattro giorni della tregua tra Israele e Hamas, iniziata venerdì, Israele ha rilasciato 150 prigionieri palestinesi – 117 minori e 33 donne.

Hamas ha rilasciato 69 prigionieri: 51 israeliani e 18 persone di altre nazionalità.

Negli stessi quattro giorni, secondo le associazioni dei prigionieri palestinesi, Israele ha arrestato almeno 133 palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania.

Finché ci sarà occupazione, gli arresti non si fermeranno. La gente deve capirlo perché questa è una politica fondamentale dell’occupazione contro i palestinesi per schiacciare qualsiasi tipo di resistenza”, dice ad Al Jazeera Amany Sarahneh, portavoce della Associazione dei Prigionieri Palestinesi.

“E’ una pratica quotidiana, non solo dopo il 7 ottobre”, aggiunge. “Ci aspettavamo che durante questi quattro giorni arrestassero più persone”.

La tregua mediata dal Qatar è arrivata dopo 51 giorni di incessanti bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza assediata, iniziati il 7 ottobre, il giorno in cui Hamas ha lanciato un attacco a sorpresa sul territorio israeliano uccidendo circa 1.200 persone.

Da allora Israele ha ucciso più di 15.000 palestinesi nella Striscia di Gaza, la maggior parte dei quali donne e minorenni.

Lunedì la tregua, originariamente di quattro giorni, è stata prorogata di altri due, durante i quali si prevede che verranno rilasciati altri 60 palestinesi e 20 ostaggi.

Dall’occupazione militare israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, che dura da 56 anni, le forze israeliane effettuano incursioni notturne nelle case palestinesi arrestando da 15 a 20 persone nelle giornate “tranquille”.

Nelle prime due settimane dopo il 7 ottobre Israele ha raddoppiato il numero dei palestinesi in detenzione, passando da 5.200 a più di 10.000. Il numero include 4.000 lavoratori di Gaza che lavoravano in Israele e sono stati detenuti prima di essere successivamente riportati a Gaza.

Avvocati dei prigionieri palestinesi e gruppi di monitoraggio hanno registrato 3.290 arresti in Cisgiordania e Gerusalemme Est dal 7 ottobre. A metà novembre, Eyad Banat, 35 anni, è stato arrestato mentre trasmetteva in diretta su TikTok. Successivamente è stato rilasciato.

Nessuna garanzia con l’occupazione”

Dall’inizio della tregua le strade di Ramallah si sono riempite di persone che accolgono i prigionieri liberati.

Ma la preoccupazione per i prigionieri palestinesi non finisce dopo il loro rilascio. La maggior parte delle persone liberate in genere viene nuovamente arrestata dalle forze israeliane nei giorni, nelle settimane, nei mesi e negli anni successivi al loro rilascio.

Decine di coloro che erano stati rilasciati in uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas nel 2011 sono stati nuovamente arrestati e la loro pena è stata confermata.

Sarahneh afferma che non è ancora chiaro se Israele abbia fornito garanzie che non arresterà nuovamente coloro che sono stati rilasciati.

Non ci sono garanzie con l’occupazione. Queste persone rischiano di essere nuovamente arrestate in qualsiasi momento. L’occupazione riarresta sempre le persone che sono state rilasciate”, sostiene.

“La prova più evidente che queste persone potrebbero essere nuovamente arrestate è che la maggior parte delle persone ora detenute sono prigionieri già liberati”, aggiunge.

Dal 7 ottobre le condizioni dei palestinesi agli arresti o in detenzione sono gravemente peggiorate. Molti hanno denunciato pestaggi, mentre sei prigionieri palestinesi sono morti durante la custodia israeliana.

Molte delle donne e dei minori rilasciati durante la tregua hanno testimoniato degli abusi subiti nelle carceri israeliane.

Nelle ultime settimane hanno circolato anche diversi video di soldati israeliani che picchiano, calpestano, maltrattano e umiliano palestinesi detenuti che sono bendati, ammanettati e parzialmente o interamente denudati. Molti utenti dei social media hanno affermato che le scene hanno riportato alla mente le tecniche di tortura utilizzate dalle forze statunitensi nella prigione irachena di Abu Ghraib nel 2003.

Oltre ai violenti pestaggi, secondo le associazioni per i diritti, le autorità carcerarie israeliane hanno sospeso le cure mediche ai prigionieri palestinesi almeno per la prima settimana dopo il 7 ottobre, anche a quelli che sono stati picchiati. Le visite dei familiari e le visite di routine degli avvocati sono state interrotte, dicono le associazioni.

Secondo i gruppi per i diritti umani in precedenza ai prigionieri venivano concesse tre o quattro ore fuori dalle celle nel cortile, ma ora hanno meno di un’ora.

Le celle sovraffollate spesso ospitano il doppio del numero di detenuti per cui sono state costruite, molti dormono sul pavimento senza materassi, affermano.

Le autorità carcerarie israeliane hanno anche tagliato l’elettricità e l’acqua calda, condotto perquisizioni nelle celle, portato via tutti i dispositivi elettrici inclusi televisori, radio, piastre da cucina e bollitori, e chiuso la mensa, che i prigionieri usano per acquistare cibo e beni di prima necessità, come il dentifricio.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




‘Un posto dove volare’ – il Freedom Theatre di Jenin sopravvive coraggiosamente nonostante i raid israeliani

Mauricio Morales

25 novembre 2023 Al Jazeera

Una delle cose più allarmanti che Ranin Odeh ha osservato durante le attività che organizza per i bambini al Freedom Theatre nel campo di Jenin in Cisgiordania è che spesso i loro giochi diventano violenti. Frequentemente i bambini sono troppo turbolenti e si picchiano persino.

È una tipica reazione al trauma, dice. “Loro non capiscono perché lo fanno, ma io sì.” Ha spesso visto i bambini reagire al trauma delle incursioni israeliane nel campo con giochi violenti. Nel suo spazio non li permette, ma offre invece delle attività culturali e artistiche come alternativa per incanalare la loro paura e rabbia.

Capelli corti e neri e una presenza accogliente, la trentenne Odeh ha la vivacità e l’energia della gioventù, ma anche la decisione di una che ha visto molto ed è sopravvissuta. Il suo lavoro è particolarmente importante per una come lei cresciuta durante la seconda Intifada, o rivolta. Si identifica intensamente con la necessità che i bambini hanno di guarire dal trauma tramite arte e gioco.

I bambini hanno bisogno di spazi sicuri dove star bene, dice. “Devono avere un posto dove riuscire a volare.”

La vita per loro è traumatica. Odeh racconta che un giorno i bambini stavano divertendosi con un’attività nel Freedom Theatre ma improvvisamente c’è stato un attacco armato dell’esercito israeliano nel campo – un evento diventato molto più frequente dall’inizio della guerra di Israele contro Gaza il 7 ottobre.

Affrontare le bombe molotov

Lo stesso Freedom Theatre non è nuovo a pericoli e violenza.

In origine si chiamava Stone Theatre, fondato nel 1987, dopo la prima Intifada, da Arna Mer-Khamis, un’attivista israeliana morta nel 1995. Mer-Khamis nata nel 1929 in una famiglia ebrea è stata per tutta la vita una sostenitrice dei diritti dei palestinesi, specialmente dei bambini. Con il suo teatro e le arti voleva offrire loro uno spazio per guarire e alle donne per emanciparsi.

Il primo edificio ad ospitare il teatro fu distrutto nel 2002 dall’esercito israeliano durante la seconda Intifada. Nel 2006 Juliano Mer-Khamis, il figlio di Arna e del marito cristiano palestinese, Saliba Khamis, riaprì il teatro in una nuova sede a Jenin, che funge anche da centro comunitario.

Tuttavia non tutti erano a favore. Nel 2009 una persona non identificata gettò due bombe Molotov contro il teatro mentre era vuoto. Juliano a 52 anni fu ucciso a Jenin nel 2011 da un aggressore mascherato. Il caso del suo omicidio non è mai stato risolto.

Durante questa crisi Mustafa Sheta, l’alto e robusto direttore del teatro, dice che inizia ogni giorno sapendo che probabilmente non succederà niente di quello che aveva programmato.

Sheta ha un sorriso invitante, ti coinvolge intensamente quando parla del suo teatro o della guerra di Israele contro Gaza e dei frequenti attacchi contro la Cisgiordania occupata. Attacchi che in questi giorni avvengono quasi ogni volta che il 43enne parla con i visitatori del Freedom Theatre.

Due settimane fa – fra il 6 e il 10 novembre – ci sono stati attacchi multipli dell’esercito israeliano a Jenin e nei dintorni. Sheta e il personale del teatro erano dentro quando il 9 novembre, un giovedì, c’è stato un massiccio raid delle forze israeliane da mezzanotte fino all’alba di venerdì, che poi è ripreso a metà mattina. Ci sono stati scontri violenti accompagnati da attacchi di droni israeliani.

Prima che cominciasse la grande offensiva di giovedì notte c’erano già stati attacchi durante il giorno. La sera è stata interrotta l’elettricità e i militari hanno usato megafoni per annunciare che i civili avevano una finestra di due ore per lasciare il campo.

Quella notte, bambini, donne e uomini con pile o luci dei loro telefonini sono andati a piedi all’ospedale di Jenin in attesa che ricominciasse il raid. Durante la notte molti bambini sono rimasti intrappolati dentro le scuole aspettando che finissero le incursioni per potersi riunire alle loro famiglie. Quattordici palestinesi, alcuni di loro combattenti, sono stati uccisi.

Fare resistenza con l’arte

Perciò, data la probabilità di incursioni armate, il personale del teatro comincia ogni giorno cercando di scoprire se ce ne sarà una e Sheta dice che ha bisogno di sapere se il suo pubblico, i suoi quattro figli – due maschi e due femmine – il suo staff e le loro famiglie saranno al sicuro.

È molto difficile organizzare programmi regolari e quindi ha sempre un piano B. Ma dice che questo è il suo modo per resistere. E infatti “fare resistenza con l’arte” è il motto del teatro.

Anche noi facciamo parte della lotta,” aggiunge Sheta che crede che per liberare la Palestina dall’occupazione israeliana ci siano molti modi e che la lotta armata sia solo uno.

Sheta si considera un “guerrigliero culturale” ma neanche lui è sfuggito agli effetti della violenza. Suo padre, un insegnante delle superiori, è stato ucciso a Jenin dalle truppe israeliane nel 2002, proprio un mese prima che Sheta si laureasse, uno dei suoi sogni per i suoi figli.

Anche Sheta è stato arrestato nel passato ed è stato otto mesi in due carceri israeliane, accusato di “incitamento alla violenza”. Ha visto questa come un’opportunità per imparare qualcosa in più sulla situazione dei prigionieri. “La violenza contro i palestinesi in Cisgiordania, specialmente a Jenin, non è cominciata il 7 ottobre,” aggiunge.

Principalmente comunque crede nell’importanza di preservare la cultura palestinese e di stabilire un’identità per il suo popolo che vada oltre l’occupazione. “È ora di investire nella cultura palestinese. La lotta si fa a molti livelli, non solo con le armi.”

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)