Perché Israele continua a distruggere le case dei palestinesi?

Un video di Middle East Monitor sottotitolato in italiano da Invicta Palestina




Rapporto OCHA della settimana 12 – 18 luglio

In Cisgiordania, in due distinti episodi, le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi.

Nel primo caso, il 18 luglio, all’ingresso del Campo profughi di Al Arrub (Hebron), un palestinese ha accoltellato e ferito due soldati israeliani; successivamente è stato a sua volta ferito gravemente con arma da fuoco ed è morto il giorno seguente.

Nel secondo caso, il 12 luglio, durante una operazione di ricerca-arresto svoltasi nella città di Ar Ram (Gerusalemme), le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro un veicolo uccidendo un giovane palestinese di 22 anni e ferendone altri due; secondo i media israeliani, i soldati sospettavano che i palestinesi stessero per investirli; tale versione dei fatti è stata smentita da fonti locali palestinesi.

In Qabatiya (Jenin), le forze israeliane hanno demolito la casa di famiglia di un uomo sospettato di aver aiutato gli autori di un accoltellamento, avvenuto il febbraio 2016, durante il quale fu ucciso un poliziotto israeliano; per effetto della demolizione, una famiglia di dieci persone, tra cui un minore, è stata sfollata. Prima della demolizione, gli abitanti della città si sono scontrati, anche con l’impiego di armi da fuoco, con le forze israeliane e otto palestinesi sono rimasti feriti. Dall’inizio del 2016 le autorità israeliane, per motivi punitivi, hanno demolito o sigillato 22 case, sfollando 110 persone; in tutto il 2015, per gli stessi motivi, vi erano state 25 demolizioni e 157 persone sfollate.

Nei Territori palestinesi occupati, in totale, le forze israeliane hanno ferito 44 palestinesi, tra cui 13 minori. 42 di questi ferimenti sono stati registrati in Cisgiordania, di cui 10 verificatisi durante gli scontri in Ar Ram e Qabatiya [vedi i paragrafi precedenti] e 29 durante operazioni di ricerca-arresto, le più vaste delle quali hanno avuto luogo in Al Mazra’a al Qibliya (Ramallah) e nel campo profughi di Ayda (Betlemme). Due palestinesi sono stati colpiti con armi da fuoco e feriti nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA): uno nel corso di una protesta ed un altro, secondo quanto riferito, mentre cacciava uccelli. Nel corso della settimana, in altri cinque casi le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle ARA, a terra e in mare: non sono stati registrati feriti.

Il 17 luglio, a Gerusalemme Ovest, le forze israeliane hanno arrestato un palestinese che trasportava ordigni esplosivi e coltelli che, secondo la polizia israeliana, intendeva utilizzare per effettuare un attentato alla Metropolitana leggera di Gerusalemme.

Durante la settimana, in tutto il governatorato di Hebron sono state mantenute le restrizioni ai movimenti imposte [da Israele], dall’inizio di luglio, in seguito a due attacchi palestinesi; restrizioni che ostacolano l’accesso ai servizi e ai mezzi di sostentamento per centinaia di migliaia di residenti. La comunità più colpita è Bani Na’im, con una popolazione 26.500 abitanti, dove i tre ingressi principali sono rimasti bloccati per il movimento veicolare; una parziale eccezione è consentita per i casi di emergenza, a fronte di accordi preventivi. Secondo la Camera di Commercio palestinese, l’attività economica di tutto il governatorato di Hebron è stata notevolmente influenzata, tra le altre cause, dalle restrizioni imposte alla circolazione dei veicoli commerciali.

In Area C e in Gerusalemme Est, in quattro casi, per la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito 23 strutture palestinesi, sfollando 43 persone, tra cui 25 minori, e coinvolgendone altre 43. Il caso più grave, che comprende tutti gli sfollamenti di questa settimana, è stato registrato in una comunità beduina a nord della città di ‘Anata (Gerusalemme), in cui le autorità israeliane hanno demolito 14 strutture, una delle quali era stata fornita precedentemente come assistenza umanitaria. Questa è una delle 46 comunità beduine nella Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato a causa di un piano israeliano di rilocalizzazione.

Per gli stessi motivi, sempre nella zona C e in Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno consegnato almeno 13 ordini di demolizione e arresto dei lavori contro case, strutture commerciali e cisterne d’acqua. Le comunità colpite includono: Frush Beit Dajan, Qusra (entrambe a Nablus), Susiya (Hebron), Silwan (Gerusalemme Est).

Questa settimana vengono riportati nove attacchi da parte di coloni israeliani con conseguenti ferimenti o danni alle proprietà palestinesi: dall’inizio del 2016 questo è il più alto numero di attacchi condotti da coloni in una sola settimana. In particolare: tre palestinesi sono stati aggrediti fisicamente e feriti da coloni israeliani, in tre distinti casi, a Al-Khader (Betlemme), ad Haris (Salfit) e nella città di Hebron; altri tre episodi hanno riguardato l’incendio di 150 ulivi secolari a Betlemme, la devastazione di una piantagione di sorgo di 5.000 mq vicino a Huwwara (Nablus); il furto di più di 50 sacchi di fieno e di grano nel villaggio di Qusra (Nablus), a quanto riferito, sempre ad opera di coloni israeliani. Inoltre, nei governatorati di Qalqiliya, Salfit ed Hebron, in tre diverse occasioni, per il lancio di pietre da parte di coloni, sei veicoli palestinesi hanno riportato danni.

Il 14 luglio, per carenza di carburante, la centrale elettrica di Gaza è stata costretta a fermare una delle due turbine attive, innescando interruzioni di corrente per 18-20 ore al giorno; in precedenza le interruzioni erano di 16-18 ore. Questo ha avuto un impatto significativo sulla fornitura dei servizi di base, l’approvvigionamento idrico e, in particolare, sui servizi sanitari. Sembra che la carenza di carburante sia causata dalle continue controversie, tra le autorità di Ramallah e quelle di Gaza, in merito ad una esenzione fiscale relativa al carburante acquistato per l’impianto.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Durante la notte del 19 luglio, ignoti hanno dato fuoco ad una casa nel villaggio di Duma (Nablus); anche se i residenti sono riusciti a mettersi in salvo, la casa è stata gravemente danneggiata. Nel luglio 2015, nello stesso villaggio, un attacco incendiario simile, operato da coloni israeliani, uccise un bambino ed entrambi i suoi genitori.

Il 19 luglio, durante scontri con le forze israeliane nei pressi dell’ingresso settentrionale della città Ar Ram (Gerusalemme), un dodicenne palestinese è stato ucciso da un proiettile di gomma.

Il 19 luglio, nella Striscia di Gaza, un uomo è stato condannato a morte. Questa e altre due condanne a morte, emesse in precedenza, sono state convalidate da un tribunale militare palestinese, motivate da “collaborazione con Israele”.

Il 19 luglio, dopo più di tre settimane di rigida chiusura, è stato riaperto uno dei tre ingressi del villaggio di Bani Na’im (Hebron).

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto OCHA della settimana 21 – 27 giugno 2016

Il 24 giugno, vicino all’ingresso dell’insediamento colonico di Kiryat Arba’ (Hebron), una 18enne palestinese, alla guida di un veicolo, ha speronato un’auto con targa israeliana, ferendo due coloni; la donna è stata uccisa dalle forze israeliane.

In seguito all’attacco, per tre giorni consecutivi le forze israeliane hanno bloccato o disposto punti di controllo sugli accessi principali al villaggio di Bani Naim (Hebron), dove viveva la ragazza. Nella prima metà del 2016, le forze israeliane hanno ucciso 54 palestinesi presunti responsabili di attacchi, tra cui sei donne e due ragazze. Per confronto: nell’ultimo trimestre del 2015 furono 89 i presunti aggressori colpiti a morte. Le circostanze di molti episodi hanno sollevato preoccupazione sull’eccessivo uso della forza.

Il 21 giugno, presso il villaggio di Tahta (Ramallah), le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro due veicoli palestinesi che viaggiavano in direzione di Beit ‘Ur: un 15enne è stato ucciso ed altri quattro palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti. Poco prima una vettura con targa israeliana era stata colpita da pietre e tre passeggeri erano stati feriti; l’esercito israeliano ha confermato che il palestinese ucciso ed i feriti non erano coinvolti nel lancio di pietre. Dopo circa 40 ore dall’episodio le autorità israeliane hanno consegnato alla famiglia il cadavere del 15enne ed hanno annunciato l’apertura di un’indagine penale.

In due occasioni durante la settimana, palestinesi si sono scontrati con le forze israeliane nel Complesso di Haram al Sharif/ Monte del Tempio, in Gerusalemme Est: 26 palestinesi, tra cui tre minori, sono rimasti feriti. Gli scontri hanno fatto seguito all’entrata di coloni israeliani ed altri gruppi nel Complesso: secondo le autorità palestinesi ciò ha costituito una trasgressione allo status quo applicato negli anni passati durante gli ultimi dieci giorni del mese di Ramadan.

Altri 30 palestinesi, nove dei quali minori, sono stati feriti dalle forze israeliane durante scontri in altre zone della Cisgiordania: durante la dimostrazione settimanale in Kafr Qaddum (Qalqiliya), prima di una demolizione punitiva [vedere paragrafo successivo] e durante operazioni di ricerca-arresto. In questa settimana, le forze israeliane hanno svolto 89 operazioni di ricerca-arresto, durante le quali sono stati arrestati 112 palestinesi.

Il 21 giugno, in Hajja (Qalqiliya), le forze israeliane hanno demolito, a scopo punitivo, la casa di famiglia di un palestinese che, nel marzo 2016, compì una aggressione con coltello: cinque persone, tra cui due minori, sono state sfollate. Palestinesi, cercando di evitare la demolizione si sono scontrati con le forze israeliane: nove i palestinesi feriti (inclusi nel totale riportato nel paragrafo precedente). Dall’inizio del 2016, le autorità israeliane hanno demolito 19 abitazioni palestinesi per motivi punitivi; per confronto: nella seconda metà del 2015 furono 25. Il 25 giugno 2016, l’UN Relief and Works Agency per i Rifugiati di Palestina (UNRWA), ha invitato le autorità israeliane a porre fine alla pratica delle demolizioni punitive in Cisgiordania.

Per la quarta settimana consecutiva, tredici comunità palestinesi nei governatorati di Salfit, Nablus e Jenin hanno riferito che l’azienda idrica israeliana Mekorot ha ridotto del 50-70% la quantità di acqua a loro fornita. Le oltre 53.000 persone che risiedono in queste aree sono state costrette, per soddisfare i bisogni domestici e di sussistenza, a fare affidamento in misura maggiore sulla costosa acqua trasportata con le autobotti. Le motivazioni di questa riduzione rimangono controverse.

Nella comunità di Al Baq’a, situata in Area C, vicino alla città di Hebron, le autorità israeliane hanno smantellato i tubi dell’acqua di irrigazione, a motivo del loro collegamento illegale alla rete; come parte dell’episodio, è stato distrutto un ettaro di terra coltivata. Ancora in Area C, nella città di Al Khadr (Betlemme), i proprietari di tre strutture abitative e due locali ad uso agricolo hanno ricevuto ordini di arresto-lavori; il provvedimento colpisce cinque famiglie palestinesi.

Nella Striscia di Gaza, in sette occasioni durante la settimana, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti in Aree ad Accesso Riservato, di terra e di mare; non sono stati segnalati feriti. In alcuni dei casi, pescatori ed agricoltori palestinesi hanno dovuto interrompere il lavoro.

Il 26 giugno, Israele ha ridotto da 9 a 6 miglia nautiche la zona di pesca lungo la costa meridionale della Striscia di Gaza. Il 3 aprile 2016, Israele aveva ampliato la zona di pesca [lungo la costa meridionale] a 9 miglia nautiche, pur mantenendo il limite a 6 miglia nautiche lungo la costa settentrionale. Secondo il Ministero dell’Agricoltura [della Striscia di Gaza], la temporanea espansione aveva consentito un aumento significativo della quantità e qualità del pescato. Oltre 35.000 palestinesi dipendono dalla pesca per il loro sostentamento.

Nel terzo venerdì del mese del Ramadan (24 giugno), circa 100.000 palestinesi in possesso di documenti identificativi della Cisgiordania sono stati ammessi in Gerusalemme Est per pregare nella Moschea di Al Aqsa. Ai maschi ultra 45enni ed infra 12enni e alle donne di tutte le età è stato consentito l’accesso senza preventiva autorizzazione. Le autorità israeliane, dopo l’attentato dell’8 giugno a Tel Aviv, tengono ancora in sospeso circa 83.000 permessi precedentemente rilasciati a palestinesi della Cisgiordania per il mese di Ramadan. Durante il periodo di riferimento, tre palestinesi sono stati feriti mentre cercavano di scavalcare la Barriera per andare a pregare a Gerusalemme Est.

In due separati episodi, in As Sawiya (Nablus) e nei pressi di Kafr Malik ed Al Mughayyir (Ramallah), circa 280 alberi di proprietà palestinese ed alcuni ettari di terra coltivata sono stati incendiati e danneggiati, secondo quanto riferito, da coloni israeliani provenienti dall’insediamento di Shilo e da insediamenti colonici illegali della zona. Negli ultimi anni questi insediamenti sono stati una fonte di sistematica violenza e di molestie, minando la sussistenza e la sicurezza fisica dei palestinesi che vivono nei villaggi circostanti. Ancora in questa settimana, un palestinese è stato fisicamente aggredito e ferito da un gruppo di israeliani mentre lavorava nell’insediamento di Ramot, in Gerusalemme Est. Inoltre, coloni israeliani hanno fatto un’incursione nel villaggio di Asira al Qibliya (Nablus), rubando e vandalizzando alcune proprietà e spruzzando scritte tipo “Questo è il prezzo che dovete pagare”.

Sono stati riportati due episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli con targa israeliana che viaggiavano nei pressi dei villaggi di Hizma (Gerusalemme) e di Beit Sira (Ramallah), con conseguenti danni a due veicoli. In cinque casi aggiuntivi, nei pressi di Betlemme, Hebron e Ramallah, palestinesi hanno scagliato bottiglie incendiarie verso auto con targa israeliana: non sono stati segnalati danni.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli nove giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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segue

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 30 giugno, un giovane palestinese ha accoltellato e ucciso una 13enne israeliana nell’insediamento di Kiryat Arba’ (Hebron), ed è stato successivamente ucciso dalle guardie di sicurezza dell’insediamento.

Il 29 giugno, tre palestinesi sono rimasti uccisi e 14 feriti nel corso di uno scontro armato tra famiglie palestinesi nella città cisgiordana di Ya’bad (Jenin); diverse case e veicoli sono stati incendiati o danneggiati.

Il 29 giugno, a Nablus, in circostanze non chiare, uomini armati sconosciuti hanno ucciso due membri delle forze di sicurezza palestinesi e gravemente ferito una donna palestinese.

Il 28 giugno, le autorità egiziane hanno annunciato che il valico di Rafah verrà eccezionalmente aperto, in entrambe le direzioni, dal 29 giugno al 4 luglio (tranne il 1° luglio) per i casi umanitari e le persone pre-registrate.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

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L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

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nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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Rapporto OCHA della settimana 14 – 20 giugno 2016

In Area C, nel governatorato di Hebron, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito sette strutture, cinque delle quali si trovavano nel villaggio di Susiya:

sfollati 19 palestinesi, tra cui 12 minori. All’inizio di questo mese, le autorità israeliane avevano annunciato che durante il mese di Ramadan, iniziato il 6 giugno, vi sarebbe stata una sospensione delle demolizioni per mancanza di permessi di costruzione, ad eccezione delle strutture che potessero costituire una minaccia alla sicurezza di Israele.

Il 14 giugno, la Corte Suprema israeliana ha respinto una petizione volta ad evitare la demolizione punitiva delle case di due palestinesi del Campo Profughi di Qalandiya i quali, nel mese di dicembre 2015, a Gerusalemme Est, avevano compiuto una aggressione con coltelli. Nel mese di novembre 2015, Robert Piper, coordinatore umanitario per i Territori palestinesi occupati, aveva invitato le autorità israeliane a fermare le demolizioni punitive poiché costituiscono una forma di punizione collettiva, illegale secondo il diritto internazionale.

È stato riferito che, nel corso delle ultime due settimane, la società idrica israeliana Mekorot ha ridotto la fornitura di acqua a dodici comunità palestinesi comprese nei governatorati di Salfit, Nablus e Jenin. Oltre 53.000 persone residenti in queste aree sono state costrette, per far fronte alle loro necessità domestiche e di sostentamento, ad utilizzare in misura maggiore la costosa acqua da autocisterna. I motivi di questa riduzione restano controversi. In alcune delle comunità colpite, l’8 giugno si è svolta una protesta contro questa situazione.

In due distinti casi, le autorità israeliane hanno confiscato due trattori di proprietà privata, una pompa ed una cisterna che consentivano l’approvvigionamento di acqua per tre famiglie palestinesi residenti nel nord della Valle del Giordano. La confisca è stata motivata, in un caso, con la mancanza delle necessarie autorizzazioni e, nell’altro caso, con il fatto di trovarsi in un’area destinata all’addestramento militare. Ancora nella settimana, in Area C sono stati notificati ordini di arresto-lavori e di demolizione per due invasi per la raccolta dell’acqua, per una scuola materna in costruzione e per sei strutture residenziali disabitate.

In Cisgiordania, 30 palestinesi, dieci dei quali minori, sono stati feriti dalle forze israeliane durante scontri scoppiati nel corso di proteste in Kafr Qaddum (Qalqiliya) e nel Campo Profughi di Ayda (Betlemme), così come nel corso di cinque operazioni di ricerca-arresto, tre delle quali effettuate nel governatorato di Qalqiliya. Il 19 giugno, un ventiduenne palestinese, malato di mente, è morto a causa delle ferite subite dalle forze israeliane durante scontri verificatisi il 4 maggio 2016 nel villaggio di Sa’ir (Hebron). Sempre in questa settimana, un 51enne palestinese è stato aggredito fisicamente in circostanze poco chiare ed è stato ricoverato in ospedale per le cure mediche.

Nella Striscia di Gaza, durante la settimana, in 22 occasioni le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) a terra e in mare; non sono stati registrati feriti. In uno degli episodi, quattro barche da pesca sono state sequestrate e portate in Israele, dieci pescatori palestinesi sono stati arrestati, otto dei quali sono stati rilasciati dopo poche ore.

Nel villaggio di Kafr ‘Aqab (Gerusalemme), nel corso di una operazione di ricerca, in scontri con un gruppo di palestinesi armati, le forze di sicurezza palestinesi hanno ferito alla testa, con armi da fuoco, un 15enne palestinese. Altri due scontri armati si sono verificati tra le forze di sicurezza palestinesi e residenti palestinesi dei Campi Profughi di Ramallah e Jenin; non sono stati segnalati feriti.

Un 23enne palestinese è stato ferito dalla deflagrazione di un residuato bellico (ERW) in una zona agricola in Ash-Shuja’iyeh, ad est di Gaza City. Dalla fine delle ostilità [con Israele] del luglio-agosto 2014, nella Striscia di Gaza 13 palestinesi sono stati uccisi e 108 sono stati feriti da residuati bellici.

Nel secondo venerdì di Ramadan (17 giugno), a circa 73.000 palestinesi, in possesso di documenti di identificazione della Cisgiordania, è stato concesso l’ingresso in Gerusalemme Est occupata per pregare nel Complesso della Moschea di Al Aqsa. I maschi di età superiore ai 45 anni, i ragazzi sotto i 12 anni e le donne di tutte le età hanno potuto attraversare senza alcun permesso. Le autorità israeliane, in conseguenza dell’attacco verificatosi l’8 giugno a Tel Aviv, mantengono ancora la sospensione per circa 83.000 permessi rilasciati a palestinesi della Cisgiordania in occasione del mese di Ramadan.

È stato riferito che, nel villaggio di Huwwara (Nablus), un colono israeliano ha sparato contro un palestinese che, fermo ad un incrocio stradale, attendeva un mezzo pubblico. Sono stati inoltre segnalati, nelle aree di Ramallah e Nablus, due episodi di lancio di pietre da parte di coloni israeliani che hanno provocato il ferimento di due palestinesi e danni ai loro veicoli.

Secondo i media israeliani quattro coloni israeliani, tra cui un minore, sono stati feriti da pietre lanciate da palestinesi contro veicoli israeliani nel villaggio di Huwwara, vicino a Burin (Nablus) e presso il villaggio di Jaba’ (Gerusalemme). Dopo il primo episodio, le forze israeliane hanno chiuso quattro strade della zona per almeno due giorni, ed hanno intensificato le ricerche ai checkpoint. In un altro caso, a Gerusalemme Est, nell’insediamento colonico di Talpiot Est, palestinesi hanno lanciato bottiglie incendiarie contro case, senza causare danni; in risposta, le forze israeliane hanno chiuso con blocchi di cemento una strada nel vicino quartiere di Jabal al Muakkbir. Sono stati segnalati altri cinque casi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte palestinese contro veicoli israeliani, di cui due con danni.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli nove giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 21 giugno, le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro due veicoli palestinesi, uccidendo un ragazzo di 15 anni e ferendone altri tre, tra cui due minori, che stavano tornando a casa nel villaggio di Beit ‘Ur at Tahta (Ramallah). L’episodio ha fatto seguito al ferimento di tre persone che viaggiavano su una macchina israeliana colpita da pietre; l’esercito israeliano ha confermato che i palestinesi uccisi e feriti non erano implicati in questo episodio. Le autorità israeliane hanno annunciato l’apertura di un’indagine penale.

Il 21 giugno, nel villaggio Hajja (Qalqiliya), le forze israeliane hanno demolito la casa di famiglia del colpevole di una aggressione con coltello avvenuta nel marzo 2016, nel corso della quale un cittadino straniero e l’autore stesso erano stati uccisi; a causa della demolizione, cinque persone, tra cui due minori, sono state sfollate.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

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nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli

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L’acqua è l’unica questione che mette (ancora) in difficoltà Israele con il pretesto della sicurezza e di dio.

di Amira Hass | 22 giugno 2016 | Haaretz

I portavoce israeliani hanno pronte tre risposte da utilizzare quando rispondono alle domande sulla carenza d’acqua nelle città palestinesi della Cisgiordania, che emerge chiaramente rispetto al pieno soddisfacimento idrico delle colonie:

1) Le condutture palestinesi sono vecchie e di conseguenza vi sono perdite d’acqua; 2) i palestinesi si rubano l’acqua tra loro e la rubano agli israeliani; 3) in generale, Israele nella sua grande generosità, ha raddoppiato la quantità d’acqua che distribuisce ai palestinesi in confronto a quella stabilita dagli accordi di Oslo.

Distribuzione”, i portavoce scriveranno nelle loro risposte. Non diranno mai che Israele vende ai palestinesi 64 milioni di m³ d’acqua all’anno invece dei 31 milioni di m³ stabiliti dagli accordi di Oslo. Accordi che sono stati firmati nel 1994 e che era previsto scadessero nel 1999. Non diranno che Israele vende ai palestinesi l’acqua dopo avergliela rubata.

Complimenti per la demagogia. Complimenti per rispondere solo con un ottavo della verità. L’acqua è l’unica questione per cui Israele è (ancora) in difficoltà nel difendere la sua politica discriminatoria, oppressiva e devastante con il pretesto della sicurezza e di dio. Per questo deve confondere e stravolgere questo fatto fondamentale: Israele controlla le risorse idriche. Ed avendone il controllo, impone il contingentamento della quantità di acqua che i palestinesi hanno il permesso di produrre e consumare. In media i palestinesi consumano 73 litri pro capite al giorno. Al di sotto della quantità minima necessaria. Gli israeliani consumano in media 180 litri al giorno, e c’è chi afferma che sono anche di più. E qui, a differenza di là, non troverete migliaia di persone che consumano 20 litri al giorno. D’estate.

Vero, alcuni palestinesi rubano l’acqua. Contadini disperati, i soliti imbroglioni. Se non ci fosse la mancanza d’acqua ciò non accadrebbe. Una gran parte dei ladri sta nell’area C, sotto il pieno controllo di Israele. Per cui, per favore, lasciate all’IDF e alla polizia il compito di trovare tutti i criminali. Ma giustificare la crisi con il furto, questo è un inganno.

Con gli accordi di Oslo, Israele ha imposto una suddivisione vergognosa, razzista , arrogante e brutale delle risorse idriche in Cisgiordania: l’80% agli israeliani (su entrambi i lati della Linea Verde) e il 20 % ai palestinesi ( da pozzi perforati prima del 1967, che i palestinesi continuano a sfruttare; dalla Mekorot, l’azienda idrica, da pozzi da trivellare in futuro dal bacino acquifero montano; da pozzi e da sorgenti per uso agricolo. Tra l’altro, molte sorgenti, si sono prosciugate a causa dei pozzi israeliani troppo profondi o perché i coloni se ne sono impadroniti. Le vie del furto non conoscono confini.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Rapporto OCHA riguardante il periodo: 24 maggio – 6 giugno 2016

Il 2 giugno, una 24enne palestinese, madre di due figli, è stata uccisa dalle forze israeliane mentre si avvicinava al checkpoint di ‘Enav (Tulkarem); si presume abbia tentato di accoltellare un soldato.

In un altro episodio, il 30 maggio, un 17enne palestinese ha accoltellato e ferito un soldato israeliano a Tel Aviv (Israele) ed è stato in seguito arrestato. Dall’inizio del 2016, nel corso di attacchi e presunti attacchi contro israeliani, sono stati uccisi 53 sospetti aggressori palestinesi, tra cui cinque donne e 13 minori; nell’ultimo trimestre del 2015 gli uccisi furono 89. Le circostanze di molti episodi hanno suscitato preoccupazione per l’uso eccessivo della forza.

Le autorità israeliane hanno consegnato alle loro famiglie i corpi di due palestinesi, tra cui una ragazza di 17 anni, sospettati di aver perpetrato attacchi contro israeliani. Sono tuttora trattenuti i cadaveri di altri nove palestinesi.

Un palestinese di 20 anni, colpito con arma da fuoco dalle forze israeliane, durante scontri verificatisi il 2 giugno nella città di Nablus, è successivamente morto in conseguenza delle ferite; gli scontri, che provocarono il ferimento di altri undici palestinesi, erano scoppiati a seguito dell’ingresso di un gruppo di israeliani in visita ad un santuario (la Tomba di Giuseppe).

In Cisgiordania, nelle due settimane cui si riferisce questo rapporto, in scontri con le forze israeliane sono stati feriti 97 palestinesi, tra cui 30 minori e una donna. La stragrande maggioranza degli scontri si è verificata durante manifestazioni e proteste: nei Campi Profughi di Ni’lin e Al Jalazun (governatorato di Ramallah); ad Azzun e Kafr Qaddum (governatorato di Qalqiliya); ad Abu Dis, Al ‘Eizariya e Silwan (governatorato di Gerusalemme). A Gaza, due palestinesi sono stati feriti, con armi da fuoco, durante manifestazioni nei pressi della recinzione perimetrale di Israele.

Durante le due settimane di riferimento, in almeno 25 casi, le forze israeliane hanno aperto il fuoco verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e in mare. In uno di questi episodi, cinque pescatori sono stati arrestati dalle forze navali israeliane e due loro barche sono state confiscate.

In Cisgiordania, nell’arco delle due settimane, le forze di Israele hanno condotto 167 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 240 palestinesi; la percentuale di arresti più alta (35%) è stata registrata nel governatorato di Gerusalemme. Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato, in sei occasioni le forze israeliane hanno compiuto operazioni di spianatura del terreno ed effettuato scavi.

Il 5 giugno, in Area C, presso la comunità beduina palestinese di Sateh al Bahr (Jericho), per mancanza di permessi edilizi israeliani, le autorità israeliane hanno smantellato e confiscato sei strutture residenziali e due roulotte adibite a scuola materna. Le strutture coinvolte erano state fornite come assistenza umanitaria e finanziate dal Fondo Umanitario per i Territori occupati. Sei famiglie sono state sfollate e tredici bambini privati della scuola. Questa è una delle 46 comunità beduine della Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato a causa di un piano israeliano di rilocalizzazione. Dall’inizio del 2016, sono state demolite o confiscate un totale di 180 strutture assistenziali, rispetto alle 108 relative all’intero 2015. Nel periodo di riferimento, con le stesse motivazioni, altre cinque strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, coinvolgendo 19 persone.

Nella Città Vecchia di Gerusalemme Est, a causa di un ordine di sfratto emesso dalle autorità israeliane, due famiglie palestinesi, composte da sette persone, sono a rischio di sfollamento. Ciò fa seguito alla sentenza emessa da un tribunale israeliano a favore di una organizzazione di coloni che rivendica la proprietà delle case dei palestinesi.

Nel nord della Valle del Giordano, tre comunità di pastori (Khirbet ar Ras al Ahmar, Humsa al Bqai’a e Hamamat Al Maleh), composte da circa 360 persone, tra cui 205 minori, sono stati temporaneamente sfollate per tre giorni consecutivi, per più di 14 ore al giorno, per consentire esercitazioni militari israeliane. Ci sono 38 comunità di pastori palestinesi situate in zone designate dalle autorità israeliane come “zone per esercitazione a fuoco”; tali zone coprono circa il 18% della Cisgiordania. Molte di queste comunità, che sono tra le più vulnerabili della Cisgiordania, risiedono in queste zone da prima che le stesse venissero dichiarate “zone per esercitazione a fuoco”.

Secondo i media israeliani, nei governatorati di Hebron e Gerusalemme, tre israeliani, tra cui una donna, sono stati feriti e quattro veicoli israeliani sono stati danneggiati nel contesto di sette episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi.

Nelle due settimane sono stati riferiti quattro episodi di vandalismo contro proprietà palestinesi da parte di coloni israeliani: due episodi di lancio di pietre con danni a due veicoli vicino a Salfit e Betlemme; l’incendio di 15 alberi di ulivo in ‘Urif (Nablus); danni alle colture stagionali ad Al-Khader (Betlemme).

Le autorità israeliane hanno annunciato che durante il mese del Ramadan musulmano, iniziato il 6 giugno, a tutte le donne palestinesi in possesso di documenti di identificazione della Cisgiordania, così come a tutti gli uomini di età superiore ai 45 anni e ai ragazzi al di sotto dei 12 anni, al venerdì sarà consentito l’accesso senza permesso a Gerusalemme Est; uomini e ragazzi che non rientrano in queste categorie potranno richiedere il permesso.

Il valico di Rafah, al confine con l’ Egitto, è stato eccezionalmente aperto per quattro giorni (1, 2, 4, 5 giugno), permettendo a 3.142 palestinesi di uscire e a 894 di entrare a Gaza. Secondo le autorità palestinesi, ci sono più di 30.000 persone registrate e in attesa di attraversare, tra cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti. Dall’inizio del 2016, Rafah è stato aperto per soli nove giorni.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

L’8 giugno, due palestinesi provenienti dalla città di Yatta (Hebron) hanno aperto il fuoco in un centro commerciale a Tel Aviv (Israele), uccidendo quattro israeliani e ferendone più di altri dieci; gli autori sono stati successivamente arrestati. Le forze israeliane hanno bloccato tutti gli accessi a Yatta, ad eccezione dei casi umanitari, ed eseguito operazioni di ricerca-arresto.

Il 9 giugno, dopo l’attacco di Tel Aviv, le autorità israeliane hanno annunciato la sospensione di circa 83.000 autorizzazioni concesse a palestinesi per entrare a Gerusalemme Est per la preghiera dei venerdì del Ramadan; sospesi anche i permessi per le visite ai familiari risiedenti in Israele.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli

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Rapporto OCHA della settimana 15- 21 marzo 2016

Le forze israeliane hanno ucciso quattro palestinesi, tra cui un 17enne, presunti autori di tre accoltellamenti che hanno provocato il ferimento di due soldati israeliani.

Gli episodi hanno avuto luogo nella città di Hebron, allo svincolo di Gush Etzion (Hebron), e all’ingresso dell’insediamento colonico di Ariel (Salfit). Dall’inizio del 2016, attacchi e presunti attacchi palestinesi hanno provocato la morte di quattro israeliani, di un cittadino straniero e di 45 palestinesi (tutti, tranne uno, presunti responsabili di attacchi) [1].

In seguito ad uno degli attacchi di cui sopra, e fino alla fine del periodo di riferimento, le forze israeliane hanno bloccato o predisposto checkpoints sulle strade principali del villaggio di Beit Fajjar (Betlemme), dove i presunti responsabili risiedevano; previa autorizzazione è stato consentito l’ingresso e l’uscita solo ai casi umanitari e agli insegnanti. Il 17 marzo, le autorità israeliane hanno riaperto l’ingresso principale del villaggio di Beit Ur At Tahta (Ramallah) che, a seguito di un attacco palestinese, era rimasto chiuso dall’11 marzo; è stato così ripristinato il normale collegamento tra altri cinque villaggi e la città di Ramallah.

Il 15 marzo, un rifugiato palestinese è morto per le ferite riportate a fine febbraio 2016, in scontri scoppiati nel Campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), durante un’operazione militare israeliana finalizzata a proteggere due soldati israeliani che erroneamente si erano ritrovati all’interno del Campo. Nel corso della stessa operazione era rimasto ucciso un altro palestinese.

Le autorità israeliane hanno consegnato il corpo di un palestinese sospettato di aver compiuto un attentato a Gerusalemme Est nel mese di dicembre 2015. Il rilascio è stato subordinato all’impegno, da parte della famiglia, di limitare a 30 il numero dei partecipanti ai funerali e al pagamento di 20.000 NIS [nuovo siclo israeliano, circa 4.660 euro], quale garanzia per il rispetto di tale disposizione. Continuano ad essere trattenuti dalle autorità israeliane i corpi di altri 14 palestinesi, sospettati di aver compiuto attacchi contro israeliani nel corso degli ultimi cinque mesi.

Nei Territori palestinesi occupati gli scontri con le forze israeliane hanno provocato il ferimento di 49 palestinesi, tra cui 10 minori. Sette dei ferimenti sono avvenuti nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale, ed i rimanenti in Cisgiordania. Circa il 63% delle lesioni sono state causate da inalazione di gas lacrimogeno richiedente un trattamento medico; le rimanenti da proiettili di gomma, armi da fuoco ed aggressioni fisiche.

Nella zona di Betlemme e di Gerusalemme Est cinque episodi di lanci di pietre [da parte palestinese] hanno causato il ferimento di due coloni israeliani e danni al veicolo di un colono, ad un autobus e ad una carrozza della metropolitana leggera.

Nel villaggio di Duma (Nablus) una casa è stata data alle fiamme: lesi due coniugi per inalazione di fumo e inagibile, per gli ingenti danni, la loro casa. L’uomo ferito è l’unico testimone oculare dell’attacco incendiario avvenuto, nello stesso villaggio, nel luglio 2015, quando persero la vita tre membri della famiglia Dawabsheh (un colono israeliano accusato di quell’attacco è attualmente sotto processo). Secondo fonti palestinesi, anche l’incendio doloso di questa settimana è stato effettuato da coloni israeliani; tuttavia, la polizia israeliana, che ha aperto un’indagine sul caso, ritiene improbabile che l’attacco sia opera di coloni. Ancora in questa settimana, nei governatorati di Ramallah e Nablus, due veicoli palestinesi hanno subito danni per lanci di pietre da parte di coloni israeliani.

Per la mancanza di permessi di costruzione israeliani, le autorità israeliane hanno demolito 20 strutture, o costretto i proprietari ad autodemolirle: coinvolte 73 persone, tra cui 33 rifugiati. La metà di queste strutture si trovavano nel governatorato di Gerusalemme (la maggior parte in Gerusalemme Est), tre nel governatorato di Betlemme, sette nel governatorato di Nablus. Inoltre, nella città di Hebron, le forze israeliane hanno chiuso con ordine militare un negozio di verdura appartenente al sospetto autore di una sparatoria avvenuta nel marzo 2015, mentre in Khallet Hijeh e Beit Fajjar (Betlemme) hanno requisito macchinari e veicoli per lavori non consentiti in Area C.

L’8 marzo, le autorità israeliane, con l’obiettivo dichiarato di regolarizzare centinaia di unità abitative di un insediamento colonico costruito senza autorizzazione, hanno annunciato l’aggiornamento dei confini riportati in una precedente dichiarazione di “terra di stato”, in una zona in cui già si trova l’insediamento colonico di Eli. La dichiarazione si riferisce a circa 220 ettari di terra in Al Lubban ash Sharqiya, As Sawiya e Qaryut (Nablus). In un altro caso, in Area C, nei pressi del villaggio di Jayyus (Qalqiliya), le autorità israeliane hanno sradicato e sequestrato 150 alberi, rivendicando la zona come “terra di stato”. Nell’Area C della Cisgiordania, quasi tutta la “terra di stato” è stata posta sotto la giurisdizione degli insediamenti israeliani.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Il valico è rimasto chiuso, anche per l’assistenza umanitaria, dal 24 ottobre 2014 ad eccezione di 42 giorni di aperture parziali. Le autorità di Gaza hanno segnalato che sono registrati e in attesa di attraversare oltre 30.000 persone con bisogni urgenti, tra cui circa 3.500 malati.

[1] I totali includono un passante palestinese 17enne, ma non comprendono tre israeliani uccisi in Israele in un attentato perpetrato da un cittadino israeliano di origine palestinese, che è stato successivamente ucciso.

 

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Secondo le prime notizie dei media, il 24 marzo, nella città di Hebron, due palestinesi hanno accoltellato e ferito un soldato israeliano e sono stati successivamente uccisi dalle forze israeliane.

Il 23 marzo, nella comunità di Khirbet Tana (Nablus) in Area C, per mancanza dei permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito 53 strutture, di cui 22 abitazioni. Dall’inizio di febbraio questo è il terzo caso di demolizioni che coinvolge questa comunità.

Tra il 23 ed il 27 marzo, a motivo di una festività ebraica, le autorità israeliane hanno sospeso l’ingresso a Gerusalemme Est e in Israele ai palestinesi titolari di permesso, fatta eccezione per i casi umanitari e per i dipendenti delle Nazioni Unite e delle Organizzazioni Non Governative (ONG).

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

le traduzioni in italiano sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: in caso di discrepanze, fa testo la versione originale in lingua inglese. Nella versione italiana non sono riprodotti i

dati statistici ed i grafici.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto OCHA della settimana 9 – 15 febbraio

Durante la settimana sono stati segnalati sette attacchi e presunti attacchi di palestinesi contro israeliani, con il conseguente ferimento di un colono israeliano; sei dei presunti responsabili palestinesi sono stati uccisi sul posto, tra cui quattro minori ed una donna; un’altra donna palestinese è stata ferita.

Gli episodi includono tre attacchi con arma da fuoco: in Gerusalemme Est, nei pressi della Barriera, nel governatorato di Jenin, nell’insediamento colonico di Beit El vicino a Ramallah e quattro accoltellamenti e presunti tentativi di accoltellamento: nell’area a controllo israeliano della città di Hebron (due episodi), al posto di blocco di An Nu’man sulla Barriera, e vicino all’insediamento colonico di Neve Daniel, questi ultimi due a Betlemme. Secondo quanto riferito, uno dei presunti responsabili prestava servizio nella Sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese. Dall’inizio dell’anno, 24 palestinesi, tra cui otto minori, e due israeliani sono stati uccisi in attacchi e presunti attacchi effettuati da palestinesi.

Dopo l’attacco con arma da taglio vicino all’insediamento di Neve Daniel, il 9 febbraio, le forze israeliane hanno chiuso per sei giorni consecutivi il villaggio di Nahhalin (10.500 persone), all’interno del quale, secondo quanto riferito, il sospetto aggressore si era rifugiato. L’accesso ai servizi ed ai luoghi di lavoro è stato gravemente compromesso; soltanto a casi umanitari eccezionali è stato consentito il transito, controllato da un posto di blocco, su una delle strade di accesso al villaggio. Una chiusura simile è stata applicata, dal 14 febbraio, al villaggio di Al ‘Araqa (Jenin) dopo la sparatoria nei pressi della Barriera. Infine, in seguito alla sparatoria nell’insediamento colonico di Beit El (15 febbraio), l’esercito israeliano ha chiuso il vecchio tracciato della Strada 60, nei pressi del Campo profughi di Al Jalazun, costringendo i palestinesi a percorrere una lunga deviazione per raggiungere la città di Ramallah.

All’inizio di questa settimana, le autorità israeliane hanno restituito uno dei corpi dei presunti autori di aggressioni contro israeliani. Sono ancora trattenuti dalle autorità i corpi di altri nove palestinesi, tutti ex residenti di Gerusalemme Est.

Un ragazzo palestinese 16enne è stato ucciso con arma da fuoco dalle forze israeliane, durante scontri vicino al Campo profughi di Al ‘Arrub (Hebron). Gli scontri nei territori palestinesi occupati hanno anche provocato il ferimento di 232 palestinesi, tra cui 69 minori. Dieci dei ferimenti sono avvenuti vicino alla recinzione perimetrale della Striscia di Gaza ed i restanti in Cisgiordania. La maggior parte degli scontri si sono verificati nel contesto di operazioni di ricerca-arresto, con il maggior numero di ferimenti avvenuti nel Campo profughi di Al Am’ari (Ramallah) e nel villaggio di Tuqu’ (Betlemme). In totale, le forze israeliane hanno condotto 103 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 133 palestinesi. Le restanti lesioni sono state segnalate durante scontri avvenuti nel corso di manifestazioni di solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane, in particolare Mohammad al QiQ, che ha già trascorso più di 80 giorni in sciopero della fame. Questi eventi portano il numero totale di palestinesi uccisi in scontri, a partire dall’inizio del 2016, a quattro, tre dei quali minori, e a 892 i feriti, tra cui 305 minori.

Il 13 febbraio, dopo una esercitazione militare israeliana svolta il 9 febbraio nei pressi del villaggio di Tayaser (Tubas), un palestinese 12enne è stato ferito, nei pressi della sua casa, dall’esplosione un ordigno residuato ed ha riportato ustioni di secondo grado. Ancora in questa settimana, un 11enne palestinese è morto per le ferite subite nel 2011, durante un attacco dell’aviazione israeliana su Gaza.

Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato, di terra e di mare, sono stati registrati almeno 8 casi in cui le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento contro civili palestinesi; non ci sono state vittime. Quattro palestinesi, tra cui tre minori, sono stati arrestati nei pressi della recinzione di confine che circonda Gaza, dopo aver attraversato in Israele senza autorizzazione.

Per mancanza dei permessi edilizi israeliani le autorità israeliane hanno distrutto 13 strutture in dodici comunità poste in Area C ed in Gerusalemme Est; quattro di tali strutture erano state donate come assistenza umanitaria. Come risultato 114 persone sono state sfollate, tra cui 59 minori, ed altre 203 persone sono state altrimenti coinvolte dal provvedimento. La demolizione più estesa ha colpito la comunità beduina palestinese di Ein ar Rashash (Ramallah), che si trova in un’area [dichiarata da Israele] “zona per esercitazioni a fuoco” e che è stata quasi completamente distrutta (43 strutture demolite). Il numero di strutture demolite e di sfollati, a partire dall’inizio del 2016, equivale a più della metà delle demolizioni e degli sfollamenti effettuati in tutto il 2015. Più di un terzo delle strutture demolite dall’inizio dell’anno erano state fornite come assistenza umanitaria a famiglie in difficoltà.

Sono stati registrati tre attacchi di coloni israeliani con lesioni a palestinesi o danni alle loro proprietà: l’aggressione ad un 65enne palestinese, nei pressi di Yatta (Hebron); lanci di pietre contro veicoli palestinesi vicino al villaggio di Azzun (Qalqiliya), con danni a un veicolo; lo sradicamento di cinque ulivi e lo spianamento di terreno nel villaggio di Kafr Sur (Tulkarem).

Il valico di Rafah, controllato dall’Egitto, è stato eccezionalmente aperto per tre giorni in entrambe le direzioni, consentendo l’ingresso in Gaza a 1.122 palestinesi e l’uscita ad altri 2.439, per lo più malati e studenti. Il valico è rimasto chiuso, anche per l’assistenza umanitaria, dal 24 ottobre 2014 ad eccezione di 42 giorni di aperture parziali. Le autorità di Gaza hanno segnalato che sono registrati e in attesa di attraversare oltre 25.000 persone con bisogni urgenti, tra cui circa 3.500 malati.

 

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 17 febbraio, il Coordinatore Umanitario per i Territori Palestinesi occupati (oPT), Robert Piper, ha chiesto ad Israele di fermare immediatamente le demolizioni nei territori occupati della Cisgiordania e di rispettare il Diritto internazionale.

Dal 16 febbraio è tornato alla normalità l’accesso al villaggio di ‘Araqa (Jenin).

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: in caso di discrepanze, fa testo la versione originale in lingua inglese. Nella versione italiana non sono riprodotti i

dati statistici ed i grafici.

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Palestina 2016: uno scenario ottimistico

Ma’an News

di Alaa Tartir

Nel 2015 la Palestina non si trovava in buone condizioni. Secondo la rivista dell’IMEU [“Institute for Middle East Understanding”, Istituto per la comprensione del Medio Oriente, organizzazione no-profit che fornisce ai giornalisti informazioni sulla Palestina ed i palestinesi. Ndtr.], nel 2015 circa 170 palestinesi sono stati uccisi e 15.377 feriti da israeliani; Israele ha distrutto o smantellato 539 case ed altre strutture palestinesi nella Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate (con più di 11.000 ordini di demolizione pendenti contro strutture palestinesi nell'”Area C” [sotto totale controllo di Israele, in base agli accordi di Oslo. Ndtr.] della Cisgiordania occupata); c’erano 6.800 palestinesi incarcerati da Israele al dicembre 2015 e circa 650.000 coloni ebrei nei territori occupati.

La Palestina andrà meglio nel 2016? C’è una qualche ragione di ottimismo e di speranza tra questi cupi avvenimenti e quanto sta accadendo attualmente? Ritengo di sì, nonostante tutto.

Un rapido colpo d’occhio alle analisi esistenti indica che il 2016 sarà un anno ancora peggiore per i palestinesi. Queste analisi prevedono un incremento della violenza, il possibile collasso dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) con conseguenze negative per il popolo palestinese, un’ulteriore frammentazione tra i palestinesi nella corsa alla successione di Abbas, feroci e persino sanguinose dispute all’interno di Fatah, rafforzamento delle divisioni tra Fatah e Hamas, continuazione dell’occupazione militare israeliana e il persistere della mancanza di volontà da parte statunitense ed europea di porre fine all’ingiustizia e all’oppressione.

Per peggiorare ulteriomente le cose, gli osservatori avvertono che il 2016 potrebbe creare un’ “occasione matura” per l’ingresso dell’ISIS in Palestina, soprattutto se un “vuoto nella sicurezza” si venisse a determinare in conseguenza del collasso dell’ANP. Alcune di queste previsioni sono plausibili, ma altre, soprattutto quelle suggerite da diversi apparati di sicurezza locali o internazionali e da istituzioni dei servizi segreti, sono pure speculazioni o predizioni immotivate e senza fondamento. Quelle orientate dai sistemi di sicurezza sono discutibili in quanto danno la priorità alle necessità ed alle fobie della sicurezza israeliana e ignorano i diritti umani fondamentali dei palestinesi e anzi alimentano le tendenze e le trasformazioni autoritarie. Quindi ritengo che, invece di fare un’equivalenza tra il “vuoto nella sicurezza” e l’emergere dell’ISIS o con una situazione di caos, è il momento buono per iniziare ad affrontare la vera domanda per quanto riguarda le questioni di sicurezza: come mettere fine immediata all’occupazione militare israeliana?

Comunque, il problema fondamentale di tutte le summenzionate previsioni dominanti è che ignorano le buone notizie che stanno arrivando dalla Palestina. Ecco un breve elenco di qualche “fonte di speranza e ottimismo” a cui guardare nel 2016.

In primo luogo, e cosa più importante, sta emergendo una nuova e diversa generazione palestinese. Questa generazione propone nuove prospettive, nuovi obiettivi e nuovi strumenti. Mentre una parte di questa generazione si sta ribellando nelle strade della Palestina, un’altra parte (benché meno visibile dei giovani che si stanno ribellando) sta elaborando strategie per la lotta e mettendole in pratica, localmente e internazionalmente.

Questa nuova generazione transnazionale sta anche formando la propria dirigenza intellettuale, fondamentale per ogni processo di cambiamento positivo. Nel 2016 potremmo assistere alla rinascita a lungo attesa del pensiero politico palestinese, benché si tratti di un obiettivo ambizioso. Indubbiamente una nuova leadership è in via di formazione ed emergerà da questa generazione, che è capace di affrontare le cause profonde delle sofferenze, delle debolezze e della frammentazione palestinesi. Non si tratta di un esito irraggiungibile né di un obiettivo improbabile.

Questa generazione non è stanca solo dell’occupazione israeliana e delle sue politiche colonialiste, ma anche dell’attuale dirigenza palestinese, illegittima e non rappresentativa. Sono nauseati e stufi dei continui fallimenti e stanno pensando ed agendo per riuscire ad avvicinarsi alla realizzazione dei propri diritti.

Se questa generazione è “invisibile” a molti osservatori e responsabili politici, è necessario cambiare urgentemente punto di vista, semplicemente perché negli ultimi anni una nuova dirigenza palestinese è emersa, ad esempio, in Israele e nella società civile palestinese.

L’unificazione della leadership palestinese in Israele è un’altra fonte di ottimismo, nonostante tutte le avvertenze del caso. Il “colpo” durante le elezioni parlamentari israeliane del 2015 [si riferisce al fatto che la lista unitaria palestinese è diventata la terza forza politica israeliana. Ndtr.] ha trasformato la minaccia rappresentata dall’esistenza dei palestinesi nella politica israeliana in una nuova opportunità politica.

Se utilizzato intelligentemente, l’emergere di un nuovo leader politico come Ayman Odeh [leader del partito di sinistra arabo-israeliano “Hadash” e della “Lista Unitaria” alle elezioni del 2015. Ndtr.] non sarà senza conseguenze per i diritti politici e civili dei palestinesi e per le dinamiche complessive della lotta palestinese.

In effetti, alcuni osservatori hanno sostenuto che “invece di cercare freneticamente di far rivivere l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) [la storica coalizione di partiti palestinesi che ha condotto la lotta contro Israele sotto la guida di Fatah e di Arafat. Ndtr.] come rappresentante di tutti i palestinesi…i palestinesi dovrebbero semplicemente guardare ad ovest, ai partiti politici palestinesi all’interno di Israele e già rappresentati nella Knesset (Parlamento israeliano, ndt.).” Questa mossa, nonostante i suoi potenziali limiti, potrebbe significare una nuova configurazione e un diverso sistema di presupposti per il “conflitto israelo-palestinese.”

La “nuova” dirigenza della società civile palestinese emersa nell’ultimo decennio è il terzo elemento di ottimismo e di speranze di giustizia nel 2016. Gli inarrestabili successi del movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) guidato dai palestinesi ne sono l’esempio principale. Il ruolo importante del BDS e i successi che ha ottenuto non sono solo dovuti alla formazione organica della dirigenza del movimento o ai suoi principi ed obbiettivi unificanti e di vasta portata, ma anche alla sensazione di possedere uno degli strumenti della lotta per l’autodeterminazione, all’evidenza storica relativa all’efficacia di un simile mezzo nel garantire la giustizia e il cambiamento e la trasformazione dell’opinione pubblica internazionale in merito al conflitto israelo-palestinese.

Lo sviluppo del movimento di solidarietà internazionale che lavora in accordo con le priorità e le richieste della società civile palestinese è un esempio stimolante della collaborazione internazionale per la realizzazione di diritti universali.

Peraltro i palestinesi hanno molti più mezzi legali per l’ottenimento dei propri diritti di quanti ne abbiano mai avuti in precedenza. L’adozione di un approccio centrato sui diritti in assonanza con le leggi internazionali come parte integrante di una nuova strategia e prospettiva palestinese è fondamentale per qualunque programma politico alternativo.

Benché sia vero che questo programma politico alternativo non esiste in toto, tuttavia non è vero che non esistano nuove, e critiche, opinioni politiche palestinesi. Queste opinioni politiche, regolarmente marginalizzate – soprattutto se sono indipendenti – all’interno del movimento di liberazione nazionale palestinese, sono un elemento centrale nell’ottimistico scenario futuro grazie al loro contributo ai processi di elaborazione e azione politica in patria, in esilio e nelle sedi internazionali.

Queste voci politiche pongono la creatività, la resilienza e le pratiche di resistenza del popolo palestinese come un modo di vivere sotto occupazione, al centro del proprio pensiero ed analisi, una pratica che si è persa da tempo. Questa “scelta metodologica” ha implicazioni dirette sugli esiti a breve e lungo termine, sulla legittimazione della futura dirigenza e sulle sue scelte e decisioni strategiche.

La materializzazione di queste ragioni di speranza e di ottimismo, o di alcune di esse, nel 2016 potrebbe farne un anno diverso da come se lo aspettano le previsioni prevalenti. Tuttavia una domanda rimane senza risposta: c’è una qualche buona notizia che arriva da Israele?

Alaa Tartir è il direttore responsabile di al-Shabaka, la rete palestinese di politica e ricercatore post-dottorato all’Istituto Superiore di Studi Internazionali e per lo Sviluppo di Ginevra.

Quest’articolo è stato pubblicato originariamente su “Huffington Post”.Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale dell’agenzia Ma’an News.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA della settimana 2-8febbraio 2016

Il 3 febbraio, nei pressi della porta di Damasco, a Gerusalemme Est, tre palestinesi hanno effettuato un attacco con coltelli ed armi da fuoco contro forze israeliane, uccidendo una poliziotta israeliana e ferendone un’altra. I tre autori (di 19 e 21 anni), tutti provenienti dal villaggio di Qabatiya (Jenin), sono stati uccisi durante l’attacco;

secondo quanto riferito, nessuno di loro apparteneva ad una qualche fazione. Nonostante la gravità dell’episodio, questa settimana ha fatto segnare, in Cisgiordania, il minor numero di attacchi contro israeliani a partire dall’ottobre 2015. L’episodio sopraccitato porta a 18 il numero dei palestinesi uccisi dall’inizio del 2016 nel corso di aggressioni contro israeliani; tra essi cinque minori.

Dopo l’attacco di cui sopra, le forze israeliane hanno bloccato, per tre giorni consecutivi, tutte le strade in entrata ed in uscita dal villaggio di Qabatiya (23.300 abitanti). Per i residenti l’accesso ai servizi ed ai luoghi di lavoro esterni al villaggio è stato gravemente compromesso; circa 300 permessi di lavoro, concessi ai residenti occupati in Israele, sono stati revocati. Durante gli stessi giorni sono stati registrati diversi scontri e operazioni di ricerca-arresto con conseguente ferimento di 61 palestinesi, tra cui 28 minori.

Durante la settimana sono avvenuti altri tre accoltellamenti all’interno di Israele, con conseguente ferimento di una donna israeliana e di due soldati; secondo quanto riferito, gli episodi sarebbero da collegare al clima di scontro. Uno degli aggressori, un cittadino straniero, è stato ucciso; due ragazze palestinesi di 13 anni, con cittadinanza israeliana, sono state arrestate. Un altro aggressore, la cui identità rimane ignota, è fuggito. [1]

Un 14enne palestinese è stato ucciso, con armi da fuoco, dalle forze israeliane in prossimità dell’ingresso del villaggio di Halhul (Hebron), presumibilmente dopo aver lanciato una bottiglia incendiaria; nello stesso contesto, e con armi da fuoco, è stato ferito anche un 13enne.

Numerosi scontri con le forze israeliane, avvenuti in varie località dei Territori palestinesi occupati, hanno provocato il ferimento di 138 palestinesi, tra cui 45 minori. Otto dei ferimenti si sono verificati nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale; i rimanenti in Cisgiordania. La maggior parte dei ferimenti verificatisi in Cisgiordania sono stati registrati nel contesto di scontri scoppiati durante le manifestazioni settimanali a Ni’lin (Ramallah) e Kafr Qaddum (Qalqiliya) e durante le operazioni di ricerca-arresto a Qabatiya (Jenin), nella città di Salfit, a Qabalan (Nablus) e al Campo profughi di Al Fawwar (Hebron).

L’8 febbraio, un civile palestinese è morto a causa del crollo di un tunnel per il contrabbando sotto il confine tra Gaza e l’Egitto. L’attività di contrabbando, lungo il confine con l’Egitto, era in gran parte già cessata dalla metà del 2013, in seguito alla distruzione o al blocco, ad opera delle autorità egiziane, della stragrande maggioranza delle gallerie. A quanto si sa, pochi tunnel sono rimasti parzialmente operativi.

Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato, a terra ed in mare, sono stati registrati almeno 13 casi in cui le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento contro civili palestinesi, senza causare vittime. Quattro pescatori sono stati arrestati in mare, dopo essere stati costretti dalle forze israeliane, secondo quanto riferito, a togliersi i vestiti e nuotare verso l’imbarcazione militare; due barche sono state confiscate. Inoltre, in un caso, le forze israeliane sono entrate a Gaza ed hanno spianato il terreno ad est della città di Rafah.

Il 3 febbraio, presso due comunità di pastori, a sud di Hebron (Jinba e Halaweh), le autorità israeliane hanno distrutto, o smontato e confiscato, 31 strutture, sfollando 139 persone. Queste e altre dieci comunità (circa 1.300 persone) sono a rischio di trasferimento forzato a causa della designazione dell’area [da parte di Israele], negli anni 80, come “zona chiusa destinata alle esercitazioni militari”. Alcune di queste comunità furono costituite prima dell’occupazione israeliana e sono in possesso dei documenti attestanti i loro diritti sulla terra. L’episodio consegue alla conclusione senza accordo di un processo di mediazione riguardante ricorsi inoltrati alla Corte Suprema israeliana contro la distruzione e lo sfratto di queste comunità.

Durante la settimana, in Cisgiordania, per mancanza dei permessi di costruzione rilasciati da Israele, sono state demolite o smontate e confiscate, altre 36 strutture di proprietà palestinese, 29 delle quali finanziate da donatori. Come risultato, 26 persone sono state sfollate, tra cui 15 minori; altre 26 persone sono state coinvolte in vario modo. Quattro delle strutture implicate si trovavano a Gerusalemme Est, in aree designate dalle autorità israeliane come “parco nazionale”. Le 157 strutture distrutte o smontate e sequestrate, dall’inizio del 2016 fino all’8 febbraio, equivalgono al 29% delle strutture prese di mira in tutto il 2015.

Sempre in questa settimana, le autorità israeliane hanno emesso nove ordini di demolizione e sequestro contro le case di famiglia di nove presunti autori di attacchi contro israeliani, ponendo le famiglie a rischio sfollamento. Le demolizioni punitive sono una forma di punizione collettiva e, in quanto tali, sono illegali secondo il diritto internazionale.

Un palestinese è stato aggredito e ferito da coloni israeliani nei pressi dell’insediamento di Kiryat Arba (Hebron). In un altro caso, agricoltori di Iraq Burin (Nablus) hanno riferito il furto di due asini da parte di coloni israeliani provenienti dall’insediamento di Bracha. Inoltre, coloni israeliani della fattoria-avamposto di Ma’on hanno impedito ad alunni palestinesi di raggiungere la loro scuola nel villaggio di At-Tuwani (Hebron).

Il 6 febbraio, nei pressi dell’insediamento di Karmei Tzur (Hebron), ignoti hanno incendiato una tenda eretta da coloni israeliani, e utilizzata come sinagoga, su un terreno di proprietà privata palestinese. Una struttura precedente, eretta sullo stesso sito, era stata demolita dalle autorità israeliane nel 2015, in seguito ad una petizione inoltrata presso il tribunale dai proprietari dei terreni. Il Segretario generale dell’ONU ha condannato l’incendio doloso ed ha invitato tutte le parti a rispettare l’inviolabilità dei luoghi sacri.

I media israeliani hanno riferito cinque episodi di lanci di pietre da parte palestinese contro veicoli con targa israeliana, con conseguenti danni a tre veicoli e alla metropolitana leggera di Gerusalemme.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Il valico è rimasto chiuso, anche per l’assistenza umanitaria, dal 24 ottobre 2014 ad eccezione di 39 giorni di aperture parziali. Le autorità di Gaza hanno segnalato che sono registrati e in attesa di attraversare oltre 25.000 persone con bisogni urgenti, tra cui circa 3.500 malati.

[1] I dati OCHA per la protezione dei civili includono gli episodi che si sono verificati al di fuori dei Territori occupati solo se risultano coinvolti, sia come vittime che come aggressori, persone residenti nei Territori occupati.

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Tra il 9 e 11 febbraio, le autorità israeliane hanno distrutto almeno 80 abitazioni con le relative strutture ausiliarie di sussistenza, in sette comunità palestinesi in Area C, tutte situate nella valle del Giordano tranne una, sfollando circa 60 persone, la metà delle quali minori.

Il 10 febbraio, le forze israeliane hanno ucciso un ragazzo palestinese 15enne durante scontri all’ingresso del campo profughi di Al Arrub (Hebron).

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: in caso di discrepanze, fa testo la versione originale in lingua inglese. Nella versione italiana non sono riprodotti i

dati statistici ed i grafici.

Associazione per la pace Gruppo di Rivoli TO

e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli