Per il momento la dirigenza palestinese è immune agli accordi di normalizzazione

Daoud Kuttab

18 settembre 2020 – Al-Monitor

In seguito agli accordi di normalizzazione tra EAU, Bahrein e Israele, potrebbero essere concessi incentivi finanziari all’Autorità Nazionale Palestinese, benché senza un pieno consenso palestinese nessun cambiamento sia in vista.

In tempi normali continue pressioni e l’uso combinato di carota e bastone in genere rendono più malleabile la maggior parte dei leader politici. Ma quando si ha a che fare con un conflitto durato decenni come quello israelo-palestinese e con un leader ostinato come il presidente Mahmoud Abbas, spesso le pressioni ottengono i risultati opposti.

La posizione del dirigente palestinese sembra aver sorpreso il presidente USA e la sua cerchia ristretta. Il 16 settembre il presidente Donald Trump, parlando con i giornalisti, ha rivelato le sue tattiche di pressione finanziaria nei confronti dei palestinesi. Si è vantato di aver tagliato 750 milioni di dollari di supporto annuale ai palestinesi e di aver fatto pressioni sui Paesi arabi perché facessero altrettanto.

Ho smesso di finanziare i palestinesi abbastanza presto perché stavano parlando male del nostro Paese. Quindi da subito ho smesso di finanziarli. Penso che finalmente i palestinesi stiano per rendersi disponibili [a un accordo],” ha detto Trump durante una conferenza stampa alla Casa Bianca.

Trump ha sostenuto che i due Paesi del Golfo che hanno normalizzato i rapporti con Israele smetteranno di finanziare i palestinesi. Tuttavia il ministro dell’Economia degli EAU Abdullah bin Touq Al Marri ha lasciato intendere che, invece di tagliare gli aiuti, gli Emirati Arabi Uniti stanno prendendo in considerazione investimenti sia in Israele che nei territori palestinesi, affermando che nei loro impegni economici bilaterali gli EAU ed Israele stanno progettando di includere alcune aree palestinesi.

Finora i palestinesi si sono opposti agli accordi, una posizione che si è ulteriormente rafforzata quando David Friedman, ambasciatore [USA] in Israele si è messo nei guai allorchè ha pubblicamente chiesto che Abbas venga sostituito da Mahmoud Dahlan [ex-responsabile dell’intelligence di Fatah a Gaza ed espulso dall’organizzazione per aver partecipato all’assassinio di Arafat e per corruzione, ndtr.], l’ex-leader di Fatah che vive negli EAU.

In un’intervista su Israel Hayom [giornale israeliano gratuito di destra, ndtr.] è stato chiesto a Friedman se l’amministrazione Trump stesse cercando di “nominare” Dahlan nuovo leader palestinese. Secondo l’articolo di Israel Hayom, Friedman ha risposto: “Ci stiamo pensando.” Ed ha aggiunto: “Non vogliamo progettare la dirigenza palestinese.” In seguito Friedman ha affermato che intendeva dire: “Non ci stiamo pensando.”

Ma, indipendentemente dalle sue intenzioni, il danno era stato fatto. L’attivista palestinese Dimitri Diliani, di Gerusalemme, portavoce della cosiddetta ala riformista di Fatah, ha stigmatizzato le affermazioni di Friedman, insistendo sul fatto che i palestinesi continueranno a scegliersi i propri dirigenti.

La dichiarazione di Friedman ha persino obbligato Dahlan a fare altrettanto. Dahlan ha twittato: “Chiunque non sia eletto dal proprio popolo non può guidarlo e raggiungere l’indipendenza nazionale…Penso fermamente che la Palestina abbia disperatamente bisogno di rinnovare la legittimità di qualunque dirigenza e istituzione palestinese, e ciò si otterrà solo attraverso corrette elezioni nazionali e non è ancora nato chi possa imporci la propria volontà.”

Invece di obbligare Abbas ad ammorbidire la sua posizione, le pressioni di USA e EAU sembrano avergli dato una nuova vitalità politica.

Si potrebbe sostenere che l’appoggio popolare emerso a favore di Abbas sarà di breve durata, ma la situazione è che i palestinesi stanno godendo di una rara atmosfera di unità nazionale. Di fronte a un pericolo esiziale sia l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina che i dirigenti islamici hanno seppellito l’ascia di guerra per rafforzare la pace, mettendo da parte le differenze tra loro.

Mentre i rivali politici di Abbas sono in svantaggio, l’opinione pubblica è ancora scettica riguardo alla dirigenza e alla strategia. Gli attuali tentativi di intensificare la resistenza popolare non sono riusciti a prendere piede. Mentre i dirigenti palestinesi stanno ancora guidando macchine di lusso e vivono agiatamente, la popolazione palestinese sta soffrendo e i dipendenti pubblici non ricevono lo stipendio.

L’impatto definitivo degli accordi sulla dirigenza palestinese alla fine porterà alle elezioni a lungo attese. Un complessivo riesame popolare degli obiettivi, dei mezzi e della dirigenza per una nuova strategia per la liberazione può essere fatto solo all’interno di un contesto di elezioni sia legislative che presidenziali, così come con la riconvocazione dei rappresentanti del Consiglio Nazionale Palestinese [organo legislativo dell’OLP, che negli ultimi 22 anni si è riunito solo una volta, ndtr.]. Il tentativo di unità nazionale verrà preso seriamente solo quando sarà annunciata la data per le elezioni e verrà riformata l’OLP.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La Lega Araba rifiuta di appoggiare i palestinesi nella critica dell’accordo Israele-EAU

Redazione di Al-Monitor

9 settembre 2020 – Al-Monitor

L’organo pan-arabo ha lasciato cadere una risoluzione che avrebbe condannato il recente accordo di normalizzazione tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti.

La Lega Araba ha respinto una richiesta palestinese di condannare il recente patto, mediato da Washington, tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti. 

Mercoledì in una videoconferenza i Ministri degli Esteri dei 23 membri della Lega hanno respinto una risoluzione di denuncia dell’accordo Israele – EAU. Il piano palestinese di condannare i due Paesi aveva poche probabilità di essere approvato nell’organo pan-arabo in cui Paesi come Egitto, Oman e Bahrein hanno ben accolto l’accordo e gli hanno offerto sostegno.

C’è stata molta discussione su questo punto. È stata esaustiva ed ha richiesto tempo. Ma alla fine non ha portato ad un accordo sulla bozza di comunicato proposta da parte palestinese”, ha affermato l’alto funzionario della Lega Araba Hussam Zaki.

Il rifiuto della Lega Araba di condannare l’accordo è l’ultimo colpo inferto ai palestinesi, la cui richiesta di una discussione d’urgenza sul patto Israele – EAU è stata respinta il mese scorso.

In quello che è stato chiamato “accordo di Abramo”, Israele ha accettato di sospendere l’annessione di vaste aree della Cisgiordania in cambio della normalizzazione dei rapporti con gli Emirati Arabi Uniti. La prossima settimana i dirigenti dei due Paesi si recheranno alla Casa Bianca per la firma ufficiale.

I dirigenti palestinesi affermano che l’accordo mediato dagli USA, che fa degli EAU il terzo Paese arabo a stabilire rapporti con Israele, è “una coltellata alla schiena”. In risposta, Ramallah ha richiamato il suo ambasciatore negli EAU.

Affermano inoltre che l’accordo di normalizzazione viola l’iniziativa di pace araba del 2002 guidata dall’Arabia Saudita, che chiede a Israele di ritirarsi dalle terre occupate dal 1967 prima di ottenere un riconoscimento da parte degli Stati Arabi.

Gli EAU hanno descritto l’accordo come favorevole alla causa palestinese, in quanto costringe Israele a rinunciare all’annessione di terre che i palestinesi considerano parte del loro futuro Stato.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




La crisi energetica minaccia la già fragile situazione a Gaza

Rasha Abou Jalal

26 agosto 2020 – Al-Monitor

Mentre la crisi legata alla interruzione di corrente nella Striscia di Gaza per più di 20 ore al giorno paralizza tutti i settori sanitari ed economici, gli abitanti di Gaza aspettano che Israele permetta che il carburante possa entrare nell’enclave per far funzionare la loro unica centrale elettrica.

GAZA CITY, Striscia di Gaza – Khamis Murad, 61 anni, ha necessità di regolari sedute di dialisi, della durata di quattro ore ciascuna, presso lo Shifa Hospital, nella parte occidentale di Gaza City. Ma durante la sua ultima seduta in ospedale a causa di un’interruzione della corrente la macchina si è improvvisamente fermata dopo meno di due ore.

In un comunicato stampa del 18 agosto Mohammed Thabet, il portavoce della Gaza Electricity Distribution Company (GEDCO) [Azienda di distribuzione dell’energia elettrica, ndtr.] nella Striscia di Gaza, ha annunciato che la fornitura di elettricità a case e imprese a Gaza si sarebbe ridotta a tre o quattro ore al giorno, con più di 20 ore di interruzione. Il precedente programma di distribuzione era razionato attorno alle otto ore di fornitura alternate a otto ore di interruzione di corrente.


Thabet ha spiegato che la nuova misura è stata decisa dopo che nella stessa giornata la GEDCO è stata ufficialmente informata dalla Gaza Power Generating Company [azienda di produzione energetica di Gaza, ndtr.] che il processo di generazione dell’unico impianto di produzione energetica di Gaza era stato completamente interrotto a causa dell’esaurimento del carburante. L’11 agosto, Israele aveva sospeso le spedizioni di carburante all’enclave assediata in seguito al ripetuto lancio di palloni incendiari da Gaza verso il sud di Israele.

Inoltre l’11 agosto Israele ha chiuso il valico commerciale di Kerem Shalom [sui confini tra la Striscia di Gaza, Israele e Egitto, ndtr.].

Murad, che soffre di insufficienza renale da quattro anni, per rimanere in vita deve sottoporsi a una procedura di dialisi completa tre volte alla settimana allo Shifa Hospital.


“Il blackout fa sì che le sedute di dialisi vengano posticipate o annullate, e questo mette a rischio la vita di dozzine di pazienti con problemi renali”, ha detto Murad ad Al-Monitor in ospedale. “Molti pazienti dormono nei corridoi e persino nel giardino dell’ospedale, in attesa che torni la corrente per sottoporsi a una seduta di dialisi. La situazione è molto grave.

“Abdullah al-Qaishawi, responsabile del dipartimento di nefrologia dell’ospedale Shifa di Gaza, ha detto ad Al-Monitor: “Nella Striscia di Gaza ci sono 820 pazienti che soffrono di insufficienza renale, la maggior parte dei quali sottoposti a cicli di dialisi presso lo Shifa Hospital, il più grande dell’enclave.”

Ha affermato che il dipartimento non è in grado di fornire a questi pazienti le prestazioni mediche a causa delle interruzioni di corrente e dell’ impossibilità di far funzionare i generatori di energia poiché Israele vieta l’accesso di carburante a Gaza.


In una dichiarazione del 18 agosto, il Ministero della Salute di Gaza ha messo in allarme sulle gravi ripercussioni del mancato funzionamento della centrale elettrica e dell’ impatto sui reparti ospedalieri e sui trattamenti di unità neonatali, terapia intensiva, nefrologia e dialisi, chirurgia e parti cesarei.

Il responsabile del Comparto di Neonatologia degli ospedali di Gaza, Nabil al-Barqouni, ha detto ad Al-Monitor: “La crisi legata ai blackout minaccia la vita di 120 neonati che hanno bisogno di cure neonatali per sopravvivere. Gli ospedali dell’enclave comprendono sette unità di assistenza neonatale, con 135 incubatrici. Tutte funzionano con l’elettricità.”

Barqouni ha osservato che le interruzioni di corrente colpiscono anche altri dispositivi medici per la cura dei neonati, come rianimatori e ventilatori, il che aumenta il rischio per le loro vite.

Ha detto che il funzionamento regolare nelle unità neonatali richiede una fornitura costante di elettricità. “Fornire energia alternativa agli incubatori tramite l’energia solare è molto costoso e non abbiamo la capacità finanziaria per installarla. Non possiamo fare affidamento sui generatori di corrente a causa della mancanza di carburante”, ha aggiunto.


In una dichiarazione pubblicata sulla sua pagina Facebook il 18 agosto, il Comitato Internazionale della Croce Rossa nei territori occupati ha messo in guardia dalle ripercussioni del mancato funzionamento della centrale, affermando che questo peggiorerà ulteriormente il carico che affligge il fragile sistema sanitario nella Striscia di Gaza. Ha aggiunto che la crisi energetica ostacolerà la disponibilità di acqua e porterà a gravi problemi ambientali.


Thabet ha detto ad Al-Monitor: “La Striscia di Gaza ha bisogno di 500 megawatt di energia elettrica al giorno. Nelle situazioni migliori forniamo solo 180 megawatt, di cui 60 megawatt dalla centrale elettrica di Gaza, oltre a 120 megawatt da Israele “.


Ha spiegato che la Striscia di Gaza riceveva 18 megawatt di elettricità dall’Egitto, ma che la fornitura è stata interrotta a marzo in relazione ai problemi di sicurezza nella penisola del Sinai.


In una dichiarazione pubblicata il 19 agosto sul suo sito web la Rete delle Organizzazioni Non Governative Palestinesi ha messo in guardia riguardo “le pericolose ripercussioni delle continue interruzioni di corrente sulla situazione sanitaria, ambientale, economica e umanitaria nella Striscia di Gaza”. Ha affermato che le interruzioni di corrente e il divieto da parte di Israele dell’accesso di carburante a Gaza avranno un grave impatto sui servizi fondamentali, in particolare sul settore sanitario, sui servizi di igiene ambientale, sulle forniture di acqua potabile e sui servizi igienico-sanitari forniti agli oltre 2 milioni di abitanti di Gaza.

Due giorni prima anche la Federazione dei Comuni della Striscia di Gaza, che comprende 25 Comuni, aveva lanciato l’allarme sulla gravità delle interruzioni di corrente. In una dichiarazione del 17 agosto, ha avvertito che il servizio di fornitura dell’acqua alle case dei cittadini ne avrebbe risentito e la pianificazione sulla distribuzione idrica sarebbe stata notevolmente alterata, dato che i pozzi dipendono principalmente dall’elettricità ([per il pompaggio dell’acqua) “.


La federazione ha affermato che questa crisi ha bloccato gli impianti di trattamento delle acque reflue, il che si tradurrà in un disastro sanitario e ambientale.


La sospensione del funzionamento degli impianti di depurazione ha portato allo scarico in mare di oltre 110.000 metri cubi di acque reflue non trattate. Con una dichiarazione del 19 agosto l’Autorità per la qualità ambientale di Gaza ha affermato che ciò ha causato “un inquinamento quasi completo della costa della Striscia di Gaza”. Ciò, ha aggiunto l’autorità, priva i cittadini della possibilità di trascorrere le loro vacanze estive sulla spiaggia.

Nel frattempo, il sottosegretario al ministero dell’Economia nazionale Rushdi Wadi ha dichiarato ad Al-Monitor: “La sospensione del funzionamento della centrale elettrica di Gaza infligge grandi perdite all’industria e all’economia di Gaza”.

L’elettricità è la componente fondamentale del processo produttivo nei settori economici.

Wadi ha affermato che le interruzioni di corrente nelle fabbriche aumenteranno i costi di produzione, ridurranno la capacità di produzione e incrementeranno i costi di manutenzione delle apparecchiature. Ha aggiunto: “Questo porterà automaticamente a un aumento dei prezzi delle materie prime”.

Una prolungata crisi dovuta all’ interruzione di corrente influenzerà il sostentamento dei cittadini. Quando i frigoriferi non funzionano alimenti come carne, latticini e pesce potrebbero marcire. Questa è una minaccia per la sicurezza alimentare dei cittadini”, ha concluso.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Può l’Egitto contribuire a ridurre le tensioni tra Israele ed Hamas?

Ahmad Abu Amer – Gaza City, Striscia di Gaza

19 agosto 2020 – Al-Monitor

Una delegazione dell’intelligence egiziana ha intrapreso nuove iniziative tra Israele e Hamas per ridurre la tensione su entrambi i lati della frontiera della Striscia di Gaza dopo che negli ultimi giorni la situazione è peggiorata.

L’Egitto sta avviando nuovi passi nella Striscia di Gaza nel tentativo di ridurre la tensione che recentemente è in aumento tra Israele e Hamas dopo che il 6 agosto, facendo seguito a una pausa di due mesi, gruppi palestinesi hanno ripreso il lancio di palloncini incendiari verso il sud di Israele.

Israele ha risposto al fuoco che ha devastato i campi nel sud di Israele bombardando numerosi siti militari di Hamas a Gaza. L’11 agosto ha parzialmente chiuso il valico di Kerem Shalom e impedito l’ingresso nella Striscia di Gaza di materiali da costruzione e carburante.

Ciò il 18 agosto ha portato alla chiusura dell’unica centrale elettrica di Gaza. Il 16 agosto ai pescatori palestinesi è stato totalmente vietato l’accesso al mare al largo della Striscia di Gaza.

L’escalation si è prodotta dopo che Hamas ha accusato Israele di ritardare la messa in atto degli accordi di tregua raggiunti nell’ottobre 2018. Essi intendevano alleggerire il blocco e stabilivano la creazione di due zone industriali a est di Gaza City per l’assunzione di decine di migliaia di disoccupati. Come parte degli accordi di tregua avrebbero dovuto essere messi in pratica progetti per l’elettricità e l’acqua, così come piani intesi a incrementare il volume di importazioni ed esportazioni verso e dalla Striscia di Gaza.

In questo contesto il 17 agosto nella Striscia di Gaza è arrivata una delegazione della sicurezza egiziana guidata da Ahmed Abdel Khaleq, responsabile per le questioni palestinesi presso il servizio generale di intelligence egiziano. La delegazione, prima di recarsi in Israele lo stesso giorno per trasmettere le richieste del movimento, si è incontrata per molte ore con i dirigenti di Hamas a Gaza. Era previsto che tornassero a Gaza il 18 agosto con la risposta, ma la visita si è prolungata fino a data indefinita, in quanto Israele ha respinto la maggior parte delle richieste di Hamas.

Un funzionario di Hamas informato sui colloqui ha detto in forma anonima ad Al-Monitor che il movimento ha chiesto alla delegazione egiziana di fare pressione su Israele per l’attuazione degli accordi raggiunti in precedenza e perché si cominci immediatamente a realizzare i progetti riguardanti l’elettricità, l’acqua e le due zone industriali ad est di Gaza City. La fonte ha aggiunto che il movimento non porrà fine alla tensione sul confine con Israele finché quest’ultimo non risponderà alle richieste che ha ricevuto tramite la delegazione egiziana.

Il funzionario ha spiegato che [Hamas] non vuole uno scontro militare, ma non lo teme nel caso Israele rifiutasse di mettere in pratica queste richieste.

Ha rivelato che è stato consentito al Qatar di continuare a finanziare la Striscia di Gaza fino alla fine del 2020 e ha sottolineato che il movimento chiede che il contributo venga esteso fino alla fine del 2021, includendo 200.000 famiglie – invece di 100.000, come nei mesi scorsi – a causa dell’aumento delle famiglie povere nella Striscia di Gaza in seguito al blocco israeliano e alla pandemia da coronavirus.

Il 17 agosto il giornale israeliano Yedioth Ahronoth ha informato che le richieste di Hamas presentate ad Israele tramite la delegazione egiziana sono eccessive e le probabilità di raggiungere un accordo tra Israele e Hamas sono ancora scarse, come evidenziato dal continuo lancio di palloncini incendiari verso il sud di Israele durante e dopo la visita della delegazione egiziana nella Striscia di Gaza.

Il ministro della Difesa israeliano e futuro primo ministro in alternanza Benny Gantz il 18 agosto ha messo in guardia Hamas riguardo al continuo lancio di palloni incendiari da Gaza nel sud di Israele, affermando che “Hamas sta giocando col fuoco e farò in modo che gli si ritorca contro.”

Un parlamentare egiziano vicino ai servizi di intelligence egiziani ha detto in forma anonima ad Al-Monitor: “È vero che le richieste di Hamas ricevute dalla delegazione il 17 agosto sono consistenti, ma rientrano in quello che si era stabilito con Israele nei mesi scorsi.” Prevede che nei prossimi giorni si raggiungerà un nuovo accordo, in quanto nessuna delle due parti vuole arrivare a un’escalation militare.

Il parlamentare egiziano ha sottolineato che al momento la delegazione dell’intelligence sta cercando di mettere d’accordo le due parti nella speranza di riportare rapidamente la calma sul confine tra Gaza ed Israele. Secondo questa fonte la delegazione sta anche tentando di alleggerire le misure prese da Israele dopo la recente escalation, che includono la chiusura del valico di Kerem Shalom e il blocco all’importazione di alcuni prodotti, consentendo la fornitura di carburante all’impianto per la produzione di energia elettrica di Gaza e permettendo ai pescatori di riprendere la loro attività.

Il portavoce del ministero della Sanità di Gaza Ashraf al-Qidra ha detto ad Al-Monitor che se il carburante non venisse rapidamente fornito all’impianto per la produzione di energia elettrica si profilerebbe un disastro sanitario per i pazienti della Striscia di Gaza. Ha segnalato che le gravi ripercussioni della mancanza di elettricità minacciano i pazienti nelle unità di terapia intensiva, nelle sale operatorie e nelle stanze per la quarantena.

Da parte sua Israele attribuisce il ritardo nella messa in pratica di quanto concordato con Hamas nell’ottobre 2018 alla difficoltà, a causa del coronavirus, di tenere incontri con funzionari internazionali per mettere in pratica importanti progetti nella Striscia di Gaza riguardanti specificamente elettricità, acqua e zone industriali.

Mustafa al-Sawaf, analista politico ed ex-caporedattore del giornale locale Felesteen [principale quotidiano della Striscia di Gaza, ndtr.], ha detto ad Al-Monitor che il successo della missione della delegazione egiziana per ridurre la tensione tra Hamas e Israele dipende dalla sua capacità di fare pressione su Israele per ottenere progressi per quanto riguarda gli accordi di tregua.

Sawaf si aspetta che la delegazione riesca ad ottenere risposte positive ad alcune, non a tutte, le richieste che Hamas ha presentato ad Israele, considerando che, dopo che Israele ha ripetutamente fatto marcia indietro sui suoi impegni, il compito per la delegazione egiziana non è facile.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’espansione degli insediamenti costringe le famiglie palestinesi di Hebron a vivere in grotte

Taghreed Albb

31 luglio 2020 Al Monitor

HEBRON, Cisgiordania – Ai piedi delle montagne rocciose di Hebron, Munther Abu Aram, 48 anni, vive una vita primitiva in una grotta naturale con sua moglie e quattro figli. Quando le autorità israeliane hanno demolito la casa di Abu Aram, non hanno avuto altra scelta che vivere in una grotta senza infrastrutture, elettricità, acqua o servizi igienici.

La piccola grotta di circa 150 metri quadrati (500 piedi quadrati) si trova a Khirbet Janba nella Cisgiordania occupata. “La vita all’interno della grotta è molto difficile, ma ci siamo abituati dopo che i bulldozer dell’occupazione israeliana hanno demolito la mia casa nel 2018, costruita con mattoni e cemento , perché costruita senza licenza. È stato ricostruita  e demolita  di nuovo nel 2019 ”, 

Secondo un rapporto dell’agenzia turca Anadolu dal dicembre 2019, circa 19 famiglie palestinesi , in totale 100 persone , vivono nelle grotte del sud di Hebron , senza accesso all’elettricità o all’acqua, alle scuole o alle strade.

Israele proibisce ai palestinesi di costruire nell’area C e demolisce le case che costruiscono. Secondo un rapporto dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ,pubblicato il 6 febbraio 2019, le forze israeliane hanno demolito 1.401 case palestinesi nell’area C, provocando lo sfollamento di 6.207 palestinesi, tra questi 3.134 bambini di età inferiore ai 16 anni, tra il 2006 e 2018.

Il 15 gennaio 1997, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina e Israele hanno firmato l’ accordo di Hebron , noto anche come protocollo di Hebron, che prevede la divisione della città in due settori: H1 : l’80% dell’area della città è soggetta all’amministrazione palestinese. H2 il restante 20% della città,  costituito principalmente dal centro storico, è sotto il controllo di sicurezza israeliano. La sua popolazione è stimata in 40.000 persone.Abu Aram ha dichiarato: “L’occupazione israeliana vuole allontanarci da Khirbet Janba, confiscare la terra e trasformarla in aree militari chiuse . ampliare l’insediamento di Kiryat Arba e gli avamposti che la circondano”. Ha aggiunto che le autorità israeliane si rifiutano di fornire elettricità e acqua a Khirbet Janba e hanno rimosso e distrutto più volte i pali della rete elettrica e delle reti idriche.

Abu Aram e la sua famiglia coltivano e allevano  bestiame. Usa  un carro per asini per recarsi nelle città vicine e comprare acqua potabile e altre provviste, nonché per portare  i suoi figli nelle scuole del  villaggio più vicino , distante decine di chilometri .

Usa le lanterne a combustibile per illuminare la grotta e sua moglie prepara il cibo sul fuoco. Durante l’estate, la famiglia dorme fuori per paura dei serpenti e degli scorpioni che spesso fanno delle caverne le loro case.

Khalil Jabreen, 41 anni, vive con la sua famiglia in una grotta di 250 metri quadrati (820 piedi quadrati) vicino al sito della sua casa demolita a Khirbet al-Fakhit, distrutta dalle autorità israeliane nel 2000 e altre due volte nel 2015 e 2018.

 L’esercito israeliano ha dichiarato  che ogni volta che avesse ricostruito la sua casa,  l’avrebbe demolita .

“Le forze israeliane ci sfrattano costantemente dalla zona, ma rifiutiamo tutti i tentativi di sfollamento e vogliamo evitare che la nostra terra venga rubata da  loro per costruire nuovi avamposti”.

Ha spiegato che i coloni attaccano costantemente lui e i suoi figli, mentre le forze israeliane continuano a erigere checkpoint militari agli ingressi di Khirbet al-Fakhit per impedire loro di portare cibo, acqua e altro.

Jabreen ha aggiunto: “Nell’area  dove  viviamo mancano le scuole, i centri sanitari e le cliniche e ogni volta che si verifica un’emergenza, siamo  costretti  a fare un lungo e pericoloso viaggio ,su una carretta trainata da asini, per arrivare in ospedale o permettere ai  bambini di poter  frequentare la scuola.”

Abdel Hadi Hantash, membro del Comitato generale per la difesa della terra palestinese in Cisgiordania, ha dichiarato ad Al-Monitor: “Il governatorato di Hebron, nella Cisgiordania meridionale, comprende 27 insediamenti israeliani e 32 avamposti”. Ha osservato che Israele mira a giudaizzare Hebron e ad  annettere la Città Vecchia all’insediamento di Kiryat Arba, al quale il governo israeliano ha concesso lo status municipale.

Ha continuato, “Gli israeliani considerano Hebron una città religiosa”, sottolineando che i coloni in questa zona sono particolarmente caratterizzati dal fanatismo religioso e dall’estremismo politico.

Hantash ha osservato: “Esistono due tipi di insediamenti a Hebron. Il primo è certificato dal governo israeliano e dal consiglio degli insediamenti in Cisgiordania, che presenta i suoi piani attraverso canali politici, in modo da poter essere legittimati . Tuttavia  vi è  un’espansione non ufficiale degli insediamenti, effettuata attraverso organizzazioni sioniste e persone influenti nel governo israeliano .Le autorità israeliane hanno emesso oltre 16 ordini di demolizione nella zona di Masafer Yatta a Hebron, hanno confiscato 250.000 dunum e li hanno dichiarati aree militari chiuse. Ai palestinesi non è permesso vivere o costruire e  e le [forze israeliane] cercano costantemente di costringerli a lasciare le loro terre ”.

Hantash ha invitato le autorità ufficiali palestinesi a costruire infrastrutture nelle aree minacciate di confisca e sequestro. Dovrebbero fare appello alla Corte penale internazionale (ICC), che l’occupazione teme ,poiché può emettere mandati di arresto per i leader che commettono crimini di guerra e confiscano  terre.Dovrebbe  costringere la CPI a emettere decreti che rendano giustizia ai palestinesi e diano forza alla  loro resistenza. “

da Frammenti Vocali in Medio Oriente




La crisi dovuta al coronavirus accentua lo scontro tra Netanyahu e Gantz

Mazal Mualem

16 luglio 2020 – Al Monitor

La crisi dovuta al coronavirus e le gravi difficoltà economiche non hanno fatto che approfondire la distanza tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo alleato di coalizione, il primo ministro che lo dovrebbe sostituire e attuale ministro della Difesa Benny Gantz.

Il capo di Blu e Bianco, Benny Gantz, che è il primo ministro di riserva e il ministro della Difesa, sperava che la serie di interviste che ha rilasciato dalla casa in cui è in quarantena a Rosh HaAyin alle tre principali stazioni televisive del Paese il 15 luglio avrebbe mitigato, almeno parzialmente, le sue carenze nel campo delle pubbliche relazioni.

Le interviste sono state registrate e si pensava che sarebbero state messe in onda in prima serata, con l’obiettivo di suscitare attenzione. Gantz è arrivato preparato, con una pagina di messaggi al pubblico e due importanti notizie: una riguardo alla possibilità che Israele, alla luce dell’incremento giornaliero della diffusione del virus del COVID-19, rinnovi una chiusura totale del Paese; la seconda in merito all’insistenza di Gantz per un bilancio biennale, a differenza del primo ministro Benjamin Netanyahu, che vorrebbe un bilancio annuale. Quest’ultima differenza di opinione potrebbe persino portare, in uno scenario improbabile, alle elezioni.

Ma mentre Gantz si stava preparando a queste importanti interviste, Netanyahu e il ministro delle Finanze Israel Katz erano impegnati a dare gli ultimi ritocchi a un altro turbinoso piano economico da presentare durante una conferenza stampa. Quel giorno Netanyahu intendeva occupare l’attenzione dell’opinione pubblica, proprio mentre Gantz si stava preparando a fare altrettanto.

Negli ultimi giorni Netanyahu ha dovuto occuparsi di una crescente ondata di proteste e manifestazioni; aveva bisogno di una “soluzione” immediata per calmare le masse. La notte precedente, il 14 luglio, davanti alla casa di Netanyahu su via Balfour a Gerusalemme si era svolta una turbolenta manifestazione, terminata con decine di arresti e una sensazione di perdita di controllo. Alla stregua della decisione del presidente USA Donald Trump di distribuire soldi alla popolazione all’inizio della crisi di coronavirus, Netanyahu ha deciso un’immediata elargizione di fondi a tutti i cittadini del Paese.

Gantz è stato aggiornato da Netanyahu e da Katz riguardo alla loro intenzione di distribuire 6 miliardi di shekel (circa 1 miliardo e mezzo di euro) solo poche ore prima della conferenza stampa del 15 luglio.

Benché Gantz si fregi del titolo di primo ministro in alternanza, Netanyahu e la sua gente non lo hanno consultato né hanno preso in considerazione l’opposizione di principio di Gantz a distribuire denaro senza fare differenze tra chi ha realmente bisogno di aiuto e chi invece no. L’approccio di Gantz è quello consigliato dai più alti livelli del ministero delle Finanze, guidato dal governatore della Banca di Israele.

Netanyahu ha semplicemente annunciato la sua decisione al primo ministro che lo dovrebbe sostituire. È vero, il primo ministro ha suggerito che lo stesso Gantz partecipasse alla conferenza stampa, ma persino Gantz ha capito che ciò gli avrebbe provocato più danni che benefici, e si è rifiutato di essere presente.

Il risultato finale è stato che le interviste a Gantz sono state oscurate dalla grande discussione provocata dalla conferenza stampa in diretta, con centinaia di migliaia di cittadini incollati agli schermi televisivi. Ancora una volta Netanyahu ha preso il controllo dell’agenda pubblica e, dopo una serie di lunghe settimane di “ibernazione da COVID-19”, è tornato in prima linea. Come prevedibile, la proposta di Netanyahu e Katz è stata attaccata da ogni parte e deve ancora essere approvata dal governo.

Ma ha ottenuto il suo scopo: nelle strade si parla meno delle manifestazioni e, se Gantz si dovesse opporre all’iniziativa, Netanyahu apparirà ancora come la figura che cerca di assistere e aiutare la popolazione.

L’avvenimento qui descritto è un’ulteriore manifestazione della grave crisi di fiducia tra Netanyahu e Gantz, due persone che hanno promesso ai cittadini di risolvere la crisi del coronavirus. Ma non hanno avuto successo nel creare un meccanismo per lavorare insieme in armonia e collaborazione per risolvere una delle maggiori crisi vissute dallo Stato di Israele da sempre.

Quasi ogni cosa diventa argomento di discussioni e tensioni tra le due parti: il bilancio, la “guerra” di Netanyahu contro il sistema giudiziario, opposte visioni del mondo. A ciò si aggiungono “ego ipertrofici” e l’enorme numero di ministeri di ambo le parti che stanno lottando per ottenere “rilevanza” – a spese gli uni degli altri.

Gantz è certo che Netanyahu stia preparando il terreno per elezioni anticipate e non abbia intenzione di lasciare libero il posto di primo ministro tra un anno e mezzo, come stabilito nell’accordo di unità tra i partiti Likud e Blu e Bianco. Nel caso specifico non si tratta di paranoia, ma di una possibilità concreta. Netanyahu, da parte sua, detesta in ogni momento questo governo. Si è abituato a comandare con il pugno di ferro, praticamente da solo, senza una vera opposizione all’interno del governo. Ma ora, mentre gestisce la crisi e si scontra con degli ostacoli, deve prendere in considerazione le opinioni dei ministri di Blu e Bianco. Il 14 luglio ha cercato di richiudere le piscine e le palestre del Paese, ed è stato bloccato dai ministri; la questione è arrivata alla commissione COVID-19 della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.], che ha annullato la sua decisione. Le piscine e le palestre non sono state chiuse, provocando la sensazione tra la popolazione che il modo in cui il Paese è governato non funzioni.

Netanyahu si sente come Gulliver nella terra di Lilliput. Nelle riunioni del governo ogni sorta di giovane ministro di Blu e Bianco gli fa la predica. Ne soffre e, secondo me, rimpiange di non aver convocato le elezioni quando era avanti nei sondaggi,” afferma ad Al-Monitor un ministro del Likud che vuole rimanere anonimo.

La sera del 14 luglio, sullo sfondo della pessima pubblicità riguardante la vastissima diffusione del coronavirus, un importante membro del Likud ha duramente criticato Gantz, e le sue parole sono state citate dai media. Il membro del Likud ha detto che il primo ministro è furioso con Gantz e il suo partito perché bloccano le iniziative necessarie a impedire la diffusione dell’infezione, e che Blu e Bianco lo fa per ragioni politiche. “Gantz e Blu e Bianco devono smetterla immediatamente con i giochetti politici riguardo al COVID-19; questo comportamento mette in pericolo le vite dei cittadini israeliani. Da quando il governo di unità ha stabilito che ogni decisione debba essere presa in accordo tra il Likud e Blu e Bianco, loro (Blu e Bianco) silurano ogni risoluzione non in linea con le loro valutazioni populiste,” ha affermato il referente, che ricopre un ruolo importante, gettando così benzina sul fuoco.

Gantz non ha nessun dubbio sul fatto che le parole del politico del Likud siano arrivate direttamente dall’ufficio di Netanyahu, ed ha reagito. Poco dopo un politico di Blu e Bianco ha accusato Netanyahu di cercare di dare la colpa a Gantz della sua fallimentare gestione della crisi del COVID-19, e che il primo ministro non consente a Gantz, in quanto ministro della Difesa, di condurre lui la lotta contro il COVID-19. “Questo non è tempo per la politica e scontri (interni), solo per battaglie per risanare l’economia, il sistema sanitario e la società… Ci sono quelli che affrontano questi problemi, e quelli che sfuggono alle proprie responsabilità a questo riguardo,” ha detto alla stampa, citato come fonte anonima, il politico di Blu e Bianco.

Fino a stamattina sono stati fatti tentativi da entrambe le parti di spegnere le fiamme del conflitto interno. Sono stati intervistati ministri di Blu e Bianco, compreso il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi, che si è limitato a critiche moderate contro la munificenza di Netanyahu nei confronti della Nazione. È quello che succede quando due parti opposte sono imprigionate in un governo da incubo sull’orlo di una gravissima crisi e non hanno nessuna via di fuga.

Ma i segnali indicano un altro imminente scontro politico, che si prevede scoppierà molto presto. La prossima settimana Netanyahu deve far approvare dal governo il suo programma di distribuzione del denaro.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il coronavirus accentua la crisi politica in Israele

La crisi dovuta al coronavirus accentua lo scontro tra Netanyahu e Gantz

 

La crisi dovuta al coronavirus e le gravi difficoltà economiche non hanno fatto che approfondire la distanza tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo alleato di coalizione, il primo ministro che lo dovrebbe sostituire e attuale ministro della Difesa Benny Gantz.

Mazal Mualem

16 luglio 2020 – Al Monitor

 

Il capo di Blu e Bianco, Benny Gantz, che è il primo ministro di riserva e il ministro della Difesa, sperava che la serie di interviste che ha rilasciato dalla casa in cui è in quarantena a Rosh HaAyin alle tre principali stazioni televisive del Paese il 15 luglio avrebbe mitigato, almeno parzialmente, le sue carenze nel campo delle pubbliche relazioni.

Le interviste sono state registrate e si pensava che sarebbero state messe in onda in prima serata, con l’obiettivo di suscitare attenzione. Gantz è arrivato preparato, con una pagina di messaggi al pubblico e due importanti notizie: una riguardo alla possibilità che Israele, alla luce dell’incremento giornaliero della diffusione del virus del COVID-19, rinnovi una chiusura totale del Paese; la seconda in merito all’insistenza di Gantz per un bilancio biennale, a differenza del primo ministro Benjamin Netanyahu, che vorrebbe un bilancio annuale. Quest’ultima differenza di opinione potrebbe persino portare, in uno scenario improbabile, alle elezioni.

Ma mentre Gantz si stava preparando a queste importanti interviste, Netanyahu e il ministro delle Finanze Israel Katz erano impegnati a dare gli ultimi ritocchi a un altro turbinoso piano economico da presentare durante una conferenza stampa. Quel giorno Netanyahu intendeva occupare l’attenzione dell’opinione pubblica, proprio mentre Gantz si stava preparando a fare altrettanto.

Negli ultimi giorni Netanyahu ha dovuto occuparsi di una crescente ondata di proteste e manifestazioni; aveva bisogno di una “soluzione” immediata per calmare le masse. La notte precedente, il 14 luglio, davanti alla casa di Netanyahu su via Balfour a Gerusalemme si era svolta una turbolenta manifestazione, terminata con decine di arresti e una sensazione di perdita di controllo. Alla stregua della decisione del presidente USA Donald Trump di distribuire soldi alla popolazione all’inizio della crisi di coronavirus, Netanyahu ha deciso un’immediata elargizione di fondi a tutti i cittadini del Paese.

Gantz è stato aggiornato da Netanyahu e da Katz riguardo alla loro intenzione di distribuire 6 miliardi di shekel (circa 1 miliardo e mezzo di euro) solo poche ore prima della conferenza stampa del 15 luglio.

Benché Gantz si fregi del titolo di primo ministro in alternanza, Netanyahu e la sua gente non lo hanno consultato né hanno preso in considerazione l’opposizione di principio di Gantz a distribuire denaro senza fare differenze tra chi ha realmente bisogno di aiuto e chi invece no. L’approccio di Gantz è quello consigliato dai più alti livelli del ministero delle Finanze, guidato dal governatore della Banca di Israele.

Netanyahu ha semplicemente annunciato la sua decisione al primo ministro che lo dovrebbe sostituire. È vero, il primo ministro ha suggerito che lo stesso Gantz partecipasse alla conferenza stampa, ma persino Gantz ha capito che ciò gli avrebbe provocato più danni che benefici, e si è rifiutato di essere presente.

Il risultato finale è stato che le interviste a Gantz sono state oscurate dalla grande discussione provocata dalla conferenza stampa in diretta, con centinaia di migliaia di cittadini incollati agli schermi televisivi. Ancora una volta Netanyahu ha preso il controllo dell’agenda pubblica e, dopo una serie di lunghe settimane di “ibernazione da COVID-19”, è tornato in prima linea. Come prevedibile, la proposta di Netanyahu e Katz è stata attaccata da ogni parte e deve ancora essere approvata dal governo.

Ma ha ottenuto il suo scopo: nelle strade si parla meno delle manifestazioni e, se Gantz si dovesse opporre all’iniziativa, Netanyahu apparirà ancora come la figura che cerca di assistere e aiutare la popolazione.

L’avvenimento qui descritto è un’ulteriore manifestazione della grave crisi di fiducia tra Netanyahu e Gantz, due persone che hanno promesso ai cittadini di risolvere la crisi del coronavirus. Ma non hanno avuto successo nel creare un meccanismo per lavorare insieme in armonia e collaborazione per risolvere una delle maggiori crisi vissute dallo Stato di Israele da sempre.

Quasi ogni cosa diventa argomento di discussioni e tensioni tra le due parti: il bilancio, la “guerra” di Netanyahu contro il sistema giudiziario, opposte visioni del mondo. A ciò si aggiungono “ego ipertrofici” e l’enorme numero di ministeri di ambo le parti che stanno lottando per ottenere “rilevanza” – a spese gli uni degli altri.

Gantz è certo che Netanyahu stia preparando il terreno per elezioni anticipate e non abbia intenzione di lasciare libero il posto di primo ministro tra un anno e mezzo, come stabilito nell’accordo di unità tra i partiti Likud e Blu e Bianco. Nel caso specifico non si tratta di paranoia, ma di una possibilità concreta. Netanyahu, da parte sua, detesta in ogni momento questo governo. Si è abituato a comandare con il pugno di ferro, praticamente da solo, senza una vera opposizione all’interno del governo. Ma ora, mentre gestisce la crisi e si scontra con degli ostacoli, deve prendere in considerazione le opinioni dei ministri di Blu e Bianco. Il 14 luglio ha cercato di richiudere le piscine e le palestre del Paese, ed è stato bloccato dai ministri; la questione è arrivata alla commissione COVID-19 della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.], che ha annullato la sua decisione. Le piscine e le palestre non sono state chiuse, provocando la sensazione tra la popolazione che il modo in cui il Pase è governato non funzioni.

“Netanyahu si sente come Gulliver nella terra di Lilliput. Nelle riunioni del governo ogni sorta di giovane ministro di Blu e Bianco gli fa la predica. Ne soffre e, secondo me, rimpiange di non aver convocato le elezioni quando era avanti nei sondaggi,” afferma ad Al-Monitor un ministro del Likud che vuole rimanere anonimo.

La sera del 14 luglio, sullo sfondo della pessima pubblicità riguardante la vastissima diffusione del coronavirus, un importante membro del Likud ha duramente criticato Gantz, e le sue parole sono state citate dai media. Il membro del Likud ha detto che il primo ministro è furioso con Gantz e il suo partito perché bloccano le iniziative necessarie a impedire la diffusione dell’infezione, e che Blu e Bianco lo fa per ragioni politiche. “Gantz e Blu e Bianco devono smetterla immediatamente con i giochetti politici riguardo al COVID-19; questo comportamento mette in pericolo le vite dei cittadini israeliani. Da quando il governo di unità ha stabilito che ogni decisione debba essere presa in accordo tra il Likud e Blu e Bianco, loro (Blu e Bianco) silurano ogni risoluzione non in linea con le loro valutazioni populiste,” ha affermato il referente, che ricopre un ruolo importante, gettando così benzina sul fuoco.

Gantz non ha nessun dubbio sul fatto che le parole del politico del Likud siano arrivate direttamente dall’ufficio di Netanyahu, ed ha reagito. Poco dopo un politico di Blu e Bianco ha accusato Netanyahu di cercare di dare la colpa a Gantz della sua fallimentare gestione della crisi del COVID-19, e che il primo ministro non consente a Gantz, in quanto ministro della Difesa, di condurre lui la lotta contro il COVID-19. “Questo non è tempo per la politica e scontri (interni), solo per battaglie per risanare l’economia, il sistema sanitario e la società… Ci sono quelli che affrontano questi problemi, e quelli che sfuggono alle proprie responsabilità a questo riguardo,” ha detto alla stampa, citato come fonte anonima, il politico di Blu e Bianco.

Fino a stamattina sono stati fatti tentativi da entrambe le parti di spegnere le fiamme del conflitto interno. Sono stati intervistati ministri di Blu e Bianco, compreso il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi, che si è limitato a critiche moderate contro la munificenza di Netanyahu nei confronti della Nazione. È quello che succede quando due parti opposte sono imprigionate in un governo da incubo sull’orlo di una gravissima crisi e non hanno nessuna via di fuga.

Ma i segnali indicano un altro imminente scontro politico, che si prevede scoppierà molto presto. La prossima settimana Netanyahu deve far approvare dal governo il suo programma di distribuzione del denaro.

 

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

 

 




Netanyahu sta portando il proprio processo fuori dal tribunale

Ben Cospit

25 maggio 2020 Al Monitor

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu intende puntare sul tempo e rimandare il processo che lo riguarda per molti mesi e forse anche anni.

Il 24 maggio una scena una volta ritenuta impossibile è rimasta impressa come in un film. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presieduto una riunione di governo al mattino ed è apparso in tribunale davanti a tre giudici nel pomeriggio. Il leader onnipotente di Israele ha già battuto il record del primo Primo Ministro israeliano David Ben-Gurion governando per 11 anni consecutivi – e 14 anni in totale. Ora, tuttavia, è sotto processo con l’accusa di corruzione, frode e violazione della pubblica fiducia. Da adesso in poi, Israele si trova di fronte a una situazione senza precedenti: lo stesso Stato muove accuse contro l’uomo che lo guida.

Non c’è dubbio che l’unica persona in grado di produrre uno scenario del genere senza batter ciglio sia lo stesso Netanyahu. A partire da ora, questa immagine farà parte del suo retaggio storico, oscurando tutte le altre sue attività e risultati. Nel prossimo anno e mezzo, prima di passare la propria carica al ministro della Difesa Benny Gantz, Netanyahu farà lo sforzo più ragionato della sua vita per rovesciare tale retaggio e crearsene uno più distinto. Vuole entrare nei libri di storia, non in prigione.

Netanyahu continua a sollevare la posta in gioco quasi ogni giorno. Chiunque pensasse che una volta comparso davanti alla corte avrebbe abbassato la testa, anche solo per la scena, e seguito le regole del gioco, si è sbagliato – e alla grande. Netanyahu ha salito i gradini della corte distrettuale di Gerusalemme alle 14:00 ora locale, un’ora prima dell’inizio del processo. Questo di per sé è insolito per lui. E si è presentato con un contingente di persone desiderose di difenderlo. Era circondato dai ministri del Likud, dai membri del parlamento e da altri a lui vicini, tutti nascosti dietro le mascherine. Si sono presentati per dichiarare: “Anche noi siamo sotto processo”.

Tuttavia, solo Netanyahu ha parlato. Ha pronunciato un lungo discorso bellicoso, lanciando durissime accuse a proposito di ogni fase dell’indagine contro di lui. Ha attaccato tutti, dalla polizia all’ufficio del procuratore di Stato, al procuratore generale Avichai Mandelblit. Con grande eleganza, ha ignorato il fatto di avere lui stesso nominato ai loro incarichi la maggior parte dei suoi inquirenti, tra gli altri il capo della polizia e il procuratore generale, persone considerate a lui vicine, sia politicamente che ideologicamente. Invece, Netanyahu ha tessuto una fantastica teoria della cospirazione, in cui una “mano invisibile” avrebbe trasformato l’intero sistema della legalità israeliana in un meccanismo al servizio del male, manovrato da lontano, con un’unica missione: rimuovere Netanyahu dalla sua carica.

Il punto più basso è stato toccato quando Netanyahu ha fatto ricorso agli orrori dell’Olocausto in propria difesa. Ha citato i sopravvissuti dell’Olocausto, che presumibilmente lo hanno chiamato prima che arrivasse in tribunale per dirgli: “Eravamo nelle foreste in Europa e stiamo pregando per te. I lupi stanno venendo a divorarti. ” Era Netanyahu al suo meglio, che toccava le corde più oscure della nazione, riferendosi alle eredità più sacre per il proprio tornaconto. Nulla è troppo quando si tratta di raggiungere il proprio obiettivo, in questo caso accelerare il processo di delegittimazione dell’intero sistema legale, continuare la politica della terra bruciata e scatenare la guerra totale che ha dichiarato contro tutti coloro che stiano cercando di fargli del male.

Netanyahu è un uomo di talento. È molto intelligente ed è navigato. Sa che i brutali attacchi lanciati da lui e dai suoi messaggeri contro il sistema legale israeliano non lo aiuteranno in tribunale. Se avranno un qualche impatto sui tre giudici, sarà negativo. Ma Netanyahu non è più padrone del suo destino. Sapeva che tutti stavano aspettando di vedere le foto di lui seduto in totale disgrazia nel gabbiotto degli imputati, quindi ha deciso di creare un’immagine di vittoria – una foto di lui in piedi sulle scale del tribunale come un moderno Alfred Dreyfus, che pronuncia il suo discorso di “J’accuse” basato su mezze verità, bugie e fatti irrilevanti, mentre si sbraccia come un pazzo e incolpa tutti tranne se stesso, ovviamente.

Netanyahu sa esattamente cosa sta facendo. La valutazione prevalente è che stia aumentando intenzionalmente la sua popolarità fra una metà del pubblico israeliano, cioè nel campo della destra. Seduto davanti ai suoi giudici non è più padrone del proprio destino. Lo sono loro. Ma mentre nelle piazze le tensioni si gonfiano e le proteste di massa si fanno sentire sempre più forti, finché manterrà il potere politico Netanyahu sarà in grado di negoziare con il procuratore generale un patteggiamento che non includa alcun giorno di prigione e alle condizioni che gli siano più vantaggiose.

Questa è la strategia di Netanyahu. Con la quale può vincere le prossime battaglie, ma c’è anche una ragionevole possibilità che alla fine perda la guerra. Anche l’ex presidente Moshe Katzav al suo processo decise di fare la guerra e attese fino all’ultimo minuto per rifiutare il patteggiamento senza periodo di detenzione che gli fu offerto dall’accusa. Questa decisione alla fine seppellì Katzav. Fu condannato per molestie sessuali con una lunga pena detentiva. Netanyahu sa che dal 24 maggio potrebbe anche ritrovarsi in prigione. Questa è un’altra immagine ancora inconcepibile per il pubblico israeliano. “Re Bibi” nell’uniforme arancione di prigioniero? Dopo tutto quello che abbiamo visto oggi, mai dire mai!

Cosa succede adesso? Gli avvocati che rappresentano Netanyahu – che viene processato insieme all’editore di Yedioth Ahronoth Arnon Mozes e a Shaul Elovitch ex direttore del sito web Walla – stanno giocando sul tempo. Ieri hanno chiesto una dilazione di almeno due mesi prima della prossima udienza e di molti altri mesi fino alla fase probatoria del processo. La strategia di Netanyahu è di attendere fino alla metà del 2021 prima di iniziare la fase probatoria, il che significherebbe che sarebbe di nuovo nel ruolo di primo ministro dopo il termine del previsto mandato di Gantz. Egli spera che allora il processo sia ancora in corso.

Di fronte a questa strategia ci sono tre giudici con la reputazione di duri. È difficile immaginare che la giuria, guidata dal veterano della giustizia Rivka Friedman-Feldman, consentirà a Netanyahu e ai suoi avvocati di trascinare il processo per anni prima di giungere a un verdetto per il primo grado di giudizio. Tutto indica che i giudici perseguiranno un processo rapido con tre sessioni a settimana al fine di completare il procedimento iniziale in due o tre anni al massimo.

Per quel che riguarda Netanyahu, questa è l’ennesima tappa di una guerra senza fine in cui è il perpetuo perdente anche se è un primo ministro che può fare ciò che vuole. Comunque tutti sono contro Netanyahu e Netanyahu è contro tutti. Finora è sempre stato il vincitore. Questa volta, tuttavia, sembra che la vittoria non dipenda da lui, indipendentemente da ciò che fa. Ci sono altri fattori in gioco, e lui non ha alcun controllo su di essi.

(traduzione dall’inglese di Luciana  Galliano)




L’opposizione israeliana è disunita quanto la coalizione di governo

Afif Abu Much

19 maggio 2020 – Al Monitor

Il nuovo governo israeliano, il più numeroso di sempre, ha prestato giuramento il 17 maggio. E’ caratterizzato da ogni sorta di ministeri di recente invenzione, come quello per la Valorizzazione e il Progresso della Comunità e quello dell’Istruzione Superiore. Nel frattempo, il partito a favore dei coloni Yamina [alleanza di partiti di destra e di estrema destra, ndtr.], guidato da Naftali Bennett [leader del partito La Casa Ebraica, ndtr.], si è trovato ad occupare i banchi dell’opposizione, un’opposizione straordinariamente diversificata. Questa include tutti, dalla Lista Unita [coalizione di partiti che rappresentano gli arabo-israeliani, ndtr.] e Meretz [partito d’ispirazione laica, sionista e socialdemocratica, ndtr.] a sinistra, Yesh Atid-Telem [partito politico centrista e laico fondato dal giornalista Yair Lapid nel 2012, ndtr.] al centro, fino a Yisrael Beitenu [nazionalista, sionista e laico, marcatamente anticlericale, ndtr.] e Yamina all’estrema destra. Ahmad Tibi, membro della Knesset, ha twittato: “Sto pensando di votare la sfiducia nei confronti dell’opposizione se includesse anche Yamina.”

La situazione solleva nuove domande. Quale sarà il ruolo della Lista Unita nell’opposizione? Ha un peso il numero di seggi alla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] conquistati nelle ultime elezioni? Vale la pena ricordare che, con 15 seggi, la Lista Unita è giunta molto vicino a svolgere un ruolo decisivo nel determinare chi avrebbe governato il Paese. Sarebbe successo se il leader del partito Blu e Bianco Benny Gantz avesse formato un governo di minoranza, dopo che la Lista Unita lo aveva appoggiato in occasione delle consultazioni del presidente [della repubblica Reuven Rivlin, ndtr.] .

La Lista Unita ha presentato, per la candidatura a presidente della Knesset, Ahmad Tibi [politico israeliano arabo-musulmano, già consigliere politico del defunto presidente palestinese Yasser Arafat, ndtr.], evidenziando la gravità delle differenze all’interno dell’opposizione. La Lista Unita ha annunciato: “Non esiste un’opposizione omogenea. Insieme al nostro elettorato abbiamo posizioni politiche che ci distinguono e ci differenziano dal resto dei partiti di opposizione”.

Nel frattempo, Yesh Atid-Telem ha proposto per la presidenza alla Knesset un’altra candidata, Karin Elharar. L’opposizione si è ovviamente spaccata, con 20 membri che hanno votato per Tibi mentre altri 23 hanno votato per Elharar. Yariv Levin, della coalizione governativa, ha raccolto i frutti e ha ottenuto la nomina.

Il membro della Knesset Jaber Asaqla, della corrente Hadash [acronimo di una formula la cui traduzione italiana è: Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza] della Lista Unita, ha dichiarato ad Al-Monitor: “Non abbandoneremo i nostri principi. Non lavoreremo fianco a fianco con Yesh Atid-Telem su ogni questione.” Nel discutere gli argomenti all’ordine del giorno della Lista Unita in quanto partito di opposizione, ha affermato: “Il fatto che esista un governo di coalizione con 73 eletti rivela quanto sia pesante il lavoro che ci attende nella prossima Knesset. Il tema caldo che ci sta di fronte è l’ ’accordo del secolo’ del presidente Donald Trump, che include l’annessione di parti della Cisgiordania. Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione per opporci a tale progetto. Ci sono anche questioni interne, come la violenza nella società araba, la brutalità della polizia contro i cittadini arabi, la pianificazione, la realizzazione e l’abrogazione della legge “Kaminitz” [che rende più facile la demolizione di case arabe costruite senza permessi] e la legge sulla nazionalità, anche se, data la composizione dell’attuale Knesset, le possibilità che ciò accada sono scarse. E, naturalmente, non possiamo dimenticare la grave situazione economica, in particolare con la società araba che conta oltre 200.000 cittadini israeliani disoccupati”.

Questa sarà una grande sfida e fonte di notevoli frustrazioni per la Lista Unita. Può aver conquistato un numero record di seggi, ma il suo lavoro quotidiano si concentrerà più sui discorsi e sulle dichiarazioni attraverso i media che sui fatti, in quanto non ha gli strumenti sufficienti per influenzare le decisioni. Tuttavia, i suoi elettori si aspettano che il partito entri a far parte di chi prende le decisioni politiche e riesca a combinare qualcosa.

Tuttavia, non solo l’opposizione è eterogenea; lo è anche la coalizione di governo. E sono le differenze nel governo tra Likud e Blu e Bianco che potrebbero offrire alla Lista Unita alcune opportunità per incidere sul governo, specialmente quando Netanyahu avrà bisogno dei suoi voti su una questione o l’altra. Nel 2019 Netanyahu ha presumibilmente ottenuto dall’ opposizione due voti a favore del suo candidato come Revisore dei Conti dello Stato, Matanyahu Engelman. Il Likud ha affermato che i due candidati della Lista Unita hanno sostenuto tranquillamente Engelman in cambio di finanziamenti a favore di alcune località arabe.

L’opinione pubblica araba potrebbe non opporsi alla cooperazione con il governo in cambio di determinati benefici per la comunità araba. Ad esempio, esiste la risoluzione 922, nota anche come Piano Quinquennale per lo Sviluppo Economico per la Società Araba. Membri della Lista Unita hanno collaborato con i vari ministeri per portare avanti tale piano.

Yoav Stern, giornalista ed ex commentatore sulle questioni arabe per Haaretz [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndtr.], ha detto ad Al-Monitor che in effetti esiste un’opportunità di collaborazione politica con il governo su ogni sorta di questioni. “Ora ci sono richieste nella società araba per una collaborazione nel processo decisionale. Una parte [della Lista Unita], ma non tutta, può finire per cooperare con il governo e con Netanyahu.” Stern ha aggiunto: “Io sostengo che la Lista Unita e i partiti di centrosinistra non abbiano ancora sfruttato appieno la quantità di preferenze all’interno della società araba, soprattutto in base al fatto che l’opinione pubblica araba vuole integrarsi nella società e influire su di essa “.

Tuttavia, è importante ricordare che Yamina si sta unendo all’opposizione, il che potrebbe cambiare i giochi per quanto riguarda la società araba. L’alleanza del 2013 tra il leader di Yesh Atid Yair Lapid e il leader di Yamina Naftali Bennett, che costrinse Netanyahu a includere entrambi nel suo governo, potrebbe essere ora riproposta, come dimostrato dalla reazione di Lapid a un post di Bennett del 13 maggio su Facebook, che annunciava l’uscita di Yamina dalla coalizione. Lapid ha risposto: “Benvenuto fratello! Il sionismo religioso avrebbe mai dovuto essere innanzitutto un giubbotto antiproiettile per chi fosse sospettato di aver commesso un delitto [in riferimento alle imputazioni per corruzione contro Netanyahu, ndtr.]”. La grande domanda è se a lungo termine Lapid preferirà unire le forze con Bennett o cooperare con la Lista Unita.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Gli studenti beduini con cittadinanza israeliana trascurati durante il coronavirus

Danny Zaken

9 aprile 2020 – Al-Monitor

La pandemia da coronavirus in Israele sta colpendo tutti – ricchi e poveri, ebrei e arabi – ma le comunità più povere devono affrontare difficoltà molto maggiori nel gestirne le conseguenze, anche nel settore educativo. Quando tutto il sistema dell’istruzione in Israele – dall’asilo alle superiori, fino all’educazione universitaria – è passato all’insegnamento a distanza attraverso internet, la differenza tra ricchi e poveri è notevolmente aumentata a causa del fatto che questi ultimi non hanno accesso a questa tecnologia. Questo fenomeno è particolarmente evidente nella popolazione arabo-beduina in Israele.

La maggior parte dei beduini, circa 250.000 (dati del 2017), vive nel sud del Paese. Un quinto di essi vive in villaggi non riconosciuti, senza infrastrutture. Sono il gruppo più povero della società israeliana e, in seguito a ciò, il loro rendimento scolastico è particolarmente basso. Secondo i dati del Consiglio Superiore dell’Educazione pubblicati nel febbraio 2019, relativi all’anno scolastico iniziato nel 2017, la percentuale dei beduini che avevano iniziato a studiare all’università è solo del 14% rispetto al 46% degli ebrei. La percentuale di studenti beduini tra gli studenti arabi quell’anno è stata solo del 28%. Benché questo sia un notevole incremento rispetto al decennio precedente, è ancora un tasso estremamente basso. Secondo i dati della Knesset, la percentuale di immatricolazioni tra gli studenti beduini è del 32%, rispetto al 68% tra la popolazione totale (esclusi i beduini e gli ebrei ultraortodossi).

Negli ultimi anni c’è stato un incremento nel numero di studenti beduini che hanno conseguito la maturità, così come nel numero di studenti beduini nell’educazione superiore, ma sono ancora indietro rispetto al resto della popolazione. Uno dei problemi principali del sistema educativo nella società dei beduini israeliani è la mancanza di infrastrutture in generale e di tecnologia in particolare. Nei villaggi più remoti, soprattutto in quelli non riconosciuti, la rete internet è vecchia e quindi molto lenta. Internet è fornita solo attraverso le linee dei cellulari, e difficilmente nelle case degli abitanti ci sono computer e tablet.

Secondo dati dell’organizzazione non governativa “Abraham Initiative” [Iniziativa di Abramo, associazione che intende promuovere l’uguaglianza tra cittadini ebrei e arabi di Israele, ndtr.], nel Negev ci sono circa 102.000 bambini in età scolare. Di questi 36.000 vivono in villaggi non riconosciuti o nei villaggi dei consigli regionali di Neve Midbar o Al-Kasum, che non hanno reti internet o altre infrastrutture. Ventimila studenti vivono nelle cittadine limitrofe, anche loro senza infrastrutture. Trentamila allievi vivono in quartieri con infrastrutture, ma fanno di famiglie con almeno otto figli e solo un computer in casa. Da ciò si ricava che metà degli studenti beduini del Negev non ha accesso a una rete internet.

Il 12 marzo, a causa della crisi del coronavirus, si è deciso di bloccare del tutto il sistema educativo per almeno cinque settimane, fin dopo le vacanze di Pasqua. Istituzioni scolastiche e accademiche sono passate all’insegnamento a distanza, basandosi su programmi e applicazioni come Zoom. Questi programmi, che integrano il video con materiale didattico inviato in rete, richiedono connessioni internet potenti e affidabili – esattamente quello che manca ai villaggi beduini del Negev. In seguito a ciò molti alunni beduini sono praticamente rimasti tagliati fuori dalle loro scuole, mentre i loro pari in tutto il resto del Paese continuano a studiare. “Abraham Initiative” ha detto ad Al-Monitor che a causa della crisi del coronavirus il ministero dell’Educazione ha aperto un portale educativo completo per studenti in lingua ebraica, ma ha prodotto molto meno materiale disponibile in arabo.

Nell’educazione superiore sono stati fatti molti più tentativi di risolvere il problema. Marah Agbaria, che si occupa degli studenti arabi nell’Unione degli Studenti dell’università Ben Gurion del Negev, ha detto ad Al-Monitor che l’università ha preparato speciali stanze con computer per gli studenti beduini, in modo che possano partecipare alle lezioni. Ma poi ci sono state le restrizioni agli spostamenti a causa del coronavirus, e questi studenti hanno dovuto rimanere a casa. Secondo Agbaria, l’Unione ha avuto modem cellulari per alcuni di loro che consentono l’educazione a distanza, ma il numero non è sufficiente. E non ci sono soluzioni per studenti che non hanno il computer.

Nel Negev centinaia di studenti beduini studiano anche al Sapir College. Riguardo all’insegnamento a distanza, Haytham al-Nabari —  studente di lavoro sociale che vive a Tel Arad – ha detto a Hasin Aldada, corrispondente del sito per gli studenti del Sapir “Spirala”: “Ciò richiede un internet veloce e non abbiamo infrastrutture internet come in altri luoghi. Se frequento una lezione online con un docente, lo faccio attraverso il telefonino. Ma internet è debole o non funziona.”

Rafif Abu Hajaj, uno studente di amministrazione pubblica che vive nel villaggio di Al-Furah, ha detto a “Spirala” che “le case nei villaggi beduini si basano [per la corrente elettrica] sull’energia solare, che dipende dal sole. Ma da quando il clima negli ultimi giorni è stato freddo e piovoso e non c’è stato molto sole, non abbiamo avuto elettricità per vari giorni.”

Il “Centro Mossawa” (il Centro per il Sostegno ai Cittadini Arabi in Israele) in una lettera al ministro delle Comunicazioni David Amsalem ha sollevato la questione del sovraccarico della rete dei cellulari. Secondo un rapporto del gennaio 2018 di Asmaa Genaim per conto dell’Associazione Internet di Israele, circa il 90% dei cittadini arabi del Paese utilizza internet attraverso il cellulare. Ora, quando la maggioranza dei cittadini del Paese rimane a casa propria, c’è un grande uso di internet, che sovraccarica reti, che nelle cittadine e nei villaggi arabi sono già deboli. Nella lettera il Centro chiede che il ministero delle Comunicazioni agisca immediatamente per rafforzare ed ampliare internet e reti per i cellulari nei villaggi arabi, e soprattutto in quelli non riconosciuti del Negev, chiedendo ai gestori delle linee dei media, dei cellulari e di internet di rafforzare le proprie reti in questi luoghi.

Adalah”, il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele, ha annunciato il 12 marzo che, insieme alla Commissione di Monitoraggio sull’Educazione Araba e ad altre organizzazioni, presenterà una petizione alla Corte Suprema per chiedere che i servizi di internet e l’insegnamento a distanza vengano resi disponibili ai villaggi beduini del Negev. In una dichiarazione poco prima che venisse presentata la petizione, l’associazione ha scritto: “La difficile situazione ora evidente in questo periodo d’emergenza è un risultato della sistematica negligenza da parte dello Stato riguardo alle necessità fondamentali in tempi normali dei villaggi non riconosciuti. Nel campo dell’educazione, la discriminazione si manifesta negli scarsi risultati degli studenti, come si ricava dai dati desolanti che sono ben noti ai decisori politici. Nonostante le nostre richieste, non abbiamo ricevuto alcun segnale che le autorità stiano facendo qualcosa per trovare soluzioni per supplire alla chiusura del sistema educativo, che dovrebbe seguire i minori di questi villaggi, e pare che lo Stato li stia semplicemente abbandonando. Quindi ci rivolgiamo ai tribunali.”

Gli uffici pubblici che si occupano di questi problemi hanno risposto con lentezza a queste richieste. Il ministero dell’Educazione ha aumentato la quantità di materiali educativi in arabo, ma non ha trovato un’immediata soluzione al problema degli studenti del Negev. Il ministero della Comunicazione ha affermato che il problema delle infrastrutture non può essere risolto in poco tempo.

Morale della favola: circa 100.000 studenti beduini in età scolare e circa 2.000 studenti universitari beduini del Negev probabilmente perderanno metà dell’anno scolastico e la differenza tra loro e gli altri studenti israeliani non farà che aumentare.

Per correttezza: l’autore è docente al Sapir College, citato nell’articolo.

Danny Zaken è un giornalista che lavora per la stazione della radio pubblica israeliana Kol Israel. Zaken si è occupato di questioni militari e della sicurezza, dei coloni in Cisgiordania e di argomenti riguardanti i palestinesi. Ha ricevuto il premio Knight Wallace presso l’università del Michigan ed ha terminato il programma accademico di giornalismo della BBC. Zaken insegna media e giornalismo all’università Ebraica, alla Mandel School e al Centro Interdisciplinare di Herzliya. È stato il presidente dell’Associazione dei Giornalisti di Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)