“Furto” israeliano: ecco quanti soldi Tel Aviv “detrae” ogni mese dal bilancio dell’Autorità Palestinese

Redazione The Palestine Chronicle

2 ottobre 2023, The Palestine Chronicle

Il Ministero delle Finanze palestinese ha smentito oggi quanto pubblicato dai media israeliani secondo cui il governo israeliano fornirebbe assistenza finanziaria all’Autorità Nazionale Palestinese

Il Direttore Generale delle Dogane, delle Accise e dell’Imposta sul Valore Aggiunto del ministero Louay Hanash ha affermato in una dichiarazione che l’attuale governo israeliano ha di fatto raddoppiato illegalmente le detrazioni unilaterali dal denaro dei contribuenti palestinesi, contrariamente a quanto va sostenendo la stampa israeliana.

Senza spiegazione

Hanash, responsabile della contabilità con la controparte israeliana, ha affermato che le detrazioni mensili da Israele sulle tasse vanno da 240 a 260 milioni di shekel israeliani (oltre 60 milioni di euro), equivalenti al 25% delle entrate dell’Autorità palestinese, sottolineando che Israele non fornisce dettagli o spiegazioni a riguardo.

Hanash ha affermato che Israele trattiene anche il 3% dei fondi di compensazione come commissione di riscossione, cioè oltre 35 milioni di shekel mensili (quasi 9 milioni di euro), aggiungendo che questa commissione ha superato i tre miliardi di shekel negli ultimi dieci anni.

Hanash ha sottolineato ciò che il Ministro delle Finanze Shoukry Bishara aveva chiesto all’incontro con i donatori tenutosi a New York il mese scorso, quando aveva ribadito le precedenti richieste palestinesi relative alla necessità di abolire completamente questa commissione sugli acquisti di carburante.

Nell’incontro Bishara aveva rafforzato la sua dichiarazione con i rapporti emessi dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale sulla necessità di annullare la commissione, poiché tutte le transazioni per quegli acquisti vengono effettuate elettronicamente e direttamente tra le società israeliane e l’Autorità Petrolifera Palestinese.

Ha osservato che non basta ridurre la commissione all’1,5%, additando la portata del “furto israeliano in questa procedura”.

Il ministro delle Finanze ha posto l’accento anche sulla richiesta di ridurre la commissione di riscossione che Israele impone su tutti gli altri beni in base al costo, affermando che la Banca Mondiale ha stimato, in uno dei suoi rapporti, che non dovrebbe superare un massimo dello 0,6%.

Durante l’incontro con i donatori Bishara ha affermato che risolvere anche solo cinque dei numerosi dossier finanziari in sospeso tra Israele e l’Autorità Palestinese consentirebbe di raggiungere l’equilibrio finanziario nel bilancio palestinese.

Ulteriori “detrazioni”

Nel contempo Hanash ha illustrato che da parte israeliana è stato trattenuto punitivamente e illegalmente un importo di 2,8 miliardi di shekel (circa 700 milioni di euro) a “compenso” di quanto l’Autorità Palestinese provvede alle famiglie delle persone colpite dall’occupazione israeliana e alle famiglie di martiri, prigionieri e feriti.

Ha affermato che queste detrazioni sono ancora in corso.

Inoltre, ha detto Hanash, Israele opera ogni mese delle detrazioni dai fondi palestinesi, sottolineando che questa politica è in corso da molti anni e costituisce una violazione di tutti gli accordi.

Ha rivelato che il governo israeliano ha recentemente aggiunto una trattenuta mensile di 20-30 milioni di shekel per i debiti della Jerusalem Electricity Company, nonostante si tratti di una società privata.

Comunque, ha aggiunto, l’Autorità Palestinese aiuta l’azienda a pagare i suoi prestiti, fornisce sovvenzioni per l’elettricità oltre a sostenere il pagamento delle bollette dei campi.

Hanash ha sottolineato che i tagli dimostrano chiaramente che Israele è responsabile della crescente crisi finanziaria dell’Autorità Palestinese, affermando che questi tagli sono il principale ostacolo allo sviluppo dell’economia palestinese.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Banca Mondiale: le restrizioni israeliane ostacolano l’accesso dei palestinesi all’assistenza sanitaria.

Redazione di The New Arab

18 settembre 2023- The New Arab

La Banca Mondiale ha affermato che le restrizioni israeliane e il peggioramento delle condizioni economiche nei territori palestinesi stanno ostacolando l’accesso dei palestinesi all’assistenza sanitaria.

Le restrizioni israeliane e i crescenti vincoli fiscali nei territori palestinesi stanno incidendo gravemente sulle condizioni economiche dei palestinesi e ostacolano il loro accesso a un’assistenza sanitaria salvavita tempestiva, ha affermato lunedì la Banca Mondiale.

In un rapporto intitolato “Racing Against Time” [corsa contro il tempo], la Banca Mondiale ha affermato che nel complesso l’economia palestinese sta sviluppandosi al di sotto del suo potenziale, con un reddito pro capite destinato a ristagnare.

La povertà nei territori palestinesi è in aumento, con un palestinese su quattro che vive al di sotto della soglia di povertà, ha affermato l’istituto di credito globale con sede a Washington.

Le restrizioni israeliane alla circolazione e al commercio nella Cisgiordania occupata, il blocco imposto alla Striscia di Gaza e la divisione tra i due territori palestinesi sono tra i diversi fattori che hanno messo ad alto rischio l’economia palestinese, afferma il rapporto.

In una dichiarazione rilasciata assieme al rapporto Stefan Emblad, direttore della Banca Mondiale per la Cisgiordania e Gaza, ha affermato: “I vincoli fiscali gravano pesantemente sul sistema sanitario palestinese e in particolare sulla sua capacità di far fronte al crescente peso delle malattie non infettive”.

Le restrizioni, comprese “le lungaggini del regime burocratico dei permessi”, spesso rendono difficile fornire una assistenza sanitaria salvavita tempestiva ai palestinesi, ha affermato.

L’accesso a cure mediche esterne per il trattamento di tumori, malattie cardiache e per le complicazioni della gravidanza e del parto è significativamente compromesso a causa di vincoli fisici e amministrativi, afferma la nota.

Si sostiene: “La situazione è particolarmente critica a Gaza, che soffre di una più limitata capacità del sistema sanitario e dove i pazienti faticano a ottenere tempestivamente i permessi di uscita richiesti per urgenti motivi medici”.

“I dati della ricerca mostrano che il quasi blocco di Gaza ha avuto un impatto sulla mortalità, dato che alcuni pazienti non sopravvivono alla durata del processo di autorizzazione”.

Israele occupa la Cisgiordania – che oggi ospita circa tre milioni di palestinesi – dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando conquistò anche la Striscia di Gaza, l’enclave costiera densamente popolata da cui si è poi ritirato.

L’anno scorso, secondo il COGAT, l’organismo del ministero della Difesa israeliano che sovrintende agli affari civili nei territori palestinesi, Israele ha rilasciato permessi di ingresso per oltre 110.000 visite mediche per i residenti in Cisgiordania.

Nello stesso periodo sono stati rilasciati più di 17.000 permessi di questo tipo ai palestinesi di Gaza, dove vivono 2,3 milioni di persone.

Un blocco imposto da Israele da quando il movimento islamista Hamas è salito al potere nel 2007 ha anche ostacolato le forniture mediche all’enclave.

La Banca Mondiale ha esortato Israele e le autorità palestinesi a gestire meglio questi casi medici e ad agevolare il processo di autorizzazione nel tentativo di fornire assistenza sanitaria tempestiva ai pazienti e ai loro accompagnatori.

Nel complesso, l’economia palestinese è rimasta stagnante negli ultimi cinque anni, ha detto Emblad, aggiungendo che non si prevede un miglioramento a meno che non cambino le politiche sul campo.

“Date le tendenze di crescita della popolazione si prevede che il reddito pro capite ristagnerà”, ha affermato la Banca Mondiale.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




La Banca Mondiale avverte: la crisi idrica di Gaza ha causato danni irreversibili

di Amira Hass, 18 dicembre 2016, Haaretz

In un’intervista ad Haaretz l’esperto locale della banca avverte che, senza un maggior flusso di acqua da Israele, Gaza diventerà invivibile entro il 2020.

 

Secondo un importante esperto di risanamento idrico della Banca Mondiale un danno irreversibile è già stato arrecato a parti dell’acquifero costiero della Striscia di Gaza, in seguito all’eccessivo pompaggio e all’infiltrazione di acqua marina.

L’istituto finanziario è una tra le tante organizzazioni locali ed internazionali che negli ultimi 20 anni hanno dato l’allarme e tentato di impedire che questo accadesse.

In termini ecologici il danno all’acquifero sta peggiorando e studi hanno dimostrato un costante aumento della salinità dell’acqua”, ha detto Adnan Ghosheh. Questo avvicina la Striscia di Gaza alla situazione che le Nazioni Unite avevano previsto nel 2014: sarà inabitabile entro il 2020.

Per esprimere ancora una volta l’urgenza di rimediare alla situazione, la Banca Mondiale all’inizio del mese ha emesso un comunicato stampa in seguito al quale Haaretz ha intervistato Ghosheh.

Gran parte delle informazioni contenute nel comunicato stampa non sono nuove. Si segnala che, mentre il 90% degli abitanti della Cisgiordania e l’85% di quelli del Medio Oriente e del Nord Africa hanno accesso all’acqua potabile, solo il 10% dei circa 2 milioni di abitanti di Gaza possono bere in sicurezza l’acqua corrente nelle loro case. Il restante 90% non mette nemmeno in relazione il bere acqua con il semplice atto del girare un rubinetto: la loro acqua è troppo salata a causa dell’infiltrazione di acqua marina e troppo pericolosa a causa dei liquami o delle acque nere che penetrano nelle falde acquifere.

Nel comunicato stampa Ghosheh ha detto: “La popolazione di Gaza non può utilizzare l’acqua che arriva nelle case per bere; la usano per uso domestico, ma per bere devono contare su autobotti. Ci sono circa 150 operatori che forniscono una sorta di acqua desalinizzata, che è stata filtrata per renderla potabile e adatta a cuocere cibi. E’ più cara dell’acqua del rubinetto”, ha aggiunto, e dal punto di vista igienico non è sicura e non soddisfa gli standard relativi all’acqua potabile.

I problemi collegati all’inquinamento ed alla carenza d’acqua comprendono disturbi intestinali, gastroenterite, alti tassi di malattia tra i bambini, malattie della pelle ed altri disturbi. Pochi abitanti di Gaza hanno la possibilità di avere in casa un impianto di trattamento delle acque, mentre altri comprano acqua purificata almeno per lavare i bambini – ma non sono molti a poter sostenere questa spesa nell’impoverita Striscia di Gaza.

La Banca Mondiale afferma che la ragione della caduta del livello dell’acqua dell’acquifero è dovuta all’eccessivo pompaggio a causa della crescita della popolazione. Il comunicato stampa non cita il fatto fondamentale che Israele ha il controllo dell’acqua sia sul proprio territorio sia nei territori occupati e non riconosce il principio dell’equa distribuzione dell’acqua tra i due popoli.

Le disposizioni sull’acqua imposte ai palestinesi dagli Accordi di Oslo trattano Gaza in termini di economia idrica autarchica. Il che significa che i 2 milioni di abitanti di Gaza si devono accontentare di quella parte dell’acquifero costiero che aveva la stessa portata idrica per circa 270.000 persone nel 1949 (200.000 rifugiati e gli altri abitanti autoctoni).

La quantità di acqua annuale fornita dalla parte di acquifero della Striscia di Gaza è di circa 57 milioni di metri cubi. Gli accordi di Oslo non hanno considerato la possibilità che grandi quantità di acqua venissero fornite a Gaza da altre parti, così come vengono fornite nelle zone più aride all’interno di Israele. Invece vi è stato un pompaggio eccessivo per molti anni, per una quantità di 100 milioni di metri cubi all’anno.

Secondo un rapporto annuale dell’Autorità per l’Acqua palestinese relativo alla situazione di Gaza, nel 2015 il livello delle falde acquifere andava dai 12 metri sopra il livello del mare nella parte sud est della Striscia ai 19 metri sotto il livello del mare nella zona di Rafah – che è considerato il livello più basso.

Ghosheh ha detto ad Haaretz che secondo lui la soluzione provvisoria più veloce e sicura è portare più acqua a Gaza da Israele – anche se ha aggiunto che si tratterebbe solo di una soluzione temporanea.

Non capisco perché le due parti non procedano verso questa soluzione. Oggi Israele fornisce” – cioè vende – “circa 7.5 milioni di metri cubi d’acqua all’anno a Gaza. Stanno parlando di aumentare questa quantità fino a 20 milioni di metri cubi, ma non si vedono ancora passi concreti in questa direzione – e neanche 20 milioni di metri cubi sono sufficienti. Si deve discutere di quantità molto più grandi” che Israele venderà a Gaza, ha detto.

Ma la Banca Mondiale – insieme alla Banca Europea di Ricostruzione e Sviluppo e alla Banca Islamica di Sviluppo – sta lavorando soprattutto ad una soluzione che l’Autorità Nazionale Palestinese ha adottato come parte della propria strategia: un grande impianto di desalinizzazione che, secondo il piano, fornirà circa 55 milioni di metri cubi all’anno; il costo di costruzione previsto si aggira intorno ai 500 milioni di dollari. Tre impianti di desalinizzazione più piccoli sono già operativi e forniscono circa 4 milioni di metri cubi all’anno – oltre a dozzine di piccole aziende di purificazione (dell’acqua).

Ci sono opinioni differenti tra gli esperti idrici palestinesi circa la soluzione della desalinizzazione. I favorevoli sono convinti che diminuirebbe la dipendenza di Gaza da Israele. I contrari sono preoccupati dei danni ambientali; sostengono che la dipendenza ci sarà sempre per quanto riguarda l’ingresso di materiali da costruzione e parti di ricambio; e avvertono che, da un punto di vista pratico, gli abitanti di Gaza non saranno in grado di sostenere i costi da soli (l’acqua desalinizzata costa di più). Inoltre il fatto è che un impianto di questo genere richiede un impiego costante di circa 25 megawatts di elettricità – che non è chiaro da dove possano arrivare.

C’è anche chi sostiene che i palestinesi non devono rinunciare alla richiesta di un’equa allocazione delle risorse idriche del paese e quindi a richiedere ad Israele di compensare la quantità d’acqua che estrae dalla Cisgiordania per il consumo dei cittadini israeliani e per i coloni – fornendo grandi quantità d’acqua alla Striscia di Gaza.

Nel 2009 la Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto dal titolo “Valutazione delle restrizioni allo sviluppo del settore idrico palestinese”, che descriveva in dettaglio l’iniqua distribuzione delle risorse idriche in Cisgiordania. Rispondendo alla domanda se l’ultimo comunicato stampa sia la prova che il rapporto del 2009 non è riuscito ad esercitare pressioni su Israele perché cambiasse la sua politica, Ghosheh ha sorriso. “ Lei fa domande difficili”, ha detto, aggiungendo: “Quando uno va a Gaza e vede la situazione, parla con la gente e vede quanto soffre e poi va ad un incontro nell’ufficio del Coordinatore delle Attività del Governo nei Territori [ente israeliano che governa nei Territori Occupati. Ndtr.], o dei paesi donatori o dell’Autorità Nazionale Palestinese e cerca di spiegare, capisce che non c’è relazione tra quello che vi si dice e la gravità della situazione.”

Adesso, dice Ghosheh, la Banca Mondiale sta preparando un nuovo rapporto che sarà incentrato sulla possibilità di opzioni di manutenzione e di maggiore efficienza nella gestione idrica palestinese. Secondo lui “ci sono cose che l’ANP può fare – come, ad esempio, l’efficienza. Prima che Israele iniziasse a desalinizzare l’acqua, ha cercato di ridurre la perdita d’acqua nelle tubature. Circa il 38% dell’acqua a Gaza viene perduto.”

Si è detto d’accordo sul fatto che Gaza deve negoziare per lunghi mesi con l’apparato di sicurezza israeliano per ogni grammo di materie prime o pezzi di ricambio introdotti nella Striscia, ma ha spiegato: “Lo studio viene fatto per fornire raccomandazioni non solo ai paesi donatori, ma anche agli utilizzatori,” riferendosi all’Autorità per l’Acqua palestinese ed agli enti locali. “Se vogliamo parlare di sicurezza dell’acqua dobbiamo parlare anche del contesto palestinese”, ha aggiunto.

Alla domanda se mettere l’accento sull’Autorità Nazionale Palestinese può essere visto come prendere di mira un facile bersaglio dopo che la pressione su Israele non ha ottenuto risultati, Ghosheh ha risposto: “Certo, i palestinesi sono il fattore debole dell’equazione ed è più facile ottenere un cambiamento con loro. Noi siamo un’istituzione per lo sviluppo, non un’istituzione politica. Loro possono fare dei miglioramenti al loro interno. Lo capiscono e stanno già facendo dei cambiamenti.”

La Banca Mondiale ha rinunciato a fare pressione su Israele perché modifichi la sua politica discriminatoria?

Il nostro scopo non è mai stato fare da mediatori, ma piuttosto supportare il popolo palestinese. Il nostro cliente è l’Autorità Nazionale Palestinese e noi le diamo consigli su che cosa è possibile e che cosa è impossibile.”

In altri termini, la sua conclusione è che è impossibile cambiare la politica israeliana relativamente all’ingiusta ed ineguale distribuzione dell’acqua?

Lei sta parlando di politica e questo non è il mio campo.”

 

(Traduzione di Cristiana Cavagna)