Mentre continuano i colloqui per il cessate il fuoco a Gaza Netanyahu afferma che Israele invaderà Rafah

Redazione di Al Jazeera

30 aprile 2024-Al Jazeera

Il primo ministro israeliano Netanyahu dice che le forze israeliane entreranno nella città meridionale di Gaza “con o senza un accordo”.

Mentre sono in corso difficili negoziati di tregua per raggiungere un accordo di cessate il fuoco, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ribadito la sua promessa che Israele lancerà un assalto di terra a Rafah, nel sud di Gaza.

Martedì Netanyahu ha detto che Israele distruggerà i battaglioni di Hamas a Rafah “con o senza un accordo” per ottenere la “vittoria totale” nella guerra che dura da quasi sette mesi.

Israele e Hamas stanno negoziando un potenziale accordo di cessate il fuoco e uno scambio tra ostaggi detenuti da gruppi palestinesi a Gaza con prigionieri detenuti nelle carceri israeliane.

L’idea che fermeremo la guerra prima di raggiungere tutti i suoi obiettivi è fuori discussione. Entreremo a Rafah ed elimineremo lì i battaglioni di Hamas, con o senza un accordo, per ottenere la vittoria totale,” ha detto il primo ministro in un incontro con le famiglie degli ostaggi detenuti dai gruppi armati a Gaza.

Hamas ha ripetutamente affermato che non accetterà un accordo che non includa un cessate il fuoco permanente e un ritiro completo delle forze israeliane da Gaza – questi sono stati i principali punti critici dei negoziati.

Per mesi Netanyahu si è ripetutamente impegnato a procedere con l’invasione di Rafah, nonostante l’esplicita contrarietà da parte del principale alleato di Israele, gli Stati Uniti.

Le agenzie umanitarie hanno avvertito che un assalto a Rafah, dove hanno trovato rifugio più di un milione di palestinesi sfollati, sarebbe catastrofico.

Martedì il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha esortato Israele a non procedere con un attacco militare che “costituirebbe un’intollerabile escalation che ucciderebbe migliaia di civili e costringerebbe centinaia di migliaia di persone a fuggire”.

Assalto incombente

La radio dell’esercito israeliano ha affermato che un piano per attaccare Rafah otterrà il via libera “nei prossimi giorni” se non verrà raggiunto un accordo di cessate il fuoco con Hamas.

La radio israeliana GLZ, attribuendo le informazioni a “funzionari della sicurezza”, ha affermato in un post sui social media che “verrà dato l’ordine di lanciare un’operazione a Rafah” se non verranno fatti progressi entro pochi giorni nei “negoziati per un accordo”.

In un post su X il media israeliano N12 ha riferito che, secondo quanto riferito dalle famiglie degli ostaggi, Netanyahu ha detto loro che l’evacuazione della popolazione a Rafah è già iniziata.

Tuttavia, il capo dell’UNRWA Philippe Lazzarini ha dichiarato martedì che “alla popolazione non è stato ancora chiesto di evacuare Rafah.

Ma c’è la sensazione che se non ci sarà un accordo di cessate il fuoco questa settimana, potrebbe accadere in qualsiasi momento”, ha detto durante una conferenza stampa a Ginevra.

L’agenzia di stampa Reuters ha riferito che “una persona vicina al primo ministro Benjamin Netanyahu” ha detto che Israele sta aspettando la risposta di Hamas alla sua proposta prima di inviare una squadra in Egitto per continuare i colloqui per il cessate il fuoco.

Secondo il ministro degli Esteri britannico David Cameron la proposta israeliana prevede una pausa di 40 giorni nei combattimenti invece di un cessate il fuoco permanente come Hamas ha ripetutamente chiesto.

Una risposta da parte di Hamas all’ultima proposta di Israele è prevista entro mercoledì sera, ha riferito Stefanie Dekker di Al Jazeera. [Oggi, 2 maggio, ore 09,30 ora italiana, la risposta non è ancora arrivata, ndt.]

Hamas valuta la proposta

Il segretario di Stato americano Antony Blinken non ha risposto direttamente ai giornalisti quando gli è stato chiesto dei piani di Netanyahu di procedere con l’assalto di terra. Ha invece sottolineato che l’obiettivo di Washington è raggiungere un accordo di tregua e il rilascio degli ostaggi.

Ora tocca ad Hamas. Niente più ritardi, niente più scuse. Il momento di agire è adesso,” ha detto Blinken alla stampa alla periferia della capitale della Giordania, Amman. “Nei prossimi giorni vogliamo vedere questo accordo concretizzarsi.”

[Una tregua] è il modo migliore, il modo più efficace, per alleviare le sofferenze e anche per creare un contesto in cui si possa sperare di andare avanti verso qualcosa che sia veramente sostenibile e offra una pace duratura per le persone che ne hanno così disperatamente bisogno”, ha aggiunto.

Si prevede che nel suo ultimo viaggio nella regione, iniziato lunedì in Arabia Saudita, Blinken visiterà Israele.

Hamas ha detto che continua a valutare la proposta israeliana. Un alto funzionario del gruppo ha osservato che [Israele] persiste nell’ignorare le richieste per la fine definitiva della guerra.

Dal documento israeliano emerge chiaramente che stanno ancora insistendo su due questioni principali: non vogliono un cessate il fuoco permanente e non stanno parlando in modo serio del ritiro da Gaza. In effetti stanno ancora parlando della loro presenza, il che significa che continueranno ad occupare Gaza”, ha detto Hamdan lunedì ad Al Jazeera.

Abbiamo domande cruciali per i mediatori. Se ci saranno risposte positive, penso che potremo andare avanti”.

Egitto, Qatar e Stati Uniti stanno mediando i colloqui tra Israele e Hamas.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra contro Gaza: politici israeliani preoccupati per ‘mandati d’arresto segreti da parte della Corte Penale Internazionale’

Redazione di Middle East Eye

30 aprile 2024 – Middle East Eye

Secondo alcune informazioni, alcuni legali dello Stato ebraico pensano che i mandati di arresto potrebbero essere annunciati solo dopo che i funzionari israeliani viaggiassero nei Paesi europei

Secondo un media israeliano, i legali per conto di Israele presso la Corte Penale Internazionale nella città olandese dell’Aia sono preoccupati che i mandati d’arresto contro funzionari israeliani possano essere stati emessi segretamente.

Un rapporto stilato da Ynet afferma che i legali sono preoccupati che i politici israeliani possano scoprire dei mandati senza preavviso dopo essere arrivati negli Stati europei.

Il rapporto afferma che le basi legali per tali mandati potrebbero essere le dichiarazioni fatte da molti leader israeliani durante la guerra in corso contro Gaza, nelle quali hanno avvertito i palestinesi nel territorio assediato che gli sarebbero stati negati cibo e aiuti.

Una fonte che ha parlato all’organo di stampa ha affermato che a quanto pare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta usando tattiche “minacciose” contro il procuratore Karim Khan, paragonando il suo comportamento a quello di un “elefante in una cristalleria.”

Gli israeliani stanno anche cercando assicurazioni dal segretario di stato statunitense Antony Blinken che Washington interverrebbe per bloccare ogni azione intrapresa dalla Corte Penale Internazionale.

In precedenza il quotidiano israeliano Maariv aveva riferito che Netanyahu è “spaventato e inusualmente stressato” dalla possibilità di un imminente mandato d’arresto.

Washington ha già affermato che la Corte Penale Internazionale non ha alcuna autorità per perseguire i leader israeliani.

Supporto al Congresso statunitense

Israele sta già affrontando presso la Corte Internazionale di Giustizia altre accuse di genocidio riguardo il suo attacco militare in corso a Gaza dopo la denuncia presentata dal Sud Africa.

La guerra ha ucciso finora almeno 34.500 palestinesi a Gaza, la maggioranza dei quali donne e minori.

Alcuni politici presso il Congresso statunitense, dove Israele ha una grande influenza e supporto, hanno promesso di prendere misure punitive contro la Corte Penale Internazionale se perseguisse personalità pubbliche israeliane.

Il portavoce della Camera dei Deputati, Mike Johnson, ha avvertito che se si creasse un precedente con l’emissione di mandati di arresto per i leader israeliani, i politici americani potrebbero essere i prossimi.

Mentre Johnson è repubblicano, anche il suo avversario, il Partito Democratico, è massicciamente filo-israeliano e contrario a ogni azione della Corte Penale Internazionale.

Secondo Axios alcuni membri del Congresso stanno promuovendo una legge per sanzioni contro la Corte Penale Internazionale, mentre altri stanno discutendo se ritirarsi dallo Statuto di Roma in base al quale è stata creata la corte.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Netanyahu promette di combattere le sanzioni USA contro un’unità dell’IDF accusata di violazioni in Cisgiordania

Peter Beaumont da Gerusalemme

22 aprile 2024 – The Guardian

Le sanzioni previste riguardano la legge Leahy e sono contro il battaglione Netzah Yehuda, accusato di violazioni dei diritti umani contro i palestinesi.

Benjamin Netanyahu ha affermato che lotterà contro ogni tentativo di imporre sanzioni contro unità dell’esercito israeliano dopo notizie secondo cui un battaglione delle Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndt.] sta per subire sanzioni USA per come tratta i palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Sabato il sito di notizie statunitense Axios ha informato che funzionari del dipartimento di Stato USA hanno confermato che stanno per imporre sanzioni contro il battaglione Netzah Yehuda dell’IDF, che è stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani contro i palestinesi. Domenica il giornale israeliano Haaretz ha scritto che gli USA stanno prendendo in considerazione iniziative simili anche contro altre unità della polizia e dell’esercito.

La mossa particolarmente significativa, che rappresenterebbe la prima volta che un governo statunitense prende di mira un’unità dell’IDF, giunge mentre il congresso USA ha approvato 26 miliardi di nuovi aiuti d’emergenza a Israele.

Se qualcuno pensa di poter imporre sanzioni contro un’unità dell’IDF, io mi opporrò con tutte le mie forze,” ha affermato il primo ministro israeliano in un comunicato. “Nelle scorse settimane ho lavorato contro le sanzioni a cittadini israeliani, anche nelle mie conversazioni con l’amministrazione americana,” ha scritto Netanyahu su X.

Nel momento in cui i nostri soldati stanno combattendo mostruosi terroristi l’intenzione di emanare sanzioni contro un’unità dell’IDF è il colmo dell’assurdità e di bassezza morale,” ha aggiunto.

L’IDF ha sostenuto di non essere al corrente di sanzioni in atto contro una sua unità ed ha aggiunto: “Se verrà presa una decisione in materia essa sarà presa in esame.”

Le sanzioni, che sarebbero imposte in base alla legge Leahy del 1997, vieterebbero il trasferimento di aiuti militari statunitensi all’unità e impedirebbero ai soldati e agli ufficiali di partecipare all’addestramento con l’esercito statunitense o a programmi che ricevano finanziamenti USA.

Secondo fonti ufficiali del ministero della Sanità di Gaza sabato notte bombardamenti israeliani sulla città meridionale di Rafah nella Striscia hanno ucciso 22 persone, tra cui 18 minori.

In base ai dati dell’ospedale la maggioranza sembra essere stata vittima del secondo di due attacchi aerei, che ha ucciso 17 minorenni e due donne della stessa famiglia estesa.
Mohammed al-Beheiri ha affermato che sua figlia Rasha e i suoi sei figli, di età compresa tra i 18 mesi e i 16 anni, sono stati tra le vittime. La seconda moglie del marito e i suoi tre figli sono ancora sotto le macerie, ha detto al-Beheiri.

Venerdì il segretario di Stato USA Antony Blinken ha affermato di aver preso “decisioni” riguardo alle denunce secondo cui Israele ha violato la legge Leahy, che vieta la fornitura di assistenza militare a polizia o forze di sicurezza che commettano gravi violazioni dei diritti umani.

Dalla promulgazione della legge l’aiuto USA è stato bloccato a centinaia di unità in tutto il mondo accusate di violazioni dei diritti.

Il dipartimento di Stato ha indagato un certo numero di unità della sicurezza israeliana, anche della polizia e dell’esercito, per presunte violazioni, mentre importanti funzionari israeliani affermano di aver fatto pressione contro l’imposizione di qualsiasi sanzione.

Il battaglione Netzah Yehuda, che fa parte della brigata Kfir, è stato originariamente creato nel 1999 per soddisfare le convinzioni religiose di reclute delle comunità ultraortodosse e nazional-religiose, comprese quelle delle colonie estremiste, e storicamente è stato principalmente schierato in Cisgiordania.

Soldati dell’unità sono stati accusati della morte del settantottenne cittadino statunitense Omar Assad, morto di infarto nel 2022 dopo essere stato arrestato, legato, imbavagliato e poi abbandonato da membri dell’unità. È stato uno dei numerosi incidenti gravi che hanno incluso accuse di torture e maltrattamenti.

Quel caso ha suscitato l’attenzione da parte del dipartimento di Stato che ha chiesto un’inchiesta penale.

In seguito dalla Cisgiordania l’unità è stata schierata al nord di Israele e anche a Gaza.

Secondo ProPublica [organizzazione USA no profit che si occupa di giornalismo investigativo, ndt.] della scorsa settimana il dipartimento di Stato ha ricevuto a dicembre un dossier sulle violazioni della legge Leahy.

Le notizie secondo cui un battaglione dell’IDF sta per affrontare imminenti sanzioni ha provocato una dura risposta da altre importanti personalità israeliane.

Il battaglione Netza Yehuda è una parte inseparabile delle Forze di Difesa Israeliane,” ha affermato Benny Gantz, importante membro del gabinetto di guerra di Netanyahu ed ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano.

È soggetto alla legge militare ed è responsabile di operare in pieno accordo con le leggi internazionali. Lo Stato di Israele ha un sistema giudiziario forte e indipendente che valuta meticolosamente ogni denuncia di violazione o deviazione dagli ordini e dal codice di condotta dell’IDF, e continuerà a farlo.”

Tuttavia organizzazioni per i diritti umani hanno a lungo sostenuto che il sistema investigativo dell’IDF non indaga in modo corretto né persegue le violazioni dei diritti umani commesse dai soldati.

Il citato piano per imporre sanzioni contro l’unità è venuto alla luce tra crescenti campagne per sanzioni internazionali contro israeliani coinvolti in violenze contro palestinesi nella Cisgiordania occupata, che hanno portato a nuovi annunci che prendono di mira individui e organizzazioni quasi ogni mese.

Venerdì gli USA e l’UE hanno annunciato separatamente nuove sanzioni contro gruppi e ong israeliani di estrema destra legati alle violenze dei coloni, così come a noti personaggi, tra cui Bentzi Gopstein, politico molto legato al ministro di estrema destra della Sicurezza Nazionale israeliano Itamar Ben Gvir.

Il complesso e contraddittorio balletto di aiuti e sanzioni a Israele, estremamente evidente in questa settimana e durante l’attacco dell’Iran contro Israele una settimana fa, sembra inteso a dimostrare che, mentre i suoi alleati appoggeranno quella che viene vista come la difesa di Israele, essi sono determinati a punire la crescente violenza estremista contro la Cisgiordania.

In particolare l’amministrazione Biden è sembrata più propensa a condannare le azioni e politiche israeliane in Cisgiordania che a Gaza, dove Israele sta combattendo Hamas in un conflitto durato sei mesi che ha cacciato più dell’85% della popolazione della striscia costiera e ha ucciso 34.000 palestinesi, molti dei quali civili.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Biden più vicino che mai alla rottura con Netanyahu sulla guerra a Gaza

Yasmeen Abutaleb, John Hudson e Tyler Pager

11 febbraio 2024 – The Washington Post

Con l’aumentare delle vittime alcuni assistenti esortano Biden a criticare apertamente il primo ministro israeliano

Secondo diverse persone che sono al corrente delle loro discussioni riservate, il presidente Biden e i suoi principali collaboratori sono più che mai vicini a una rottura con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dall’inizio della guerra di Gaza, poiché non lo considerano più un partner costruttivo che possa essere influenzato anche in via confidenziale.

Secondo sei persone che sono al corrente delle conversazioni e che hanno parlato a condizione di restare anonime per trattare di considerazioni riservate, la crescente frustrazione nei confronti di Netanyahu ha spinto alcuni degli assistenti di Biden a esortarlo a essere più critico in modo esplicito nei confronti del primo ministro sull’operazione militare del suo Paese a Gaza.

Secondo queste persone il presidente, un convinto sostenitore di Israele che conosce Netanyahu da più di 40 anni, è stato finora in gran parte riluttante a rendere pubblica la sua personale frustrazione. Ma vi si sta lentamente avvicinando, hanno detto, dato che Netanyahu continua a far infuriare i funzionari di Biden con umiliazioni pubbliche e arroganti rifiuti alle più elementari richieste degli Stati Uniti.

Netanyahu ha irritato i funzionari statunitensi in diverse occasioni negli ultimi giorni. Ha condannato pubblicamente un accordo sugli ostaggi mentre il segretario di Stato Antony Blinken era nella regione nel tentativo di mediare l’accordo. Ha annunciato che l’esercito israeliano si sarebbe spostato nella città di Rafah, nel sud di Gaza, una mossa a cui i funzionari statunitensi si sono pubblicamente opposti perché Rafah è occupata da circa 1,4 milioni di palestinesi che vivono in condizioni disumane e sono fuggiti lì su ordine israeliano.

Netanyahu ha anche affermato che Israele non smetterà di combattere a Gaza finché non otterrà la “vittoria totale”, anche se i funzionari statunitensi credono sempre più che il suo obiettivo dichiarato di distruggere Hamas sia irrealizzabile.

Per ora la Casa Bianca ha respinto le richieste di sospendere gli aiuti militari a Israele o di imporgli condizioni, affermando che ciò non farebbe altro che incoraggiare i nemici di Israele. Ma alcuni degli assistenti di Biden sostengono che criticare apertamente Netanyahu gli permetterebbe di prendere le distanze da un leader impopolare e dalle sue politiche di terra bruciata, ribadendo al contempo il suo sostegno di lunga data a Israele stesso.

La frustrazione personale di Biden nei confronti di Netanyahu – che è andata accumulandosi da mesi – è risultata evidente giovedì, quando ha affermato che la campagna militare di Israele a Gaza è stata “eccessiva”, il suo rimprovero finora più aspro.

Il presidente ha anche parlato in modo molto più dettagliato delle sofferenze dei palestinesi, nonché del tempo e delle energie che ha speso cercando di convincere israeliani ed egiziani a concedere maggiori aiuti ai 40 km. di enclave. “Molte persone innocenti stanno morendo di fame”, ha detto Biden. “Molte persone innocenti sono in difficoltà e stanno morendo. E questo deve finire”.

Un particolare punto critico è il piano di Israele di lanciare una campagna militare a Rafah, la città più meridionale di Gaza che confina con l’Egitto e che si è ingrandita fino a diventare più di quattro volte la sua dimensione originale. “Vivono già in tende e non ricevono abbastanza cibo e acqua e gli dicono di andare da qualche altra parte”, ha detto un consigliere esterno della Casa Bianca. “Dove? E come dovrebbero arrivarci?”

Questo articolo si basa su interviste con 19 alti funzionari dell’amministrazione e consulenti esterni, molti dei quali hanno parlato a condizione di anonimato per discutere di colloqui riservati.

Gli assistenti della Casa Bianca affermano pubblicamente che non c’è stato alcun cambiamento nella strategia o nel messaggio di Biden. Ma molti dei suoi alleati sostengono che anche un brusco cambiamento della retorica avrà scarso effetto, a meno che gli Stati Uniti non inizino a imporre condizioni per il loro sostegno a Israele.

Finché sostieni senza condizioni l’operazione militare di Netanyahu a Gaza, non fa assolutamente alcuna differenza quanto cambi il tenore delle tue dichiarazioni”, ha detto Ben Rhodes, vice consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’ex presidente Barack Obama. “Fondamentalmente bisogna decidere di non dare a Bibi un assegno in bianco in aiuti.” (“Bibi” è il soprannome comune di Netanyahu.)

Israele ha lanciato la sua campagna militare punitiva in risposta al brutale attacco di Hamas del 7 ottobre, quando i miliziani hanno fatto irruzione attraverso la recinzione di confine tra Israele e Gaza e hanno ucciso 1.200 persone, molte delle quali civili, e hanno preso circa 253 ostaggi. Da allora, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, gli attacchi aerei e i raid israeliani hanno ucciso più di 28.000 palestinesi e provocato lo sfollamento di oltre l’80% dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza, mentre l’assedio dell’enclave ha creato una vera catastrofe umanitaria.

La Casa Bianca ha fatto cauti passi negli ultimi giorni per segnalare la sua crescente frustrazione. Biden ha emesso un memorandum sulla sicurezza nazionale volto a garantire che i Paesi che ricevono armi statunitensi rispettino determinate linee guida, tra cui non ostacolare l’assistenza umanitaria.

All’inizio di questo mese Biden ha anche emesso un ordine esecutivo che impone sanzioni a quattro coloni della Cisgiordania per violenza contro i palestinesi, un’azione di cui Netanyahu si è lamentato durante un incontro privato con Blinken la scorsa settimana, hanno detto i funzionari. E giovedì il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby ha detto che un’operazione israeliana a Rafah “sarebbe un disastro per la popolazione, e noi non la sosterremmo” – la critica più forte con cui la Casa Bianca si è opposta ad un’operazione militare israeliana.

Alcuni degli assistenti del presidente hanno sostenuto che Biden può ancora appoggiare Israele pur denunciando Netanyahu. Ma secondo diverse persone che hanno familiarità con il suo pensiero Biden, che gli assistenti dicono abbia un attaccamento viscerale allo Stato ebraico, ha la tendenza a vedere il primo ministro e lo Stato di Israele come la stessa cosa, e si è opposto all’idea di criticare un primo ministro in carica, soprattutto in tempo di guerra.

Secondo due ex funzionari di Obama, quando era vicepresidente Biden riteneva che Obama e Netanyahu fossero troppo spesso pubblicamente in disaccordo.

Eppure la pazienza di Biden si sta esaurendo, per il modo in cui Israele ha condotto la sua campagna militare, e il presidente sta anche pagando un crescente prezzo politico per il suo sostegno a Israele, mentre Netanyahu sembra desideroso di ottenere un tornaconto politico snobbando pubblicamente Biden. Mentre Biden si avvia verso una faticosa campagna di rielezione, i sondaggi mostrano che i giovani elettori, le persone di colore, i musulmani e gli arabi americani disapprovano fortemente la sua gestione della guerra.

Per mesi i funzionari statunitensi hanno esercitato pressioni sugli israeliani affinché consentissero l’arrivo a Gaza di maggiori aiuti umanitari, tra cui cibo, acqua e medicine, ma hanno dovuto affrontare ripetute resistenze da parte di Netanyahu e del suo governo. I manifestanti israeliani hanno anche bloccato l’ingresso dei camion degli aiuti attraverso il valico di frontiera con Gaza di Kerem Shalom.

Un alto funzionario dell’amministrazione che parla regolarmente con il presidente ha affermato che i commenti insolitamente taglienti di Biden giovedì riflettono ciò che ha detto a lungo in privato.

Non penso che qualcuno possa guardare a ciò che gli israeliani hanno fatto a Gaza e non dire che è esagerato”, ha detto il funzionario. “È tutto frustrante con gli israeliani. Hanno pensato a ciò che avverrà dopo a Gaza? No. Non si sono cimentati con le domande veramente difficili”.

Biden tiene profondamente a portare più aiuti umanitari a Gaza, ha detto il funzionario, aggiungendo che “ci pensa costantemente” ed è frustrato dagli ostacoli che Israele sta frapponendo. “Tutto è una continua lotta”, ha detto il funzionario.

Alla frustrazione dei funzionari statunitensi si aggiunge il loro profondo scetticismo sulla capacità di Israele di raggiungere l’obiettivo dichiarato della vittoria militare totale.

Come riportato per la prima volta dal New York Times, funzionari a conoscenza di un briefing a porte chiuse la scorsa settimana, dei funzionari dell’intelligence statunitense hanno detto ai parlamentari che, sebbene Israele abbia ridotto le capacità militari di Hamas, dopo più di 100 giorni dall’inizio della sua campagna non è vicino all’eliminazione del gruppo.

I leader statunitensi sono scettici nei confronti dell’affermazione di Netanyahu secondo cui avrebbe distrutto due terzi delle squadre combattenti di Hamas, e avvertono che l’alto livello di vittime civili sta garantendo che per decenni a venire accanto a Israele vivrà una popolazione radicalizzata.

Nell’immediato futuro i funzionari statunitensi sono quasi interamente concentrati sulla conclusione di un accordo che vedrebbe il rilascio di molti dei restanti 130 ostaggi israeliani a Gaza in cambio di prigionieri palestinesi e una pausa a lungo termine nei combattimenti.

Funzionari della Casa Bianca hanno affermato che un cessate il fuoco temporaneo consentirebbe loro di far arrivare a Gaza gli aiuti umanitari di cui c’è disperatamente bisogno. Sperano anche che possa fornire lo spazio per iniziare ad affrontare le questioni più difficili del futuro, tra cui chi governerà Gaza, come rendere possibile la nascita di uno Stato palestinese e come riformare l’Autorità Palestinese che governa alcune parti della Cisgiordania.

I funzionari della Casa Bianca sono sempre più vicini alla conclusione che Netanyahu sia concentrato sulla propria sopravvivenza politica a prescindere da qualsiasi altro obiettivo, e che sia ansioso di presentarsi come colui che tiene testa al sostegno di Biden per la soluzione a due Stati. Durante una conferenza stampa il mese scorso, Netanyahu ha rimproverato pubblicamente Biden per il suo sostegno allo Stato palestinese, affermando che un primo ministro israeliano deve essere “capace di dire no ai nostri amici”.

Netanyahu sta giocando la propria politica in patria, e se pensa che denigrare pubblicamente Biden lo possa aiutare, lo farà”, ha detto Frank Lowenstein, ex funzionario del Dipartimento di Stato che ha contribuito a condurre i negoziati israelo-palestinesi del 2014.

Gli assistenti dicono che uno dei motivi principali per cui Biden non ha criticato prima Netanyahu è il suo rapporto decennale con il primo ministro. Biden afferma spesso di dire a Netanyahu: “Ti voglio bene Bibi, anche se non ti sopporto”.

Talvolta Netanyahu ha contribuito a rafforzare la visione di Biden di Israele come un eroico baluardo contro l’antisemitismo globale. Secondo una persona presente allo scambio, che parla a condizione dell’anonimato per descrivere un colloquio privato, durante una visita quando Biden era vicepresidente Netanyahu gli mostrò foto di immagini grossolanamente antisemite provenienti da Hamas e sostenne che quella istigazione era la ragione per cui non si poteva fare la pace con i palestinesi.

Man mano che la frustrazione di Biden cresce, il presidente parla meno di frequente con il leader israeliano. Secondo un alto funzionario dell’amministrazione presente alla conversazione, la loro ultima conversazione, a metà gennaio, era stata in gran parte incentrata sul potenziale accordo sugli ostaggi.

Biden spingeva Netanyahu a “buttare giù un’offerta e mettere alla prova Hamas”, ha detto il funzionario. Il presidente ha poi parlato con il presidente egiziano Abdel Fatah El-Sisi e con l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani, esortandoli a fare pressione su Hamas affinché le due parti potessero avvicinarsi a un accordo.

In questo contesto, il presidente e i suoi collaboratori si sono arrabbiati quando la scorsa settimana Netanyahu ha pubblicamente rifiutato l’ultima proposta di Hamas sugli ostaggi poche ore dopo che Blinken, che era in Israele per la quinta volta dall’inizio della guerra, aveva dichiarato che era una proposta promettente.

La resa alle ridicole richieste di Hamas – che abbiamo appena sentito – non porterà alla liberazione degli ostaggi, e provocherà solo un altro massacro”, ha detto Netanyahu.

Ore dopo Blinken ha espresso le critiche sinora più acute sull’alto numero di vittime civili a Gaza, sulle restrizioni israeliane agli aiuti e sulla retorica incendiaria di Netanyahu e dei suoi ministri che, secondo lui, causano “profonde preoccupazioni” agli Stati Uniti.

Il pedaggio quotidiano che le sue operazioni militari continuano a infliggere a civili innocenti rimane troppo alto”, ha detto mercoledì Blinken ai giornalisti in una conferenza stampa a Tel Aviv. “Gli israeliani sono stati disumanizzati nel modo più orribile il 7 ottobre. Da allora gli ostaggi sono stati disumanizzati ogni giorno. Ma questa non può essere una licenza per privare altri della loro umanità”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Guerra Israele-Palestina: deraglia la politica USA per il Medio Oriente Da quando è scoppiato il conflitto Washington ha fatto una serie di errori marchiani, portando la regione sull’orlo di una guerra più ampia

David Hearst

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Joe Biden non sta avendo una bella guerra. Tre giorni dopo l’attacco di Hamas il presidente USA ha pronunciato un discorso da far invidia persino a David Friedman, ex ambasciatore in Israele sotto la presidenza Trump e difensore dei coloni.

Biden ha erroneamente sostenuto l’affermazione che Hamas avrebbe decapitato neonati, con affermazioni che la Casa Bianca ha poi dovuto smentire; ha promesso il sostegno USA per dare a Israele tutto il necessario per “rispondere a questo attacco” e ha poi erroneamente asserito che i civili a Gaza erano usati come scudi umani.

In quei tre giorni la leadership di Israele ha reso chiarissimo che sarebbe andata giù pesante e che lo Stato nella sua risposta all’attacco di Hamas non avrebbe rispettato le regole di guerra.

Gli eventi si sono svolti di conseguenza e Israele in 10 giorni ha colpito Gaza con una potenza esplosiva equivalente a un quarto di una bomba nucleare.

Mentre Biden stava decollando per il suo ultimo viaggio in Medio Oriente, a Gaza le forze israeliane hanno colpito un ospedale che avevano attaccato pochi giorni prima, dopo aver avvertito di evacuarlo. Oltre 20 altri ospedali hanno ricevuto minacce simili.

Questa volta sono state uccise circa 500 persone. La carneficina all’al-Ahli, uno dei più vecchi ospedali di Gaza, ha fatto un tale piacere a Itamar Ben Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, che se ne è prematuramente attribuito la responsabilità: “Fino a quando Hamas non libererà gli ostaggi l’unica cosa che si deve far entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo lanciate dall’aeronautica militare, non un grammo di aiuti umanitari.”

Anche Hananya Naftali, che lavorava per il team digitale del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha postato su X: “ULTIMISSIME: l’aeronautica militare israeliana ha colpito una base terrorista di Hamas dentro un ospedale a Gaza.” Ha velocemente tolto il post.

Più tardi lo stesso giorno un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che un “razzo nemico” lanciato contro Israele era uscito dalla traiettoria colpendo l’ospedale. Tali razzi non hanno una potenza esplosiva tale da uccidere 500 persone. Inizialmente l’esercito aveva pubblicato immagini che mostravano un razzo del Jihad Islamico, ma dopo la scoperta che questo video era di 40 minuti successivi al bombardamento, l’esercito ha rimosso il filmato.

Sembra che qualcuno stia facendo gli straordinari al suo laptop per cancellare le tracce dell’attacco contro l’ospedale. C’è persino un audio che rivelerebbe la discussione fra miliziani di Hamas che discuterebbero del fallito lancio, salvo il fatto che, secondo Channel 4 [notiziario britannico, ndt.], sarebbe un falso che usa tono, sintassi e accento sbagliati.

Semaforo verdissimo

Mercoledì, quando Biden è atterrato in Israele, gran parte del tour regionale pianificato era stato cancellato. Tale era la rabbia nella Cisgiordania occupata, in Giordania, Libano ed Egitto che nessun leader arabo per garantire la propria sicurezza ha voluto incontrarlo.

Con centinaia di persone radunate davanti alle ambasciate di USA e Israele in Giordania che invocavano l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la revoca del trattato di pace con Israele, la visita ad Amman è stata annullata. 

Ma poco dopo l’arrivo in Israele Biden si è scavato una fossa ancora più profonda quando ha detto a Netanyahu, a proposito dell’attacco all’ospedale: “Basandomi su quanto ho visto sembra che sia stato fatto dall’altra parte, non da voi.”

Dietro le quinte la politica USA per il Medio Oriente sembrava stesse deragliando.

Per essere chiari le azioni intraprese dagli USA dietro le quinte nel periodo immediatamente seguente all’attacco di Hamas ha spianato la strada alla crisi in cui si trova ora la regione. 

Gli USA non hanno solo dato il semaforo più verde possibile alla campagna di bombardamento mirante a spingere più di un milione di persone dalla metà settentrionale della Striscia di Gaza verso il confine egiziano. Non hanno solo dato a Israele, secondo funzionari della difesa, bombe guidate equipaggiate con il sistema JDAM e parecchie migliaia di proiettili di artiglieria 155 mm.

Secondo vari e credibili rapporti, inizialmente hanno anche cercato di persuadere l’Egitto ad accogliere un milione di rifugiati da Gaza. Al Akhbar [quotidiano in lingua araba pubblicato a Beirut, ndt.] all’inizio ha riferito che gli USA hanno cercato di coordinarsi con l’ONU e “organizzazioni internazionali che ricevono finanziamenti dall’ONU” per convincere il Cairo ad aprire il valico di Rafah. Naturalmente c’era di mezzo una bustarella.

Fonti hanno parlato della possibilità che gli USA dessero dei significativi finanziamenti all’Egitto, oltre 20 miliardi di dollari, se avesse accettato. Hanno menzionato una richiesta del Cairo di “facilitare il trasferimento di molte e numerose organizzazioni operanti nel settore del soccorso al confine con Rafah senza entrare a Gaza”.

Anche il sito egiziano Mada Masr ha riferito che funzionari egiziani si sono consultati sul trasferimento di una significativa parte della popolazione di Gaza. Tale affermazione così delicata ha fatto sì che le autorità egiziane intervenissero pesantemente sul sito: i direttori sono stati convocati e il Consiglio Supremo per la regolamentazione dei media ha iniziato un’indagine sulla pubblicazione di “notizie false”. 

Senza dubbio questi incontri si sono svolti prima che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi si rendesse conto del pericolo per lui in un anno di rielezioni. 

L’11 settembre di Israele

Gli USA hanno commesso tre errori nella loro reazione all’attacco di Hamas. Hanno incoraggiato Israele a colpire senza limiti, hanno inizialmente contemplato lo scenario di un esodo di massa dei palestinesi in Egitto e hanno portato il Medio Oriente sull’orlo di una guerra regionale. 

Fin dall’inizio la narrazione usata da Israele e dagli USA è stata che per Israele l’attacco di Hamas era paragonabile all’11 settembre, che Hamas non era in alcun modo diverso dallo Stato Islamico e che Israele aveva il dovere morale non solo di rispondere all’attacco di Hamas ma anche di sradicare l’intero movimento.

Ciò ha permesso a Israele di pensare che avrebbe potuto usare raid aerei contro Gaza non solo per distruggere Hamas, ma anche per apportare modifiche strutturali all’equilibrio di potere nel Medio Oriente, cioè confrontarsi con Hezbollah e infine con l’Iran.

Sia Netanyahu che il leader dell’opposizione Benny Gantz hanno alluso a un piano che avrebbe, nelle parole di Gantz, “cambiato la situazione strategica e della sicurezza nella regione”. Non mi è chiaro se gli USA avrebbero permesso a Israele di procedere con un piano più ampio che contro Hamas e Gaza, ma chiaramente il piano c’era.

Michael Milshtein, capo del Forum di Studi Palestinesi presso il centro Moshe Dayan all’università di Tel Aviv scrive: “Questa guerra è molto di più di un conflitto fra Israele e Hamas. In Occidente si sta sviluppando l’idea che la guerra delle Spade di Ferro [nome dell’operazione militare israeliana contro Gaza, ndt.] sia un momento qualificante, un’opportunità unica di rimodellare l’architettura del Medio Oriente che ci si aspetta influenzerà anche i rapporti di potere in tutto il mondo.”

Per alcuni giorni sembrava che l’espulsione forzata di metà di Gaza travestita da corridori umanitari potesse funzionare. Il confine nord con il Libano è rimasto tranquillo. Inizialmente Hezbollah non ha reagito. I media occidentali hanno accettato il piano di conquistare Hamas e rioccupare Gaza.

La svolta è arrivata quando il Segretario di Stato USA Antony Blinken sembra si sia reso conto che un’altra Nakba delle dimensioni di quanto accadde nel 1948 sarebbe stata una linea rossa. 

Dopo un incontro di ministri degli esteri, Ayman Safadi, vice primo ministro giordano, ha detto che tutti i paesi arabi si impegnavano in un’azione collettiva contro ogni tentativo di espellere i palestinesi dalla loro patria. Lo stesso messaggio è arrivato dal re  di Giordania Abdullah II durante il suo recente viaggio europeo.

L’urlo di protesta levatosi da Giordania, Egitto, Turchia e Arabia Saudita è stato tale che Blinken ha dovuto ammettere che “non avrebbe avuto seguito”. Biden ha anche detto che la rioccupazione di Gaza sarebbe stato un “errore enorme”. Il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha detto che tutti dovrebbero evitare l’escalation. 

Tutto ciò è stato accompagnato da altri avvertimenti chiari. Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, ha messo in guardia che l’asse della resistenza avrebbe aperto “fronti multipli” contro Israele se gli attacchi contro Gaza fossero continuati, dicendo alla televisione nazionale iraniana: “Non c’è più molto tempo. Se i crimini di guerra contro i palestinesi non si fermano immediatamente, si apriranno altri fronti multipli e questo è inevitabile.”

Se gli USA non capiranno hanno solo da guardare fuori dalla finestra dove ci sono proteste di massa senza precedenti in tutta la regione.

Guerra regionale

All’arrivo di Biden in Israele mercoledì la regione era in ebollizione. A parte la questione morale, l’esercito USA è chiaramente impreparato per tale impresa avendo speso gli ultimi anni a ridurre le sue risorse militari.

Secondo il Wall Street Journal l’anno scorso ha ritirato più di otto batterie di missili Patriot da Iraq, Kuwait, Giordania e Arabia Saudita, oltre a un sistema Terminal High Altitude Area Defense [Difesa d’area terminale ad alta quota] (Thaad) dall’Arabia Saudita. Ha svuotato le scorte di munizioni da 155mm in Israele per mandarli in Ucraina. Ha spostato la marina nel Pacifico.

In poco tempo ha dovuto far marcia indietro. Nel Mediterraneo c’è già una portaerei e un’altra sta arrivando [in realtà è già arrivata. ndt.]. L’ultima volta che gli USA hanno impiegato due portaerei in Medio Oriente fu nel 2020. Insieme alle sue navi ha dovuto riportare nel Golfo gli aerei da attacco A-10 e i caccia F-15 e F-16. 

Tutto ciò dovrebbe costituire un deterrente per l’Iran. Non lo sarà. Non mi capita spesso di citare le analisi su Israele dell’editorialista Thomas Friedman [noto giornalista USA tradizionalmente schierato con Israele, ndt.] del New York Times, ma in questa occasione farò eccezione.

Friedman ha scritto: “Se Israele entra in Gaza adesso farà saltare gli Accordi di Abramo, destabilizzerà ancora di più due dei più importanti alleati dell’America (Egitto e Giordania) e renderà impossibile la normalizzazione con l’Arabia Saudita: una gigantesca battuta di arresto. Permetterebbe anche ad Hamas di incendiare veramente la Cisgiordania e fare partire una guerra di pastori fra i coloni ebrei e i palestinesi. Complessivamente farebbe il gioco della strategia iraniana di attrarre Israele verso una eccessiva espansione imperiale, indebolendo in tal modo la democrazia ebraica dall’interno.”

Hamas non ha bisogno di infiammare la Cisgiordania occupata, dato che ci sono enormi proteste in tutte le città principali per chiedere al Presidente Mahmoud Abbas di andarsene, dopo che le forze dell’Autorità Palestinese (AP) hanno usato proiettili veri contro i manifestanti. Ma sul punto strategico sono d’accordo con Friedman, anche se mi addolora dirlo.

Ha anche ragione a dire che un’invasione di terra di 360.000 soldati israeliani afflitti è la ricetta per massacri forse peggiori e di più vaste dimensioni di quelli mai visti fino ad ora.

Perdita del sostegno

C’è una discussione a Washington su come l’attacco di Hamas abbia cambiate la natura, la velocità e l’estensione del sistema del Medio Oriente sostenuto dagli USA. James Jeffrey, ex ambasciatore USA nella regione, ha detto a Middle East Eye: “La capacità di Hamas di sconfiggere l’intera difesa militare israeliana mette questa guerra sullo stesso piano della guerra dello Yom Kippur (la guerra in Medio Oriente del 1973). Nessun conflitto recente ha minacciato il sistema mediorientale sostenuto dagli USA tanto come questo, e tale lo considera l’amministrazione [Biden].”

Ma questa analisi fa partire il conto alla rovescia fino all’attacco stesso, non a tutti i segnali che l’hanno preceduto: il collasso dell’AP, gli sconfinamenti israeliani nella moschea di Al-Aqsa, l’impossibilità dei negoziati, i tentativi di stringere un accordo con l’Arabia Saudita passando sopra le teste dei palestinesi e l’impossibilità di tutti i palestinesi di uscire dalle gabbie collettive in cui sono rinchiusi.

Potrebbe anche essere che “il sistema mediorientale sostenuto dagli USA”, basato sul cieco supporto a Israele, non funzioni più? La lettera di dimissioni di Josh Paul, un funzionario ad alto livello del Dipartimento di Stato USA, dimissioni causate dalla posizione della sua amministrazione sulla guerra di Gaza, è una lettura interessante.

Paul ha definito l’attacco di Hamas la “mostruosità delle mostruosità”, ma poi continua: “La reazione di questa amministrazione e anche di gran parte del Congresso è una reazione impulsiva, basata su un pregiudizio confermato, sulla convenienza politica, sulla bancarotta intellettuale e sull’inerzia burocratica. Decenni con lo stesso approccio hanno mostrato che la sicurezza in cambio di pace non porta né alla sicurezza né alla pace. Il fatto che un supporto cieco a una parte sul lungo periodo è distruttivo per gli interessi dei popoli di entrambe le parti.”

Forse Biden ha capito il messaggio. Ma, avendo tolto 12 giorni fa il piede dal freno della rabbia collettiva di Israele, adesso avrà un compito difficile per rimettercelo.

Ho parlato prima di deragliamento, e in realtà è un traballante carro tirato da cavalli. Quello che gli scorsi dodici giorni hanno dimostrato più di ogni altra cosa è l’incapacità degli USA a essere un leader mondiale. Manca dei requisiti: capacità analitica, conoscenza della regione e capacità intellettuale. Spara commenti affrettati e solo dopo pensa alle conseguenze. E’ coinvolto in guerre per le quali è palesemente impreparata.

Accecata dal dogma, sempre entusiasta di dividere il mondo in opposizioni manichee: democrazia contro autocrazia, il mondo giudeo-cristiano contro l’Islam, l’America ha perso contatto con i valori che sostiene di difendere. Mentire a favore di Israele sui crimini di guerra che sta commettendo significa difenderlo?

Washington sta perdendo il sostegno dei suoi alleati. Vedendo le azioni degli USA nessuno può avere molta fiducia che siano state veramente meditate. Le conseguenze di questi 12 giorni e di quelli che seguiranno provocherà sconvolgimenti in lungo e in largo. 

Biden ha tutto l’interesse a chiudere l’episodio ora, fermando l’assalto via terra e costringendo a far entrare a Gaza gli aiuti umanitari essenziali. 

Solo allora potranno avvenire i negoziati con Hamas per uno scambio di prigionieri. Se non riesce a ottenere questi obiettivi base, anche lui scoprirà quali danni un Israele senza limiti può infliggere a sè stesso, alla regione, agli USA e invero al mondo. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo-redattore di Middle East Eye. È commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. Ha scritto di politica estera per il Guardian, è stato corrispondente da Russia, Europa e Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per il settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il rapporto sui diritti umani dell’amministrazione Biden ignora l’uccisione di Shireen Abu Akleh

Redazione MEE

21 marzo 2023 – Middle East Eye

Amnesty International denuncia ‘doppi standard’ nel rapporto, afferma che gli USA non attribuiscono responsabilità ai loro principali alleati nella sicurezza

Il rapporto annuale sui diritti umani del Dipartimento di Stato USA fa propria la versione del governo israeliano sugli eventi relativi all’uccisione della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh e non fa menzione della morte di un cittadino statunitense in seguito al suo arresto da parte delle forze israeliane l’anno scorso.

Il rapporto, diffuso lunedì, non definisce la morte della giornalista come omicidio extragiudiziale o arbitrario, limitandosi a citarla nella sezione relativa alla libertà di espressione.

Lo scorso maggio le forze israeliane spararono e uccisero Abu Akleh nel corso di un raid israeliano nella città di Jenin nella Cisgiordania occupata. La sua morte suscitò l’indignazione palestinese ed una vasta condanna internazionale.

Un’inchiesta dell’esercito israeliano sull’uccisione di Abu Akleh concluse che probabilmente le fu sparato da un soldato israeliano, ma non era stata deliberatamente presa di mira. Invece diverse inchieste indipendenti conclusero che Abu Akleh e i suoi colleghi vennero esplicitamente presi di mira, nonostante fossero identificabili come membri della stampa.

Il rapporto del Dipartimento di Stato inoltre non fa menzione della morte dell’ottantenne palestinese-americano Omar Asaad, che morì dopo essere stato posto sotto custodia israeliana. Il New York Times riferì che ebbe un attacco cardiaco indotto da stress, molto probabilmente provocato dall’essere, stato imbavagliato al gelo in un cantiere, stando ad una relazione del medico legale.

Mentre l’uccisione di Abu Akleh non è stata inclusa nella sezione sulle uccisioni extragiudiziali, il rapporto del Dipartimento di Stato prende di mira le inchieste di Israele sulle sue forze di sicurezza e sui casi di violenza, uccisioni illegali e arbitrarie e restrizioni nei confronti dei palestinesi.

I sistemi giudiziari israeliani militare e civile hanno raramente riscontrato abusi commessi da membri delle forze di sicurezza”, afferma il rapporto del Dipartimento di Stato.

Ci sono diverse relazioni sul fatto che il governo o i suoi agenti hanno commesso uccisioni arbitrarie o illegali”, aggiunge il rapporto, sottolineando che “i cittadini con disabilità mentali sono sottoposti a maggior rischio di subire violenza quando hanno a che fare con la polizia.”

Doppi standard’

Presentando il rapporto lunedì in una conferenza stampa il Segretario di Stato Antony Blinken ha detto: “Non vogliamo entrare in conflitto con nessuno– definiamo le cose come le vediamo.”

Eppure, nonostante il rapporto, gli USA hanno continuato a fornire supporto diplomatico e militare a Israele, che i difensori dei diritti dei palestinesi affermano alimenti la violenza e le violazioni dei diritti contro i palestinesi.

All’inizio di questo mese, dopo che il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha auspicato che la città palestinese di Huwwara “venga spazzata via”, gli USA gli hanno rilasciato un visto nonostante le richieste da parte di associazioni progressiste, organizzazioni per i diritti e associazioni ebraiche che a Smotrich fosse negato l’ingresso nel Paese.

Per anni le associazioni per i diritti hanno criticato l’amministrazione Biden per non aver mantenuto le promesse di porre i diritti umani al centro della sua politica estera.

Quando il Segretario di Stato Blinken ha annunciato la strategia di politica estera USA, ha detto che sarebbe stata incentrata sui diritti umani”, ha dichiarato lunedì Paul O’Brien, direttore esecutivo di Amnesty International USA.

Eppure il rapporto annuale sui diritti umani dimostra che l’amministrazione Biden prosegue in una politica di doppi standard quando si tratta di evitare di richiamare le violazioni dei diritti umani dei principali alleati nella sicurezza.”

O’Brien ha detto che il rapporto dell’amministrazione Biden “non include pienamente la situazione dei diritti umani in peggioramento” nella Cisgiordania occupata da Israele e “offre un riconoscimento de facto del controllo israeliano su Gerusalemme est occupata e le Alture del Golan (siriane, ndtr.).”

E’ ora che l’amministrazione Biden smetta di concedere ai suoi alleati un lasciapassare sui diritti umani.”

Gli alleati USA del Golfo

Il rapporto annuale cita molte violazioni dei diritti umani compiute dai suoi alleati in Medio Oriente, compresi Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti.

Il Dipartimento di Stato cita un lungo elenco di violazioni di diritti in Arabia Saudita, comprese uccisioni extragiudiziali, sparizioni forzate, arresti arbitrari e condizioni di detenzione potenzialmente letali.

Il rapporto esce quando l’Arabia Saudita ha rilasciato dal carcere il 72enne cittadino USA Ibrahim Almadi, che era stato condannato a 19 anni per aver postato dei tweet critici verso la monarchia. Almadi resta sottoposto a divieto di viaggiare e non può lasciare il Paese.

Il rapporto di lunedì esce una settimana dopo che i senatori USA Chris Murphy e Mike Lee hanno introdotto una disposizione che richiede al Dipartimento di Stato di presentare un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, in mancanza del quale tutta l’assistenza al regno per la sicurezza si interromperebbe.

Le armi USA non possono essere nelle mani di chi viola i diritti umani”, ha dichiarato Lee. “Il popolo americano e i suoi rappresentanti eletti hanno il diritto di conoscere i tipi di attività che stiamo tacitamente sostenendo.”

Nonostante l’amministrazione Biden chieda una revisione delle relazioni USA- Sauditi, esperti di diritti umani affermano che Biden deve ancora avviare un nuovo approccio alla propria alleanza con il regno. Il presidente USA quando è entrato in carica ha affermato che avrebbe trattato solo con Re Salman, ma nel rapporto di lunedì si definisce il Principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman “capo di Stato.”

Secondo l’organizzazione umanitaria di assistenza legale “Reprieve” e l’Organizzazione per i diritti umani europea-saudita l’utilizzo della pena di morte in Arabia Saudita è quasi raddoppiato dalla salita al trono del Principe ereditario Mohammed bin Salman nel 2015.

Tra il 2010 e il 2014 nel regno vi era una media di 70,8 esecuzioni all’anno. Poi, dal 2015 – l’anno in cui il principe ereditario divenne il capo de facto del regno – fino al 2022, vi è stata una media di 129,5 esecuzioni all’anno, con un aumento dell’82%.

Anche gli Emirati Arabi Uniti, un altro alleato degli USA, sono stati citati nel rapporto per una serie di abusi, dalla detenzione in isolamento alle restrizioni sui media e la libertà di espressione, come anche per “gravi e irragionevoli restrizioni alla partecipazione politica”. Il rapporto elenca anche violazioni dei diritti in altri Paesi del Medio Oriente, inclusi Egitto, Tunisia e Giordania.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Sei mesi fa Israele ha etichettato come terroriste alcune associazioni palestinesi per i diritti umani. L’amministrazione Biden afferma di stare ancora esaminando le “prove”

Michael Arria

19 aprile 2022 – Mondoweiss

Sei mesi dopo l’amministrazione Biden non ha contestato in alcun modo la definizione israeliana di “istituzioni terroristiche” contro sei organizzazioni della società civile palestinese.

Sono passati sei mesi da quando il governo israeliano ha etichettato come “organizzazioni terroristiche” alcune associazioni della società civile palestinese ma, nonostante ripetute richieste di intervenire, il governo USA non ha ancora controbattuto in alcun modo a questa definizione.

Nell’ottobre 2021 il ministro della Difesa Benny Gantz ha annunciato che sei associazioni per i diritti umani (Addameer, Al-Haq, Defense for Children International – Palestine [Difesa Internazionale dei Minori-Palestina), il Bisan Centre for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], l’Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi], e l’ Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo]) hanno avuto rapporti con terroristi. Gantz ha affermato che queste organizzazioni “sono affiliate” al Fronte Popolare [per la Liberazione della Palestina] e che le loro “principali attività… sono la liberazione della Palestina e la distruzione di Israele.” Il governo israeliano non ha ancora fornito alcuna prova che metta in relazione queste associazioni con il terrorismo.

Israele non ha ancora fornito alcuna prova pubblica che metta in rapporto queste associazioni con il terrorismo e documenti riservati ottenuti da +972, Local Call [versione in ebraico di +972, ndtr.] e The Intercept [sito di controinformazione] rivelano che le accuse sono probabilmente discutibili.

L’iniziativa israeliana è stata ampiamente criticata. “Questa definizione è un attacco frontale contro il movimento palestinese per i diritti umani e contro i diritti umani ovunque,” ha dichiarato l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. “Far tacere queste voci non è ciò che dovrebbe fare una democrazia che rispetti i diritti umani e gli standard umanitari. Chiediamo alla comunità internazionale di difendere i difensori [dei diritti umani, ndtr.].”

“Questa decisione terribile e ingiusta è un attacco da parte del governo israeliano contro il movimento internazionale per i diritti umani,” afferma una dichiarazione comune di Human Rights Watch e Amnesty International.

“Da decenni le autorità israeliane hanno sistematicamente cercato di imbavagliare il monitoraggio dei diritti umani e di punire quanti criticano il suo dominio repressivo sui palestinesi. Mentre i membri del personale delle nostre organizzazioni hanno dovuto affrontare deportazioni e divieti di viaggio, i difensori palestinesi dei diritti umani hanno sempre sopportato il peso maggiore della repressione.”

Israele ha inviato una delegazione alla Casa Bianca per fornire all’amministrazione Biden quelle che sostengono siano prove “inequivocabili” contro le associazioni dei diritti umani. “Riceviamo dettagliate informazioni dal governo israeliano. Apprezziamo la collaborazione,” ha detto all’epoca ai giornalisti il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price. “Stiamo controllando le informazioni che loro (Israele) ci hanno fornito.”

Vari parlamentari hanno chiesto un’azione rapida da parte del presidente. La deputata Betty McCollum ha presentato una risoluzione che condanna la definizione. Chiede all’amministrazione Biden di denunciare l’iniziativa, di fare pressione sui politici israeliani perché revochino la decisione e di riconoscere pubblicamente l’importante lavoro delle associazioni palestinesi della società civile. Undici membri della Camera hanno promosso la proposta di legge, comprese le parlamentari Ilhan Omar, Rashida Tlaib, Alexandria Ocasio-Cortez e Cori Bush. Mondoweiss si è rivolto a vari co-firmatari della legge perché chiedano conto della mancanza di progressi di Biden, ma fino alla pubblicazione [di questo articolo] nessuno ha fatto commenti.

Nel novembre 2021 il parlamentare Jim McGovern ha inviato una lettera al segretario di Stato Tony Blinken perché chiedesse a Biden di prendere l’iniziativa. “Signor segretario di Stato, non è sufficiente aver manifestato inizialmente diffidenza riguardo alla decisione di Israele di definire terroriste queste sei organizzazioni,” vi si legge. “Ora è tempo di denunciare in modo fermo e senza ambiguità le azioni intraprese e di sollecitare il governo israeliano a revocare le sue decisioni.”

Sei mesi dopo Biden non ha ancora preso alcuna iniziativa. In effetti l’amministrazione sostiene di stare ancora verificando le prove che Israele ha presentato lo scorso anno. “Abbiamo ricevuto informazioni dettagliate su questa stessa questione dai nostri partner israeliani e c’è qualcosa che stiamo continuando a verificare,” ha affermato la scorsa settimana Ned Price durante una conferenza stampa del Dipartimento di Stato. “Noi stessi ce ne stiamo occupando in modo molto accurato.”

All’inizio del mese le sei associazioni palestinesi hanno rilasciato una dichiarazione comune chiedendo agli Stati Uniti, all’Unione Europea e a organizzazioni intergovernative di “prendere iniziative concrete contro la continua persecuzione da parte delle autorità dell’occupazione israeliana” e chiedere una “un annullamento totale della definizione.”

“La criminalizzazione da parte dell’occupazione israeliana delle sei organizzazioni palestinesi è esplicitamente intesa a ottenere conseguenze di secondo e terzo livello sulle possibilità da parte delle associazioni per i diritti umani e della società civile di continuare a fare il proprio lavoro fondamentale, soprattutto l’impegno per chiamare Israele a rendere conto dei suoi crimini e violazioni delle leggi internazionali commesse contro il popolo palestinese,” si legge nella dichiarazione.

Le organizzazioni notano che queste conseguenze si sono già fatte sentire. Nel gennaio 2022 il governo olandese ha tagliato i finanziamenti alla Union of Agricultural Work Committees (UAWC), la Commissione Europea ha sospeso un progetto di Al-Haq e un altro dell’UAWC e un tribunale militare nella Cisgiordania occupata ha condannato a 16 mesi di prigione la presidentessa di Union of Palestinian Women’s Committees, Khitam Sa’afin.

“La definizione da parte del governo israeliano del DCIP come organizzazione terroristica è un palese tentativo di mettere fuorilegge ed eliminare il nostro lavoro di documentazione delle violazioni dei diritti umani contro i minori palestinesi,” ha detto a Mondoweiss Miranda Cleland, di Defense for Children International – Palestine. “Proprio questa settimana il nostro gruppo di lavoro ha documentato tre casi in cui forze israeliane hanno sparato e ucciso minori palestinesi con proiettili veri. Lo scorso anno è stato il più letale dal 2014 per i minori palestinesi, e, nonostante il governo israeliano abbia preso di mira il nostro legittimo lavoro per i diritti umani, siamo impegnati a proteggere e difendere i diritti dei minori palestinesi indipendentemente da quanto ci metteranno gli USA a verificare le infondate accuse del governo israeliano che sono già state smentite da altri Stati e da esperti ONU.”

Ahmed Abofoul, responsabile per la ricerca e la difesa legale di Al-Haq, ha affrontato su Twitter la ricorrenza dei sei mesi. “Oggi sono sei mesi da quando in modo impudente e calunnioso il regime di apartheid israeliano, senza presentare agli Stati, per non dire alle organizzazioni, uno straccio di prova, ha definito ‘organizzazioni terroristiche’ sei associazioni palestinesi della società civile e per i diritti umani,” ha twittato Abofoul. “Questa definizione avrà un effetto dannoso durevole sulle associazioni e sul loro personale. Gli Stati dell’Occidente stanno ancora cercando ‘informazioni’, e Israele rifiuta di presentarle. Questi Stati non hanno ancora condannato questa iniziativa e continuano ad attendere indefinitamente!”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




25 membri del Congresso USA sottoscrivono una lettera a Blinken per sollecitarlo a condannare gli sfratti di Sheikh Jarrah

Ben Samuels

13 maggio 2021 Haaretz

Il rilevante numero di firmatari è segno che all’interno del Partito Democratico sta aumentando la contrarietà ai progetti di evacuazione.

Washington – Venticinque membri democratici della Camera dei Rappresentanti hanno sottoscritto una lettera al Segretario di Stato Antony Blinken chiedendogli di condannare pubblicamente il progetto di sfratto dei palestinesi dalle loro case nel quartiere di Gerusalemme Est Sheikh Jarrah situate su terreni rivendicati dai coloni israeliani, e di esercitare pressione diplomatica su Israele per evitare l’implementazione del progetto.

Il numero dei firmatari della lettera, fatta circolare per quasi una settimana dai rappresentanti Marie Newman e Mark Pocan, è decisamente più alto di quello previsto, ed è un segno che all’interno del Partito Democratico sta crescendo la contrarietà a quei progetti di evacuazione.

Le critiche dei Democratici arrivano mentre le tensioni in Israele hanno raggiunto un punto di rottura, e un numero senza precedenti di membri di diverse correnti del Partito esprime un inconsueto sostegno senza riserve per i palestinesi di Sheikh Jarrah, nonché critiche per il trattamento da parte di Israele dei manifestanti di Gerusalemme.

Newman e Pocan sono co-promotori di una proposta di legge presentata da Betty McCollum che specifica quali azioni non possano venire finanziate da Israele utilizzando denaro dei contribuenti USA, ed inoltre richiede controlli aggiuntivi sulle modalità di distribuzione degli aiuti. Il disegno di legge proibisce specificamente la distruzione delle proprietà dei palestinesi e McCollum dichiara che “i contributi USA destinati alla sicurezza di Israele dovrebbero promuovere la pace e non potranno mai essere impiegati per violare i diritti umani dei minori, demolire le case delle famiglie palestinesi, o per annettere in via permanente le terre palestinesi.”

Fra i firmatari della lettera compaiono altri co-promotori del disegno di legge McCollum, fra cui Pramila Jayapal, Betty McCollum, Rashida Tlaib, Raul Grijalva, Ilhan Omar, Alexandria Ocasio-Cortez, Andre Carson, Jesus “Chuy” Garcia, Cori Bush, Judy Chu, Ayanna Pressley, Bobby Rush e Eddie Bernice Johnson.

Ad essi si sono aggiunti diversi rappresentanti che non comparivano nel disegno di legge McCollum, fra cui Gerald Connolly, Jared Huffman, Peter Welch, Judy Chu, Alan Lowenthal, Veronica Escobar, Jackie Speier, Anna Eshoo, Chellie Pingree, Debbie Dingell e Hank Johnson.

“Le famiglie palestinesi hanno tutti i diritti di vivere in sicurezza all’interno delle proprie case. Ecco perché ho proposto ai miei colleghi di scrivere insieme al Dipartimento di Stato chiedendo l’immediata condanna di queste brutalità perpetrate dal governo israeliano contro le famiglie palestinesi a Gerusalemme Est. L’America deve difendere i diritti umani dovunque,” ha dichiarato Newman in un comunicato. La lettera afferma che “i progetti israeliani di demolire le case palestinesi di Al-Bustan [sobborgo a sud della moschea di al-Aqsa, Gerusalemme, ndtr.] e di cacciare i palestinesi dalle proprie case di Sheik Jarrah costituiscono un’evidente violazione della Quarta Convenzione di Ginevra [che protegge da atti di violenza e dall’arbitrio i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato,ndtr]

Facendo riferimento ad un dissenso di lunga data da parte degli americani nei confronti delle demolizioni di case palestinesi a Gerusalemme Est, i legislatori chiedono che l’amministrazione Biden “invii immediatamente il più energico messaggio diplomatico a Israele affinché desista dai suoi progetti” e nel contempo ribadisca pubblicamente che rimane valida la posizione USA sulle demolizioni delle abitazioni in vigore dai tempi dell’amministrazione Nixon.

I parlamentari richiedono inoltre il sollecito riesame di precedenti richieste fatte dal Congresso al Dipartimento di Stato affinché questo indaghi se l’uso di armi statunitensi nella demolizione di case da parte di Israele violi la legge di controllo sull’esportazione di armi [AECA: Arms Export Control Act, 1976, ndtr] e aggiungono che l’ambasciata USA in Israele dovrebbe “inviare osservatori per documentare l’evacuazione forzata dei palestinesi da parte di Israele, comprese informazioni dettagliate sulle unità militari coinvolte in tali operazioni e sull’utilizzo di armi statunitensi, coerentemente ai controlli e rendicontazioni riguardanti la legge Leahy ed eventuali violazioni dell’AECA.

L’AECA dichiara che le armi statunitensi sono vendute esclusivamente per scopi di legittima difesa, mentre la Legge Leahy proibisce agli USA di finanziare l’equipaggiamento e l’addestramento di forze militari straniere sospettate di violazioni di diritti umani o di crimini di guerra.

(Traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)




Se Israele non ha commesso crimini di guerra, perché rifiuta l’inchiesta della CPI?

Kamel Hawwash

10 aprile 2021 – Days Of Palestine

Il 5 febbraio i palestinesi hanno visto brillare in fondo ad un lungo tunnel una debole luce di giustizia. La Prima Camera Preliminare della Corte Penale Internazionale (CPI) “ha deciso a maggioranza che la giurisdizione territoriale della Corte sulla situazione in Palestina, uno Stato aderente allo Statuto di Roma della CPI, si estende ai territori occupati da Israele dal 1967.” Ora la CPI ha giurisdizione per investigare sui crimini che i palestinesi affermano essere stati commessi da Israele in Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza. La procuratrice della Corte, Fatou Bensouda, aveva precedentemente chiesto le indagini, affermando che vi era “una ragionevole base per ritenere” che si fossero verificati crimini di guerra.

Le reazioni in Palestina e in Israele sono state quelle previste. I palestinesi hanno accolto con favore la decisione. Il Ministro della Giustizia palestinese Mohammed Al-Shalaldeh ha plaudito alla decisione della CPI definendola “storica”.

La decisione della Corte Penale Internazionale è storica e rappresenta l’inizio immediato delle indagini sulle gravi violazioni nei territori occupati palestinesi”, ha detto Al-Shalaldeh. Ha poi aggiunto che la Corte darà priorità a tre dossier: la guerra israeliana contro Gaza del 2014, le colonie israeliane e i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha denunciato la decisione in una dichiarazione scritta. “Oggi la Corte Penale Internazionale ha dimostrato ancora una volta di essere un ente politico e non un’istituzione giudiziaria”, ha detto Netanyahu. “Con questa sentenza il tribunale ha violato il diritto delle democrazie a difendersi contro il terrorismo ed è stato manipolato da coloro che minano gli sforzi per estendere l’ambito della pace”, ha aggiunto.

Chiunque si aspettasse un cambio nella posizione americana dalla nuova amministrazione Biden è stato subito deluso. In una telefonata a Netanyahu la vicepresidente americana Kamala Harris gli ha detto che secondo la Casa Bianca gli USA sono contrari all’inchiesta della CPI su possibili crimini di guerra nei territori palestinesi.

Ciò ha fatto seguito ad un annuncio del Segretario di Stato USA Antony Blinken che diceva che Washington “è fermamente contraria e profondamente delusa” dalla decisione della CPI. Ha sottolineato che “Israele non è membro della CPI e non ha accettato la giurisdizione della Corte e siamo molto preoccupati per i tentativi della CPI di esercitare la propria giurisdizione sul personale israeliano”, ha affermato Blinken in un comunicato.

Israele deve essere rimasto un po’ sconcertato, ma certamente deluso, per il fatto che la stessa amministrazione (USA) recentemente ha tolto le sanzioni sul personale della CPI imposte dal predecessore di Biden, Trump, nel dicembre 2020. Il team di Blinken ha affermato: “Quella decisione rispecchia la nostra valutazione secondo cui le misure adottate erano inappropriate e inefficaci” prosegue l’amministrazione, “riguardo all’obiettivo di dissentire fortemente dalle azioni della CPI relative alle situazioni di Afghanistan e Palestina” ed opporsi agli “sforzi della CPI di rivendicare la giurisdizione sul personale di Stati non membri, quali gli Stati Uniti e Israele.”

Gli USA hanno preso questa decisione nonostante le indagini, che potrebbero prendere di mira personale militare USA per crimini commessi in Afghanistan. Ci si sarebbe potuti aspettare che Israele seguisse l’esempio e riconoscesse che la CPI è un tribunale indipendente e che il procuratore capo abbia condotto scrupolose consultazioni prima di sentenziare che la Corte ha giurisdizione sui Territori Palestinesi Occupati e che avrebbe condotto indagini su crimini commessi da entrambe le parti, compresi i palestinesi, a partire dal 2014. Tuttavia chi ben conosce l’atteggiamento di Israele nei confronti di un necessario esame esterno non si sarebbe sorpreso per il suo rigetto formale della decisione della CPI di indagare i crimini dei suoi dirigenti.

Israele è chiaramente preoccupato per la decisione della CPI. Dopo una riunione dei suoi vertici ha deciso di inviare una lettera alla Corte per comunicare il proprio rifiuto a collaborare. Alla riunione erano presenti, tra gli altri, il Primo Ministro, il Ministro della Difesa, il Ministro per gli Affari Strategici, il Ministro dell’Educazione, il Ministro dell’Acqua, il Procuratore Generale, il capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale e il Capo di Stato Maggiore.

Coerentemente con la sua consolidata posizione Israele non collaborerà all’inchiesta della Corte Penale Internazionale su presunti crimini di guerra e sosterrà che la Corte non ha giurisdizione per avviare l’indagine. Durante la riunione Netanyahu ha sostenuto che “mentre i soldati dell’IDF (l’esercito israeliano) combattono con estrema moralità contro terroristi che commettono quotidianamente crimini, la Corte dell’Aja ha deciso di accusare Israele.” “Non vi è altro termine per questo, se non ipocrisia. Un’istituzione creata per lottare per i diritti umani si è trasformata in un’istituzione ostile che difende chi calpesta i diritti umani.”

Nella lettera da inviare alla CPI Israele sosterrà di avere la propria “magistratura indipendente” in grado di giudicare i soldati che commettano crimini di guerra.

I palestinesi chiederanno di fare diversamente, dato che le indagini di Israele sui propri crimini non hanno fatto giustizia. Prendiamo per esempio l’inchiesta sull’uccisione, nel 2018, dell’infermiera palestinese ventunenne Razan Al-Najjar vicino alla barriera di Gaza. Un’inchiesta israeliana ha affermato che “nel corso di un esame preliminare dell’incidente che ha avuto luogo il primo giugno 2018, in cui è stata uccisa una donna palestinese di 22 anni, è stato riscontrato che durante l’incidente sono stati sparati pochi proiettili e che nessuno sparo è stato deliberatamente o direttamente indirizzato a lei.” Commentando l’inchiesta, l’organizzazione per i diritti umani Al-Haq ha affermato: “L’esame preliminare frettolosamente concluso mette in luce l’incapacità di Israele di condurre un’indagine indipendente, efficace ed imparziale su presunti crimini di guerra.” Ha inoltre affermato:

Di fatto l’esercito israeliano agisce impunemente. Tra il 2005 e il 2009, su 800 denunce presentate per crimini di guerra, solo 49 indagini hanno portato ad incriminazioni.

Perciò Israele non può essere ritenuto affidabile nel condurre in modo imparziale proprie indagini, e questo è il motivo per cui è necessaria un’indagine esterna. Inoltre, ha una storia decennale di rifiuti di concedere accesso a squadre investigative internazionali per indagare su potenziali crimini di guerra.”

Nel 2002 è stato negato l’ingresso al campo al team di Amnesty International che indagava su potenziali crimini commessi dalle truppe israeliane nel campo profughi di Jenin. Il professor Derrick Pounder, che faceva parte del team di 3 persone inviato ad indagare su violazioni dei diritti umani, ha detto: “Il rifiuto di consentirci di svolgere o anche di aiutare altri a svolgere tali indagini è molto grave e solleva dubbi sulle motivazioni delle autorità.”

Nel 2009 al team guidato dal giudice Goldstone per indagare su possibili crimini commessi durante la guerra contro Gaza del 2008/09 Israele ha negato i visti, e il team ha dovuto entrare a Gaza attraverso l’Egitto. Alla fine il suo rapporto ha concluso che Israele e gruppi armati palestinesi erano colpevoli di crimini di guerra. Il rapporto ha inoltre riferito che ad Amnesty International, Human Rights Watch e B’Tselem era stato vietato di entrare a Gaza per condurre le proprie indagini.

Nel 2014 Israele ha nuovamente negato l’ingresso ai team che erano incaricati di indagare su potenziali violazioni dei diritti umani. La commissione investigativa dell’UNHCR [Alto Commissariato Nazioni Unite per i Rifugiati, ndtr.] ha rilevato che sia Israele che gruppi armati palestinesi avevano commesso crimini di guerra.

Israele ha anche negato l’ingresso ai relatori dell’ONU Richard Falk e Michael Link, relatore speciale ONU per i Territori palestinesi.

Forse Israele ha qualcosa da nascondere? Certo, sicuramente sì. Le sue violazioni dei diritti umani riempiono pagine su pagine di ogni dossier. Che riguardino i crimini di guerra nel corso delle ripetute guerre contro la popolazione palestinese indifesa e intrappolata a Gaza, o la sua illegale impresa coloniale, o il trasferimento della sua popolazione in aree illegalmente occupate, o il trasferimento di prigionieri palestinesi dai territori occupati nel proprio territorio. E le demolizioni di case, gli sgomberi delle famiglie?

Con questi foschi precedenti, giustizia impone che le violazioni israeliane vengano indagate e che Israele ne renda conto. I suoi dirigenti devono rispondere di persona dei loro presunti crimini di guerra e devono comparire di fronte al tribunale dell’Aja. Altrimenti continueranno a commettere crimini, con la consapevolezza di non doverne pagare le conseguenze. Le ruote della giustizia devono girare più veloci e allora i criminali di guerra israeliani non potranno più dormire tranquillamente la notte pensando che possono alzarsi al mattino e commettere impunemente altri crimini.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Days of Palestine.

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(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Il ruolo del Quartetto è di minare la democrazia palestinese

Motasem A. Dalloul*

13 aprile 2021 – Monitor de Oriente

Il 23 marzo ho ricevuto una mail da Murad Bakri, responsabile della comunicazione strategica e dell’informazione pubblica dell’Ufficio del Coordinatore Speciale ONU per il Processo di Pace in Medio Oriente. Bakri voleva farci sapere che il “Quartetto per il Medio Oriente” continua ad esistere ed è disposto a riprendere la sua mediazione per la pace tra Israele e i palestinesi.

Gli inviati del Quartetto per il Medio Oriente dell’Unione Europea, della Federazione Russa, degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite si sono riuniti da remoto per discutere il ritorno a negoziati significativi che portino a una soluzione dei due Stati, compresi passi concreti per migliorare la libertà, la sicurezza e la prosperità di palestinesi e israeliani, cosa che di per sé è importante,” afferma il comunicato ufficiale.

Ricordo le riunioni infinite tra il Quartetto e i funzionari israeliani e palestinesi dal 2002, quando venne creato, al 2014, quando i colloqui di pace fallirono. Durante quel periodo il Quartetto si sforzò in apparenza di raggiungere una soluzione, che significava fondamentalmente la creazione di uno Stato palestinese disarmato e con frontiere permanenti accanto a Israele.

In realtà non si ottenne niente, e il Quartetto rilasciò la sua ultima dichiarazione il 22 luglio 2017. Un anno prima, il 7 luglio 2016, aveva pubblicato un rapporto che affrontava le minacce al processo di pace e formulava raccomandazioni per progredire nella soluzione a due Stati. Il rapporto accusava i palestinesi di continuare con la violenza rappresentata dalla messa in pratica di “atti di terrorismo contro gli israeliani e istigazione alla violenza.”

Il rapporto non citava le migliaia di palestinesi assassinati dagli israeliani dalla formazione del Quartetto (e, di fatto, dalla creazione di Israele stesso) né l’uso di forza letale da parte di Israele contro i civili palestinesi. Non citava neppure le migliaia di palestinesi, tra cui minorenni, che subivano dure condizioni nelle carceri israeliane né le centinaia di palestinesi che sono detenuti per mesi e anni senza accuse né processo. Prima della lunga ibernazione, il Quartetto disse che Israele doveva fermare l’espansione delle colonie e togliere le restrizioni imposte alla Striscia di Gaza assediata. Accusò anche Israele del mancato sviluppo adeguato nei territori occupati.

Benché il Quartetto abbia segnalato il COVID-19 per giustificare la propria resurrezione, credo che la vera ragione sia agire in nome di Israele e degli Stati Uniti per sabotare la democrazia palestinese, il suo principale obiettivo da quando esiste. Nathalie Tocci, politologa italiana esperta in relazioni internazionali specializzata nel ruolo dell’Unione Europea nelle questioni internazionali e nel mantenimento della pace, ha detto in uno studio pubblicato nel 2011: “Tutte le iniziative del Quartetto… sono state risposte a stimoli provenienti da USA e Israele.”

Il Quartetto venne creato quando la Seconda Intifada palestinese – rivolta popolare contro l’occupazione israeliana – era diventata più feroce. Il gruppo spacciò la “roadmap verso la pace” degli Stati Uniti nel tentativo di coinvolgere i palestinesi nelle conversazioni di pace e far loro cambiare idea riguardo al loro diritto alla resistenza, legittimato dalle leggi e convenzioni internazionali. Era chiaro che il Quartetto non era altro che uno strumento di Washington al servizio di Israele, un sofisticato randello con cui colpire i nemici di Israele.

“Disgraziatamente le attività (del Quartetto) hanno rispecchiato i tentativi infruttuosi dell’UE di inquadrare le iniziative statunitensi in un contesto multilaterale oppure i tentativi fruttuosi degli Stati Uniti di dare una copertura multilaterale alle azioni unilaterali,” spiega Tocci. Ciò chiarisce il ruolo del Quartetto.

Possiamo dire con convinzione che le posizioni degli Stati Uniti sulla Palestina in genere riflettono quelle di Israele. Prendiamo per esempio la posizione di Washington su Hamas, la principale fazione palestinese. Nel suo rapporto aggiornato al mese scorso il Servizio Ricerche del Congresso [USA] dice: “Storicamente gli Stati Uniti hanno cercato di rafforzare il presidente dell’OLP e dell’ANP Mahmoud Abbas contro Hamas.” Il rapporto afferma che, in seguito alle elezioni parlamentari del 2006 vinte da Hamas, “Israele, gli Stati Uniti e altri membri della comunità internazionale hanno cercato di neutralizzare o marginalizzare Hamas.” In base alle conclusioni di Tocci, il Quartetto deve aver adottato questo punto di vista, e in effetti è ciò che è accaduto.

Hugh Lovatt, del Consiglio Europeo degli Affari Esteri, il mese scorso ha affermato che L’UE e gli Stati Uniti furono all’inizio strenui difensori della democrazia palestinese, e furono una forza che promosse le ultime elezioni parlamentari palestinesi che si tennero nel 2006, incitando Hamas e Al Fatah a partecipare in modo costruttivo al processo elettorale. “L’UE e gli Stati Uniti si mostrarono meno a loro agio quando, in seguito alla vittoria di Hamas, il risultato democratico fu contrario ai loro interessi,” aggiunge.

“Secondo tutti gli indicatori le elezioni del 2006 furono libere e giuste,” afferma Lovatt, e la UE definì il voto “una pietra miliare nella costruzione delle istituzioni democratiche.” La UE disse anche: “Queste elezioni hanno visto l’impressionante partecipazione degli elettori in un processo elettorale aperto e corretto che è stato organizzato efficacemente da una Commissione Elettorale Centrale Palestinese professionale e indipendente.”

Tuttavia Lovatt evidenzia: “Essendosi aspettati che le elezioni dessero più potere ad Abbas e ad Al Fatah, gli Stati Uniti risposero alla vittoria elettorale di Hamas in modo avventato, spingendo rapidamente per l’isolamento internazionale e la pressione sul governo di Haniyeh [Hamas]”. Gli Stati Uniti hanno portato avanti la loro politica attraverso le condizioni imposte ai palestinesi dal Quartetto.”

Secondo Tocci “immediatamente dopo la schiacciante vittoria elettorale di Hamas, il 30 gennaio, il Quartetto ribadì la sua posizione.” Una dichiarazione rilasciata in seguito alla vittoria del movimento nel 2006 diceva che “il Quartetto considera che tutti i membri di un futuro governo palestinese dovranno impegnarsi alla nonviolenza, al riconoscimento di Israele e all’accettazione degli accordi e obblighi precedenti.”

Queste sono in realtà le condizioni degli Stati Uniti per una soluzione permanente del conflitto israelo-palestinese. Queste condizioni alimentarono il conflitto interno palestinese, che nel 2007 provocò una divisione interna che continua tuttora. Lovatt descrive quanto avvenuto: “Le forze di Hamas cacciarono dalla Striscia di Gaza le forze di sicurezza dell’ANP controllate da Fatah anticipando lo stesso piano di Al Fatah, appoggiato dagli Stati Uniti, per spodestare Hamas.” In altre parole, un colpo di Stato sostenuto dagli Stati Uniti.

Con i palestinesi impegnati in elezioni politiche che si dovrebbero tenere il prossimo mese, gli Stati Uniti e Israele hanno risuscitato il Quartetto perché si opponga a una possibile vittoria di Hamas. “È probabile che il ricordo storico della sorprendente vittoria di Hamas nelle ultime elezioni dell’ANP che si sono celebrate – quelle del 2006 – influisca nei calcoli dei diversi partiti… Alla luce delle conseguenze delle elezioni del 2006 l’amministrazione [USA] sta procedendo con cautela riguardo alle elezioni dell’ANP,” ha evidenziato nel suo rapporto il Servizio Ricerche del Congresso degli Stati Uniti.

Il Segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il suo omologo israeliano Gabi Ashkenazi hanno condiviso chiaramente la loro preoccupazione per la possibile vittoria di Hamas nelle prossime elezioni palestinesi. Il Dipartimento di Stato ha reiterato le condizioni del Quartetto secondo cui chi partecipa a qualunque elezione palestinese “deve rinunciare alla violenza, riconoscere Israele e rispettare gli accordi precedenti.”

Quindi è abbastanza ovvio che l’affermazione del Quartetto per il Medio Oriente secondo cui si sta preparando a tornare a “negoziati significativi” è semplicemente una premessa alla ripetizione dello stesso gioco giocato dopo le elezioni palestinesi del 2006. Minò la democrazia palestinese e l’opzione elettorale del popolo allora e si prepara a fare altrettanto adesso.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Monitor de Oriente.

* [Motasem A. Dalloul è un giornalista palestinese che vive a Gaza, ndtr.].

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)