Cisgiordania: indignazione dopo che le forze dell’Autorità Nazionale Palestinese hanno arrestato un giornalista

Fayha Shalash, Ramallah, Palestina occupata

15 luglio 2023 – Middle East Eye

L’arresto di Aqil Awawdeh segna l’ultima mossa di un evidente giro di vite contro il dissenso in tutta la Cisgiordania occupata

E’ esplosa la rabbia in tutti i territori palestinesi occupati dopo l’arresto di un importante giornalista da parte delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La famiglia di Aqil Awawdeh ha detto che le forze del Servizio di Sicurezza Preventivo Palestinese hanno fatto irruzione nel suo posto di lavoro a Ramallah nel pomeriggio di giovedì, lo hanno arrestato e trasferito in una destinazione ignota.

L’arresto è avvenuto dopo che ha pubblicato un breve video che contestava un’affermazione del portavoce dei servizi di sicurezza palestinesi secondo cui non vi erano detenuti politici nelle loro prigioni.

Alcune ore dopo il suo arresto l’associazione Avvocati per la Giustizia ha annunciato che la detenzione di Awawdeh era stata prorogata fino a domenica.

Il capo dell’associazione, l’avvocato Muhannad Karaja, ha detto a Middle East Eye di aver potuto far visita a Awawdeh per pochi minuti in modo da ottenere il suo consenso alla nomina di un avvocato difensore per seguire il procedimento giudiziario.

Secondo Karaja il giornalista è detenuto dall’Ufficio del Pubblico Ministero con accuse di “incitamento al conflitto razziale” sulla base di post su social media attribuiti a Awawdeh.

Domenica si terrà una seduta investigativa su di lui ed è possibile che venga rilasciato dal Pubblico Ministero, o che venga prolungata la sua detenzione in tribunale, o che venga formulata un’incriminazione”, ha aggiunto.

L’associazione ha condannato l’arresto di attivisti, come anche la Cybercrime Law (legge sui crimini informatici) dell’ANP, che secondo loro aveva di fatto legalizzato la repressione delle libertà pubbliche e dei diritti costituzionali.

Secondo l’associazione la legge viola la Legge Fondamentale palestinese e gli standard internazionali sui diritti umani, compresa la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici.

La Cybercrime Law è stata approvata nel 2017 dopo la promulgazione del presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas. Nonostante le critiche alla legge da parte di istituzioni della società civile, soprattutto le associazioni per i diritti umani, essa è ancora in vigore.

Come risultato, decine di palestinesi sono stati arrestati e sono state presentate denunce.

Decine di prigionieri

La questione della detenzione politica è un punto dolente per molti palestinesi, accanto alle critiche complessive sui servizi di sicurezza palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Asmaa Harish, attivista per i diritti umani e giornalista, ha detto che 40 prigionieri sono stati trattenuti dai servizi di sicurezza palestinesi con motivazioni politiche.

Ha aggiunto che dall’inizio del 2023 si sono verificati più di 300 casi di arresti politici nella Cisgiordania occupata, inclusi studenti universitari, giornalisti e attivisti.

In particolare i giornalisti hanno subito dall’inizio dell’anno molti arresti e aggressioni, comprese campagne di diffamazione e istigazione da parte dei servizi di sicurezza, oltre a ripetute minacce di arresto e di sospensione dal lavoro”, ha spiegato Harish.

Ha detto che le affermazioni che non ci sarebbero detenuti politici dimostrano “una mancanza di rispetto verso le opinioni dei palestinesi”, che vedono ogni giorno la dimensione delle violazioni della loro libertà di esprimere la propria opinione.

Per esempio, la campagna di istigazione contro la rete di informazione internazionale Al Jazeera è un aspetto di ciò che subiscono i giornalisti da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, oltre a molte altre reti di informazione.”

Il sindacato dei giornalisti palestinesi ha condannato l’arresto di Awawdeh e ha chiesto il suo immediato rilascio, affermando che il suo arresto costituisce una grave violazione della libertà di opinione e del diritto di esprimerla.

La tempistica dell’arresto nella sera di giovedì alla vigilia del weekend, che si estende fino al mattino della domenica, mira a impedire il suo veloce rilascio”, ha affermato l’associazione in una dichiarazione.

I servizi di sicurezza palestinesi hanno trattenuto molti studenti dell’università di Birzeit per più di un mese, incluso il capo de consiglio studentesco, Abdul Majeed Hasan. La loro detenzione è stata prorogata diverse volte dopo la loro partecipazione alle elezioni studentesche in maggio.

L’avvocato Mustafa Shatat ha detto che gli studenti sono stati torturati durante l’arresto e nell’ultima udienza in tribunale uno di loro, Yehia Farah, ha urlato: “Portatemi fuori di qui, voglio andare a casa”.

Sabato mattina fonti locali hanno comunicato che i servizi di sicurezza palestinesi hanno anche arrestato sei studenti dell’università nazionale Al-Najah di Nablus, a causa della loro partecipazione all’organizzazione di una cerimonia di laurea tenuta dal Blocco islamico alcuni giorni fa.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Perché i pogrom dei coloni stanno squassando la Cisgiordania proprio ora

Menachem Klein 

26 giugno 2023 +972

Frustrati dalle reazioni armate ai loro pogrom, i coloni continueranno a propugnare la supremazia ebraica con ogni mezzo necessario.

A volte un evento è così estremo da strappare il paraocchi della deliberata ignoranza alla società ebraico-israeliana. Il pogrom di Huwara lo scorso febbraio in cui centinaia di coloni hanno incendiato la città palestinese nella Cisgiordania occupata è stato un evento del genere. I pogrom della scorsa settimana a Turmus Ayya, Urif e Umm Safa hanno aperto ulteriormente il quadro, costringendo molti israeliani a guardare in faccia a una realtà presente da tempo e che senza dubbio può peggiorare.

Il problema principale non è però nel sottoprodotto dell’occupazione – il terrorismo dei coloni ebrei – ma nell’attività di routine di Israele nei territori. In effetti, la decisione dei dirigenti della sicurezza israeliana di etichettare i pogrom come “terrorismo” indica che il paraocchi è stato levato solo in parte: semplicemente non vogliono che il terrorismo ebraico interferisca o metta in imbarazzo l’autorità di esercito, Shin Bet e polizia.

L’insediamento coloniale è di per sé un atto violento, che sia fatto in accordo con la legge israeliana o con una legge che lo legittima retroattivamente. È violento perché i coloni impongono la loro presenza agli abitanti autoctoni e li privano della terra, dell’acqua, della libertà di movimento e dei diritti umani fondamentali. È un sistema organizzato di violenza per conto dello Stato.

La simbiosi tra esercito e coloni non si limita alla violenza; esiste anche nella concezione che hanno della loro missione. I coloni definiscono esplicitamente la loro missione come l’ebraizzazione dell’area, e lo fanno in modo efficace e coerente. La missione dell’esercito non è garantire la sicurezza a tutti i residenti nei territori – come il diritto internazionale richiede alla potenza occupante – ma piuttosto proteggere i coloni dalle reazioni dei nativi palestinesi, ai quali non è permesso difendersi, né con l’aiuto delle forze di sicurezza palestinesi, né istituendo una propria guardia nazionale.

Il fattore che determina se la vita e la proprietà di un residente della Cisgiordania saranno protette è se è ebreo o meno.

Anche l’espansione delle colonie in risposta all’assassinio di israeliani – come alte cariche del governo si sono impegnate a fare la scorsa settimana – non è un’innocua azione civile. È una violenza senza immediato spargimento di sangue, ma che inevitabilmente genererà una resistenza palestinese seguita da una sanguinosa repressione dell’esercito.

I palestinesi sono tollerati solo se si annullano nel paesaggio, diventando oggetti inanimati che rinunciano alla loro identità collettiva. Ma finché mantengono quell’identità sono per definizione il nemico. L’esercito e lo Shin Bet continueranno a controllarli con dati biometrici ed elettromagnetici che tracciano la loro posizione, le loro azioni e i pensieri espressi nelle telefonate e sui social media. La completa dipendenza dei palestinesi da Israele per i permessi rende facile per le autorità israeliane raccogliere informazioni sulla loro famiglia e le condizioni mediche, le tendenze sessuali, le debolezze personali e l’inquadramento sociale e utilizzare tali informazioni come arma per costringerli a collaborare.

Il predominio ebraico è chiaro come il sole e il popolo palestinese sta sanguinando fisicamente e politicamente. Tuttavia, man mano che le colonie si espandono e l’esercito interviene aumenta l’attrito, e così anche la motivazione palestinese a reagire. Oggi la violenza palestinese ha poca speranza di liberare la Cisgiordania la disparità di potere tra le parti è fin troppo evidente. Piuttosto, intende far pagare un prezzo, un qualsiasi prezzo, ai colonizzatori.

Una frustrazione pericolosa

Questa reazione frustra i coloni. Com’è possibile che tutto il loro potere e la loro supremazia non abbiano ancora cancellato l’identità e la resistenza palestinese? Questa frustrazione è ciò che muove i pogrom, come quelli che abbiamo visto la scorsa settimana, che poi spingono l’esercito e il governo a usare ancora più forza nell’espandere il progetto di insediamento coloniale. Solo pochi giorni fa, il Col. (Forze di Riserva) Moshe Hagar, capo dell’accademia premilitare nella colonia di Beit Yatir, ha invocato la distruzione di una città o di un villaggio palestinesi per dare una lezione ai palestinesi. Nel frattempo Bezalel Smotrich che funge sia da Ministro delle Finanze che come Ministro incaricato degli Affari Civili in Cisgiordania, ha definito “sbagliato e pericoloso” qualsiasi paragone tra ciò che ha definito “terrore arabo” e le “contro-operazioni di civili”.

La loro frustrazione oggi è maggiore di quanto non fosse in passato. Negli anni ’80 e ’90 i coloni nei territori occupati si sono trasformati da movimento civile sostenuto dalla classe dirigente in classe dirigente essi stessi. Si sono fatti strada nei livelli esecutivi degli ambiti governativi di amministrazione e sicurezza che controllano la popolazione palestinese e la sua terra. Oggi, sotto l’attuale governo di estrema destra, hanno raggiunto l’apice del potere. Non pensano affatto a riconoscere dei limiti al proprio potere, perché la direzione delle loro ambizioni politiche è diretta e inequivocabile. Non devono ritrarsi.

L’idea di contenere il conflitto per non perdere il controllo – come sperano di fare esercito, Shin Bet e polizia – è per loro inaccettabile, poiché la loro frustrazione è pari al loro estremismo politico e teologico. I coloni stanno spingendo i dirigenti della sicurezza ad agire secondo la visione di Hagar. A differenza dell'”Operazione Scudo Difensivo” – quando l’esercito israeliano distrusse fisicamente e politicamente l’Autorità Nazionale Palestinese nel 2002 attraverso devastanti invasioni urbane – oggi non c’è più una leadership da decimare. L’ANP sotto il presidente Mahmoud Abbas l’ha già fatto per Israele. L’appello della destra israeliana a lanciare “Scudo Difensivo II” è invece un invito a porre i civili palestinesi come obiettivo centrale piuttosto che come semplice e accettabile effetto collaterale.

La fine del conflitto e la soluzione dei due Stati non sono più interessanti per l’opinione pubblica israeliana e per la comunità internazionale. In mancanza di una soluzione – o più precisamente, della volontà di perseguirne una – i governi stranieri, compresi gli Stati arabi, hanno permesso a Israele di creare un regime unico nell’intera area compresa tra il fiume e il mare senza dover dichiarare ufficialmente l’annessione.

Il fatto che due popoli diversi vivano sotto due sistemi di leggi e un unico potere significa che Israele sta attuando pratiche di apartheid, supremazia razziale e governo militare non come una questione di politica estera, ma piuttosto come politica interna.

Questo è il motivo per cui, ad esempio, il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir sta cercando di istituire una propria milizia privata, per avere il potere di sottoporre i cittadini palestinesi di Israele alla detenzione amministrativa e per approfondire la penetrazione dello Shin Bet nella vita dei cittadini palestinesi di Israele. E, sulla scia degli eventi del maggio 2021 [grave esplosione di violenza iniziata il 10 maggio 2021 e continuata fino all’entrata in vigore del cessate il fuoco il 21 maggio, ndt.] l’esercito israeliano ha ora elaborato piani per agire contro i cittadini palestinesi in caso di conflitto.

I dirigenti di Israele si stanno rendendo conto che devono piegare ulteriormente la legge alla loro volontà, altrimenti l’identità dell’intera area tra il fiume e il mare non sarà mai esclusivamente ebraica. E, sfortunatamente, la sinistra ebraica sionista non ha né la visione né il coraggio per impedire questa tendenza.

Menachem Klein è professore di Scienze Politiche all’Università Bar Ilan. È stato consigliere della delegazione israeliana nei negoziati con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel 2000 ed è stato uno dei leader dell’Iniziativa di Ginevra. Il suo nuovo libro, Arafat e Abbas: Portraits of Leadership in a State Postponed [Arafat e Abbas: ritratti di leadership in uno Stato rinviato], è stato appena pubblicato da Hurst London e Oxford University Press New York.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Cisgiordania: sviluppo della resistenza armata palestinese nei campi profughi contro i raid israeliani

Leila Warah, Tulkarem, Cisgiordania occupata

24 giugno 2023 – Middle East Eye

Nur Shams a Tulkarem è il più recente campo di rifugiati ad organizzare delle brigate mentre le incursioni israeliane diventano un elemento costante nelle vite dei palestinesi

Un piccolo gruppo di giovani, di cui tre armati di fucili informalmente imbracciati, staziona fuori da un supermercato. Fissano con circospezione qualunque sconosciuto che entri nel campo profughi, stando all’erta per individuare forze israeliane che possano fare irruzione in qualunque momento.

La scena potrebbe facilmente svolgersi a Jenin o Nablus, due città palestinesi nel nord della Cisgiordania occupata che hanno ricevuto attenzione internazionale per la loro resistenza armata contro l’occupazione di Israele.

Benché i giovani siano del nord, non provengono né da Jenin né da Nablus. Vengono dal campo profughi di Nur Shams a Tulkarem, ancora più ad ovest, e sono membri di un gruppo di resistenza armata recentemente creatosi nella zona.

In un vicolo del campo il 24enne leader delle brigate Tulkarem, Mohammad, dice a Middle East Eye di credere che l’occupazione israeliana non abbia lasciato ai giovani della Cisgiordania altra scelta che rivolgersi alla resistenza armata.

L’occupazione israeliana è la nemica di Dio, perciò io lotto per riavere la nostra terra in nome di Dio”, dice. “Il nostro problema non è che loro sono ebrei, è che stanno occupando la nostra terra.

Se vieni da noi con la violenza la nostra unica opzione è rispondere con la violenza. L’occupazione non ci lascia alcuno spazio di mediazione, solo i fucili.”

Una dura realtà e un futuro nero’

Le Brigate Tulkarem sono nate a febbraio e sono sotto il comando delle brigate Al-Quds, l’ala militare del movimento della Jihad islamica.

Sono formate da 15 militanti del campo di Nur Shams di età tra i 16 e i 25 anni, che si impegnano a “difendersi” contro l’occupazione militare di Israele attraverso la resistenza armata. 

Siamo all’inizio della resistenza. Tutto ciò che è accaduto non è che l’inizio. Stanno emergendo nuove generazioni e la libertà sarà nelle loro mani e sarà ottenuta da loro”, dice Mohammad.

La gente del posto dice che il campo profughi di Nur Shams subisce quasi ogni giorno incursioni militari, incluse cinque operazioni su larga scala in questo anno.

Questa generazione è nata in una dura realtà e un nero futuro. Ogni giorno l’occupazione fa incursione nel campo e arresta i loro padri. Uccidono i loro amici e distruggono tutto”, dice a MEE Ibrahim Al-Nimr, di 51 anni, un attivista che lavora per la Società dei Prigionieri Palestinesi.

Il gruppo crea dei posti di blocco a tutte le entrate del campo e le tiene chiuse tra mezzanotte e mezzogiorno per contrastare le frequenti incursioni e neutralizzare agenti israeliani sotto copertura.

Niya Jundi, abitante di Nur Shams, dice che la comunità “incoraggia gli sforzi della giovane e resiliente generazione che vuole vivere in un Paese libero.”

Ovviamente ci sono inconvenienti nella resistenza. Ci rende più difficile accedere ai servizi, ma è un nostro diritto imbracciare le armi finché non saremo liberi dall’occupazione.”

Una rete di resistenza armata

I locali dicono che la nascita della Brigata Tulkarem è stata indotta dal “martirio” dell’abitante di Nur Shams Saif Abu Libda.

Nato e cresciuto nel campo, Abu Libda si è unito alla Brigata Jenin e sperava di portare un giorno la resistenza armata a casa sua a Nur Shams, cosa che avrebbe completato il “triangolo della resistenza del nord” tra Jenin, Nablus e Tulkarem.

Il 2 aprile 2022 le forze israeliane gli hanno teso un’imboscata e lo hanno ucciso insieme a Saeb Abahra, di 30 anni, e Khalil Tawalbeh, di 24, mentre stavano guidando a Jenin. Tutti e tre erano membri delle Brigate Al-Quds, ma al momento sembra che non fossero impegnati in scontri armati.

Tutti i gruppi di resistenza in Cisgiordania sono in contatto tra di loro. Tutti abbiamo lo stesso obbiettivo”, dice Mohammad.

Jamal Huweil, professore di scienze politiche e relazioni internazionali all’università arabo-americana di Jenin, dice che, come Abu Libda, gente da tutta la Cisgiordania – comprese Tubas, Nablus, Balata e Hebron – è andata a Jenin per conoscere la lotta armata.

Con l’intensificarsi della resistenza armata in Cisgiordania, Israele ha ufficialmente dato inizio alla campagna ‘Spezzare l’Onda’ nel marzo 2022, conducendo incursioni militari quasi quotidiane in tutta la Cisgiordania e incrementando la politica di sparare per uccidere, con la conseguenza di arresti di massa e di segnare l’anno più mortale per i palestinesi nei territori occupati dopo la seconda Intifada due decenni fa.

Huweil ritiene che Israele abbia chiamato così l’operazione riferendosi a Jenin, dove è iniziata l’“onda”.

Israele considera il campo profughi di Jenin un’incubatrice di resistenza. L’onda continua ed ha raggiunto Nablus, il campo profughi di Nur Shams a Tulkarem e il campo profughi Aqbat Jabir a Gerico. Jenin è la fonte della resistenza palestinese e a sua volta un problema per Israele”, dice a MEE.

Anche con la crescita della resistenza armata, Huweil specifica che i rapporti di forza tra l’esercito di prima classe di Israele e i giovani militanti siano molto sproporzionati.

Non c’è paragone, quando loro hanno elicotteri Apache, aerei da ricognizione e unità speciali contro un gruppo di combattenti dotati del minimo indispensabile”, dice.

Mentre la resistenza armata palestinese si diffonde, i leader israeliani hanno invocato l’ “Operazione Scudo Difensivo 2”, con riferimento all’invasione militare su larga scala della Cisgiordania nel 2002 durante la seconda Intifada.

Ci sono discussioni interne se Israele debba espandere le proprie operazioni, ma sospetto che, se proseguiranno su questa strada, la resistenza si farà più forte e agguerrita”, dice Huweil.

Coordinamento della sicurezza palestinese e israeliana

Dirigenti palestinesi e israeliani si sono incontrati due volte quest’anno, a Aqabat in Giordania e a Sharm el Sheikh in Egitto, per discutere dell’economia palestinese, del ridimensionamento della violenza e del ruolo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) nel disperdere la resistenza armata in Cisgiordania.

Tuttavia molti palestinesi sono delusi dai colloqui di pace e dalla diplomazia tra dirigenti e denigrano il coordinamento sulla sicurezza tra ANP e Israele per stroncare la resistenza armata, che ha provocato l’insorgere di tensioni in luoghi come Nur Shams.

Il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas non crede nella resistenza armata. Incontra politici israeliani per discutere di situazioni di sicurezza e di economia perché sono fattori che spingono la gente a ribellarsi”, dice Huweil. “Sono spaventati che l’onda del campo di Jenin si allarghi e raggiunga tutta la Cisgiordania, Gaza e il Libano.”

Mohammad dice a MEE che “i colloqui politici non servono a niente. Ci abbiamo provato e sono finiti nel nulla. L’unica strada per riavere la nostra libertà è la forza.”

Sebbene qui l’ANP faccia pressioni sulla resistenza armata, tentando di offrire denaro per abbandonare la resistenza armata ed entrare nella polizia, non concluderà niente”, dice.

L’esercito israeliano non segue le norme internazionali, non segue nessuna regola.”

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele rilascia un palestinese arrestato mentre accompagnava la moglie ad una visita per un trattamento oculare

Maha Hussaini – Gaza City, Striscia di Gaza assediata

1 maggio 2023 – Middle East Eye

Hassan Abumustafa è stato arrestato nel novembre 2021 al valico di Erez nonostante avesse ricevuto l’autorizzazione a recarsi con sua moglie in Cisgiordania

Dopo mesi di attesa Khaldiya Abumustafa aveva finalmente ottenuto un permesso israeliano che le concedeva di lasciare Gaza City per entrare nella Cisgiordania occupata e sottoporsi a un intervento chirurgico agli occhi, accompagnata dal marito.

Felice di poter riacquistare la capacità di vedere correttamente grazie a cure mediche non disponibili nella Striscia di Gaza, Khaldiya è arrivata con il marito Hassan Abumustafa al confine di Erez la mattina del 24 novembre 2021.

Raggiunto il versante israeliano del valico – l’unico per i palestinesi che vogliono spostarsi tra Gaza e il resto del territorio palestinese occupato – a Khaldiya è stato chiesto di aspettare nell’atrio, mentre suo marito è stato convocato per un interrogatorio.

Trascorse circa 15 ore un ufficiale israeliano è entrato nella sala dove lei stava perdendo la speranza di riuscire a rispettare l’appuntamento in ospedale e le ha ordinato di tornare a casa senza il marito.

“Tuo marito rimane con noi – è in arresto”, le ha detto l’ufficiale.

Hassan, avendo già ricevuto un permesso di uscita e l’assenso da parte del corpo di sicurezza delle autorità israeliane per il passaggio attraverso il confine di Erez, è rimasto sorpreso nel ricevere l’informazione che sarebbe stato perseguito in base ad accuse di “appartenenza a un’organizzazione terroristica”.

Dopo diversi interrogatori e udienze giudiziarie è stato condannato a 18 mesi di carcere.

Martedì, dopo aver scontato la pena, Hassan è stato rilasciato ed è tornato presso la sua famiglia in un campo profughi di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.

Tuttavia Khaldiya deve ancora sottoporsi a un intervento chirurgico agli occhi.

Ore di interrogatorio

Mia moglie ha una lesione corneale. Aveva bisogno di sottoporsi urgentemente a un trapianto di cornea in modo che le sue condizioni non si aggravassero. E poiché era difficile farlo a Gaza abbiamo avviato le procedure necessarie per ottenere una prestazione medica presso un ospedale in Cisgiordania, ha detto Hassan a Middle East Eye due giorni dopo il suo rilascio.

Già dopo il primo tentativo abbiamo ottenuto un permesso israeliano e ci siamo subito diretti a Erez”.

Ai pazienti che ricevono permessi di uscita israeliani per ricevere cure mediche nei territori palestinesi occupati è consentita la presenza di un accompagnatore, sebbene i minori possano incontrare maggiori difficoltà nell’ottenere i permessi, il che spesso ha come conseguenza il fatto che essi viaggino da soli senza i genitori.

Dopo aver aspettato con mia moglie nell’atrio per un paio d’ore un ufficiale israeliano mi si è avvicinato e mi ha chiesto di seguirlo. Ho superato diversi controlli di sicurezza prima che mi portasse in una stanza dove sono stato perquisito”, riferisce Hassan.

Gli è stato quindi detto di aspettare altre due ore e il suo cellulare è stato confiscato prima che iniziasse un interrogatorio di otto ore.

L’ufficiale dell’intelligence mi ha chiesto di parlargli di me. Gli ho detto il mio nome, il numero dei miei figli e il motivo per cui io e mia moglie dovevamo andare in Cisgiordania. Poi ha detto: ‘No, voglio che tu mi parli delle tue affiliazioni'”, prosegue Hassan.

“Gli ho detto che non avevo alcuna affiliazione e che se avessi avuto dei trascorsi politici non mi sarebbe stato permesso di lavorare nei territori occupati nel 2000 e non avrei presentato una richiesta per accompagnare mia moglie per le cure”.

L’ufficiale israeliano ha informato Hassan che un altro palestinese che era stato precedentemente interrogato al confine di Erez aveva confessato che Hassan era affiliato al movimento palestinese della Jihad islamica (PIJ).

Dal 2016 Israele ha intensificato gli interrogatori per i palestinesi che tentano di attraversare il valico di Erez.

Prima che le autorità israeliane possano elaborare le domande di permesso, molti studenti, uomini d’affari, pazienti e loro accompagnatori devono sottoporsi a un interrogatorio da parte degli agenti della sicurezza.

Mi ha detto che hanno cercato nel mio telefono e hanno trovato precedenti contatti telefonici con persone affiliate alla Jihad islamica. Gli ho detto che lavoravo come portiere in uno dei siti della Jihad e che questo non era un crimine poiché non avevo contribuito ad alcuna attività militare. La mia responsabilità era aprire e chiudere il cancello, e lavoravo lì per lo stipendio, dice a MEE il padre di otto figli.

Mentre hanno iniziato a chiedermi informazioni su diversi membri e attività della Jihad ero solo preoccupato per mia moglie, che era stata lasciata ad aspettare da sola e non sapeva cosa stesse succedendo. Ho chiesto di lei e l’ufficiale ha detto: “Non preoccuparti, chiameremo qualcuno da Gaza perché venga per accompagnarla in Cisgiordania”. Più tardi ho saputo che era una bugia e che era stata lasciata ad aspettare fino a notte, poi le è stato negato l’ingresso ed è stata rimandata a Gaza”.

“Come una trappola”

In alcuni casi anche dopo che i pazienti ricevono i permessi israeliani per entrare nei territori occupati per le cure le autorità israeliane annullano i permessi alla frontiera e negano loro l’ingresso.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2022 sono state presentate dalla Striscia di Gaza bloccata 20.411 domande di permessi di uscita per motivi medici, di cui 6.848 (34%) sono state respinte.

Inoltre, 219 pazienti sono stati sottoposti ad un interrogatorio israeliano al valico di Erez, inclusi 66 malati di cancro, 38 donne e 26 anziani. A circa il 91% di loro è stato negato il permesso di uscita.

L’ufficiale israeliano mi ha detto che ero ufficialmente in arresto e che sarei stato perseguito. Sono stato ammanettato mani e gambe, poi trasferito con un veicolo israeliano in un centro di interrogatorio, dove sono stato ulteriormente interrogato per 26 giorni, poi condannato a 18 mesi di prigione, prosegue Hassan.

Ero come in una trappola. Quando ho presentato la richiesta per accompagnare mia moglie, loro conoscevano già il mio background e la mia professione e mi hanno comunque concesso il permesso per facilitare il mio arresto”.

Islam Abdu, portavoce del Ministero per le questioni dei detenuti e degli ex detenuti di Gaza, ha riferito a MEE che dall’inizio del 2023 sono stati arrestati al confine di Erez otto palestinesi di Gaza, tra cui il malato di cancro Ahmed Abu Awwad, 55 anni, che è stato rilasciato un mese dopo, e Naim al-Sharif, 63 anni, che accompagnava la moglie per cure mediche.

In molti casi il valico di Erez serve come tramite per trattenere i residenti di Gaza. L’occupazione israeliana concede loro i permessi di uscita per attirarli, quindi arrestarli e sottoporli ad una pena”, dice Abdu.

Abbiamo documentato diversi casi in cui le autorità israeliane hanno arrestato pazienti e familiari che li accompagnavano, compresi pazienti in condizioni critiche che necessitavano di cure mediche urgenti”.

Perdita della speranza di una cura

Dopo diverse settimane, quando a sua moglie è stato permesso di fargli visita in prigione, Hassan ha saputo che non si era ancora sottoposta all’intervento e che le sue condizioni stavano peggiorando

Khaldiya ha detto a MEE che dopo la detenzione di suo marito ha presentato tre domande per un trattamento medico nella Cisgiordania occupata.

Non ha ancora ricevuto il permesso.

Ora riesco a malapena a vedere; sto lentamente perdendo la vista e la cosa peggiore è che soffro per un dolore molto intenso. Vivo grazie agli antidolorifici”, ha detto. E’ come se i miei bulbi oculari stessero per cadere dalla faccia. Passo le notti tra la cucina e la mia camera da letto cercando di alleviare il dolore con il ghiaccio.

Quel giorno, durante le lunghe ore di attesa al confine di Erez, avevo il terrore che venisse arrestato. Siamo arrivati alle otto del mattino e solo verso le 11 di sera sono stata informata che era stato arrestato e che mi era stato negato l’ingresso. Sono scoppiata in lacrime e sono tornata a casa perché non potevo farci niente”.

Essendo Hassan il principale sostegno della famiglia sua moglie, i figli e la madre, che vive con loro, durante la sua prigionia hanno avuto difficoltà ad affrontare le spese.

La Commissione per i detenuti ed ex detenuti dell’Autorità Nazionale Palestinese ha concesso alla sua famiglia uno stipendio mensile di 1.800 shekel israeliani (455 euro), ma sua moglie gli inviava 700 shekel (182 euro) per comprare il cibo necessario e coprire i suoi bisogni primari all’interno della prigione.

La caffetteria all’interno del carcere fornisce articoli di base dichiaratamente economici a prezzi molto alti. Settecento shekel potevano a malapena coprire i suoi bisogni primari aggiunge Khaldiyya.

Oggi Khaldiyya, dopo aver perso la speranza di ottenere un permesso israeliano, sta cercando in alternativa di sottoporsi all’operazione a Gaza.

Ci stanno punendo per crimini che non abbiamo commesso, dobbiamo trovare una soluzione con quello che abbiamo”.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’economia israeliana era il fiore all’occhiello di Netanyahu. L’apartheid può sopravvivere senza?

Nimrod Flaschenberg

27 marzo 2023 – +972 Magazine

Il primo ministro non prevedeva che il colpo di stato giudiziario avrebbe minato uno degli elementi fondamentali a tutela del regime di apartheid israeliano.

La combinazione finora riuscita di neoliberismo e apartheid in Israele sta finalmente incontrando degli ostacoli interni.

Dopo mesi di proteste e pressioni economiche il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato lunedì che avrebbe temporaneamente interrotto la fase successiva della sua riforma giudiziaria. L’annuncio è arrivato di notte, dopo che centinaia di migliaia di israeliani sono scesi in piazza in tutto il Paese in seguito al licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant da parte di Netanyahu, e dopo un’azione congiunta – lunedì mattina – delle grandi imprese e dell’Histadrut, il più grande sindacato israeliano, che era stato riluttante ad aderire alla protesta contro la riforma giudiziaria.

Questa crisi rappresenta il culmine di diversi mesi di guerra economica intrapresa contro il governo da ampie fasce della società israeliana, e in particolare dalle sue élite. E questo scontro interno sta mettendo in luce una sorprendente debolezza nell’economia israeliana guidata dalla tecnologia, seppure in forte espansione. Ora resta la domanda: questa debolezza potrebbe anche segnare una breccia nella lotta contro l’occupazione e l’apartheid?

In tutti gli anni trascorsi nella veste di primo ministro israeliano, il risultato più significativo di Benjamin Netanyahu è stato quello di far sembrare l’occupazione indolore, o almeno senza costi. Sotto il suo regno, l’economia israeliana è esplosa, in gran parte grazie al fiorente settore dell’high-tech. Lo Stato ha migliorato e ampliato le sue relazioni diplomatiche, aprendo nuovi mercati per l’esportazione di software e sicurezza informatica, sviluppando legami di sicurezza con partner regionali e rendendo la sua tecnologia militare indispensabile per molti Paesi in tutto il mondo.

Il modello economico israeliano dall’inizio degli anni 2000 è stato interpretato dallo storico economico Arie Krampf come un neoliberismo isolazionista. Questo è il progetto di Netanyahu: un’economia orientata all’esportazione che dovrebbe costruire resilienza geopolitica attraverso una strategia di commercio diversificato, un basso rapporto debito/PIL e grandi riserve di valuta estera. Questo modello richiede anche una deregolamentazione aggressiva e tagli alla spesa sociale, che portano a sconcertanti disuguaglianze e ad un aumento della povertà. Il sistema di welfare si è sgretolato ma sono aumentati gli investimenti esteri; le nuove ricchezze di Israele non sono state divise equamente, ma l’élite economica è soddisfatta.

Attraverso questo modello Israele ha potuto diversificare i suoi rischi e interessi economici in tutto il mondo e diminuire in qualche modo la sua dipendenza dagli Stati Uniti. Le relazioni di Netanyahu con leader mondiali come Vladimir Putin e Narendra Modi si sono basate non solo sulla predilezione per nazionalisti aggressivi che la pensano allo stesso modo, ma su una strategia di riequilibrio della posizione di Israele nella sfera globale, che lo ha reso un ambìto partner commerciale e militare.

Sebbene la campagna internazionale per la liberazione della Palestina abbia avuto un impatto sull’opinione pubblica globale, non è stata in grado di sfidare veramente questo modello economico. Il movimento BDS ha in gran parte fallito nel far crescere il costo economico per il governo e la popolazione israeliana nel sostenere e radicare l’occupazione, ed è invece diventato un parafulmine per la delegittimazione delle voci pro-palestinesi da parte di ben finanziate organizzazioni di hasbara [propaganda per la diffusione di una immagine positiva di Israele all’estero, ndt.].

L’Autorità Nazionale Palestinese, da parte sua, non ha promosso misure economiche contro Israele a causa della dipendenza della Cisgiordania dall’economia israeliana e della morsa dell’occupazione militare israeliana. Quindi, mentre i governi israeliani si sono spostati nell’arco dei decenni verso destra, intensificando l’occupazione e consolidando il regime di apartheid, lo Stato non è stato danneggiato economicamente e la sua posizione diplomatica si è solo rafforzata.

Ironia della sorte, ciò che la campagna del BDS finora non è riuscita a ottenere è ora promosso dagli ebrei israeliani: le élite che si stanno rapidamente radicalizzando nello scontro contro il tentativo di revisione giuridica del governo israeliano. Gli inevitabili impatti economici della riforma minacciano il modello neoliberista isolazionista, che è stato a lungo basato su una forte industria di esportazione e sull’impunità internazionale. Netanyahu ha vaccinato con successo l’economia israeliana contro le pressioni esterne, ma nemmeno lui è in grado di affrontare l’attuale conflitto interno.

Pericoli reali

Martedì scorso Shira Greenberg, capo economista del ministero delle Finanze israeliano, ha pubblicato un rapporto in cui suggerisce che se la riforma legale venisse approvata nella sua interezza il PIL di Israele potrebbe diminuire fino a 270 miliardi di shekel [69 miliardi di euro, ndt.] nei prossimi cinque anni. Altre stime di funzionari dello stesso ministero, presentate al ministro delle finanze Bezalel Smotrich all’inizio di questa settimana, accennavano ad una perdita annua di 100 miliardi di shekel [26 miliardi di euro, ndt.]. Smotrich ha cercato di confondere i dati dicendo che nell’incontro sono stati presentati sia opportunità che rischi, ma fonti del ministero lo hanno contraddetto, dichiarando a Calcalist [il principale quotidiano finanziario israeliano, ndt.]: Non è chiaro di quali opportunità stia parlando il ministro. C’era accordo fra i convenuti sul fatto che queste iniziative potrebbero causare gravi danni all’economia israeliana”.

Da mesi le istituzioni finanziarie internazionali suonano campanelli d’allarme sulla proposta di riforma. L’agenzia di rating del credito Moody’s ha avvertito che la riforma potrebbe impedire l’aumento del rating del credito di Israele, indicando che i cambiamenti pianificati “potrebbero anche comportare rischi a lungo termine per le prospettive economiche di Israele, in particolare l’afflusso di capitali nell’importante settore high-tech”. The Economist, il principale quotidiano economico mondiale e barometro per le posizioni dell’élite degli affari globali, ha recentemente pubblicato una notizia di copertina intitolata: “Bibi distruggerà Israele?” Sta emergendo un consenso internazionale sul fatto che il nuovo governo potrebbe alterare in modo significativo la traiettoria del capitalismo israeliano.

Il presupposto alla base del ministero delle Finanze israeliano, di Moody’s e dell’Economist è che gli Stati non democratici non sono in grado di fare buoni affari. Questo, tuttavia, è un mito liberista: molti Paesi non democratici sono enormi poli commerciali. I migliori esempi sono i nuovi alleati di Israele nel Golfo; per molti aspetti, l’autoritarismo può servire bene il capitalismo.

Inoltre, lo stesso Israele non può attualmente essere definito una democrazia in quanto tiene milioni di persone sotto controllo militare negando loro i diritti fondamentali. Ma gli investitori non hanno mai dimostrato di avere problemi reali con l’occupazione. L’atteso rallentamento economico, quindi, non sarà una semplice reazione al restringimento dello spazio democratico in Israele ma piuttosto il risultato di una profonda lotta sociale all’interno di Israele che espone il rischio economico allo sguardo degli osservatori esterni.

L’evoluzione del panico negli ultimi mesi è una profezia che si autoavvera. Molti membri dell’élite israeliana sono pronti a combattere, e in testa c’è il settore dell’alta tecnologia. I lavoratori della tecnologia, dai manager e dipendenti agli investitori, sono profondamente coinvolti nelle proteste contro il governo. Parlano di fine della democrazia israeliana e sono disposti a fare di tutto per fermare i piani del governo.

Allo stesso tempo, si stanno salvaguardando dai rischi prendendo in considerazione destinazioni dove migrare o la possibilità di spostare i loro soldi all’estero. Rapporti recenti suggeriscono un esodo di aziende high-tech in Grecia, Cipro o Albania, dove la scorsa settimana 80 aziende tecnologiche israeliane hanno tenuto un incontro per esaminare un possibile trasloco. Ricchi lavoratori high-tech stanno acquistando proprietà in Portogallo, temendo che la riforma vada a buon fine. Questi movimenti interni inviano al sistema finanziario internazionale un messaggio secondo cui la crisi è reale e Israele non costituisce una piazza sicura.

Gli investitori capitalisti non hanno necessariamente bisogno della democrazia. Hanno bisogno di stabilità e prevedibilità, beni che in Israele sono attualmente molto scarsi.

È anche l’occupazione

La prevista revisione giuridica fa parte di un più ampio passaggio al dominio dell’estrema destra nella politica israeliana. Tra le altre cose, la riforma è progettata per legalizzare l’annessione della Cisgiordania e consentire l’ulteriore persecuzione dei cittadini palestinesi, così come degli israeliani di sinistra. Una strategia politica più calcolata per il governo di Netanyahu sarebbe stata quella di raffreddare il più possibile la questione palestinese mentre veniva portato avanti il progetto giuridico. Separando le questioni della democrazia interna” israeliana dalla questione palestinese forse sarebbe stato più facile contrastare il movimento di protesta e la pressione internazionale.

Ma i membri della coalizione di Netanyahu si rifiutano di separare questi temi: stanno chiarendo che la loro preoccupazione principale nel portare avanti la riforma è perseguire i palestinesi in modo più brutale, lamentandosi del fatto che la Corte Suprema renda troppo difficile demolire le case o deportare i palestinesi. La retorica razzista pronunciata ogni giorno dai ministri del governo, l’intensificarsi della violenza di Stato in Cisgiordania che ha ucciso circa 80 palestinesi dall’inizio dell’anno, e il pogrom dei coloni a Huwara elogiato dai ministri del governo sono tutti segnali che questo è un governo di fanatici, determinato a dare fuoco alla regione. Questo, a sua volta, sminuisce la reputazione di Netanyahu come efficace leader neoliberista orientato al business. Non ha il controllo e le forze destabilizzanti su tutti i fronti – economico, sociale e militare – sembrano inarrestabili.

Sembra che le proteste interne e la pressione internazionale siano riuscite a congelare, anche se solo temporaneamente, l’ondata di modifiche nel campo giudiziario. Tuttavia, secondo molti analisti economici, gran parte del danno è già stato fatto. L’instabilità degli ultimi mesi e l’estremismo del governo hanno già spaventato molti investitori qualificando come rischiosa l’economia israeliana. Anche se la riforma è sospesa, Israele è sulla buona strada per una significativa recessione economica.

In pratica, stiamo assistendo alla frattura dell’alleanza egemonica tra il neoliberismo in stile Netanyahu e il capitale israeliano. Per anni, il progetto di neoliberismo isolazionista di Netanyahu si è basato sul fatto che Israele fosse un investimento troppo buono per mancarlo. La potenza economica e strategica di Israele avrebbe dovuto contrastare il consenso internazionale contro gli insediamenti coloniali e a favore di una soluzione a due Stati. Quindi Il capitale globale che ha permesso all’economia israeliana di prosperare è stato un elemento centrale nella lotta diplomatica contro la causa palestinese e per lungo tempo ha avuto successo.

Se l’economia dovesse subire una grave recessione, ciò potrebbe avere ripercussioni sull’apartheid israeliano. Con il conseguente caos sociale ed economico, potremmo assistere alla formazione delle prime crepe nell’impunità di Israele sulla scena mondiale.

Nimrod Flaschenberg è ex consigliere parlamentare del partito Hadash [partito politico israeliano di sinistra, ndt.]. Ora studia storia a Berlino.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Durante i fatti di Hawara l’Autorità Nazionale Palestinese non si è vista da nessuna parte

Amira Hass

2 marzo 2023 –Haaretz

Sebbene le ben addestrate forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese non abbiano trovato un modo per proteggere i loro compatrioti dagli attacchi dei coloni, sono sempre lì quando si tratta di reprimere i loro concittadini.

Le cinque ore durante le quali centinaia di ebrei si sono scatenati senza ostacoli attraverso Hawara, attaccando persone e proprietà e appiccando incendi, sono il risultato di decenni di incoraggiamento alla violenza dei coloni e delle calcolate disattenzione e clemenza da parte dell’esercito israeliano, della polizia, dei pubblici ministeri, dei tribunali e dei successivi governi. Ma quelle cinque ore hanno anche dimostrato ancora una volta quanto l’Autorità Nazionale Palestinese sia compiacente con la divisione artificiale della Cisgiordania nelle aree A, B e C, stabilita dagli Accordi di Oslo – una divisione che doveva essere temporanea e scadere entro il 1999.

Questa è una ragione in più per cui l’opinione pubblica palestinese disprezza e detesta la leadership dell’Autorità palestinese. Sebbene le sue forze di sicurezza, addestrate nei paesi arabi e occidentali, non abbiano trovato un modo per proteggere dagli attacchi dei coloni i loro compatrioti, sono sempre presenti quando si tratta di reprimerli.

L’ “Iniziativa da 14 milioni”, che sta tentando di rivitalizzare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e di indire le elezioni per un consiglio nazionale e un’assemblea legislativa di tutti i palestinesi, aveva programmato un mercoledì una conferenza stampa in diretta dallo studio televisivo Watan. Considerando la parola “elezione” come una minaccia nucleare, le forze di sicurezza dell’ANP hanno assediato l’edificio che ospita lo studio e hanno fatto irruzione negli uffici per impedire la conferenza stampa. Non era la prima volta che accadeva: le forze di sicurezza hanno interrotto un altro degli incontri dell’iniziativa a novembre.

La scorsa settimana le forze di sicurezza palestinesi hanno istituito posti di blocco alle uscite di diverse città della Cisgiordania per impedire agli insegnanti delle scuole statali, in sciopero dal 5 febbraio, di partecipare a una manifestazione unitaria a Ramallah. L’ANP e il sindacato degli insegnanti della scuola pubblica avevano firmato accordi per un modesto aumento salariale del 15% e l’organizzazione di elezioni sindacali libere e democratiche nel maggio 2022. Ciò ha fatto seguito a un’iniziativa guidata da diverse associazioni educative senza scopo di lucro, gruppi di genitori e dalla Commissione indipendente per i diritti umani (un organo quasi governativo). Come era da prevedere non si è mai tenuta un’elezione. All’inizio di febbraio gli insegnanti hanno appreso che, nonostante l’accordo, gli stipendi di gennaio non includevano l’aumento concordato; sono rimasti addirittura all’80% dei normali livelli salariali, come prima. Ciò ha portato allo sciopero, giunto alla sua quarta settimana, a cui hanno aderito 50.000 insegnanti e che ha tenuto a casa un milione di studenti. I leader dello sciopero mantengono un profilo basso per paura di essere arrestati, come è successo con le precedenti proteste degli insegnanti.

Anche se i figli sono a casa, le associazioni dei genitori sostengono le richieste degli insegnanti. La crisi finanziaria è reale: Israele continua a trattenere ogni anno centinaia di milioni di shekel [1 shekel = 0,26 €] dell’ANP, equivalenti alle indennità che l’ANP paga alle famiglie dei prigionieri detenuti da Israele, ma l’opinione pubblica non crede che non ci siano soldi per stipendi decenti agli insegnanti.

Quindi il messaggio dell’ANP è chiaro: continua a rispettare i suoi accordi con Israele (compreso il coordinamento per la sicurezza), ma non quello con gli insegnanti, uno dei settori più importanti per garantire il benessere comune.

Hawara (e la strada congestionata che la attraversa) è stata classificata più di 25 anni fa come area B [cioè sotto controllo amministrativo palestinese ma israeliano per la sicurezza, ndt.], nella quale ai poliziotti palestinesi è vietato operare e sostarvi armati o in divisa. L’esercito pesantemente armato e la polizia di frontiera, tuttavia, sono una presenza costante vicino a garage e minimarket, stazioni di servizio e bancarelle di falafel. Tutti sanno chi sono stati mandati a proteggere. Le colonie della zona sono note per la loro violenza: Yitzhar e i suoi avamposti, che spuntano febbrilmente come funghi dopo la pioggia; Itamar e i suoi avamposti in espansione; l’avamposto di Givat Ronen, vicino alla colonia di Har Bracha.

I villaggi palestinesi di Burin, Madama, Einabus, Urif, Aqraba, Beita, Yanun e altri vivono da diversi decenni sotto la minaccia del terrore rappresentato da questi intrusi. Alberi abbattuti, raccolti di olive rubati, incendi dolosi, colpi di arma da fuoco contro i contadini, palestinesi aggrediti nelle loro case, sorgenti del villaggio sfruttate [a favore dei coloni, ndt.]: questi non sono atti di “vendetta” compiuti dopo un attacco agli ebrei. Costituiscono un piano calcolato per impossessarsi di più terra palestinese attraverso la violenza e l’intimidazione. Tutto, sia allora che adesso, è stato ed è fatto sotto gli auspici del monopolio esercitato dall’IDF [esercito israeliano, ndt.] sulla sicurezza.

Ovviamente nessuna agenzia di sicurezza palestinese ha tentato di sfidare questa situazione al fine di proteggere gli abitanti dai loro assalitori recidivi. Invece di ringraziare l’Autorità Nazionale Palestinese per la sua obbedienza e lealtà, il governo Netanyahu-Smotrich-Ben-Gvir la incolpa per ogni morto israeliano in un’area sotto il pieno controllo israeliano, vale a dire l’intera Cisgiordania e Israele vero e proprio. Allo stesso tempo, Israele chiede all’ANP di controllare i giovani palestinesi disperati e senza addestramento militare che si sono armati in Cisgiordania. Non c’è da meravigliarsi che il pubblico palestinese ami e ammiri quei giovani uomini armati, anche se non sono capaci, addestrati o preparati a proteggerlo fisicamente dagli attacchi dei coloni o a sventare il furto delle loro terre.

La notte in cui gli ebrei imperversavano ad Hawara, molti dei suoi abitanti che si trovavano fuori città non potevano tornare a casa. Attraverso i social media gli abitanti di Nablus hanno offerto loro ospitalità. A questo si è aggiunto l’apparato di sicurezza nazionale palestinese, che ha aperto loro il suo quartier generale. Le reazioni sono state taglienti, ha detto ad Haaretz un abitante di Nablus. “Cosa siete, un ente di beneficenza?” hanno chiesto con sarcasmo le persone infuriate.

L’esperienza ci insegna che i soldati dell’IDF e i poliziotti di frontiera avrebbero sparato e persino ucciso qualsiasi palestinese avesse cercato di opporsi agli aggressori e difendere la propria famiglia, i vicini o la proprietà con una pistola, un bastone o un coltello. Oppure potrebbe essere stato arrestato e condannato in un tribunale militare prima di essere condannato a molti anni di prigione per possesso di un’arma illegale, aver sparato e messo in pericolo vite ebraiche.

Anche se i poliziotti dell’Autorità Nazionale Palestinese fossero potuti arrivare rapidamente ad Hawara per proteggere i loro connazionali dagli assalitori ebrei, l’esercito li avrebbe bloccati o addirittura uccisi o imprigionati e i giudici militari li avrebbero condannati a lunghe pene detentive senza ascoltare le spiegazioni dei loro avvocati. Qualsiasi tentativo locale di organizzare una difesa usando le armi sarebbe finito in uno spargimento di sangue, soprattutto da parte palestinese, e con un’escalation incontrollabile. È comprensibile, quindi, perché un tale intervento sia ancora oggi improbabile.

Ma al di là delle dichiarazioni, delle condanne e delle richieste che le Nazioni Unite forniscano protezione internazionale, per anni alti funzionari palestinesi si sono astenuti, come risposta alla violenza dei coloni, dall’alzare la testa, revocare un accordo, o stabilire condizioni chiare e ben definite per continuare il coordinamento della sicurezza con Israele.

Invece di inviare le sue forze di sicurezza ad impedire conferenze stampa e manifestazioni che invocano la democratizzazione, e di spiare la propria gente, l’Autorità Nazionale Palestinese avrebbe potuto dislocare permanentemente queste forze – disarmate e in borghese, ma addestrate al controllo antisommossa – nei villaggi frequentemente attaccati dai coloni. Avrebbe potuto informare Israele che lo stava facendo perché l’esercito e la polizia israeliani non stanno adempiendo ai loro doveri come dettato dal diritto internazionale e persino dagli Accordi di Oslo. Avrebbe potuto inviare i suoi comandanti di grado più alto in tournée regolari in questi villaggi, per partecipare all’aratura e alla raccolta delle olive, pascolare le pecore con gli abitanti del villaggio, mentre spiegava agli ufficiali israeliani di non essere disponibile per riunioni di coordinamento con l’IDF, lo Shin Bet e l’Amministrazione Civile, poiché era impegnata a proteggere la sua gente.

La conclusione ovvia è che le agenzie di sicurezza palestinesi e il loro comandante supremo Mahmoud Abbas considerano sacro non solo il coordinamento per la sicurezza con Israele, ma anche i confini dei Bantustan creati dalle divisioni temporanee e permanenti nelle aree A, B e C. Ecco come possono essere garantiti i ristretti interessi personali ed economici del gruppo dirigente, così slegato dal suo popolo.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Netanyahu e i funzionari israeliani negano il congelamento degli insediamenti dopo il vertice di Aqaba

Redazione di MEE

27 febbraio 2023 MiddleEastEye

La smentita arriva dopo che in una dichiarazione congiunta Israele aveva affermato di accettare di “interrompere il dibattito su qualsiasi nuova unità di insediamento” per quattro mesi

Poche ore dopo l’incontro tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese conclusosi con una dichiarazione congiunta che delineava l’impegno israeliano a sospendere le discussioni sui nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la costruzione degli insediamenti israeliani proseguirà.

Le note apparentemente contraddittorie hanno portato a confusione, visto che anche un certo numero di funzionari israeliani si è affrettato a negare il congelamento della costruzione di insediamenti in Cisgiordania.

All’incontro, che si è svolto domenica nella città giordana di Aqaba, sul Mar Rosso, hanno partecipato anche Egitto e Stati Uniti.

Secondo un comunicato congiunto rilasciato domenica dal Dipartimento di Stato americano, Israele si è impegnato a “interrompere la discussione su qualsiasi nuova unità di insediamento per quattro mesi e a bloccare l’autorizzazione di qualsiasi avamposto per sei mesi”.

Poco dopo la pubblicazione del comunicato, Netanyahu ha twittato che “non ci sarà alcun congelamento” nella costruzione degli insediamenti.

Secondo il diritto internazionale, gli insediamenti costruiti nei territori occupati sono illegali.

Molti ministri importanti di Israele hanno concordato, affermando che non vi è alcun impegno a congelare la costruzione di nuove unità di insediamento.

Il consulente del Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano Tzachi Hanegbi ha affermato che il governo israeliano non ritirerà la sua decisione di legalizzare nove avamposti in Cisgiordania e di costruire 9.500 ulteriori unità abitative nella Cisgiordania occupata.

“Contrariamente ai rapporti e ai tweet sull’incontro in Giordania, non vi è alcun cambiamento nella politica israeliana”, ha detto Hanegbi.

Il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato su Twitter di non avere “la più pallida idea di che cosa si sia detto o non detto in Giordania”, aggiungendo che non ci sarebbe stato alcun congelamento degli insediamenti, “nemmeno per un giorno”.

Fonti a conoscenza dei colloqui hanno detto ad Haaretz che l’impegno a non discutere la costruzione di nuovi insediamenti per quattro mesi non costituisce una vera concessione, dato che il processo di pianificazione richiederà diversi mesi prima che possano essere approvate nuove ulteriori unità abitative.

In risposta alle dichiarazioni di Netanyahu e di altri ministri israeliani, lunedì il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto ai giornalisti: “Pensiamo che la dichiarazione parli da sola. Proprio come ci aspettiamo che i palestinesi mantengano i loro impegni, ci aspettiamo che gli israeliani facciano lo stesso”.

Nessuna pressione dagli Stati Uniti

Zaha Hassan, avvocato per i diritti umani e membro del Carnegie Endowment for International Peace [Fondo Carnegie per la Pace Internazionale, think tank apartitico con sede a Washington, ndt.] ha affermato che l’incontro è stato un altro segno che gli Stati Uniti non sono disposti a usare la loro influenza per spingere Israele al rispetto del diritto internazionale.

“Tenere riunioni ad Aqaba o Sharm El Sheikh rappresenta una grande photo opportunity, ma è tutto ciò che può esserci se gli Stati Uniti non mettono in campo il loro potere per raffreddare la situazione”.

Hassan afferma che gli Stati Uniti hanno chiarito che i legami bilaterali di Washington con Israele sono di fondamentale importanza, e che il presidente Joe Biden ha “considerato oltraggioso” suggerire di mettere condizioni agli aiuti militari al Paese.

Ha aggiunto: “Dire a Israele che gli aiuti e la copertura politica non saranno mai ritirati o sospesi è esattamente il motivo per cui i funzionari israeliani si sentono incoraggiati ad andare avanti con l’annessione della Cisgiordania”.

“È anche il motivo per cui i membri della Knesset israeliana si sentono liberi di parlare a sostegno dei coloni israeliani che attaccano e danno fuoco ai villaggi palestinesi”.

Domenica dei coloni israeliani con la protezione dei militari israeliani hanno dato fuoco a decine di case e auto palestinesi nella città di Huwwara, vicino alla città di Nablus nella Cisgiordania occupata. L’attacco è avvenuto dopo che un palestinese armato ha sparato uccidendo due coloni israeliani che attraversavano la città palestinese.

L’attacco alla città è stato appoggiato dai funzionari israeliani, tra cui Smotrich che ha chiesto di “colpire senza pietà le città del terrore e i suoi istigatori con carri armati ed elicotteri”.

Almeno 62 palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani quest’anno, al ritmo di più di un decesso al giorno.

Ciò fa seguito a un forte aumento della violenza nel 2022, quando almeno 167 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme Est, il più alto numero di vittime in quei territori in un solo anno dalla Seconda Intifada.

Mentre i colloqui di Aqaba sono stati descritti come “un grande progresso” dal comunicato congiunto, il vertice è stato condannato da un certo numero di fazioni palestinesi.

Suhail al-Hindi, membro di spicco del movimento Hamas, ha affermato che l’incontro di Aqaba “mira a mettere in ginocchio il popolo palestinese”, mentre Maher Mezher, membro del gruppo di sinistra Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), ha affermato che al vertice il popolo palestinese non era rappresentato.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite esprime “sconcerto” per le colonie israeliane

Redazione Al Jazeera

20 febbraio 2023-Al Jazeera

La dichiarazione annacquata sostituisce la bozza di risoluzione che avrebbe condannato esplicitamente l’insediamento di colonie di Israele.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) ha espresso “profonda preoccupazione e sconcerto” per l’insediamento di colonie di Israele in una dichiarazione annacquata che sostituisce una bozza di risoluzione che avrebbe condannato esplicitamente le politiche israeliane.

La dichiarazione presidenziale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – approvata lunedì da tutti i 15 membri del consiglio, compresi gli Stati Uniti – ha anche sottolineato quello che ha definito “l’obbligo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di rinunciare al terrorismo e combatterlo”.

“Il Consiglio di sicurezza ribadisce che le continue attività di insediamento israeliano stanno pericolosamente mettendo a rischio la fattibilità della soluzione dei due stati basata sui confini del 1967”, ha affermato il consiglio.

Il provvedimento simbolico è arrivato in risposta a una decisione del governo israeliano all’inizio di questo mese di autorizzare migliaia di unità abitative nella Cisgiordania occupata e di legalizzare retroattivamente gli avamposti delle colonie costruiti illegalmente [anche secondo la legge israeliana, ndt.].

L’inviato palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha dichiarato lunedì ai giornalisti: “Siamo molto felici che ci sia stato un messaggio unitario molto forte da parte del Consiglio di sicurezza contro la decisione [di Israele] illegale e unilaterale”.

Ma secondo diversi organi di stampa statunitensi e israeliani, che citano fonti diplomatiche, l’ANP avrebbe accettato di abbandonare la sua ricerca del voto [su una vera e propria risoluzione dell’UNSC] per le pressioni del governo degli Stati Uniti, compresa la promessa di un pacchetto di aiuti finanziari.

Come parte dell’accordo le fonti hanno affermato che Israele sospenderà temporaneamente gli annunci di nuove unità di colonie e demolizioni di case palestinesi.

L’agenzia di stampa Reuters ha dichiarato lunedì che gli Emirati Arabi Uniti (EAU), che avevano redatto la risoluzione insieme ai funzionari dell’ANP, avrebbero informato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che la risoluzione e il voto sarebbero stati ritirati.

La risoluzione avrebbe chiesto a Israele di “cessare immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nei territori palestinesi occupati”.

Israele ha conquistato la Cisgiordania, comprese Gerusalemme Est e Gaza, nel 1967. Da allora ha costruito insediamenti che ospitano centinaia di migliaia di israeliani nelle terre occupate che i palestinesi rivendicano come parte del loro futuro stato.

Il diritto internazionale vieta esplicitamente alle potenze occupanti di trasferire la loro popolazione civile nei territori occupati. Un esperto delle Nazioni Unite ha in passato definito le colonie israeliane un “crimine di guerra”.

La dichiarazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di lunedì ha invitato tutte le parti a “osservare la calma e la moderazione e ad astenersi da azioni provocatorie, incitamento e retorica incendiari”.

Ha inoltre sollecitato “il pieno rispetto del diritto umanitario internazionale, compresa la protezione della popolazione civile”.

“Il Consiglio di sicurezza riafferma il diritto di tutti gli Stati a vivere in pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti a livello internazionale e sottolinea che sia il popolo israeliano che quello palestinese hanno diritto in egual misura a libertà, sicurezza, prosperità, giustizia e dignità”, continua la dicharazione, facendo eco al linguaggio che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i suoi principali collaboratori utilizzano regolarmente.

Israele ha respinto la dichiarazione come “unilaterale”, criticando specificamente Washington per averla appoggiata.

L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato: “La dichiarazione non avrebbe mai dovuto essere fatta e gli Stati Uniti non avrebbero mai dovuto aderirvi”.

Louis Charbonneau, direttore della delegazione presso le Nazioni Unite di Human Rights Watch, ha affermato che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe condannare chiaramente le colonie.

Ha scritto Charbonneau in un tweet: “Sebbene sia utile che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite critichi le violazioni dei diritti umani di Israele contro i palestinesi, la dichiarazione di oggi, attenuata sotto pressione degli Stati Uniti e di Israele, è ben lontana dalla condanna a tutto campo che la grave situazione merita”.

Lunedì, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’inviata statunitense Linda Thomas-Greenfield ha espresso senza ambiguità l’opposizione degli Stati Uniti all’attività di colonie di Israele, ma non ha condannato la politica israeliana.

Rispetto all’annuncio di Israele sulle colonie ha affermato: “Queste misure unilaterali esasperano le tensioni e danneggiano la fiducia tra le parti”. “Essi minano le prospettive di una soluzione negoziata a due Stati. Gli Stati Uniti non sostengono queste azioni, punto e basta”.

Nella sua dichiarazione al Consiglio lunedì, Mansour, l’inviato palestinese, ha avvertito che la situazione potrebbe presto “raggiungere un punto di non ritorno”.

Ha affermato “Ogni azione che intraprendiamo ora conta. Ogni parola che pronunciamo conta. Ogni decisione che rimandiamo conta”.

Israele, accusato di imporre un sistema di apartheid dalle principali organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, riceve annualmente almeno 3,8 miliardi di dollari di aiuti statunitensi.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Facciamo chiarezza: Israele estende la facoltà di privare i palestinesi di cittadinanza e residenza

Adalah

 20 febbraio 2023 – +972 Magazine

Una nuova legge, approvata da una schiacciante maggioranza della Knesset, fa parte di un processo in corso di consolidamento di sistemi giuridici diversi per ebrei e palestinesi.

Il 15 febbraio la Knesset ha approvato un nuovo disegno di legge intitolato “Legge per la revoca della cittadinanza o dello stato di residenza a un terrorista che riceva fondi per aver commesso un atto di terrorismo, 2023”.

Secondo la legge, approvata con una netta maggioranza di 94 membri della Knesset sia della coalizione di governo che del blocco di opposizione e solo 10 voti contrari, il ministero dell’Interno israeliano sarà autorizzato a revocare la cittadinanza o la residenza a una persona se condannata o detenuta per aver commesso un’ ” azione terroristica”, a condizione che abbia percepito fondi, o che qualcun altro li abbia percepiti per suo conto, dall’Autorità Palestinese (AP). La legge consente inoltre l’espulsione di queste persone nella Cisgiordania occupata o nella Striscia di Gaza se soddisfano i criteri di cui sopra.

Nello stesso giorno il plenum della Knesset ha approvato in lettura preliminare un altro disegno di legge volto a deportare le famiglie dei “terroristi”, che il Comitato giuridico ministeriale aveva promosso all’inizio di quella settimana. È difficile stabilire se questo disegno di legge, a cui il procuratore generale si è opposto, possa andare avanti o meno; tuttavia, proprio come per l’altra legge, hanno votato a favore parlamentari sia della coalizione di governo che dell’opposizione.

È impossibile negare la portata delle violazioni di diritti fondamentali contenuti nella nuova legge, in particolare quelli dei cittadini palestinesi di Israele e dei residenti palestinesi di Gerusalemme est. Il diritto alla cittadinanza è noto come “diritto ad avere diritti”, da cui derivano i diritti civili più basilari.

La negazione di questo diritto fondamentale è una misura gravissima e renderà apolidi le persone, in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite del 1961 sulla riduzione dell’apolidia. La revoca della residenza dei palestinesi a Gerusalemme Est contravviene anche alla Quarta Convenzione di Ginevra in quanto, secondo il diritto internazionale, Gerusalemme Est è un territorio occupato che è stato annesso illegalmente da Israele.

Oltre a queste violazioni la nuova legge amplia enormemente i motivi in base ai quali si potrà usare la misura. Ciò costituirà una punizione addizionale oltre a ogni condanna che un individuo riceverà dal sistema legale penale israeliano, costituendo quindi una doppia punizione che contravviene ai principi più basilari dello stato di diritto, inclusa la finalità dei procedimenti giudiziari.

Israele ha già un meccanismo legale che in sé è problematico e che è stato recentemente confermato dalla Corte Suprema, per cui lo Stato può revocare la cittadinanza dei palestinesi in Israele così come meccanismi legali aggiuntivi per revocare la residenza dei palestinesi di Gerusalemme est. Ma si pensa che la nuova legge approvata la scorsa settimana amplierà in modo significativo l’ambito di tali meccanismi e nel far ciò consoliderà ulteriormente due sistemi legali separati per ebrei e palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde  [il confine tra Israele e Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967, ndtr.] .

Qual è stato finora il metodo di revoca della cittadinanza e residenza secondo la legge israeliana?

Secondo l’emendamento alla legge sulla cittadinanza del 2008 il ministero degli Interni israeliano è autorizzato, su raccomandazione del Procuratore Generale e con l’approvazione di un tribunale distrettuale, a revocare la cittadinanza a individui che abbiano commesso un atto che costituisce “una violazione della lealtà verso lo Stato di Israele.”

Questo emendamento era stato esaminato dalla Corte Suprema per la prima volta con una sentenza emanata nel luglio 2022 nel caso di Alaa Zayoud, in cui si concludeva che l’emendamento soddisfa i principi costituzionali israeliani anche se la revoca comporta apolidia di qualcuno, sempre che il ministero degli Interni gli conceda la residenza permanente in Israele. Sebbene lo Stato alla fine di quel caso non abbia privato Zayoud della cittadinanza, la sentenza della corte ha affermato e legittimato la disposizione razzista della legge che viola gravemente i diritti umani e contravviene al diritto internazionale, basandosi solo su norme giuridiche israeliane.

Un emendamento del 2018 alla Legge sull’ingresso in Israele ha portato a una disposizione simile riguardo alla revoca della residenza ai palestinesi di Gerusalemme est, dopo che la Corte Suprema aveva accettato un ricorso da parte di membri del Consiglio Legislativo palestinese, il parlamento dell’Autorità Palestinese a cui i permessi di residenza erano stati negati; piuttosto che emanare una decisione finale sul caso, la corte diede alla Knesset l’opportunità di creare una nuova legislazione che avrebbe soddisfatto i criteri costituzionali. La Knesset ha quindi approvato una legge che deve essere ancora rivista dalla Corte Suprema, ma che è già in vigore e che permette al ministero degli Interni di revocare la residenza di una persona dopo essersi consultato con un comitato creato dal ministero.

Ci sono ulteriori strade che consentono a Israele di revocare la residenza ai palestinesi di Gerusalemme est. Nel 1988 una commissione di giudici della Corte Suprema, presieduta da Aharon Barak, confermò la revoca della residenza di Mubarak Awad, un accademico e fondatore del Centro Palestinese per lo Studio della Nonviolenza, sulla base del fatto che aveva spostato il “centro della sua vita” lontano da Gerusalemme. Sulla scia di questa sentenza seguirono molte centinaia di casi simili.

Cosa costituisce “terrorismo” o altri reati che potrebbero essere motivo di revoca? 

Sia la Legge sulla Cittadinanza che la Legge sull’ingresso in Israele contengono tipologie di reati che costituiscono una “violazione della lealtà,” e una condanna per queste tipologie offre al ministero degli Interni la possibilità di approvare la revoca di cittadinanza o residenza. La prima è commettere un “atto di terrorismo,” come definito dalla Legge sul Controterrorismo del 2016; istigare o aiutare un tale atto; avere un ruolo attivo in un’organizzazione “terroristica” o in una organizzazione definita “terroristica”. La seconda categoria si riferisce ad atti che costituiscano “tradimento” o “spionaggio grave” ai sensi del codice penale. In casi di revoca della cittadinanza c’è anche una terza categoria: acquisire la cittadinanza di uno “Stato nemico” (la lista degli “Stati nemici” è la stessa usata per proibire la riunificazione familiare per i palestinesi).

L’uso frequente del termine “terrorista” nel contesto israeliano, sia nella revoca di cittadinanza e residenza che nel contesto di misure punitive aggiuntive contro i palestinesi, richiede ulteriori spiegazioni di come la legge israeliana definisca un “atto di terrorismo.” Non c’è una lista precisa di reati che sono definiti come inclusi nell’ambito della Legge sul controterrorismo, ma piuttosto una sorta di filtro che etichetta certi reati come “terrorismo” se soddisfano una combinazione di criteri: avere un motivo e commettere o minacciare di commettere un atto. Secondo questi criteri molto ampi un atto come lanciare pietre a una manifestazione può essere considerato “terrorismo.”

Considerare “atto terroristico” un reato, espone le persone accusate a trattamenti più severi nel processo giudiziario e nella pena e può anche essere applicato retroattivamente a precedenti condanne penali. Dopo l’emanazione della Legge sul controterrorismo Adalah [ong israeliana che difende i diritti dei palestinesi con cittadinanza israeliana, ndt.] ha messo in guardia che la definizione di “atto di terrorismo” previsto dalla legge era troppo ampia e vaga. Il documento sostiene che in base a questa definizione la Legge sul controterrorismo potrebbe includere atti commessi da palestinesi durante proteste politiche legittime, contro l’occupazione, la discriminazione, il razzismo, lo spossessamento e l’oppressione che affrontano.

Ci sono parecchi segnali che questa definizione è stata ideata per applicare sanzioni discriminatorie contro i palestinesi. Per esempio dati ufficiali del pubblico ministero relativi agli eventi del maggio 2021 confermano che la proporzione di imputati palestinesi accusati di aver commesso un “atto di terrorismo” era significativamente più elevata di quella degli imputati ebrei in circostanze simili.

Inoltre la clausola di revoca nella Legge sulla Cittadinanza chiaramente prende di mira i palestinesi. Come parte del procedimento nel caso di Zayoud il ministero dell’interno aveva passato dati alla Corte Suprema che mostravano che, dei 31 casi in cui lo Stato aveva preso in considerazione la revoca della cittadinanza, nessuno di essi riguardava un cittadino ebreo. Nonostante ciò, il presidente della Corte Suprema, Esther Hayut, dichiarò nella sentenza che, dato che solo tre richieste di revoca della cittadinanza erano state sottoposte dal ministero degli Interni all’approvazione della corte, non c’erano motivi sufficienti per provare la discriminazione.

Come la nuova legge cambia l’attuale quadro giuridico?

La legge approvata la scorsa settimana aggiungerà un ulteriore meccanismo per la revoca della cittadinanza e della residenza oltre a consentire l’espulsione in Cisgiordania o a Gaza. Con il nuovo meccanismo le persone che potranno essere soggette alla revoca includeranno individui condannati e incarcerati per aver commesso un atto di “terrorismo” o un atto di “tradimento,” e, ove sia “comprovato in modo soddisfacente per il ministero dell’Interno”, quanti vengano accusati di aver ricevuto fondi dall’Autorità Palestinese “per violare la lealtà [allo Stato di Israele, ndt.]”.

La legge include anche il presupopsto che chiunque riceva pagamenti dall’ANP non sia da considerare apolide perché avrebbe uno status nell’ANP. Questo è un chiaro tentativo di aggirare gli obblighi imposti dalla Corte Suprema sul ministero degli Interni nella sentenza Zayoud per assicurare che la persona la cui cittadinanza sia revocata mantenga uno status permanente in modo da non renderla apolide.

La legge inoltre non prevederà l’approvazione del procuratore generale, ma piuttosto quella del ministero della Giustizia e richiederà che la corte risponda entro 30 giorni alla richiesta del ministero dell’Interno per la revoca, a meno che la corte sia convinta che la richiesta sia ingiustificata. Nei casi in cui la residenza permanente sia revocata, l’individuo avrà solo sette giorni di tempo per opporsi alla condanna. Secondo la legge coloro che hanno seguito la procedura descritta saranno deportati quando la loro condanna al carcere sarà scontata.

Perché questa legge è razzista?

Questi reati di “violazione della lealtà” sono basati sulla definizione di un “atto di terrorismo” che in se stesso è un modo di prendere di mira in modo differenziato i palestinesi. Le condizioni che devono essere soddisfatte per dare come risultato l’espulsione sono dirette in modo evidente contro i palestinesi in virtù del requisito che abbiano ricevuto fondi specificatamente dall’AP.

I sostenitori della legge hanno dichiarato che essa intende impedire ai palestinesi condannati di un atto di terrorismo o ai membri delle loro famiglie di essere “ricompensati” per il loro atto. Tuttavia, ai sensi della legge esistente, il ministero della Difesa ha già la possibilità, che è frequentemente utilizzata, di confiscare tali fondi trasferiti dall’ANP, quindi è difficile non concludere che le disposizioni di questa legge vogliono ottenere uno scopo diverso.

Solo recentemente un’inchiesta ha rivelato la rete di raccolta fondi di un’organizzazione israeliana che sostiene finanziariamente gli assassini dell’ex primo ministro Yitzhak Rabin, della famiglia Dawabshe, di Shira Banki e altri ebrei condannati per crimini nazionalisti (l’organizzazione, inizialmente registrata con il nome Hanamel Dorfman, attuale capo del personale del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir,). Questi prigionieri ebrei-israeliani e altri come loro non saranno colpiti dalle condanne imposte dalla nuova legge.

Distinzioni razziste di questo tipo sono già state sostenute in una sentenza del giudice Noam Sohlberg in risposta a un ricorso riguardante la demolizione della casa di cinque palestinesi. Sohlberg ha respinto le affermazioni secondo cui sarebbe stata applicata una politica discriminatoria e ha sostenuto che le ragioni per cui le case degli ebrei che hanno ucciso palestinesi non sarebbero state distrutte “è perché nel settore ebraico non c’è la stessa necessità di deterrenza generale che è la base delle demolizioni delle case.” Circa le uccisioni della famiglia Dawabshe e di Muhammed Abu Khdeir il giudice ha sostenuto che quando esse sono avvenute c’è stata una “potente e decisiva condanna da parte degli ebrei che non c’è dalla parte opposta (palestinese).”

Nelle prime discussioni dei comitati della Knesset lo scopo della legge appena approvata è stato apertamente dichiarato. Per esempio, il parlamentare del Likud Hanoch Milwidsky ha detto: “Non penso di dovermi giustificare sul fatto di essere nello Stato degli ebrei che preferiscono gli ebrei” e ha ulteriormente chiarito cosa intendesse dire nella risposta ad Ahmad Tibi, parlamentare di Ta’al [“Movimento arabo per il rinnovamento”, uno dei componenti della Lista Unita, ndtr.]: “Io preferisco i killer ebrei ai killer arabi.”

Durante la stessa discussione, Limor Son Har-Melech, parlamentare di Otzma Yehudit [Potere Ebraico, partito di estrema destra, N.d.T.] che era fra i promotori della legge, ha criticato persino l’idea che ricevere denaro dall’ANP sarebbe una condizione per l’espulsione. Secondo lei la cittadinanza dovrebbe essere revocata “a ogni terrorista che uccide un ebreo perché è un ebreo,” aggiungendo che la condanna appropriata per un tale delitto dovrebbe essere la condanna a morte.

L’accordo di coalizione di Otzma Yehudit con il Likud include una legge per la pena di morte ai “terroristi,” anch’essa intesa a colpire esclusivamente i palestinesi: l’accordo chiarisce che sarà applicata solo agli “atti di terrorismo mirati a danneggiare lo Stato di Israele come Stato del popolo ebraico.”

Conclusioni

La nuova legge dovrebbe essere vista come nient’altro che parte di un processo in corso per rafforzare sistemi legali separati per ebrei e palestinesi sotto il controllo israeliano. Questa tendenza è stata ulteriormente evidenziata dai principi guida dell’attuale governo e dall’accordo di coalizione firmato in occasione del suo insediamento, che include una lunga lista di misure aggiuntive per espandere ulteriormente sistemi separati di applicazione delle leggi ed esecuzione delle pene.

In uno studio pubblicato da Adalah che analizza i documenti fondanti della coalizione è chiaro che questi documenti vedono la supremazia ebraica e la separazione razziale come principi fondamentali del regime israeliano. Queste caratteristiche dell’apartheid sono chiaramene visibili nella nuova legge sulla revoca [della cittadinanza o della residenza, ndt.].

Uno degli iniziatori della legge, Yinon Azoulai, parlamentare di Shas [partito politico di ebrei ortodossi ashkenaziti, ndt.] spiegando il suo scopo ha detto alla Knesset: “Che tutti quelli che si ribellano contro di noi capiscano questo: in questo Stato noi, gli ebrei, siamo i signori della terra.” E, come ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu all’inizio di un incontro governativo la scorsa settimana, la nuova legge serve “ad affondare più profondamente le nostre radici nella nostra terra.” Ma è importante ricordare che il sostegno a questa legge, come a molte altre leggi razziste, in Israele arriva da ogni fazione sionista della Knesset, sia dalla coalizione di governo che dall’opposizione.

Adalah – Il centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele è un’organizzazione indipendente per i diritti umani e un centro legale. Adalah lavora nei tribunali israeliani e presso gli organi decisionali internazionali per promuovere e difendere i diritti umani di tutti i palestinesi sottoposti alla giurisdizione dello Stato di Israele.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele sta per adottare provvedimenti punitivi contro i palestinesi in seguito agli attacchi mortali a Gerusalemme

Bethan McKernan da Gerusalemme

29 gennaio 2023 – The Guardian

Il primo ministro Benjamin Netanyahu annuncia misure dopo gli attacchi più gravi [negli ultimi] anni.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato una serie di misure punitive contro i palestinesi in seguito all’attacco terroristico più grave a Gerusalemme da anni, nel corso del quale un aggressore armato ha ucciso sette persone davanti a una sinagoga.

In una dichiarazione rilasciata domenica dopo l’incontro settimanale del governo, l’ufficio di Netanyahu ha comunicato che l’agenzia di sicurezza israeliana valuterà “misure di deterrenza addizionali riguardanti le famiglie dei terroristi che esprimano sostegno al terrorismo”, inclusa la revoca del diritto di residenza a Gerusalemme e della cittadinanza israeliana e norme che permetteranno ai datori di lavoro il licenziamento immediato, senza bisogno di un procedimento giudiziario, dei dipendenti che hanno “sostenuto il terrorismo”.

Altri provvedimenti illustrati dal governo includono la privazione per i famigliari degli assalitori di sicurezza sociale e prestazioni sanitarie, modifiche delle norme per facilitare la demolizione delle case dei palestinesi che compiono attacchi terroristici e il “rafforzamento delle colonie” nella Cisgiordania occupata, su cui non sono forniti ulteriori dettagli.

Tutte le misure sono illegali ai sensi del diritto internazionale e probabilmente contribuiranno ad alimentare le tensioni fra la popolazione palestinese e con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che controlla parti della Cisgiordania occupata, in un momento in cui la regione è già pericolosamente vicina all’escalation sul campo.

Lo scontro a fuoco di venerdì nel quartiere [in realtà una colonia, ndt.] di Neve Yaakov, nella Gerusalemme Est occupata, costata la vita a sette persone, mentre tre sono rimaste ferite, ha fatto seguito al più grave raid dell’esercito israeliano in Cisgiordania da decenni. L’attacco insolitamente feroce contro combattenti nel campo profughi di Jenin ha causato la morte di nove palestinesi, inclusi due civili, e scatenato un’ondata di violente rappresaglie all’alba di venerdì con lo scambio di razzi fra la Striscia di Gaza, controllata dagli islamisti, e Israele.

Dopo l’attacco della sinagoga sono stati riportati parecchi altri incidenti, fra cui l’attacco con armi da fuoco in cui sono state ferite due persone vicino alla Città Vecchia di Gerusalemme da parte di un tredicenne palestinese, il ricovero in ospedale di quattro palestinesi aggrediti da un colono israeliano vicino a Nablus e la sparatoria di sabato in un ristorante di coloni vicino a Gerico senza vittime, ma in cui l’assalitore è stato ucciso.

Domenica è stato ucciso un palestinese armato che si stava avvicinando a una colonia nell’area di Nablus, mentre case e auto sono state danneggiate e incendiate in vari villaggi palestinesi vicino a Ramallah.

Il primo ministro ha anche annunciato che la sua amministrazione varerà norme per semplificare l’iter per ottenere il porto d’armi per i cittadini israeliani, spiegando che la misura ridurrà la violenza perché “abbiamo visto più e più volte… che civili eroici, armati e addestrati salvano vite”.

Netanyahu ha dichiarato che Israele non cerca l’escalation, ma che fornirà una risposta “potente, rapida e precisa” all’attacco di venerdì a Gerusalemme. In previsione di altri attacchi da emulazione e price tag [attacchi di ritorsione contro palestinesi ad opera di gruppi di coloni, ndt.] nella città contesa e in Cisgiordania sono stati impiegati battaglioni aggiuntivi dell’esercito.

Sabato il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas ha incolpato Israele del picco di violenze. In seguito al raid a Jenin l’ANP ha dichiarato che sospenderà la cooperazione per la sicurezza con Israele, una decisione presa anche in passato con scarso successo.

Domenica all’alba la polizia israeliana ha messo i sigilli e si appresta a demolire la casa della famiglia dell’aggressore alla sinagoga ucciso mentre fuggiva dalla luogo dell’attacco. Si crede che Alqam Khayri, 21 anni, abbia agito da solo; anche se gruppi di militanti palestinesi hanno elogiato la sua azione, nessuno ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Un totale di 42 persone, tra cui suoi famigliari, sono stati arrestate in relazione all’episodio.

Membri del parlamento israeliano minacciano una raffica di provvedimenti che costituiscono una punizione collettiva contro persone innocenti solo perché sono collegate all’uomo che ha commesso un attacco mortale,” ha detto in una dichiarazione HaMoked, un’associazione israeliana no profit che si occupa principalmente dei diritti legali dei palestinesi.

[La legge israeliana] permette di demolire o mettere i sigilli a una casa. Tuttavia l’esercito deve notificarlo in anticipo alla famiglia, permettendo loro di presentare ricorso e, se respinto, di fare appello all’Alta Corte di Giustizia. Nulla di tutto ciò è stato fatto in questo caso.”

La sparatoria alla sinagoga di venerdì è la prima prova per la neoeletta coalizione governativa di estrema destra di Netanyahu, la cui campagna elettorale si è basata sulla promessa di rendere Israele più sicuro dopo la serie di attacchi palestinesi con coltelli e pistole la scorsa primavera. Elementi del nuovo governo hanno anche promesso di annettere la Cisgiordania ed estendere il controllo ebraico sul complesso sacro del Monte del Tempio [la Spianata delle Moschee per i musulmani, ndt.] a Gerusalemme, spesso un focolaio di violenze.

Lunedì Netanyahu riceverà Antony Blinken, Segretario di Stato USA, una visita a Gerusalemme pianificata da tempo, ma che ora sarà dominata dagli sforzi per disinnescare l’infiammabile situazione di sicurezza.

Ci si aspetta che i colloqui tratteranno anche dell’Iran, della posizione di Israele sulla guerra in Ucraina, dello stallo del processo di pace con i palestinesi e delle preoccupazioni internazionali per i piani del governo israeliano per minare i poteri della Corte Suprema del Paese.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)