L’antisionismo è una forma di antisemitismo?

Azmi Bishara

15 marzo 2019, il lavoro culturale

Durante la visita del 27 febbraio scorso al cimitero ebraico di Quatzenheim, nel dipartimento francese del Basso Reno, il presidente Francese Emmanuel Macron ha promesso di prendere «misure legali» per combattere l’antisemitismo, dichiarando: «agiremo, approveremo delle leggi e puniremo». Successivamente Macron ha visitato il Memoriale dell’Olocausto a Parigi assieme ai Presidenti del Senato e dell’Assemblea Nazionale.

Il giorno seguente, in un discorso alla 34° cena annuale del CRIF (Conseil Représentatif des Institutions Juives de France, n.d.r.), Macron ha promesso che la Francia adotterà una definizione di antisemitismo nella sua legislazione in conformità con quella utilizzata dall’International Holocaust Remembrance Alliance. Questa include l’antisionismo, che Macron ha definito «una delle forme moderne di antisemitismo».[1] Non c’è alcun dubbio che i ripugnanti graffiti che hanno dissacrato quelle tombe costituiscano un crimine d’odio antisemita. Ma in che modo questo ha a che fare con l’antisionismo e certe posizioni verso Israele?

A prescindere dal fatto che Macron voglia veramente, o addirittura possa far approvare una legge del genere, sembra che il presidente francese abbia ben poche conoscenze sia sull’antisionismo sia sull’antisemitismo. Macron sarà sorpreso di apprendere che, non solo alcuni dei più importanti pensatori antisionisti sono degli intellettuali ebrei di varie sensibilità politiche, ma che lo stesso antisionismo, come il sionismo, è un fenomeno ebraico, sviluppatosi originariamente come risposta ebraica al sionismo. Sarà difficile per Macron classificare l’antisionismo come forma di antisemitismo dato che non esiste alcuna connessione tra le due idee.

È vero che prima e dopo la creazione di Israele, e in un contesto di intensa attività sionista in Palestina, ci sono state alcune intersezioni tra il rifiuto indigeno del sionismo in quanto progetto coloniale (non ebraico) e alcuni tratti della propaganda antisemita europea. Questa propaganda ha fornito terminologie e teorie del complotto pronte per l’importazione in Palestina, ma non c’era alcuna relazione storica o teorica tra i due fenomeni. Il rifiuto arabo e palestinese del sionismo non era una questione di ostilità etnica, religiosa o sociale verso gli ebrei ma di rifiuto della conquista coloniale del loro Paese, proprio come gli algerini rifiutavano di accettare l’insediamento di coloni nel loro Paese e altri popoli hanno fatto e farebbero a prescindere dalla loro religione o dalla religione dei coloni.

Tutte le risoluzioni approvate dalle conferenze palestinesi e siriane degli anni Venti rappresentano i primi esempi di distinzione tra ebrei “nazionali” (ovvero indigeni) e coloni ebrei. Il ripugnate (per quanto raro) utilizzo da parte di una certa retorica del nazionalismo arabo di elementi tratti dal linguaggio dell’estrema destra europea, specialmente dopo la sconfitta del 1967, rappresenta la generalizzazione di una propaganda ostile nel contesto di un conflitto militare. La propaganda interna israeliana invece è stata tutt’altro che timida nell’utilizzare un linguaggio e un immaginario razzista per colpire arabi e musulmani. Il razzismo antiarabo ha infatti penetrato il sistema educativo israeliano, la retorica militare e mediatica e molti lavori di letteratura.[2]

Gli ebrei antisionisti hanno giustificato la loro posizione sulla base di argomentazioni religiose, morali e intellettuali, sia da sinistra sia da posizioni liberali. Proprio come esistono degli ebrei antisionisti, in Europa e negli Stati Uniti ci sono anche molti antisemiti che ammirano sia Israele sia il sionismo. Il motivo di questa ammirazione può essere il poderoso stato coloniale che il sionismo ha costruito, il militarismo israeliano, o il modello che Israele ha offerto nella lotta al terrorismo e ai musulmani. In alcuni casi dietro l’ammirazione si nasconde un doppio fine, dato che il sionismo agisce per svuotare l’Europa della sua popolazione ebraica. Questo è quello che gli antisemiti vogliono. I movimenti antisemiti hanno osservato con soddisfazione gli ebrei concentrarsi in un Paese del Medio Oriente, così da non essere più una seccatura per l’Europa.

Non sussiste alcuna sovrapposizione sostanziale tra antisemitismo e antisionismo. Quindi perché sostenere che l’antisionismo sia un fenomeno ebraico?

Il sionismo emerse in seguito alla creazione di una nuova definizione di giudaismo che storicamente ha trasformato il significato dell’ebraicità. È logico che la prima reazione a questo avvenimento sarebbe apparsa in seno alla comunità ebraica. Per i credenti, il sionismo ha riformulato l’essere ebreo dall’essere “il popolo eletto di Dio”, “il popolo del libro” o “un popolo come nessun altro” all’essere parte di una nazione etnica che, come altre nazioni europee del diciannovesimo secolo, cerca di acquisire la sovranità nazionale nella forma di uno Stato-nazione (fuori dall’Europa nel caso di Israele). Anche per i laici il sionismo ha riformulato il giudaismo e lo ha trasformato dall’essere una religione – che non avrebbe dovuto rappresentare un ostacolo all’integrazione nelle nazioni degli Stati laici di cui erano cittadini – in un’identità etnica.

Le prime posizioni antisioniste apparvero all’interno delle principali correnti religiose ebraiche, non solo perché il sionismo è un movimento secolare, ma anche perché il sionismo ha commesso il peccato imperdonabile di secolarizzare il giudaismo stesso, trasformando la religione in una nazionalità etnica.

Le correnti religiose ebraiche hanno modificato la loro idea di popolo eletto di Dio. Alcuni gruppi credono che Dio abbia posto gli ebrei al di sopra degli altri popoli, mentre altri traggono il significato di “eletto” dai tempi della profezia, facendone derivare dei doveri religiosi ed etici e maggiori obblighi piuttosto che privilegi. Esistono molte altre idee. Tuttavia, c’è un consenso generale nel rifiutare l’idea che l’ebraismo sia una nazione che lotta per l’edificazione di uno Stato in questo mondo. Alcuni di questi movimenti aspettano l’arrivo del Messia per costruire uno Stato paradisiaco e salvare il popolo ebraico. Il sionismo è quindi considerata una falsa profezia, incarnata dal progetto statuale, che si proclama (falso) Messia e interferisce nel lavoro di Dio. La maggioranza delle correnti religiose ebraiche, siano esse chassidiche, pseudomistiche o ultraortodosse modaliste, si sono opposte a questa secolarizzazione della comunità ebraica.[3]

Ci fu una ristretta corrente del pensiero religioso ebraico che si intersecò col sionismo, dando vita al movimento Mizrahi. Questo movimento, secondo l’opinione mia e di molti altri, ha formato il nucleo della successiva sovrapposizione tra nazionalismo e religione nei movimenti dei coloni e nelle organizzazioni di estremisti nazionalisti religiosi in Israele. Prima della crescita di questo movimento, religiosità ebraica e “sionistizzazione” erano completamente separate. L’espansione dei movimenti nazional-religiosi in Israele può essere fatta risalire alla crescita in influenza della Yeshiva Mercaz HaRav a Gerusalemme e all’euforia israeliana in seguito al “miracolo divino” del 1967, che portò all’occupazione di “Giudea e Samaria” (la Cisgiordania) e “alla riunificazione” dell’Israele biblica sotto lo Stato di Israele.

Fino ad allora, il sionismo secolare ha fatto uso della religione per necessità, perché era altrimenti impossibile giustificare la scelta della Palestina come luogo in cui edificare lo Stato senza un collegamento biblico ed anche perché la risposta data dal sionismo e dallo Stato di Israele alla domanda “chi è un ebreo?” – una domanda necessaria per definire la cittadinanza – era la definizione di ebrei come formulata dal giudaismo. Da tempo ho previsto che questi movimenti sarebbero cresciuti e che la loro retorica sarebbe divenuta egemonica come risultato delle pratiche di occupazione e della convergenza tra retorica sionista e retorica religiosa nella giustificazione dell’occupazione di Gerusalemme e della Cisgiordania.[4]

La seconda corrente in contrasto col sionismo è la sinistra ebraica. Alcuni all’interno dei partiti comunisti (in particolare i Bolscevichi russi), consideravano il sionismo un movimento borghese che avrebbe condotto alla separazione dei lavoratori ebrei dalla lotta del proletariato per una società più giusta; per essi, la questione ebraica e l’oppressione di tutte le minoranze poteva risolversi con la fine dello sfruttamento e con la lotta di classe. I bundisti ebrei concepivano l’ebraicità sia in una dimensione religiosa che culturale/nazionale. Essi credevano che la questione ebraica si sarebbe risolta grazie al socialismo, ma che i problemi degli ebrei erano simili a quelli del resto della popolazione russa, e che questi problemi si sarebbero risolti attraverso l’ottenimento dello status legale di minoranza. Essi vedevano il sionismo come un movimento isolazionista che cercava di contribuire alle attività coloniali nel Levante Arabo a non a una soluzione della questione ebraica in Europa.[5]

Nelle province russe, in Polonia e nei Paesi baltici, la sinistra ebraica inquadrata in movimenti e sindacati lasciò crescere alcune correnti sioniste che aspiravano a combinare la liberazione nazionale e di classe attraverso la creazione di colonie socialiste in Palestina. Essi non furono però in grado di risolvere la contraddizione tra ciò che vedevano come liberazione nazionale e di classe e le pratiche di colonizzazione della terra di un altro popolo, rimanendo così prigionieri di questa contraddizione. Il movimento antisionista di sinistra rimase forte per tutto il Ventesimo secolo, poiché il numero degli ebrei nei movimenti di sinistra, comunisti e socialisti d’Europa, inclusa la Francia, era alto rispetto alla proporzione degli ebrei nella popolazione generale. Essi credevano che la soluzione alla questione ebraica risiedesse nel risolvere il problema delle classi sociali in Europa.

Una terza corrente è rappresentata dagli ebrei assimilazionisti composta di liberali, democratici e altre forze non-ideologiche di cui facevano parte il filosofo Hermann Cohen, lo scrittore Karl Kraus e molti altri. Anche lo stesso padre del sionismo, Herzl, era in favore dell’assimilazione prima di assistere al processo Dreyfus in Francia. Molti di essi credevano che la transizione degli europei verso la democrazia liberale avrebbe garantito agli ebrei cittadinanza e integrazione nelle loro società.[6] Era questo il caso della maggioranza degli ebrei tedeschi, francesi e britannici che furono sopresi dal Nazismo rendendoli nuovamente coscienti della loro ebraicità. Le tragiche vicende di persone come Stefan Zweig, forse anche lo stesso Walter Benjamin, ne furono espressioni particolarmente rappresentative. Ma più importanti sono i milioni di ebrei cui nessun scrittore o pensatore dà voce.

Nei lavori in cui Zygmunt Bauman trae alcune lezioni dall’Olocausto, specialmente nel suo Modernità e Olocausto, egli tenta di tenere assieme una posizione generale contro il razzismo, l’estremismo nazionalista e la xenofobia a un’opposizione al trattamento del popolo palestinese da parte di Israele. Nel suo libro Bauman rifiuta la pretesa israeliana di parlare a nome delle vittime e la strumentalizzazione sionista dell’olocausto.[7] Hannah Arendt e altri pensatori lo hanno preceduto con critiche simili che derivavano da una morale universale e dal rifiuto di ogni forma di razzismo, compreso il razzismo ebraico.

Il sionismo ha da allora criticato gli ebrei per essersi fatti ingannare dalle idee socialiste e liberali e dal fallimento delle loro politiche. Gli scrittori sionisti rivendicano il successo del sionismo nell’aver colto l’ideologia dominante dell’epoca, il nazionalismo; i sionisti, una volta una minoranza tra gli ebrei, sono riusciti dove le idee più popolari tra gli ebrei hanno fallito. Secondo la loro visione, il sionismo ha riconosciuto che la soluzione alle questioni etniche non risiedeva nella democrazia liberale o nel socialismo, ma nell’edificazione di uno Stato. Secondo questa visione, il nazismo e l’antisemitismo sono le migliori conferme del fatto che il sionismo sia stata la scelta migliore e che gli assimilazionisti in Germania, Francia e nel resto d’Europa si sbagliavano.

Il dibattito ha fino a ora ignorato la natura di questa “soluzione nazionale” della questione ebraica e la sua natura di progetto coloniale portato avanti a danno di altri, i palestinesi. Al contrario, si continua a riflettere sul sionismo come se fosse una questione europea, interna e soprattutto ebraica.

Come affronterà questi fatti il signor Macron? L’ignoranza non è una scusa per i capi di Stato, soprattutto di uno Stato importante come il suo. Questi dibattiti sono parte della storia della Francia, non solo della Germania. Come dimostra l’esperienza di Herzl, l’antisemitismo francese ha contribuito alla nascita del sionismo. La Francia ha fornito il prototipo di integrazione civile, ma l’antisemitismo ha ciononostante rialzato orrendamente la sua testa durante il caso Dreyfus, “risvegliando” Herzl e facendogli aprire gli occhi su una “realtà” che non aveva mai visto prima: ovvero, che la discriminazione degli ebrei nei Paesi europei era una malattia cronica e incurabile e che gli ebrei sarebbero rimasti degli stranieri in Europa nonostante tutti gli sforzi fatti per essere assimilati.[8]

L’involontario e oggettivo alleato ideologico del sionismo è l’antisemitismo. Il pensatore ebreo Claude Montefiore lo osservò agli inizi del Ventesimo secolo nella sua critica della creazione di una doppia lealtà per gli ebrei.[9] Inoltre, il sionismo sin dalla sua nascita, non solo ha considerato l’antisemitismo una malattia eterna che appesta i popoli dei Paesi dove vivono gli ebrei, ma ha anche plasmato una visione negativa (quasi razzista) dell’ebreo debole, umiliato e reietto che non possiede un carattere e un sentimento nazionale.

antisionismo e antisemitismoIl libro di Herzl descrive lo Stato ebraico dipingendo con tratti dispregiativi gli immigrati ebrei russi in Europa centrale, utilizzando una terminologia che non sarebbe apparsa fuori luogo in un dizionario antisemita.[10] In seguito il sionismo sviluppò il “profilo” dell’ebreo israeliano così sicuro di sé al punto di diventare aggressivo, che lavora la terra e che imbraccia le armi, che riesce a salvarsi dal vittimismo diventando un occupante (un persecutore).

Storicamente, sono stati l’antisemitismo e le ondate persecutorie sofferte dagli ebrei che hanno dato vita al loro progetto. I gruppi ebraici sono stati persuasi a emigrare dai loro Paesi sotto il peso delle diverse ondate di antisemitismo in Europa, che si trattasse delle Centurie Nere in Russia, dei nazisti in Germania o dei razzisti francesi. Ma dopo ogni ondata, erano gli Stati Uniti e non Israele la destinazione preferenziale della maggior parte degli emigranti. Anche quando perseguitati, la maggior parte degli ebrei non divenne sionista. Per essi, il progetto sionista era qualcosa di distinto che cercava di raggiungere degli obiettivi che non avevano niente a che fare con la fine delle loro sofferenze.

È naturale per i non-ebrei non essere sionisti. Il sionismo è un movimento ebraico. Non preoccupa i non-ebrei a meno che non rappresenti una minaccia o comporti idee e pratiche che contraddicano i loro principi. E non ogni intellettuale in disaccordo col sionismo diventa necessariamente ostile o essenzialmente antisionista. Né, certamente, questo comporta posizioni negative nei confronti degli ebrei.

Coloro che odiavano gli ebrei per motivi religiosi, etnici o sociali (le tre fonti dell’antisemitismo), lo facevano ben prima dell’emergere del sionismo. La maggioranza di coloro che erano contrari al sionismo erano ebrei. L’antisemitismo, religioso o sociale, è un fenomeno razzista che esisteva prima del sionismo. Tuttavia, non si tratta più del fenomeno centrale nella vita sociale dell’occidente, e non divenne mai un fenomeno globale, diversamente da quanto Israele ha cercato di sostenere per ragioni politiche.[11]

Non si può affermare che arabi e musulmani del diciannovesimo secolo fossero antisionisti. Non sapevano nemmeno che cosa fosse e il sionismo non significava nulla per loro. Quando l’ostilità nei confronti del sionismo cominciò a crescere in Palestina, questa non era di carattere intellettuale, ma piuttosto si trattava di un’attitudine collettiva di contadini, intellettuali e borghesia nazionale di una popolazione che aveva vissuto in Palestina per secoli e si opponeva alla colonizzazione della propria terra, in particolare dopo aver compreso che si trattava di un progetto politico teso alla creazione di uno Stato risultante dalla Dichiarazione Balfour nel Mandato Britannico.

Allo stesso tempo, la fondazione di uno Stato ebraico in un Paese dove vivevano una maggioranza araba e una piccola minoranza ebraica, poteva solo significare l’espulsione della prima dalla propria terra. La tolleranza era il sentimento prevalente a quel tempo, con ebrei praticanti che vivevano in Palestina da prima del sionismo. Questo è chiaro dati i numerosi quartieri ebraici a Gerusalemme, Hebron, Tiberiade e Safed. Gli arabi non avevano familiarità con l’antisemitismo.

L’impero ottomano e i Paesi arabi hanno vissuto occasionalmente ondate di istigazione e pratiche brutali contro le minoranze religiose, specialmente in tempo di crisi. Tuttavia, si trattava di eccezioni e non della regola.  Non c’erano particolari fenomeni di ostilità antiebraica da potersi definire antisemiti. Bisogna anche ricordare che una delle prime condanne contro gli insediamenti sionisti in Palestina venne dalla comunità ebrea ortodossa di Gerusalemme. Furono i primi a denunciare ideologicamente gli insediamenti sionisti in Palestina in una petizione diretta al Sultano ottomano.[12]

Le posizioni all’interno della comunità ebraica sono cambiate da quando il sionismo è riuscito a fondare uno Stato. Il sionismo rimase un movimento minoritario all’interno dell’ebraismo internazionale fino alla vittoria israeliana nella guerra del 1967, la quale attrasse ampio sostegno per Israele e convinse gli ebrei in tutto il mondo che il progetto era realistico e che non si trattava solo di avventurismo. Ma il più importante cambiamento è avvenuto proprio in Israele. Molti partiti religiosi si sono legati ai servizi forniti dallo Stato, “sionistizzandosi” nella loro partecipazione al nazionalismo israeliano durante la lotta contro gli arabi. La destra e la sinistra israeliana, che avevano solo affinità trascurabili con la sinistra e la destra ebraica prima della fondazione dello Stato ebraico, sono emerse parallelamente al militarismo israeliano e alla vanità del potere, col profilarsi di un conflitto per la definizione del carattere laico o religioso dello Stato.

Herzl appare un laico moderato rispetto alla classe politica di questo Stato. Sosteneva la concessione di eguali diritti civili agli arabi e voleva tenere fuori Gerusalemme e il cosiddetto “Monte del Tempio” per preservare il carattere laico del suo futuro Stato. Ma Israele che occupa tutta Gerusalemme, la Cisgiordania, le Alture del Golan, che assedia Gaza e possiede armamenti nucleari, continua a presentarsi come una vittima e utilizza la memoria dell’Olocausto per rappresentare delle vittime che non hanno mai chiesto questa rappresentanza. Allo stesso tempo taccia di antisemitismo chiunque in occidente critichi le sue politiche.

Le questioni del razzismo e del sionismo si sovrapposero con le politiche internazionali. Il 10 novembre 1975, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione 3379 la quale affermava che “il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale”. Questa risoluzione fu abrogata dalla risoluzione 46/86 il 16 dicembre 1991, dopo la caduta del comunismo.[13]

In entrambi i casi, pesarono questioni di alleanze internazionali e il passaggio, nell’equilibrio internazionale del potere, da una fase di alleanza tra Paesi neutrali e il campo socialista negli anni Sessanta e Settanta, in cui l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) raggiunse un certo peso, alla rottura di queste alleanze. Il rapporto tra Israele e Stati Uniti ha giocato un ruolo chiave in tutto ciò, ma l’antisemitismo non era in questione ma lo erano le pratiche di Israele nei confronti dei palestinesi sotto occupazione. Questo non è cambiato, si è piuttosto aggravato, con crescenti livelli di razzismo nella stessa Israele, secondo quanto riferito da indagini israeliane di ogni tipo.[14]

La destra estrema di oggi nei Paesi europei, la cui retorica e cultura politica sono in linea col “profilo” dell’antisemitismo, ammira Israele e Netanyahu. L’antisemita è sbalordito nel vedere Israele che costruisce il muro di separazione in Palestina, guarda con stupore le sue politiche verso gli arabi, esempi che l’Europa e l’America dovrebbero seguire, in amore di Putin e Trump e in odio dei musulmani. L’antisemitismo contemporaneo non è antisionismo, ma xenofobia e, in particolare, islamofobia. L’antisemitismo non può essere combattuto ingraziandosi i favori di lobbisti e politici israeliani durante un meeting. Esso ci impone di combattere tutti i tipi di razzismo, che sia diretto contro gli ebrei, i musulmani, i neri o i bianchi.

[1] “Macron announces measures to combat anti-Semitism in France”, France 24, 21 febbraio 2019: https://amp.france24.com/en/20190220-macron-announces-measures-combat-anti-semitism-france-crif-definition-anti-zionism; and Richard Lough, “France’s Macron says anti-Zionism is a form of anti-Semitism”, Reuters, 21 febbraio 2019: https://uk.reuters.com/article/uk-france-antisemitism-idUKKCN1QA1GX

[2] Daniel Bar-Tal and Yona Teichman, Stereotypes and Prejudice in Conflict: Representations of Arabs in Israeli Jewish Society(Cambridge: Cambridge University Press, 2009). Mazal Mualem, “Anti-Arab racism becomes tool in Israeli elections”, Al-Monitor,  10 febbraio 2015 at: http://bit.ly/2Udgp5i; Nurit Peled-Elhanan, Palestine in Israeli School Books: Ideology and Propaganda in Education, (New York: I.B. Tauris, 2012); Ben White, Palestinians in Israel: Segregation, Discrimination and Democracy, forward by Haneen Zoabi (London: Pluto Press, 2012),. Ali Abunimah, “Anti-Arab racism and incitement in Israel”, The Electronic Intifada, 30 marzo 2008: http://bit.ly/2IAmS8V;

[3] La posizione degli ebrei ortodossi è ben nota, come anche la formazione del partito antisionista Agudat Israel nel 1912. Non è possibile citare qui i numerosi esempi della forte ostilità che gli ebrei ortodossi provarono verso il sionismo. Ma lo stesso si può dire dell’ebraismo riformista. Posizioni antisioniste apparvero anche prima del Primo Congresso Sionista del 1897, per esempio alla conferenza conservatrice di Francoforte (1845) e alla conferenza rabbinica di Filadelfia (1869) o alla Piattaforma di Pittsburgh (1885) e in una risoluzione approvata durante la prima Conferenza Centrale del Gruppo Riformista (1890).

[4] Azmi Bishara, “Dawwamat ad-Din wa’d-Dawla fi Isra’il”, ad-Dirasat al-Filistiniyya 1:3 (Summer 1990), p. 24 (accessed on 28/02/2019, https://bit.ly/2Eyv7hv).

[5] La sezione ebraica del Partito Comunista Sovietico (Yevsektsiya), ad esempio, adottò una posizione esplicitamente antisionista nel suo sforzo di mobilitare i lavorati ebrei all’interno delle organizzazioni rivoluzionarie, e invocò una soluzione alla “questione ebraica” sulla base della lotta al capitalismo, all’imperialismo e alla discriminazione razziale e religiosa che includeva la lotta ai capitalisti ebrei alleati col sionismo.

[6] Durante la prima metà del Diciannovesimo secolo, Marx e Bruno Bauer animarono il dibatto su quale fosse la soluzione, la democrazia liberale o il socialismo. Bauer credeva che la cittadinanza in ogni stato democratico europeo fosse sufficiente all’integrazione degli ebrei in quanto cittadini, mentre Marx sosteneva che la società dovesse prima essere liberata del capitale affinché gli ebrei fossero anch’essi liberati.

[7] Zygmunt Bauman, Modernity and the Holocaust (Ithaca, N.Y.: Cornell University Press, 1989).

[8] Il caso Dreyfus iniziò nel 1894 quando il Capitano Alfred Dreyfus, un ebreo francese, fu accusato di tradimento sulla base di accuse secondo le quali avrebbe inviato informazioni sensibili in Germania. Il caso divise gli intellettuali e i politici francesi fino al 1906 e portò Herzl a fare della “soluzione al problema ebraico” la sua ossessione. In proposito si veda: Katrin Schultheiss, “The Dreyfus Affair and History,” Journal of The Historical Society, vol. 12, no. 2 (June 2012), pp. 189-203, visitato il 28 febbraio 2019: https://bit.ly/2HaWd0f; “Herzl,” Neue Freie Presse, June 1899, in: Alex Bein, Theodor Herzl: A Biography (New York: Jewish Publication Society of America, 1941).

[9] Geoffrey Alderman, Modern British Jewry, (New York: Clarendon Press of Oxford University Press, 1992) Rev.ed.1998, p. 232.

[10] Theodor Herzl, A Jewish State: An Attempt at a Modern Solution of the Jewish Question (New York: The Maccabaean Publishing Co, 1904), pp. 12-13.

[11] La deputata americana Ilhan Omar è stata oggetto di un’ampia campagna che l’ha accusata di antisemitismo per via di un tweet critico nei confronti di un gruppo di pressione israeliano (AIPAC), una lobby che lavora apertamente ed ufficialmente per influenzare i politici, le cu attività dovrebbero essere oggetto di critiche, anche pesanti se necessario. Nel giro di dodici ore, la leadership del Partito Democratico ha rilasciato un comunicato in cui rimproverava Omar per il suo tweet, per il quale lei stessa si è scusata. Molti repubblicani hanno continuato ad invocare la sua espulsione dalla commissione affari esteri del Congresso. Si veda in proposito: “Muslim Congresswoman Ilhan Omar in anti-Semitism row after criticising pro-Israel politicians” The New Arab, 12 febbraio 2019: http://bit.ly/2EcDYUV; John Bowden, “Omar deletes tweets at center of anti-Semitism controversy”, The Hill, Feb. 26, 2019, https://bit.ly/2Vmwcif ; Sheryl Gay Stolberg, “Ilhan Omar Apologizes for Statements Condemned as Anti-Semitic”, The New York Times, 11 febbraio 2019: https://nyti.ms/2I9ywY3.

[12] Zvi Sobel, Benjamin Beit-Hallahmi (eds.), Tradition, Innovation, Conflict: Jewishness and Judaism in Contemporary Israel, (New York, State University of New York Press, 2012), pp. 5-7.

[13] “United Nations General Assembly Resolution 3379: Elimination of All Forms of Racial Discrimination”, 10 novembre 1975: http://bit.ly/2Tha6QM ; “General Assembly Resolution 46/86, Revocation of Resolution 3379”, 16 dicembre 1991: http://bit.ly/2SYRWDW.

[14] Si veda: “Huquq al-Insan 2016: Tahdidat wa-Furas”, ACRI, 16/12/2016 (accessed on 26/02/2019 at http://bit.ly/2IErryU); Aviram Zino, “Racism in Israel on the Rise”, Ynet News, 12 August 2007, accessed at: http://bit.ly/2Nu0zAH.

Azmi Bishara, ex membro palestinese del parlamento israeliano è direttore dell’Arab Center for Research and Policy Studies.

( Traduzione di Saverio Leopardi)




Luoghi comuni antipalestinesi

Donald Johnson

10 marzo 2019,MondoWeiss

Ho cercato con Google la frase “luoghi comuni anti-palestinesi”. Quasi tutti gli articoli riguardavano il presunto antisemitismo di Omar [deputata USA di origine somala accusata di antisemitismo per le sue affermazioni contro la lobby filoisraeliana, ndt.].

Allora ho utilizzato la funzione di ricerca avanzata ed ho trovato una conversazione di Yousef Munayyer [scrittore a analista politico palestinese con cittadinanza israeliana e statunitense, ndt.] su “luoghi comuni antipalestinesi”.

Si può affermare con certezza che la preoccupazione per il razzismo contro i palestinesi e per i luoghi comuni antipalestinesi è praticamente inesistente nel dibattito politico prevalente e nei media statunitensi. In quei contesti le persone sembrano inconsapevoli che tali concetti possano esistere, figuriamoci [se hanno] il dubbio che loro stessi possano esserne influenzati. La maggior parte delle persone che scrive o legge giornali come il NYT [New York Times] è probabilmente della classe medio-alta o anche più in alto e vede se stessa come progressista e raffinata. Giudica gli altri in base ai propri standard e non gli viene in mente di poter avere propri punti deboli etici o tabù, alcuni giustificabili e altri no.

Ilhan Omar non fa parte della loro cerchia. Ha detto cose che li hanno turbati, per cui per loro il problema è se lo ha fatto per deliberata cattiveria o si è sbagliata a questo proposito per ignoranza. Il fatto che li abbia turbati due volte in un mese ha provocato un certo scompiglio.

Si trovano progressisti che hanno difeso Omar trattandola come un’immigrata sempliciotta che non sa che questo argomento rappresenta un campo minato. Ciò da parte di persone che vedono se stesse come suoi difensori critici frustrati con molte sfumature, come Michelle Goldberg [editorialista del NYT critica nei confronti di Israele, ndt.].

Anche Nancy Pelosi [presidentessa democratica della Camera dei Rappresentanti USA, ndt.] ha adottato questo atteggiamento.

Potrebbe essere utile pensare a cosa dire agli opinionisti e ai progressisti americani in generale che vivono all’interno di questa campana di vetro, che in modo compiacente presumono di avere la comprensione e l’autorità morale di decidere come dovrebbe essere discussa la questione israelo-palestinese. Anch’io mi trovo in questa campana di vetro e potrei ancora essere sotto la sua influenza. Comunque ecco i miei suggerimenti agli americani riguardo ai luoghi comuni antipalestinesi da evitare quando si scrive dei luoghi comuni antisemiti da evitare. Se uno cade in questi luoghi comuni, corre il rischio di incoraggiare il razzismo antipalestinese. Un sincero progressista non dovrebbe volerlo fare. Potrebbe cadere nell’uso di luoghi comuni antipalestinesi quando pensa che la gente meno colta possa fare una gaffe dicendo qualcosa di antisemita, ma dovrebbe evitare di dirlo. Ovviamente qualcuno o molti dei critici di Omar sono fanatici antipalestinesi che non vogliono cambiare, ma questo articolo è scritto per progressisti che non seminerebbero razzismo se fossero consapevoli di quanto probabilmente lo stiano facendo.

Dovreste leggere la lista di argomenti di Munayyer citata sopra. Poi c’è la mia, senza un ordine particolare.

Luogo comune 1. “Israele ha il diritto di esistere”.

Boom. Siete appena saltati su una mina. È possibile dire ciò senza intendere niente di antipalestinese. Potreste sostenere, come ha fatto qualcuno, che Israele ha il diritto giuridico (come qualunque altra Nazione, indipendentemente dalle sue violazioni dei diritti umani) di esistere all’interno di confini ben definiti senza essere invaso, sebbene potremmo allora continuare su questo argomento delle violazioni dei diritti umani. Ci sarebbe da discutere su tutto questo. Sembra bizzarro, detto da un qualunque americano, parlare della natura inviolabile dei confini, considerando quanto spesso invadiamo o bombardiamo o appoggiamo attacchi terroristici contro altri, e considerando anche la vaga definizione dei confini israeliani. Ma non c’è bisogno di discuterne, perché poche persone la pensano in questo modo.

Quello che la frase effettivamente significa in molti casi è che i palestinesi non hanno il diritto di esistere nella propria patria, quindi non tirate fuori questo argomento o siete antisemiti. La frase intende bloccare qualunque giudizio etico riguardo alla Nakba, o, meglio ancora, non citarla affatto. Si può ricorrere al concetto senza utilizzare proprio questa frase. Si veda, per esempio, il recente attacco di Roger Cohen [opinionista del New York Times, ndt.] contro Jeremy Corbyn, in cui Cohen ha detto di essere orgogliosamente sionista e propone una storia unilaterale del 1948, con tanto di frase tra parentesi sull’invasione degli eserciti arabi (Gli eserciti arabi fecero la guerra contro il compromesso territoriale – dell’ONU – tra palestinesi ed ebrei e persero).

Si dovrebbe dire qualcosa su questa invasione, che avvenne settimane dopo il massacro del 9 aprile [1948] a Deir Yassin e la creazione di 300.000 rifugiati palestinesi, e che nel caso della Transgiordania fu un’invasione di terre che dovevano essere concesse allo Stato palestinese – ma lasciamo perdere.

Qui il vero problema è che Roger Cohen esclude la Nakba [la catastrofe, cioè l’espulsione di buona parte della popolazione palestinese da territorio che diventò lo Stato di Israele, ndt.]. Cohen vuole perorare la causa del sionismo sulla base della minaccia dell’antisemitismo. Se mi chiedesse cosa avrebbero dovuto fare gli ebrei negli anni ’30 di fronte alla minaccia nazista, non saprei cosa rispondergli. La minaccia era reale e divenne un genocidio. Persino i Paesi che si opponevano al nazismo erano permeati in vario grado di antisemitismo. In quel periodo c’era chiaramente una necessità estremamente urgente di un rifugio per gli ebrei.

Ma so che la Nakba è stato un crimine gravissimo, due cose sbagliate non fanno una cosa giusta, ed è impossibile avere una seria discussione sul sionismo senza nemmeno menzionare la Nakba. Qualcuno potrebbe cercare di giustificarla. Il signor Cohen, suppongo, capisce di non poter arrivare fino a questo punto, per cui risolve il problema non menzionandola.

A un certo livello gli argomenti sionisti sono convincenti per i cristiani occidentali a causa del senso di colpa dei cristiani. I cristiani sanno che gli ebrei furono perseguitati per secoli a causa dell’antisemitismo cristiano. Appoggiare il sionismo e ignorare i crimini commessi da Israele rappresenta un modo a buon mercato per fare ammenda. I palestinesi sono diventati i capri espiatori dei crimini altrui. Ovviamente, dato che non sono disposti ad essere capri espiatori, devono essere demonizzati per giustificare il modo in cui sono trattati.

Luogo comune 2. “Israele ha il diritto di difendersi”.

Ciò viene sempre affermato dopo che Israele ha commesso qualche crimine di guerra. I politici americani citano questo come una sorta di mantra. È immorale utilizzare questo luogo comune per giustificare crimini di guerra. Ma invariabilmente, ogniqualvolta Israele uccide civili, si troveranno politici americani dire che Israele ha il diritto di difendersi. Obama lo disse durante la guerra a Gaza nel 2014, in cui Israele si difese uccidendo circa 1.500 civili, compresi 500 minorenni. Morì qualche decina di israeliani, tra cui sei civili. I più importanti politici USA sembrano non avere problemi a chiamare tutto ciò “autodifesa”.

Israele continua a sparare contro manifestanti palestinesi disarmati. Lo scorso anno il New York Times ha pubblicato quattro articoli per difendere questo modo di agire ed ha dato tutta la colpa delle morti ad Hamas.

Due di questi opinionisti, Bret Stephens e Tom Friedman [entrambi noti giornalisti filoisraeliani, ndt.], ora condannano [Ilhan] Omar.

Ci si potrebbe mai immaginare il New York Times che pubblica un articolo che difenda come giustificabile un attacco terroristico palestinese contro civili perché i palestinesi hanno il diritto di difendersi, che dica che la colpa debba cadere interamente su Israele? Quale sarebbe la reazione se lo facesse?

Ci sarebbe una rivolta in tutto il Paese, perché la difesa dell’uccisione di civili israeliani ebrei sarebbe giustamente vista come una vergogna morale, ma l’uccisione di palestinesi è solo un problema di immagine per Israele e in nessun modo una vergogna morale. Se qualcuno lo difende, ha lo spazio sul New York Times per farlo e ciò non desta assolutamente alcun clamore.

Cohen e Goldberg lavorano lì. Ne deduco che a quanto pare è in atto una politica che proibisce agli editorialisti del New York Times di criticarsi a vicenda per nome, o di criticare i direttori.

Ma potrebbero scrivere articoli criticando il cinico disprezzo di alcuni dei sostenitori americani di Israele senza nominare i loro colleghi. Lo faranno? Non lo so.

Luogo comune 3. “Si può criticare Israele duramente quanto si vuole, ma nel farlo bisogna evitare luoghi comuni antisemiti.”

Sono d’accordo. Ma per la maggior parte di quelli che lo dicono, si tratta di vuota retorica. Quante delle persone che lo affermano riguardo ad Omar scrivono effettivamente articoli che condannano l’apartheid o i crimini di guerra di Israele e l’oscenità di quanti li difendono? E cos’ha esattamente detto Omar che sia scorretto riguardo alla lobby [Omar ha detto che la lobby israeliana paga deputati per avere l’appoggio USA, ndt.]? È praticamente certo che parte del delitto di Omar sia stato di criticare la lobby essendo lei musulmana. Ma persino Bret Stephens condanna l’islamofobia.

Bret Stephens, l’onesto critico di Israele e avversario dell’islamofobia, di fatto si spinge ad attaccare quella posizione sullo stesso giornale che pubblica la sua difesa dell’uccisione di manifestanti:

Kamala Harris, Bernie Sanders e Warren [tutti e tre candidati alle primarie democratiche per le elezioni del 2020, ndtr.] hanno espresso la loro posizione con dichiarazioni che hanno dipinto Omar come vittima di islamofobia – cosa che è vera – senza menzionare che anche lei è dispensatrice di fanatismo antisemita – che lei allo stesso modo sicuramente è.

E si noti che nel momento in cui viene fatta un’accusa di antisemitismo, questa prende immediatamente il centro della scena, mentre i diritti dei palestinesi, che già in partenza non sono mai molto importanti, scompaiono a livello di argomento secondario, sempre che vengano citati. Sì, ci viene detto in teoria, si può esprimere qualche critica sulle colonie e su Netanyahu. Non farebbe nessuna differenza per il nostro appoggio verso Israele se semplicemente Israele se ne liberasse, ovviamente. Non lo ha mai fatto. Le persone hanno criticato Israele per decenni e continuiamo ad appoggiarle. É teatro kabuki. Andiamo avanti. Goldberg è arrabbiata per il fatto che repubblicani, che sono molto più intolleranti di Omar (secondo lei Omar un po’ intollerante lo è), possano farla franca.

Questo è il modo sicuro per difendere Omar. Per Goldberg, gli altri democratici, che cercano di scoprire come punire Omar per il suo “antisemitismo morbido” (parole di Goldberg, non la mia opinione), non lasciando che i fanatici repubblicani la passino liscia, sono gli eroi della vicenda. Ci potrebbe essere fanatismo antipalestinese tra i parlamentari di entrambi i partiti che ogni anno elargiscono miliardi a Israele, a prescindere da quanto Israele tratti male i palestinesi? Queste persone dovrebbero essere criticate per la loro ignavia o apatia o fanatismo? Non sembra essere una domanda che qualcuno dei critici di Omar intenda porre. Omar non fa parte del ‘club’, quindi può essere definita fanatica.

A quanto pare, lei [Goldstein, ndt.] ha sostenitori nel Congresso, per cui il Congresso ha deciso di condannare ogni forma di intolleranza tranne quella che quasi tutti praticano, che è essere contro i palestinesi. Qui sembro sarcastico, eppure che lo crediate o no sto cercando di evitare ogni ironia a buon mercato. Molte delle nostre discussioni politiche in America hanno senso se le pensate come il comportamento di gruppi di liceali. Ciò va ben oltre questo argomento, ma sto divagando.

Luogo comune 4. “Cosa dite di X? Come potete essere spinti da altro che non sia l’intolleranza se vi concentrate solo su Israele e ignorate X?”

Non ho obiezioni riguardo al “benaltrismo” in generale. Lo uso anch’io. “Quando è onesto il “benaltrismo” mette in evidenza l’ipocrisia. Uno dei primi esempi noti viene dalla Bibbia quando il profeta Nathan affronta re David a causa del suo complotto per uccidere Uriah e coprire l’adulterio di David con Betsabea.

(É affascinante e toccante attraversare millenni e vedere che David sente una sincera vergogna in nome del povero il cui cucciolo è stato trucidato dal ricco. Il “benaltrismo” funziona meglio con le persone che hanno una coscienza).

Ma quando lo si usa, il “benaltrismo” deve essere appropriato.

Il “benaltrismo” è stato utilizzato parecchie volte contro Omar. In un tweet cancellato e per cui si è scusata, Julia Ioffe [nota giornalista ebrea statunitense di origine russa, ndt.] ha detto che Omar avrebbe dovuto criticare i sauditi. La gente che usa questo argomento sta facendo una supposizione inconsciamente intollerante secondo cui, poiché Omar è musulmana, deve essere un’ipocrita fanatica antisemita che non critica nessuno Stato musulmano.

Tom Friedman ha fatto ricorso a questo argomento, anche se ha utilizzato invece la Siria.

Quando vedo l’accusa di doppia lealtà che arriva da una deputata che sembra essere ossessionata dalle malefatte di Israele come il principale problema del Medio Oriente – non l’occupazione di fatto di quattro capitali arabe da parte dell’Iran, il suo appoggio alla pulizia etnica e il suo uso di gas velenosi in Siria e il fatto che stia distruggendo la democrazia libanese – mi fa sospettare delle sue motivazioni.”

Non poteva citare i sauditi, perché Friedman è stato uno dei maggiori sostenitori in circolazione di bin Salman [principe saudita che di fatto governa il Paese, ndt.] e dopo l’uccisione del suo amico Khashoggi ha detto che il suo assassinio, in linea di principio se non come numeri, è stato peggio della guerra in Yemen, una guerra che ha in grande misura ignorato. Il “benaltrismo” è anche utilizzato in modo singolare con i palestinesi. Non ci sono altri gruppi per i quali, se si sostengono i loro diritti, puoi star sicuro che qualche progressista dirà che dovresti guardare prima ad altri cinquanta gruppi. Il presupposto implicito, in molti casi probabilmente a livello inconscio, è che i palestinesi non contano niente e quindi l’unica ragione per cui a qualcuno possono importare debba essere l’antisemitismo.

Luogo comune 5. “Pioggia di razzi”

Nessuno con un minimo senso di correttezza potrebbe confrontare il lancio di razzi di Hamas con quello che Israele fa a Gaza. Ma non c’è nessun altro cliché più ampiamente utilizzato per descrivere le azioni molto più distruttive di Israele che “Israele ha il diritto di difendersi”.

Non importa neanche chi abbia sparato per primo o se il blocco di Gaza in sé sia una guerra contro la popolazione. Il lancio di razzi di Hamas è per definizione la giustificazione della brutalità di Israele, non importa quale sia stato l’ordine degli avvenimenti.

Luogo comune 6. Apologia di piccoli Hitler.

Ciò in realtà non riguarda la questione dei palestinesi, ma qualche settimana fa Ilhan Omar si è scontrata con Elliot Abrams [attuale consigliere di Trump per l’America latina, ndt.], un noto difensore di alleati centroamericani omicidi e persino genocidi negli anni ’80. Parecchi membri della “comunità” della politica estera sono corsi in difesa di Abrams, compresi alcuni progressisti. È interessante vedere lo scarso interesse che ciò ha creato tra la maggior parte di quanti ora criticano Omar. Se uno fa parte della banda, può in realtà avere una storia di apologia di piccoli Hitler, e ciò non importa.

Si può continuare. Il punto è che abbiamo disumanizzato i luoghi comuni antipalestinesi che sono utilizzati in continuazione e, per quanto ne so, a nessuno dei progressisti più in voga che criticano Omar non è mai avvenuto di scrivere di questi.

Devono uscire dalla loro campana di vetro, voltarsi e vedere come appare da fuori. Secondo me sembra un gruppo di liceali, ma con un potere enormemente amplificato di ostracizzare e intimorire e mettere all’indice, così come di bombardare, invadere, bloccare e occupare. Se fai parte dell’impero americano, forse puoi imparare qualcosa da Ilhan Omar, nata in Somalia, su come questo appare a qualcuno che è nato all’estero.

Intendo questo come una sorta di colpo basso melodrammatico? No. I membri dell’istruita classe di professionisti americani (di ogni religione o di nessuna) devono smettere di pensare a se stessi come gli arbitri morali finali di cosa è giusto o sbagliato.

Guardate cosa ha fatto l’America in Medio Oriente negli ultimi decenni sotto [i governi di] entrambi i partiti. Sembriamo persone che possano dare lezioni a qualcuno?

Donald Johnson è un commentatore fisso di questo sito come “Donald”.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Antisemitismo francese: lo strumento di Macron per zittire la solidarietà con i palestinesi

Malia Bouattia

28 febbraio 2019, Middle East Eye

Confondendo antisionismo e antisemitismo, Macron sta tentando di proteggere il governo dalle critiche per la sua attiva partecipazione ad altre forme di razzismo

Il presidente francese Emmanuel Macron si è impegnato a rendere illegale l’antisionismo considerandolo equivalente – dal punto di vista giuridico –all’antisemitismo, e di conseguenza un reato di istigazione all’odio razziale.

Questa annuncio fa seguito a un’aggressione verbale contro lo scrittore francese filo-israeliano Alain Finkielkraut durante una protesta dei “gilet gialli”, in cui un manifestante ha gridato le parole “sporco sionista”. Lo scontro è stato descritto dal presidente e da molti commentatori come antisemita.

Questo mese è stato anche vandalizzato un cimitero ebraico con svastiche naziste, con circa 80 tombe prese di mira nel villaggio di Quatzenheim, nella Francia orientale, mentre il ritratto di Simone Weil, sopravvissuta francese all’Olocausto, è stato sfigurato con simboli nazisti.

Attaccare i movimenti politici

L’allarmante incremento dell’antisemitismo non ha colpito solo la Francia, ma tutto il continente, con gruppi di estrema destra che conquistano terreno nelle urne e nelle piazze. Solo in Francia lo scorso anno gli attacchi antisemiti sono aumentati del 74%.

Ma il problema riguardo alla risposta dello Stato francese – che non è diversa da quella di altri governi, come quelli di GB e USA – è che prende di mira movimenti politici legittimi invece di occuparsi di una forma di oppressione intrinseca al tessuto delle istituzioni francesi.

Colpisce che non siano l’estrema destra e i suoi numerosi gruppuscoli ad essere bersaglio del presidente, né la crescente normalizzazione dei discorsi razzisti, anche da parte dello stesso leader francese.  

Al contrario, sono la solidarietà con il popolo palestinese e l’opposizione al sionismo – l’ideologia che giustifica la sua spoliazione – ad essere considerati responsabili.

Macron ci sta mostrando proprio quello che non si deve fare di fronte al crescente fascismo. Egli sta di fatto cooptando l’aumento dell’antisemitismo per colpire il dissenso politico nell’ambito dell’impegno filo-palestinese e antisionista.

Razzismo e fascismo sono forme strutturali di oppressione che si manifestano nelle piazze solo perché sono state legittimate, sdoganate e normalizzate attraverso le istituzioni dello Stato.

Sicuramente Macron è consapevole che durante la Seconda Guerra Mondiale l’antisemitismo e la conseguente disumanizzazione di interi popoli si diffusero in modo così capillare perché il discorso del partito nazista conquistò influenza all’interno delle istituzioni politiche.

Storia di occultamento

È particolarmente significativo che Macron stia tentando di equiparare antisionismo e antisemitismo quando solo pochi mesi fa è stato duramente criticato per aver difeso progetti per rendere omaggio a Philippe Petain, collaborazionista dei nazisti. Infatti egli ha sostenuto che ciò sarebbe legittimo perché Petain fu uno dei generali che portarono l’esercito francese alla vittoria un secolo fa [durante la Prima Guerra Mondiale, ndt.].

Tuttavia quando era alla guida del governo di Vichy, Petain e il suo governo agevolarono la deportazione nei campi della morte di migliaia di ebrei. Molto di tutto ciò in seguito è stato occultato, e quelli che erano stati complici vennero inseriti nell’amministrazione postbellica della repubblica [francese].

Anche il fatto che lo Stato colpisca tutto il movimento dei “gilet gialli” in base ad un singolo incidente scredita i tentativi di lottare contro il razzismo. Il movimento, che non ha una gerarchia ed è stato descritto come senza leader, include anche dimostranti di estrema destra – un punto di grande discussione politica interna negli scorsi mesi. Gruppi antirazzisti hanno manifestato la necessità di lottare per uno spazio inclusivo e intersezionale, che è possibile creare solo partecipando a eventi politici, proteste e raduni.

A livello di base c’è la consapevolezza che in una società segnata dal razzismo è semplicemente normale che persino nelle lotte contro l’austerità e tra organizzazioni di sinistra esistano idee reazionarie e conservatrici. La differenza è che c’è una volontà di partecipare ad un processo di sensibilizzazione per definire la direzione del movimento e ridimensionare la crescente predominanza del razzismo nella società francese.

L’accostamento non potrebbe essere più stridente. Gli antirazzisti in Francia stanno partecipando ad un movimento di massa contro l’austerità e sfidando le posizioni reazionarie, mentre il presidente, che per quanto lo riguarda è stato ben poco attivo contro il razzismo, sta tentando di sfruttarlo per lanciare un attacco generale contro la solidarietà con il popolo palestinese.

Flirtare con l’estrema destra

Le comunità temono per la propria sicurezza. Dare la falsa illusione che Macron e i suoi colleghi in GB e negli Usa stiano facendo leggi per combattere [l’insicurezza] è spregevole. Stanno attaccando gruppi con una lunga storia di antirazzismo, perché potrebbero anche appoggiare la lotta antiimperialista contro l’occupazione della Palestina da parte di Israele.

Allo stesso tempo proprio questi stessi politici stanno flirtando con il governo antisemita ungherese, l’estrema destra e personaggi come l’ex-stratega della Casa Bianca Steve Bannon. Stanno mettendo in pericolo le comunità ebraiche, mentre le strumentalizzano per giustificare i loro attacchi contro la sinistra e le comunità di colore e le loro politiche in Medio Oriente.

In Gran Bretagna stiamo assistendo al fatto che viene preso di mira l’impegno a favore dei palestinesi attraverso strategie di antiterrorismo, compreso “Prevent” [controverso programma antiterrorismo introdotto dal governo britannico nel 2003, ndt.]. Ciò ha portato all’annullamento di eventi, al fermo e alla demonizzazione di giovani attivisti e a minacce di rendere illegale il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni [contro Israele, ndt.] (BDS).

Negli USA attivisti e figure pubbliche vengono continuamente presi di mira da gruppi come “Canary Mission” [organizzazione filoisraeliana che monitora e manipola le reti sociali, ndt.]. Il recente insediamento delle deputate al Congresso Ilhan Omar e Rashida Tlaib è stato seguito da un’aggressione mediatica riguardo al loro appoggio alla liberazione dei palestinesi – per non parlare della proposta di legge sulla sicurezza in Medio Oriente votata dal Senato USA per criminalizzare il BDS.

La necessità di resistere

Il modello internazionale è chiaro. In tutto il mondo i ricchi e potenti stanno alimentando il razzismo per sviare la rabbia dovuta all’ineguaglianza e all’ingiustizia, compresa la normalizzazione di gruppi, personalità e governi di estrema destra. In questo processo l’antisemitismo sta riemergendo, anche tra persone che sono vicine al potere.

Eppure è la sinistra – il movimento filopalestinese e le comunità di colore – che viene accusata da questi stessi governi in tutto il mondo.

Oggi la lotta contro l’antisionismo, giustificata attraverso la falsa identificazione con l’antisemitismo, ha un triplice intento: indebolire la sinistra in patria, difendere il governo dalle critiche sulla sua attiva partecipazione alla crescita dell’antisemitismo e di altre forme di razzismo e nascondere l’appoggio geopolitico per Israele dietro la presunta difesa delle comunità ebraiche, mettendole nel contempo in pericolo. Bisogna resistere tenacemente contro tutti questi tre punti.

Le opinioni esposte in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Malia Bouattia è un’attivista, ex-presidentessa dell’Unione Nazionale degli Studenti, co-fondatrice della “Rete Studenti non sospetti/Docenti non informatori” e presentatrice/commentatrice del programma “Donne Come Noi” della televisione Musulmana Britannica.

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’antirazzismo selettivo di Macron Un’intervista con Maxime Benatouil

Intervista di David Broder

27 febbraio 2019, Jacobin

Emmanuel Macron ha descritto l’antisionismo come una nuova forma di antisemitismo. Eppure associando tutti gli ebrei francesi allo Stato di Israele rischia di alimentare il risentimento tra le vittime del razzismo.

Se prendiamo in parola Emmanuel Macron, la Francia ha un crescente problema di antisemitismo. La scorsa settimana il presidente si è rivolto al Consiglio Rappresentativo delle Organizzazioni Ebraiche del Paese, denunciando un aumento dell’antisemitismo “senza precedenti dalla Seconda Guerra Mondiale”. Già l’11 febbraio il suo ministro degli Interni ha informato che il 2018 ha visto un incremento del 74% degli attacchi contro ebrei. Fonti governative hanno anche messo in rapporto questa evoluzione con le proteste dei “gilet gialli”, mentre ministri hanno imputato a questo “flagello” atti di vandalismo contro un negozio di bagel [ciambelle tipiche della cucina ebraica, ndt.] e recenti attacchi contro giornalisti.

Eppure molti ebrei francesi sono critici riguardo al tentativo di strumentalizzare affermazioni antisemite. Le notizie sul coinvolgimento di “gilet gialli” nell’attacco al negozio di bagel si sono presto dimostrate infondate, e il tentativo del presidente di considerare l’antisionismo una nuova forma di antisemitismo ha offuscato la distinzione tra ebrei e Israele. Allo stesso tempo gli ebrei antirazzisti hanno sottolineato i pericoli di un atteggiamento di doppio standard che non prenda altrettanto seriamente dell’antisemitismo l’islamofobia e il razzismo contro i neri.

Per Maxime Benatouil, un importante esponente dell’“Union Juive Française pour la Paix” [Unione Ebraico Francese per la Pace] (UJFP), la lotta contro l’antisemitismo deve essere unita a una coerente difesa delle minoranze. Ha parlato con David Broder di “Jacobin” della presenza di atteggiamenti antisemiti nelle proteste dei “gilet gialli”, del tentativo di Macron di strumentalizzare gli attacchi contro gli ebrei e del pericolo di mettere le minoranze le une contro le altre.

D.B.: Il filosofo Bernard-Henri Lévy ha sostenuto che l’antisemitismo è al cuore del movimento dei “gilet gialli”. Le sue affermazioni rientrano in una più complessiva narrazione per cui ministri e la stampa a favore di Macron hanno dipinto il movimento come di estrema destra o guidato da fascisti. C’è qualche prova che le idee contro l’establishment o cospirative tra i “gilet gialli” siano legate ad argomenti antisemiti?

M.B.: I commenti di Bernard Henry-Levy sono sintomatici della reazione contro i “gilet gialli”. Questo è un vero movimento sociale di classi lavoratrici e popolari ed è nato al di fuori delle strutture politiche tradizionali in cui tradizionalmente si inseriva la loro attività. È vero che in questo movimento ci sono stati indizi di antisemitismo, su cui i media francesi si sono particolarmente soffermati, e nelle proteste ci sono state anche figure come l’ex-attore Dieudonné (noto per il suo uso del gesto della quenelle [allungare un braccio sinistro verso il basso piegando il destro verso la spalla sinistra, considerato politicamente sospetto di filo-nazismo, ndt.] e per la promozione di temi antisemiti).

Ma non c’è un particolare antisemitismo tra i “gilet gialli” come tali, più di quanto ce ne sia nel resto della società francese. E anche in quanto il loro movimento riflette la società nel suo complesso, quando è cresciuto è diventato più politicizzato e c’è stata più opposizione tra i “gilet gialli” contro il razzismo, il sessismo, l’omofobia e quindi l’antisemitismo. In questo senso, lo sviluppo politico del movimento è stato veramente sorprendente.

D.B.: Ci sono comunque prove di crescenti aggressioni contro ebrei, dimostrate in particolare dall’uccisione lo scorso anno della sopravvissuta all’Olocausto Mireille Knoll. Infatti è stato detto che c’è stato un aumento del 74% di incidenti antisemiti in Francia. Cosa pensi ci sia dietro a questo?

M.B.: È terribile che siano avvenuti così tanti incidenti antisemiti – è stato detto che lo scorso anno ci sono stati 531 di questi atti. Ma non sono sicuro che sia una buona idea presentare questi dati in questo modo. Mentre i numeri che il ministero degli Interni ha fornito ai media francesi hanno riferito di un aumento del 74% da un anno all’altro, di fatto anche solo dieci anni fa il numero di questi incidenti era attorno a 800 all’anno, molti di più di ora. Forse la decisione di parlare di un aumento senza dare un’indicazione della tendenza generale è stato un errore, o forse ci sono ragioni politiche per voler dipingere questo quadro.

Il governo sta tentando di suggerire che c’è un aumento di incidenti antisemiti legati ai “gilet gialli” – per esempio quando ci sono state scritte razziste su un negozio di bagel a Parigi, il fatto che fossero in giallo è stato preso dal governo come una prova che fosse stato fatto da questi dimostranti dei “gilet gialli”, e i ministri hanno twittato in tal senso. Ma è risultato che i graffiti erano comparsi due giorni prima della manifestazione in questione, e in ogni caso non lungo il suo percorso.

D.B.: La scorsa settimana c’è stata una tempesta mediatica dopo che lo scrittore Alain Finkielkraut è stato chiamato “sporco sionista” da un “gilet giallo”. Mentre la parola “sionista” potrebbe essere usata come una parola in codice per “ebreo” oppure no, non pensi che questo tipo di incidenti prestino il fianco a critiche contro il movimento, o almeno diano l’impressione che non dimostri solidarietà agli ebrei di fronte all’antisemitismo?

M.B.: Finkielkraut è uno scrittore notoriamente di destra ed è certamente un sionista, con una lunga lista di polemiche contro i palestinesi. Ma chiamarlo “sporco sionista” o dire “tornatene a Tel Aviv” può chiaramente avere una dimensione antisemita.

Oltre che riconoscere questo, è anche il caso di chiarire due cose su Finkielkaut e su questo incidente. Ha immediatamente tentato di strumentalizzarlo come se lui fosse un antirazzista. Ma non è stato affatto come se un cittadino ebreo qualunque, magari con una kippah [zuccotto tipico degli ebrei, soprattutto religiosi, ndt.], fosse passato per caso vicino alla manifestazione e fosse poi stato aggredito da “gilet gialli”.

Invece Finkielkraut è un personaggio pubblico famoso. In effetti lui stesso è noto per attacchi razzisti, per esempio in un’intervista con Haaretz [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndt.] qualche anno fa in cui definì la squadra di calcio francese “nera-nera-nera” (stravolgendo la descrizione corrente della sua caratteristica multirazziale, “bianco-nero-arabo”), lamentando che non ci fossero abbastanza giocatori bianchi.

Finkielkraut lavora per una delle principali emittenti radio statali ed ha invitato nel suo spettacolo un polemista ebreo ancora più di destra, Éric Zemmour. Zemmour ha riabilitato l’eredità del regime di Vichy del maresciallo Pétain, affermando che aveva cercato di salvare gli ebrei francesi e cose del genere.

Quindi ovviamente questi incidenti sono negativi e non dovrebbero avvenire, ma difficilmente possono essere utilizzati da simili personaggi per dipingere i “gilet gialli” come promotori dell’antisemitismo.

D.B.: In seguito all’incidente di Finkielkraut, martedì scorso a Parigi ci sono state due diverse proteste contro l’antisemitismo: cosa le divideva?

M.B.: Esse rappresentavano due concezioni molto diverse di cosa significhi “antirazzismo”. Prima ho parlato di strumentalizzazione politica, e infatti una delle proteste è stata convocata dal partito Socialista (PS), nell’evidente tentativo di raccogliere sostegno dietro di sé. Il PS è stato a lungo un partito importante, ma nelle elezioni presidenziali del 2017 è crollato al 6% dei voti ed è stato persino obbligato a lasciare il suo storico quartier generale.

Cercando di rivitalizzare la sua base ha convocato una manifestazione che includeva i principali partiti, o almeno “La République en Marche” di Emmanuel Macron e i “Republicains”, di destra. La dimostrazione era un modo per mettere insieme i partiti politici di centro e di destra.

Non sono stati invitati non solo il “Rassemblement national” (ex–Front National) di Marine Le Pen, ma neppure, inizialmente, “La France Insoumise” [partito di sinistra, ndtr.]. È stato un tentativo di strumentalizzare l’antisemitismo, con la volontà di dare l’impressione che al partito di Jean-Luc Mélenchon non gliene fregasse niente di questo problema. Tuttavia personalità di destra e razziste sono state incluse nella marcia convocata dal partito Socialista, compreso Éric Ciotti, un parlamentare dei “Républicains” che voleva introdurre misure per vietare a chi accompagna i bambini per attività extra-scolastiche di portare simboli religiosi, in particolare da aprte di donne che indossano l’hijab [velo islamico, ndt.].

Per noi dell’“Union Juive Française pour la Paix” (UJFP) – un’organizzazione ebraica antirazzista e antisionista – non ha senso manifestare mano nella mano con gente come quella. Allo stesso tempo forze della sinistra – “France Insoumise”, il partito comunista, ma anche quelli come il “Parti des Indigènes de la République” [Partito degli Indigeni della Repubblica, partito che si definisce antiimperialista, anticolonialista e antisionista, ndt.], la cui portavoce Houria Bouteldja per anni ha affrontato attacchi diffamatori infondati, probabilmente in quanto donna araba che difende la giustizia – non dovrebbero farsi coinvolgere in un dibattito di merda, come quello che è divampato in contesti britannici e americani, riguardo a se sono o meno “antisemiti”.

Invece noi di UJFP martedì abbiamo contribuito a organizzare una manifestazione separata che ha insistito sulla necessità di lottare contro l’antisemitismo come parte di un antirazzismo coerente. La manifestazione nel quartiere di Menilmontant a Parigi si è tenuta insieme al “Nuovo Partito Anticapitalista” [gruppo di sinistra di origine troskista, ndt.] e ad altre organizzazioni, come “Indigènes de la République” e altri gruppi che rappresentano lavoratori arabi e persone di origine africana.

Non si può lottare contro il razzismo in un modo che non fa che assolvere lo Stato dalle sue responsabilità nel promuovere l’antisemitismo, l’islamofobia, il razzismo contro i neri e i rom, e quindi la dinamica distruttiva creata quando cerca di dare la prevalenza alla lotta contro una forma di razzismo rispetto alle altre.

D.B.: Enzo Traverso ha segnalato la sensazione di discriminazione che può nascere quando lo Stato prende in considerazione meno seriamente il razzismo contro alcune minoranze rispetto ad altre – facendo loro intendere che sono considerate e protette di meno. Infatti, mentre lo Stato francese proclama di lottare contro l’antisemitismo, è da notare quanto poco i suoi dirigenti abbiano respinto l’idea che in Francia gli ebrei non siano sicuri, per esempio, quando dopo gli attacchi del novembre 2015 a Parigi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha spiegato che gli ebrei francesi dovrebbero andare in Israele per essere davvero sicuri. Come si può separare l’antirazzismo dalla “vittimizzazione competitiva” o dallo scatenare le minoranze le une contro le altre?

M.B.: Nel 2017 Emmanuel Macron ha organizzato la prima commemorazione delle incursioni di “Vel d’Hiv”, in cui gli ebrei vennero radunati in un velodromo di Parigi prima di essere trasportati ai campi della morte in Germania. Scandalosamente lo ha fatto insieme a Benjamin Netanyahu, con il risultato che il capo di una potenza straniera è stato dipinto come se fosse un rappresentante degli ebrei francesi, e quindi come se questi ultimi cittadini fossero meno francesi. Comunque durante questo evento Netanyahu è stato molto contento di sentire Macron descrivere l’antisionismo e la campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) come una pericolosa nuova forma di antisemitismo.

Quello che vorremmo sarebbe che la società e lo Stato francesi prendessero ogni forma di razzismo altrettanto seriamente di quanto fanno con l’antisemitismo. La lotta contro gli attacchi agli ebrei non può essere perseguita in un modo che alimenta al contempo l’islamofobia o prende di mira altre minoranze. Quindi stiamo cercando di creare uno spazio antirazzista in cui possiamo collaborare e studiare strategie con altri movimenti antirazzisti in modo che non ci si limiti a rispondere all’ultima offesa antisemita e poi non si dica nient’altro sul razzismo.

Per fare un esempio di ciò, quando la sopravvissuta all’Olocausto Mireille Knoll è stata uccisa e poi c’è stato un corteo contro l’antisemitismo, certo non ci siamo sentiti di partecipare a una manifestazione che includeva anche il Front National [partito di estrema destra francese, ndt.] (FN). Di fatto in quell’occasione persino la Lega per la Difesa Ebraica, un’organizzazione di estrema destra e ultra-sionista, non ha voluto rimanere in silenzio riguardo alla presenza del FN. Il modo particolare in cui lo Stato lotta contro l’antisemitismo, ignorando altre forme di razzismo, mentre presenta ogni attacco contro un cittadino ebreo come un attacco a tutta la repubblica francese, può in parte alimentare teorie cospirative e risentimento verso gli ebrei, se sono visti come protetti in un modo in cui altri non lo sono. Facciamo molto di più contro l’antisemitismo quando lottiamo contro ogni razzismo che quando lo prendiamo in considerazione come qualcosa di isolato.

D.B.: Negli scorsi giorni Emmanuel Macron ha proposto di classificare l’“antisionismo” come una forma di antisemitismo in sé. C’è stato persino il suggerimento che ciò potrebbe portare a una nuova legge per criminalizzare alcune forme di critica a Israele. Quali reali misure vi aspettate che ciò comporti?

M.B.: L’antisionismo e l’opposizione contro Israele sono opinioni politiche che non dovrebbero in nessun caso essere soggette a restrizioni da parte della legge. Ovviamente l’antisionismo è un’idea che può avere molti significati diversi, dalla generalizzata opposizione al progetto sionista tra gli ebrei prima della fondazione dello Stato di Israele nel 1948, alla posizione di quanti non vogliono distruggere Israele ma piuttosto trasformarlo in uno Stato per tutti i suoi cittadini, compreso il circa 20% della popolazione che è arabo-palestinese. Ovviamente di recente la legge sullo Stato-Nazione ha invece declassato lo status ufficiale dell’arabo in Israele ed ha imposto una discriminazione ancora più pesante contro i palestinesi.

Emmanuel Macron è stato invitato a pronunciare il discorso inaugurale della cena del Consiglio delle Organizzazioni Rappresentative degli Ebrei (CRIF), che, nonostante un passato più di sinistra, è diventato molto di destra e una forza filo-israeliana tra gli ebrei francesi – quasi una seconda ambasciata israeliana – anche se i media francesi spesso lo presentano come la voce di tutta la “comunità ebraica”. È molto più di destra e tollerante riguardo ai neonazisti persino dell’AIPAC [potente organizzazione lobbystica degli ebrei americani a favore di Israele, ndt.]. Lo possiamo vedere nella sua totale mancanza di reazione riguardo all’iniziativa di Netanyahu di offrire posizioni chiave ai kahanisti [dal rabbino Meir Kahane, capo del partito israeliano di ultradestra Kach, messo fuori legge negli anni ’80, ndtr.] (suprematisti ebrei, che si oppongono fermamente alle critiche per l’uccisione di palestinesi), se verrà rieletto.

Il CRIF ha spinto perché l’antisionismo venga classificato come antisemitismo, e quando Macron ha parlato alla cena ha detto che dietro all’opposizione all’esistenza di Israele c’è “la negazione dell’ebreo”. Ha detto che la definizione di antisemitismo proposta dall’“International Holocaust Remembrance Alliance” [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa che intende promuovere la memoria dell’Olocausto formata da 31 Paesi membri, ndtr.] (IHRA) dovrebbe essere adottata per legge, compresi gli esempi specifici che elenca. Questi ultimi hanno già provocato polemiche nel partito Laburista in Gran Bretagna, perché specificano che è antisemita dire che “l’esistenza dello Stato di Israele è un’impresa razzista.”

Ciò significherebbe che chi critica il colonialismo di insediamento potrebbe essere considerato un “antisemita” sulla base del fatto che si oppone al “diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico”. Non si sa quali passi concreti si stiano per fare. Ma, dato che Macron ha parlato di inserire la definizione dell’IHRA nel codice penale, questo potrebbe ulteriormente criminalizzare e impedire il lavoro della campagna francese del BDS e il movimento di solidarietà con la Palestina.

Per ora i partiti di sinistra – come “La France Insoumise” (LFI) e il partito comunista francese – sono rimasti piuttosto silenziosi riguardo alle critiche nei confronti di questa iniziativa, perché non vogliono essere trascinati in un’altra polemica a questo proposito. Non hanno dimostrato molto coraggio. Adrien Quatennens, un giovane e brillante deputato di LFI, ha detto che “non è un’idea molto buona”.

Ma noi, come organizzazione ebraica antisionista, stiamo rispondendo in modo più deciso. Insieme ai nostri alleati resisteremo contro questo attacco alla libertà di parola. In quanto oppositori coerenti dell’antisemitismo e antirazzisti conseguenti difenderemo il diritto a criticare Israele e – soprattutto – a dimostrare solidarietà con i palestinesi.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Miko Peled: lo Stato di Israele andrà in frantumi e prima di quanto la maggior parte delle persone pensi vedremo una Palestina libera e democratica dal fiume al mare

STUART LITTLEWOOD

21 settembre 2018, American Herald Tribune

Miko Peled, figlio di un generale israeliano e lui stesso ex-soldato israeliano, è ora un noto attivista pacifista e un instancabile militante per la giustizia in Terra Santa. È considerato una delle voci più limpide che chiedono di sostenere il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) contro il regime sionista e la creazione di un’unica democrazia con uguali diritti in tutta la Palestina storica. Sarà presente al congresso del partito Laburista a Liverpool del 23-26 settembre. Sono stato abbastanza fortunato da avere la possibilità di intervistarlo prima. In una settimana che segna il settantesimo anniversario dell’uccisione di Folke Bernadotte e il trentaseiesimo anniversario del massacro genocida nel campo di rifugiati di Sabra e Shatila, atrocità commesse per perseguire gli obiettivi sionisti, quello che dice Miko potrebbe fornire argomento di riflessione a quanti scrivono sotto dettatura della lobby israeliana.

Stuart Littlewood: Miko, sei cresciuto in una famiglia sionista con una formazione sionista. Cos’è successo perché tu te ne allontanassi?

Miko Peled: Come suggerisce il titolo della mia autobiografia “The General’Son” [Il figlio del generale], sono nato da un padre che era generale dell’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] e allora, come evidenzia il sottotitolo, ho intrapreso un “viaggio di un israeliano in Palestina”. Il viaggio ha chiarito a me, e attraverso me spero che chiarisca al lettore, quello che “Israele” è e cos’è la Palestina. È un viaggio dalla sfera dell’oppressore e occupante (Israele) a quella dell’oppresso (Palestina) e del popolo nativo della Palestina. Ho scoperto che di fatto è lo stesso Paese, che Israele è la Palestina occupata. Ma senza il viaggio non me lo sarei mai immaginato. Per me è stato fondamentale. Mi ha permesso di vedere l’ingiustizia, la deprivazione, la mancanza di acqua e di diritti, e via di seguito. Più mi sono permesso, e continuo a permettermi, di avventurarmi in questo viaggio, più sono stato in grado di vedere cosa realmente sia il sionismo, cosa sia Israele e cosa sono io in tutto questo.

Molti mesi fa hai avvertito che Israele stava “impegnandosi al massimo, stava calunniando, stava cercando qualunque mezzo possibile per bloccare Jeremy Corbyn [segretario del partito Laburista inglese e futuro candidato alle prossime elezioni britanniche, ndt.]”, e la ragione per cui viene usata l’accusa di antisemitismo è che non hanno altri argomenti. Ciò si è avverato con Jeremy Corbyn sottoposto a un attacco brutale e continuo persino da parte dell’ex-rabbino capo Lord Sacks. Come dovrebbe affrontarlo Corbyn e quali contromisure gli suggeriresti di prendere?

Nel corso del congresso del partito Laburista dello scorso anno Jeremy Corbyn ha chiarito che non consentirà che le accuse di antisemitismo interferiscano con il suo lavoro come leader del partito Laburista e come uomo impegnato a creare una società britannica e un mondo giusti. In quel discorso ha detto qualcosa che nessun dirigente occidentale oserebbe dire: “Dobbiamo porre fine all’oppressione del popolo palestinese.” E’ sempre stato corretto e il suo appoggio sta aumentando. Penso che stia facendo la cosa giusta. Prevedo che continuerà a farla.

E cosa ne dici dell’esternazione di Sacks?

Non c’è da sorprendersi che un razzista che appoggia Israele se ne possa uscire in questo modo – non rappresenta nessuno.

La direzione del partito Laburista, il NEC, ha adottato in pieno la definizione di antisemitismo dell’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, organizzazione intergovernativa che si occupa di antisemitismo e ricordo della Shoa, ndtr.], nonostante gli avvertimenti di esperti giuridici e la raccomandazione da parte della Commissione Ristretta della Camera dei Comuni di inserire riserve. Questa decisione è vista come un cedimento a pressioni esterne e ovviamente ha un impatto sulla libertà di parola che è insita nelle leggi britanniche ed è garantita dalle convenzioni internazionali. Come inciderà ciò sulla credibilità del partito Laburista?

Accettare la definizione dell’IHRA è stato un errore e sono sicuro che su quelli che hanno votato per adottarla ricadrà la vergogna. Ci sono almeno due note già emanate dalla comunità degli ebrei ultra-ortodossi, che rappresenta almeno dal 25% al 30% degli ebrei britannici, in cui rifiutano l’idea secondo cui Jeremy Corbyn è antisemita, rifiutano il sionismo e la definizione dell’IHRA.

Tornando all’occupazione, tu hai detto che 25 anni fa Israele ha raggiunto il suo obiettivo di rendere irreversibile la conquista della Cisgiordania. Perché pensi che le potenze occidentali si aggrappino ancora all’idea della soluzione dei due Stati? Come ti aspetti che evolva la situazione?

Gli USA, e soprattutto l’attuale amministrazione, accettano che Israele abbia inglobato tutta la Palestina mandataria e che non ci sia posto per non ebrei in quel Paese. Non affermano il contrario. Gli europei si trovano in una situazione diversa. I politici in Europa vogliono accontentare Israele e lo accettano com’è. Il loro elettorato, tuttavia, chiede giustizia per i palestinesi per cui, con un atto di compromesso poco coraggioso, i Paesi dell’UE trattano l’Autorità Nazionale Palestinese, con uno stile veramente post-coloniale, come se fosse uno Stato palestinese. Penso che sia per questo che gli europei procedono a “riconoscere” il cosiddetto Stato di Palestina, benché non sia tale. Lo fanno per tener buono il loro elettorato senza fare realmente niente per sostenere la causa della giustizia in Palestina. Questi riconoscimenti non hanno aiutato neppure un palestinese, non hanno liberato neanche un prigioniero dalle carceri israeliane, non hanno salvato un solo bambino dalle bombe a Gaza, non hanno alleviato le sofferenze e le privazioni dei palestinesi nel deserto del Naqab [in ebraico Negev, ndt.] o nei campi di rifugiati. È un gesto vuoto, vigliacco.

Quello che dovrebbero fare gli europei è adottare il BDS. Dovrebbero riconoscere che la Palestina è occupata, che i palestinesi stanno vivendo sotto un regime di apartheid nella loro stessa terra, che sono vittime di una pulizia etnica e di un genocidio e che questo deve cessare e che l’occupazione sionista deve finire del tutto e senza condizioni.

Penso che lo Stato di Israele andrà in frantumi e che prima di quanto la maggior parte delle persone pensi vedremo una Palestina libera e democratica dal fiume al mare. La situazione attuale è insostenibile, due milioni di persone a Gaza non spariranno, Israele ha appena annunciato – di nuovo – che due milioni dei suoi cittadini non ebrei non sono accettati come parte dello Stato, e il BDS sta già lavorando.

L’IDF si autodefinisce l’esercito più etico del mondo. Tu hai fatto il servizio militare nell’IDF. Quanto è credibile questa affermazione?

É una menzogna. Non esiste un esercito etico e l’IDF per settant’anni ha partecipato a una pulizia etnica, a un genocidio e a imporre un regime di apartheid. Di fatto l’IDF è una delle forze terroriste meglio equipaggiate, meglio addestrate, meglio finanziate e meglio nutrite al mondo. Benché abbiano generali e belle uniformi e le armi più sofisticate, non sono altro che bande armate di criminali e il loro scopo principale è terrorizzare e uccidere palestinesi. I suoi ufficiali e soldati eseguono con entusiasmo le politiche brutali e crudeli che sono spietatamente inflitte alla vita quotidiana ai palestinesi.

Breaking the Silence” [Rompere il silenzio, ndt.] è un’organizzazione di veterani dell’IDF impegnata a mettere in luce la verità riguardo a un esercito straniero che cerca di controllare una popolazione civile oppressa da un’occupazione illegale. Sostengono che il loro obiettivo è porre fine prima o poi all’occupazione. Quante possibilità di successo hanno secondo te?

Loro e altre Ong simili potrebbero fare una grande differenza. Sfortunatamente non si spingono abbastanza avanti, non chiedono ai giovani israeliani di rifiutarsi di fare il servizio militare nell’IDF, non rifiutano il sionismo. Senza questi due elementi mi pare che il loro lavoro sia in superficie e non faccia un granché.

Spesso gli israeliani accusano il sistema educativo palestinese di produrre futuri terroristi. Com’è l’educazione in Israele?

Il sistema educativo palestinese viene sottoposto ad uno scrupoloso controllo, quindi ogni accusa di insegnare l’odio è priva di fondamento. Tuttavia Israele fa un ottimo lavoro insegnando ai palestinesi che sono occupati ed oppressi e che non hanno altra scelta che resistere. Lo fanno con l’esercito, la polizia segreta, la burocrazia dell’apartheid, infiniti permessi, divieti e restrizioni sulle loro vite.

I tribunali israeliani insegnano ai palestinesi che non c’è giustizia per loro sotto il sistema israeliano e che non contano niente. Non ho incontrato nessun palestinese che manifestasse odio, ma se qualcuno lo fa è a causa dell’educazione fornita da Israele, non di un qualunque libro scolastico palestinese. Gli israeliani seguono un’approfondita educazione razzista che è ben documentata in un libro di mia sorella, la professoressa Nurit Peled-Elhanan, intitolato “Palestine in Israeli Textbooks” [La Palestina nei testi scolastici di Israele. Ideologia e propaganda nell’istruzione, EGA Edizioni Gruppo Abele, 2015, ndtr.]

Le comunità cristiane stanno rapidamente diminuendo. Gli israeliani sostengono che i musulmani li stanno cacciando, ma i cristiani affermano che è la spietatezza dell’occupazione che ha determinato il fatto che tanti se ne vadano. Che opinione ti sei fatto? Gli israeliani stanno cercando di seminare zizzania tra cristiani e musulmani? É in corso una guerra di religione che spinge i cristiani ad andarsene?

I cristiani rappresentavano il 12% della popolazione palestinese, ora sono a mala pena il 2%. Non c’è nessun altro colpevole oltre a Israele. Israele ha distrutto le comunità e le chiese cristiane come ha distrutto quelle musulmane. Per Israele gli arabi sono gli arabi e non hanno posto nella Terra di Israele. Raccomando vivamente l’eccellente reportage del defunto Bob Simon nel programma “60 minuti” della CBS del 2012 intitolato “Cristiani in Terra Santa”. Alla fine si è scontrato con l’ex-ambasciatore di Israele a Washington che voleva che la messa in onda venisse annullata.

Attualmente ti definisci una persona religiosa?

Non lo sono mai stato.

Tu conosci Gaza. Come giudichi la capacità di Hamas di governare? E mediatori onesti potrebbero lavorare con essa per raggiungere la pace?

Non ho modo di giudicare Hamas in un modo o nell’altro. Ho parlato con persone che hanno lavorato a Gaza per molti anni, sia palestinesi che stranieri, e la loro opinione è che fin dove può arrivare un governo e prendendo in considerazione le durissime condizioni in cui vivono, meritano un elogio.

Qualcuno sostiene che l’opinione pubblica israeliana è per lo più ignara degli orrori dell’occupazione e che la verità gli viene nascosta. Se è vero, ciò inizia a cambiare?

Gli israeliani sanno benissimo delle atrocità e le approvano. Gli israeliani votano, e votano in gran numero e per settant’anni hanno continuato a votare per persone che hanno portato loro e i loro figli a commettere quelle atrocità. Le atrocità sono commesse non da mercenari stranieri, ma da ragazzi e ragazze israeliani che per la maggior parte fanno orgogliosamente il servizio militare. L’unica cosa che è cambiata è il discorso. Nel passato in Israele c’era un’apparenza di discorso civile, e oggi non esiste più. Oggi affermare che Israele deve uccidere sempre più palestinesi è perfettamente accettabile. Nel passato le persone provavano un certo imbarazzo ad ammettere che la pensavano in quel modo.

Israele ha condotto una serie di attacchi armati in acque internazionali contro imbarcazioni per l’aiuto internazionale che portavano rifornimenti di medicinali urgenti e di altro genere non militare alla popolazione assediata di Gaza. Equipaggio e passeggeri sono stati regolarmente picchiati e incarcerati, alcuni uccisi. Ora gli organizzatori devono rinunciare o rinnovare i loro tentativi utilizzando tattiche diverse?

Le flottiglie di Gaza sono sicuramente da lodare, ma se l’obiettivo è raggiungere le spiagge di Gaza sono destinate a fallire. Il loro valore risiede solo nel fatto che sono un’espressione di solidarietà e ci si deve chiedere se il tempo, lo sforzo, il rischio e le spese giustifichino il risultato. Israele farà in modo che nessuno riesca a passare e il mondo non presta loro molta attenzione. A mio parere le flottiglie non sono la forma migliore di azione. Nessuno dei problemi nella continua tragedia dei palestinesi può essere risolto singolarmente. Non l’assedio a Gaza, non i prigionieri politici, non la questione dell’acqua, non le leggi razziste, ecc.

Solo una strategia mirata e ben coordinata per delegittimare e abbattere il regime sionista può portare giustizia alla Palestina. Il BDS ha il miglior potenziale per questo, ma non viene utilizzato a sufficienza e si perde troppo tempo a discuterne i vantaggi.

Sicuramente una delle debolezze di quelli che si preoccupano di vedere la giustizia in Palestina è che chiunque abbia un’idea semplicemente “vi si dedica”. Ci sono poco coordinamento e poca strategia riguardo alla questione fondamentale di come liberare la Palestina. Israele è riuscito a creare un senso di impotenza da questa parte e a legittimare se stesso e il sionismo in generale, e questa è una sfida impegnativa.

Questa settimana è stato il settantesimo anniversario dell’uccisione di un diplomatico svedese, il conte Folke Bernadotte, da parte di un commando sionista mentre fungeva da mediatore del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel conflitto arabo-israeliano. Tutti sono rimasti stranamente indifferenti a questo, persino gli svedesi.

Questo è stato uno tra i molti assassinii politici perpetrati da gruppi terroristici sionisti di cui nessuno è stato chiamato a rispondere. Il primo fu nel 1924, quando assassinarono Yaakov Dehan [scrittore ebreo olandese antisionista, ndt.]. Poi nel 1933 uccisero Chaim Arlozorov [sindacalista, poeta e politico israeliano, ndt.]. Il massacro nel 1946 dell’hotel King David [sede del governo mandatario britannico in Palestina, ndt.] fu ovviamente motivato da ragioni politiche e provocò quasi cento morti, molti dei quali persone innocenti che si trovarono nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Poi nel settembre 1948 l’assassinio a Gerusalemme dell’intermediario dell’ONU e membro della famiglia reale svedese, Folke Bernadotte, che a quanto pare era arrivato con piani per porre fine alla violenza in Palestina, piani che i dirigenti sionisti non consideravano accettabili. Bernadotte è sepolto in un’umile tomba di famiglia a Stoccolma, che io sappia non sono previste cerimonie commemorative o qualunque riferimento a questo anniversario da parte di alcuna organizzazione ufficiale svedese. Mio nonno fu il primo ambasciatore israeliano in Svezia. Ciò avvenne poco dopo l’assassinio e fece un buon lavoro per garantire che il governo svedese mettesse a tacere la questione.

Ci furono molte più uccisioni e massacri – viene in mente l’attacco contro la nave da guerra USA “Liberty” e il ruolo giocato dalla brutalità dell’apparato sionista che vede l’assassinio come uno strumento legittimo per raggiungere i propri obiettivi politici. Si sa o si ricorda poco di queste brutali uccisioni. Innumerevoli dirigenti, scrittori, poeti, ecc. palestinesi vennero assassinati da Israele.

Il movimento di solidarietà con la Palestina ripone molte speranze nel BDS. Quanto è efficace il BDS e come la società civile può aumentare al massimo la pressione?

Il BDS è un processo molto efficace ma lento. Non funzionerà per intervento magico o divino. Le persone devono accoglierlo a pieno, lavorare duramente, chiedere l’espulsione di tutti i diplomatici israeliani e l’isolamento totale di Israele. C’è troppa tolleranza per quelli che promuovono il sionismo, Israele e l’esercito israeliano e questo deve cambiare. I politici eletti devono essere obbligati ad accettare il BDS in toto. I gruppi solidali con la Palestina devono passare dalla solidarietà alla resistenza totale, e il BDS è la forma ideale di resistenza a disposizione.

Ci sono altre questioni fondamentali che stai affrontando adesso?

Ritengo che a questo punto sia fondamentale passare dalla solidarietà alla resistenza. È importantissimo utilizzare gli strumenti a nostra disposizione, come il BDS. L’approvazione della legge israeliana sullo Stato-Nazione è un’opportunità per unire di nuovo i cittadini palestinesi di Israele con gli altri palestinesi. Tutti noi dobbiamo cercare di portare l’unità totale tra i rifugiati, la Cisgiordania, Gaza e il 1948 [cioè Israele, ndt.] e chiedere la totale uguaglianza di diritti e la sostituzione del regime sionista che ha terrorizzato la Palestina per settant’anni con una Palestina libera e democratica. Spero che questa opportunità venga colta.

Per terminare, Miko, come stanno andando i tuoi due libri – ‘The General’s Son’  e ‘Injustice: The Story of The Holy Land Foundation Five’ [Ingiustizia: la storia dei cinque della “Fondazione della Terra Santa”, sui responsabili di una Ong USA ingiustamente condannati per finanziamenti mai avvenuti ad Hamas, ndtr.]? Mi pare che l’ultimo, che racconta come il sistema giudiziario negli USA sia stato indebolito a favore di interessi filo-israeliani, dovrebbe essere un libro molto letto qui, nel Regno Unito, dove la stessa cosa sta avvenendo nelle nostre istituzioni politiche e parlamentari e potrebbe diffondersi nei tribunali.

Beh, stanno andando bene, benché nessuno dei due sia ancora un best seller, e dato che stiamo dalla parte meno popolare della questione è difficile venderlo. “The general’s son” è uscito nella seconda edizione, per cui va bene, e naturalmente mi piacerebbe vedere questo e “Injustice” in mano a più persone. Purtroppo però poca gente ha capito come l’occupazione in Palestina stia colpendo le vite di persone in Occidente a causa del lavoro di gruppi di controllo sionisti come il Board of Deputies [gruppo di parlamentari britannici che appoggia Israele, ndt.] in Gran Bretagna e AIPAC e ADL [due associazioni lobbistiche a favore di Israele, ndtr.] negli USA.

In questo solo caso, cinque innocenti stanno scontando condanne di lunga durata nelle prigioni federali degli USA solo perché sono palestinesi.

Molte grazie, Miko, ti ringrazio per aver trovato il tempo di condividere le tue opinioni.

La principale delle molte idee positive che ho avuto da questo incontro con Miko è la necessità per gli attivisti di cambiare marcia e accelerare dalla solidarietà alla resistenza totale. Ciò significherà maggiore coinvolgimento, miglior coordinamento, modificare gli obiettivi e una strategia più acuta. Di fatto un BDS MK2, sovralimentato e con benzina ad alto numero di ottani. In secondo luogo, dobbiamo trattare il sionismo e quelli che lo promuovono con molta minore tolleranza. Come ha detto Miko in un altra occasione, “se opporsi ad Israele è antisemitismo, allora come chiamate l’appoggio a uno Stato impegnato da settant’anni in una brutale pulizia etnica?”

Riguardo a Jeremy Corbyn – se legge questo articolo – sì, sarebbe meglio che ci andasse giù pesante con i seminatori d’odio, compresi i veri antisemiti con la schiuma alla bocca, ma dovrebbe anche ripulire il partito Laburista della sua altrettanto spregevole “Tendenza Sionista”. E questo vale per tutti i nostri partiti politici.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Antisionismo significa essere contrari al nazionalismo ebraico in Palestina

Rima Najjar

Palestine Chronicle – 6 febbraio 2019

Quanti calunniano gli antisionisti accusandoli ingiustamente di antisemitismo sanno molto bene che l’antisionismo significa essere contrari al nazionalismo ebraico come si è manifestato nel territorio della Palestina storica, ora divisa tra Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, ma di fatto controllata dallo Stato ebraico.

Il sionismo è un prodotto della filosofia ebraica e si basa sulla cultura e sul pensiero ebraici, che hanno le loro radici nell’ebraismo. Lo scopo fondamentale del regime sionista del colonialismo di insediamento di Israele è di rimanere uno Stato ebraico. Accuse esagerate e false di antisemitismo intendono creare un clima di paura in cui le campagne per i legittimi diritti umani dei palestinesi vengono soffocate.

La missione sionista, prima di rivendicazione violenta e poi di conservazione di Israele come Stato ebraico per gli ebrei di tutto il mondo in Palestina, impone che Israele possa esistere solo come Stato dell’apartheid, che non possa assolutamente mai essere veramente democratico.

L’idea del nazionalismo ebraico (riunire tutti gli ebrei del mondo in Palestina e rinominarla “la Terra di Israele”) è la causa diretta della pulizia etnica dei palestinesi e della continua guerra di Israele contro la nostra stessa esistenza come popolo indigeno della Palestina (vedi “Palestine: A Four Thousand Year History” [Palestina: una storia di quattromila anni] di Nur Masalha). Il fatto che io abbia sentito il dovere di rinviare il lettore al libro di Masalha dà la misura del livello di successo dell’hasbara [propaganda, ndtr.] avvelenata di Israele.

Il nazionalismo ebraico si manifesta come colonialismo di insediamento. Un concetto (colonialismo di insediamento, che ora è molto più accettato come paradigma per comprendere la Nakba – ma solo se viene inteso come colonialismo di suprematisti bianchi, non di suprematisti ebrei) non ne esclude un altro che opera in Palestina, cioè sionismo ebraico = nazionalismo ebraico = supremazia ebraica = apartheid.

Il linguaggio antisionista rimane problematico perché è necessariamente chiuso nella cappa dell’ebraismo. Joseph Massad definisce il sionismo come “un movimento colonialista…costituito nell’ideologia e nella prassi da un’epistemologia religiosa-razziale.”

È difficile dire la parola “ebreo” o “ebraico” in relazione con la tragedia palestinese senza essere ferocemente calunniati o senza che le nostre idee vengano “contestate”. Lo stesso linguaggio a sostegno del movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni [contro Israele] (BDS), cioè per i diritti umani dei palestinesi, è incredibilmente tabù persino per un’istituzione per i diritti civili!

Il comunicato del “Civil Rights Institute” [Istituto per i Diritti Umani] di Birmingham [negli USA, ndtr.] che ripristina il premio ad Angela Davis è stato salutato da molti come una rivendicazione dell’integrità di Angela Davis in quanto attivista dei diritti umani. A mio parere, tuttavia, ha ulteriormente accusato l’istituto, in quanto il linguaggio del comunicato implicitamente condivide una menzogna sionista – cioè il sostegno alla Palestina = sostegno alla violenza (ovvero al terrorismo).

Per quanti sono consapevoli che la revoca del premio è stata determinata da pressioni da parte della comunità ebraica di Birmingham a causa del sostegno di Davis al movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni, il linguaggio che segue è vergognoso perché nasconde quel fatto:

I membri del consiglio hanno informato delle discussioni che hanno avuto con vari membri della comunità che hanno espresso la propria opposizione per la concessione del premio alla dott.ssa Davis a causa della sua mancata esplicita opposizione alla violenza.”

Il linguaggio usato elimina totalmente la lotta palestinese dall’equazione. Un discorso che ha a che fare con l’appoggio ai diritti umani dei palestinesi non dovrebbe essere controverso e evitato come la peste dal Civil Rights Institute di Birmingham!

Molti di noi attivisti nella lotta per la giustizia in Palestina siamo ora capaci di criticare il sionismo come movimento di colonialismo di insediamento, ma parecchi non si sentono a proprio agio o capaci di districare le importanti radici del sionismo che si trovano nell’ebraismo.

Dagli inizi del secolo,” scrivono Richard Falk e Virginia Tilley nel rapporto dell’ESCWA [Commissione economica e sociale dell’ONU per l’Asia occidentale, ndtr.] sull’apartheid israeliana contro il popolo palestinese, “la storia del movimento sionista si è centrata sulla creazione e la conservazione di uno Stato ebraico in Palestina…Per rimanere uno ‘Stato ebraico’ sono necessarie una indiscussa dominazione nazionalista ebraica sul popolo nativo palestinese – un vantaggio garantito nella democrazia israeliana dalle dimensioni della popolazione – e leggi dello Stato, istituzioni nazionali, pratiche di sviluppo e politiche per la sicurezza tutte centrate su questo obiettivo. A seconda di dove vivono vengono applicati alle popolazioni palestinesi diversi metodi, che richiedono modifiche nella loro amministrazione…La Knesset scoraggia i partiti politici dall’adottare un programma che contenga una qualunque sfida all’identità di Israele come Stato ebraico.”

L’insistenza in malafede che ogni tanto si sente, secondo cui la parola “ebraico” nel brano succitato non si riferisce in nessun modo alla fede e che riguarda solo gli ebrei non religiosi, assimilati, atei, socialisti che hanno fondato il movimento sionista, è un grande ostacolo sul cammino di chiunque sia interessato a smantellare Israele come Stato ebraico – cioè per la realizzazione di uno Stato veramente democratico e secolare nella Palestina storica.

Oggi in tutto il mondo sinagoghe e rabbini sono quelli che indottrinano le proprie comunità ad adorare Israele e un’identità tribale, si potrebbe dire medievale. E alla loro testa c’è il rabbino capo di Israele. Quelli che non lo fanno sono ai margini.

Alcuni, ebrei e non ebrei, soprattutto cristiani cresciuti, come Alice Walker, nella tradizione cristiana che “venera una Bibbia che contiene i Salmi e passaggi profetici su ‘Sion’” e che credono che le persone siano condizionate molto più dalla propria religione, una parte della loro cultura, che da qualunque altra cosa, sono spinti a “tornare indietro” per comprendere il male che noi esseri umani commettiamo – certamente un’introspezione personale, come un dovere:

Dobbiamo andare indietro

Come persone adulte, ora,

Non come gli ingenui bambini che siamo stati una volta,

e studiare la nostra programmazione,

dall’inizio.

Ogni cosa: i cristiani, gli ebrei,

i musulmani; persino i buddisti. Ogni cosa, senza eccezione,

dalle radici.

[dalla poesia del 2017 di Alice Walker “It Is Our (Frightful) Duty” [E’ il nostro (terribile) dovere]

È anticristiano tornare alla Bibbia e interpretare i versetti che ispirano i cristiani evangelici a commettere il male e a provocare indicibili sofferenze al popolo palestinese in “Terra Santa”? È antiebraico (non voglio dire antisemita perché non sono sicura di capire più cosa esso significhi) analizzare quello che nel Talmud possa ispirare i rabbini capo di Israele nel loro razzismo e nella loro crudeltà, nell’avvallare la pulizia etnica e il genocidio?

Come ha commentato Virginia Tilley in una discussione pubblica su Facebook:

Sfortunatamente l’idea che gli ebrei abbiano un diritto esclusivo letteralmente concesso da dio di proteggere se stessi e la ‘loro’ terra dai non ebrei a qualunque costo è una forte tendenza all’interno dell’ideologia nazionalista israeliana (penso che alcuni rabbini dell’esercito abbiano recentemente ribadito questo punto). Gli afrikaner, che avevano anch’essi un’ideologia del ‘popolo eletto’, in Sud Africa la pensavano allo stesso modo riguardo agli ‘altri’. Un interessante libro che confronta varie dottrine sul popolo eletto è ‘Chosen Peoples: Sacred Sources of National Identity’ [Popoli eletti: fonti sacre dell’identità nazionale] di Anthony Smith.”

Un sondaggio del 2016 ha rivelato che circa metà degli ebrei israeliani crede nella pulizia etnica: il presidente israeliano Reuven Rivlin ha definito i risultati “un campanello d’allarme per la società israeliana” – intendendo la società ebreo-israeliana.

Il mondo deve riconoscere e fare i conti con il fatto che i palestinesi sono oppressi da oppressori che sono ebrei, che ci hanno colonizzati in quanto ebrei. Dobbiamo sfidare l’eccezionalismo ebraico e il privilegio ebraico nel movimento.

Criticare lo Stato ebraico, uno Stato basato su un’epistemologia religiosa-razziale e chiedere la sua fine in quanto tale non equivale alla distruzione dell’ebraismo, equivale alla distruzione dell’apartheid e della supremazia ebraica come si manifesta nello Stato ebraico di Israele.

Dato che un’ideologia del ‘popolo eletto’ è fermamente inserita nel nazionalismo ebraico pensato oggi e che tale indottrinamento influisce negativamente su come gli ebrei di Israele ed altri sionisti vedono gli “altri”, soprattutto i palestinesi che pensano abbiano preso “la loro terra” e non il contrario, Israele ha bisogno di più campagne di educazione simili a quelle messe in atto da “Zochrot” [associazione israeliana che sistema cartelli con i nomi arabi dove sorgevano villaggi palestinesi distrutti durante la Nakba, ndtr.] e da “De-Colonizzatore” (ricerca e laboratorio artistico per il cambiamento sociale) per contribuire a smantellare la tossica identità ebraica che il sionismo ha diffuso in lungo e in largo e farci andare tutti verso uno Stato secolare e democratico in tutta la Palestina dal fiume [Giordano, ndtr.] al mare [Mediterraneo, ndtr.].

Rima Najjar è un’ex docente (ora in pensione) all’università Al-Quds, in Palestina. Viene da Lifta, Gerusalemme e Ijzim, Haifa, e attualmente vive negli Stati Uniti.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Le guerre dell’antisemitismo

Karl Sabbagh, Le guerre dell’antisemitismo, Skyscraper Publications, novembre 2018, pp. 272.

Hilary Wise – 17 dicembre 2018,Middle East Monitor

Con accuse di antisemitismo che occupano regolarmente le prime pagine coinvolgendo personaggi di alto profilo come Ken Livingtone [ex-sindaco laburista di Londra dal 2000 al 2008, ndtr.] o l’ex rabbino capo britannico Jonathan Sacks, chi può essere all’oscuro del fatto che è in corso un’appassionata lotta? Tuttavia, qual è la realtà che sta dietro questi titoli?

La meticolosa analisi dei fatti di Karl Sabbagh è di un tempismo perfetto. Insinuazioni e accuse contro persone che fanno campagna per i diritti dei palestinesi, ovviamente, continuano da decenni, ma gli ultimi due anni hanno visto un massiccio incremento dell’ampiezza e nell’intensità degli attacchi, soprattutto contro la Sinistra, compreso il leader del partito Laburista Jeremy Corbyn. Mentre la possibilità di una vittoria dei laburisti si profila sempre più vicina, organizzazioni come il “Jewish Labour Movement” [Movimento degli Ebrei Laburisti] (JLM), “Labour against Anti-Semitism” [Laburisti Contro l’Anti-semitismo] (LAAS), il “Board of Deputies of British Jews” [Comitato dei Deputati Ebrei Britannici], la Campaign against Anti-Semitism [Campagna contro l’Antisemitismo] (CAA) ed altri hanno intensificato la campagna. Questo libro è quindi sia un resoconto di attività del passato che un avvertimento sul peggio che deve ancora venire.

Per chi non è informato sulla storia della regione, il capitolo introduttivo fornisce un riassunto chiaro, compresa una confutazione punto per punto dei miti spesso ripetuti utilizzati per giustificare l’iniziale e continua espulsione ed oppressione della popolazione nativa della Palestina. Ne consegue che, di fronte a simili prove inconfutabili, l’unica risorsa a disposizione della lobby filo-israeliana è cercare di far tacere le critiche.

I diversi metodi utilizzati emergono da una serie di resoconti personali. Lo scrittore e musicista Tom Suarez ha scoperto che il CAA non solo ha chiesto che venisse escluso come oratore, sia in Gran Bretagna che negli USA, ma ha fatto anche campagna perché ovunque gli fosse negato un ingaggio come musicista. Tony Greenstein, ben noto blogger e attivista a favore dei diritti dei palestinesi, ha fornito un dettagliato resoconto di cosa significhi essere trascinato di fronte alla Commissione Costituzionale Nazionale del partito Laburista, in un lungo e traumatico processo pseudo-legale. Centinaia di membri del partito sono stati denunciati in questo modo da gruppi di persone che controllano minuziosamente internet, non tanto per cercarvi affermazioni antiebraiche quanto critiche contro Israele. I numeri che ne risultano consentono alla lobby di accusare quello laburista come un partito che non è stato attivo nell’estirpare l’”endemico” antisemitismo tra i suoi membri.

Jeremy Corbyn ed altri leader del partito sono oggetto di critiche per non aver risposto rapidamente e nettamente agli attacchi. La politica dei gesti rassicuranti e le proteste di innocenza sembrano avere semplicemente rinvigorito la campagna contro il partito Laburista.

Nel suo capitolo che si occupa dei gruppi di controllo, Sabbagh dimostra quanto utilizzino qualunque cosa, da citazioni decontestualizzate a pure e semplici invenzioni, compresi scambi orali che non possono essere verificati. Di fatto il CAA, un’associazione benefica riconosciuta è specializzata nella scoperta (spesso inventata) di incidenti di antisemitismo e nell’intimidazione di individui e gruppi che fanno campagna o di luoghi di riunione che ospitano eventi a favore dei palestinesi. Il suo esplicito obiettivo è “ottenere conseguenze disastrose, che siano penali, professionali, finanziarie o di immagine” per chi critica Israele. Hanno chiesto che vengano avviate azioni penali per “discorsi di odio” dalla procura generale e che docenti universitari che parlano a favore dei diritti dei palestinesi vengano licenziati. Come molte persone prese di mira possono testimoniare, anche se le accuse si dimostrano false, una volta che la calunnia viene lanciata il danno è fatto. Pubbliche smentite (raramente fatte) possono non essere lette, e molte persone non si possono permettere di adire a vie giudiziarie. La risposta ad altri che dicono la verità è chiara: denuncia Israele e ciò può succedere anche a te. Esempi della reale criminalizzazione delle critiche contro Israele negli Stati Uniti dovrebbero servire come avvertimenti per chiunque in questo Paese.

Il vergognoso ruolo giocato dai media è un tema ricorrente nel libro di Sabbagh. Il fatto che i “sondaggi” della CAA sull’opinione pubblica ebraica siano stati presentati come estremamente approssimativi, tra gli altri da leader e commentatori ebraici, non ha impedito a molti dei principali media dal citarli come fonti di informazione affidabili.

Per esempio affermazioni infondate secondo cui un terzo degli ebrei britannici stanno prendendo in considerazione l’idea di emigrare sono semplicemente citate come un fatto. L’assurda, quasi isterica reazione del rabbino Sacks a un commento assolutamente banale di Jeremy Corbyn è un esempio calzante. Non un solo mezzo di comunicazione importante ha seriamente messo in discussione il suo incredibile paragone con il famoso discorso su “fiumi di sangue” di Enoch Powell [politico ultraconservatore inglese, ndtr.].

L’analisi di Sabbagh sui mezzi di comunicazione più importanti a questo riguardo è confermata da un recente rapporto della “Media Reform Coalition” [Coalizione per la Riforma dei Media, insieme di gruppi inglesi della società civile per la ricerca e campagne per migliorare l’informazione, ndtr.] (illustrato nell’Appendice). Mostra che inesattezze diffuse e ripetuto hanno teso a promuovere il concetto che il partito Laburista è istituzionalmente antisemita.

Al centro del libro si trova la controversia relativa alla definizione di antisemitismo dell’”International Holocaust Remembrance Alliance” [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto] (IHRA), dato che essa diventata l’arma prediletta della lobby israeliana. In sé la definizione è indiscutibile, ma alcuni degli esempi presuntamene “utili” relativi ad Israele – che la lobby ha lottato con le unghie e coi denti perché venissero inclusi – sono molto sospetti. Lo scopo apertamente dichiarato è di confondere ogni critica di Israele con l’antisemitismo. Sabbagh lo dimostra nel dettaglio e segnala il pericolo della sua adozione, citando numerose opinioni giuridiche, compresa quella di avvocati che di fatto hanno formulato la definizione originale.

Altri documenti fondamentali che vengono forniti sono trascrizioni del documentario di Al Jazeera “La Lobby”, che evidenza le interferenze del governo israeliano sulla politica britannica. Una serie di documentari simili più recenti sulla lobby negli USA non è stata messa in onda, ma fortunatamente è filtrata su internet. È incluso anche un resoconto delle accuse di antisemitismo fatte contro la baronessa Jenny Tonge [ex deputata del partito Liberal Democratico, espulsa dal partito con accuse di antisemitismo per aver difeso i diritti dei palestinesi, ndtr.] quando ha presieduto un incontro in parlamento.

L’effetto cumulativo di tutti questi dati attentamente studiati e chiaramente presentati è profondamente agghiacciante. Le implicazioni per la libertà di parola in Gran Bretagna – la base fondamentale della nostra democrazia – sono ineludibili. Sfortunatamente, praticamente per definizione i principali media molto probabilmente non recensiranno una pubblicazione che rivela il loro approccio di parte e negligente verso uno dei principali problemi dei nostri tempi. Speriamo che il passaparola e il potere delle reti sociali attirino i lettori che questo libro merita.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Da Marc Lamont Hill ai quaccheri, non è permesso criticare Israele

Jonathan Cook

Venerdì 7 dicembre 2018,Middle East Eye

Il licenziamento di Marc Lamont Hill da parte della CNN e l’indignazione nei confronti di Airbnb e dei quaccheri rivela una totale intolleranza verso le critiche

Per trent’anni il 29 novembre le Nazioni Unite hanno celebrato una giornata annuale di solidarietà con il popolo palestinese. Raramente questo avvenimento ha meritato anche solo un timido accenno da parte dei principali mezzi di comunicazione. Fino alla scorsa settimana.

Marc Lamont Hill, un illustre docente universitario statunitense e commentatore politico della CNN, si è ritrovato sommerso da uno tsunami di critiche per un discorso che ha tenuto alla sede ONU di New York. Ha chiesto la fine dello screditato modello di negoziati interminabili e futili di Oslo sul diritto dei palestinesi ad avere uno Stato – una strategia che è già ufficialmente arrivata a scadenza da due decenni.

Ha proposto di sviluppare al suo posto un nuovo modello di pace regionale basato su un solo Stato che offra uguali diritti a israeliani e palestinesi. Sotto una raffica di critiche secondo cui il suo discorso era antisemita, la CNN lo ha licenziato in tronco.

Il suo licenziamento ripropone recenti polemiche, ampiamente create ad arte per fronteggiare i tentativi da parte di alcune organizzazioni di prendere una posizione più concreta ed etica sul conflitto israelo-palestinese. Sia Airbnb, un sito per la prenotazione di alloggi, che il ramo britannico dei quaccheri, un insieme di movimenti religiosi cristiani, sono stati sommersi da grida di indignazione in risposta alle loro modeste iniziative. Lo scorso mese Airbnb ha annunciato che avrebbe tolto dal suo sito tutte le proprietà situate in Cisgiordania in colonie ebraiche illegali su territorio palestinese. Poco dopo, i quaccheri hanno dichiarato che si sarebbero rifiutati di investire in compagnie che traggano profitto dal furto israeliano di risorse palestinesi nei territori occupati.

Entrambe le iniziative sono pienamente in linea con le leggi internazionali, che vedono il trasferimento della popolazione di una potenza occupante in territori occupati – la fondazione di colonie – come un crimine di guerra. Di nuovo, come per Hill, le due organizzazioni sono state duramente colpite da reazioni ostili, comprese accuse di malanimo e antisemitismo, soprattutto da parte di importanti, presunti progressisti, rappresentanti di gruppi dirigenti ebraici negli USA e in Gran Bretagna.

Ciò che questi tre casi dimostrano è come l’antisemitismo si sia rapidamente esteso a comprendere persino forme estremamente limitate di critica contro Israele e di appoggio ai diritti dei palestinesi. Questa ridefinizione avviene nel momento in cui Israele è guidato dal governo più estremista ed ultranazionalista della sua storia.

Queste due tendenze sono collegate tra loro. I casi in questione rivelano anche la crescente aggressività di una politica identitaria emotiva che è stata ribaltata – depoliticizzata per schierarsi con il forte contro il debole.

Esseri umani inferiori

Delle tre “polemiche”, il discorso di Hill ha proposto la maggiore rottura con l’ortodossia occidentale su come risolvere il conflitto israelo-palestinese – o almeno un’ortodossia definita dagli accordi di Oslo a metà degli anni ’90. Quegli accordi disponevano che, se i palestinesi avessero atteso pazientemente, un giorno Israele avrebbe concesso loro uno Stato su meno di un quarto della loro patria. Circa 25 anni dopo, i palestinesi stanno ancora aspettando e nel frattempo la maggior parte del loro previsto Stato è stata divorata da colonie d’insediamento israeliane.

Nel suo discorso Hill ha messo la spoliazione dei palestinesi da parte del movimento sionista nella corretta prospettiva – sempre più riconosciuta da accademici ed esperti – in quanto progetto colonialista di insediamento.

Ha anche correttamente osservato che la possibilità di una soluzione dei due Stati, se mai sia stata realizzabile, è stata usurpata dalla determinazione israeliana a creare un solo Stato, che privilegia gli ebrei, su tutta la Palestina storica. Nella Grande Israele, i palestinesi sono destinati ad essere trattati come esseri umani inferiori. Hill osserva che la storia suggerisce che c’è solo una possibile soluzione etica a tali situazioni: la decolonizzazione, che riconosca la situazione esistente di uno Stato unico, ma insista su uguali diritti per israeliani e palestinesi.

Invece di sfidare Hill sulla logica inattaccabile del suo discorso, le critiche hanno fatto ricorso a dichiarazioni incendiarie. È stato accusato di utilizzare un linguaggio antisemita – quello utilizzato da Hamas – in riferimento ad un’azione internazionale per garantire “una Palestina libera dal fiume al mare.”

Con un doppio salto di falsa logica, Israele e i suoi sostenitori hanno sostenuto che Hamas utilizza la definizione [“dal fiume al mare”] per dichiarare la propria intenzione genocida di sterminare gli ebrei e che Hill ha ripetuto queste opinioni. Dani Dayan, console generale di Israele a New York, ha definito Hill “un razzista, un fanatico, un antisemita”, e ha paragonato le sue considerazioni a una “svastica dipinta di rosso”.

Ben Shapiro, un analista di Fox News, gli ha fatto eco, sostenendo che Hill ha chiesto “l’uccisione di tutti gli ebrei” nella regione. Allo stesso modo Seth Mandel, caporedattore del Washington Examiner [giornale e sito informativo conservatore, ndtr.] ha sostenuto che Hill avrebbe chiesto un “genocidio degli ebrei”.

Anche l’“Anti-Defamation League” [Lega contro la Diffamazione] (ADL), un’importante e teoricamente progressista organizzazione ebraica che sostiene di appoggiare un trattamento uguale per tutti i cittadini USA, ha stigmatizzato Hill sostenendo: “Queste richieste per [il territorio] ‘dal fiume al mare’ sono appelli a favore della fine dello Stato di Israele.”

Lo slogan del Likud “dal fiume al mare”

Di fatto l’espressione “dal fiume al mare” – in riferimento al territorio tra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo – ha una lunga genealogia sia nel discorso israeliano che in quello palestinese. È solo un modo diffuso di riferirsi a una regione denominata un tempo Palestina storica.

Lungi dall’essere uno slogan di Hamas, è utilizzato da chiunque rifiuti la partizione della Palestina e sia a favore di uno Stato unico. Ciò include tutti i vari partiti dell’attuale governo israeliano.

In effetti lo statuto di fondazione del partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu prevede esplicitamente un Grande Israele che neghi ai palestinesi qualunque speranza di uno Stato. Utilizza esattamente lo stesso linguaggio: “Tra il mare e il Giordano ci sarà solo la sovranità israeliana.”

Persino dopo che lo statuto è stato modificato nel 1999, in seguito agli accordi di Oslo, esso ha continuato a invocare un Grande Israele, dichiarando che “il fiume Giordano sarà il confine orientale permanente dello Stato di Israele.”

Il modello israeliano di apartheid

La differenza tra la posizione di Hamas e del governo israeliano da una parte e di Hill dall’altra è che Hill propone uno Stato unico che tratti tutti i suoi abitanti come uguali, e non che fornisca l’assetto per la dominazione di un gruppo religioso o etnico sull’altro.

In breve, a differenza di Netanyahu e dei dirigenti israeliani, Hill rifiuta un modello di occupazione permanente e di apartheid. A quanto pare ciò, secondo la CNN e l’ADL , è un delitto passibile di licenziamento.

Invece la CNN ha a lungo avuto tra i suoi collaboratori l’ex senatore USA Rick Santorum, benché costui abbia sostenuto che il territorio dal fiume al mare è “tutta terra israeliana” e usi un linguaggio che suggerisce il genocidio dei palestinesi.

L’assurdità degli attacchi contro Hill dovrebbe essere evidente quando si consideri che molti dei recenti attori principali del processo di pace – dall’ex-primo ministro israeliano Ehud Barak all’ex-segretario di Stato USA John Kerry – hanno avvertito che Israele sta per diventare un regime di apartheid nei confronti dei palestinesi.

Fanno questa previsione proprio perché una serie di governi israeliani ha categoricamente rifiutato di ritirarsi dai territori occupati.

Dato che sotto Donald Trump gli USA hanno abbandonato ogni prospettiva di uno Stato palestinese – realizzabile o meno –, Hill ha semplicemente evidenziato che il re è nudo. Ha descritto una verità che nessuno che possa cambiare la terribile situazione attuale sembra pronto a prendere in considerazione.

Diritto a resistere

Hill è stato anche accusato di antisemitismo perché appoggia metodi di pressione su Israele per porre fine alla sua intransigenza, che ha tenuto i palestinesi sotto occupazione per più di mezzo secolo.

Hill ha messo in evidenza il diritto di un popolo occupato a resistere al proprio oppressore, un diritto che tutte le capitali occidentali hanno ignorato e ora invariabilmente definiscono come terrorismo, persino quando gli attacchi dei palestinesi sono contro soldati israeliani armati che attuano un’occupazione militare.

Ma lo stesso Hill ha sostenuto una resistenza diversa, gandhiana, non violenta e una solidarietà con i palestinesi nella forma del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) – precisamente il tipo di proteste internazionali che contribuì alla decolonizzazione del Sudafrica.

Il boicottaggio trasformato in orco

Negli ultimi anni e sotto la pressione del governo israeliano, i sostenitori dell’occupazione israeliana e gli Stati occidentali hanno trasformato il BDS in orco. La sua fondatezza non viene più dibattuta. Non è presentato come strategia per porre fine all’occupazione e neppure come mezzo per fare pressione su Israele per rendere più liberale un’ideologia che sostiene la supremazia etnica della maggioranza ebraica sul quinto della popolazione israeliana che è palestinese.

Invece si dice che sia una prova di antisemitismo e sempre più, di conseguenza, di volontà genocida. Il fatto che il movimento BDS stia prendendo piede nelle università occidentali e sia stato accettato da un notevole numero di giovani ebrei antisionisti è semplicemente ignorato. Invece la tendenza crescente è di dichiararlo fuorilegge e di trattarlo come preludio al terrorismo.

Quindi il discorso di Hill è stato un attacco diretto ai confini silenziosi del dibattito pubblico, fermamente sorvegliati dai sostenitori di Israele e dagli Stati occidentali per evitare discussioni sensate su come porre fine all’occupazione israeliana e ribadire il diritto dei palestinesi alla dignità e all’autodeterminazione.

La ragione per cui è così importante per i sostenitori di Israele far tacere qualcuno come Hill è che fa riferimento a una palese contraddizione.

Il suo discorso si riferisce precisamente al fatto che il sionismo, l’ideologia dello Stato di Israele, è incompatibile con uguali diritti per i palestinesi nella loro patria storica. Implica che l’occupazione non sia un’aberrazione che ha bisogno di aggiustamenti, ma parte integrante della visione del movimento sionista di “ebraicizzare” la Palestina, della cancellazione della presenza palestinese in accordo con altri progetti di colonialismo di insediamento.

La prova che proteggere le aggressive ambizioni territoriali di Israele da esami più attenti sia il vero obiettivo delle critiche contro Hill – e non le preoccupazioni per una presunta ascesa di un “antisemitismo di sinistra” – è confermata dallo scalpore simile che ha circondato le iniziative veramente modeste prese dei quaccheri del Regno Unito e da Airbnb.

I quaccheri e gli investimenti etici

Alla fine dello scorso mese i quaccheri hanno annunciato che non investiranno più in nessuna impresa che tragga profitto dall’occupazione. L’iniziativa è parte della loro politica di “investimenti etici”, simile al loro rifiuto di investire nelle industrie degli armamenti e dei carburanti fossili.

I quaccheri rappresentano un piccolo gruppo di movimenti cristiani che ha storicamente aperto la strada in ogni epoca all’identificazione delle violazioni dell’etica.

Sono stati importanti nell’opposizione allo schiavismo negli USA e contro l’apartheid in Sudafrica, e hanno vinto il premio Nobel per la pace per il loro lavoro nel salvare ebrei e cristiani dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Ciò ha incluso l’organizzazione del” Kindertransport” [lett.: trasporto di bambini, ndtr.] che portò 10.000 minori, per lo più ebrei, in Gran Bretagna.

Quindi non c’è da stupirsi che prendano l’iniziativa – che altre chiese inglesi sono state troppo timorose ad adottare – di penalizzare le imprese che traggono profitto dalla sottomissione e oppressione dei palestinesi nei territori occupati.

In effetti, invece di criticare i quaccheri inglesi per il boicottaggio di queste industrie, ci si potrebbe giustamente stupire perché ci abbiano messo tanto tempo per agire. Dopotutto l’occupazione militare israeliana esiste – così come cresce la sua progenie maledetta, le colonie, – da più di cinquant’anni. Le sue terribili violazioni sono ben documentate.

Importare divisione

Ma neppure il fatto che i quaccheri abbiano più volte dimostrato di essere dalla parte giusta della storia ha scosso le certezze delle organizzazioni ebraiche britanniche nel denunciare la congregazione. La più importante è stato il Board of Deputies [Consiglio dei Deputati], che rivendica a gran voce per se stesso lo status di rappresentante della comunità ebraica in Gran Bretagna.

Proprio per questa ragione i suoi continui attacchi contro il leader del partito Laburista Jeremy Corbyn, accusato di antisemitismo, sono stati considerati attendibili dai mezzi di comunicazione britannici.

Ma il Board ha dimostrato la sua vera natura con la denuncia contro i quaccheri, insinuando che la loro posizione sia stata motivata non dall’etica ma dall’antisemitismo. Ignorando la lunga storia dei quaccheri nel prendere posizioni etiche, il nuovo presidente eletto Marie van der Zyl ha sostenuto che Israele è stato “preso espressamente di mira” e che la dirigenza dei quaccheri ha un approccio “ossessivo e con i paraocchi.”

Paradossalmente ha accusato i quaccheri di rifiutarsi di “affrontare i pregiudizi e di promuovere la pace nella regione.” Invece i leader dei quaccheri hanno “scelto di importare un conflitto divisivo nel nostro Paese.” Di fatto sono il Board e altre importanti organizzazioni ebraiche che hanno importato questa stessa divisione in Gran Bretagna e negli USA, legando esplicitamente la loro identità ebraica alle azioni del terribile colonialismo di insediamento israeliano. I quaccheri stanno mettendo in evidenza che in un conflitto in cui una parte, Israele, è notevolmente più forte, non ci può essere una soluzione finché la parte più forte non dovrà far fronte a una pressione concreta.

D’altra parte il Board vuole intimidire e mettere a tacere i quaccheri proprio perché Israele possa così continuare ad essere libero di opprimere i palestinesi e rubare la loro terra attraverso l’espansione delle colonie. Non sono i quaccheri che sono antisemiti. Sono le principali organizzazioni ebraiche come il Board of Deputies che sono indifferenti – o addirittura tifose– di fronte a decenni di brutalità israeliana verso i palestinesi.

Il ruolo di Airbnb nell’aiutare i coloni

Allo stesso modo Airbnb è stato bombardato da critiche quando ha promesso il passo ancora più limitato di togliere dal suo sito circa 200 proprietà che si trovano nelle colonie in Cisgiordania che violano le leggi internazionali. Anzi, alcune di queste sono costruite in violazione anche delle leggi israeliane, benché Israele non faccia assolutamente alcun tentativo di applicare tali leggi contro i coloni.

Fino a poco tempo fa era ampiamente ammesso che le colonie sono un ostacolo insuperabile nel risolvere il conflitto israelo-palestinese attraverso una soluzione dei due Stati. Oltretutto le colonie, era sottinteso, per garantirne la protezione ed espansione, richiedevano una violenza ancora maggiore contro la popolazione nativa palestinese.

In fin dei conti questa è proprio la ragione per cui le leggi internazionali vietano di trasferire la popolazione di una potenza occupante nei territori occupati.

Airbnb stava chiaramente aiutando questi coloni illegali, creando una maggiore convenienza economica per gli ebrei a vivere su terra palestinese rubata. Questa motivazione economica è stata fondamento secondario di un’azione legale presentata negli USA la scorsa settimana da famiglie di coloni che sostengono si tratti di “una discriminazione religiosa.”

In realtà la decisione dell’impresa di abbandonare la Cisgiordania è stata il minimo che ci si potesse aspettare da loro. Malgrado ciò, anche così hanno fatto in modo di escludere dalla cancellazione le colonie ebraiche nella Gerusalemme est occupata, benché costituiscano la maggior parte della popolazione di coloni ebrei che utilizzano Airbnb.

Il doppio standard dell’ADL

Nonostante la mossa di Airbnb sia stata debole e molto in ritardo, essa è stata ancora una volta definita antisemita da importanti organizzazioni ebraiche negli USA, non ultima l’ADL.

L’ADL sostiene di “garantire la giustizia e un trattamento equo per tutti i cittadini,” una delle ragioni per cui ha avuto un ruolo attivo nel lottare per i diritti civili dei neri americani nell’epoca delle leggi Jim Crow [regole che imponevano la segregazione razziale negli Stati del Sud, ndtr.]. Ma come molte altre importanti organizzazioni ebraiche, le sue azioni dimostrano che, quando si tratta di Israele, essa è in realtà guidata da un progetto tribale, etnico, piuttosto che universale e basato sui diritti umani.

Invece di accogliere positivamente l’azione di Airbnb, ancora una volta ha sfruttato e degradato il significato di antisemitismo per proteggere Israele dalla pressione affinché ponga fine ai continui soprusi nei confronti dei palestinesi e al furto delle loro risorse.

Ha accusato l’impresa di “doppio standard” per non aver applicato la stessa politica a “Cipro settentrionale, in Tibet, nella regione del Sahara occidentale e in altri territori in cui un popolo è stato espulso.” Come ha evidenziato il commentatore di Forward [storico giornale della comunità ebraica americana, ndtr.] Peter Beinart, questo argomento è quantomeno ipocrita: “Non è stato colpevole l’ADL di ‘doppio standard’ quando i suoi dirigenti hanno marciato per i diritti civili degli afroamericani ma non per gli indiani americani, i cui diritti civili non sono stati garantiti dalle leggi federali fino al 1968?”

Israele costantemente sotto esame

Ciò che questi tre casi evidenziano è che, proprio quando le pessime intenzioni di Israele verso i palestinesi sono diventate ancor più esplicite e trasparenti, lo spazio ufficialmente consentito per criticare Israele ed appoggiare la causa palestinese viene deliberatamente e aggressivamente ridotto.

In un’epoca di telefoni con la telecamera, notizie che scorrono per 24 ore e reti sociali, Israele si trova sottoposto come mai prima a un controllo accurato e quotidiano. La sua dipendenza di lunga data dall’appoggio colonialista, la sua fondazione basata sul peccato della pulizia etnica, il razzismo istituzionalizzato che la minoranza di cittadini palestinesi deve affrontare, la sfrontata brutalità e la violenza strutturale della sua occupazione durata 51 anni sono largamente comprese, più di quanto fosse possibile anche solo un decennio fa.

Ciò è avvenuto nello stesso momento in cui altre gravissime ingiustizie storiche – contro le donne, le persone di colore, i popoli indigeni e la comunità LGBT – sono state messe in evidenza con l’adozione di un nuovo tipo di politiche identitarie popolari.

Negare ciò che è lampante

Israele dovrebbe essere chiaramente messo dalla parte di chi sbaglia in questa storia, eppure i governi occidentali e le principali organizzazioni ebraiche lo stanno risolutamente aiutando a negare ciò che è lampante, ribaltando quindi la realtà.

Pochi anni fa solo i più fanatici sostenitori di Israele sostenevano apertamente che l’antisionismo equivalesse ad antisemitismo. Ora gli antisionisti e i movimenti di solidarietà come il BDS sono acriticamente identificati nel discorso generale non solo come antisemiti, ma anche implicitamente come forma di terrorismo contro gli ebrei.

Il diritto dei palestinesi alla dignità e alla liberazione dal dominio oppressivo di Israele è di nuovo subordinato al diritto di Israele a perseguire incontrastato il suo progetto di colonialismo di insediamento – di espellere e sostituirsi alla popolazione nativa palestinese.

Non solo questo, ma ogni forma di solidarietà con i palestinesi oppressi è identificata come antisemitismo, solo perché i dirigenti ebrei negli USA e in GB hanno un asso nella manica: il diritto superiore a identificarsi con il progetto di colonialismo di insediamento israeliano e a essere al riparo da ogni critica alla loro posizione.

In questa forma profondamente perversa di politica identitaria, i diritti dello Stato di Israele, che possiede armi nucleari, e dei suoi sostenitori all’estero sono diventati armi a danno dei diritti della debole, dispersa, colonizzata e marginalizzata comunità palestinese.

Per decenni i sostenitori di Israele hanno ammesso che Israele avrebbe potuto essere oggetto di quelle che hanno definito “critiche legittime”.

Ma le reazioni a Hill, ai quaccheri e ad Airbnb rivelano che in pratica non ci sono critiche a Israele che siano considerate legittime e che, quando si tratta delle sofferenze dei palestinesi, le uniche posizioni accettabili sono rassegnazione e silenzio.

Jonathan Cook, giornalista inglese che vive a Nazareth dal 2001, è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese. Ha vinto il “Martha Gellhorn Special Prize for Journalism”.

Le opinioni esposte in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)




I neo-nazisti sostengono all’UE la falsa definizione israeliana di antisemitismo

Asa Winstanley

7 dicembre 2018, Electronic Intifada

Una nuova dichiarazione dell’Unione Europea potrebbe rendere più difficile criticare Israele come Stato razzista senza essere definiti antisemiti.

Giovedì a Bruxelles i politici hanno approvato il documento.

La mozione chiede a tutti i governi dell’UE di “approvare la definizione operativa non legalmente vincolante di antisemitismo utilizzata dall’International Holocaust Remembrance Alliance [organismo intergovernativo europeo che intende promuovere l’educazione sull’Olocausto, ndtr.].

La proposta, approvata dai ministri degli Interni degli Stati membri dell’UE, è già stata condannata da molti accademici israeliani e francesi.

La dichiarazione è stata promossa dall’Austria, il cui governo di coalizione comprende ministri membri di un partito neonazista.

L’assemblea dell’UE che giovedì ha formalmente adottato la dichiarazione includeva molti ministri di diversi partiti di destra, che istigano al fanatismo anti-ebraico.

Il Ministro degli Interni austriaco Herbert Kickl è uno di loro.

È del Partito della libertà, un’organizzazione anti-musulmana guidata dal neo-nazista Heinz-Christian Strache (ora vice-cancelliere dell’Austria).

Kickl è stato accusato per il suo linguaggio nazista a gennaio, quando ha chiesto alle autorità “di concentrare i richiedenti asilo in un unico posto”.

Il suo linguaggio sembrava deliberatamente calcolato per evocare l’Olocausto – sebbene questa volta prendesse di mira principalmente i richiedenti asilo musulmani.

Definizione falsa

Come da tempo riferisce The Electronic Intifada, la “definizione operativa” dell’IHRA è stata concepita come potente mezzo, spalleggiato da Israele, per soffocare le critiche nei confronti dello Stato e dei suoi crimini contro i palestinesi.

Israele e i suoi gruppi lobbysti hanno esercitato un’enorme pressione in tutta Europa negli ultimi due anni affinché fosse adottata.

La “definizione operativa” è stata condannata da numerosi sindacati palestinesi e da altri gruppi della società civile, nonché dalla Palestine Solidarity Campaign nel Regno Unito e dai sindacati di tutta Europa.

Come ha riferito la scorsa settimana il sito web EUobserver, le ambasciate israeliane di solito “fanno riferimento alla definizione dell’IHRA” quando presentano proteste diplomatiche formali contro le critiche dell’UE ai crimini di guerra israeliani in Palestina. Tali critiche sono inefficaci, considerando che l’UE spesso consente i crimini di Israele.

Nel Regno Unito, gruppi lobbysti israeliani hanno fatto pressione con successo sul partito laburista all’opposizione perché la “definizione operativa” fosse adottata.

Ma anche questo non è stato sufficiente, e un grande polverone mediatico è stato sollevato sull’iniziale riluttanza del partito ad adottare tutti gli “esempi” allegati che il documento dell’IHRA afferma essere antisemiti.

Molti di questi 11 “esempi” menzionano Israele.

Si giunge persino a definire il semplice atto di affermare il fatto che Israele è uno Stato istituzionalmente razzista – ” un’impresa razzista” nel linguaggio IHRA – come un esempio di “antisemitismo”.

L’Austria ha già approvato la “definizione operativa” e, come riportato da EUobserver, il governo di coalizione ha spinto per l’appoggio alla dichiarazione.

Neo-nazisti austriaci

L’Austria, che attualmente detiene la presidenza di turno dell’UE, il mese scorso ha invitato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a prendere parte a una conferenza a Vienna.

La dichiarazione approvata dall’UE è stata redatta durante quella conferenza, dedicata all’antisionismo. Netanyahu aveva accettato di partecipare alla conferenza ma poi ha cancellato la propria partecipazione a causa dell’instabilità del suo governo di coalizione.

L’Austria voleva una versione ancora più radicale, e una delle prime bozze invitava gli Stati dell’UE ad adottare la definizione “includendo esempi illustrativi”. Questo è stato recepito nella dichiarazione finale, che descrive la definizione come “non legalmente vincolante”.

Questa frase ipocrita compare nello stesso documento IHRA. In realtà però, la definizione viene costantemente utilizzata per vigilare sui discorsi critici nei confronti di Israele.

Gli eventi di quest’anno all’interno del Partito laburista britannico lo illustrano perfettamente.

Come parte della “crisi” sul presunto antisemitismo, costruita da anni ad arte dai critici del leader laburista Jeremy Corbyn, i gruppi di pressione israeliani hanno chiesto al partito di adottare anche gli 11 “esempi” di antisemitismo dell’IHRA.

A settembre l’esecutivo nazionale del partito laburista si è arreso alle pressioni. Ma ciò ha solo rafforzato i cacciatori di streghe, che continuano a cercare di punire i politici eletti che si mostrino critici nei confronti di Israele.

L’isteria dei media sulla “crisi” ha portato a una caccia alle streghe che ha preso di mira attivisti laburisti di sinistra e filo-palestinesi.

L’isteria si è estesa dal partito laburista alla società nel suo complesso.

La “definizione operativa” viene ora utilizzata per licenziare le persone.

Sospeso per aver definito razzista Israele

Paul Jonson, impiegato del consiglio comunale di Dudley, vicino a Birmingham, è stato sospeso dal suo lavoro in ottobre per aver contribuito ad organizzare una protesta contro Ian Austin, parlamentare eletto in quel comune – esplicito promotore della propaganda israeliana.

Qual è stato il “crimine” di Jonson? Pubblicare su Facebook la frase “Stiamo con la Palestina, Israele è un’impresa razzista” nella sua promozione della protesta.

Attivista nei locali gruppi di solidarietà con i palestinesi, Jonson ha dichiarato a The Electronic Intifada che i capi del consiglio comunale hanno citato la “definizione operativa” dell’IHRA – che l’autorità locale ha adottato – come giustificazione per la sua sospensione.

In ottobre l’amministratore delegato del consiglio comunale ha detto ad un giornale locale che Jonson era sotto inchiesta.

Jonson ha dichiarato a The Electronic Intifada di aver saputo della sua “sospensione” solo dal titolo del giornale.

Fino ad allora i dirigenti gli avevano assicurato che non era sospeso, che stavano solo facendo dei colloqui preliminari in merito ad un reclamo ricevuto da Campagna Contro l’Antisemitismo – un gruppo di propaganda antipalestinese dal nome ingannevole.

Riferisce che fino ad allora gli era stato detto solo di “astenersi dal lavoro fino a nuovo avviso”.

Ma lo stesso giorno in cui la notizia è trapelata alla stampa, i manager lo hanno invitato a un altro incontro e lo hanno sospeso.

Jonson sospetta che ci sia Ian Austin dietro la protesta. Il parlamentare è patrono del gruppo che ha presentato il reclamo.

I sindacalisti locali hanno chiesto il reintegro di Jonson, come ha fatto il gruppo di sinistra Jewish Voice for Labour [Voce Ebraica del partito laburista, gruppo di membri ebrei del partito che si oppongono alla campagna di diffamazione orchestrata dai laburisti filo-israeliani, ndtr.].

Una petizione che chiede il suo reintegro ha già raccolto oltre 600 firme.

(traduzione di Luciana Galliano)




IL Nuovo Nuovo Antisemitismo

Richard Falk≡

18 novembre 2018, WordPress

I crimini dello Stato di Israele nascosti dietro false affermazioni di vittimizzazione

In questi giorni io, come anche molti altri, vengo vittimizzato. Siamo etichettati come antisemiti e in alcuni casi anche come ebrei che odiano sé stessi. È un tentativo da parte di sionisti ed israeliani di mettere a tacere le nostre voci e di punire il nostro attivismo nonviolento, con particolare livore nei confronti della campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni, ndtr.) poiché negli ultimi anni è diventata molto efficace. Questa etichetta negativa dell’opposizione è stata chiamata ‘il nuovo antisemitismo’. Il vecchio antisemitismo era semplicemente odio verso gli ebrei espresso attraverso immagini ed atteggiamenti negativi, come anche pratiche discriminatorie, persecuzioni e giustizia sommaria. Il nuovo antisemitismo è la critica contro Israele e il sionismo, ed è stato sostenuto da governi amici di Israele e portato avanti da una serie di importanti organizzazioni ebraiche, incluse alcune collegate ai sopravvissuti e alla memoria dell’Olocausto. Emmanuel Macron, presidente francese, ha espresso abbastanza chiaramente questo rifiuto da parte degli apologeti di Israele, anche se in forma piuttosto malevola: “Non cederemo mai alle espressioni di odio. Non ci arrenderemo mai all’antisionismo, perché esso è la riproposizione dell’antisemitismo.” La falsa premessa pone sullo stesso piano il sionismo e gli ebrei, definendo automaticamente come antisemitismo le critiche e l’opposizione allo Stato sionista di Israele.

Già nel 2008 il Dipartimento di Stato USA si è mosso più velatamente in una direzione simile a quella di Macron, attraverso questa dichiarazione formale: “Le ragioni per criticare Israele alle Nazioni Unite possono derivare da legittime preoccupazioni politiche o da pregiudizi illegittimi. (…) Comunque, a prescindere dalle intenzioni, critiche sproporzionate a Israele in quanto incivile e amorale, e le relative misure discriminatorie adottate dalle Nazioni Unite contro Israele, hanno l’effetto di far sì che il pubblico attribuisca caratteristiche negative agli ebrei in generale, alimentando così l’antisemitismo.” L’errore qui sta nel considerare le critiche come “sproporzionate” senza nemmeno prendere in considerazione la realtà della lunga serie di illegalità da parte di Israele nei confronti del popolo palestinese. Per chi di noi vede la realtà delle politiche e delle pratiche israeliane vi sono pochi dubbi che le critiche che vengono avanzate e le pressioni che vengono esercitate [siano] in ogni senso proporzionate.

Un’argomentazione correlata, che spesso viene avanzata, è che a Israele siano richiesti livelli più alti di altri Stati, e che questo riveli un sottinteso antisemitismo. Questo è un argomento in malafede. Non è una giustificazione suggerire che la criminosità di altri sia più grave. Inoltre, gli USA finanziano Israele con almeno 3,8 miliardi di dollari all’anno, oltre a dare il loro incondizionato appoggio al suo comportamento, determinando una certa responsabilità per imporre dei limiti in base al diritto umanitario internazionale. Anche le Nazioni Unite hanno contribuito al calvario dei palestinesi, non mettendo in pratica la soluzione di partizione e permettendo che per 70 anni milioni di palestinesi subissero le strutture di dominio dell’apartheid. Nessun altro popolo può così giustificatamente condannare forze esterne per la tragedia che ha patito.

Nel 2014 Noam Chomsky, con la sua usuale chiarezza morale ed intellettuale, ha spiegato la falsa logica di una simile affermazione: “In realtà, l’esempio di scuola, la migliore formulazione di ciò, la si deve ad un ambasciatore presso le Nazioni Unite, Abba Eban [politico e diplomatico israeliano, ndtr.] (…). Ha raccomandato alla comunità ebraica americana di assolvere a due compiti. Uno consisteva nel mostrare che le critiche alla politica, che lui definiva antisionismo – che in realtà significa criticare la politica dello Stato di Israele – erano antisemitismo. Questo era il primo compito. Il secondo, nel caso che le critiche provenissero da ebrei, consisteva nel mostrare che si trattava di odio nevrotico verso sé stessi, che necessitava di un trattamento psichiatrico. Quindi forniva due esempi di quest’ultima categoria. Uno era I.F. Stone [giornalista americano progressista, ndtr.]. L’altro ero io. Quindi, noi avremmo dovuto essere curati per i nostri disturbi psichici, e i non ebrei avrebbero dovuto essere condannati per antisemitismo, se criticavano lo Stato di Israele. Si può capire perché la propaganda israeliana prenda questa posizione. Io non critico particolarmente Abba Eban per aver fatto ciò che gli ambasciatori a volte devono fare. Ma dovremmo capire che non è un’accusa sensata. Per niente sensata. Non c’è niente da rispondere. Non è una forma di antisemitismo. È semplicemente una critica delle azioni criminose di uno Stato.”

Una caratteristica di questo nuovo antisemitismo è la sua mancata risposta alle ben comprovate accuse di crimini contro l’umanità avanzate da coloro che sono etichettati come antisemiti. Forse questi ardenti sostenitori di Israele spingono davvero il loro senso di impunità fino al punto di ritenere il silenzio un’adeguata forma di difesa? A sottolineare una tale negazione del concetto di responsabilità legale e morale vi è questo sentimento di eccezionalità di Israele, una concezione del diritto penale internazionale che condivide con l’eccezionalità americana. Coloro che sono d’accordo con questa eccezionalità pretendono di venire offesi persino dall’insinuazione che un tale governo possa essere soggetto alle norme sancite dallo Statuto della Corte Penale Internazionale o dalla Carta dell’ONU. L’eccezionalità di Israele affonda le sue radici nella tradizione biblica, soprattutto nella lettura degli ebrei come “popolo eletto”, ma in realtà si situa in uno spazio rassicurante creato dall’ombrello geopolitico che protegge dal giudizio del mondo la maggior parte dei suoi atti di sfida alle leggi. Queste azioni di protezione sono ben illustrate dalla recente risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU che ha dichiarato nulli e non validi i passi di Israele verso l’annessione delle alture del Golan, con il voto contrario dei soli Israele e Stati Uniti, mentre 151 membri dell’ONU hanno votato a favore.

Se dedichiamo anche solo un minuto ad esaminare il diritto internazionale, scopriremo che la questione è talmente ovvia che non vale la pena di discuterne seriamente. Un principio cardine dell’attuale diritto internazionale, spesso affermato dall’ONU in altri contesti, è il divieto di impadronirsi di un territorio con la forza delle armi. Non c’è dubbio che le alture del Golan facessero parte del territorio sovrano della Siria fino alla guerra del 1967, e che Israele ne abbia preso il controllo, che ha sempre esercitato da allora, attraverso un’occupazione con la forza.

Le ironie del ‘nuovo nuovo’ antisemitismo

Qui è presente un’ironia opportunistica. Il nuovo antisemitismo sembra non avere problemi ad abbracciare i cristiani sionisti, nonostante la loro ostilità verso gli ebrei accompagnata dalla fanatica devozione ad Israele come Stato ebraico. Chiunque abbia assistito ad una conferenza dei cristiani sionisti sa che la loro lettura del Libro della Rivelazione implica l’interpretazione che Gesù ritornerà quando tutti gli ebrei ritorneranno in Israele e verrà ricostruito il tempio più sacro di Gerusalemme. Questo percorso non finirà qui. Gli ebrei saranno di fronte alla scelta tra convertirsi al cristianesimo o essere condannati alla dannazione eterna. Quindi tra questi fanatici amici di Israele è presente una sincera ostilità verso gli ebrei, sia nell’insistere che la fine della diaspora ebraica sia un imperativo religioso per i cristiani, sia per il misero destino che attende gli ebrei che rifiuteranno di convertirsi dopo il Secondo Avvento.

Siamo di fronte ad un’illuminante perversità. A differenza dei nuovi antisemiti che non sono ostili agli ebrei in quanto popolo, i cristiani sionisti danno priorità al loro entusiasmo per lo Stato di Israele, mentre sono disposti a distruggere le vite degli ebrei della diaspora e alla fine anche quelle degli ebrei israeliani e sionisti. Forse si tratta meno di perversità quanto di opportunismo. Israele non ha mai avuto alcuna riluttanza a sostenere i leader più oppressivi e dittatoriali di Paesi stranieri, posto che essi acquistino armi e non adottino una politica diplomatica anti-israeliana. Il messaggio di congratulazioni di Netanyahu a Bolsonaro, il neo eletto presidente del Brasile, è solo l’esempio più recente, e Israele ha ricevuto un immediato ringraziamento con l’annuncio della decisione [del Brasile] di unirsi agli Stati Uniti trasferendo la sua ambasciata a Gerusalemme. In effetti, il nuovo antisemitismo si trova a suo agio sia coi cristiani sionisti che con i leader politici stranieri che mostrano tendenze fasciste. Di fatto, chiudere gli occhi di fronte alla profonda realtà del vero antisemitismo è una caratteristica del nuovo antisemitismo così caldeggiato dai militanti sionisti. Per una esauriente documentazione, si può leggere l’importante libro di Jeff Halper, ‘War against people: Israel, the palestinians and global pacification’ (2015). [‘Guerra contro il popolo: Israele, i palestinesi e la pacificazione globale’, Epoké, Novi Ligure, 2017. Ndtr.].

Di fronte ad un simile contesto abbiamo bisogno di un termine che descriva e identifichi questo fenomeno e respinga le sue accuse insidiose. Propongo la poco elegante dicitura di ‘il nuovo nuovo antisemitismo’. L’idea di una simile definizione vorrebbe suggerire che sono i nuovi antisemiti, non i critici e gli attivisti che criticano Israele, i reali portatori di odio verso gli ebrei in quanto ebrei. Due tipi di argomentazioni sono implicite in questo rifiuto della campagna che cerca di screditare o addirittura criminalizzare i ‘nuovi antisemiti’. Primo, essa impedisce la critica della persistenza di situazione sconcertante, della perdurante tragedia dell’apartheid imposto a tutto il popolo palestinese nel suo complesso, distoglie l’attenzione, deliberatamente o inconsapevolmente, dalle obiezioni al vero antisemitismo, provocando anche confusione, accettando in nome dello Stato di Israele l’abbraccio dei cristiani sionisti (e degli evangelici), oltre a quello dei leader fascisti che predicano messaggi di odio etnico.

In conclusione, nel nostro impegno per la realizzazione dei diritti dei palestinesi, primo tra tutti il loro diritto all’autodeterminazione, noi che veniamo accusati di essere i nuovi antisemiti in realtà stiamo cercando di onorare la nostra umanità e di rifiutare le lealtà tribali o gli schieramenti geopolitici. Come ebrei, rendere Israele responsabile in base agli standard che sono stati utilizzati per condannare i capi politici e militari nazisti sopravvissuti significa onorare l’eredità dell’Olocausto, non infangarla. Al contrario, quando Israele vende armi ed offre addestramento per reprimere le rivolte a governi guidati da fascisti in tutto il mondo, o continua ad accettare l’Arabia Saudita del dopo Khashoggi come un valido alleato, esso oscura la natura malvagia dell’Olocausto in modi che in futuro potrebbero tormentare Israele ed anche gli ebrei della diaspora.

Richard Falk è uno studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali, che ha insegnato per 40 anni alla Princeton University. Dal 2002 vive a Santa Barbara, California ed insegna studi globali e internazionali nel locale campus dell’università della California; dal 2005 dirige il consiglio d’amministrazione della Fondazione per la Pace dell’Era Nucleare. Ha dato inizio a questo blog in parte per celebrare il suo 80esimo compleanno.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)