Guerra Israele-Palestina: lo scopo di Israele è molto più sinistro del ripristino della ‘sicurezza’

Richard Falk

3 novembre 2023 – Middle East Eye

Israele ha colto questa opportunità per realizzare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’ provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi

Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU è stato recentemente messo alla gogna da Israele per aver affermato un’ovvietà quando ha osservato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre “non è avvenuto in un vuoto”.

Guterres ha richiamato l’attenzione di tutto il mondo sulla lunga storia di gravi provocazioni criminose israeliane nella Palestina occupata che avvengono sin da quando divenne la potenza occupante dopo la guerra del 1967. 

 All’occupante, ruolo che ci si aspetta essere temporaneo, è affidato in tali circostanze il mantenimento del diritto umanitario internazionale assicurando la sicurezza e l’incolumità della popolazione civile occupata, come esplicitato nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Israele ha reagito con tale rabbia alle osservazioni di Guterres, assolutamente appropriate e accurate, che potevano essere interpretate solo implicando che Israele “se lo doveva aspettare” alla luce dei suoi gravi e vari abusi contro il popolo nei territori palestinesi occupati, i più plateali a Gaza, ma anche in Cisgiordania e Gerusalemme. 

Dopo tutto, se Israele potesse presentarsi al mondo come vittima innocente dell’attacco del 7 ottobre, un episodio in sé stesso ricolmo di crimini di guerra, potrebbe ragionevolmente sperare di ottenere carta bianca dai suoi sostenitori in Occidente per vendicarsi a piacimento, senza preoccuparsi di essere limitato dal diritto internazionale, dall’autorità dell’ONU o dalla morale comune. 

Invece Israele ha reagito all’attacco del 7 ottobre con la sua tipica abilità nel manipolare il dibattito globale che influenza l’opinione pubblica e guida la politica estera di molti e importanti Paesi. Qui tali tattiche sembrano quasi superflue, dato che gli Usa e l’UE hanno rapidamente concesso una totale approvazione in bianco a qualsiasi cosa faccia Israele in risposta, per quanto vendicativa, crudele o estranea a ripristinare la sicurezza del confine israeliano. 

Il discorso di Guterres all’ONU ha avuto un impatto così eclatante perché ha fatto scoppiare il palloncino israeliano dell’innocenza costruita ad arte secondo cui l’attacco del 7 ottobre è arrivato inaspettatamente. Escludere il contesto ha distolto l’attenzione dalla devastazione di Gaza e dall’assalto genocida contro la sua popolazione di 2.3 milioni di persone, prevalentemente innocenti e da lungo tempo perseguitate.

Incredibili falle

Ciò che trovo strano e inquietante è che da quel giorno questo fattore è stato raramente preso in considerazione, nonostante il consenso sul fatto che l’attacco di Hamas sia stato possibile solo per le incredibili falle nelle capacità israeliana di intelligence e di rigida sicurezza sui confini, che si supponevano seconde a nessuno.

Invece di un giorno dopo pieno di furia vendicativa, perché l’attenzione in Israele e altrove non si è concentrata nell’attuare interventi di emergenza per restaurare la sicurezza di Israele tappando queste costose falle, ciò che sembrerebbe il modo più efficace per garantire che nulla di simile al 7 ottobre possa ripetersi?

Io posso capire la riluttanza del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sottolineare questa spiegazione o a sostenere questa forma di risposta che equivarrebbe a una confessione della sua personale corresponsabilità per la tragedia traumaticamente subita da Israele quando i combattenti palestinesi si sono riversati oltre il confine. 

Ma quella d’altri in Israele e fra i governi suoi sostenitori?

 Indubbiamente Israele con tutta probabilità sta impiegando tutti i mezzi a sua disposizione, con un senso di urgenza, per tappare queste incredibili falle nel suo sistema di intelligence e per rimpolpare il suo potenziale militare sui relativamente brevi confini di Gaza. 

Non è necessario essere un genio della sicurezza per concludere che occuparsi in modo affidabile di questi problemi di sicurezza farebbe di più per prevenire e scoraggiare futuri attacchi di Hamas che questa continua saga che infligge punizioni devastanti contro la popolazione palestinese di Gaza, tra cui in pochissimi fanno parte dell’ala militare di Hamas. 

 Furia genocida

A settembre Netanyahu, in un discorso all’ONU durante il quale ha parlato di una nuova pace in Medio Oriente fra le prospettive di una normalizzazione Israele-Arabia Saudita, ha fornito ulteriore plausibilità a tali speculazioni presentando una mappa del Medio Oriente senza includere la Palestina, cancellando di fatto i palestinesi dalla propria patria. La sua presentazione rappresenta un diniego implicito del consenso dell’ONU sulla formula dei due Stati come una roadmap per la pace. 

Nel frattempo la furia genocida della risposta israeliana all’attacco di Hamas sta facendo infuriare il mondo arabo, anzi tutto il mondo, persino i Paesi occidentali. Ma dopo più di tre settimane di spietati bombardamenti, assedio totale e uno spostamento forzato di massa, la decisione di Israele di scatenare questo torrente di violenza contro Gaza deve essere ancora contrastata dai suoi sostenitori in Occidente. 

In particolare gli USA stanno sostenendo Israele presso l’ONU usando il loro veto quando necessario al Consiglio di Sicurezza e votando quasi senza nessuna condivisione da parte di Paesi importanti contro un cessate il fuoco all’Assemblea Generale. Persino la Francia ha votato la risoluzione dell’Assemblea Generale e il Regno Unito ha avuto un minimo di decenza e si è astenuto, entrambi probabilmente reagendo pragmaticamente alla pressione popolare che sale da grandi e infuriate dimostrazioni di piazza a casa. 

Nelle reazioni alle tattiche israeliane a Gaza si è anche dimenticato che, fin dall’inizio, questo governo estremista ha iniziato una serie scioccante di violente provocazioni nella Cisgiordania occupata. Molti hanno interpretato questo palese scatenarsi di violenza dei coloni come parte dell’obiettivo del progetto sionista mirante ad ottenere la vittoria su ciò che resta della resistenza palestinese. 

Ci sono poche ragioni per dubitare che Israele abbia deliberatamente reagito in modo sproporzionato al 7 ottobre nell’iniziare immediatamente una risposta genocida, soprattutto se il suo proposito era di distogliere l’attenzione dall’escalation della violenza dei coloni in Cisgiordania, esacerbata dalla distribuzione da parte del governo di armi “ai gruppi di sicurezza civile”. 

Il piano finale del governo israeliano sembra porre fine una volta per tutte a fantasie di partizione dell’ONU, al servizio dell’obiettivo massimalista sionista di un’annessione o di una totale sottomissione dei palestinesi cisgiordani.

In effetti, per quanto possa sembrare macabro, la leadership israeliana ha colto l’occasione del 7 ottobre “per finire il lavoro” commettendo un genocidio a Gaza, con la scusa che Hamas è un pericolo tale da giustificare non solo la sua distruzione, ma questo attacco indiscriminato contro l’intera popolazione. 

La mia analisi mi porta a concludere che la guerra in corso non sia principalmente per la sicurezza a Gaza o contro le minacce alla sicurezza poste da Hamas, ma piuttosto per qualcosa di molto più sinistro e incredibilmente cinico. 

Israele ha colto questa opportunità per soddisfare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’, provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi. È di secondaria importanza se chiamarla “pulizia etnica” o “genocidio” anche se ci sono i requisiti per definirla la maggiore catastrofe umanitaria del XXI secolo. 

In effetti il popolo palestinese è perseguitato da due convergenti catastrofi: una politica e l’altra umanitaria.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Richard Falk, studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali, ha insegnato presso la Princeton University per quarant’anni. Nel 2008 è stato nominato alle Nazioni Unite per sei anni come Relatore speciale per i diritti umani dei palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il capo delle Nazioni Unite si rifiuta di ritirare la condanna del raid israeliano a Jenin

Associated Press

8 luglio 2023 AlJazeera

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite attacca il segretario generale Antonio Guterres per le sue critiche al raid militare israeliano su Jenin.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite ha invitato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres a ritirare la sua condanna dell’esercito israeliano per l’uso eccessivo di forza e per aver arrecato danni ai civili durante il devastante raid nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata.

Il vice portavoce delle Nazioni Unite Farhan Haq ha risposto venerdì dicendo che Guterres aveva espresso le sue opinioni sull’operazione di Israele nel campo profughi di Jenin “e conferma quelle opinioni”.

Guterres, adirato per gli attacchi aerei israeliani su Jenin e per il pericolo costituito per la popolazione civile, giovedì ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che l’assalto ha provocato il ferimento di oltre 100 civili, lo sradicamento di migliaia di residenti, il danneggiamento di scuole e ospedali e la distruzione di reti idriche ed elettriche.

Gli attacchi aerei e le operazioni di terra di Israele in un affollato campo profughi sono stati la peggiore violenza in Cisgiordania da molti anni, con un notevole impatto sui civili”, ha detto Guterres.

Il capo delle Nazioni Unite ha anche criticato Israele per avere durante il raid militare impedito ai feriti di ricevere cure mediche e agli operatori umanitari di raggiungere chi necessitava aiuto, provocando la morte di 12 palestinesi e circa 100 feriti.

Anche un soldato israeliano è stato ucciso.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan ha definito le critiche del capo delle Nazioni Unite all’assalto militare israeliano “vergognose, inverosimili e completamente distaccate dalla realtà”.

Su richiesta degli Emirati Arabi Uniti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha discusso venerdì a porte chiuse dell’operazione israeliana a Jenin e ha ricevuto un briefing dall’assistente del segretario generale delle Nazioni Unite Khaled Khiari.

Prima della riunione del Consiglio l’ambasciatore Erdan ha inviato una lettera ai 15 membri e a Guterres in cui affermava che “la comunità internazionale e il Consiglio di Sicurezza devono condannare incondizionatamente gli ultimi attacchi terroristici palestinesi e ritenerne responsabile la leadership palestinese”, affermando che a Jenin le forze israeliane “si sono concentrate esclusivamente” sugli autori di “atti di terrore contro civili israeliani innocenti”.

In una dichiarazione di mercoledì tre esperti indipendenti di diritti umani hanno affermato che gli attacchi aerei israeliani e le azioni di terra a Jenin “equivalgono a gravi violazioni del diritto internazionale e degli standard sull’uso della forza e possono costituire un crimine di guerra”.

Venerdì il Consiglio di Sicurezza non ha preso provvedimenti.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele bombarda Gaza dopo l’assalto a Jenin

5 luglio 2023 – Al Jazeera

Aerei colpiscono posizioni di Hamas nella Striscia di Gaza dopo il lancio di razzi verso il sud di Israele in seguito all’offensiva israeliana a Jenin.

Aerei militari israeliani hanno colpito la Striscia di Gaza in risposta al lancio di razzi dall’enclave assediata dopo che Israele ha concluso l’offensiva su larga scala a Jenin, nella Cisgiordania occupata.

L’attacco israeliano di mercoledì ha colpito una fabbrica di armi sotterranea appartenente a Hamas, la fazione palestinese che governa la Striscia. Non si riportano vittime.

E’ accaduto dopo che Israele ha affermato di aver abbattuto cinque razzi lanciati contro il sud di Israele dalla Striscia di Gaza.

Intanto l’esercito israeliano mercoledì ha detto che le sue forze si sono ritirate da Jenin ponendo fine ad un’offensiva di due giorni per terra e per cielo che ha ucciso almeno 12 palestinesi e ne ha feriti più o meno altri 100.

Gli abitanti costretti a fuggire dal campo profughi di Jenin dove si è svolto il raid hanno incominciato a tornare nella notte di mercoledì per esaminare le proprie case e beni distrutti. La Mezzaluna Rossa Palestinese ha detto di aver evacuato 500 famiglie dal campo, in totale circa 3.000 persone.

Migliaia di palestinesi in tutta la Cisgiordania hanno festeggiato il ritiro delle forze israeliane.

Il campo profughi di Jenin ospita migliaia di palestinesi discendenti delle persone espulse quando nel 1948 venne creato Israele.

Israele ha sostenuto che l’attacco, iniziato lunedì, aveva come obbiettivo i combattenti di Jenin, ma le associazioni di assistenza affermano di aver curato feriti di tutte le età.

Il raid ha ricevuto tra le altre la condanna dell’Iran, della Giordania e della Lega Araba.

Il Segretario Generale ONU Antonio Guterres ha espresso “profonda preoccupazione” riguardo all’assalto a Jenin e venerdì terrà una riunione per discuterne.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il capo delle Nazioni Unite dice a Israele di fermare gli insediamenti illegali in Palestina

Redazione di Al Jazeera

20 giugno 2023- Al Jazeera

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres afferma che la costruzione di insediamenti israeliani illegali su territorio palestinese provocherà “tensioni e violenze”.

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato Israele a “cessare immediatamente tutte le attività di insediamento” nel territorio palestinese occupato, definendo il piano di Israele di procedere alla costruzione di colonie israeliane una fonte di “tensioni e violenza” e un grave ostacolo ad una pace duratura.

Il commento del capo delle Nazioni Unite arriva dopo che cinque palestinesi– tra cui un ragazzo di 15 anni – sono stati uccisi e più di 90 sono rimasti feriti negli scontri più feroci degli ultimi anni scoppiati lunedì quando le forze israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata. [il dato aggiornato è di 7 morti ndr]

Primo caso del genere in quasi 20 anni, Israele ha inviato elicotteri da combattimento che hanno sparato razzi contro degli obiettivi nel campo di Jenin, mentre i militanti palestinesi hanno combattuto per ore con armi leggere e ordigni esplosivi mettendo fuori uso diversi veicoli militari israeliani intrappolando i militari all’interno. Otto soldati israeliani sono rimasti feriti negli scontri durati quasi 10 ore secondo i testimoni.

“Il Segretario Generale ribadisce che le colonie sono una flagrante violazione del diritto internazionale”, ha dichiarato lunedì Farhan Haq, vice portavoce del Segretario Generale.

L’espansione di queste colonie illegali è una notevole causa di tensioni e violenze e accresce i bisogni umanitari”, ha affermato Haq.

“Rafforza ulteriormente l’occupazione israeliana del territorio palestinese, invade la terra palestinese e le risorse naturali, ostacola la libera circolazione della popolazione palestinese e mina i legittimi diritti del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla sovranità”, ha affermato il capo delle Nazioni Unite, secondo Haq.

Haq ha affermato che Guterres è apparso “profondamente turbato” dalla decisione di Israele di modificare le procedure di pianificazione degli insediamenti per accelerare i progetti di nuove colonie nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme est, nonché dallo sviluppo di oltre 4.000 unità abitative nelle colonie da parte dell’autorità di pianificazione israeliana.

Domenica scorsa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha approvato piani per migliaia di nuove unità abitative nella Cisgiordania occupata, conferendo al ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ampi poteri per accelerare la costruzione di colonie che secondo il diritto internazionale sono illegali.

I piani per l’approvazione di 4.560 unità abitative in varie aree della Cisgiordania sono stati inseriti nell’agenda del Consiglio supremo di pianificazione israeliano che si riunirà la prossima settimana.

L’espansione delle colonie israeliane sembra mettere Netanyahu in rotta di collisione con il suo più stretto alleato, gli Stati Uniti, che si sono detti “profondamente turbati” dal piano di espansione delle colonie e dalle notizie di modifiche ai processi di pianificazione e approvazione delle colonie nei territori palestinesi occupati.

Le associazioni palestinesi hanno anche espresso profonda preoccupazione per il fatto che l’intera Cisgiordania possa presto finire sotto il controllo israeliano.

Il Ministro degli Esteri palestinese ha affermato che approvare l’incremento di colonie è una “pericolosa corsa a completare l’annessione della Cisgiordania”.

Khaled Elgindy, membro senior del Middle East Institute [think tank e centro culturale senza scopo di lucro e apartitico, ndt.] con sede a Washington, ha dichiarato ad Al Jazeera che le gravi affermazioni del capo delle Nazioni Unite ora devono essere sostenute da azioni sul campo.

“Le azioni di questo governo israeliano hanno accelerato praticamente ogni possibile tendenza negativa, dalla violenza sul terreno all’espansione delle colonie, agli sgomberi, alla costruzione e all’allargamento delle colonie”, ha detto Elgindy.

“A meno che tali dure parole non siano seguite da una qualche azione da parte degli attori principali come gli Stati Uniti o l’Unione Europea, una sorta di conseguenza a quelle azioni, allora saranno semplicemente ignorate come lo sono sempre state”, ha affermato.

“È davvero necessaria un’azione sul campo per sostenere quelle parole forti, e non abbiamo visto niente”, ha aggiunto.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il paradigma umanitario della Palestina serve solo gli interessi israeliani

Ramona Wadi

10 ottobre 2022 Middle East Monitor

Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU, ha ancora una volta sottolineato che l’UN Relief and Works Agency for Palestine Refugees (UNRWA) [Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro per i rifugiati palestinesi, N.d.T.] e gli stessi rifugiati palestinesi sono sottoposti a un ciclo di sfruttamento violento che più che altro soddisfa il paradigma umanitario dell’organizzazione internazionale. Guterres, durante un incontro a latere della 77esima Assemblea Generale dell’ONU, ha invocato ulteriori donazioni per l’agenzia, dicendo che c’è stata una continua discrepanza fra il supporto retorico all’UNRWA e i finanziamenti.

Descrivendo l’agenzia come “una rete di protezione per i più vulnerabili,” Guterres ha aggiunto: “Continuiamo tuttavia a tenere l’UNRWA intrappolata in un limbo finanziario. È ora di abbinare l’enorme sostegno per il mandato con finanziamenti alle sue attività più solidi e prevedibili. Cerchiamo di aiutare l’UNRWA ad aiutare i rifugiati palestinesi. Cerchiamo di investire in pace, stabilità e speranza.”

Anche se l’UNRWA ha certamente fornito servizi essenziali ai rifugiati palestinesi dal 1949, la sua totale dipendenza già agli inizi da fondi esterni non può essere separata dall’abbandono del problema dei rifugiati palestinesi da parte dell’ONU. Il mandato dell’UNRWA doveva essere temporaneo fino a quando non si fosse trovata una soluzione per i rifugiati palestinesi. Eppure, anche prima della sua fondazione, la complicità dell’ONU nel fornire a Israele il quadro complessivo per le espulsioni forzate dei rifugiati palestinesi grazie al Piano di Partizione 1947 ha contribuito alla crisi attuale. Non solo i rifugiati palestinesi dipendono dall’UNRWA, ma l’agenzia stessa dipende quasi totalmente da finanziamenti esterni grazie a donazioni volontarie di Stati membri dell’ONU.

I rifugiati palestinesi sono anche stati isolati dalle politiche del diritto al ritorno che è ora il più usato per giustificare l’esistenza dell’UNRWA. Non è mai stato permesso di esercitare questo legittimo diritto a causa del rifiuto di Israele di accettarlo, anche se l’adesione all’ONU dello Stato occupante dipendeva dal ritorno dei rifugiati. Perciò l’UNRWA è diventata, più o meno, una presenza fissa. Per la comunità internazionale l’esistenza dell’UNRWA, dipendente com’è dalle condizioni di neutralità che generano impunità per il trasferimento forzato dei palestinesi attuato da Israele, è certamente un’opzione migliore che accordarsi collettivamente su un processo di decolonizzazione che permetterebbe il ritorno dei palestinesi alle loro terre. La Risoluzione 194 dell’ONU stipula le condizioni per il diritto al ritorno dei palestinesi, avalla tacitamente il colonialismo e assolve Israele da tutte le responsabilità per aver creato i rifugiati palestinesi fin dall’inizio per fondare un’entità coloniale in Palestina.

Il mese scorso organizzazioni ebraiche e sioniste in Australia hanno citato la solita litania di ragioni e accuse per giustificare il motivo per cui il governo australiano non dovrebbe raddoppiare la sua donazione finanziaria all’UNWRA portandola da 10 a 20 milioni di dollari. “L’UNRWA contribuisce a perpetuare il conflitto,” ha affermato Jeremy Leibler, presidente della Federazione sionista d’Australia. Tuttavia l’unico conflitto è il diretto risultato del colonialismo di Israele e finanziare l’UNRWA è il modo più sicuro per la comunità internazionale di evitare di fare i conti direttamente non solo con Israele, ma anche con la propria complicità.

Forse Guterres potrebbe fare un appello diverso. Per esempio potrebbe invocare un processo di decolonizzazione in parallelo al finanziamento dell’UNRWA che permetterebbe all’agenzia di condurre la propria missione umanitaria con in mente l’obiettivo finale, in contrasto con il pantano in cui l’agenzia e i rifugiati palestinesi sono stati bloccati per decenni. Il paradigma umanitario ha sempre solo servito gli interessi israeliani, e continua a farlo. Guterres non dovrebbe far finta del contrario.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La vergognosa “Lista nera” delle Nazioni Unite: equivalenza tra colpevole israeliano e vittima palestinese

Ramzy Baroud

18 luglio 2022 – Middle East Monitor

“Ci dispiace di non essere riusciti a proteggerti.”Questa frase fa parte di una dichiarazione rilasciata dagli esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite il 14 luglio, in cui si esorta il governo israeliano a rilasciare il prigioniero palestinese Ahmad Manasra. Arrestato e torturato dalle forze israeliane a soli 14 anni, Manasra ora ha 20 anni. Il suo caso è una raffigurazione del trattamento complessivamente disumano che Israele riserva ai minori palestinesi.

La dichiarazione degli esperti è forte e sincera. Accusa Israele di aver privato il giovane Manasra “della sua infanzia, dell’ambiente familiare, della protezione e di tutti i diritti che avrebbero dovuto garantirgli da piccolo”. Definisce il caso come “inquietante”, considerando le “condizioni mentali in via di deterioramento” di Manasra. La dichiarazione va oltre, affermando che questo caso … è una macchia su tutti noi come parte della comunità internazionale per i diritti umani”.

La condanna di Israele per il maltrattamento dei minorenni palestinesi, che siano quelli sotto assedio nella Gaza colpita dalla guerra o sotto occupazione militare e apartheid nel resto dei territori occupati in Cisgiordania e Gerusalemme est, è usuale.

Eppure, in qualche modo, a Israele è stato comunque risparmiato un posto nell’elenco poco lusinghiero, pubblicato ogni anno dal Segretario generale delle Nazioni Unite, che cita e denuncia pubblicamente governi e gruppi che commettono gravi violazioni contro bambini e minori in qualsiasi parte del mondo.

Stranamente il rapporto riconosce il raccapricciante primato di Israele nella violazione dei diritti dei minorenni in Palestina. Descrive in dettaglio alcune di queste violazioni, che i collaboratori delle Nazioni Unite hanno verificato direttamente. Ciò include “2.934 gravi violazioni contro 1.208 minorenni palestinesi” solo nel 2021. Tuttavia, il rapporto equipara il primato di Israele, uno dei più tristi al mondo, a quello dei palestinesi, cioè al fatto che in tutto il 2021 9 minorenni israeliani sono stati vittime della violenza palestinese.

Sebbene provocare volutamente dei danni nei confronti di anche solo un minore sia deplorevole indipendentemente dalle circostanze o dall’autore, è sbalorditivo che il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres abbia ritenuto appropriato equiparare l’evento abituale delle violazioni sistematiche perpetrate dall’esercito israeliano ai danni recati, intenzionalmente o meno, ai 9 minori israeliani da gruppi armati palestinesi.

Occupandosi dell’evidente discrepanza tra le vittime minorenni palestinesi e quelle israeliane, il rapporto delle Nazioni Unite ha raggruppato tutte le categorie per distrarre dall’identità dell’autore, riducendo così l’attenzione sui crimini israeliani. Ad esempio, il rapporto afferma che un totale di 88 bambini sono stati uccisi in tutta la Palestina, di cui 69 a Gaza e 17 in Cisgiordania e Gerusalemme est. Tuttavia, il rapporto analizza questi omicidi in modo tale da mettere assieme i minori palestinesi e israeliani come se si cercasse intenzionalmente di confondere il lettore. Con una lettura attenta si scopre che tutti questi omicidi, tranne due, sono stati perpetrati dalle forze israeliane.

Inoltre il rapporto utilizza la stessa logica per analizzare il numero di minori mutilati nel conflitto, sebbene dei 1.128 mutilati solo 7 fossero israeliani. Dei restanti, 661 sono stati mutilati a Gaza e 464 in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Il rapporto prosegue incolpando “gruppi armati palestinesi” per alcune delle vittime palestinesi, che sarebbero rimaste ferite a seguito di “incidenti che hanno coinvolto minorenni che si trovavano nei pressi di esercitazioni militari”. Supponendo che sia così, incidenti di questa natura non possono essere considerati “gravi violazioni” in quanto, secondo la stessa definizione dell’ONU, sono accidentali.

L’analisi confusa di questi dati, tuttavia, non è di per sé casuale, in quanto ha concesso a Guterres la possibilità di dichiarare che “se la situazione si ripetesse nel 2022 senza miglioramenti significativi, Israele dovrebbe essere inserito nell’elenco”.

Peggio ancora, il rapporto di Guterres è andato oltre nel rassicurare gli israeliani che sono sulla strada giusta affermando che “finora quest’anno non abbiamo assistito a un numero simile di violazioni”, come a suggerire che il governo israeliano di destra di Naftali Bennett e Yair Lapid ha volutamente cambiato la politica riguardo a individuare come bersaglio minori palestinesi. Naturalmente non esiste nessuna prova di questo tipo.

Il 27 giugno, Defense for Children International-Palestine (DCIP) [ONG internazionale impegnata nella promozione e difesa dei diritti del fanciullo, ndt.] ha riferito che dall’inizio del 2022 Israele “ha intensificato le sue aggressioni” contro i minori in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Il DCIP ha confermato che ben 15 minorenni palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane nei primi sei mesi del 2022, quasi lo stesso numero di morti nelle stesse zone nel corso dell’intero anno precedente. Questa cifra include 5 minori nella sola città occupata di Jenin. Israele ha anche preso di mira i giornalisti che hanno tentato di riferire su queste violazioni, tra cui la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, che è stata uccisa l’11 maggio, e Ali Samoudi, che è stato colpito alla schiena lo stesso giorno.

Si può dire molto di più, ovviamente, sull’assedio di centinaia di migliaia di minorenni nella Striscia di Gaza, nota come la “prigione a cielo aperto più grande del mondo”, e molti altri nella Cisgiordania occupata. La mancanza di diritti umani fondamentali, comprese le medicine salvavita e, nel caso di Gaza, l’acqua potabile, non suggerisce alcun tangibile miglioramento nel bilancio di Israele per quanto riguarda i diritti dei minori palestinesi.

Se pensate che il rapporto delle Nazioni Unite sia un passo nella giusta direzione, ricredetevi. Il 2014 è stato uno degli anni più tragici per i minori palestinesi in cui, secondo un precedente rapporto delle Nazioni Unite, 557 minorenni sono stati uccisi e 4.249 feriti, la stragrande maggioranza dei quali è stata presa di mira durante la guerra israeliana a Gaza. Human Rights Watch [ONG internazionale che si occupa dei diritti umani, ndt.] ha affermato che il numero di palestinesi uccisi “è stato in quell’anno il terzo più alto al mondo”. Tuttavia Israele non è stato inserito nella “Lista della vergogna” delle Nazioni Unite. Il messaggio chiaro qui è che Israele può prendere di mira i bambini palestinesi a suo piacimento, poiché non dovrà scontare alcuna conseguenza legale, politica o morale per le sue azioni.

Questo non è ciò che i palestinesi si aspettano dalle Nazioni Unite, un’organizzazione che presumibilmente esiste per porre fine ai conflitti armati e portare pace e sicurezza per tutti. Per ora, il messaggio inviato dalla più grande istituzione internazionale del mondo a Manasra e al resto dei minori palestinesi rimane invariato: “Siamo spiacenti di non essere riusciti a proteggervi”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Aldo Lotta)




Palestina. Macchinazioni contro un diplomatico svizzero dell’UNRWA

Baudouin Loos

11 gennaio 2021 – Orient XXI

Documentario

La carriera di Pierre Krähenbühl alla testa dell’agenzia dell’ONU per l’aiuto ai rifugiati palestinesi si è brutalmente interrotta nel 2019. In gioco c’erano accuse che si sono dimostrate ampiamente infondate, come ha appena dimostrato un documentario della televisione svizzera. Il contesto pone interrogativi, dal momento che l’UNRWA è presa di mira dall’amministrazione Trump e dal governo Netanyahu.

Questo articolo è stato integrato, per maggiori dettagli, l’11 gennaio 2021.

Può succedere che informazioni importanti per la reputazione di alcune persone rimangano confidenziali, provocando loro un grave danno. È quanto è avvenuto nel 2020 con le conclusioni di un’inchiesta commissionata dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres riguardo alle gravi accuse rivolte contro lo svizzero Pierre Krähenbühl, all’epoca commissario generale dell’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, UNRWA secondo l’acronimo inglese. Quest’ultimo aveva finito per dare le dimissioni nel novembre dello stesso anno in seguito a pressioni da parte dei suoi capi. Un’inchiesta giornalistica della televisione svizzera RTS [radiotelevisione pubblica svizzera in lingua francese, ndtr.] ha recentemente svelato le conclusioni dell’inchiesta dell’ONU mai divulgate, che abbiamo potuto leggere e dalle quali risulta che l’alto funzionario svizzero è stato assolto dalla maggior parte delle accuse che pesavano su di lui, salvo qualche inadempienza di scarsa importanza. Un ritorno a una questione da cui emana un forte fetore geopolitico.

Nepotismo, discriminazioni, abuso d’autorità…”

Il primo rapporto data dicembre 2018. Interno all’UNRWA, doveva quindi rimanere confidenziale e finire solo nell’ufficio di António Guterres, che ha peraltro rapidamente deciso di avviare un’inchiesta per verificare le accuse imbarazzanti che conteneva. Queste accuse sono state comunque divulgate e la stampa se ne è appropriata, perché era una bomba: in effetti l’autore del testo, l’olandese Lex Takkenberg, capo dell’ufficio etico dell’UNRWA, vi denunciava tra le altre cose “comportamenti inopportuni di carattere sessuale, nepotismo, rappresaglie, discriminazioni e altri abusi d’autorità, commessi per fini personali, per reprimere legittime divergenze d’opinione.”

principale accusato: Pierre Krähenbühl, a cui inoltre è stato rimproverato di intrattenere una relazione sentimentale con una collaboratrice. In tutto il mondo la stampa lo ha dovuto constatare: “L’UNRWA è nella tormenta,” come hanno titolato numerosi giornali. Esortato dal segretario generale dell’ONU perché si mettesse in aspettativa in attesa delle conclusioni dell’inchiesta da lui promossa, Krähenbühl si è sentito sconfessato e il 6 novembre 2019 ha preferito dare le dimissioni. Fine della vicenda.

Durante l’estate 2020 il governo svizzero ha ricevuto il rapporto che ha chiuso l’inchiesta dell’ONU. Un lavoro serio di 129 pagine, nel quale ex-poliziotti analizzano in modo minuzioso le mail e gli SMS dei quadri dell’agenzia ONU coinvolti. Ma la gestione di Pierre Krähenbühl non è affatto rimessa in discussione. Niente corruzione, nessun rapporto sentimentale inopportuno. Tra tutte le accuse non restano da indagare che tre casi di reclutamento da parte dell’agenzia. Poca cosa, alla fine. Né il ministero degli Esteri svizzero né l’ufficio del segretario generale dell’ONU hanno reso pubblico questo rapporto d’inchiesta che ha liberato Pierre Krähenbühl dalla maggior parte delle colpe che gli erano state rimproverate. Certo, questo tipo di rapporti non è destinato ad essere reso pubblico, ma, poiché era in gioco l’onore di un uomo ed erano state rese note le accuse che avrebbero dovuto rimanere confidenziali e che doveva affrontare, sarebbe stato corretto fare altrettanto con le conclusioni dell’inchiesta ufficiale. È qui che intervengono Xavier Nicol e Anne-Frédérique Widmann, due giornalisti di RTS. Il loro reportage è stato trasmesso in Svizzera lo scorso 17 dicembre nel quadro del programma “Temps présent” [Tempo Presente]. Il documentario, intitolato Israël-Palestine : un Suisse dans la tourmente [Israele-Palestina: uno svizzero nella tormenta] dà ampiamente la parola, tra gli altri, a Pierre Krähenbühl.

Chi vuole togliere di mezzo l’UNRWA?

Il contesto geopolitico di questa vicenda potrebbe evocare un complotto. Contro Pierre Krähenbühl? Certamente, ma soprattutto, attraverso lui, contro l’UNRWA, che alcuni vogliono togliere di mezzo. Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu da parecchio tempo non nasconde più che desidera la scomparsa dell’agenzia per i rifugiati palestinesi.

Per lui l’UNRWA incarna una causa: il diritto al ritorno di questi rifugiati, che egli rifiuta radicalmente. Ed essa rimane un richiamo perpetuo a un passato che si preferisce rimuovere: la partenza, il più delle volte obbligata, di oltre 700.000 abitanti palestinesi nel 1948 e la loro spoliazione durante avvenimenti che portarono alla creazione di Israele.

Ufficialmente Israele rimprovera invece alla rinfusa all’agenzia di perpetuare “l’illusione” di un ritorno dei rifugiati in quello che è diventato Israele, di avere al proprio interno numerosi militanti di Hamas, di fornire un’istruzione che sparge odio contro Israele, che promuove la lotta armata e persino il terrorismo, ecc.

Con l’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti nel gennaio 2017 il governo israeliano si è trovato a godere di un sostegno politico americano di una portata senza precedenti su tutte le questioni, compresa quella dei rifugiati palestinesi. Il miliardario americano ha chiesto rapidamente a suo genero Jared Kushner, noto per la sua vicinanza con l’estrema destra israeliana, di concepire un “piano di pace” per risolvere finalmente il conflitto israelo-palestinese. Cosa aveva previsto per i rifugiati? Una mail dell’11 gennaio 2018 inviata a vari funzionari dell’amministrazione Trump, tra cui Jason Grenblatt, l’inviato speciale della Casa Bianca in Medio Oriente, presenta il pregio della chiarezza, come ha rivelato il 3 agosto 2020 il sito americano ForeignPolicy.com [autorevole bimestrale statunitense di politica internazionale, ndtr.]: “È importante fare un tentativo sincero ed onesto per ostacolare l’UNRWA”, scrive Kushner. “Questa agenzia perpetua lo status quo, è corrotta e non contribuisce alla pace. Il nostro obiettivo non può essere lasciare le cose stabili e come sono adesso. Forse bisogna rischiare di rompere le righe strategicamente per avanzare.”

È stato dato il via. Il governo americano è anzi passato ai fatti, riducendo nel 2018 in modo drastico il suo aiuto all’UNRWA, passando da un contributo di 364 milioni di dollari (296 milioni di euro) a 65 milioni (53 milioni), che l’anno successivo sono stati persino azzerati. Con un bilancio globale che superava gli 850 milioni di dollari (691 milioni di euro), la drastica riduzione del contributo americano si è dunque rivelata drammatica per il funzionamento dell’agenzia umanitaria, che dà lavoro a circa 30.000 palestinesi al servizio di 5.5 milioni di rifugiati distribuiti in tutto il Medio Oriente, dalla Siria a Gaza passando per il Libano, la Giordania, Gerusalemme est e la Cisgiordania. Ormai si sa anche quello che il “piano di pace” di Jared Kushner, reso pubblico in pompa magna il 28 gennaio 2020 a Washington, prevedeva per l’UNRWA, cioè la sua pura e semplice soppressione. Come volevasi dimostrare.

Un uomo da distruggere

Pierre Krähenbühl rappresentava un ostacolo incombente lungo il cammino degli americani e degli israeliani mobilitati per programmare la morte dell’agenzia specializzata dell’ONU? Il documentario non arriva fino a questo punto. Mostra il diplomatico ginevrino, solo in prima linea, schierato contro le mire ostili della potente coppia americano-israeliana. Una cosa sembra in ogni caso evidente: nel 2018 lo svizzero aveva moltiplicato i viaggi, le iniziative e le riunioni per rimpinguare le casse dell’UNRWA. E il suo successo si è rivelato altrettanto efficace quanto imprevisto, dato che quell’anno 43 Paesi o istituzioni avevano accettato di aumentare i propri finanziamenti per coprire il deficit. Per giunta Pierre Krähenbühl non ha esitato a difendere con le unghie e con i denti la sua agenzia, anche davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove, in diretta da Gaza, aveva contraddetto gli oratori americano e israeliano. Il diplomatico svizzero non si era quindi fatto solo degli amici dal suo arrivo alla testa dell’UNRWA il 1 aprile 2014, proveniente dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR).

D’altronde a partire dal 2018 aveva constatato che nel suo stesso Paese una personalità in vista, il ministro degli Affari Esteri Ignazio Cassis, si era schierato tra gli avversari dell’agenzia che dirigeva. Quest’ultimo era iscritto tra i membri del gruppo di amicizia con Israele nel parlamento svizzero. Aveva assunto il suo incarico il 1 novembre 2017. Nella primavera del 2018, di ritorno da un viaggio in Medio Oriente in cui aveva incontrato Pierre Krähenbühl a Amman, sull’aereo che li riportava a casa Ignazio Cassis ha confidato le sue impressioni ad alcuni giornalisti. “Per me si pone la domanda: l’UNRWA fa parte della soluzione del problema?” si era chiesto. Ed ha precisato la sua opinione: “Finché i palestinesi vivranno in campi di rifugiati, vorranno tornare nella loro patria. Appoggiando l’UNRWA, teniamo in vita il conflitto. È una logica perversa, perché in realtà tutti vogliono porre fine al conflitto.”

Affermazioni che avevano indignato l’ex-diplomatico svizzero Yves Besson, un ex-direttore dell’agenzia in questione: “Oggi l’UNRWA è ciò che rimane dell’interesse della comunità internazionale a favore dei palestinesi e dei loro rifugiati,” ha dichiarato al sito swissinfo.ch. “Inoltre dire una cosa simile non ha niente di oggettivo, perché questo argomento è stato un ritornello di Israele e degli Stati Uniti.”

Accuse fondate su … “timori”

Di fatto gli aspetti del linguaggio adottato dal ministro svizzero sembravano usciti direttamente dalle cancellerie israeliana e americana. Quindi molto logicamente quando nel 2019 il rapporto interno dell’UNRWA ha messo il capo dell’agenzia sul banco degli imputati, Ignazio Cassis non ha alzato un dito per aiutarlo: al contrario, ha ordinato la sospensione dell’aiuto svizzero all’UNRWA. D’altronde questo rapporto non presentava prove contro il diplomatico svizzero, ma diffondeva solo un certo numero di accuse raccolte all’interno dell’agenzia. Del resto Lex Takkenberg, che aveva firmato questo testo, che come si è visto non ha resistito al vaglio dell’indagine approfondita chiesta in seguito a New York da António Guterres, nel documentario di Xavier Nicol et Anne-Frédérique Widmann riconosce che le accuse che aveva ripreso si basavano soprattutto su conversazioni con una ventina di membri dell’UNRWA che facevano riferimento a “timori” (“concerns”).

Oggi Pierre Krähenbühl ha voltato pagina, non senza amarezza. “Sarebbe il minimo che gli Stati Uniti e la Svizzera prendessero posizione riguardo alla mancanza di fondamento del rapporto (che mi ha accusato) e riconoscessero quello che abbiamo passato,” dice alla fine del documentario sulla vicenda. Il pesante silenzio delle autorità svizzere e dell’ONU, che hanno rifiutato di parlare ai giornalisti svizzeri e che non volevano rendere pubbliche le conclusioni dell’inchiesta dell’ONU favorevole a Pierre Krähenbühl, non testimoniano in ogni caso a loro favore.

Quanto all’UNRWA, ora diretta da un altro svizzero, Philippe Lazzarini, continua più che mai a dibattersi in inestricabili problemi di bilancio, come dimostrano la sua impossibilità di pagare i salari del mese di novembre 2020 ai suoi dipendenti e i suoi dubbi riguardo a dicembre. L’arrivo di Joe Biden al governo a Washington il 20 gennaio 2021 porterà a una revisione della posizione americana riguardo all’agenzia umanitaria? La risposta, importante per la sua sopravvivenza, arriverà forse molto presto.

Baudouin Loos

Giornalista, Bruxelles.

(traduzione dal francese di Amedeo Rossi)




Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ammonisce Israele a rinunciare ai piani di annessione

23 giu 2020 – Al Jazeera

L’alto rappresentante dell’ONU afferma che una simile mossa sarebbe “devastante” per le speranze di nuovi colloqui e sull’eventuale soluzione dei due Stati.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha invitato Israele ad abbandonare il piano di annessione di parti della Cisgiordania occupata, affermando che tale mossa sarebbe una “grave violazione del diritto internazionale”.

L’alto rappresentante dell’ONU ha formulato queste affermazioni martedì nel corso di una relazione al Consiglio di sicurezza, un giorno prima che la commissione, composta da 15 membri, si riunisse per l’incontro semestrale sul conflitto israelo-palestinese.

Il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il processo di annessione potrebbe avere inizio dal 1° luglio.

Nel documento, Guterres ha affermato che un’annessione israeliana sarebbe “devastante” per le speranze di nuovi negoziati e sull’eventuale soluzione dei due stati.

“Ciò sarebbe disastroso per palestinesi, israeliani e per la regione”, ha detto, aggiungendo che il piano è una minaccia contro “i tentativi di far progredire la pace nella regione”.

Le affermazioni di Guterres sono giunte il giorno dopo la protesta di migliaia di palestinesi a Gerico contro il piano israeliano, con una manifestazione alla quale hanno partecipato anche decine di diplomatici stranieri.

La scorsa settimana la leadership palestinese ha proposto un piano che mira a creare uno “Stato palestinese sovrano, indipendente e smilitarizzato”, con Gerusalemme est come capitale. Lascia inoltre la porta aperta a modifiche dei confini tra lo Stato proposto e Israele, così come a scambi di territori di uguale “dimensione, volume e valore – alla pari”.

La proposta palestinese è arrivata in risposta al controverso piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che ha dato il via libera a Israele sull’annessione di ampie zone della Cisgiordania occupata, comprese le colonie considerate illegali ai sensi del diritto internazionale, e della Valle del Giordano.

Presentato alla fine di gennaio, il piano di Trump propone l’istituzione, sul restante mosaico di parti frammentate dei territori palestinesi, di uno Stato palestinese smilitarizzato, con l’esclusione di Gerusalemme est occupata. Il piano è stato respinto nella sua interezza dai palestinesi.

La riunione del Consiglio di sicurezza, che si terrà in videoconferenza, sarà l’ultima grande riunione internazionale sulla questione prima della scadenza del 1 luglio.

“Qualsiasi decisione sulla sovranità sarà presa solo dal governo israeliano”, ha detto martedì nel corso di una dichiarazione l’inviato israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon.

I diplomatici si aspettano che mercoledì la stragrande maggioranza dei membri delle Nazioni Unite si opponga nuovamente al piano israeliano.

“Dobbiamo inviare un messaggio chiaro”, ha detto un inviato all’agenzia di stampa AFP [l’agenzia di stampa France Presse, ndtr.], aggiungendo che “non è sufficiente” limitarsi a condannare la politica israeliana, e ha prospettato la possibilità di portare il caso dinanzi alla Corte internazionale di giustizia.

Per decenni Israele ha goduto del sostegno bipartisan [sia dei democratici che dei repubblicani, ndtr.] degli Stati Uniti che gli ha permesso di ignorare le critiche internazionali e le numerose risoluzioni delle Nazioni Unite sulla sua occupazione dei territori palestinesi.

Quando Trump alla fine del 2017 ha cambiato la politica degli Stati Uniti riconoscendo Gerusalemme come capitale di Israele, 14 dei 15 membri del Consiglio di sicurezza hanno adottato una risoluzione di condanna dell’iniziativa, ma gli Stati Uniti hanno posto il veto.

Una risoluzione simile è stata quindi presentata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA), dove nessuna nazione ha il potere di veto: è stata approvata con 128 voti a favore, 9 contrari e 35 astensioni.

I diplomatici, tuttavia, sembrerebbero escludere la possibilità che per la prevista annessione Israele possa subire sanzioni, quali quelle imposte da alcuni Paesi dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia.

“Qualsiasi annessione avrebbe conseguenze piuttosto gravi per la soluzione dei due Stati contenuta nel processo di pace”, ha detto un altro ambasciatore in forma anonima all’AFP.

Ma l’inviato ha affermato che non è un'”operazione semplice” mettere a confronto la Cisgiordania con la Crimea.

All’inizio di questo mese, centinaia di docenti e studiosi di diritto internazionale hanno firmato una lettera aperta che condanna il piano israeliano di annessione dei territori della Cisgiordania, definendolo una “flagrante violazione delle regole fondamentali del diritto internazionale e costituirebbe anche una grave minaccia alla stabilità internazionale in una regione instabile”.

Kevin Jon Heller, docente di diritto internazionale, ha dichiarato ad Al Jazeera che l’annessione prevista da Israele è “una chiara e sostanziale violazione del diritto internazionale, che vieta l’annessione dei territori presi con la forza”.

“L’annessione da parte di Israele delle alture del Golan e di Gerusalemme,” ha affermato Heller, “e il contemporaneo silenzio internazionale e arabo, l’hanno incoraggiato a intraprendere ulteriori azioni in quella direzione, come sta ora pianificando”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele trasforma in propaganda il plauso dell’ONU

Tamara Nassar

2 aprile 2020 – Electronic Intifada

Alcuni funzionari dell’ONU stanno elogiando Israele nonostante il modo in cui tiene i palestinesi in condizioni di scarsità di servizi sanitari basilari mentre affrontano la pandemia di COVID 19. António Guterres, segretario generale dell’ONU, si è persino rallegrato della cooperazione tra l’occupazione israeliana e l’Autorità Nazionale Palestinese nell’arginare la minaccia del nuovo coronavirus.

Come prevedibile, Il suo elogio è stato sfruttato per scopi propagandistici dal ministero degli Esteri israeliano.

Nikolay Mladenov, l’inviato ONU per il Medio Oriente, ha descritto il coordinamento come “eccellente”.

Il coordinatore per gli aiuti umanitari dell’ONU Jamie McGoldrick ha fatto eco alle lodi del suo collega.

Foglia di fico

Non solo l’ONU plaude al cosiddetto coordinamento per la sicurezza tra l’esercito israeliano e l’ANP, ma fornisce anche una foglia di fico a Israele per nascondere i suoi continui attacchi contro il diritto alla salute dei palestinesi.

Israele ha il dovere giuridico di garantire questo diritto. In quanto potenza occupante, in base al diritto internazionale Israele è obbligato a garantire ai palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza le infrastrutture necessarie.

Invece per più di un decennio Israele ha ripetutamente compromesso e danneggiato il sistema sanitario di Gaza, riducendo sistematicamente la fornitura di cibo, carburante, medicinali e materiale da costruzione alla Striscia al punto da calcolare persino il numero minimo di calorie che ogni persona potrebbe consumare per non morire di fame.

Oltre ad imporre un assedio devastante, Israele ha scatenato tre gravi attacchi, spianando interi quartieri e uccidendo migliaia di palestinesi. Dopo ogni invasione ha gravemente intralciato la ricostruzione.

“Le restrizioni al movimento e all’accesso, e ora uno stato d’emergenza imposto a livello mondiale dalla pandemia, sono stati la situazione quotidiana per i palestinesi di Gaza da circa 13 anni,” ha affermato questa settimana Al Mezan, un’associazione per i diritti umani di Gaza.

In Cisgiordania Israele ha continuato ad aggredire le comunità palestinesi, ha sequestrato attrezzature per la costruzione di ospedali da campo, ha confiscato pacchi di alimenti per famiglie in quarantena, ha fatto incursioni in casa nel cuore della notte ed ha continuato con gli arresti arbitrari di minorenni.

Tutte queste attività espongono le comunità palestinesi a un maggior rischio di contrarre il virus.

Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha commentato uno di questi raid nella città della Cisgiordania occupata di Ramallah, sede dell’Autorità Nazionale Palestinese, paragonando le forze israeliane ad “alieni ostili senza alcun rapporto con l’umanità.”

Tuttavia Ashrawi non ha fatto alcuna menzione a come normalmente l’Autorità Nazionale Palestinese collabora con l’occupazione militare israeliana.

L’apparato statale di polizia dell’ANP gioca un ruolo molto importante nel reprimere il dissenso palestinese per conto dell’esercito israeliano, arrestando frequentemente attivisti e condividendo informazioni con gli investigatori israeliani.

Ora Israele si congratula con se stesso in quanto si è guadagnato le lodi delle Nazioni Unite per aver fornito il minimo indispensabile alle persone che sottopone all’occupazione e all’assedio.

La propaganda dell’occupazione

Il COGAT, l’organo burocratico dell’occupazione militare israeliana che sovrintende alla punizione collettiva dei due milioni di abitanti di Gaza, spesso usa Twitter per vantarsi di aver inviato alla Striscia kit di analisi ed altre apparecchiature. Questi invii vengono presentati come gesti di buona volontà.

Tuttavia consentire a qualche prodotto di arrivare ai palestinesi non è molto, dato che il COGAT controlla tutto il movimento dei beni dentro e fuori la Striscia di Gaza.

Anche l’OCHA, agenzia di monitoraggio dell’ONU, ha rilevato la “stretta collaborazione senza precedenti” tra le autorità palestinesi ed israeliana dall’inizio dell’attuale crisi sanitaria.

L’organizzazione ha riconsociuto ad Israele di aver agevolato l’Autorità Nazionale Palestinese nell’ importazione di 10.000 kit di analisi e di aver tenuto una formazione per equipe mediche nell’ospedale al-Makassed della Gerusalemme est occupata.

Questi presunti esempi di generosità hanno fornito materiale bell’e pronto al COGAT da sfruttare a fini di propaganda.

Il COGAT ha anche limitato gli spostamenti di milioni di palestinesi nella Cisgiordania occupata con posti di controllo militari.

I checkpoint provocano quotidiane sofferenze ai palestinesi. Eppure il COGAT ha esaltato come il loro incremento “migliorerà la qualità di vita della popolazione della regione.”

Nel contempo un rapporto stilato da associazioni per i diritti umani ha evidenziato l’“impunità cronica” di Israele riguardo all’uccisione e alla mutilazione di personale medico palestinese.

Il rapporto è stato firmato da Al Mezan di Gaza e dalle associazioni benefiche con sede nel Regno Unito “Medical Aid for Palestinians” [Soccorso Medico per i Palestinesi] e “Lawyers for Palestinian Human Rights” [Avvocati per i Diritti Umani dei Palestinesi].

Vi si afferma che l’impunità cronica “rende più probabile che ciò si ripeta.”

Israele ha anche metodicamente negato o ritardato la concessione di permessi di viaggio per i palestinesi che necessitano di cure mediche fuori da Gaza.

Quindi perché le Nazioni Unite stanno lodando Israele perché fa il minimo possibile per la popolazione che aggredisce ed opprime?

Come scrisse il famoso scrittore palestinese Ghassan Kanafani: “Ci rubano il pane, ce ne danno una briciola, poi ci chiedono di ringraziarli della loro generosità…Che sfacciataggine!”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)