I Democratici stanno abbandonando Israele?

Rod Such

7 agosto 2018, The Electronic Intifada

Cracks in the Wall: Beyond Apartheid in Palestine/Israel di Ben White, Pluto Press (2018)

Recentemente la deputata del Minnesota Betty McCollum ha preso la parola alla Camera dei Rappresentanti degli USA invitando i suoi colleghi a firmare una legge senza precedenti che vieterebbe ad Israele l’uso degli aiuti militari USA per incarcerare minori palestinesi.

Questo sviluppo evidenzia quello che il giornalista e scrittore Ben White descrive nel suo ultimo libro, Cracks in the Wall [“Crepe nel Muro, ndtr.] come l’inizio della fine dell’appoggio bipartisan allo Stato di Israele [negli USA].

White identifica tre fratture che hanno importanti conseguenze per il futuro della Palestina: Democratici USA che parlano a favore dei diritti dei palestinesi, ebrei americani che si oppongono all’occupazione e in qualche caso appoggiano il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni [contro Israele] e il crescente numero di autorità locali che in Europa stanno aderendo al BDS.

White esamina in modo sintetico e senza esagerazioni la strada percorsa finora dal partito Democratico. Peraltro dimostra in modo convincente che le crepe esistono davvero, notando solo come esempio l’inequivocabile opposizione dei Democratici alla nomina di David Friedman come ambasciatore USA in Israele da parte del presidente Donald Trump.

Laddove in precedenza una tale nomina è passata senza alcuna complicazione nel congresso USA, questa volta 46 senatori democratici hanno votato contro la nomina di Friedman, un esplicito sostenitore della colonizzazione illegale da parte di Israele.

La cosa ancora più importante, forse, sono i passi avanti evidenti nella base progressista del partito Democratico. White cita un sondaggio del 2015 che ha rilevato che il 47% della “élite d’opinione” democratica – una categoria descritta come molto colta e politicamente attiva – vede Israele come un “Paese razzista”. Ora che una percentuale molto maggiore di repubblicani rispetto ai democratici appoggia Israele, White nota che l’impopolarità di Trump tra i democratici e gli indipendenti non farà che accelerare la tendenza. Gli elettori repubblicani, per esempio, hanno approvato l’iniziativa di Trump di spostare l’ambasciata USA a Gerusalemme con il 76% contro l’11%, rispetto al solo 12% di approvazione tra i democratici – con il 65% di contrari.

Allo stesso modo le crescenti divisioni all’interno della comunità ebraica USA promettono di stravolgere il concetto secondo cui le critiche alle politiche del governo israeliano sono indice di antisemitismo. L’autore cita in particolare la crescente solidarietà con i palestinesi ed il loro diritto all’autodeterminazione tra gli ebrei USA, come esemplificato dalla rapida crescita di “Jewish Voice for Peace” [gruppo di ebrei USA contrari all’occupazione, ndtr.] con le sue oltre 70 sezioni, più di 250.000 sostenitori on line e 15.000 iscritti paganti.

Potere in diminuzione” della lobby

Ma non esclude da questa tendenza il gruppo progressista sionista “J Street” [ebrei USA moderatamente critici nei confronti del governo israeliano, ndtr.], notando che, nonostante il suo programma conservatore, “ha giocato un ruolo fondamentale nella crescente divisione tra gli ebrei americani riguardo ad Israele.”

Inoltre, sia “J Street” che “Jewish Voice for Peace” si sono uniti a sostegno dell’accordo sul nucleare iraniano, che ha rappresentato una sfida significativa per la tradizionale lobby israeliana e per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Netanyahu si è inimicato molti nella la comunità ebraica e nel partito Democratico quando si è sfrontatamente allineato ai repubblicani scavalcando la Casa Bianca di Barak Obama, cosa mai avvenuta prima, per rivolgersi ad una sessione congiunta del Congresso nel 2015.

Questo discorso non è riuscito ad evitare la successiva approvazione dell’accordo [con l’Iran] da parte del Senato USA, con solo quattro senatori democratici che hanno votato contro insieme ai Repubblicani. Al Congresso, 25 Democratici hanno votato con i Repubblicani, ma quel voto è servito solo come rifiuto dell’accordo del presidente Obama e non è riuscito a far fallire il patto, nonostante gli intensi tentativi da parte del gigante della lobby israeliana, l’AIPAC [American Israel Public Affairs Committee, principale gruppo di pressione filoisraeliano negli USA, ndtr.].

Il “New York Times” ha affermato che il voto “ha messo in rilievo il ridotto potere della forza lobbystica israeliana,” un’affermazione che rimane vera nonostante la decisione di Trump di revocare l’accordo.

La terza crepa nel muro che White mette in evidenza è la crescente adesione al BDS in Europa, un mercato fondamentale delle esportazioni di Israele. L’adesione al BDS da parte di consigli comunali in Spagna e in parte di Italia, Francia, Irlanda e Gran Bretagna minaccia di ridurre le esportazioni di Israele e lo isola ulteriormente sul piano internazionale.

Ristabilire l’umanità

Nonostante le crescenti divisioni, White comprende che nessuna crepa sembra essersi aperta tra gli ebrei israeliani. Analizzando i risultati delle elezioni israeliane nel corso dei decenni, conclude che gli ebrei israeliani continuano ad essere uniti attorno alle politiche governative.

Non c’è un blocco di sinistra visibile in Israele, scrive, e l’unica divisione è tra quelli che vogliono mantenere lo status quo e quelli che vogliono annettere esplicitamente la Cisgiordania. Attribuisce questa situazione all’ideologia sionista, che gli ebrei israeliani continuano ad accettare come il loro sguardo sul mondo.

Ciò rende il superamento dell’apartheid più difficile, ma non impossibile.

Indagando sul suo sottotitolo – “Oltre l’apartheid in Palestina/Israele” – White suggerisce che garantire agli ebrei israeliani la loro sicurezza e la loro possibilità di vivere in una società democratica basata su uguali diritti rimane un compito importante. Citando figure quali Edward Said, Virginia Tilley e Omar Barghouti, White enfatizza l’importanza di catturare l’immaginazione degli oppressori dei palestinesi e di convincerli che decolonizzare Israele significa porre fine alla dominazione, non ai diritti o alla sicurezza.

La creazione di un unico Stato democratico prospetta il ritorno dell’umanità per gli stessi colonizzatori, che altrimenti, egli suppone, continueranno a disumanizzare tutto.

Cracks in the Wall” apre una discussione attesa da tempo all’interno del movimento di solidarietà con la Palestina sul significato di queste crescenti fratture e su come approfondirle. Anche altre crepe nella società civile, tuttavia, meritano attenzione, ma purtroppo White le ignora – soprattutto quelle tra le denominazioni cristiane progressiste e gli evangelici di destra, e tra gli stessi movimenti della sinistra progressista, che sempre più appoggiano i diritti dei palestinesi come cogenti nelle alleanze tra vari settori.

Solo questo tipo di sostegno di base sempre più ampio a favore dei palestinesi può mettere alla prova l’establishment del partito Democratico, che continua a vedere Israele come un alleato egemone in Medio Oriente, piuttosto che come il peso che esso rappresenta.

Il lettore che intraprende con White questa esplorazione di fratture e possibili risultati illuminati riceverà in cambio la sua lucida e sintetica prosa che di tanto in tanto raggiunge vette di eloquenza.

White lo è in particolare quando fornisce il più convincente risultato che vede per la regione, citando anche il libro “I saw Ramallah” [“Ho visto Ramallah”] di Mourid Barghouti:

Quindi un unico Stato democratico offre qualcosa di straordinariamente ordinario: la prospettiva di ebrei israeliani e palestinesi che sfuggono al ‘cerchio infernale della disumanità’ creato dalla ‘radicale distinzione sionista tra ebrei privilegiati in Palestina e non ebrei senza privilegi,’ andando oltre l’apartheid, e quindi, cooperando e discutendo, amando e odiando, pregando e protestando, lavorando e riposando – in altre parole, vivendo– come cittadini uguali di una patria comune.”

Rod Such è un ex curatore delle enciclopedie “World Book” ed “Encarta” [una cartacea e l’altra digitale, entrambe pubblicate negli USA, ndt.]. Vive a Portland, Oregon, ed è attivo nella campagna di Portland “liberi dall’occupazione”.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Perché definire Israele uno Stato di apartheid o razzista non è antisemita

Ben White

giovedì 2 agosto 2018, Middle East Eye

Per i palestinesi e per i loro sostenitori una definizione di antisemitismo non può essere slegata dalla storia e dalla natura della fondazione di Israele e dalle sue politiche in corso

Il convulso dibattito sulla definizione di antisemitismo della “International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa che intende promuovere la memoria dell’Olocausto formata da 31 Paesi membri, ndtr.] – o, più precisamente, sulla definizione ed esemplificazione dell’antisemitismo – si è concentrato su quanto il documento limiti la possibilità di criticare lo Stato di Israele e delegittimi la solidarietà con i palestinesi.

Qualcuno, come Jonathan Freedland, editorialista di “The Guardian” [quotidiano inglese di centro-sinistra, ndtr.], scrivendone lo scorso venerdì, ha difeso il documento dell’IHRA dal timore che “metterà a tacere le voci a favore dei palestinesi”, dando un’interpretazione in malafede e improbabile del testo, e delle sue implicazioni.

Si può, se si vuole, dire che tutto ciò che lo Stato di Israele ha fatto dalla sua nascita è stato razzista,” ha sostenuto Freedland. “Quello che è proibito è etichettare come impresa razzista “uno Stato di Israele” – il principio per cui gli ebrei, come qualunque altro popolo sulla terra, dovrebbero avere una patria e un rifugio per sè.”

Una posizione debole

Per prima cosa, rivediamo esattamente il testo in questione, parte del quale compare nel documento IHRA come lista di esempi di antisemitismo contemporaneo: “Negare al popolo ebraico il diritto all’autoedeterminazione, ad esempio sostenendo che l’esistenza di uno Stato di Israele è un’iniziativa razzista.”

Mettere in rilievo il riferimento a “uno” e non “allo” Stato di Israele è una posizione molto debole. Il documento dell’IHRA ospita nove riferimenti ad Israele in totale, e tutti chiaramente riguardanti lo Stato di Israele attualmente esistente, non uno [Stato] ipotetico (il che, ovviamente, non avrebbe alcun senso).

Allo stesso modo la definizione di antisemitismo in una bozza di lavoro diffusa (e poi lasciata cadere) dall’ormai defunto Centro Europeo di Monitoraggio su Razzismo e Xenofobia – su cui il documento dell’IHRA è in gran parte basato – mette anche in chiaro che l’esempio in questione si riferisce all’attuale Stato di Israele.

Ma non basta. Il documento dell’IHRA introduce la lista di casi affermando che essi “potrebbero” essere esempi di antisemitismo, “prendendo in considerazione il contesto generale”. Queste specificazioni vengono enfatizzate da quanti intendono minimizzare la possibilità che il documento abbia un effetto deterrente.

Tuttavia, dato che questo elenco include casi ben definiti di antisemitismo come “invocare, favorire o giustificare l’uccisione o il ferimento di ebrei” e la negazione dell’Olocausto, non c’è da stupirsi che la specificazione “potrebbero” sia spesso in pratica omessa in tutti gli esempi illustrativi.

E in pratica il documento dell’IHRA è già stato utilizzato per attaccare i palestinesi e i loro sostenitori e per sostenere che descrivere Israele nei termini di apartheid o colonialismo di insediamento sia “antisemita”.

Esempi istruttivi

L’anno scorso alcuni funzionari dell’”Università del Lancashire Centrale” hanno annullato un dibattito dell’”Israeli Apartheid Week” [Settimana contro l’Apartheid Israeliano, iniziative annuali organizzate dai movimenti filopalestinesi in tutto il mondo, ndtr.] perché avrebbe presumibilmente contravvenuto alla definizione dell’IHRA. All’inizio di quest’anno “Campagna contro l’Antisemitismo” [ong costituita dalla comunità ebraica britannica, ndtr.] ha sbandierato “successi simili” nell’ottenere la cancellazione di eventi organizzati da studenti.

Anche alcuni militanti della “Federazione Sionista del Regno Unito”, il “Centro di Comunicazione e Ricerca Britannico-Israeliano” (BICOM), insieme a parlamentari come Joan Ryan del partito Laburista e il conservatore Matthew Offord, hanno presentato una richiesta al governo per vietare eventi di “Israeli Apartheid Week” nelle università – citando di nuovo la definizione dell’IHRA.

Persino il “Comitato dei Deputati degli Ebrei Britannici” – sostenitore del documento dell’IHRA – ha riconosciuto che “c’è una preoccupante resistenza da parte delle università nell’adottarla (la definizione) e la libertà di parola è presentata come ragione principale della loro riluttanza.”

Proprio questa settimana un consigliere conservatore di Barnet – la prima autorità locale ad aver adottato la definizione dell’IHRA – ha presentato una mozione che intende proibire a qualunque gruppo o persino singolo individuo che appoggi la campagna guidata dai palestinesi di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) [contro Israele] di affittare strutture comunali.

Con un altro esempio istruttivo, quest’anno esponenti di organizzazioni come il “Comitato degli Ebrei Americani” e il “Congresso degli Ebrei Europei” hanno cercato di vietare all’attivista del BDS palestinese e difensore dei diritti umani Omar Barghouti di parlare al parlamento europeo.

In una lettera co-firmata le organizzazioni hanno sostenuto che “gli attivisti del BDS sono sistematicamente impegnati in pratiche considerate antisemite in base alla definizione di antisemitismo dell’ International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA),” visto che citano regolarmente l’esempio di Israele come un’“impresa razzista”.

Si noti ancora come, nella pratica, la specificazione “potrebbe” sia resa irrilevante: un palestinese che desideri porre fine alla violazione dei diritti del suo popolo è palesemente calunniato come razzista.

Impreciso e redatto male

Significativamente, anche due figure chiave che hanno partecipato alla formulazione del testo dell’IHRA riconoscono il suo impatto sulla libertà di parola, benché da prospettive molto diverse.

Kenneth Stern, uno dei principali estensori della definizione dell’EUMC, in seguito ha denunciato come i gruppi filoisraeliani abbiano utilizzato il documento “con la delicatezza di un maglio”. A novembre Stern ha detto al congresso USA che l’inserimento della definizione nel sistema giuridico avrebbe “congelato” il “discorso politico” degli studenti filopalestinesi.

Se Stern ha manifestato disappunto per come il testo dell’EUMC è stato in seguito utilizzato (pur senza riconoscere il proprio ruolo nel aver collaborato ad un simile risultato), invece l’architetto del documento dell’IHRA è assolutamente soddisfatto del suo ruolo nel censurare il punto di vista palestinese.

Mark Weitzman, che lavora al “Centro Simon Wiesenthal” con sede negli USA, è stato la “figura principale” nel riuscire a proporre e far adottare il documento dell’IHRA. Quando lo scorso anno l’”Università del Lancashire Centrale” ha annullato l’evento dell’”Israeli Apartheid Week”, Weizman ha salutato la decisione come “una chiara prova che questa definizione accettata a livello internazionale può giocare un ruolo fondamentale nella lotta contro l’antisemitismo.”

Nonostante l’evidenza, qualcuno sostiene che quelli che utilizzano il documento dell’IHRA per censurare semplicemente non lo stanno applicando “correttamente”. Ma, nel migliore dei casi, ciò conferma semplicemente le critiche sollevate da gente come David Feldman, direttore del “Pears Institute for the study of Antisemitism” [Istituto Pears per lo Studio dell’Antisemitismo, con sede a Londra, ndtr.], e Geoffrey Bindman, avvocato della Corona – cioè che la definizione è “imprecisa in modo sconcertante” e “redatta male”.

Non c’è niente di contraddittorio nell’affermazione che un documento impreciso possa essere utilizzato per censurare (come a quanto pare crede Freedman). Al contrario, come abbiamo visto con i tentativi di fare leggi contro l’”estremismo”, un linguaggio generico porta direttamente a preoccupazioni riguardo all’impatto sulla libertà di parola.

Stato etnico

In conclusione, torniamo all’affermazione sostenuta da Freedland ed altri, secondo cui l’esempio dell’IHRA in questione riguardi un “principio” – cioè “che gli ebrei, come qualunque altro popolo sulla terra, dovrebbero avere una patria e un rifugio per sè.”

Qui, e non per la prima volta, Freedland utilizza termini come “patria” e “rifugio” mentre quello di cui si sta realmente discutendo è uno Stato. Il documento dell’IHRA non riguarda un “principio” – riguarda l’associazione dell’autodeterminazione non solo a uno Stato, ma a uno Stato etnico.

Per i palestinesi le conseguenze di tale associazione non sono per niente teoriche: la creazione dello Stato di Israele come “Stato ebraico” ha significato pulizia etnica ed esilio forzato, e la sua continua esistenza come tale significa spoliazione, discriminazione e disumanizzazione continue.

Come hanno notato recentemente due difensori dei diritti umani palestinesi che vivono a Londra: “Per i palestinesi l’idea che sostenere che ‘l’esistenza dello Stato di Israele è un’impresa razzista’ sia in sé antisemita è slegata dalla storia e dalla natura della fondazione di Israele, e dalle sue continue politiche.”

Leggendo una lettera, pubblicata da “The Guardian” questa settimana, di un gruppo di palestinesi-britannici, che affermano il proprio diritto ad una “dimensione pubblica” della “realtà” della loro esperienza passata e presente, mi sono ricordato di qualcosa che un docente palestinese mi aveva detto quando ero uno studente universitario

Come può essere antisemita per me oppormi alla mia spoliazione?”, ha chiesto in forma retorica. “E di conseguenza,” ha aggiunto, “come può essere antisemita per te essere solidale con me?” Infatti. Eppure questa è l’assurda equazione su cui Israele ed i suoi amici hanno sempre cercato di insistere e a cui bisogna continuamente opporsi.

Ben White è autore del recente libro “Cracks in the Wall: Beyond Apartheid in Palestine/Israel” [Crepe nel muro: oltre l’apartheid in Israele/Palestina]. È un giornalista e scrittore freelance e i suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera, al-Araby, Huffington Post, the Electronic Intifada, the Guardian’s Comment is Free ed altri.

Le opinioni esposte in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Israele usa gli ebrei della diaspora come scudi umani

Yossi Klein

31 maggio 2018, Haaretz

Israele è contento di sfruttare gli ebrei del resto del mondo, ma non si è preoccupata del fatto che le sue azioni li mettono in pericolo.

Israele è un pericolo per gli ebrei del resto del mondo. Si proclama suo protettore, ma non si preoccupa delle conseguenze che le sue azioni hanno per loro. Gli ebrei all’estero pagano il prezzo dell’ostilità nei confronti di Israele, eppure lo Stato continua ad avvolgerseli attorno come un giubbotto esplosivo. Tu vuoi danneggiarmi? Va bene, ma sappi che loro salteranno in aria per primi.

Gli effetti sugli ebrei all’estero non fanno parte delle stime militari di Israele. Fa quello che fa anche se ciò li danneggia. Ma questo non gli impedisce di affermare di rappresentarli, di parlare in loro nome e di usarli come ostaggi. Sono scudi umani. La vostra lealtà al vostro ebraismo, dice, viene prima della vostra lealtà alla vostra patria.

L’ebraismo nel cui nome lo Stato parla non è quello della maggior parte degli ebrei della diaspora. Israele limita o esclude il loro ebraismo. L’ebraismo di Israele è quello di una minoranza che ha preso il controllo del Paese e negli Stati Uniti è più attento ai cristiani evangelici che agli ebrei riformati o ortodossi. Lo Stato li combatte, eppure li usa.

Il governo di Israele ha sempre utilizzato gli ebrei della diaspora. L’identità israeliana si nasconde dietro l’ebraismo. I pericoli a cui Israele espone gli ebrei della diaspora non l’hanno mai frenato. Nel 1956 ha usato gli ebrei egiziani per sabotare il loro Stato. Ha mandato Jonathan Pollard [ebreo statunitense arrestato nel 1985 per aver fatto la spia a favore di Israele nei servizi di intelligence della Marina militare USA, ndt.] a spiare il loro stesso Stato. Ha imposto se stesso agli ebrei del resto del mondo, obbligandoli a mettere in discussione la propria lealtà, mentre insisteva nell’equiparare le critiche contro Israele a un’aggressione contro l’ebraismo e a tutti gli ebrei – cioè all’antisemitismo. Abbiamo molto di questo tipo di antisemitismo proprio qui. In base a questa formula, metà degli israeliani sono antisemiti perché non sopportano il governo. Ma l’efficacia di accusare il mondo di antisemitismo sta scomparendo. L’uso eccessivo ha usurato il meccanismo della vergogna e ha anticipato la sua data di scadenza. Sono passati i giorni in cui potevamo giustificare un attacco contro Gaza con quello che ci è stato fatto ad Auschwitz.

Israele non lo vuole ammettere, ma dal suo punto di vista c’è un aspetto positivo nell’antisemitismo. “Dimostra” il fallimento dei Paesi stranieri nel proteggere i loro ebrei. La loro negligenza sottolinea le nostre qualità. Il capo dello Stato, che è anche il capo degli ebrei del mondo, è orgoglioso della sicurezza che fornisce ai suoi ebrei, Tre anni fa, dopo gli attacchi terroristici contro ebrei francesi, ha invitato la comunità [ebraica francese] a venire in Israele perché il loro Paese non li può proteggere. (Circa 5.000 ebrei sono morti in attacchi terroristici in Israele).

Israele respinge la condanna per le sue azioni a Gaza. Abbandona gli ebrei ed esclude i non-ebrei, ma farebbe qualunque cosa per avere un po’ di simpatia da loro! È assetato di ogni briciola di apprezzamento. Il nostro Stato privatizzato esproprierà e nazionalizzerà e adotterà e si attribuirà qualunque risultato, da una medaglia nel judo al lancio di una nuova attività imprenditoriale.

Lo abbiamo visto la scorsa settimana. Sono state attaccate due dei più delicate questioni nazionali dell’Olanda: la vittoria di Israele all’Eurovisione e le uccisioni a Gaza, entrambi care al nostro cuore. La parodia olandese di “Toy” [“Giocattolo”, la canzone israeliana che ha vinto l’Eurovisione, ndt.], che includeva critiche alle azioni israeliane al confine con Gaza, è stata immediatamente accusata di “antisemitismo”, e l’ambasciata israeliana ha protestato. L’ambasciata sa molto bene che la canzone non è antisemita, ma ha prevalso il desiderio di confondere la critica a Israele con l’antisemitismo.

Chiunque critichi la cantante Neta Barzilai [la vincitrice dell’Eurovisione, ndt.] critica anche il primo ministro, sua moglie, il suo partito e il governo, e desidera farlo cadere. Perché? Perché lo diciamo noi, e ricaviamo la nostra autorità nel definire l’antisemitismo dai sei milioni di ebrei morti nell’Olocausto.

Ci siamo cercati da soli Benjamin Netanyahu, ma perché sono da criticare tutti gli ebrei del mondo? Perché devono pagare il prezzo della lotta del re degli ebrei con le sue inchieste penali? Se vivessi all’estero starei seguendo le sue recenti iniziative con timore e sospetto. Il bunker sotterraneo [Netanyahu ha convocato le riunioni per la sicurezza nazionale in un bunker, ndt.] e l’auto blindata per Sara [la moglie di Netanyahu, ndt.] non sono di buon auspicio per gli ebrei in Israele e all’estero.

Quando sentiremo che ha chiamato agenti immobiliari in Toscana o ha aperto un conto bancario nei Caraibi sarà venuto il tempo di fare le valigie. L’audace difensore degli ebrei è disposto a sacrificare ognuno di noi pur di far cadere anche solo una singola accusa nella faccenda del sottomarino [uno degli scandali in cui Netanyahu è coinvolto].

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Corbyn e Israele: la disputa sull’antisemitismo ha zittito il leader del partito Laburista sul massacro di Gaza

Ilan Pappè

venerdì 6 aprile 2018, Middle East Eye

È terribile accusare il capo del Labour per coprire l’appoggio della Gran Bretagna alla spoliazione dei palestinesi

Recenti pubblicazioni sull’antisemitismo – come l’eccellente libro di Jewish Voices for Peace [Voce Ebraiche per la Pace, gruppo di ebrei contrari all’occupazione dei territori palestinesi, ndt.] “On Anti-Semitism” [Sull’antisemitismo] – affermano che, benché ogni persona per bene si opponga al fenomeno, non c’è una definizione unitaria.

Questa discussione filosofica, oserei dire ontologica, non è molto utile per occuparsi della recente disputa sul presunto antisemitismo nel partito Laburista. Nel contesto di questo specifico dibattito, c’è un’utile definizione che tutti noi possiamo utilizzare. È chiara, diffusa, sensata ed efficace.

Antisemitismo è odiare gli ebrei per quello che sono. Non è diverso dalla definizione del razzismo contemporaneo. Ogni odio basato sulla razza, sulla religione, sul colore della pelle o sul genere che porta ad atteggiamenti intolleranti dal basso, e a politiche discriminatorie, a volte genocidarie, dall’alto, è razzismo.

Ci sono sei milioni di ebrei che vivono oggi nella Palestina storica accanto a sei milioni di palestinesi. Ogni generalizzazione su ognuna delle due comunità è razzismo, e, poiché entrambe le popolazioni sono semitiche, questo razzismo è antisemitismo.

Il ruolo della lobby filo-israeliana

Tuttavia condannare le persone per le loro azioni, sia che si tratti di ebrei o di palestinesi, in quanto contrapposte alla loro identità, non è antisemitismo. È vero anche per le ideologie razziste.

Condannare il sionismo in quanto ideologia colonialista di insediamento che ha portato all’espropriazione di metà della popolazione palestinese dalla propria terra e per l’attuale politica discriminatoria e brutale di Israele contro quelli che sono rimasti non è antisemitismo. Di fatto è antirazzismo.

L’ultima disputa sull’antisemitismo, che è il culmine di una serie di accuse e controaccuse scatenate dall’elezione – per la prima volta dalla dichiarazione Balfour del 1917 [che impegnò l’impero britannico a favorire la nascita di un “focolare ebraico” in Palestina, ndt.]– di un leader del partito Laburista che simpatizza con la lotta palestinese per la giustizia e l’indipendenza, illustra bene la differenza tra condannare un’azione e condannare un’identità.

Come è stato messo in luce anche dall’eccellente documentario di Al Jazeera “The Lobby”, dall’elezione di Jeremy Corbyn il gruppo della lobby filoisraeliana ha instancabilmente esaminato ogni tweet, ogni post su Facebook e ogni discorso che ha fatto da quando ha iniziato la sua vita politica, per distruggerlo in quanto antisemita.

Non era facile trovare prove di ciò, in quanto Corbyn è assolutamente contrario ad ogni forma di razzismo, compreso l’antisemitismo. Tuttavia alla fine hanno scoperto che aveva appoggiato, in nome della libertà di espressione, un murale che avrebbe potuto essere interpretato come antisemita (e, secondo alcune informazioni, venne definito come tale dall’artista).

Come ammise all’epoca lo stesso Corbyn, avrebbe dovuto analizzare il murale con maggiore attenzione. Non lo fece. Chiese scusa. Caso chiuso.

È stato eletto dai giovani in tutta la Gran Bretagna grazie alla sua fallibilitàin quanto essere umano e non perché fosse un altro politico superman frivolo e smidollato che non ha mai ammesso di aver commesso un errore.

Un altro politico del partito Laburista, Christine Shawcroft, ha dato le dimissioni dopo aver appoggiato Alan Bull, un candidato a un consiglio comunale a causa di una presa di posizione a Peterborough [città a nord est di Londra, ndt.], che lei ha ritenuto fosse stato scorrettamente accusato di essere un negazionista. Il candidato ha sostenuto che l’accusa era basata su contenuti falsificati e decontestualizzati.

Come mettere a tacere una critica

L’insignificante passo falso e l’appoggio male informato di Corbyn, se di questo si è trattato, sono stati sufficienti per un’esibizione di forza e di unità da parte della comunità ebraica organizzata, i cui attivisti hanno manifestato davanti al parlamento. Insieme a striscioni che collegavano il partito Laburista ai nazisti, i manifestanti sventolavano bandiere israeliane.

Le bandiere sono il principale problema, non l’appoggio di Corbyn a un murale né il sostegno di Shawcroft a Martin Bull. È stata una manifestazione contro la posizione filopalestinese di Corbyn, non contro l’antisemitismo.

Corbyn non è un antisemita e il partito Laburista, fino alla sua elezione, è stato un bastione filoisraeliano. Quindi la tempistica e la risposta sproporzionata alla questione del murale sono, a dir poco, bizzarre – oppure no.

In realtà non è così strano, se si capiscono le macchinazioni della lobby sionista in GB. La manifestazione è stata inscenata all’inizio di una settimana in cui Israele ha utilizzato una forza letale contro una marcia pacifica dei palestinesi nella Striscia di Gaza, uccidendo 17 palestinesi e ferendone altre centinaia.

Le bandiere israeliane mostrano chiaramente il rapporto tra gli attacchi contro Corbyn e le sue posizioni oneste e umane sulla Palestina. Il dividendo per la lobby sionista in Gran Bretagna è stato che Corbyn sarebbe rimasto in silenzio di fronte al nuovo massacro a Gaza – e senza di lui, abbiamo ben pochi politici coraggiosi che osino dire una parola nella nuova atmosfera di intimidazione.

I politici che attualmente governano in Israele hanno ben pochi scrupoli, come abbiamo visto, riguardo ad uccidere ed arrestare sistematicamente minori palestinesi. I loro alleati nella comunità anglo-ebraica, da parte loro, sono in difficoltà a causa di ciò. Il loro lavoro in difesa di Israele è molto più difficile ora che i palestinesi hanno chiaramente optato per una resistenza popolare nonviolenta.

È solo una questione di tempo prima che la brutalità inumana che l’esercito israeliano ha usato venga sottolineata dall’opinione pubblica, persino in Gran Bretagna, dove la BBC e Sky News lavorano alacremente per escludere la questione della Palestina dai loro reportage e dalla discussione: entrambi i canali hanno dedicato più tempo al murale che al nuovo massacro di Gaza.

Terribili accuse

La lobby israeliana vorrebbe che tutti noi in Gran Bretagna discutessimo di murales e antisemitismo latente in una società in cui gli ebrei non sono mai stati più sicuri e prosperi. Sì, c’è antisemitismo in tutti i partiti britannici – e molto di più a destra che a sinistra, tra l’altro. Dovrebbe essere sradicato e condannato, come ogni altra forma di razzismo, che sia diretto contro musulmani o ebrei in una società prevalentemente cristiana e bianca.

Quello che è terribile è l’utilizzo dell’accusa di antisemitismo per nascondere la continua, tacita e al contempo diretta, assistenza britannica alla spoliazione dei palestinesi, che iniziò con la dichiarazione Balfour 100 anni fa e da allora non si è mai interrotta.

È deplorevole utilizzare tali accuse per soffocare il dibattito sulla Palestina o per demolire politici che non sono disponibili ad allinearsi con Israele.

Non è il partito Laburista ad essere infestato dall’antisemitismo; sono i media ed il sistema politico britannici che sono afflitti dall’ipocrisia, paralizzati dalle intimidazioni e percorsi da strati nascosti di islamofobia e di un nuovo sciovinismo sulla scia della Brexit.

Nel centenario della dichiarazione Balfour tutti i partiti inglesi dovrebbero mettere insieme una commissione pubblica d’inchiesta sulla sua eredità, piuttosto che dare un peso sproporzionato a qualche passo falso, sia attraverso l’ignoranza che una manipolazione riuscita.

– Ilan Pappe è professore di storia, direttore del “Centro europeo per gli Studi Palestinesi” e co-direttore del “Centro Exeter di Studi Etno- Politici” dell’università di Exeter.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Deputata UE chiede un’inchiesta sulle calunnie della lobby israeliana

Ali Abunimah

9 marzo 2018, Electronic Intifada

Un’importante esponente del Parlamento Europeo sta chiedendo un’inchiesta ufficiale sul ruolo di una funzionaria di alto livello dell’Unione Europea in una campagna di diffamazione della lobby israeliana che l’ha presa di mira.

Ana Gomes, una parlamentare portoghese di centro-sinistra, è stata denunciata da gruppi della lobby filoisraeliana come antisemita dopo che li ha pubblicamente criticati per aver tentato di bloccare il suo invito al militante per i diritti umani dei palestinesi Omar Barghouti per una conferenza al Parlamento Europeo la scorsa settimana a Bruxelles.

Le accuse dei gruppi della lobby filoisraeliana sono state poi amplificate da Katharina von Schnurbein, la più importante funzionaria dell’UE incaricata di combattere l’antisemitismo, e dall’ambasciata UE a Tel Aviv, nota ufficialmente come la “Delegazione dell’Unione Europea in Israele”.

Gomes ha fatto la sua richiesta mercoledì con una lettera a Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Europea – il governo dell’UE – e alla responsabile della diplomazia dell’UE Federica Mogherini. “Chiedo un’inchiesta sulla campagna diffamatoria diretta contro di me, in quanto MEP (membro del Parlamento Europeo) eletta, da parte di qualcuno della Delegazione UE in Israele e dalla signora von Schnurbein,” afferma la lettera.

Gomes vuole l’indagine per definire se questi funzionari abbiano violato i loro doveri in base al regolamento del personale e alle norme dell’UE sui social media.

In linea con la prassi comune nei sistemi democratici, ai funzionari dell’UE viene richiesto di rimanere politicamente neutrali, il che rende l’attacco pubblico a Gomes – una politica eletta – da parte di von Schnurbein e dell’ambasciata UE a Tel Aviv una grave violazione del loro dovere.

Gomes ha anche sporto la propria denuncia al difensore civico europeo, un ente indipendente incaricato di indagare su accuse di comportamento scorretto presso le istituzioni europee.

Una “lobby perversa”

Il 28 febbraio Gomes ha ospitato un seminario sul movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) [contro Israele] con Omar Barghouti.

Barghouti è uno dei fondatori della campagna di base non violenta per i diritti umani e vincitore nel 2017 del “Gandhi Peace Award” [Premio Gandhi per la Pace].

All’inizio del seminario Gomes ha sottolineato che discussioni sui diritti umani dei palestinesi erano molto più frequenti, “ma sono diventate sempre più rare in questo parlamento in seguito ad una lobby molto perversa che tenta di intimidire le persone.”

Gomes ha aggiunto di essere stata sottoposta a simili pressioni nei giorni precedenti il seminario da parte di gruppi che “dicono molte falsità” e “fraintendono le parole di molti studiosi.”

In risposta l’“AJC Transatlantic Institute” [Istituto Transatlantico AJC] ha denunciato le notazioni di Gomes come “antisemite”, sostenendo che lei stava “demonizzando le organizzazioni della società civile ebraica” e ha chiesto “un’azione disciplinare” contro di lei da parte del suo gruppo parlamentare.

L’ “AJC Transatlantic Institute” è l’ufficio di Bruxelles dell’”American Jewish Committee” [Commissione Ebraica Americana], un’organizzazione lobbystica che afferma di “appoggiare Israele ai più alti livelli” dai “corridoi dell’ONU a New York a quelli dell’Unione Europea.”

Una delle sue principali attività è insabbiare i crimini di guerra israeliani.

Katharina von Schnurbein, dell’UE, ha ritwittato l’attacco dell’“AJC Transatlantic Institute”, sostenendo che le obiezioni di Gomes per essere stata censurata da gruppi politici che lavorano per Israele rappresentano “abominevoli espressioni antisemite.”

A loro volta, i tweet di von Schnurbein che attaccavano Gomes sono stati ritwittati da @EUinIsrael, l’account ufficiale dell’ambasciata UE a Tel Aviv.

In almeno uno dei propri tweet, l’ambasciata ha fornito il proprio appoggio implicito alle critiche a Gomes.

Allineata con Israele

In realtà uno dei suoi [di von Schnurbein] principali obiettivi è stato aiutare la lobby filoisraeliana a combattere l’attivismo solidale con i palestinesi diffamando come antisemite le critiche contro l’occupazione, la colonizzazione di insediamento e l’apartheid di Israele.

Ha sostenuto senza prove che le attività del BDS hanno portato ad un incremento di episodi antisemiti nei campus universitari.

In risposta ad una richiesta di informazioni da parte di “Electronic Intifada”, la Commissione Europea ha fornito il proprio pieno appoggio a von Schnurbein in seguito al suo attacco contro Gomes.

La Commissione Europea rimane ferma contro l’antisemitismo – così come più in generale contro il razzismo e la xenofobia – e il lavoro della coordinatrice nella lotta contro l’antisemitismo è una parte importante dei nostri sforzi a questo proposito,” ha detto un portavoce.

Questa settimana von Schnurbein era a Londra per partecipare alla cena di un gruppo lobbystico israeliano, il “Community Security Trust”, insieme all’ambasciatore israeliano Mark Regev.

L’ambasciata UE a Tel Aviv si è anche schierata con opinioni di estrema destra: lo scorso anno ha ingaggiato un sostenitore israeliano del genocidio dei palestinesi perché comparisse in un video in cui reclamizzava i benefici della cooperazione tra UE ed Israele.

Tentativi di bloccare la conferenza

Nella lettera in cui chiede l’inchiesta, Gomes afferma che l’annuncio del seminario con Barghouti “ha provocato tentativi da parte di alcune organizzazioni di bloccarlo, di etichettare esso, il signor Barghouti e me con l’insulto di “antisemiti”.

Oltre all’”AJC Transatlantic Institute”, Gomes afferma che le “organizzazioni che hanno condotto questa campagna diffamatoria” includono gruppi della lobby filoisraeliana come l’“European Coalition for Israel”, l’“European Jewish Congress” e l’“European Leadership Network”.

Come riportato da Electronic Intifada, l’“European Leadership Network” ha una politica di collaborazione con politici dell’estrema destra europea, compresi neonazisti e negazionisti dell’Olocausto, nella misura in cui sono filoisraeliani.

Anche l’“Israel Project”, un’importante organizzazione antipalestinese, si è dato da fare contro la conferenza di Barghouti, definendo “vergognoso” che il Parlamento Europeo “legittimi il suo antisemitismo.”

Coraggio morale

Insistendo perché io parlassi al Parlamento Europeo, resistendo alle intimidazioni ed ai tentativi menzogneri della lobby dell’UE filoisraeliana, Ana Gomes ha dimostrato il proprio coraggio morale e il suo fermo impegno per i diritti umani,” ha detto Barghouti a “Electronic Intifada”.

Ha aggiunto: “Lei ha anche rappresentato la crescente ripulsa della società civile europea e di base nei confronti delle gravissime violazioni dei diritti umani da parte di Israele contro il popolo palestinese e, in modo decisivo, della complicità dell’UE nel consentire e rafforzare il sistema pluridecennale di oppressione coloniale e apartheid di Israele.”

Nella sua conferenza al seminario – il cui testo Gomes ha postato sul suo sito – Barghouti ha detto che “solo consistenti pressioni da parte della società civile europea possono porre fine a questa complicità dell’UE.”

Anche Israele lo sa, ed è la ragione per cui i lobbysti di Bruxelles ed i loro alleati all’interno della burocrazia dell’UE appaiono così determinati a calunniare chiunque resista loro.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Cosa c’è nel documentario segreto di Al Jazeera a proposito della lobby USA-Israele?

Asa Winstanley

5 marzo 2018, The Electronic Intifada

L’inchiesta di Al Jazeera sulla lobby israeliana negli USA di prossima messa in onda rivelerà che l’eminente gruppo neoconservatore di esperti “Foundation for Defence of Democraties” [Fondazione per la Difesa della Democrazia] sta operando come agente del governo israeliano.

Secondo una fonte che ha visto il documentario segreto, esso contiene immagini di un potente funzionario israeliano che sostiene: “Abbiamo l’FDD. Abbiamo altri che ci lavorano.”

Si dice che Sima Vaknin-Gil, ex-ufficiale dell’intelligence militare israeliana, affermi che la fondazione sta “lavorando” a “progetti per Israele, compresi “raccolta dati, analisi informative, lavori su organizzazioni di attivisti, tracciatura dei soldi. È qualcosa che solo un Paese, con le sue risorse, può fare al meglio.”

In base alla “Legge sulla Registrazione di Agenti Stranieri”, comunemente nota come “FARA”, organizzazioni ed individui che lavorano a favore di governi stranieri devono registrarsi alla sezione del controspionaggio del Ministero di Giustizia.

Una ricerca sul sito web del “FARA” mostra che la “Foundation for Defence of Democraties” non è registrata.

Pare che il documentario di Al Jazeera identifichi un certo numero di gruppi lobbystici che lavorano con Israele per spiare cittadini americani utilizzando tecniche sofisticate di raccolta dati. Pare anche che il documentario metta in luce tentativi segreti di diffamare ed intimidire americani considerati troppo critici con Israele.

Gruppi della lobby israeliana hanno esercitato pesanti pressioni sul Qatar, che finanzia Al Jazeera, perché archivi il documentario, suscitando dubbi sul fatto che venga mai trasmesso.

Agenti segreti di Israele

Sima Vaknin-Gil, che nell’esercito israeliano ricopre il grado di brigadiere generale, è ora la principale funzionaria presso il ministero degli Affari Strategici di Israele.

Il ministero è incaricato di condurre una campagna segreta di sabotaggio contro il BDS, il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni in appoggio ai diritti umani dei palestinesi.

Il capo di Vaknin-Gil al ministero è Gilad Erdan, uno stretto alleato del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Poco dopo essere stata nominata a dirigere il ministero all’inizio del 2016, Vaknin-Gil ha promesso di “creare una comunità di lottatori” che avrebbe “inondato internet” di propaganda israeliana ma ufficialmente non legata al governo.

Oltre ad essere finanziata da Sheldon Adelson, il miliardario anti-palestinese e principale donatore della campagna elettorale di Donald Trump, la “Foundation for Defence of Democraties” ha stretti legami con gli Emirati Arabi Uniti.

In messaggi hackerati lo scorso anno l’ambasciatore degli Emirati a Washington ha incoraggiato la fondazione ad attivarsi per spostare una base militare USA dal Qatar al suo Paese.

Il documentario mostrerebbe anche immagini segrete di un lobbista israeliano di minor rango che si vanta di quanto siano stretti i rapporti di Israele con gli Emirati Arabi Uniti e altri regimi del Golfo.

Rapporti sempre più stretti tra gli EAU e Israele

Pare che nel film si veda Max Adelstein affermare che la lobby ha aiutato Israele e gli Emirati Arabi Uniti a sviluppare “di nascosto” rapporti di sicurezza.

Adelstein era stagista presso lo studio lobbystico di Washington “Harbour Group”. I clienti dello studio includono gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia saudita.

Durante i sei mesi terminati il 30 settembre 2017 essa ha ricevuto 2.2 milioni di dollari dagli EAU e più di 300.000 dollari dall’Arabia saudita.

Adelstein ora dice di lavorare per l’AIPAC, il più potente gruppo della lobby israeliana a Washington, la cui conferenza annuale inizia domenica.

Il documentario mostrerebbe Adelstein vantarsi che i rapporti tra gli Emirati Arabi Uniti ed Israele stiano “andando sempre meglio, e nessuno lo sa.”

Ha detto ad un reporter di Al Jazeera in incognito che “i governi si devono coordinare sulla sicurezza. È tutto sottobanco. Ma su commercio, tecnologie, medicina, c’è molta cooperazione.”

Secondo la fonte di “Electronic Intifada”, nelle immagini prese di nascosto si vede Adelstein spiegare che si stava organizzando un “viaggio di studio” di un Comitato Ebreo-Americano sulla “cooperazione reciproca” negli Emirati Arabi Uniti.

In gennaio la conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebree-americane, una riunione di gruppi della lobby israeliana a cui partecipa anche l’“American Jewish Committee”, ha annunciato di aver inviato una “folta delegazione” di dirigenti negli Emirati Arabi Uniti, dove hanno “incontrato tutte le personalità ai più alti livelli.”

L’ulteriore chiave per comprendere la disponibilità degli Emirati Arabi Uniti verso i gruppi della lobby israeliana è che le attività della ricca monarchia sono di nuovo sottoposte a Washington a indagini.

Sabato il New York Times ha informato che il consigliere speciale Robert Mueller sta estendendo le sue indagini dalle presunte ingerenze russe nelle elezioni presidenziali USA “includendo le influenze degli Emirati sull’amministrazione Trump” attraverso il genero e consigliere del presidente Jared Kushner.

L’accusa di antisemitismo non è più come una volta”

Pare che in una ripresa girata di nascosto si veda Jonathan Schanzer, importante vice presidente della “Foundation for Defense of Democracies”, istruire i nuovi aderenti su come calunniare i gruppi di solidarietà con la Palestina che appoggiano il movimento BDS negli Usa.

Secondo la fonte, Schanzer ammette al reporter in incognito che “il BDS ha preso tutti di sorpresa.”

Definisce la reazione dei gruppi della lobby israeliana “un pasticcio totale”, aggiungendo: “Penso che nessuno stia facendo un buon lavoro. Neppure noi stiamo facendo un buon lavoro.”

Secondo la fonte, Schanzer lamenta il fatto che i tentativi di calunniare “Students for Justice in Palestine” [Studenti per la Giustizia in Palestina] e “American Muslims for Palestine” [Musulmani Americani per la Palestina] come legati al terrorismo estremista islamico non siano riusciti a guadagnare terreno.

Si dice anche rammaricato perché la tattica usuale della lobby israeliana di pretendere che gli attivisti della solidarietà con la Palestina siano motivati da odio contro gli ebrei sta perdendo efficacia.

Personalmente ritengo che l’accusa di antisemitismo non è più quella di una volta,” pare dica al giornalista in incognito.

Le opinioni di Schanzer riprendono un rapporto segreto ufficiale del governo israeliano e distribuito ai dirigenti della lobby israeliana lo scorso anno. Questo rapporto, di cui è trapelata una copia pubblicata da Electronic Intifada, conclude che i tentativi israeliani di arginare la crescita del movimento di solidarietà con la Palestina sono in gran parte falliti.

Documentario rimandato

Nell’ottobre dello scorso anno Clayton Swisher, il responsabile dei reportage d’inchiesta di Al Jazeera, ha in un primo tempo annunciato che il canale satellitare del Qatar aveva infiltrato un giornalista in incognito nella lobby israeliana degli USA.

Swisher ha fatto l’annuncio poco dopo che l’autorità britannica per la regolamentazione delle trasmissioni ha respinto ogni denuncia contro il documentario di Al Jazeera “The Lobby”.

Quel documentario, trasmesso nel gennaio 2017, denunziava la campagna occulta di Israele in Gran Bretagna per influenzare il partito Conservatore, al governo, e quello Laburista, all’opposizione. Il documentario ha rivelato che un agente dell’ambasciata israeliana tramava con un funzionario britannico per “demolire” un ministro del governo visto come troppo critico con Israele.

Benché Swisher abbia promesso che il film sugli USA sarebbe stato reso pubblico “molto presto”, circa cinque mesi dopo deve ancora essere trasmesso.

La lobby israeliana in Qatar

Nello stesso periodo un’ondata di lobbysti israeliani ha visitato il Qatar su invito del sovrano, l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani.

Tra costoro c’erano alcune figure di difensori di Israele negli USA della destra più estrema, compresi il professore di diritto di Harvard Alan Dershowitz e Morton Klein, il capo della “Zionist Organization of America” [Organizzazione Sionista d’America].

Il mese scorso varie fonti della lobby israeliana hanno detto al giornale israeliano Haaretz di aver ricevuto alla fine dello scorso anno assicurazioni dai dirigenti del Qatar che il documentario di Al Jazeera non sarebbe stato trasmesso.

Il Qatar ha negato.

I gruppi filoisraeliani hanno intrapreso un’offensiva per cercare di impedire che Al Jazeera mostri il documentario.

Non usiamo mezzi termini in merito a quello che è stato – un’operazione di spionaggio professionale e ben finanziata messa in atto dal Qatar sul suolo americano,” ha affermato Noah Pollak, direttore esecutivo del neoconservatore “Comitato per Israele”.

Ironicamente, i membri filoisraeliani del Congresso stanno ora facendo pressione sul ministero di Giustizia per obbligare Al Jazeera a registrarsi come braccio del Qatar, in base alla “Legge per la Registrazione degli Agenti Stranieri”, come recentemente è stata obbligata a fare la rete RT finanziata dalla Russia.

Se queste pressioni avranno successo nell’insabbiare per sempre il documentario, sarà probabilmente la prova definitiva dell’influenza della lobby israeliana che i giornalisti di Al Jazeera volevano mettere in evidenza.

Asa Winstanley è un giornalista investigativo e co-redattore di Electronic Intifada.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Una controversa definizione di antisemitismo incontra resistenze riguardo a preoccupazioni per la libertà di parola

Ben White

22 febbraio 2018, Middle East Monitor

In Gran Bretagna gruppi filoisraeliani stanno incontrando resistenze ai loro tentativi di utilizzare una controversa definizione di antisemitismo per zittire l’attivismo in solidarietà con la Palestina. Università e autorità locali hanno dato ascolto alle preoccupazioni riguardanti la libertà di parola, un incoraggiamento per gli attivisti per i diritti della Palestina che attualmente stanno tenendo, o si stanno preparando a tenere, iniziative per la “Israeli Apartheid Week [Settimana dell’apartheid israeliana, ndt.] (IAW) nelle università di tutto il Paese.

Nel dicembre 2016 il governo britannico ha annunciato di aver “adottato” la definizione di antisemitismo accolta all’inizio di quell’anno dall’“International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, ndt.] (IHRA). Descritta come “straordinariamente imprecisa” da David Feldman, direttore del “Pears Institute for the Study of Anti-Semitism” [Istituto Pears per lo Studio dell’Antisemitismo, ndt.], la definizione è promossa dall’IHRA ed è accompagnata da un elenco di 11 esempi su come oggi si possa manifestare l’antisemitismo, che comprendono critiche a Israele.

Fin da quando il governo di Theresa May ha dato il suo (non legale, non vincolante) appoggio, in Gran Bretagna un certo numero di gruppi ha dedicato tempo e risorse considerevoli per cercare di ottenere appoggio alla definizione da parte di consigli comunali e istituzioni dell’educazione superiore, tra gli altri. Tuttavia quasi subito c’è stato un rifiuto da parte di chi ha visto nella definizione e nel modo in cui è stata utilizzata, consistenti pericoli per la libertà di parola e per l’attivismo politico legittimo.

Nel marzo 2017 la direttrice della “London’s School of Oriental and African Studies” [Scuola di Studi Orientali ed Africani di Londra, ndt.] (SOAS), Valerie Amos, ha detto alla BBC che la sua università non intende adottare questa definizione. “Ho consultato su questo il nostro ‘Centro di Studi Ebraici’,” ha spiegato, “che ha fondamentalmente detto che questa definizione è discutibile.”

Quello stesso mese l’avvocato dei diritti umani Hugh Tomlinson, patrocinante della Corona [corrispettivo inglese dell’avvocato di cassazione in Italia, ndt.], ha pubblicato un parere legale che evidenzia “gravi errori” nella definizione e nelle linee guida allegate.

Nel maggio 2017 il sindacato dell’università e dei college – che rappresenta 110.000 professori e altri membri del personale – ha approvato a stragrande maggioranza una mozione che respinge l’uso della definizione dell’IHRA e che evidenzia “tentativi ispirati dal governo di mettere al bando iniziative di solidarietà con la Palestina “ come l’”Israel Apartheid Week”.

Ora anche la “London School of Economics” [Scuola di Economia di Londra, ndt., una delle più prestigiose istituzioni accademiche inglesi, ndt.] (LSE) si è unita a quanti, pur accettando la definizione di antisemitismo di 38 parole formulata dall’IHRA, hanno esplicitamente respinto l’elenco di esempi suggeriti, che include critiche a Israele. “La Scuola intende chiarire che criticare il governo di Israele, senza ulteriori prove che suggeriscano intenzioni antisemite, non è antisemitismo,” ha scritto un dirigente della LSE in una lettera lo scorso mese. “La Scuola non accetta neppure che tutti gli esempi che l’IHRA elenca come esemplificazioni di antisemitismo ricadano nella definizione di antisemitismo, a meno che non ci siano ulteriori prove per suggerire intenzioni antisemite.” L’autenticità della lettera, pubblicata su un sito filoisraeliano, mi è stata confermata da un dirigente della LSE.

Frattanto “Università del Regno Unito”, l’influente organizzazione rappresentativa delle università, ha resistito ai tentativi da parte di gruppi filoisraeliani perché manifestasse il proprio appoggio alla definizione dell’IHRA. Secondo un portavoce, che ha parlato con me all’inizio del mese, “Università del Regno Unito” non ha una posizione in merito.

In una richiesta a una commissione parlamentare d’inchiesta in corso sulla libertà di parola nelle università, il “Comitato dei Deputati degli Ebrei Britannici” ha detto ai parlamentari che le università dovrebbero “adottare la definizione dell’IHRA per consentire loro di esprimere giudizi meditati su cosa sia o non sia considerato antisemitismo.” Il Comitato ha riconosciuto: “Tuttavia c’è una preoccupante resistenza da parte delle università ad adottarla e la libertà di parola viene addotta come la principale ragione della loro riluttanza.”

Questa riluttanza è ben fondata. Lo scorso anno, un evento dell’IAW all’università del Lancashire Centrale è stato annullato dai dirigenti dell’università sulla base del fatto che avrebbe trasgredito la definizione dell’IHRA (e in seguito a pressioni da parte di gruppi filoisraeliani). Questa settimana la “Campagna contro l’Antisemitismo” ha affermato di augurarsi che ci siano “successi simili” nell’ottenere che iniziative dell’IAW organizzate dagli studenti quest’anno vengano annullate. Anche l’”Alleanza Israele-Gran Bretagna – un progetto della Federazione Sionista – sta fondando sulla definizione dell’IHRA i propri “sforzi per bloccare…eventi (dell’IAW)”.

Frattanto l’onorevole conservatore Matthew Offord martedì ha detto in parlamento che “le parole “settimana dell’apartheid israeliano” sono palesemente antisemite,” in base alla definizione dell’IHRA. Quindi, ha sostenuto, i ministri dovrebbero prendere in considerazione il fatto di “portare avanti le leggi necessarie per impedire (iniziative dell’IAW).”

Anche a Bruxelles gli effetti agghiaccianti della definizione dell’IHRA, così come viene utilizzata dai gruppi filoisraeliani, sono già stati dimostrati nei tentativi per far annullare un evento del parlamento europeo che ospita il difensore palestinese dei diritti umani Omar Barghouti. In una lettera al presidente del parlamento europeo Antonio Tajani i gruppi filoisraeliani sostengono che Barghouti e il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), di cui è co-fondatore, sono colpevoli rispettivamente di affermazioni e di obiettivi “antisemiti” “in base alla (definizione dell’IHRA).”

Tuttavia, mentre i sostenitori di Israele vedono chiaramente la definizione dell’IHRA come un mezzo per l’eliminazione dell’attivismo in solidarietà con la Palestina e delle voci palestinesi, c’è una discussione interessante, ed una mancanza di chiarezza, riguardo a in cosa consista esattamente la definizione. La “definizione di antisemitismo non vincolante dal punto di vista legale” dell’IHRA è pubblicata in rete all’interno di un riquadro nero chiaramente evidenziato. È un testo di 38 parole, che dice quanto segue: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa come odio nei confronti degli ebrei: manifestazioni verbali e fisiche di antisemitismo sono dirette verso individui ebrei e non ebrei e/o loro proprietà, verso istituzioni e strutture religiose della comunità ebraica.” Lo stesso testo è comparso, anch’esso in un riquadro nero a parte, nel maggio 2016 su un comunicato stampa dell’IHRA che annunciava l’adozione della definizione.

Queste 38 parole sono poi seguite da un testo più lungo, che include l’elenco degli esempi di come si può manifestare l’antisemitismo contemporaneo; questa è la parte in cui è inclusa, in modo discutibile, la critica contro Israele. Tuttavia questi esempi sono effettivamente parte della definizione stessa?

Secondo l’ufficio permanente dell’IHRA a Berlino la risposta è no. In un messaggio mail datato 12 settembre 2017 un rappresentante dell’IHRA ha confermato che la definizione consiste solo nel “testo nel riquadro”, mentre gli esempi intendono “servire come illustrazione” di come “possa manifestarsi” l’antisemitismo.

Sembra che questa conferma sia stata un passo falso o, quanto meno, non è stata ripetuta. Mi sono rivolto all’ufficio permanente dell’IHRA a questo proposito e, stranamente, mi è risultato impossibile, sia con email che al telefono, avere una chiara conferma su cosa sia effettivamente la definizione. In una conversazione di cinque minuti all’inizio di questo mese un funzionario dell’IHRA ha ribattuto alla mia richiesta di chiarire se la definizione consista solo nel testo di 38 parole dicendo che io dovrei “fare riferimento all’informazione sul nostro sito”, o “semplicemente inserire un link sul sito dell’IHRA.” Quando ho fatto notare che certe istituzioni hanno accolto il testo di 38 parole, ma non l’elenco di esempi che lo accompagna, il funzionario ha riconosciuto che “dipende dalla discrezionalità delle istituzioni e delle autorità adottare qualunque cosa ritengano utile,” ma si è di nuovo rifiutato di rispondere alla semplice domanda.

Mentre l’IHRA è curiosamente reticente nel chiarire quello che costituisce la definizione, altri hanno già deciso: una dichiarazione che ho ricevuto dal portavoce della Commissione Europea fa una chiara distinzione tra la “definizione” da una parte e “gli esempi non esaustivi” dall’altra.

Alcune autorità locali in Gran Bretagna hanno allo stesso modo adottato solo il testo di 38 parole; recenti esempi includono il consiglio comunale di Manchester e il consiglio regionale del South Northamptonshire. Quando il consiglio comunale di Liverpool ha accolto solo la definizione di 38 parole, un attivista filoisraeliano si è infuriato – spingendo gli “Amici di Israele di Merseyside” ad affermare che i due testi sono, di fatto, “la definizione effettiva.”

La confusione – e l’ambiguità probabilmente intenzionale da parte dell’IHRA – su cosa costituisca la definizione, l’opposizione alla libertà di parola e il rozzo tentativo di censura da parte di quanti (falsamente) sostengono che la definizione “dimostra” che iniziative come l’IAW sono antisemite, sono tutti ben noti. È per questo che la storia della definizione dell’IHRA è ripresa nel resoconto del suo infausto predecessore, la proposta di definizione provvisoria dell’EUMC [Centro Europeo per il Monitoraggio del Razzismo e della Xenofobia, ndt.]. Alla fine è stata screditata ed abbandonata dopo che sostenitori di Israele l’hanno utilizzata – nelle parole di uno degli estensori della definizione – “con la delicatezza di un martello”.

Nonostante questi tentativi, l’attivismo in solidarietà con la Palestina e in particolare la campagna BDS sono cresciuti e si sono estesi in tutta Europa, compresa la Gran Bretagna, in rapporto diretto con le politiche di un governo israeliano che continua a colonizzare la Cisgiordania e a devastare la Striscia di Gaza.

Gli apologeti di Israele non smetteranno di ridefinire l’antisemitismo per prendere di mira la solidarietà con i palestinesi. Tuttavia è improbabile che soffochino un movimento contro l’apartheid che, in un’epoca segnata da Trump e dalla annessione israeliana, in tutto il mondo troverà solo più adesioni sia dentro che fuori dai campus.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Il “nuovo antisemitismo”

Neve Gordon

4 gennaio 2018, London Review of Books

Poco dopo lo scoppio della Seconda Intifada nel settembre 2000 sono diventato attivista del movimento politico ebreo-palestinese chiamato “Ta’ayush”, che conduce un’attività non violenta diretta contro l’assedio militare israeliano della Cisgiordania e di Gaza. Il suo obiettivo non è solo protestare contro le violazioni dei diritti umani da parte di Israele, ma di unirsi al popolo palestinese nella sua lotta per l’autodeterminazione. Per alcuni anni ho passato la maggior parte dei fine settimana con “Ta’ayush” in Cisgiordania; durante la settimana avrei scritto delle loro attività per la stampa locale ed internazionale. I miei articoli attirarono l’attenzione di un professore dell’università di Haifa, che scrisse una serie di interventi accusandomi prima di essere un traditore e un sostenitore del terrorismo, poi più tardi di essere un “Judenrat wannabe” [lett. “Sostenitore del Consiglio ebraico”, cioè gli ebrei che collaborarono con il nazismo, ndt.] e un antisemita. Le accuse iniziarono a circolare sui siti web della destra; ricevetti minacce di morte e parecchi messaggi di odio via mail; all’amministrazione della mia università arrivarono lettere, alcune da parte di importanti finanziatori, che chiedevano che venissi licenziato.

Ho citato questa esperienza personale perché, benché persone all’interno di Israele e all’estero abbiano espresso preoccupazione per il mio benessere e mi abbiano offerto il loro appoggio, la mia sensazione è che nel loro sincero allarme per la mia sicurezza, abbiano perso di vista qualcosa di molto importante riguardo all’accusa di “nuovo antisemitismo” e a chi sia, in ultima analisi, il loro bersaglio.

Ci viene detto che il “nuovo antisemitismo” prende la forma della critica del sionismo e delle azioni e delle politiche di Israele, e si manifesta spesso nelle campagne per rendere responsabile il governo israeliano della violazione delle leggi internazionali, con il recente esempio del movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS). In questo sarebbe diverso dal “tradizionale” antisemitismo, inteso come l’odio per gli ebrei in quanto tali, l’idea che gli ebrei siano naturalmente inferiori, la convinzione che ci sia una cospirazione mondiale degli ebrei o il controllo ebraico del capitalismo, ecc. Il “nuovo antisemitismo” differisce anche dalla forma tradizionale nelle affiliazioni politiche dei suoi presunti responsabili: mentre siamo abituati a pensare che gli antisemiti siano politicamente di destra, i nuovi antisemiti sarebbero, agli occhi dei loro accusatori, soprattutto politicamente di sinistra.

La logica del “nuovo antisemitismo” può essere formulata come un sillogismo: 1) l’antisemitismo è odio verso gli ebrei; 2) essere ebrei vuol dire essere sionisti; 3) di conseguenza l’antisionismo è antisemitismo. L’errore riguarda la seconda proposizione. Le affermazioni secondo cui il sionismo si identifica con l’ebraismo, o che una simile equazione possa essere fatta tra lo Stato di Israele e il popolo ebraico, sono false. Molti ebrei non sono sionisti. E il sionismo ha molte caratteristiche che non sono in nessun modo insite o caratteristiche dell’ebraicità, ma piuttosto sono emerse dalle ideologie nazionaliste e del colonialismo di insediamento durante gli ultimi trecento anni. La critica del sionismo o di Israele non è necessariamente il prodotto di un’animosità verso gli ebrei; al contrario, l’odio verso gli ebrei non implica necessariamente l’antisionismo.

Non solo, ma è possibile essere sia sionista che antisemita. La prova di ciò è fornita dalle affermazioni di suprematisti bianchi negli USA e da politici dell’estrema destra in tutta Europa. Richard Spencer, un esponente di spicco dell’alt-right [“destra alternativa”, l’estrema destra statunitense che ha contribuito all’elezione di Trump, ndt.], non ha nessun problema nel definirsi come un “sionista bianco” (“come cittadino israeliano” ha spiegato a un intervistatore della televisione israeliana Channel 2, “che ha un senso di appartenenza ad una Nazione e ad un popolo, alla storia e l’esperienza del popolo ebraico, lei dovrebbe avere rispetto per uno come me, che prova gli stessi sentimenti nei confronti dei bianchi…Voglio che noi abbiamo una patria sicura per noi stessi. Proprio come voi volete una patria sicura in Israele”), mentre pensa anche che “gli ebrei sono ampiamente sovra rappresentati in quello che si potrebbe chiamare l’“establishment”.’ Anche Gianfranco Fini dell’Alleanza Nazionale italiana e Geert Wilders, leader del Partito Olandese della Libertà, hanno professato la propria ammirazione per il sionismo e per l’etnocrazia “bianca” dello Stato di Israele, pur esprimendo chiaramente le proprie opinioni antisemite in altre occasioni. Tre cose che attraggono questi antisemiti verso Israele sono: primo, il carattere etnocratico dello Stato; secondo, un’islamofobia che ritengono Israele condivida con loro; terzo, le politiche assolutamente dure di Israele verso i migranti di colore dall’Africa (nelle ultime di una serie di misure destinate a obbligare immigrati eritrei e sudanesi a lasciare Israele, sono state introdotte norme, all’inizio di quest’anno, che impongono ai richiedenti asilo di depositare il 20% dei loro averi in un fondo che gli verrà restituito solo se, e quando, lasceranno il Paese).

Se sionismo ed antisemitismo possono coincidere, allora – in base alla legge di contraddizione – l’antisionismo e l’antisemitismo non sono riducibili uno all’altro. Ovviamente è vero che in certi casi l’antisionismo può effettivamente sovrapporsi in parte all’antisemitismo, ma questo di per sé non ci dice molto, dato che una grande varietà di opinioni e di ideologie possono coincidere con l’antisemitismo. Si può essere capitalisti, socialisti o libertari ed essere anche antisemiti, ma il fatto che l’antisemitismo si possa unire con ideologie così diverse così come con l’antisionismo non ci dice praticamente niente su questo o su di esse. Eppure, nonostante la chiara distinzione tra l’antisemitismo e l’antisionismo, parecchi governi, così come gruppi di studio e organizzazioni non governative, insistono ora sulla nozione secondo cui l’antisionismo è necessariamente una forma di antisemitismo. La definizione adottata dall’attuale governo del Regno Unito offre 11 esempi di antisemitismo, sette dei quali includono critiche a Israele – una manifestazione concreta del modo in cui la nuova concezione dell’antisemitismo è diventata un’opinione accettata. Qualunque critica rivolta contro lo Stato di Israele assume ora le tinte dell’antisemitismo.

Un esempio singolare ma molto efficace del “nuovo antisemitismo” ha avuto luogo nel 2005 durante il ritiro di Israele da Gaza. Quando sono arrivati i soldati per evacuare gli ottomila coloni che vivevano nella zona, alcuni di questi hanno protestato mettendo sui vestiti stelle gialle e insistendo che “non sarebbero andati come pecore al macello”. Shaul Magid, il titolare della cattedra di “Studi ebraici” all’università dell’Indiana, sottolinea che così facendo i coloni hanno dato dell’antisemita al governo e all’esercito israeliani. Ai loro occhi il governo ed i soldati meritavano di essere chiamati antisemiti non perché odiano gli ebrei, ma perché stavano mettendo in atto una politica antisionista, danneggiando il progetto di fondazione del cosiddetto “Grande Israele”. Questa rappresentazione della decolonizzazione come antisemita è la chiave per una corretta comprensione di quello che è in gioco quando la gente viene accusata del “nuovo antisemitismo”. Quando il professore dell’università di Haifa mi ha bollato come antisemita, non ero io il vero bersaglio. Gente come me viene regolarmente attaccata, ma siamo considerati dalla macchina del “nuovo antisemitismo” scudi umani. Il vero obbiettivo sono i palestinesi.

C’è una certa ironia in questo. Storicamente la lotta contro l’antisemitismo ha inteso promuovere pari diritti e l’emancipazione degli ebrei. Quelli che denunciano il “nuovo antisemitismo” desiderano legittimare la discriminazione e la sottomissione dei palestinesi. Nel primo caso qualcuno che desidera opprimere, dominare e sterminare gli ebrei è bollato come antisemita; nel secondo, chi vuole partecipare alla lotta per la liberazione dal dominio coloniale è bollato come antisemita. In questo modo, ha osservato Judith Butler [nota filosofa statunitense di origine ebraica, ndt.], “un desiderio di giustizia” è “ridefinito come antisemitismo”.

Il governo israeliano ha bisogno del “nuovo antisemitismo” per giustificare le sue azioni e per proteggerle dalla condanna interna ed internazionale. L’antisemitismo è effettivamente utilizzato come un’arma, non solo per soffocare il discorso – “non importa se l’accusa è vera”, scrive Butler, il suo intento è “causare sofferenza, provocare vergogna, e ridurre l’accusato al silenzio” – ma anche per sopprimere una politica per la liberazione. La campagna non violenta del BDS contro il progetto coloniale e la violazione dei diritti da parte di Israele è etichettata come antisemita non perché i fautori del BDS odino gli ebrei, ma perché esso denuncia l’oppressione del popolo palestinese. Ciò evidenzia un ulteriore aspetto inquietante del “nuovo antisemitismo”. Convenzionalmente, chiamare qualcuno “antisemita” vuol dire mettere in evidenza e condannare il suo razzismo; nel nuovo caso, l’accusa di “antisemita” è utilizzata per difendere il razzismo e per appoggiare un regime che mette in atto politiche razziste.

Oggi la questione è come conservare una nozione di anti-antisemitismo che rifiuti l’odio contro gli ebrei, ma non promuova l’ingiustizia e l’espropriazione nei territori palestinesi o in qualunque altro luogo. C’è una via d’uscita dal dilemma. Possiamo opporci a due ingiustizie in una volta. Possiamo condannare i discorsi di odio ed i crimini contro gli ebrei, come quelli di cui siamo stati testimoni recentemente negli USA, o l’antisemitismo dei partiti politici di estrema destra europei, e allo stesso tempo denunciare il progetto coloniale di Israele ed appoggiare i palestinesi nella loro lotta per l’autodeterminazione. Ma per portare avanti questi compiti congiuntamente, bisogna prima rifiutare l’equazione tra antisemitismo e antisionismo.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




L’alleanza tra i sionisti ed i suprematisti bianchi nella Casa Bianca di Trump

Ali Abunimah Lobby Watch

15 agosto 2017, Electronic Intifada

Un articolo molto discusso del New York Times sulle pressioni sul presidente Donald Trump perché licenzi il suo consigliere Steve Bannon contiene questa affermazione intrigante:

La capacità del signor Bannon di inserirsi come populista all’interno dell’amministrazione Trump è in parte dovuta ai suoi collegamenti con un pugno di ricchissimi padrini politici, compreso Sheldon G. Adelson, il magnate filo-israeliano dei casinò di Las Vegas.

Come presidente esecutivo di Breitbart News prima di unirsi alla campagna elettorale di Trump, Bannon ha trasformato il sito informativo di estrema destra in quello che ha definito come la “piattaforma per l’alt-right” – l’insieme di neonazisti, suprematisti bianchi e razzisti che sabato sono stati la nuova causa di indignazione dopo la loro violenta aggressione a Charlottesville, in Virginia.

Il silenzio di Israele

Bannon è universalmente visto come il campione dei suprematisti bianchi – alcuni dei quali hanno sfilato apertamente con bandiere naziste – e la ragione per cui Trump non li ha esplicitamente condannati immediatamente dopo che uno di loro, a quanto pare James Alex Field, di 20 anni, ha lanciato la sua macchina contro i manifestanti contrari, uccidendo la 32enne Heather Hever e ne ha ferito più di una dozzina di altri.

Da qui le rinnovate pressioni su Trump perché licenzi Bannon. Ma se Bannon appoggia i suprematisti bianchi e la far-right chiaramente antisemita, perché gode del sostegno di Adelson? Il miliardario di Las Vegas, com’è ben noto, è un importante finanziatore del partito Repubblicano USA e uno dei maggior donatori delle organizzazioni filo-israeliane negli Stati Uniti. Adelson ha affermato di essere dispiaciuto per aver fatto il servizio militare nell’esercito USA invece che in quello israeliano.

E’ anche uno stretto alleato del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – ed è qui che si può trovare la risposta.

I leader israeliani, compreso Netanyahu, sono rimasti in silenzio in maniera molto evidente riguardo ai nazisti che si sono scatenati a Charlottesville – cosa particolarmente strana dato che Israele è in genere molto lesto nello sfruttare avvenimenti internazionali a proprio vantaggio. (Dopo tre giorni di silenzio alla fine Netanyahu, martedì, ha twittato una condanna generica dell’ “antisemitismo, neonazismo e razzismo” senza citare specificamente Charlottesville).

Perché lo “Stato ebraico” è apparentemente così riluttante ad esprimersi contro i nazisti?

Le alleanze antisemite di Israele

Mentre Israele pretende di essere il protettore degli ebrei di tutto il mondo, storicamente i sionisti hanno stretto alleanza con i più letali antisemiti del mondo. Sionisti e antisemiti, dopo tutto, condividono l’analisi che gli ebrei non appartengono all’Europa, quindi perché non collaborare per trasportarli da qualche altra parte – in Palestina?

Questa odiosa alleanza continua in forme attuali, come ha osservato [in alcuni tweet] il giornalista Max Blumenthal il 14 agosto:

Un ‘liberal’ israeliano incita gli ebrei a lasciare l’America. E’ quello che vogliono che facciamo anche i nazisti che hanno marciato a Charlottesville. Che vadano entrambi al diavolo.”

Ma questa è l’essenza del Sionismo ed è la ragione per cui è stato accolto in modo così accondiscendente dai fascisti gentili [cioè non ebrei, ndt.] che vogliono anche loro che gli ebrei se ne vadano.”

Una pietra miliare della politica israeliana di oggi è rafforzare i legami con altre forze ultranazionaliste, razziste ed islamofobe in tutto il mondo – persino se sono anche anti-semite.

Un esempio lampante è l’abbraccio dello stesso di Netanyahu con il primo ministro ungherese Viktor Orban, nonostante il recente elogio di quest’ultimo a Viktor Horthy, l’alleato di Hitler durante la guerra che diresse l’uccisione di 500.000 vittime dell’Olocausto.

Gli interessi di Israele hanno assunto priorità rispetto alla preoccupazione per la sicurezza degli ebrei ungheresi, dato che Netanyahu ha ordinato al suo ministro degli Esteri di soffocare le critiche contro i richiami antisemiti di Orban.

In modo significativo Richard Spencer, l’ideologo neonazista che vuole creare una patria ariana in Nord America, ha definito la sua missione “una specie di sionismo bianco”. Spencer ha rapporti con un altro consulente importante della Casa Bianca, Stephen Miller.

Una simile alleanza ideologica prevale all’interno della Casa Bianca. E Israele l’ha protetta: Ron Dermer, l’ambasciatore israeliano a Washington, ha difeso pubblicamente Bannon nei giorni che hanno seguito le elezioni di novembre, dopo che gruppi di ebrei americani hanno duramente criticato la nomina di Bannon a posizioni di vertice.

Ideologia e convenienza

Ma l’alleanza Adelson-Bannon è anche di convenienza. L’ “Organizzazione Sionista d’America”, sostenuta da Adelson, sta conducendo una campagna contro il consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump H. R. McMaster, che intende presentare il generale dell’esercito come “ostile ad Israele”.

McMaster sembra anche essere uno dei principali oppositori di Bannon all’interno della Casa Bianca. Figure dell’establishment della lobby israeliana, come l’ambasciatore dell’amministrazione Obama in Israele Daniel Shapiro, sono insorte a difesa di Mc Master:

Due figure importanti della sicurezza israeliana smentiscono la frottola assurda ed offensiva che McMaster sia ostile ad Israele.”

Scegli la tua guerra

Ci sono diverse questioni in gioco. Parte dell’agenda dell’ultranazionalista “Prima l’America” di Bannon è l’opposizione ad alcuni interventi militari USA, in particolare a un rinnovato “slancio” in Afghanistan ,che è appoggiato da McMaster e dal ministro della Difesa USA James Mattis.

Tuttavia ciò non è interesse né di Adelson né di Netanyahu. Bannon ed altre figure dell’estrema destra, compreso il consigliere della Casa Bianca Sebastian Gorka, sono stati gli oppositori principali dell’accordo internazionale con l’Iran sul suo programma per l’energia nucleare. Per anni bloccare o indebolire l’accordo con l’Iran è stata una delle preoccupazioni di Netanyahu.

Bannon e Gorka si sono opposti furiosamente alla recente certificazione da parte del dipartimento di Stato che l’Iran sta rispettando i termini dell’accordo.

L’accusa fondamentale dell’ “Organizzazione Sionista d’America” contro McMaster è che è troppo comprensivo con l’Iran.

Informazioni riportate da “The Forward” [storica rivista ebreo-statunitense, ndt.] hanno rivelato che Gorka è membro del gruppo ungherese di estrema destra che era controllato dai nazisti durante la guerra ed ha fornito appoggio ad una milizia antisemita.

Per chi sostiene la giustizia e si oppone alla guerra e al razzismo non c’è una “parte” da scegliere in questa battaglia. Da una parte c’è la fazione di Bannon-Adelson che sostiene il sionismo estremista, l’antisemitismo, la supremazia bianca e la possibile guerra contro l’Iran. Dall’altra, c’è quella di McMaster, appoggiata dall’apparato di Washington, che vuole perpetuare le attuali guerre imperialiste dell’America, a cominciare da un’escalation in Afghanistan.

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’innamoramento di Israele per gli antisemiti ungheresi mette in luce l’orribile essenza del sionismo

Asa Winstanley – 26 luglio 2017,Middle East Monitor

Il sionismo, l’ideologia ufficiale dello Stato di Israele, è sempre stato un progetto politico antisemita. Benché il sionismo si sia presentato come una soluzione all’antisemitismo europeo, in realtà ha significato una sua continuazione nello spirito e nella pratica.

La premessa di base che sta dietro al sionismo è sempre stata fondamentalmente anti-ebraica. L’idea che gli ebrei non siano autentici cittadini dei loro Paesi d’origine in Europa ed altrove e che dovrebbero andarsene per diventare coloni in un Paese straniero – Israele – è tale che la sinistra politica non ha problemi a riconoscerla come antisemita quando è sostenuta dalla destra politica. Quando la stessa menzogna esce dalla bocca dei sionisti, allora (compreso qualche qualche gruppo progressista e di sinistra) viene accettata perché appoggiano Israele. E’ ora di porre fine a questa ipocrisia e di ammettere che il sionismo è antisemitismo.

Un’ulteriore prova di ciò è risultata evidente all’inizio di questo mese con la questione di George Soros in Ungheria. Il governo di destra ha lanciato una campagna di manifesti esplicitamente anti-semiti che ha preso di mira gli immigrati; i manifesti mostravano il volto sorridente di Soros e una didascalia: “Non lasciamo che Soros abbia l’ultima parola [letteralmente: che rida per ultimo, ndt.]!”

Nato ebreo ungherese, Soros è un finanziere miliardario e finanziatore di cause progressiste attraverso le sue “Fondazioni per una Società Aperta”. I beneficiari della sua generosità includono gruppi che promuovono politiche immigratorie più aperte.

Il messaggio chiaramente insito nei manifesti era che ricchi ebrei stanno dietro una trama per inondare l’Ungheria di immigrati, una tipica menzogna della propaganda fascista. “Human Rights Watch”, un’organizzazione in parte finanziata da Soros, ha condannato la campagna, affermando che “evoca ricordi dei manifesti nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.”

Anche la comunità ebraica ungherese ha manifestato preoccupazione, e l’ambasciata israeliana a Budapest inizialmente ha fatto lo stesso. Tuttavia, ore dopo, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu – che è anche il ministro degli Esteri – in un comunicato rilasciato dal ministero degli Esteri ha scavalcato l’ambasciata. Il “chiarimento” ha sostenuto che George Soros “minaccia continuamente i governi israeliani democraticamente eletti” ed ha affermato che finanzia organizzazioni “che diffamano lo Stato ebraico e cercano di negargli il diritto di difendersi.”

B’tselem, il gruppo per i diritti umani israeliano che si dedica a documentare le violazioni a danno dei palestinesi da parte di Israele, è un altro gruppo sostenuto dalle fondazioni di Soros.

Il “chiarimento” di Netanyahu è molto significativo in quanto ha offerto un appoggio al primo ministro ungherese Viktor Orban. Lo scorso mese Orban ha elogiato il leader ungherese della Seconda Guerra Mondiale Miklos Horthy, definendolo uno “statista eccezionale”. Horthy fu un alleato di Adolf Hitler e il suo regime collaborò con i nazisti nella deportazione degli ebrei. Mezzo milione di ebrei ungheresi furono uccisi durante l’Olocausto nazista.

Ciononostante Netanyahu ha dato il proprio sostegno al leader ungherese alla vigilia della sua visita a Budapest all’inizio del mese, durante la quale ha lodato le credenziali filo-israeliane di Orban. “C’è un nuovo antisemitismo che è rappresentato dall’anti-sionismo e che consiste nel delegittimare l’unico Stato ebraico,” ha detto Netanyahu dopo colloqui con Orban. “L’Ungheria è, in molti modi, all’avanguardia degli Stati che vi si oppongono.”

Questa è in sintesi la politica israeliana: l’antisemitismo è ridefinito da “odio degli ebrei in quanto tali” a “critiche contro Israele”. Ciò ha raggiunto un culmine talmente estremo che persino ai sionisti non ebrei è consentito di uscirsene con i giudizi anti-ebraici più stravaganti finché appoggiano Israele sempre e comunque.

La faccenda ci ricorda un cartone animato orribilmente antisemita creato nel 2015 da un’organizzazione di coloni israeliani che riceve finanziamenti pubblici. Il grottesco esempio di propaganda era un attacco generalizzato contro B’tselem, Yesh Din e altri gruppi israeliani per i diritti umani. In esso un personaggio losco, con il naso grande definito come “Lo ebreo” [nel testo inglese “Ze Jew”], ha delle monete europee lanciategli in cambio di bugie propagandistiche inventate contro Israele. Classico esempio antisemita di incitamento contro gli ebrei critici di Israele, era persino intitolato “L’ebreo eterno”, come un film di propaganda nazista del 1940.

Come ha scritto recentemente Haaretz in un editoriale sulla faccenda di Soros, “Chi sostiene progetti universalisti e lotta per i diritti umani, compresi i diritti delle minoranze e degli stranieri, in Israele è denunciato come nemico.”

Attivisti ebrei nei movimenti di solidarietà con la Palestina in Gran Bretagna raccontano sistematicamente di essere vittime delle denunce più ferocemente antisemite da parte dei sionisti, che spesso esprimono l’auspicio che gli attivisti o le loro famiglie fossero stati uccisi durante l’Olocausto.

Riguardo a Soros, la destra ungherese e quella israeliana sembrano aver trovato una causa comune. Poco dopo che Netanyahu ha appoggiato la campagna di odio anti-semita di Orban, un parlamentare del suo partito di estrema destra, il Likud, ha proposto quella che ha chiamato la “Legge Soros”, per bloccare le donazioni ai gruppi di sinistra che godono di finanziamenti stranieri.

L’innamoramento di Israele per gli antisemiti ungheresi mette in luce l’orribile essenza del sionismo. La sua china verso il fascismo sempre più esplicito continua a ritmo sostenuto.

(traduzione di Amedeo Rossi)