Il piano per mettere dietro le sbarre un israeliano antisionista

Oren Ziv

9 febbraio 2023 – +972 Magazine

La collusione tra la polizia e le organizzazioni di destra per incriminare lo storico attivista Jonathan Pollak è un allarmante inasprimento che minaccia tutti gli ebrei dissidenti.

Venerdì scorso i palestinesi della città cisgiordana di Beita, vicino Nablus, hanno fatto la loro manifestazione settimanale contro un avamposto di coloni israeliani costruito sulla loro terra circa due anni fa. In un clima tempestoso, mentre alcuni manifestanti bruciavano copertoni, altri esibivano le foto di un prigioniero politico, una scena consueta nelle proteste palestinesi. Ma questa volta l’immagine sui poster non era quella di un palestinese, ma di Jonathan Pollak, un attivista ebreo israeliano antisionista che è stato arrestato dai soldati israeliani durante la protesta della settimana precedente.

Pollak è stato attivo nella lotta palestinese per gran parte della sua vita ed è uno dei pochi israeliani che si unisce regolarmente alle manifestazioni popolari settimanali guidate dai palestinesi in tutta la Cisgiordania occupata e in Israele. Il quarantenne è stato arrestato una decina di volte nel passato e per quattro volte condannato; di norma si rifiuta di collaborare con i procedimenti giudiziari relativi alle denunce penali e alle accuse contro di lui, considerandole illegittime.

Ora Pollak si trova in un carcere israeliano da quasi due settimane. Il 27 gennaio, quattro giorni dopo il suo arresto, è stato incriminato con l’accusa di aver lanciato pietre contro una jeep della polizia di frontiera. A parte un piccolo numero di attivisti che appoggiano Pollak, e le organizzazioni di destra che hanno colto l’occasione per rafforzare la loro campagna contro gli attivisti israeliani anti-apartheid, il suo arresto non ha provocato molta sensazione – nonostante il fatto che la polizia abbia chiesto la sua detenzione fino al termine del processo, cosa molto rara quando si tratta di attivisti israeliani.

Ma il recente arresto di Pollak dovrebbe interessare ad ogni attivista, compresi quelli che sono scesi in piazza ogni sabato sera nell’ultimo mese per protestare contro il governo di estrema destra. La possibilità che quei manifestanti siano continuamente arrestati e subiscano false accuse può essere minima, ma c’è comunque molto da imparare da questa vicenda.

Persecuzione politica’

I palestinesi manifestano regolarmente nella cittadina di Beita dal maggio 2021, quando i coloni hanno insediato l’avamposto di Eviatar sul Monte Sabih con l’appoggio dello Stato che ha preso possesso delle terre appartenenti a palestinesi a Beita, Qabalan e Yatma. Beita è diventata il fulcro della resistenza all’ avamposto, con gli abitanti e gli attivisti accampati sul Monte Sabih per oltre 100 giorni consecutivi, prima che le manifestazioni divenissero settimanali. Dall’inizio delle proteste sono stati uccisi dall’esercito israeliano 10 palestinesi, e più di mille sono stati feriti da proiettili di metallo ricoperti di gomma, in spugna, di piccolo calibro e proiettili veri. Migliaia hanno anche inalato gas lacrimogeni.

Il 27 gennaio, il giorno in cui Pollak è stato arrestato, la protesta a Beita si è svolta non solo di fronte a Eviatar, ma anche all’ingresso della città vicino all’autostrada 60. A mezzogiorno una jeep della polizia di frontiera ha caricato i manifestanti e i poliziotti hanno arrestato Pollak. In tribunale la sua avvocata, Riham Nasra, ha detto che Pollak aveva sentito due poliziotti che concordavano la loro versione della vicenda del suo arresto.

Pollak è stato anche interrogato in merito ad una denuncia sporta contro di lui dall’organizzazione di destra Ad Kan, che ha precedentemente avviato un’azione legale contro Pollak; la denuncia lo accusava di aver intralciato un poliziotto durante il suo servizio e di uso pericoloso del fuoco (copertoni in fiamme) durante una manifestazione nel villaggio di Burqa, sempre vicino a Nablus, nel 2019. Il 30 gennaio Ad Kan si è vantata su Twitter del fatto che la polizia l’aveva contattata dopo l’arresto di Pollak, a quanto pare per richiedere prove incriminanti.

La polizia non lo ha negato e ha detto a +972: “La polizia di Israele ha condotto un’indagine nei confronti di parecchi sospettati in seguito a disturbo dell’ordine pubblico pubblico avvenuto nell’area della Samaria (Cisgiordania settentrionale). Al termine dell’indagine è stato deciso dall’ufficio del procuratore di inoltrare un esposto del procuratore contro uno dei sospettati.” Questo strumento legale consente alla polizia di tenere un indiziato in custodia per parecchi giorni dopo la conclusione di un’indagine e prima che venga formulata un’incriminazione. Solo Pollak è stato arrestato in quell’occasione.

In seguito Liran Baruch del ‘Disabled Forum for Israel’s Security’ dell’esercito (collegato con l’organizzazione di destra Im Tirtzu) ha inoltrato alla polizia un’altra denuncia contro Pollak per un discorso da lui tenuto quando ha ricevuto il Premio Yeshayahu Leibowitz nel 2021 – un premio assegnato ogni anno dal movimento di obiettori di coscienza Yesh Gvul ad un attivista israeliano per il suo impegno contro l’occupazione. Nel suo discorso di accettazione Pollak ha ripetuto le parole che aveva scritto in un articolo su Haaretz dopo il suo arresto nel 2020, che invitavano gli israeliani a “marciare accanto ai ragazzi delle pietre e delle bottiglie molotov.” Pollak è già stato interrogato a questo proposito quando è stato arrestato nel 2021 e non è ancora chiaro se verrà incriminato per questo fatto.

Giovedì scorso, circa 24 ore dopo la denuncia di Baruch, Pollak è stato portato in una cella ed interrogato dalla polizia distrettuale di Tel Aviv. “La polizia mi ha assicurato che rimarrà sotto custodia fino alla fine del procedimento”, ha poi affermato Baruch su Twitter, aggiungendo: “Le accuse consistevano nell’attacco e lancio di pietre contro le forze di sicurezza, anche venerdì scorso, e nell’incitamento all’uccisione di ebrei nel suo famoso discorso ‘Unitevi ai ragazzi della generazione delle pietre e delle bottiglie molotov.’ Facciamo in modo che ogni anarchico che alzi la mano contro le forze di sicurezza e lo Stato di Israele sappia che prima o poi faremo i conti con lui.” La polizia non ha negato quanto riferito da Baruch.

Questa è persecuzione politica”, ha affermato Nasra, avvocata di Pollak. “In passato sono state sporte denunce contro Pollak, ma chiedere la detenzione fino al termine del processo è una nuova escalation. Non vediamo molte richieste come questa in casi riguardanti attivisti di sinistra ebrei”.

Le autorità sanno (che manifesta là ogni settimana) e non ha condanne per incidenti violenti”, continua Nasra. “Quando hanno arrestato Pollak uno dei poliziotti gli ha detto: ‘Ti conosco, sei qui per provocare’. La denuncia è debole e basata su tre testimonianze di poliziotti che, secondo Pollak, fin dall’inizio dell’indagine erano concordate.” A parte questo, Pollak ha rivendicato il suo diritto a non rispondere.

Un vero sostenitore della lotta palestinese’

Storico attivista antisionista, Pollak all’inizio degli anni 2000 fu co-fondatore di ‘Una sola lotta’, un gruppo anarchico che sottolineava i legami tra i diritti degli animali e altre forme di oppressione, compresa l’occupazione. E’ anche membro fondatore di ‘Anarchici contro il muro’, i cui attivisti si unirono alla lotta popolare nei villaggi palestinesi, tra cui Mas’ha, Budrus, Bil’in, Nil’in e decine di altri in Cisgiordania, contro la costruzione della barriera di separazione di Israele sulle loro terre da quasi dieci anni. Nel 2005 fu ricoverato in ospedale dopo essere stato colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato da un soldato israeliano durante una protesta a Bil’in.

Dopo il completamento da parte di Israele del muro nelle aree rurali palestinesi della Cisgiordania, Pollak fu tra i pochi attivisti israeliani che si unirono alle proteste nel villaggio di Nabi Saleh, dove i palestinesi facevano manifestazioni fin dal 2009 contro l’appropriazione di una sorgente del villaggio da parte di coloni israeliani. Partecipa anche regolarmente alle dimostrazioni contro le appropriazioni dei coloni nel quartiere di Gerusalemme di Sheikh Jarrah e contro la gentrificazione che spinge gli abitanti palestinesi fuori dalle loro case a Giaffa. Nell’ultimo anno e mezzo si è recato quasi ogni settimana a Beita.

Pollak, che non si copre il volto durante le manifestazioni a cui partecipa, da parecchi anni è diventato un bersaglio delle organizzazioni israeliane di destra. Esse hanno pubblicato un filmato in cui partecipa alle manifestazioni, aiuta a bloccare le strade per impedire le incursioni dell’esercito, porta ai palestinesi copertoni da bruciare – ma non hanno mai prodotto prove che sia ricorso ad alcun tipo di violenza. Nel 2019 fu aggredito da due israeliani mentre lasciava gli uffici del quotidiano Haaretz, dove lavora. Uno di loro cercò di accoltellarlo e lo ferì al viso; un altro gridò anche che lui era un “pazzo sinistrorso”.

Nel 2018 Ad Kan sporse una denuncia penale contro Pollak e altri due attivisti israeliani, Kobi Snitz e Ilan Shalif, per la loro partecipazione ad una manifestazione contro il muro in Cisgiordania. Nel processo, il primo del genere contro attivisti anti-occupazione, Ad Kan sostenne che “insieme ad altri rivoltosi essi hanno attaccato illegalmente soldati dell’esercito israeliano e agenti della polizia di frontiera.” Le diverse autorità non ritennero opportuno incriminare i tre attivisti.

Pollak rifiutò di assistere al procedimento giudiziario e in seguito fu raggiunto da un mandato di arresto. Dopo essere riuscito ad evitare numerosi tentativi di detenzione, fu arrestato nel gennaio 2020 e incarcerato per un mese e mezzo, fino a quando il pubblico ministero comunicò che stava rinviando le procedure nel processo di denuncia penale. Così facendo la causa contro Pollak e i due altri attivisti fu di fatto chiusa.

L’ultima condanna per Pollak è stata nel 2021: è stato accusato di intralcio ad un agente di polizia in servizio durante una manifestazione vicino al muro a Betlemme nel 2017. È stato condannato a 30 giorni di prigione e altri due mesi di libertà condizionale nei due anni seguenti. Come nel procedimento per la denuncia fatta da Ad Kan, Pollak ha scelto ancora una volta di non collaborare. Il giudice, Eitan Cohen, ha scritto nella sentenza che il rifiuto di Pollak di collaborare ha contribuito alla decisione di condannarlo. Il giudice ha deliberato che la risposta di Pollak nelle udienze relative all’accusa di aver intralciato un agente di polizia – “Non li ho intralciati abbastanza” – si configurava come “ammissione di colpevolezza”.

Khaled Abu-Qare, un attivista che ha partecipato all’ultima protesta di venerdì a Beita, ha detto a +972: “I palestinesi a Beita la scorsa settimana hanno esibito orgogliosamente la foto di Jonathan Pollak per esprimere il loro sostegno alla sua causa, che è direttamente legata alla causa palestinese. Il suo caso è stato citato dall’imam durante le preghiere del venerdì di fronte a centinaia di persone, perché lui è un vero sostenitore della lotta palestinese per la decolonizzazione dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo). La presenza di Jonathan sul campo è ciò che lo pone nel cuore dei palestinesi. Lui chiama le cose con il loro nome: apartheid. È stato leale con la lotta palestinese, perciò i suoi compagni sono leali verso di lui e noi chiediamo il suo immediato rilascio.”

Pagare il prezzo

Dal momento in cui la polizia ha arrestato Pollak, molte istituzioni israeliane – compresa la polizia, l’ufficio del procuratore e le organizzazioni di destra – si sono mobilitate per fargli pagare un alto prezzo per le sue attività politiche. Perché per loro sia facile farlo non è un mistero: alla luce delle sue esplicite opinioni politiche e della documentazione delle sue proteste (che l’esercito e la destra amano definire “terrorismo popolare”), il suo arresto non provocherà proteste nella Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] come nel caso degli arresti di coloni del movimento “hilltop youth” [I giovani della cima della collina] che aggrediscono i palestinesi.

La velocità e l’efficienza con cui le incriminazioni, che comprendono gravi accuse, sono state disposte contro di lui meno di una settimana dopo il suo arresto e la collaborazione tra la polizia e i gruppi di destra dovrebbero mettere in allarme chiunque scenda in strada per protestare – anche se ha opinioni opposte a quelle di Pollak. Fatta eccezione per le testimonianze dei tre agenti e un rapporto segreto, la polizia non ha presentato finora alcuna prova reale. Ma in tribunale è la loro parola contro quella di Pollak. E su loro richiesta, salvo una nuova decisione, non verrà rilasciato fino alla prossima udienza il 13 febbraio.

Gli arresti arbitrari durante le proteste e la rapida formulazione di incriminazioni basate su scarse prove, mentre sono un’anomalia per gli israeliani, sono la realtà per migliaia di palestinesi ogni anno, oltre alle centinaia di prigionieri in detenzione amministrativa senza accuse. I pochi attivisti israeliani che si sono uniti alle proteste in Cisgiordania negli ultimi anni sono stati normalmente protetti rispetto a queste prassi perché erano ebrei; anche quando sono stati arrestati sono stati rilasciati entro un giorno e di norma non vi è stata alcuna incriminazione nei loro confronti. Ma con il nuovo governo di estrema destra e l’attuale clima politico anche questo potrebbe cambiare – e non solo per i pochi che vanno a manifestare a Masafer Yatta, Sheikh Jarrah o nella Valle del Giordano, che da anni subiscono violenze e aggressioni da parte dei soldati e dei coloni.

Durante le manifestazioni “Balfour” [dal nome della via in cui risiede il premier, ndt.] contro il precedente governo di Benjamin Netanyahu, che si sono svolte per gran parte del 2020 fino all’inizio del 2021, la polizia israeliana ha arrestato centinaia di manifestanti e in seguito ha elevato denunce contro parecchi di loro. Ed è stato là che, per la prima volta, ha usato misure che fino ad allora erano state largamente riservate ai palestinesi, agli haredim [ultraortodossi, ndt.] e agli ebrei etiopi che protestavano. Se le manifestazioni di massa contro l’attuale governo e la sua proposta di riforma giudiziaria diventerà la “disobbedienza civile” che i leader della protesta invocano, i manifestanti di centro sinistra potrebbero trovarsi anch’essi a subire arresti arbitrari e incriminazioni come Pollak.

Nel suo discorso di accettazione nel ricevere il Premio Yeshayahu Leibowitz nel 2021, Pollak ha detto: “Tra il fiume e il mare c’è un solo regime colonialista che è del tutto illegittimo. E quando il regime è illegittimo qual è il ruolo dei membri della società coloniale che lo rifiutano? Qual è il nostro ruolo?”

La lotta per la liberazione deve essere condotta da coloro che cercano di liberarsi, non da noi”, ha continuato. “Quando i sudafricani bianchi si opposero all’apartheid…si unirono come minoranza all’ANC [African National Congress, il partito di Mandela, ndt.] – alcuni di loro hanno anche imbracciato le armi – nella lotta per cacciare il regime di apartheid e il colonialismo. È lo stesso qui in Palestina: per unirsi davvero alla lotta per eliminare l’apartheid i pochi coloni ebrei che sono interessati a questo devono levarsi contro l’essenza del regime coloniale, non contro questa o quella manifestazione di esso.”

Ed ha concluso: “Dobbiamo cercare e trovare la nostra strada all’interno del movimento di liberazione palestinese, tenendo conto che gli ebrei devono essere una minoranza (in esso) e che solo in questo modo…attraverso un ribaltamento consistente degli equilibri di potere, possiamo lavorare per la vera uguaglianza e la liberazione.”

Oren Ziv è un fotoreporter, corrispondente di Local Call [versione in ebraico di +972], e membro fondatore del collettivo di fotografi Activestills.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)