Cosa significa lo “status quo” alla moschea Al-Aqsa di Gerusalemme?

Adam Sella

11 aprile 2023 Al Jazeera

Lo status quo del complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme è il motivo per cui un singolo raid della polizia può far precipitare una guerra a tutto campo.

Lo status giuridico del complesso della Moschea Al-Aqsa di Gerusalemme, noto agli ebrei come il Monte del Tempio, è un punto critico ricorrente nel conflitto israelo-palestinese.

La scorsa settimana la polizia israeliana ha fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa, attaccando e arrestando i fedeli palestinesi che si trovavano all’interno della sala di preghiera. Per rappresaglia sono stati lanciati dei razzi contro Israele da Gaza e dal Libano, provocando una breve esplosione di violenza.

Nel 2021 un raid simile ha portato a un assalto israeliano di 11 giorni alla Striscia di Gaza.

Per capire come un singolo raid della polizia possa scatenare una guerra bisogna capire lo status quo che governa il complesso della moschea di Al-Aqsa.

Qual è lo status quo?

Per i palestinesi – e secondo il diritto internazionale – la questione è abbastanza semplice.

Israele non ha sovranità su Gerusalemme [est] e quindi non ha sovranità su Al-Aqsa”, che si trova nella Gerusalemme est occupata da Israele, afferma Khaled Zabarqa, un esperto legale palestinese della città e del complesso. Di conseguenza, afferma Zabarqa, il diritto internazionale impone che Israele non sia autorizzato ad attuare alcuno status quo.

Secondo Nir Hasson, un giornalista di Haaretz che si occupa di Gerusalemme, per i palestinesi e il Waqf, la fondazione nominata dalla Giordania che gestisce il complesso di Al-Aqsa, si tratta di uno status quo radicato nell’amministrazione del sito sotto l’Impero ottomano, che ordinava che i musulmani avessero il controllo esclusivo di Al-Aqsa.

Gli israeliani, invece, la vedono diversamente, nonostante il diritto internazionale non riconosca alcun tentativo da parte di una potenza occupante di annettere il territorio che ha occupato.

Hasson spiega che “Lo status quo di cui parlano gli israeliani è completamente diverso dallo status quo di cui parlano il Waqf e i palestinesi”.

Per Israele lo status quo fa riferimento a un accordo del 1967 formulato da Moshe Dayan, l’allora ministro della difesa israeliano. Dopo che Israele occupò Gerusalemme Est, Dayan propose un nuovo accordo basato in parte sullo status ottomano.

Secondo lo status quo israeliano del 1967 il governo israeliano consente al Waqf di mantenere il controllo quotidiano dell’area e solo i musulmani possono pregare lì. Tuttavia la polizia israeliana controlla l’accesso al sito ed è responsabile della sicurezza e i non musulmani possono visitare il sito come turisti.

Shmuel Berkovits, avvocato ed esperto di luoghi santi in Israele, afferma che lo status quo stabilito nel 1967 non è protetto da alcuna legge israeliana. Infatti afferma che nel 1967 Dayan stabilì lo status quo senza l’autorità del governo.

Dal 1967, la legislazione, le azioni giudiziarie e le dichiarazioni del governo israeliano hanno creato un quadro istituzionale per questo status quo. Berkovits spiega che, sebbene nessuna legge israeliana proibisca agli ebrei di pregare ad Al-Aqsa, la Corte Suprema israeliana ha deciso che il divieto è giustificato per mantenere la pace.

Per molti israeliani, alla luce della loro vittoria nella guerra del 1967, anche questo è considerato “generoso”.

Recenti modifiche allo status quo

Tra il 1967 e il 2000 i non musulmani potevano acquistare i biglietti dal Waqf per visitare il sito come turisti. Tuttavia, dopo lo scoppio della seconda Intifada, o rivolta, dei palestinesi nel 2000 in seguito alla controversa visita dell’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon ad Al-Aqsa, il Waqf chiuse il sito ai visitatori.

Il sito è rimasto chiuso ai visitatori fino al 2003, quando Israele costrinse il Waqf ad accettare l’ingresso di non musulmani. Da allora i visitatori non musulmani sono stati ammessi dalla polizia israeliana in orari limitati e in giorni specifici.

Secondo Hasson, il Waqf non accetta questi visitatori e li considera “intrusi”.

Nel 2015 un accordo a quattro tra Israele, Palestina, Giordania e Stati Uniti ha riaffermato lo status quo del 1967. Come parte dell’accordo il leader israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito l’impegno del suo paese per lo status quo.

Mentre a parole la versione del 1967 dello status quo è ancora rispettata oggi, Zabarqa afferma: “Questo è [solo, ndt] un tentativo di ingannare l’opinione pubblica internazionale”.

Secondo Eran Zedekiah, dell’Università Ebraica di Gerusalemme e del Regional Thinking Forum dal 2017 agli ebrei è stato tacitamente permesso di pregare nel complesso.

Non tutti gli ebrei sono responsabili di queste violazioni. Infatti, i visitatori, prima di entrare nel complesso di Al-Aqsa passano davanti a un cartello che avverte gli ebrei che l’ufficio del Rabbino capo vieta loro l’ingresso a causa della santità del luogo.

Hasson afferma che sono soprattutto i sionisti religiosi, attualmente rappresentati nel governo israeliano da estremisti come il ministro della sicurezza di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che pregano nel sito e fanno pressioni per cambiare lo status quo.

Per loro questa pressione ha dato i suoi frutti. Hasson afferma che dal 2017 la polizia ha concesso più libertà agli ebrei che pregano nel complesso di Al-Aqsa.

Zabarqa lamenta che le forze di polizia israeliane “si sono trasformate da un organismo professionale che preserva lo stato di diritto a un organismo che assicura protezione alle persone che violano la legge”.

Zabarqa afferma che, nel frattempo, i palestinesi vedono questi cambiamenti come un tentativo di “rendere il complesso ebraico e di cacciare i musulmani e l’Islam da Al-Aqsa”.

Per loro Al-Aqsa è l’ultimo piccolo angolo di Palestina non sotto la piena occupazione israeliana.

Hasson dice che i palestinesi sono quindi orgogliosi di resistere all’occupazione israeliana del sito, ma se i palestinesi perdono Al-Aqsa, sarà come se “è tutto perduto. Non è rimasto niente.”

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Soldati israeliani uccidono due palestinesi nei pressi di Nablus

Redazione di Al Jazeera

11 aprile 2023 – Al Jazeera

L’episodio è accaduto mentre Israele dichiarava che avrebbe bandito i visitatori ebrei da Al-Aqsa per il resto del Ramadan.

Il ministro della difesa Yoav Gallant ha dichiarato che dei soldati israeliani hanno ucciso due palestinesi.

“Elogio le azioni dei soldati che hanno eliminato due terroristi che hanno aperto il fuoco contro di loro vicino a Elon Moreh [nei pressi della città di Nablus in Cisgiordania]”, ha detto Gallant martedì su Twitter.

“Il successo della loro operazione ha impedito un attacco contro cittadini israeliani”, ha dichiarato in seguito Gallant. In precedenza, i militari avevano detto che le loro forze avevano “neutralizzato” due uomini e trovato sul posto fucili e pistole.

Fonti locali palestinesi di Nablus hanno riferito ad Al Jazeera che i corpi dei due uomini identificati come Mohammed Abu Dhraa e Soud al-Titi sono stati sequestrati dall’esercito israeliano.

Le fonti sostengono che Al-Titi era un membro delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese, mentre Abu Dhraa era un ex detenuto che ha trascorso sette anni in una prigione israeliana.

Israele trattiene i corpi dei palestinesi come politica punitiva da decenni. Tuttavia le organizzazioni per i diritti umani hanno affermato che dal 2015 si è verificata una crescita significativa di questa pratica.

Secondo il Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center [ONG con sede a Ramallah che combatte contro le violazioni dei diritti umani fornendo sostegno legale gratuito, ndt] Israele attualmente trattiene almeno 105 corpi palestinesi negli obitori, un atto che si configura come punizione collettiva delle famiglie a cui, senza una sepoltura, viene spesso preclusa la possibilità di dare un estremo saluto.

Durante lo scorso anno l’esercito israeliano ha effettuato frequenti raid in tutta la Cisgiordania occupata.

Sotto il governo della destra più estrema nella storia di Israele, insediato alla fine dello scorso anno, i raid si sono intensificati, provocando un pesante tributo sui civili.

Da gennaio sono stati uccisi più di 90 palestinesi e sono morti almeno 19 tra israeliani e stranieri.

La tensione è particolarmente alta poiché il mese sacro musulmano del Ramadan e la Pasqua ebraica coincidono.

La scorsa settimana diverse incursioni della polizia israeliana nel complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme e attacchi ai fedeli palestinesi hanno provocato dei lanci di razzi su Israele con conseguenti attacchi israeliani contro Gaza, il sud del Libano e la Siria.

Secondo una dichiarazione dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu martedì Israele ha annunciato che avrebbe vietato ai visitatori e ai turisti ebrei di accedere al complesso della moschea di Al-Aqsa fino alla fine del Ramadan.

Anche negli anni scorsi Israele ha vietato le visite degli ebrei al complesso durante gli ultimi 10 giorni del Ramadan.

La scorsa settimana sospetti palestinesi armati hanno ucciso tre coloni e qualche ora dopo in un attacco è stato investito e ucciso un turista italiano. Nessuna organizzazione ha rivendicato la responsabilità di ambedue gli attacchi.

Lunedì dei palestinesi in lutto si sono ritrovati per il funerale di un ragazzo di 15 anni ucciso dalle forze israeliane durante un raid nel campo profughi di Aqabat Jaber, vicino a Gerico nella Valle del Giordano.

Il ministero della salute palestinese ha affermato che Mohammad Balhan ha riportato ferite da arma da fuoco alla testa, al torace e all’addome.

L’Associazione dei prigionieri palestinesi ha affermato che durante il raid l’esercito israeliano ha arrestato almeno due persone.

“Esortiamo il mondo a ritenere questo governo [israeliano] responsabile dei suoi crimini”, ha detto il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh all’inizio della sessione settimanale del governo.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)

 

 




La violenza israeliana è palesemente terrorista, smettiamo di chiamarla “scontri”

Belén Fernández

7 aprile 2023 – Al Jazeera

Fedeli aggrediti ad Al-Aqsa, Gaza di nuovo bombardata, ma i media occidentali continuano ancora a equiparare il collo e la ghigliottina.

Ci risiamo. Lo Stato di Israele sta commettendo una barbarie fuori controllo contro i palestinesi e i grandi media occidentali hanno deciso che tutto ciò si riduce a “scontri”.

L’ultima tornata dei cosiddetti “scontri”, scoppiati quando la polizia israeliana ha deciso di celebrare il mese sacro musulmano del Ramadan aggredendo ripetutamente i fedeli palestinesi nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, ha provocato come prevedibile un numero spropositato di vittime.

Centinaia di palestinesi sono stati arrestati e feriti quando le forze israeliane hanno ancora una volta ostentato la loro abilità con proiettili ricoperti di gomma, manganelli, granate stordenti e lacrimogeni. In cambio la polizia ha subito danni minimi, mentre si è impegnata anche ad accompagnare coloni israeliani illegali nel complesso della moschea.

Evidentemente non soddisfatto della violenza scatenata a Gerusalemme, Israele ha anche lanciato bombardamenti contro la Striscia di Gaza e il sud del Libano in seguito a un presunto lancio di razzi.

Come nel caso di tutti i precedenti esempi di “scontri” tra israeliani e palestinesi, la scelta dei media di utilizzare tale terminologia serve a nascondere il monopolio israeliano della violenza e il fatto che Israele uccide, ferisce e mutila a un ritmo astronomicamente superiore della sua presunta controparte negli “scontri”.

Ciò nasconde anche la realtà del fatto che la violenza palestinese è una risposta a una politica israeliana ormai da quasi 75 anni caratterizzata dalla pulizia etnica dei palestinesi, dall’occupazione della terra palestinese e dalla periodica perpetrazione di massacri – scusate, “scontri”.

Scegliete tra gli attacchi militari israeliani contemporanei e troverete iniziative come l’operazione Margine protettivo, un eufemismo per definire il massacro nella Striscia di Gaza nel 2014 di 2.251 persone, tra cui 551 minorenni. Durante un periodo di 22 giorni iniziati nel dicembre 2008, l’operazione Piombo Fuso è costata la vita a circa 1.400 palestinesi a Gaza, con tre civili israeliani morti.

Ci furono molti “scontri” anche nel 2018 quando, in risposta a proteste sul confine di Gaza, l’esercito israeliano uccise centinaia di palestinesi e ne ferì migliaia. E nel maggio 2021 un massacro israeliano durato 11 giorni, denominato operazione Guardiano delle Mura, uccise più di 260 palestinesi, circa un quarto dei quali minorenni. Si dà il caso che quest’ultima operazione sia stata innescata da, che altro, “scontri” nella moschea di Al-Aqsa.

Quel poco di curiosità ha spinto alcuni mezzi di comunicazione a preoccuparsi di ciò che l’attuale “vertiginoso aumento degli spargimenti di sangue” tra israeliani e palestinesi possa far presagire, un ulteriore altro slogan dei media che alla fine maschera il ruolo predominante di Israele nei massacri.

Ovviamente è difficile trovare una qualche equivalenza linguistica o etica all’ossessione dei media nel raccontare la spietatezza israeliana come “scontri”. Non si penserebbe a un alce che si “scontri” con il fucile di un cacciatore proprio come non si percepirebbe uno “scontro” tra il collo di un essere umano e una ghigliottina. Né si descriverebbe il bombardamento letale di un ospedale a Kunduz, in Afghanistan, da parte degli Stati Uniti come uno “scontro” tra una struttura sanitaria e un aereo da guerra AC-130.

Ma, benché chiaramente immorale, la deferenza dei media occidentali nei confronti della narrazione israeliana non è per niente nuova. Molto di questo riguarda il fervido appoggio, in particolare da parte degli USA, al punto di vista israeliano che descrive i persecutori come vittime e i massacri come autodifesa.

Forse la stessa fondazione dello Stato di Israele nel 1948, che vide migliaia di palestinesi massacrati e più di 500 villaggi palestinesi distrutti, in definitiva non fu altro che un grande “scontro”. Di certo la campagna propagandistica israeliana di lungo termine per confondere i palestinesi con il terrorismo continua a garantire considerevoli vantaggi.

È così persino tra i mezzi di informazione più chiaramente progressisti che sono disposti a denunciare i crimini israeliani ma che non riescono ancora a mettere i palestinesi sullo stesso piano di umanità degli israeliani. Per esempio, a febbraio di quest’anno Lawrence Wright, della rivista The New Yorker, ha twittato un video di soldati israeliani che spintonano e picchiano il pacifista palestinese Issa Amro mentre Wright lo sta intervistando a Hebron, città occupata della Cisgiordania. Il commento del giornalista del New Yorker: “Non posso smettere di pensare a quanto sia disumanizzante l’occupazione per i giovani soldati incaricati di imporla.”

In altre parole: i soldati israeliani sono vittime della degradazione morale e della disumanizzazione, mentre i palestinesi non arrivano mai ad essere realmente in primo luogo umani.

Ora, mentre le forze di sicurezza israeliane continuano a disumanizzare e ad essere disumanizzate a Gerusalemme e a Gaza, tutto il discorso relativo agli “scontri” non fa che confermare l’idea che la violenza israeliana, descritta come una semplice parte di una corretta competizione di azioni e reazioni tra due parti equivalenti, sia in fondo giustificata.

Nell’agosto 2022 un attacco di tre giorni dell’esercito israeliano contro Gaza uccise almeno 44 palestinesi, tra cui 16 minorenni, l’episodio più sanguinoso dall’operazione Guardiano delle Mura del 2021. Nessun israeliano venne ucciso in seguito agli eventi di agosto, eppure i media occidentali sono stati ancora diligentemente pronti senza alcun dubbio a raccontare affannosamente di “scontri”.

Come ho sottolineato all’epoca in un articolo su Al Jazeera la versione in rete del Cambridge Dictionary definisce il terrorismo come “(minacce di) un’azione violenta per fini politici”. E tanto più spesso ricordiamo a noi stessi che Israele sta letteralmente terrorizzando i palestinesi tanto prima, forse, potremo porre fine a tutto questo discorso sugli “scontri”.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Belen Fernandez è autrice di Exile: Rejecting America and Finding the World [Esilio: rifiutare l’America e trovare il mondo”] e di “The Imperial Messenger: Thomas Friedman at Work” [“Il messaggero dell’impero: Thomas Friedman [giornalista del NYT noto per le sue posizioni filoisraeliane] al lavoro]. È una collaboratrice di “Jacobin” [“Giacobino”, rivista della sinistra radicale USA, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Le forze israeliane uccidono almeno 6 palestinesi nell’ultima incursione a Jenin

Redazione di Al Jazeera

7 marzo 2023- Al Jazeera

Il Ministero della salute palestinese afferma che sono più di 11 le persone ferite, tra cui due gravi.

Le forze israeliane hanno ucciso almeno sei palestinesi e ferito altri 11 durante un raid nella città occidentale della Cisgiordania di Jenin, secondo il Ministero della salute dell’Autorità palestinese.

Martedì il Ministero ha dichiarato che due delle persone ferite hanno subito lesioni gravi.

Testimoni hanno detto all’agenzia di stampa AFP [principale agenzia di stampa francese, ndt.] che una casa è stata assediata dalle forze israeliane e colpita con razzi. I filmati circolanti sui social media mostrano elicotteri che sorvolano una colonna di veicoli militari che entrano in città.

Le autorità israeliane hanno sostenuto che uno dei palestinesi uccisi la scorsa settimana è stato complice nella sparatoria ai danni di due fratelli di una colonia illegale vicino al villaggio palestinese di Huwara.

L’ufficio del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che le truppe hanno “eliminato” l’uomo armato che il mese scorso ha ucciso due coloni israeliani in Cisgiordania.

Sara Khairat di Al Jazeera, riferendo da Ramallah, ha affermato che un’altra incursione da parte delle forze israeliane è stata condotta anche martedì sera in un altro campo profughi a sud di Nablus.

L’esercito è entrato in un edificio nel campo profughi di Askar e ha arrestato tre uomini, tra cui due figli di un uomo di 49 anni ucciso a Jenin.

L’agenzia di stampa palestinese Wafa riporta che Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente palestinese Mahmud Abbas, ha definito l’uso dei razzi a Jenin martedì un atto di “guerra totale”.

Abu Rudeineh ha accusato il governo israeliano di essere “responsabile di questa pericolosa escalation che minaccia di infiammare la situazione e distruggere tutti gli sforzi volti a ripristinare la stabilità”.

Nel corso della notte il segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, ha ribadito le richieste a entrambe le parti di “ridurre” le tensioni in Cisgiordania, e si prevede anche che la questione delle violenze sarà sollevata dal segretario alla Difesa Lloyd Austin quando visiterà Israele questa settimana.

Tuttavia prima dell’inizio del mese sacro musulmano del Ramadan e delle festività della Pasqua ebraica non vi è stato alcun segno di rinuncia alla violenza.

Durante la notte di lunedì i coloni israeliani hanno attaccato i palestinesi nel villaggio di Huwara, che la scorsa settimana è stato teatro di un violento pogrom da parte di decine di coloni in cerca di vendetta per l’uccisione di due israeliani sulla loro auto.

Le forze israeliane dell’esercito e della polizia di confine hanno disperso la folla di quelli che i militari hanno descritto come “un certo numero di rivoltosi violenti ” a Huwara. I video condivisi sui social media mostrano un gruppo di giovani vestiti di nero che attaccano un’auto palestinese prima che il guidatore riesca ad allontanarsi.

Omar Khalifa, che aveva appena finito di fare la spesa in un supermercato ed era in macchina con la sua famiglia quando sono stati attaccati, racconta: “Mia moglie era seduta dietro e ha abbracciato nostra figlia per proteggerla con il suo corpo”.

Avremmo potuto perderla. Eravamo veramente in pericolo di vita.

Altri filmati sembrano mostrare soldati israeliani che ballano insieme a coloni ebrei nella città durante la festività ebraica di Purim. Si sente una voce dire in ebraico: “Signori, Huwara è stata conquistata!”

L’esercito di Israele non ha dato risposte a una domanda sul filmato dei suoi soldati che ballano con i coloni quando ha risposto a una richiesta di informazioni dell’agenzia Reuters sull’incidente.

La scorsa settimana i coloni hanno dato fuoco a decine di auto e case a Huwara dopo che due fratelli sono stati colpiti da un palestinese armato mentre erano seduti in macchina a un checkpoint nelle vicinanze.

Le violenze, descritte come un “pogrom” da un alto comandante israeliano, hanno provocato indignazione e condanna in tutto il mondo, cresciute quando il ministro delle Finanze ultra-nazionalista Bezalel Smotrich, che ha la responsabilità di aspetti delle attività amministrative in Cisgiordania, ha affermato che Huwara avrebbe dovuto essere “rasa al suolo”. In seguito Smotrich ha parzialmente ritrattato.

Marwan Bishara, esperto analista politico di Al Jazeera, afferma che la violenta repressione di Israele servirà a ben poco per stroncare la resistenza palestinese.

Bishara afferma: “Nel corso degli anni e dei decenni l’idea che puoi semplicemente reprimere Jenin con più violenza si è dimostrata sbagliata. I campi profughi e le città che gli israeliani attaccano di più, dove hanno ucciso di più, si sono rivelati i simboli più importanti della resistenza palestinese “.

“Hebron, Gaza o Jenin e altri hanno dimostrato di essere i più resistenti, i più ostinati e continueremo a vedere più incursioni israeliane, più resistenza palestinese: il ciclo continuerà.”

Nel 2023 i coloni hanno ucciso finora almeno cinque palestinesi, mentre le forze israeliane quest’anno ne hanno uccisi almeno 68. Nello stesso periodo, 13 israeliani e una donna ucraina sono stati uccisi in attacchi apparentemente non coordinati.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Un israeliano-americano ucciso in un attacco a Gerico

Redazione di Al Jazeera

28 febbraio 2023 – Al Jazeera

La sparatoria è avvenuta dopo che coloni ebrei hanno ucciso un palestinese durante una sanguinosa aggressione contro alcuni villaggi della Cisgiordania.

Un automobilista israeliano-americano è stato ucciso in un attacco da un sospetto palestinese armato vicino la città di Gerico, nella Cisgiordania occupata.

Fonti ufficiali israeliane hanno affermato che prima di dileguarsi gli aggressori palestinesi hanno effettuato molteplici sparatorie da automobili su una superstrada vicino a Gerico, in una delle quali lunedì è stato ucciso l’ israeliano -americano.

Gli Stati Uniti hanno confermato che l’uomo ucciso era un cittadino statunitense, ma non ne hanno rese note le generalità.

L’incidente è accaduto dopo che coloni ebrei si sono scatenati a Huwara e in altri villaggi palestinesi vicino a Nablus, in Cisgiordania, uccidendo un civile palestinese e bruciando decine di automobili e di case in quello che è stato descritto da alcuni palestinesi come un “pogrom” [termine riferito alle sanguinose violenze antiebraiche nell’Europa orientale, ndt.].

Israele ha rinforzato le sue basi in Cisgiordania dopo che domenica due fratelli provenienti da una colonia ebraica sono stati uccisi, ma è stato accusato di aver appoggiato i coloni ebrei che hanno attaccato i villaggi palestinesi.

Con il mese sacro musulmano del Ramadan e la festività della Pasqua ebraica tra poche settimane, mediatori esteri hanno chiesto di ridurre le tensioni che hanno subito una impennata dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riconquistato il potere alla testa di una coalizione di estrema destra.

Gli eventi fanno dubitare della capacità di Netanyahu di camminare sul filo del rasoio diplomatico tra Washington – che spinge per un compromesso duraturo – e il suo governo, che include coloni estremisti che chiedono una azione dura contro gli attacchi palestinesi.

Nelle periodiche conferenze stampa il portavoce del dipartimento di Stato [statunitense, ndt.] Ned Price ha condannato gli attacchi da entrambe le parti e ha accolto positivamente le affermazioni di Netanyahu, che chiede la cessazione di ciò che ha descritto come “violenza da giustizieri” da parte dei coloni.

Ci aspettiamo che il governo israeliano assicuri la piena responsabilità e i azioni legali contro coloro che sono stati responsabili di questi attacchi, in aggiunta agli indennizzi per le case e le proprietà distrutte”, ha affermato Price.

Domenica la Giordania ha ospitato un raro incontro tra funzionari israeliani e palestinesi, con la presenza di rappresentanti americani. Il ministro degli Esteri giordano ha affermato che lo Stato di Israele ha promesso una riduzione degli annunci di colonie ebraiche e ha riconfermato i precedenti accordi di pace.

Tuttavia Netanyahu ha subito negato e ha twittato che non ci sarà nessun congelamento [dello sviluppo, ndt.] delle colonie.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Coloni israeliani inferociti bruciano case e auto palestinesi a Nablus

Redazione di Al Jazeera

27 febbraio 2023 – Al Jazeera

Tra crescenti tensioni decine di coloni israeliani incendiano case e auto palestinesi nella città settentrionale di Huwara

Coloni israeliani hanno dato fuoco a decine di abitazioni e automobile palestinesi a Huwara, cittadina a Nablus, nella Cisgiordania occupata, in quello che sembra essere il peggiore scoppio di violenza dei coloni da decenni.

I media palestinesi affermano che circa 30 case e auto sono state incendiate a tarda notte da parte dei coloni durante l’aggressione, avvenuta un giorno dopo che due coloni sono stati uccisi. In precedenza questo mese 11 palestinesi sono stati uccisi in un’incursione militare israeliana a Nablus.

Il ministero della Sanità palestinese ha affermato che domenica un trentasettenne è stato colpito e ucciso da fuoco israeliano. La Mezzaluna rossa palestinese ha detto che altri due sono stati feriti da colpi di arma da fuoco, mentre una terza persona è stata accoltellata e una quarta picchiata con una sbarra di ferro.

Altre 95 persone sono state curate per aver inalato gas lacrimogeni.

Ghassan Douglas, un funzionario palestinese che monitora le colonie israeliane nella regione di Nablus, stima che circa 400 coloni ebrei hanno preso parte all’aggressione, che avviene dopo che secondo il governo Giordano ha informato che l’Autorità Palestinese (PA) e politici israeliani si sono accordati su iniziative per calmare la situazione.

La tensione tra palestinesi e israeliani è aumentata in seguito all’intensificazione di incursioni letali nei territori occupati.

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha condannato quelle che ha definite “le azioni terroristiche condotte stanotte da coloni sotto la protezione delle forze di occupazione.”

Noi consideriamo che il governo israeliano ne è totalmente responsabile,” ha aggiunto.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invitato alla calma e ha esortato contro la violenza dei giustizieri.

In una dichiarazione video Netanyahu ha affermato: “Chiedo che quando ribolle il sangue e gli spiriti sono infiammati non vi facciate giustizia da soli.”

L’Unione Europea ha affermato di essere “allarmata” dalla violenza a Huwara e che “le autorità di entrambe le parti devono intervenire subito per porre fine a questo infinito ciclo di violenze.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

L’ incendio di una casa attaccata dai coloni Foto:[Hisham K. K. Abu Shaqra/Anadolu]

Un’altra casa in fiamme Foto:Hisham K. K. Abu Shaqra/Anadolu

Il mobilio di una casa attaccata con il fuoco Foto:[Ronaldo Schemidt/AFP

L’interno di una casa bruciata dai coloni protetti dall’esercito israeliano. Foto:[Ronaldo Schemidt/AFP]




“Catastrofe”: i palestinesi raccontano la mortale incursione israeliana a Nablus

Zena Al Tahhan

23 febbraio 2023 – Al Jazeera

Le forze israeliane hanno ucciso 11 palestinesi a Nablus in una delle incursioni più letali dalla rivolta del 2000-05

Ramallah, Cisgiordania occupata – Almeno 150 soldati israeliani su decine di mezzi blindati hanno attaccato Nablus mercoledì in quello che è diventato uno dei più letali raid militari nella Cisgiordania occupata dalla rivolta di massa palestinese, o Intifada, del 2000-05.

In quattro ore l’esercito israeliano ha ucciso 11 palestinesi e ferito più di 80 persone, alcune gravemente, con munizioni vere. Il raid avviene quasi un mese dopo che 10 palestinesi sono stati uccisi in un raid simile nel campo profughi di Jenin, a circa 41 km di distanza.

Jenin e Nablus, diventate i centri di una moderata resistenza palestinese, sono lo scenario di sempre più numerosi attacchi mortali israeliani.

Tra le vittime dei raid di mercoledì vi sono tre anziani – di 72, 66 e 61 anni – e un ragazzo di 16 anni, e centinaia di altre persone hanno inalato gas lacrimogeni.

Sparavano a destra e sinistra, a chiunque, chi aveva e chi non aveva armi. Io ero a due metri da un ragazzo, assistevo agli eventi, e lui è stato colpito e ferito proprio davanti a me”, dice a Al Jazeera Khaled Jamal, un abitante di 25 anni.

È stata una catastrofe. Tutti dentro e fuori dall’ospedale piangevano per la scena che si svolgeva davanti ai nostri occhi – uomini, donne, bambini. Anche le persone che erano in ospedale per dei controlli piangevano”, continua.

Forze israeliane sotto copertura sono entrate a piedi nella Città Vecchia di Nablus all’alba di mercoledì, vestite da religiosi musulmani e da donne velate e si sono nascoste dentro una moschea nel quartiere di al-Halabeh vicino ad una casa dove si rifugiavano due combattenti palestinesi.

I soldati israeliani sono rimasti nascosti nella moschea fino al mattino, quando decine di altri soldati si sono posizionati dentro e intorno alla casa e al quartiere – compresi cecchini sui tetti, a quanto affermano gli abitanti del luogo.

I due combattenti, Hossam Isleem di 24 anni e Mohammad Abdulghani di 23 (conosciuto anche come Mohammad Jneidi), appartenenti al gruppo armato Fossa dei Leoni di Nablus, si sono rifiutati di arrendersi. Pochi minuti dopo, secondo gli abitanti, le forze israeliane hanno attaccato la casa con granate lanciarazzi e droni armati, uccidendoli.

L’esercito israeliano sostiene che Isleem, con Osama Taweel e Kamal Joury, altri due combattenti in detenzione amministrativa, fosse coinvolto nella sparatoria che in ottobre ha ucciso un soldato israeliano vicino alla colonia illegale di Shavei Shomron.

“Inconcepibile”

Akram Saeed Antar, che abita nella zona di al-Halabeh dove si trovava la casa presa di mira, ha detto che i soldati israeliani sparavano indiscriminatamente.

Sono state almeno 3 ore di distruzione, esplosioni e proiettili veri che hanno preso di mira tutti gli abitanti della zona”, dice Antar. “Uccidevano persone anziane e bambini per strada”.

I combattenti della resistenza avevano semplici fucili, non potevano resistere a granate, missili e droni”, continua Antar.

Durante l’operazione intorno alla casa le forze israeliane hanno attaccato larghe folle di palestinesi in tutta Nablus in diversi luoghi accalcati usando proiettili veri e candelotti lacrimogeni che contenevano spray al peperoncino, e sparato anche da droni quando si sono estesi gli scontri con gli abitanti.

Inconcepibile! Lanciavano gas lacrimogeni contro donne, uomini, anziani, in ogni zona affollata di Nablus dove c’era tanta gente. Sono andato con un gruppo di giovani a instradare le persone con bambini, le famiglie, verso il principale centro commerciale in città – era il posto più sicuro”, dice Jamal, che ha anche sofferto per l’inalazione di gas lacrimogeno.

Non era normale gas lacrimogeno. Era mescolato con spray al peperoncino, per cui non solo soffochi, ma non puoi neanche aprire gli occhi. C’erano molte persone che camminavano cieche”.

Un altro testimone, che ha preferito restare anonimo per paura di rappresaglie, ha detto: “È stato un massacro.”

Tutti correvano per le strade gridando. L’esercito trattava le persone barbaramente – sparava alla gente nelle strade, nei negozi, ai carrelli della spesa nel mercato, distruggeva la merce”, dice ad Al Jazeera.

Serie di incursioni mortali

Il micidiale raid su Nablus è la terza grande operazione israeliana in Cisgiordania dall’inizio dell’anno e sotto il nuovo governo israeliano di estrema destra che ha giurato alla fine di dicembre.

Il 26 gennaio le forze israeliane hanno ucciso nove palestinesi, tra cui due bambini e una donna, nel campo profughi di Jenin, in quello che è stato anche descritto come un “massacro”. Il 6 febbraio l’esercito ha ucciso cinque uomini e ferito gravemente altri due nel campo profughi di Aqabet Jaber nella città di Gerico.

Le operazioni su larga scala arrivano a seguito del 2022, dichiarato dalle Nazioni Unite come l’anno più letale per i palestinesi dalla fine della seconda Intifada nel 2005.

Israele afferma di prendere di mira la limitata resistenza armata palestinese nel nord della Cisgiordania, ma molti civili, compresi i bambini, vengono spesso uccisi e feriti durante tali raid e le loro proprietà vengono distrutte.

Con 62 palestinesi, tra cui 13 bambini, finora uccisi quest’anno, e centinaia di altri feriti, i primi due mesi del 2023 sono stati i più letali dal 2000 rispetto allo stesso periodo.

Mercoledì il Ministero della Salute palestinese ha affermato in una dichiarazione che “l’inizio di quest’anno è il più sanguinoso nella Cisgiordania occupata almeno dall’anno 2000. Negli ultimi 22 anni non abbiamo mai registrato un tale numero di martiri [61] nei primi due mesi di un anno”.

I quasi giornalieri omicidi in Cisgiordania che continuano da più di un anno, così come altre politiche oppressive israeliane tra cui l’aumento delle demolizioni di case palestinesi e le misure punitive sui prigionieri, stanno ulteriormente rendendo esplosiva la situazione sul campo.

In migliaia hanno partecipato mercoledì pomeriggio ai funerali delle 11 persone uccise, con canti appassionati contro l’occupazione israeliana e in onore dei combattenti e dei civili uccisi. Erano presenti centinaia di combattenti con i fucili in mano.

Mercoledì notte gruppi di resistenza armata nella Striscia di Gaza assediata hanno lanciato razzi su Israele in risposta al raid di Nablus, cui Israele ha sollecitamente risposto lanciando raid aerei su Gaza.

La resistenza a Gaza è commisurata all’escalation dei crimini del nemico nella Cisgiordania occupata contro il nostro popolo, la cui pazienza si sta esaurendo”, ha detto Abu Obeida portavoce del movimento Hamas.

L’escalation della violenza fa temere un conflitto più ampio, e alcuni affermano che una terza Intifada sia inevitabile.

Tornando a Nablus, i residenti continueranno a lungo a subire lo choc per le conseguenze del micidiale attacco israeliano.

“È stato orribile. Ero seduto lì alla fine del giorno sul pavimento dell’ospedale con il sangue addosso, piangendo con un gruppo di giovani”, ha detto Jamal.

(traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite esprime “sconcerto” per le colonie israeliane

Redazione Al Jazeera

20 febbraio 2023-Al Jazeera

La dichiarazione annacquata sostituisce la bozza di risoluzione che avrebbe condannato esplicitamente l’insediamento di colonie di Israele.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) ha espresso “profonda preoccupazione e sconcerto” per l’insediamento di colonie di Israele in una dichiarazione annacquata che sostituisce una bozza di risoluzione che avrebbe condannato esplicitamente le politiche israeliane.

La dichiarazione presidenziale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – approvata lunedì da tutti i 15 membri del consiglio, compresi gli Stati Uniti – ha anche sottolineato quello che ha definito “l’obbligo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di rinunciare al terrorismo e combatterlo”.

“Il Consiglio di sicurezza ribadisce che le continue attività di insediamento israeliano stanno pericolosamente mettendo a rischio la fattibilità della soluzione dei due stati basata sui confini del 1967”, ha affermato il consiglio.

Il provvedimento simbolico è arrivato in risposta a una decisione del governo israeliano all’inizio di questo mese di autorizzare migliaia di unità abitative nella Cisgiordania occupata e di legalizzare retroattivamente gli avamposti delle colonie costruiti illegalmente [anche secondo la legge israeliana, ndt.].

L’inviato palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha dichiarato lunedì ai giornalisti: “Siamo molto felici che ci sia stato un messaggio unitario molto forte da parte del Consiglio di sicurezza contro la decisione [di Israele] illegale e unilaterale”.

Ma secondo diversi organi di stampa statunitensi e israeliani, che citano fonti diplomatiche, l’ANP avrebbe accettato di abbandonare la sua ricerca del voto [su una vera e propria risoluzione dell’UNSC] per le pressioni del governo degli Stati Uniti, compresa la promessa di un pacchetto di aiuti finanziari.

Come parte dell’accordo le fonti hanno affermato che Israele sospenderà temporaneamente gli annunci di nuove unità di colonie e demolizioni di case palestinesi.

L’agenzia di stampa Reuters ha dichiarato lunedì che gli Emirati Arabi Uniti (EAU), che avevano redatto la risoluzione insieme ai funzionari dell’ANP, avrebbero informato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che la risoluzione e il voto sarebbero stati ritirati.

La risoluzione avrebbe chiesto a Israele di “cessare immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nei territori palestinesi occupati”.

Israele ha conquistato la Cisgiordania, comprese Gerusalemme Est e Gaza, nel 1967. Da allora ha costruito insediamenti che ospitano centinaia di migliaia di israeliani nelle terre occupate che i palestinesi rivendicano come parte del loro futuro stato.

Il diritto internazionale vieta esplicitamente alle potenze occupanti di trasferire la loro popolazione civile nei territori occupati. Un esperto delle Nazioni Unite ha in passato definito le colonie israeliane un “crimine di guerra”.

La dichiarazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di lunedì ha invitato tutte le parti a “osservare la calma e la moderazione e ad astenersi da azioni provocatorie, incitamento e retorica incendiari”.

Ha inoltre sollecitato “il pieno rispetto del diritto umanitario internazionale, compresa la protezione della popolazione civile”.

“Il Consiglio di sicurezza riafferma il diritto di tutti gli Stati a vivere in pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti a livello internazionale e sottolinea che sia il popolo israeliano che quello palestinese hanno diritto in egual misura a libertà, sicurezza, prosperità, giustizia e dignità”, continua la dicharazione, facendo eco al linguaggio che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i suoi principali collaboratori utilizzano regolarmente.

Israele ha respinto la dichiarazione come “unilaterale”, criticando specificamente Washington per averla appoggiata.

L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato: “La dichiarazione non avrebbe mai dovuto essere fatta e gli Stati Uniti non avrebbero mai dovuto aderirvi”.

Louis Charbonneau, direttore della delegazione presso le Nazioni Unite di Human Rights Watch, ha affermato che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe condannare chiaramente le colonie.

Ha scritto Charbonneau in un tweet: “Sebbene sia utile che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite critichi le violazioni dei diritti umani di Israele contro i palestinesi, la dichiarazione di oggi, attenuata sotto pressione degli Stati Uniti e di Israele, è ben lontana dalla condanna a tutto campo che la grave situazione merita”.

Lunedì, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’inviata statunitense Linda Thomas-Greenfield ha espresso senza ambiguità l’opposizione degli Stati Uniti all’attività di colonie di Israele, ma non ha condannato la politica israeliana.

Rispetto all’annuncio di Israele sulle colonie ha affermato: “Queste misure unilaterali esasperano le tensioni e danneggiano la fiducia tra le parti”. “Essi minano le prospettive di una soluzione negoziata a due Stati. Gli Stati Uniti non sostengono queste azioni, punto e basta”.

Nella sua dichiarazione al Consiglio lunedì, Mansour, l’inviato palestinese, ha avvertito che la situazione potrebbe presto “raggiungere un punto di non ritorno”.

Ha affermato “Ogni azione che intraprendiamo ora conta. Ogni parola che pronunciamo conta. Ogni decisione che rimandiamo conta”.

Israele, accusato di imporre un sistema di apartheid dalle principali organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, riceve annualmente almeno 3,8 miliardi di dollari di aiuti statunitensi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Ai palestinesi di Gerusalemme serve molto di più che le condanne arabe

Jalal Abukhater

12 febbraio 2023 – Al Jazeera

I gerosolomitani affrontano occupazione e apartheid. Né forti dichiarazioni né promesse di denaro possono aiutarli.

Il 12 febbraio la Lega Araba ha tenuto una conferenza su Gerusalemme per dimostrare il sostegno degli arabi alla città occupata, suscitando grandi speranze dell’Autorità Palestinese (ANP). Il Presidente Mahmoud Abbas ha parlato delle sofferenze del popolo palestinese di Gerusalemme, dei loro diritti e della loro resilienza.

In vista dell’evento Fadi al-Hidmi, il ministro dell’AP per gli Affari di Gerusalemme, ha dichiarato che questa conferenza sarebbe stata “diversa” dalle precedenti, che avrebbe causato interventi che sarebbero stati avvertiti sul posto e che l’evento avrebbe messo la città occupata in cima all’“agenda araba”.

Ma questa nuova iniziativa della Lega Araba ha suscitato in molti gerosolomitani più che altro scetticismo. L’ultima volta che Gerusalemme è stata inclusa nel titolo di una loro riunione, il cosiddetto summit di Gerusalemme del 2018, per noi non è cambiato molto.

Il summit aveva rilasciato un comunicato dai toni forti in cui si respingeva il riconoscimento USA di Gerusalemme quale capitale di Israele e il trasferimento della sua ambasciata nella città occupata. Ciononostante solo due anni dopo parecchie nazioni arabe hanno firmato accordi di normalizzazione con quello stesso Israele sponsorizzato da quegli stessi USA.

Quei cosiddetti “Accordi di Abramo” danneggiano irrevocabilmente la causa palestinese e di riflesso Gerusalemme. Negli ultimi cinque anni successivi governi israeliani hanno accelerato l’ebraizzazione della città occupata con il deciso sostegno degli USA e la garanzia della normalizzazione con gli Stati arabi.

A Gerusalemme alcuni dei più brutali mezzi di pulizia etnica sono stati lo sfratto forzato e le demolizioni delle case, perpetrati contro gli abitanti palestinesi in violazione del diritto internazionale. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ci sono circa mille palestinesi che rischiano l’imminente minaccia di sfratto con vari pretesti giuridici. Le loro case saranno occupate da coloni israeliani o demolite.

Solo a gennaio sono state demolite dalle autorità israeliane 39 case e altri edifici civili palestinesi, spossessando circa 50 persone.

La spiegazione che il governo israeliano dà più spesso per questi atti criminosi è che gli edifici palestinesi non hanno i permessi rilasciati dallo Stato israeliano. Secondo le Nazioni Unite un terzo delle case palestinesi non ha queste autorizzazioni, il che mette a rischio di sfratto forzato in qualunque momento circa 100.000 abitanti.

Inutile dire il Comune di Gerusalemme raramente rilascia permessi ai palestinesi, mentre li rilascia prontamente agli ebrei israeliani e ai coloni ebrei. Dal 1967 sono state costruite oltre 55.000 unità abitative per ebrei nella Gerusalemme Est occupata.

L’anno scorso le autorità locali hanno approvato la costruzione di una nuova colonia illegale di 1.400 unità abitative in mezzo a due quartieri palestinesi di Gerusalemme Est, Beit Safafa e Sur Baher, separandoli l’uno dall’altro. Questo è uno dei molti esempi di come Israele stia deliberatamente interrompendo la continuità territoriale palestinese ed eliminando ogni possibilità di realizzare la cosiddetta di soluzione dei due Stati che la Lega Araba continua a richiedere.

Lo Stato israeliano ha anche accelerato l’espansione delle infrastrutture che forniscono servizi alle colonie ebraiche illegali a Gerusalemme a scapito dei palestinesi.

Prendiamo per esempio la cosiddetta ‘Strada Americana’, un progetto di superstrada per collegare colonie illegali a sud, est e nord della Gerusalemme Est occupata. Attraverserà parecchi quartieri palestinesi come Jabal Al-Mukabber e causerà la demolizione di decine di case palestinesi.

Mentre sta intensificando lo sfratto forzato dei palestinesi nella Gerusalemme occupata, Israele sta anche facendo di tutto per rendere la vita invivibile a chi resta. In qualità di potenza occupante lo Stato israeliano ha l’obbligo, ai sensi del diritto internazionale umanitario e delle leggi per i diritti umani, di garantire il benessere della popolazione, ma non lo sta facendo.

Sebbene i palestinesi, proprio come gli israeliani, paghino le tasse allo Stato di Israele, essi non ottengono la stessa qualità di servizi. Infrastrutture e forniture essenziali in quartieri palestinesi sono trascurate poiché il comune israeliano di Gerusalemme alloca meno del 10% del suo budget agli abitanti palestinesi, che rappresentano più del 37% della popolazione della città.

Nel 2001 la Corte Suprema israeliana ha rilevato che a Gerusalemme Est le autorità israeliane stanno violando i loro obblighi giuridici di garantire un adeguato accesso all’istruzione ai palestinesi. Prevedibilmente nel ventennio successivo il problema non ha fatto che peggiorare e oggi, a causa della sistematica incuria israeliana, nelle scuole palestinesi mancano 3.517 aule.

Naturalmente i palestinesi non hanno strumenti legali per accertare la responsabilità delle violazioni da parte delle autorità israeliane. A loro non è permesso di votare alle elezioni politiche israeliane e di scegliere i propri rappresentanti. Al contempo il governo israeliano sta cercando di impedire loro di partecipare alla politica palestinese. Nel 2021, quando avrebbero dovuto tenersi le elezioni legislative palestinesi, Israele ha detto chiaramente che non avrebbe permesso agli abitanti palestinesi di Gerusalemme di votare.

I partiti politici palestinesi non possono agire liberamente a Gerusalemme. Si fa irruzione e si blocca ogni evento che si sospetti abbia dei legami con l’AP. Agli inizi di gennaio, per esempio, la polizia israeliana ha fatto un raid nel quartiere di Issawiya contro un comitato di genitori che si erano riuniti per discutere la carenza di insegnanti. Gli agenti israeliani li hanno informati che stavano interrompendo la riunione perché era “un summit terroristico”.

Peggio ancora, il governo israeliano ha anche ribadito che non è in alcun modo impegnato a rispettare lo status quo nei luoghi sacri di Gerusalemme. Recentemente l’ambasciatore giordano è stato espulso con violenza dal complesso di Al-Aqsa dalla polizia israeliana, che ha deciso che non era autorizzato alla visita, nonostante il fatto che in base a un accordo riconosciuto a livello internazionale la Giordania abbia il diritto di amministrare quello stesso complesso e altri luoghi a Gerusalemme.

Secondo le norme della fondazione del waqf di Gerusalemme gestita dalla Giordania, ai non musulmani è permessa la visita ad Al-Aqsa solo in alcuni orari e solo se rispettano il luogo sacro. Ma negli ultimi anni si è assistito a un aumento di fedeli ebrei autorizzati dalla polizia israeliana a pregare ad Al-Aqsa, in violazione di tali norme. Contemporaneamente ai palestinesi musulmani provenienti da fuori Gerusalemme è regolarmente impedito di far visita ai loro luoghi sacri e di pregarvi.

Non sorprende neppure che, mentre si privano i palestinesi delle loro abitazioni, dei servizi e persino dell’accesso ai loro luoghi sacri, Israele stia anche inasprendo l’oppressione economica del popolo palestinese a Gerusalemme.

I gerosolomitani palestinesi sono afflitti da alti livelli di povertà e di insicurezza economica che si stanno solo aggravando. Si stima che a Gerusalemme Est il 77% dei palestinesi viva al di sotto della soglia di povertà a confronto del 23% degli abitanti ebrei di Gerusalemme Ovest.

A Gerusalemme le attività economiche palestinesi sono soffocate, poiché Israele aggrava il nostro isolamento dal resto della Palestina. Un sistema di muri e posti di blocco militari nega l’accesso a Gerusalemme a visitatori e clienti dalle vicine città gerosolomitane come Abu Dis, Al-Ram e Hizma così come dalla Cisgiordania e Gaza. Questo isolamento danneggia l’economia locale.

Inoltre i proprietari di attività palestinesi devono affrontare tasse esorbitanti senza alcun supporto dallo Stato israeliano o dall’AP. Secondo i media locali ciò ha causato in anni recenti la chiusura di almeno 250 negozi di proprietà palestinese.

In effetti Gerusalemme ha bisogno di aiuto anche finanziario. L’AP spera che la conferenza al Cairo aiuti a raccogliere fondi di cui c’è gran bisogno per sostenere i settori dell’istruzione, della salute e per dare all’economia locale una spinta essenziale con investimenti dall’estero.

Ma qualsiasi sostegno, se mai si materializzasse, porterebbe ai gerosolomitani solo un sollievo limitato e temporaneo. La nostra città soffre per la disoccupazione e l’apartheid. Abbiamo bisogno di iniziative sul fronte politico e ne abbiamo bisogno immediatamente. Forti condanne e comunicati non bastano.

È vero che noi gerosolomitani siamo famosi per la nostrasumud” (resilienza) e che, come durante la riunione della Lega Araba, essa dovrebbe essere celebrata in contesti internazionali. Ma sotto l’oppressione di uno spietato occupante stiamo raggiungendo i limiti della nostra sopportazione.

Jalal Abukhater, gerosolomitano, ha conseguito la laurea in Politica e Relazioni Internazionali presso l’università di Dundee.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

(traduzione di Mirella Alessio)




Aggressione con un’auto uccide due persone nella Gerusalemme est occupata

Al Jazeera e agenzie di notizie

10 febbraio 2023 – Al Jazeera

Il conducente ha lanciato la sua macchina contro un’affollata fermata dell’autobus nell’illegale colonia di Ramot prima di essere colpito e ucciso.

La polizia e i medici israeliani affermano che un palestinese ha lanciato la sua auto contro un’affollata fermata d’autobus nella Gerusalemme est occupata, uccidendo due persone, tra cui un bambino, prima di essere colpito e ucciso.

L’attacco con l’auto di venerdì è avvenuto nella colonia israeliana illegale di Ramot. Le tensioni sono notevolmente cresciute nella parte orientale della città dopo che il 27 gennaio, compiendo l’aggressione più mortale a Gerusalemme da oltre un decennio, un palestinese ha condotto un attacco a mano armata fuori da una sinagoga uccidendo sette persone.

Il pronto soccorso ha identificato le due persone uccise venerdì come un bambino di sei anni e un uomo ventenne. Ha affermato che i medici stanno curando cinque feriti, compreso un bambino di otto anni in condizioni critiche ricoverato in rianimazione. Gli altri feriti vanno dai 10 ai 40 anni e si trovano in condizioni da moderate a gravi.

È stata una scena scioccante,” afferma il paramedico Lishai Shemesh, che si trovava nei pressi nel momento dell’attacco. “Ero in auto con mia moglie e i miei figli e ho notato un’auto che si è lanciata a tutta velocità contro una fermata dell’autobus investendo le persone in attesa.”

La polizia ha affermato che un agente fuori servizio ha sparato al sospetto e lo ha ucciso sul posto. Non ci sono informazioni immediate sulla sua identità.

Immagini mostrano poliziotti e paramedici che si affollano attorno a una Mazda blu incidentata e schiantatasi contro la fermata dell’autobus. Corpi sanguinanti giacciono sparsi sul luogo.

La casa del sospetto verrà demolita

Le organizzazioni palestinesi Jihad Islamico e Hamas, che governa la Striscia di Gaza, hanno lodato l’attacco ma non lo hanno rivendicato.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’incidente un’aggressione “terroristica” e ha ordinato che le forze di sicurezza vengano potenziate.

Il sito di notizie israeliano i24 ha informato che Netanyahu ha deciso di far sigillare e distruggere la casa del sospetto.

Il segretario di Stato USA Antony Blinken ha duramente condannato l’attacco in vista della sua visita nella regione intesa a ridurre le tensioni.

Prendere di mira deliberatamente civili innocenti è ripugnante e inconcepibile,” ha detto Blinken in un comunicato.

La colonia israeliana di Ramot venne costruita nel 1974 su terreni confiscati ai villaggi palestinesi di Beit Iksa e Beit Hanina.

Israele rivendica tutta Gerusalemme come sua capitale indivisibile, mentre l’Autorità Nazionale Palestinese vorrebbe Gerusalemme est, conquistata da Israele nella guerra dei Sei Giorni del 1967, come capitale del suo futuro Stato.

Da quando lo scorso anno Israele ha incrementato le incursioni e i palestinesi gli “attacchi individuali” in Israele, a Gerusalemme est e in Cisgiordania occupate le ostilità sono aumentate vertiginosamente.

Secondo l’importante associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem nel 2022, l’anno più letale in quei territori dal 2004, circa 150 palestinesi sono stati uccisi a Gerusalemme est e in Cisgiordania occupate.

L’anno scorso 30 persone sono morte in attacchi palestinesi contro israeliani.

In base a un calcolo dell’Associated Press [agenzia di notizie USA, ndt.] finora quest’anno sono stati uccisi 43 palestinesi, 10 dei quali in un conflitto a fuoco durante un’incursione dell’esercito a Jenin, in Cisgiordania.

Il nuovo governo israeliano di estrema destra guidato da Netanyahu ha accusato il precedente esecutivo di inazione dopo una serie di attacchi palestinesi, sollevando interrogativi riguardo alla sua posizione nei confronti dei palestinesi in un momento di accresciute tensioni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)