C’è una ragione per cui la Germania sta prendendo di mira gli intellettuali post-coloniali

Hebh Jamal


12 dicembre 2022 – Al Jazeera

Il postcolonialismo minaccia la percezione che lo Stato tedesco ha della propria identità nazionale e di quella di Israele

All’inizio di quest’anno, documenta quindici, quindicesima edizione della principale mostra di arte contemporanea in Europa che si svolge ogni cinque anni nella città tedesca di Kassel, si è trovata al centro di un acceso dibattito sui presunti legami tra l’antisemitismo e il pensiero postcoloniale.

Tutto ciò è iniziato con Ruangrupa, il collettivo di artisti con sede a Giacarta che ha curato l’edizione di quest’anno e che ha scelto di centrare la mostra, della durata di 100 giorni, su artisti del Sud globale e sul loro lavoro che chiede uguaglianza, condivisione, sostenibilità e, cosa fondamentale, liberazione dall’oppressione colonialista.

L’esposizione non era affatto concentrata sulla Palestina, con pochi collettivi palestinesi invitati a presenziare alla mostra, che dura vari mesi. Tuttavia la loro partecipazione, insieme all’appoggio reso pubblico di Ruangrupa al movimento palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), è bastata ai media tedeschi per etichettare l’esposizione di quest’anno come “antisemita”. Numerosi giornalisti hanno contestualizzato le accuse di antisemitismo contro documenta quindici anche come un processo al postcolonialismo.

Per esempio, commentando la cosiddetta “débacle” di documenta, un giornalista tedesco ha scritto che “finché lo Stato di Israele è un problema per il postcolonialismo, il postcolonialismo deve rimanere un problema per l’Occidente.” Un altro ha sostenuto che, poiché il libro dell’intellettuale palestinese Edward Said Orientalismo può essere considerato uno dei testi fondativi del pensiero postcoloniale, l’argomento “presta il fianco al tradizionale e antiisraeliano antisemitismo e nasce con un’ossessione nei confronti di Israele.”

Il dibattito sul presunto antisemitismo del pensiero postcoloniale non è rimasto circoscritto solo alla sfera dei media. A luglio, durante un incontro della commissione Cultura e Media del Bundestag [il parlamento tedesco, ndt.] sulle accuse di antisemitismo relative a questa edizione di Documenta, il partito di destra AfD ha chiesto in nome della lotta contro l’antisemitismo che nessun finanziamento federale venisse concesso a progetti di ricerca in settori culturali o educativi “che cerchino di diffondere contenuti ideologici postcoloniali”. E in ottobre l’Università della Ruhr a Bochum ha ospitato una conferenza intitolata “Antisemitismo postcoloniale tra Desmond Tutu e Documenta”, che, secondo la descrizione ufficiale, intendeva “comprendere le peculiarità dell’antisemitismo postcoloniale e le sue argomentazioni utilizzando come esempio la figura di Desmond Tutu.”

Come dimostra la menzione in questo contesto del famoso attivista per la giustizia razziale e premio Nobel per la Pace arcivescovo Desmond Tutu, in Germania il dibattito sul cosiddetto “antisemitismo postcoloniale” non è iniziato con documenta quindici.

In effetti nel 2020 lo studioso camerunense Achille Mbembe, considerato all’avanguardia nel campo del pensiero postcoloniale, era già stato accusato di “relativizzare l’Olocausto” e etichettato come antisemita dai media tedeschi per aver definito Israele uno Stato di apartheid e aver appoggiato il movimento BDS.

Tali accuse nei confronti di pensatori, artisti e attivisti postcoloniali che criticano Israele sono una diretta conseguenza dell’impegno dello Stato e del sistema politico tedeschi ad appoggiare incondizionatamente lo Stato di Israele come un modo per fare ammenda dei passati crimini della Germania contro il popolo ebraico.

Dalla caduta del Terzo Reich e dalla formazione di Israele la Germania ha concepito la difesa di Israele e dei suoi interessi come parte della propria ragion di stato. E oggi non si tratta solo di fornire appoggio politico, finanziario e morale a Israele, ma anche di accettare come un dato di fatto le affermazioni di Israele secondo cui qualunque critica allo Stato ebraico, o azione a sostegno della lotta per la liberazione dei palestinesi, sia intrinsecamente e indiscutibilmente antisemita.

Per esempio nel 2019 il parlamento tedesco ha approvato una risoluzione che etichetta il movimento BDS come entità che utilizza tattiche antisemite per raggiungere i suoi obiettivi politici e ha chiesto al governo di “non fornire spazi e strutture gestite dal Bundestag a organizzazioni che si esprimono in termini antisemiti o mettono in dubbio il diritto di Israele ad esistere.”

In effetti la Germania è riuscita a rendere quanto meno tabù, se non criminale, qualsivoglia appoggio alla liberazione dei palestinesi e discorso contro l’occupazione israeliana. Quanti sono fortemente determinati a mettere a tacere le voci palestinesi in nome della “lotta contro l’antisemitismo” hanno vietato proteste da parte dei palestinesi, annullato eventi palestinesi, etichettato come razzisti intellettuali palestinesi e cacciato giornalisti palestinesi dal loro lavoro.

Le aggressioni contro gli studi postcoloniali sono state per varie ragioni il passo successivo naturale di questa falsa lotta contro l’antisemitismo.

Il postcolonialismo, lo studio critico accademico dell’eredità culturale, politica ed economica del colonialismo, minaccia la percezione dello Stato tedesco dell’identità nazionale propria e di Israele in vari modi.

Primo, esso interpreta i genocidi come intrinsecamente connessi al colonialismo, e quindi vede l’Olocausto non come un’eccezione nella storia, un crimine diverso da ogni altro, ma solo come un altro sottoprodotto orripilante del colonialismo tedesco.

Quarant’anni prima dell’Olocausto i tedeschi furono responsabili di un altro genocidio, contro gli Herero e i Nama,” ha spiegato nel 2017 lo storico Jürgen Zimmerer. “Nell’Africa del Sudovest tedesca nacque uno Stato razzista, c’era un’ideologia, c’erano leggi, c’erano strutture militari e burocratiche adeguate e finalizzate a questo obiettivo. Trovo totalmente inverosimile non vedere alcun rapporto con i crimini del ‘Terzo Reich’ avvenuti in seguito.”

Questa idea secondo cui le precedenti atrocità colonialiste in Africa prepararono la strada all’Olocausto evidenzia l’indifferenza della Germania riguardo ai suoi crimini al di fuori dell’Europa e richiede una resa dei conti che con cui lo Stato tedesco non sembra affatto pronto a fare i conti.

Secondo, il postcolonialismo svela somiglianze tra soggetti statali violenti, e quindi evidenzia alcune scomode verità su Israele che la Germania preferirebbe piuttosto non affrontare.

Come hanno evidenziato molti studiosi del colonialismo, subendo per questo una marea di accuse di antisemitismo, Israele ha molto in comune con le violente, oppressive e razziste colonie di insediamento del passato: separa con violenza dai suoi coloni la popolazione indigena della terra che occupa, condiziona la cittadinanza e i diritti fondamentali allo status di coloni, impone blocchi per soffocare ogni resistenza al suo potere e sostiene di fare tutto ciò per controllare la violenza e la barbarie della popolazione locale.

Negli ultimi anni le critiche postcoloniali a Israele hanno conquistato una nuova attenzione globale in seguito alle proteste internazionali di Black Lives Matter [movimento antirazzista nato negli USA contro la violenza della polizia razzista nei confronti degli afro-americani, ndt.] che ha puntato i riflettori non solo sul razzismo istituzionalizzato nell’Occidente, ma anche sulle lotte anticoloniali in corso in tutto il mondo.

In Germania, dove difendere ad ogni costo Israele è visto come un dovere nazionale, tutto ciò ha portato a capillari tentativi di demonizzare le voci a favore dei palestinesi e a mettere in secondo piano i tentativi di una vera decolonizzazione. Documenta quindici è stata la più recente, ma sicuramente non l’ultima, vittima di questa sinistra campagna di diffamazione.

Le opinioni espresse in questo articolo sono solo dell’autrice e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.

Hebh Jamal


Hebh Jamal è universalmente considerata una oppositrice della disuguaglianza educativa, dell’islamofobia e dell’occupazione della Palestina. Si è messa in evidenza su molte tribune mediatiche come il NYTimes, TeenVogue, Netflix documentary Teach Us All e molte altre. Attualmente Hebh frequenta l’ultimo anno al City College di NY. Lavora al NYU Metro Center [Centro Metropolitano per la Ricerca sull’Uguaglianza e la Trasformazione delle Scuole] come collaboratrice nelle politiche per i giovani in quanto continua a lottare contro la segregazione nelle scuole. È stata anche presidentessa degli Studenti per la Giustizia in Palestina del college.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Al Jazeera porta l’uccisione di Shireen Abu Akleh alla Corte Penale Internazionale CPI

La rete afferma che le prove presentate ribaltano le affermazioni delle autorità israeliane secondo cui la giornalista palestinese sarebbe stata uccisa da un fuoco incrociato.

Annette Ekin

6 dicembre 2022 – Al Jazeera

L’Aia, Paesi Bassi Al Jazeera Media Network ha presentato una richiesta formale alla Corte Penale Internazionale (CPI) per indagare e perseguire i responsabili dell’uccisione dell’esperta giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh.

Abu Akleh, corrispondente televisiva di Al Jazeera per 25 anni, è stata uccisa dalle forze israeliane l’11 maggio mentre stava documentando un raid militare israeliano in un campo profughi a Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

La 51enne nativa di Gerusalemme e cittadina statunitense era un nome familiare e una giornalista molto rispettata che ha dato voce ai palestinesi attraverso la sua copertura dell’occupazione israeliana.

Una strategia più ampia’

La richiesta include un dossier con un’indagine approfondita svolta nell’arco di sei mesi da Al Jazeera che raccoglie tutte le prove rese disponibili da testimoni oculari e riprese video, oltre a nuovo materiale sull’uccisione di Abu Akleh.

La richiesta è presentata alla CPI “nel contesto di un più ampio attacco contro Al Jazeera e i giornalisti in Palestina”, ha affermato Rodney Dixon KC, un avvocato di Al Jazeera, riferendosi ad episodi come il bombardamento degli uffici della rete a Gaza il 15 maggio 2021.

“Non è un incidente isolato, è un omicidio che fa parte di una strategia più ampia su cui l’accusa dovrebbe indagare per identificare e incriminare i responsabili dell’omicidio”, ha detto.

Il focus è su Shireen, e su questo particolare omicidio, questo vergognoso omicidio. Ma le prove che presentiamo prendono in esame tutte le azioni contro Al Jazeera perché essa è stata presa di mira come organizzazione mediatica internazionale.

“E le prove dimostrano che ciò che le autorità [israeliane] stanno cercando di fare è farla tacere”, afferma Dixon.

Al Jazeera spera che il procuratore della CPI “avvii effettivamente le indagini su questo caso” dopo la richiesta della rete, dice Dixon. La richiesta integra la denuncia presentata alla CPI dalla famiglia di Abu Akleh a settembre, sostenuta dal Sindacato della stampa palestinese e dalla Federazione internazionale dei giornalisti.

Un nuovo documentario su Fault Lines [programma televisivo americano di attualità e documentari trasmesso su Al Jazeera English, ndt.] di Al Jazeera mostra come Abu Akleh e altri giornalisti, indossando elmetti protettivi e giubbotti antiproiettile chiaramente contrassegnati con la parola “PRESS”, stavano camminando lungo una strada in vista delle forze israeliane quando sono finiti sotto il fuoco.

Abu Akleh è stata colpita alla testa mentre cercava di proteggersi dietro un albero di carrubo. Anche il produttore di Al Jazeera Ali al-Samoudi è stato colpito alla spalla.

Le nuove prove presentate da Al Jazeera mostrano che “Shireen e i suoi colleghi sono stati colpiti direttamente dalle forze di occupazione israeliane (IOF)”, ha dichiarato martedì Al Jazeera Media Network in un comunicato.

Il comunicato precisa che le prove ribaltano le affermazioni delle autorità israeliane secondo cui Shireen sarebbe stata uccisa in un fuoco incrociato e “conferma, senza alcun dubbio, che non ci sono stati spari nell’area in cui si trovava Shireen, a parte quelli delle IOF diretti contro di lei”.

“Le prove dimostrano che questa uccisione deliberata è stata parte di una campagna più ampia che ha lo scopo di prendere di mira e mettere a tacere Al Jazeera”, afferma la dichiarazione.

Le truppe delle forze di difesa israeliane (IDF) non saranno mai interrogate, ha dichiarato martedì il primo ministro israeliano Yair Lapid.

“Nessuno interrogherà i soldati dell’IDF e nessuno ci farà prediche sulla morale del combattimento, certamente non la rete Al Jazeera”, ha detto Lapid.

Il ministro della Difesa Benny Gantz ha espresso le sue condoglianze alla famiglia Abu Akleh e ha affermato che l’esercito israeliano opera secondo “gli standard più elevati”.

I prossimi passi

Parlando davanti all’ingresso della CPI nella mattinata nuvolosa e frizzante dopo che Al Jazeera ha presentato la sua richiesta, Lina Abu Akleh, che indossava un distintivo con il volto di sua zia, ha detto che la famiglia spera di vedere “presto risultati positivi”.

“Ci aspettiamo che il pubblico ministero cerchi verità e giustizia e ci aspettiamo che il tribunale si impegni a condurre in giudizio per l’uccisione di mia zia le istituzioni e gli individui responsabili di questo crimine”, ha detto.

Il fratello maggiore di Abu Akleh, Anton, ha affermato che la presentazione [della richiesta di indagine] da parte della rete è stata importante per la famiglia.

“Questo per noi è molto importante, non solo per Shireen – niente può riportare indietro Shireen – ma come garanzia che tali crimini vengano fermati e, si spera, la CPI sarà in grado di agire immediatamente per porre fine a questa impunità“.

Walid al-Omari, a capo dell’ufficio di Al Jazeera a Gerusalemme e amico e collega di Abu Akleh, ha affermato che è fondamentale mantenere vivo il caso tra l’opinione pubblica. “Non pensiamo che Israele dovrebbe sfuggire all’obbligo di rispondere giuridicamente”.

Una volta che la CPI avrà esaminato le prove deciderà se indagare sull’uccisione di Abu Akleh nell’ambito delle indagini in corso.

Portare a giudizio i responsabili’

Nel 2021 la CPI ha stabilito la propria giurisdizione sulla situazione nei territori palestinesi occupati. La presentazione di Al Jazeera richiede che l’uccisione di Abu Akleh diventi parte di questa indagine più ampia.

“Stiamo facendo una richiesta per un’indagine che porti alla presentazione di accuse e al perseguimento dei responsabili”, ha affermato Dixon.

Le indagini condotte dalle Nazioni Unite, dalle organizzazioni per i diritti umani palestinesi e israeliane e dagli organi di informazione internazionali hanno concluso che Abu Akleh è stata uccisa da un soldato israeliano.

La famiglia Abu Akleh ha chiesto un’ “indagine approfondita e trasparente” da parte dell’FBI e del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per rivelare la catena di comando che ha portato alla morte di una cittadina statunitense.

“In breve, vorremmo che [il presidente degli Stati Uniti Joe] Biden facesse nel caso di Shireen ciò che la sua e le precedenti amministrazioni statunitensi non sono riuscite a fare quando altri cittadini americani sono stati uccisi da Israele: portare a giudizio gli assassini”, ha scritto Lina Abu Akleh su Al Jazeera nel mese di luglio.

A novembre gli Stati Uniti hanno annunciato un’indagine dell’FBI sull’uccisione di Abu Akleh, notizia accolta favorevolmente dalla sua famiglia.

Ma, ha ammonito Dixon, questa indagine non dovrebbe essere un motivo per cui la Corte penale internazionale non agisca.

“Possono, possono collaborare con… l’FBI, in modo che questo caso non scivoli tra le crepe e che i responsabili siano identificati e processati”.

Poco dopo la presentazione della richiesta alla Corte Penale Internazionale, gli Stati Uniti hanno dichiarato di respingere l’iniziativa.

“La CPI dovrebbe concentrarsi sulla sua missione principale”, ha detto ai giornalisti il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price. “E tale missione principale è servire come tribunale di ultima istanza per punire e scoraggiare i crimini atroci”.

Sfatare narrazioni mutevoli

Il documentario di Fault Lines esamina attentamente anche le mutevoli narrazioni di Israele.

Israele ha inizialmente incolpato per la morte di Abu Akleh dei palestinesi armati, ma a settembre ha affermato che c’era “un’alta probabilità” che un soldato israeliano avesse “colpito accidentalmente” la giornalista, ma che non avrebbe avviato un’indagine penale.

Hagai El-Ad, direttore dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, che ha rapidamente smentito la falsa affermazione di Israele secondo cui un uomo armato palestinese sarebbe stato responsabile della morte di Abu Akleh, ha detto a Fault Lines: Sono anche molto abituati a farla franca sia nell’arena pubblica che in quella legale nel mentire sull’uccisione di palestinesi”.

Il motivo per cui Al Jazeera ha fatto questa richiesta è perché le autorità israeliane non hanno fatto nulla per indagare sul caso. In realtà hanno detto che non indagheranno, che non c’è alcun sospetto di crimine”, afferma Dixon.

Al Jazeera Media Network definisce l’omicidio un “palese omicidio” e un “crimine atroce”.

“Al Jazeera ribadisce il suo impegno a ottenere giustizia per Shireen e ad esplorare tutte le strade per garantire che gli autori siano ritenuti responsabili e assicurati alla giustizia”, ha affermato la rete.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Cisgiordania: due fratelli tra cinque palestinesi uccisi da Israele

Redazione

29 novembre 2022 – Aljazeera

Jawad e Dhafr Rimawi sono stati uccisi durante un raid israeliano vicino a Ramallah, mentre un altro uomo è stato ucciso vicino a Hebron.

Cinque palestinesi, tra cui due fratelli, sono stati uccisi dal fuoco israeliano in distinte occasioni nella Cisgiordania occupata.

I due fratelli uccisi martedì sono stati identificati dall’agenzia di stampa palestinese WAFA come Jawad e Dhafr Rimawi, di 22 e 21 anni. Wafa sostiene che sono stati uccisi dal fuoco israeliano durante scontri con le truppe vicino al villaggio di Kafr Ein, a ovest di Ramallah.

Centinaia di persone hanno preso parte al corteo funebre prima che i loro corpi fossero sepolti. Bernard Smith di Al Jazeera ha riferito che a Ramallah si è tenuto uno sciopero generale per mostrare solidarietà alle ultime vittime.

Il ministro degli affari civili dell’Autorità palestinese Hussein Al-Sheikh ha descritto l’uccisione dei due fratelli come una “esecuzione a sangue freddo”.

L’esercito israeliano sostiene che le truppe che si trovavano nel villaggio sono state attaccate da sospetti che lanciavano pietre e bombe incendiarie e i soldati hanno risposto con le armi da fuoco. Sostiene anche che starebbe conducendo un’inchiesta sull’incidente.

In un altro avvenimento un uomo palestinese, identificato dal ministero della salute palestinese come Mufid Khalil, è stato ucciso dai soldati israeliani durante un raid militare vicino a Hebron.

Secondo il ministero della salute Khalil è stato colpito alla testa e almeno altri otto palestinesi sono rimasti feriti.

L’esercito israeliano sostiene che i soldati hanno sparato contro i palestinesi che lanciavano pietre e ordigni esplosivi improvvisati durante il raid. L’esercito israeliano afferma che anche i palestinesi hanno sparato alle truppe e che due veicoli dell’esercito sono rimasti bloccati a causa di problemi meccanici.

Un quarto palestinese è morto dopo essere stato colpito al petto dai soldati israeliani martedì pomeriggio durante gli scontri a nord di Ramallah, afferma il ministero della salute palestinese.

Wafa ha identificato l’uomo ucciso vicino a Ramallah come Raed Ghazi Al-Naasan.

Più tardi, martedì, il servizio di pronto soccorso israeliano ha dichiarato di aver curato una giovane donna gravemente ferita dopo essere stata investita da un’auto in quello che i militari hanno definito un attacco deliberato vicino all’insediamento illegale di Kochav Yaakov fuori Gerusalemme est occupata. La polizia ha sparato e ucciso il presunto aggressore.

I raid militari israeliani sono stati a lungo eventi ricorrenti nella Cisgiordania occupata che hanno portato a feriti o uccisioni di palestinesi disarmati.

Quest’anno segna il numero più alto di palestinesi uccisi da Israele in Cisgiordania dal 2006.

Dall’inizio del 2022 le forze israeliane hanno ucciso almeno 200 palestinesi, tra cui 47 minori, in Cisgiordania, Gerusalemme est e nella Striscia di Gaza assediata.

Solo in Cisgiordania, secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite, quasi altri 8.900 sono stati feriti dall’esercito israeliano quest’anno fino al 7 novembre

Quest’anno in Israele sono state anche uccise in attacchi palestinesi almeno 25 persone.

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Un morto e diversi feriti in due esplosioni a Gerusalemme

Redazione di Al Jazeera

AlJazeera – 23 novembre 2022

Le due distinte esplosioni fanno seguito all’uccisione di un sedicenne palestinese da parte delle forze israeliane nella Cisgiordania occupata, affermano i funzionari.

Almeno una persona è stata uccisa e altre 12 ferite in due diverse esplosioni che hanno scosso la città di Gerusalemme, come riportano i funzionari israeliani.

La polizia israeliana ha affermato che si sospetta gli incidenti di mercoledì mattina essere attacchi palestinesi.

Secondo alcuni funzionari palestinesi le esplosioni sono avvenute poche ore dopo l’uccisione di un adolescente palestinese di 16 anni da parte delle forze israeliane nella città occupata di Nablus, in Cisgiordania.

La prima esplosione è avvenuta verso le 7 (le 6 ora italiana) vicino a una stazione degli autobus israeliana lungo un’autostrada all’entrata occidentale di Gerusalemme, di solito piena di pendolari.

Sette persone sono rimaste ferite nella prima esplosione, di cui, secondo i medici, almeno due in gravi condizioni.

La seconda esplosione, che i funzionari hanno definito “controllata”, è avvenuta meno di mezz’ora dopo allo svincolo di Ramot, a nord di Gerusalemme. I funzionari hanno detto che cinque persone sono rimaste leggermente ferite dalle schegge.

Secondo quanto riferito da Ramot da Alan Fisher di Al Jazeera, la polizia ritiene che il primo incidente sia stato causato da “esplosivi nascosti all’interno di una bicicletta lasciata alla fermata dell’autobus”.

Si ritiene che entrambe le esplosioni siano state attivate a distanza.

Il primo ministro uscente Yair Lapid ha annunciato la convocazione di una riunione straordinaria con i funzionari della sicurezza israeliani.

Le autorità israeliane hanno chiuso le strade principali e istituito posti di blocco nella parte orientale e occidentale di Gerusalemme e intanto conducono un’indagine sulle esplosioni e ricercano i sospetti.

Per una decisione del Ministro della Difesa, l’esercito israeliano ha anche annunciato la chiusura di due fondamentali posti di blocco nell’area di Jenin: Jalameh e Salem.

Il commissario di polizia israeliano ha affermato che il tipo di attacco che ha avuto luogo a Gerusalemme “non si vedeva da anni” e che le autorità stanno cercando gli assalitori. Ha aggiunto che la polizia sta cercando altri possibili esplosivi in città.

Il filmato della prima esplosione da una telecamera di sorveglianza è stato condiviso sui social.

Yosef Haim Gabay, un medico che era sul posto quando è avvenuta l’esplosione, ha detto ad Army Radio che c’erano “danni ovunque sul posto” e che alcuni dei feriti stavano sanguinando copiosamente.

Se la causa è ancora sotto indagine, l’incidente è avvenuto mentre dall’anno scorso continuano a crescere le tensioni nella zona. Le incursioni dell’esercito israeliano e le uccisioni di palestinesi nelle città e nei villaggi della Cisgiordania occupata sono recentemente aumentate parallelamente all’aumento degli attacchi armati palestinesi, nonché all’aumento degli attacchi dei coloni contro i palestinesi.

Almeno 200 palestinesi, tra cui più di 50 bambini, sono stati uccisi da Israele nei territori illegalmente occupati di Gerusalemme Est, Cisgiordania e nella Striscia di Gaza assediata nell’anno più letale per i palestinesi dal 2006.

Più di 25 persone sono state uccise anche fra gli israeliani.

Poco dopo la mezzanotte di mercoledì i funzionari sanitari palestinesi hanno confermato l’uccisione a Nablus di un ragazzo di 16 anni, Ahmad Amjad Shehadeh, con una pallottola al cuore.

Le forze israeliane avevano fatto irruzione a Nablus nella Cisgiordania occupata settentrionale per garantire l’ingresso dei coloni israeliani al sito sensibile del Santuario di Giuseppe, circa un chilometro dal centro di Nablus.

Almeno altri cinque palestinesi sono rimasti feriti dopo essere stati colpiti con proiettili veri e granate assordanti, di cui uno in gravi condizioni per un proiettile allo stomaco, ha detto il Ministero della Salute palestinese.

La Mezzaluna Rossa [la Croce Rossa, ndt.] palestinese ha affermato di aver curato altri 22 feriti da proiettili rivestiti di gomma e molti altri per l’inalazione di gas lacrimogeni. Ha aggiunto che “l’ambulanza della Mezzaluna Rossa è stata presa di mira con proiettili veri dalle forze di occupazione”.

Le esplosioni sono avvenute mentre il primo ministro eletto Benjamin Netanyahu continua i negoziati per formare una nuova coalizione di governo con i partiti di estrema destra e gli ultranazionalisti, che hanno ottenuto la maggioranza in parlamento alle elezioni generali di questo mese.

Itamar Ben-Gvir, il politico di estrema destra che ha chiesto la pena di morte per i palestinesi che compiono attacchi e che è destinato a diventare Ministro della Sicurezza Interna responsabile della polizia nel nuovo governo del Paese, ha affermato che le esplosioni di Gerusalemme significano che dovrà applicare misure più forti.

“Dobbiamo riprendere gli omicidi mirati e fargliela pagare”, ha detto Ben-Gvir, riferendosi all’aumento degli omicidi mirati di combattenti palestinesi da parte dell’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata.

Hamas, il gruppo palestinese che governa la Striscia di Gaza assediata da Israele, ha elogiato l’attacco definendolo un’operazione eroica, ma si è fermato prima di rivendicarne la responsabilità.

“L’occupazione sta pagando il prezzo dei suoi crimini e dell’aggressione contro il nostro popolo”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Palestinese colpito a morte in Cisgiordania dopo aver ucciso degli israeliani

Redazione di AL Jazeera 

15 novembre 2022 Al Jazeera e Agenzie di stampa

Mohammad Souf, di 18 anni, ha accoltellato diversi israeliani all’ingresso industriale della colonia di Ariel nella Cisgiordania occupata.

Un palestinese ha ucciso tre israeliani e ne ha feriti altri tre in un attacco in una colonia nella Cisgiordania occupata, prima di essere colpito e ucciso da agenti della sicurezza israeliani: questo è quanto hanno riferito paramedici israeliani e funzionari palestinesi.

Il servizio paramedico Zaka ha detto che i tre feriti nell’attacco nella colonia illegale di Ariel sono stati curati in ospedale e sono in gravi condizioni.

E’ stato l’ultimo attacco di un’ondata di violenza tra israeliani e palestinesi in questo anno, che ha visto incursioni israeliane quasi quotidiane nella Cisgiordania occupata, con arresti e uccisioni di palestinesi, così come attacchi di palestinesi contro israeliani.

L’esercito israeliano ha affermato che il palestinese, identificato dal Ministero della Salute palestinese come il 18enne Mohammad Souf, prima ha attaccato gli israeliani all’entrata della zona industriale della colonia, poi ha proseguito fino ad un vicino distributore di benzina e lì ha accoltellato altre persone. L’esercito ha detto che poi l’uomo ha rubato un’auto, si è intenzionalmente scontrato con un’automobile sulla vicina strada principale ed ha colpito ed ucciso un’altra persona prima di fuggire a piedi.

Ha riferito che l’aggressore è stato colpito da un soldato e che le truppe stavano perlustrando l’area per cercare altri sospetti.

Un video amatoriale diffuso dalla televisione israeliana sembra mostrare il sospetto aggressore percorrere di corsa una strada e crollare a terra dopo essere stato colpito. Più tardi il Ministero della Salute ha dichiarato che Souf proveniva dal vicino villaggio di Hares.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di famiglia di Souf e, secondo organi di stampa palestinesi, hanno aggredito fisicamente membri della famiglia.

Nessuna fazione palestinese ha rivendicato la responsabilità dell’attacco, ma esso è stato acclamato da portavoce di Hamas, Jihad islamica e Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

In una dichiarazione il portavoce di Hamas Abdel Latif al-Qanou ha affermato che l’operazione ha dimostrato “la capacità del nostro popolo di proseguire la sua rivoluzione e difendere la Moschea di Al-Aqsa da quotidiane incursioni”.

Il FPLP, di sinistra, ha affermato che l’attacco è stato una risposta “alla politica di esecuzioni sul campo perseguita dall’occupazione israeliana e dai suoi servizi di sicurezza contro il nostro popolo, delle quali l’uccisione della ragazza palestinese Fulla Masalmeh ieri a Beitunia non sarà l’ultima.”

L’anno più sanguinoso

Il Primo Ministro israeliano uscente Yair Lapid ha inviato le condoglianze alle famiglie degli israeliani uccisi nell’attacco e ha detto che Israele “sta combattendo il terrorismo senza sosta e col massimo delle forze.”

Le nostre forze di sicurezza lavorano 24 ore al giorno per proteggere i cittadini israeliani e danneggiano senza sosta le infrastrutture del terrorismo”, ha detto.

Quest’anno l’ondata di violenza tra israeliani e palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme est ha fatto almeno 25 morti dalla parte israeliana e più di 130 da quella palestinese, rendendo il 2022 l’anno con più vittime dal 2006.

Israele afferma che le sue incursioni ed arresti che avvengono quasi ogni notte in Cisgiordania sono necessari per smantellare le reti armate in un momento in cui le forze di sicurezza palestinesi non sono capaci o non vogliono farlo.

L’Autorità Nazionale Palestinese afferma che le incursioni indeboliscono le sue forze di sicurezza ed hanno lo scopo di consolidare l’occupazione illegale di Israele che continua da 55 anni nei territori che i palestinesi vogliono per il loro auspicato Stato.

In queste incursioni sono state fermate centinaia di palestinesi, molti dei quali sottoposti alla cosiddetta detenzione amministrativa, che consente ad Israele di detenerli a tempo indefinito senza processo né imputazione.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’esercito israeliano uccide un’adolescente palestinese nella Cisgiordania occupata

Zena Al Tahan

14 novembre 2022 – Aljazeera

Fulla Rasmi Abdelazeez Masalmeh, di 15 anni, è stata colpita e uccisa dall’esercito israeliano mentre si trovava a bordo di un veicolo vicino alla città di Ramallah.

Ramallah, Cisgiordania occupataL’esercito israeliano ha ucciso a colpi d’arma da fuoco una ragazza palestinese di 15 anni nella città di Beitunia vicino a Ramallah, nella Cisgiordania occupata.

Il ministero della salute palestinese ha identificato la vittima come Fulla Rasmi Abdelazeez Masalmeh, di 15 anni. Domani, giorno del suo compleanno, avrebbe dovuto compiere 16 anni. Lunedì è stato reso noto che è stata uccisa quando soldati occupanti le hanno sparato contro nel corso di un’incursione a Beitunia”.

I funzionari palestinesi inizialmente hanno erroneamente identificato la vittima come una donna di 19 anni di nome Sanaa al-Tal.

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa durante la sparatoria è ​​stato ferito e arrestato un altro palestinese, il 26enne Anas Hassouneh.

Masalmeh, che è stata uccisa mentre si trovava in macchina, proveniva dalla città di al-Thahiriyeh a sud della città di Hebron, nella Cisgiordania meridionale occupata.

Notizie e immagini del fatto sono state diffuse dai media locali alle 4 del mattino (01:00 GMT) e la sua uccisione è stata confermata diverse ore dopo.

Un testimone ha riferito a Wafa che Masalmeh e Hassouneh si trovavano a bordo di un veicolo che stava percorrendo una strada, ignari del fatto che le forze israeliane si fossero posizionate in diversi punti finché non si sono imbattuti improvvisamente nell’esercito.

“Quando hanno cercato di cambiare direzione hanno trovato altri soldati di fronte a loro che hanno iniziato a sparare contro di loro senza alcun preavviso”, ha detto il testimone, che vive nella zona, aggiungendo che mentre cercava di scappare l’auto è stata colpita tre volte da soldati appostati in diversi punti.

Il testimone aggiunge che i soldati israeliani hanno tirato fuori dal veicolo Hassouneh, che era alla guida dell’auto, e che stava sanguinando, mentre Masalmeh è morta sul colpo.

Secondo i media israeliani, una dichiarazione dell’esercito israeliano afferma che i soldati hanno individuato un “veicolo sospetto che accelerava nella loro direzione nel corso un’operazione delle forze di sicurezza”. I soldati avrebbero segnalato al veicolo di fermarsi, ma questo avrebbe accelerato verso di loro, dopodiché hanno sparato contro il veicolo, afferma la nota.

Un video di sorveglianza ampiamente condiviso sui social media sembra mostrare l’auto che si ferma lentamente nell’area prima di essere colpita da soldati appostati nelle vicinanze. Al Jazeera non ha potuto verificare autonomamente il filmato.

Diaa Qurt, sindaco di Beitunia, ha dichiarato ad Al Jazeera che l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella città, che si trova a ovest di Ramallah, per effettuare degli arresti, durante i quali sono scoppiati gli scontri.

“Questi giovani erano in macchina … L’esercito ha ritenuto l’auto sospetta, per cui le ha sparato contro”, afferma Qurt. “La loro uccisione in un batter di ciglia è un crimine.

L’esercito israeliano, dice Qurt, ha consegnato il corpo della ragazza ai medici palestinesi, che l’hanno trasferita all’ospedale pubblico di Ramallah.

Qurt fa presente che domenica notte l’esercito aveva arrestato tre palestinesi di Beitunia.

In quanto popolo palestinese sotto occupazione, l’esercito israeliano ha il potere di sparare e uccidere i nostri giovani anche se stanno solo lanciando pietre durante gli scontri. Sparano anche contro semplici passanti o persone a bordo delle loro auto”, aggiunge.

Lunedì, in seguito all’uccisione, il ministero palestinese degli affari esteri ha chiesto “misure internazionali per costringere lo Stato occupante a fermare la sua aggressione contro il nostro popolo”.

Si legge che la ragazza martirizzata questa mattina a Beitunia è l’ultima vittima di questa aggressione”.

Le forze israeliane effettuano quasi quotidianamente raid e arresti in tutta la Cisgiordania occupata nell’intento di reprimere i gruppi armati che operano nel territorio palestinese.

Durante tali raid l’esercito spara regolarmente proiettili veri con la frequente uccisione o ferimento di abitanti, tra cui persone del tutto estranee.

Finora, nel 2022, l’esercito israeliano ha ucciso nella Cisgiordania occupata e Striscia di Gaza sotto assedio197 palestinesi, tra cui 43 minori. Secondo le Nazioni Unite, il numero di palestinesi uccisi da Israele nella Cisgiordania occupata quest’anno è il più alto degli ultimi 16 anni.

L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha rilevato in precedenti rapporti che le forze israeliane spesso usano armi da fuoco contro i palestinesi per un semplice sospetto o come misura precauzionale, in violazione degli standard internazionali”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele uccide 4 palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate

Redazione di Al Jazeera

3 novembre 2022 – Al Jazeera

Un uomo, Daoud Rayan, è stato ucciso a Beit Dukku un giorno dopo che un altro abitante della città è stato ucciso vicino a un posto di blocco.

Le forze israeliane hanno ucciso quattro palestinesi in differenti incidenti in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate.

Giovedì la violenza è scoppiata mentre Israele conteggiava i voti definitivi nelle elezioni nazionali svoltesi questa settimana, e si prevede che l’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu sarà alla guida di un’ampia maggioranza sostenuta da alleati di estrema destra.

Il Ministero della Salute palestinese ha detto che un palestinese è stato ucciso dal fuoco israeliano in Cisgiordania. È stato identificato come il quarantaduenne Daoud Mahmoud Khalil Rayan di Beit Duqqu, in Cisgiordania.

La polizia israeliana ha dichiarato che le guardie di frontiera paramilitari hanno fatto irruzione in casa di un palestinese che sostenevano avesse lanciato la propria auto mercoledì contro un soldato israeliano. La polizia ha detto che lì gli agenti hanno affrontato una protesta durante la quale i dimostranti hanno lanciato pietre e ordigni incendiari contro i poliziotti. Allora questi hanno aperto il fuoco contro chi aveva scagliato l’ordigno.

In un altro incidente occorso giovedì, secondo la polizia un palestinese avrebbe accoltellato un agente di polizia nella Città Vecchia di Gerusalemme e gli agenti hanno aperto il fuoco, uccidendolo. L’agente è rimasto lievemente ferito.

Nel frattempo due palestinesi, compreso un combattente della Jihad islamica, sono stati uccisi nel corso di incursioni dell’esercito a Jenin.

Le violenze si sono verificate mentre in Israele sta avvenendo un cambiamento politico dopo le elezioni nazionali, con l’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu che probabilmente tornerà al potere con un governo di coalizione composto da alleati di estrema destra, incluso il parlamentare di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che in risposta agli incidenti ha detto che Israele presto userà un approccio più duro nei confronti degli aggressori.

È arrivato il momento di riportare la sicurezza nelle strade”, ha twittato. “È arrivato il momento che un terrorista che sta per compiere un attacco venga eliminato!”

Gli incidenti sono stati gli ultimi di un’ondata di violenze in Cisgiordania e a Gerusalemme est che quest’anno ha ucciso più di 130 palestinesi, facendo del 2022 l’anno con il maggior numero di vittime dal 2015.

Le forze israeliane hanno compiuto incursioni quasi quotidiane in Cisgiordania e i combattenti palestinesi hanno risposto attaccando soldati israeliani.

Le incursioni sono state parte dell’operazione israeliana “Spezzare l’onda”, che è un tentativo di porre fine all’emergere di nuovi gruppi di resistenza palestinesi in Cisgiordania.

Nelle ultime settimane le incursioni sono state accompagnate da un aumento degli attacchi contro israeliani, che hanno fatto almeno tre morti.

Sempre giovedì Israele ha rimosso alcuni posti di blocco in entrata e uscita da Nablus. Israele ha imposto le restrizioni settimane fa, attuando un giro di vite sulla città in risposta ad un nuovo gruppo militante noto come “La fossa dei leoni”. Nelle settimane scorse l’esercito ha condotto ripetute operazioni in città, uccidendo o arrestando i comandanti al vertice del gruppo.

Israele ha conquistato la Cisgiordania nella guerra del 1967 e da allora ha mantenuto un’occupazione militare illegale sul territorio e vi ha insediato più di 500.000 persone. I palestinesi vogliono il territorio, insieme alla Cisgiordania e Gerusalemme est per il loro auspicato Stato indipendente.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’ultrà di destra Ben-Gvir emerge come protagonista nelle elezioni in Israele

Orly Halpern

1 novembre 2022 – Al Jazeera

Mentre Israele va al voto per la quinta volta in meno di quattro anni, incertezza e crescenti tensioni fanno aumentare il sostegno al famigerato uomo politico.

Gerusalemme – Fino all’anno scorso Ben-Gvir era meglio noto come un provocatore della frangia dell’estrema destra religiosa degli odiatori dei palestinesi.

Ora sembra stia per diventare il protagonista nelle elezioni parlamentari di martedì quando gli israeliani voteranno per la quinta volta in meno di quattro anni.

Ben-Gvir, un colono di Kiryat Arba, una delle colonie più estremiste nella Cisgiordania occupata (illegalmente secondo il diritto internazionale), è stato condannato per incitamento al razzismo, distruzione di proprietà, possesso di materiale di propaganda di un’organizzazione “terroristica” e sostenitore dell’organizzazione “terroristica” Kach, gruppo illegale fondato [nel 1971 dal rabbino] Meir Kahane, a cui si era unito quando aveva 16 anni.

Ma nelle elezioni del marzo 2021 Ben-Gvir con il suo partito Potere Ebraico è riuscito a entrare nel parlamento israeliano in coalizione con il partito Unione Nazionale di Bezalel Smotrich diventando [la coalizione] “Sionismo Religioso” su richiesta dell’allora primo ministro Benjamin Netanyahu che voleva assicurarsi che nessun voto di destra andasse perso nel suo tentativo di formare il futuro governo.

Netanyahu, sotto processo per corruzione, non è riuscito a diventare primo ministro, ma l’accordo ha consentito a Ben-Gvir di entrare in parlamento.

Ora la lista sta per diventare il terzo partito nella Knesset, il parlamento di Israele. E avendo Netanyahu il 50% di possibilità di formare il prossimo governo, Ben-Gvir e Smotrich stanno preparando i loro piani con l’obiettivo di cambiare la natura del sistema politico israeliano.

Uno dei loro obiettivi è minare il sistema giudiziario israeliano rimuovendo dal codice penale i reati di frode e abuso d’ufficio per cui Netanyahu è sotto processo, privando l’Alta Corte di Giustizia della facoltà di annullare leggi incostituzionali, e dare ai parlamentari il controllo sulla selezione dei giudici.

Sabato un parlamentare di Yesh Atid, il partito centrista del primo ministro Yair Lapid, ha associato un eventuale governo con Netanyahu e Ben-Gvir all’ascesa di Adolf Hitler dicendo: “Non lo sto paragonando a niente, ma anche Hitler è salito al potere in modo democratico”.

Ben-Gvir vuole anche espellere i palestinesi con cittadinanza israeliana “sleali”. In agosto un sondaggio online di una stazione radio locale ha rilevato che circa due terzi degli israeliani sono a favore della proposta.

Daniel Goldman, 53 anni, uomo d’affari ebreo religioso e attivista sociale della città israeliana di Beit Shemesh, è deluso che così tanti ebrei religiosi sostengano Ben-Gvir.

Dice che deciderà cosa sia un test di lealtà e quindi a chi verrà permesso di essere un cittadino, il che non è accettabile, non solo da un punto di vista democratico, ma da un punto di vista ebraico,” dice Goldman ad Al Jazeera.

Come membro della comunità religiosa sionista, sono sconvolto che le opinioni [di] Smotrich e, in misura maggiore, di Ben-Gvir siano accettate dalla maggioranza della comunità a cui appartengo. Secondo la mia idea di giudaismo credo che noi abbiamo una responsabilità verso la minoranza, non solo la maggioranza, e questo include chiunque in Israele.”

Giorni bui’

I principali giornali israeliani hanno pubblicato editoriali che parlano di “elezioni decisive” e di “un ritorno ai secoli bui”.

L’ex ministro Limor Livnat, del partito di destra Likud, ha scritto venerdì sul giornale Yedioth che “un vero likudista non voterebbe per il Likud”, citando la decisione di Netanyahu di accogliere Ben-Gvir, “nel cuore della vita politica direttamente dalle frange della destra radicale e folle e farne un eroe”.

Ehud Barak, ex primo ministro laburista, ha profetizzato “giorni bui” se Ben-Gvir entrerà nel governo, mentre Zehava Galon, leader del partito di sinistra Meretz, ha detto che le elezioni “determineranno se qui ci sarà un Paese libero o una teocrazia ebraica”.

Ben-Gvir ha una lunga storia di provocazioni contro i palestinesi e la sinistra israeliana.

Nel 1995, al culmine degli Accordi di Pace di Oslo, il diciannovenne Ben-Gvir mostrò alle telecamere lo stemma strappato dal cofano dell’auto dell’allora primo ministro Yitzhak Rabin dichiarando: “Siamo arrivati alla sua macchina. Arriveremo anche a lui.”

Poche settimane dopo Rabin fu assassinato da un ultranazionalista israeliano a una manifestazione a sostegno dell’accordo di pace e del ritiro pianificato dal territorio palestinese.

Ben-Gvir era anche famoso perché sul muro di casa sua aveva messo in bella mostra la foto di Baruch Goldstein, l’americano-israeliano che nel 1994 massacrò 29 fedeli palestinesi a Hebron.

Da quando nella precedente elezione ha vinto un seggio nella Knesset, ha puntato una pistola contro dei parcheggiatori palestinesi a Tel Aviv, per cui è stato interrogato dalla polizia, e si è scontrato con il politico Ayman Odeh, cittadino palestinese di Israele, quando Odeh gli aveva impedito di entrare nella stanza d’ospedale dove si trovava un prigioniero palestinese in sciopero della fame.

Il mese scorso Ben-Gvir è andato nel quartiere di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme Est occupata, dove le autorità israeliane stanno cercando di sfrattare delle famiglie palestinesi, con un gruppo di coloni che hanno tagliato le gomme delle macchine dei palestinesi e tentato di prendere d’assalto la casa di una famiglia. Quando i palestinesi hanno reagito lanciando pietre, ha estratto una pistola nonostante la presenza sulla scena della polizia.

Ben-Gvir ha dichiarato sabato che se il blocco di destra di Netanyahu si assicurasse la maggioranza lui esigerebbe di diventare ministro della Pubblica Sicurezza, cosa che gli darebbe autorità sulla polizia e sulla polizia di frontiera [corpo dell’esercito che opera nei territori occupati, N.d.T.].

Ben-Gvir sostiene che gli ufficiali della polizia israeliana e i soldati hanno le mani legate e vuole allentare le norme per permettere loro di sparare contro i palestinesi che lanciano pietre, ma non contro gli ebrei che fanno altrettanto.

Quello che veramente mi preoccupa è… il sostegno dei giovani, che la gente creda che usare violenza e potere sia il modo in cui dovremmo vivere, e non in base a eguaglianza e relazioni normali fra ebrei e arabi,” dice ad Al Jazeera Doubi Schwartz, un sessantatreenne attivista per la pace della città di Hod Hasharon, nel centro di Israele, “Ben-Gvir è una bandiera nera che sventola sopra la democrazia israeliana.”

Terreno fertile per l’estrema destra

Ci sono vari motivi dell’ascesa di Ben-Gvir. Un fattore che ha contribuito sono state le violenze dell’anno scorso nelle città “miste” dal punto di vista religioso, cominciate con i tentati sfratti a Sheikh Jarrah.

Gli scontri a Lod e in altre città miste arabo-ebraiche hanno causato un enorme trauma a molti ebrei israeliani. Non stiamo palando di palestinesi in regime di occupazione. Stiamo palando di cittadini israeliani palestinesi che hanno incendiato sinagoghe e attaccato a caso ebrei per le strade, che hanno aggredito i vicini,” dice Yossi Klein Halevi, senior fellow presso lo Shalom Hartman Institute e autore di Letters to my Palestinian Neighbor [Lettere al mio vicino palestinese].

Poi è intervenuto Ben-Gvir e ha cominciato a fare quello che Ben-Gvir fa meglio… sobillare. E ha organizzato bande ebree di ‘contro-linciaggio’. È sceso in strada e ha organizzato la rabbia.”

La maggior parte degli ebrei israeliani non sa che l’undici maggio 2021 a Lydd (Lod) c’erano la polizia ed ebrei legati alla comunità ebraica nazionalista Garin Torani, che per prima aveva attaccato i palestinesi in città. I palestinesi hanno risposto lanciando pietre e alcune ore dopo in città i membri della Garin hanno aperto il fuoco sui palestinesi e ucciso Moussa Hassouneh, 32 anni e padre di tre figli, che i palestinesi sostengono non fosse coinvolto [negli scontri].

Nei giorni seguenti c’è stata un’escalation di violenza per l’arrivo di ebrei armati provenienti da colonie nella Cisgiordania occupata e dal resto del Paese che hanno attaccato i palestinesi nelle proprie case e per strada, dando fuoco a un cimitero musulmano, ad auto e negozi. C’è stata violenza da parte dei palestinesi e un abitante ebreo è stato ucciso, ma la maggioranza dei media ebraici ha riportato solo gli attacchi contro ebrei e proprietà ebraiche.

Dopo tre giorni Kobi Shabtai, commissario della polizia israeliana, ha accusato Ben-Gvir per i disordini nelle città ebraico-palestinesi.

Ben-Gvir ha anche beneficiato del tempismo delle ultime elezioni e del panorama politico frammentato.

Il processo di pace non esiste più, da marzo in Israele c’è stata una serie di attacchi di palestinesi e le forze israeliane hanno condotto incursioni quasi quotidiane nella Cisgiordania occupata, uccidendo decine di palestinesi.

Durante i periodi di incertezza e tensione, quando la gente vuole una risposta e la sinistra non ne ha una immediata, il terreno è fertile per i messaggi della destra che risponde in un modo molto più populista,” spiega Daniel Bar-Tal, psicologo politico presso l’Università di Tel Aviv. “E questo è il fenomeno Ben-Gvir.”

Dopo gli scontri a Sheikh Jarrah a ottobre [Ben-Gvir] ha postato una foto con se stesso e due dei suoi bambini in una sala giochi mentre impugnano enormi mitragliatrici di plastica con la didascalia: “Dopo gli scontri a Shimon Hatzadik [colonia ebraica in un quartiere palestinese di Gerusalemme est, N.d.T.] ho portato i bambini in una sala giochi per insegnare loro cosa fare ai terroristi. Buone feste e Shabbat Shalom [Che sia un sabato di pace, in ebraico, N.d.T.].”

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




L’ennesima elezione in Israele: perché ai palestinesi non interessa?

Mohamad Kadan

30 ottobre 2022-Aljazeera

Molti palestinesi con cittadinanza israeliana non voteranno il 1° novembre, sentendosi delusi dai loro politici.

Quando il 1° novembre Israele terrà la sua quinta elezione in meno di quattro anni, la maggior parte del mondo lo vedrà come un altro segno di divisione nella politica israeliana. La lotta dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu per mantenere il potere e sfuggire all’accusa di corruzione ha incoraggiato la frammentazione politica e ha prodotto una serie di governi instabili.

Ma mentre in superficie la politica israeliana può sembrare afflitta da instabilità, c’è un notevole consenso politico su questioni chiave in materia di sicurezza, politica economica ed estera. Invece una reale divisione ha regnato nella comunità palestinese in Israele.

In effetti prima del voto l’umore tra noi, palestinesi con cittadinanza israeliana, è piuttosto pessimista. Secondo un recente sondaggio non più del 39% dei palestinesi che hanno diritto di voto in Israele si presenterà alle urne. Ciò potrebbe avere un grave effetto sui risultati, portando potenzialmente i voti dei partiti palestinesi al di sotto della soglia necessaria per entrare alla Knesset.

Allora perché noi palestinesi siamo così riluttanti ad andare alle urne in Israele? Molto ha a che fare con le strategie dei nostri partiti che non sono riuscite a produrre alcun cambiamento significativo nella situazione precaria in cui ci troviamo.

Un cambio di direzione

I palestinesi con cittadinanza israeliana hanno avuto il diritto di votare alle elezioni israeliane sin dalla fondazione dello Stato nel 1948.

I partiti palestinesi, anche quando si sono frammentati, sono rimasti ideologicamente vicini l’uno all’altro e fedeli al loro ruolo di portavoce della comunità palestinese, per richiamare l’attenzione sulle ingiustizie che ha dovuto affrontare e opporsi ai governi israeliani di qualsiasi orientamento politico e alle loro politiche sioniste.

È stato così fino al 2015, quando è stata formata da una coalizione di partiti palestinesi la Joint List [Lista Unita]. Ayman Odeh, il leader della nuova formazione, immaginava che la presenza palestinese alla Knesset avrebbe potuto giocare un ruolo nella costruzione di una grande base liberaldemocratica in Israele. Quell’anno ha vinto 13 seggi alla Knesset ed è riuscita a mobilitare circa il 63% degli elettori palestinesi aventi diritto, 10 punti percentuali in più rispetto alle elezioni precedenti.

Nelle elezioni del settembre 2019, la Joint List ha vinto nuovamente 13 seggi, diventando la terza forza dell’organo legislativo. Il successo dell’alleanza è arrivato mentre Netanyahu ha condotto una campagna tossica e anti-palestinese, sperando di mantenere il potere.

Odeh si sentiva fiducioso dopo questi risultati e ha deciso di schierarsi contro Netanyahu e con il suo avversario, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz. Di conseguenza, dopo le elezioni ha annunciato che la Joint List avrebbe sostenuto Gantz per la carica di primo ministro – [sarebbe stata] la prima volta che un partito palestinese avrebbe fatto parte della maggioranza di un premier sionista.

Gantz non solo non è riuscito a formare un governo, ma ha respinto con arroganza il sostegno della Joint List. Dopo le elezioni del marzo 2020, in cui la Joint List ha ottenuto 15 seggi, la Knesset è stata nuovamente bloccata e ancora una volta la coalizione dei partiti palestinesi ha appoggiato l’ex capo di stato maggiore contro Netanyahu. Questa volta il “tradimento” di Gantz è stato ancora più eclatante: ha deciso di formare un governo di unità nazionale con il suo avversario [cioè Netanyahu, ndt.].

Un anno dopo, Mansour Abbas, capo del partito Ra’am, ha deciso di fare un passo avanti nella strategia di Odeh. Il suo partito è uscito dalla coalizione Joint List prima delle elezioni del marzo 2021 e ha iniziato a dialogare ancora di più con i partiti israeliani.

Non voglio far parte di nessun blocco, di destra o di sinistra. Rappresento qui un altro blocco che mi ha eletto per servire il mio popolo e mi ha incaricato di presentare le richieste dell’opinione pubblica araba”, ha detto dopo le elezioni in cui il suo partito ha ottenuto quattro seggi.

L’argomento avanzato da Abbas era che i palestinesi devono uscire dal loro autoisolamento politico ed essere più coinvolti nella formazione del governo israeliano, indipendentemente dalla sua ideologia. Ciò avrebbe consentito loro una maggiore influenza politica e l’opportunità di difendere i propri interessi a livello di governo.

Tuttavia nella sua collaborazione con i partiti politici israeliani Abbas ha rilasciato una serie di dichiarazioni problematiche. Ha affermato che “Israele è uno Stato ebraico e tale rimarrà” e ha rifiutato di descrivere i coloni israeliani come “violenti”. Inoltre ha sostenuto di non accettare di chiamare Israele uno “Stato di apartheid”.

Strategia fallita

Il cambio di strategia è stato disastroso per la Joint List. Ha profondamente deluso molti elettori palestinesi che hanno toccato con mano che i partiti palestinesi non dovrebbero sostenere un primo ministro sionista, tanto meno uno accusato di crimini di guerra contro i palestinesi. Ciò si è riflesso nelle elezioni israeliane del 2021, quando [la Joint List] ha ottenuto solo sei seggi.

In apparenza la strategia di Abbas poteva sembrare aver più successo, ma in realtà non è stato così. La frammentazione della Knesset e la sua volontà di impegnarsi con i partiti israeliani lo [Abbas] hanno reso l’ago della bilancia nel complicato processo di formazione del governo nel 2021. Ha raggiunto un accordo con la coalizione israeliana, che ha formato il governo, per garantire maggiori finanziamenti per le comunità palestinesi in Israele, una sospensione delle demolizione delle case palestinesi e il riconoscimento delle città beduine palestinesi.

Tre villaggi sono stati effettivamente “legalizzati”, ma ciò è avvenuto in cambio dell’accordo di Abbas e del suo partito alla creazione di nuovi insediamenti israeliani nel deserto del Naqab [Negev in ebraico, ndt]. Le case palestinesi continuano a essere demolite dagli israeliani e non si è visto nessun cambiamento significativo nei settori dell’istruzione, della salute, delle infrastrutture e altro nelle comunità palestinesi

Secondo molti palestinesi Abbas ha rinunciato a troppo per troppo poco. In cambio di un miglioramento temporaneo invece che di soluzioni strutturali ai grandi problemi che la comunità deve affrontare, ha rinnegato le posizioni palestinesi di lunga data contro l’occupazione israeliana e l’apartheid.

Le sue posizioni controverse hanno anche minato la posizione palestinese nella politica israeliana, legando la legittimità delle richieste dei palestinesi alla loro accettazione del sionismo piuttosto che ai loro diritti come comunità che vive su questa terra da secoli.

Sia le strategie di Abbas che quelle di Odeh sono state criticate, anche da ex colleghi della loro coalizione. Sami Abou Shehadeh, dell’Assemblea Nazionale Democratica (Al-Tajammu’), ha suggerito che i partiti palestinesi dovrebbero tornare alla loro posizione di opposizione.

Ma quella strategia è stata inefficace anche perché funziona all’interno dei limiti dello spazio politico israeliano, che è appunto quello dell’apartheid. Per più di sette decenni votare e avere membri palestinesi alla Knesset non ha fermato l’espropriazione israeliana dei palestinesi, la violenza contro i palestinesi o l’approvazione di leggi anti-palestinesi.

Le comunità palestinesi in Israele sono estremamente povere, prive di risorse, sottosviluppate e trascurate. Le infrastrutture si stanno sgretolando, i tassi di criminalità sono alti, la disoccupazione è schiacciante e la povertà è molto diffusa.

Noi palestinesi sappiamo che non c’è speranza di cambiamento con ciò che i nostri politici offrono in questo momento. Mentre si avvicina il voto del primo novembre, io, come molti palestinesi, mi chiedo: perché votare e agire come se avessimo diritti o pari cittadinanza?

Sarò uno dei tanti palestinesi che non voteranno. La mia speranza è che la bassa affluenza alle urne sia un campanello d’allarme per la classe politica palestinese e inneschi un importante dibattito aperto all’interno della comunità sulla strada da seguire.

Se per noi negli ultimi 70 anni nulla è cambiato e la situazione sta solo peggiorando, è evidente che abbiamo bisogno di una revisione radicale della politica palestinese in Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo sono proprie dell’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Amnesty sollecita un’inchiesta per possibili crimini di guerra a Gaza

Redazione di Al Jazeera

25 Ottobre 2022 – Al Jazeera

Solo in quest’anno almeno 160 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza

Amnesty International ha sollecitato la Corte Penale Internazionale (CPI) ad indagare su possibili crimini di guerra relativi agli “illegittimi attacchi” condotti nel corso della letale aggressione di Israele alla Striscia di Gaza in agosto.

Le forze israeliane “si sono vantate” della precisione dei loro attacchi su Gaza in agosto, ha affermato Amnesty International in un nuovo rapporto pubblicato martedì, che indaga le circostanze relative a tre specifici attacchi a civili.

Amnesty ha affermato che le vittime dei cosiddetti “attacchi mirati” includono un bambino di quattro anni, un adolescente in visita alla tomba della madre e una studentessa di belle arti uccisa dal fuoco israeliano mentre era in casa a bere un tè con sua madre.

L’organizzazione ha dichiarato che è stato posto sotto indagine anche un attacco che ha ucciso sette civili palestinesi, che sembra essere stato l’esito di un razzo senza guida probabilmente lanciato da gruppi armati palestinesi.

L’ultima offensiva di Israele contro Gaza è durata solo 3 giorni, ma è stato un tempo sufficiente per infliggere nuovi traumi e distruzioni alla popolazione assediata”, ha detto Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, in una dichiarazione allegata al rapporto.

I tre attacchi mortali che abbiamo esaminato devono essere indagati come crimini di guerra; tutte le vittime degli attacchi illegittimi e le loro famiglie meritano giustizia e risarcimenti”, ha detto.

Il violento attacco di agosto da parte delle forze israeliane è stato solo uno dei più recenti esempi di violenza indiscriminata contro la popolazione di Gaza “dominata, oppressa e segregata”, che ha subito anni di blocco illegale del territorio, ha aggiunto Callamard.

Oltre ad indagare sui crimini di guerra compiuti a Gaza, la CPI dovrebbe prendere in considerazione, all’interno della sua attuale inchiesta nei Territori Palestinesi Occupati, il crimine contro l’umanità di apartheid”, ha affermato.

Secondo il Ministero della Salute palestinese dall’inizio di quest’anno almeno 160 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza, compresi 51 palestinesi uccisi durante l’attacco di tre giorni a Gaza in agosto.

31 civili figurano fra i 49 palestinesi che secondo le Nazioni Unite sono stati uccisi nella Striscia di Gaza durante il conflitto di tre giorni, ha dichiarato Amnesty nel nuovo rapporto.

Il conflitto è iniziato il 5 agosto, quando Israele ha scatenato attacchi aerei in ciò che a suo dire era un attacco preventivo mirato al gruppo della Jihad islamica.

Amnesty ha detto che, utilizzando fotografie di frammenti di armi, l’analisi di immagini satellitari e le testimonianze di decine di intervistati, ha ricostruito le circostanze relative ai tre attacchi specifici, due dei quali condotti dalle forze israeliane e uno probabilmente da gruppi armati palestinesi.

La CPI ha avviato un’indagine sul conflitto israelo-palestinese, che ci si attende focalizzata in parte su possibili crimini di guerra compiuti durante il conflitto del 2014 a Gaza. L’inchiesta è appoggiata dall’Autorità Nazionale Palestinese, ma Israele non è membro della CPI e contesta la sua giurisdizione.

Il mese scorso la famiglia della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh ha inoltrato una denuncia ufficiale alla CPI per chiedere giustizia per la sua morte.

Abu Akleh, che ha lavorato per Al Jazeera per 25 anni ed era conosciuta come “la voce della Palestina”, è stata colpita alla testa ed uccisa dalle forze israeliane l’11 maggio mentre stava documentando un’incursione dell’esercito nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata.

Fonte: Al Jazeera e agenzie di stampa

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)