1

Regno Unito e Israele: è iniziata la lotta contro la strumentalizzazione dell’antisemitismo?

Jonathan Cook

25 settembre 2023 – Middle East Eye

Organizzazioni e accademici ebraici stanno finalmente smascherando la campagna diffamatoria dellestablishment britannico per mettere a tacere le critiche nei confronti di Israele e distruggere la sinistra

Secondo un nuovo sondaggio condotto nelle università britanniche unondata di accuse di antisemitismo molto compromettenti ma infondate si è scatenata contro studenti e accademici.

In 38 dei 40 procedimenti contro docenti, studenti, sindacati e associazioni studentesche nei cinque anni fino al 2022 non è stata trovata alcuna prova a sostegno delle accuse di antisemitismo. Negli altri due casi i procedimenti devono ancora concludersi.

Dietro le nude cifre si cela lenorme costo sostenuto dagli incriminati per tali false accuse: sofferenza personale, danni alla reputazione e alla carriera, nonché lulteriore effetto dissuasivo sulla libertà accademica nella più ampia comunità universitaria.

È improbabile che questo sia uno spiacevole effetto collaterale di quelle accuse. Sembra esserne esattamente lo scopo.

Questo mese Brismes, un’organizzazione che rappresenta gli accademici britannici che studiano il Medio Oriente, ha pubblicato in una relazione i risultati di un sondaggio da cui emerge che il numero delle accuse errate o calunniose di antisemitismo sarebbe in crescita.

Londata di accuse si è scatenata dopo che le università hanno iniziato ad adottare la definizione revisionata e altamente controversa di antisemitismo promulgata dallInternational Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) nel 2016.

Fino ad ora 3/4 delle università hanno approvato la definizione dopo che nel 2020 Gavin Williamson, in qualità di Ministro dellIstruzione, ha minacciato di tagliare i finanziamenti a chiunque si rifiutasse di farlo.

La maggior parte degli 11 esempi illustrativi dell’IHRA, alcuni dei quali, come rileva il rapporto, contraddicono la definizione principale, sposta l’attenzione dal significato tradizionale di odio verso gli ebrei per focalizzarsi sulla critica a Israele.

Come molti hanno paventato, ciò ha fornito ai più convinti sostenitori di Israele uno strumento che possono usare per diffamare chiunque esprima solidarietà con i palestinesi contro loppressione israeliana, intimidendo il pubblico e costringendolo a un silenzio complice.

In verità questo è sempre stato lobiettivo. La definizione dellIHRA è nata dagli sforzi segreti del governo israeliano di offuscare le tradizionali distinzioni tra antisemitismo e antisionismo per proteggersi dai critici, tra cui le organizzazioni per i diritti umani che mettono in evidenza il regime di apartheid di Israele contro i palestinesi.

I critici messi a tacere

L’ufficializzazione della definizione dell’IHRA ha rischiato di violare il dovere legale della Gran Bretagna di proteggere la libertà di parola. Il governo del Regno Unito è uno dei firmatari della Convenzione europea sui diritti umani e, paradossalmente, a maggio ha approvato una Legge sullIstruzione Superiore (libertà di Parola).

La legge è apparentemente progettata per “garantire agli studenti la possibilità di parlare liberamente dentro e fuori l’aula, offrendo allo stesso tempo maggiore protezione agli accademici che insegnano materie che potrebbero offendere alcuni studenti”.

Ciò potrebbe spiegare perché la task force governativa sullantisemitismo abbia voluto reclamizzarne il riscontro da parte delle università che, a suo dire, dimostrerebbe come ladozione della definizione IHRA non abbia avuto alcun impatto sulla libertà accademica.

Le prove raccolte da Brismes, supportate dalla ricerca dellEuropean Legal Support Centre, sembrano sfatare tale affermazione. La strumentalizzazione dell’antisemitismo sta creando nei campus universitari un clima che sempre più interdice la discussione sui crimini israeliani.

Ma la lezione da imparare dalla crescente strumentalizzazione dellantisemitismo nel mondo accademico non si limita alle università. Come Middle East Eye ha regolarmente documentato, tattiche diffamatorie simili, invariabilmente basate sulla definizione dellIHRA, sono state utilizzate per anni per mettere a tacere attivisti politici, organizzazioni per i diritti umani, illustri personaggi della cultura e palestinesi.

Lobiettivo dellestablishment britannico è stato quello di utilizzare la definizione IHRA per ripulire del tutto il discorso politico e sociale riguardante Israele lasciandovi solo le critiche più blande.

Questo contesto consente al Regno Unito di intensificare i legami commerciali con Israele e di approvare leggi che concedono a Israele protezioni speciali nel momento in cui è stato raggiunto un consenso da parte della comunità internazionale per i diritti umani sul fatto che Israele è uno stato di apartheid e dopo che lanno scorso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha incluso nel suo nuovo governo alcuni politici autoproclamatisi fascisti.

Senza un minimo segno contrario da parte del partito laburista allopposizione, il disegno di legge sullattività economica degli enti pubblici del governo britannico negherà a enti pubblici quali le autorità locali il diritto di sostenere il boicottaggio, le sanzioni e le campagne di disinvestimento contro Israele per la sua oppressione dei palestinesi.

La verità orwelliana della politica ufficiale è questa: più i crimini di Israele vengono resi pubblici, meno ci è permesso di parlarne o fare qualcosa.

Azione legale

Il rapporto Brismes è il segnale tardivo di una ribellione. Così come la decisione questo mese di attivisti politici ebrei di allertare la Commissione per le Uguaglianze e i Diritti Umani (EHRC) sul trattamento discriminatorio del partito laburista sotto la guida di Keir Starmer nei confronti di membri ebrei.

Jewish Voice for Labour (JVL), che rappresenta gli ebrei di sinistra nel partito, ha inviato una denuncia formale al Labour, preparata dallo studio legale Bindmans, accusandolo di “discriminare illegalmente i suoi membri ebrei e illegalmente vessarli “.

La lettera, inviata anche allorganismo di vigilanza per le pari opportunità, sostiene che gli ebrei vengono penalizzati, invariabilmente sulla base della definizione dellIHRA, a causa delle loro critiche espresse nei confronti di Israele. Lascia intendere che se le preoccupazioni dell’organizzazione non venissero affrontate potrebbero seguire delle azioni legali.

JVL specifica che i membri ebrei del Labour sentono una speciale responsabilità morale di parlare apertamente della brutalità israeliana nei confronti dei palestinesi perché quell’oppressione è portata avanti da Israele in nome di tutti gli ebrei.

Ciononostante, le statistiche sul Labour mostrano che i componenti ebrei del partito hanno probabilità sei volte maggiori rispetto ai non ebrei di essere indagati per antisemitismo, e quasi dieci volte di essere espulsi dal partito.

La lettera aggiunge che le vessazioni nei confronti dei componenti ebrei di sinistra da parte della sede centrale del partito laburista comprendono un “severo regime disciplinare” che li sottopone a indagini, nonché una riluttanza a prendere sul serio le loro denunce. undici dei dodici membri ebrei del comitato esecutivo della JVL sono stati indagati.

L’anno scorso John McDonnell, ex cancelliere ombra, scrisse lui stesso al partito ammonendo che un trattamento “irrispettoso” verso membri della JVL avrebbe costituito una discriminazione.

Jenny Manson, una delle fondatrici di JVL, ha detto a MEE che agli iscritti ebrei sottoposti a provvedimento disciplinare per presunta condotta antisemita veniva spesso richiesto di ricevere una formazione sull’antisemitismo nel caso volessero restare nel partito.

È una beffa crudele, persino brutale, etichettare questi membri ebrei come antisemiti quando essi possiedono un’esperienza e una comprensione approfondita del vero antisemitismo”, afferma.

I laburisti, aggiunge, non solo sembravano tollerare la loro rappresentazione come untipo sbagliato di ebrei, ma spesso appoggiavano implicitamente questa etichettatura razzista rifiutandosi di affrontare il problema dei comportamenti vessatori nei loro confronti.

Evidenze insabbiate

La notifica da parte della JVL al garante delle pari opportunità sul trattamento abusivo verso i membri ebrei del partito probabilmente metterà in imbarazzo Starmer. Richiama alla mente le affermazioni fatte contro il suo predecessore, Jeremy Corbyn.

Nel caso di Corbyn, a differenza di Starmer, non cerano prove al di là delle insinuazioni alimentate dai media che il Labour discriminasse gli ebrei o assecondasse lantisemitismo.

Ciononostante nel 2018 due organizzazioni filo-israeliane hanno deferito i laburisti alla EHRC sostenendo che sotto Corbyn lantisemitismo dilagasse. L’organismo di vigilanza aveva condotto un’indagine, la prima su un importante partito politico, i cui risultati sono stati divulgati due anni dopo.

Anche basandosi sulla definizione dellIHRA la Commissione per le Uguaglianze aveva potuto identificare solo due casi di ciò che ha definito vessazioni antisemite, in ogni caso da parte di una singola persona e non di strutture di partito.

In effetti la conclusione principale, sepolta sia nel rapporto che nella copertura mediatica, è stata che, quando i funzionari di Corbyn discriminavano interferendo nelle procedure disciplinari per antisemitismo, di solito erano a favore dei denuncianti. In altre parole, il partito laburista sotto Corbyn ha definito ingiustamente alcuni comportamenti come antisemiti pur mancando di prove.

Leccessiva solerzia da parte della squadra di Corbyn di sospendere o espellere membri per antisemitismo sulla base di prove inconsistenti non era affatto sorprendente, dato che tutti i media britannici stavano dipingendo i laburisti sotto la guida di Corbyn come un covo di antisemiti.

L’anno scorso unindagine indipendente di Martin Forde del King’s College, ordinata da Starmer, ha rivelato che la questione dellantisemitismo è stata utilizzata faziosamente come arma principalmente per danneggiare Corbyn e i suoi sostenitori di sinistra e rafforzare la destra laburista.

Linchiesta di Forde ha confermato molte delle rivelazioni contenute in un rapporto interno trapelato che dimostrava come la burocrazia laburista di destra avesse complottato contro Corbyn tirando per le lunghe dei casi disciplinari per metterlo in imbarazzo e cercando attivamente di sabotare la sua campagna elettorale del 2017.

Starmer ha fatto del suo meglio per insabbiare il rapporto Forde sin dalla sua pubblicazione lo scorso anno. Si sta anche preparando a rischiare fino a 4 milioni di sterline (4,6 milioni di euro) in spese legali per fare causa ad ex membri dello staff di Corbyn che accusa di aver fatto trapelare il rapporto.

Il partito laburista non ha risposto alla richiesta di commento di Middle East Eye.

Politica truccata

Paradossalmente ora, sotto la guida di Starmer, la discriminazione contro gli ebrei da parte dei laburisti è quantificabile: i membri ebrei critici nei confronti di Israele sono stati presi di mira in misura sproporzionata.

Un risultato del genere era ciò contro cui la squadra di Corbyn aveva esplicitamente messo in guardia durante la sua dirigenza, pur sottoposto com’era a forti pressioni da parte dei media e delle organizzazioni lobbistiche filo-israeliane.

Nonostante lesiguità delle prove contro Corbyn, lEHRC ha imposto al Labour un piano dazione, monitorandolo efficacemente per prevenire la continuazione o il ripetersidi atti illegittimi legati allantisemitismo. Piano d’azione che, ha aggiunto, “in caso di inadempienza sarebbe stato imposto giuridicamente dal tribunale”.

A quanto pare Jewish Voice for Labour sta smascherando il bluff dell’EHRC. Quando Corbyn era leader lorganismo per le pari opportunità era stato fin troppo pronto a indagare sui laburisti, anche sulla base di deboli prove di antisemitismo e vessazioni nei confronti degli ebrei.

Sottoporrà Starmer ad una indagine simile, soprattutto quando le prove di vessazioni contro dei membri ebrei del partito sembrano schiaccianti e il piano d’azione di chi controlla le pari opportunità viene così palesemente ignorato?

Non contateci troppo. Gia a gennaio lEHRC ha liberato i laburisti dalle misure speciali.

Un portavoce dell’EHRC ha detto a Middle East Eye che la commissione era “soddisfatta di come [il partito laburista] avesse implementato gli interventi migliorativi necessari riguardo le procedure di reclamo, tesseramento, formazione e altre sulla base degli standard legali richiesti”.

Come aveva comunicato Corbyn in risposta alla pubblicazione del rapporto della commissione nel 2020, la portata dellantisemitismo nel Labour sotto la sua guida è stata fortemente sopravvalutata per ragioni politiche dai nostri avversari allinterno e allesterno del partito. Quegli avversari hanno vinto.

Tuttavia la mancanza di preoccupazione per il fatto che gli ebrei vengano discriminati così apertamente da uno dei due maggiori partiti britannici dimostra quanto Corbyn avesse ragione.

Il furore non ha mai riguardato lantisemitismo o il benessere degli ebrei. Per alcuni si è trattato di mettere a tacere le critiche a Israele mentre per altri di impedire a un socialista moderato di avvicinarsi al numero 10 di Downing Street.

Starmer, che ha posto in cima al suo programma patriottismo, NATO e grandi imprese, non ha nulla da temere. A nessuno al potere importa quanto il suo partito perseguiti gli ebrei quando quegli ebrei sono di sinistra.

La strumentalizzazione dellantisemitismo sta ancora servendo al suo scopo: ha schiacciato politicamente la sinistra usando Israele come clava ed è ora impegnato a soffocare le discussioni nelle università che avrebbero potuto mettere in luce quanto fosse fasulla e politicizzata la campagna contro la sinistra.

Ecco perché la controffensiva è importante. Non si tratta solo di mettere le cose in chiaro. Si tratta di scoprire quanto sia veramente truccata la politica britannica.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Jonathan Cook è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese e vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. Il suo sito web e il blog sono disponibili all’indirizzo www.jonathan-cook.net

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




I sionisti liberal hanno smesso di credere che Israele si redimerà da solo

Philip Weiss

22 agosto 2023 – Mondoweiss

Per anni la posizione dei sionisti liberal [progressisti e moderatamente di sinistra, ndt.] è stata: “Stiamo con il meglio della natura di Israele, che si redimerà da solo.” Quello che hanno ottenuto in cambio di questa convinzione sono fascismo, razzismo violento e occupazione.

Adesso ciò sta cambiando. Grazie all’arroganza e al fascismo del governo di Netanyahu, i sionisti liberal americani si stanno rivoltando contro Israele. Stanno denunciando l’“apartheid” israeliana e chiedono boicottaggio e sanzioni contro Israele per le sue violazioni dei diritti umani.

Ovviamente i palestinesi e gli antisionisti dicono queste cose da molti anni. I sionisti liberal lo possono fare ora perché altri ebrei gli stanno dando il permesso di dirle. Ma, qualunque cosa uno pensi di tali politiche etnocentriche, nella comunità ebraica è in corso un cambiamento significativo (e certamente avrà conseguenze all’interno del Partito Democratico e, in ultima analisi, sulla politica USA).

Guardiamo come stanno le cose.

In primo luogo, c’è stata quella lettera del 5 agosto di studiosi ebrei/israeliani secondo cui Israele pratica “apartheid”, “suprematismo ebraico” e pulizia etnica con il beneplacito dei dirigenti degli ebrei americani. Ed è ora che gli ebrei americani chiedano un cambiamento. La lettera è nota perché uno dei firmatari è Benny Morris, uno studioso che ha giustificato l’espulsione dei palestinesi da parte di Israele durante la Nakba [la pulizia etnica durante la guerra del 1947-49, ndt.] come necessaria per la creazione di Israele.

Ora la lettera ha più di 1.900 firme, tra cui quella del 97enne Yehuda Bauer, uno studioso israeliano dell’Olocausto e presidente onorario in pensione dell’International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, composta da 24 Paesi, per lo più europei, ndt.], che ha emanato la falsa definizione di antisemitismo che include le dure critiche a Israele. E c’è il docente di filosofia Avishai Margalit dell’Università Ebraica, un amico di Michael Walzer ( che non ha firmato).

La Finestra di Overton [che definisce la gamma di idee accettabili nel dibattito sulle politiche pubbliche, ndt.] di una discussione accettabile si sta spostando rapidamente, evidenzia Peter Beinart [famoso editorialista e commentatore politico USA, ndt.], che ha firmato. Altri firmatari statunitensi sono Riva Hocherman, direttrice esecutiva di Metropolitan Books [importante casa editrice statunitense, ndt.], Dan Fleshler di Ameinu [organizzazione sionista legata al partito Laburista israeliano, ndt.], il rabbino Michael Lerner [politico e religioso californiano moderatamente critico con Israele, ndt.], David Nasaw, storico presso la CUNY [l’università della città di New York, ndt.], lo studioso Stephen Zunes [docente di relazioni internazionali contrario all’occupazione israeliana, ndt.] e il rabbino Arthur Waskow (mio collega studente al college della città di Baltimora).

All’inizio di questo mese, dopo che il parlamento israeliano ha sfidato le proteste di massa e ha votato per ridurre fortemente il potere della Corte [suprema] a favore del governo, vergogna riguardo a Israele, indignazione e richieste di agire sono argomenti di una discussione tra ebrei americani afflitti pubblicata da “Americans for Peace Now” [associazione USA affiliata all’omonima organizzazione pacifista israeliana, ndt.].

Queste sono alcune delle opinioni più taglienti:

Diane Blumson ha affermato che è tempo che i dirigenti dell’ebraismo statunitense chiamino Israele a rispondere delle violazioni dei diritti umani che risalgono a 75 anni fa:

“Provo una grande sofferenza e rabbia. Voglio sentire dai pulpiti di tutti i nostri rabbini e cantori che dobbiamo smettere di difendere Israele in quanto vittima come modo per giustificare le violazioni che hanno angariato i palestinesi fin dalla nascita dello Stato.”

Heidi Feldman ha osato condannare gli ignobili aspetti della formazione dell’identità ebraica:

“E’ come leggere la Bibbia, le parti imbarazzanti in cui gli israeliti sono bellicosi, insensibili, prepotenti e aggressivi sia nei confronti delle tribù attorno a loro che di chi tra loro è scettico. Non è l’ebraismo in cui io credo, io credo in un ebraismo in cui amiamo il nostro vicino, amiamo persino lo straniero.”

Harry Appelman ha invocato finalmente l’emancipazione dei palestinesi:

“Dobbiamo portare i cittadini palestinesi fuori dai margini e nel dibattito (e nell’elettorato), concentrando le proteste e le discussioni sull’occupazione.”

Anche Robert Snyder ha reso onore al potenziale politico dei palestinesi:

“(Dobbiamo) lavorare sempre più con i palestinesi all’interno di Israele e in Cisgiordania. Gli ebrei progressisti e liberal ora condividono molti interessi con i palestinesi all’interno di Israele e dovrebbero votare insieme per costruire una nuova maggioranza.” Ho più volte affermato che questo pensiero porta inevitabilmente a invocare uno Stato unico democratico e il BDS [movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele, ndt.].

Questo è un ragionamento di Michael Rahimi a favore del boicottaggio:

“Domani vado a Tel Aviv a trovare i miei parenti e accomiatarmi da loro. Finché le cose non cambieranno non tornerò in Israele. Non posso più sopportare quello che il Paese è diventato ed è un crimine quello che ne hanno fatto negli ultimi 20 anni… Lo stanno trasformando in un abominio.”

Ci sono state varie richieste a Biden di agire. Sembra la posizione di J Street [associazione filo-israeliana moderatamente contraria all’occupazione e legata al Partito Democratico, ndt.]. Dannazione, Biden deve fare qualcosa. Ma cosa? Non lo sappiamo! Da un anonimo:

“Penso che tutti sappiamo che c’è bisogno della voce di Biden. Temo che finora la risposta di Biden sia stata piuttosto moderata.”

Elliot Feldman chiede delle sanzioni:

È finito il tempo in cui erano sufficienti i discorsi. Le azioni di Israele devono avere delle conseguenze. L’amministrazione Biden potrebbe iniziare tornando indietro rispetto alla dottrina Pompeo [ministro degli Esteri dell’amministrazione Trump, ndt.]. Potrebbe aprire un ufficio consolare a Gerusalemme est. Potrebbe ri-destinare parte dell’aiuto militare a Israele per ricostruire case, comunità e infrastrutture palestinesi. Potrebbe mostrare un’opposizione più vigorosa nei confronti dell’ambiguità di Israele riguardo all’Ucraina.”

Robert O. Freedman vede favorevolmente un colpo di stato militare!

“Finché questo processo non verrà fermato o da uno sciopero generale che blocchi il Paese… o persino da un colpo di stato da parte dei generali israeliani che non vogliono veder svanire il potere di deterrenza delle IDF [l’esercito israeliano, ndt.], il futuro di Israele sembra piuttosto cupo.”

Parecchie voci parlano di guerra civile: “Sento che lo scenario da incubo di ebrei contro ebrei è arrivato,” dice uno.

Ricordo che quando questo sito iniziò ad esistere le persone dicevano abitualmente a me e ad Adam Horowitz [direttore esecutivo di Mondoweiss, ndt.]: “Perché presentate ogni giorno cattive notizie su Israele, sembrate ossessionati.” E io rispondevo: “Beh, noi siamo ossessionati, questo è un grande problema ebreo/americano, ci impedisce di vedere il sole.” Quindi non ce ne staremo zitti e a volte essere dissonanti è una virtù. Oggi sembra che ogni minuto che passa abbiamo sempre più compagnia.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Sempre più sionisti stanno infine ammettendo l’apartheid israeliano, ma poi cosa succede?

Jonathan Ofir

14 agosto 2023 – Mondoweiss

Il generale israeliano in pensione Amiram Levin e il giornalista sudafricano Benjamin Pogrund sono gli ultimi a intervenire sull’apartheid israeliano. Adesso sorge la domanda: che cosa intendono fare in proposito?

Ora che vi è consenso all’interno della comunità dei diritti umani sul fatto che Israele sia uno Stato di apartheid, molti incominciano ad ammetterlo, persino alcuni insigni israeliani e apologeti di Israele. Ma anche se affermano ciò che è evidente, cercano comunque di limitare il danno e al tempo stesso di celare la propria personale responsabilità e provare a circoscrivere i possibili rimedi.

E’ cominciato forse all’inizio di quest’anno, quando lo storico giornalista israeliano di centro Ron Ben Yishai ha messo in guardia dall’incombente apartheid come il principale obbiettivo delle riforme giudiziarie dell’attuale governo. Ora il generale israeliano in pensione Amiram Levin ha rilasciato un’intervista alla radio Kan in Israele in cui ha fatto riferimento al “totale apartheid” nella Cisgiordania occupata:

Da 56 anni non vi è democrazia. Vige un totale apartheid. L’IDF (esercito israeliano), che è costretto a gestire il potere in quei luoghi, è in disfacimento dall’interno. Osserva dal di fuori, sta a guardare i coloni teppisti e sta iniziando a diventare complice dei crimini di guerra.”

In Israele Levin è considerato un liberale ed ha un passato scandalosamente razzista. In passato ha minacciato di “fare a pezzi i palestinesi” e “cacciarli in Giordania”, ha detto che “i palestinesi hanno meritato l’occupazione” e che nella maggioranza i palestinesi sono “nati per morire comunque, noi semplicemente li aiutiamo a farlo”. Eppure sì, egli vede un “totale apartheid”.

L’intervista viene sulla scia di una recente lettera agli ebrei americani che li rimprovera di ignorare l’apartheid, l’“elefante nella stanza”. Molti accademici e personaggi pubblici israeliani hanno firmato questa lettera che al momento ha ottenuto più di 1500 firme. Tra i firmatari vi sono anche convinti sionisti come Benny Morris. La lettera contiene suggerimenti di azione, compresa una richiesta al governo USA di sanzionare Israele:

Si chiede che i leader eletti negli Stati Uniti agevolino la fine dell’occupazione, impediscano che gli aiuti militari americani vengano usati nei Territori Palestinesi Occupati e mettano fine all’impunità israeliana alle Nazioni Unite e in altre organizzazioni internazionali.”

Un chiaro appello all’azione che, volutamente o no, riecheggia gli appelli che gli attivisti del BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) lanciano da quasi 20 anni. Ma non tutti approvano che il BDS si rafforzi come naturale risposta a questo apartheid.

La settimana scorsa Benjamin Pogrund, che è stato giornalista nel Sudafrica dell’apartheid, ha scritto un articolo su Haaretz intitolato “Per decenni ho difeso Israele dalle accuse di apartheid. Non posso più farlo.” Pogrund spiega di essere stato interpellato nel 2001 dall’allora Primo Ministro israeliano Ariel Sharon per far parte della delegazione governativa di Israele alla Conferenza Mondiale Contro il Razzismo a Durban: “Il governo Sharon mi invitò a causa della mia esperienza di un quarto di secolo come giornalista in Sudafrica; la mia specializzazione era riferire in dettaglio sull’apartheid.” Ma dice di non poterlo più difendere. Cita la legge razzista dello ‘Stato-Nazione’ del 2018, che codifica i diritti esclusivi per chi ha nazionalità ebrea. Poi c’è l’occupazione:

Israele non può più addurre la sicurezza come motivo del nostro comportamento in Cisgiordania e dell’assedio di Gaza. Dopo 56 anni la nostra occupazione non può più essere definita temporanea in attesa di una soluzione del conflitto con i palestinesi. Stiamo andando verso l’annessione, con la richiesta di raddoppiare i 500.000 coloni israeliani già presenti in Cisgiordania.”

Purtroppo Pogrund ha già “annesso” Gerusalemme est, che fa parte della Cisgiordania, che aggiungerebbe circa 250.000 persone al numero di coloni citati. Ma la sua osservazione sulla temporaneità è valida – è una parte importante del perché non può essere definita occupazione, che si presume essere temporanea. E poi, sorprendentemente, si scaglia contro il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni per quello che definisce “ignoranza e/o malevolenza”:

In Israele sono ora testimone dell’apartheid in cui sono cresciuto. Israele sta facendo un regalo ai suoi nemici del movimento Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni e ai loro alleati, soprattutto in Sudafrica, dove la negazione dell’esistenza di Israele è forte tra molti neri, nei sindacati e negli ambienti comunisti e musulmani. Gli attivisti del BDS continueranno a lanciare le loro accuse, frutto di ignoranza e/o malevolenza, diffondendo menzogne su Israele. Hanno trasformato ciò che è già negativo in grottesco, ma ora lo rivendicano. Israele gli sta dando ragione.”

Pogrund è stizzito. Questi attivisti BDS sono arrivati prima di lui nel chiedere di redarguire Israele, ma vuole avere il controllo su quando definire qualcosa apartheid e quando no, quando difenderlo e quando no. Gli attivisti BDS utilizzano una strategia consolidata per isolare lo Stato dell’apartheid. Pogrund non vuole che ciò accada, ma sa che è destinato ad accadere, perché Israele alla fine li legittimerà.

Che prospettiva confusa.

Sia Pogrund che Levin sono arrabbiati, ma è chiaro che la loro rabbia non è dovuta al crimine contro l’umanità che si compie contro i palestinesi, ma a ciò che accade a loro. Levin, un veterano dell’apparato di sicurezza di Israele e responsabile proprio del sistema che ora critica, si scaglia contro l’attuale governo. Non addita le proprie responsabilità e fa di tutto per dire che non sta esprimendo preoccupazione per i palestinesi.

Non sto dicendo questo perché mi importa dei palestinesi. Mi importa di noi. Ci stiamo uccidendo dall’interno. Stiamo disfacendo l’esercito, stiamo disfacendo la società israeliana”, dice. Ed è tutta colpa di “Bibi” (il soprannome di Netanyahu). “Bibi ha fallito”.

Ciò è estenuante: il tipico narcisismo israeliano. Non ci importa dei palestinesi. Guardate che cosa provoca a noi questa occupazione. 

E’ interessante come si stia diffondendo il riconoscimento dell’apartheid, ma dobbiamo stare attenti ai sionisti che cercano di prendere il controllo della narrazione e limitare il dibattito. L’apartheid israeliano non è qualcosa che accade “da qualche parte”. E’ l’apartheid dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo); è dovunque. E queste risposte sono anche un buon promemoria del perché la supremazia ebraica non porrà fine a sé stessa dall’interno, l’unica risposta è dall’esterno.

Jonathan Ofir

Musicista israeliano, conduttore e blogger che vive in Danimarca.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Giudea vs “Fantasy Israel”: Ilan Pappe sul crollo dei pilastri israeliani e le opportunità per la Palestina

Ilan Pappe

31 luglio 2023 – Palestine Chronicle

La futura Palestina libera e affrancata dal sionismo può sembrare ora una fantasia, ma a differenza del “Fantasy Israel”, ha la migliore chance di coinvolgere a livello locale, regionale e globale chiunque possegga un minimo senso etico.

Infatti la legittimità di Israele, la sua stessa possibilità di sopravvivenza, poggia su due pilastri principali.

In primo luogo, il pilastro materiale, che comprende la sua forza militare, le risorse legate all’alta tecnologia e un solido sistema economico.

I suddetti fattori consentono allo Stato di costruire una solida rete di alleanze con Paesi che vorrebbero beneficiare di ciò che Israele ha da offrire: armi, risorse in materia di sicurezza, spyware, conoscenze di alta tecnologia e sistemi modernizzati di produzione agricola.

In cambio Israele non chiede solo denaro ma anche sostegno nel contrastare il degrado della sua immagine internazionale.

In secondo luogo, il pilastro morale. Questo aspetto è stato particolarmente importante nei primi momenti del progetto sionista e della costruzione dello Stato.

Israele ha venduto al mondo una duplice narrazione: la creazione di Israele come l’unica panacea per l’antisemitismo e la fondazione di Israele in un luogo appartenente sul piano religioso e culturale al popolo ebraico.

La presenza di una popolazione indigena, il popolo palestinese, è stata inizialmente negata del tutto; poi, è stata sminuita. E quando l’esistenza dei palestinesi è stata finalmente riconosciuta, è stata presentata come una sfortunata coincidenza.

Allora Israele, l’autoproclamata “unica democrazia in Medio Oriente”, si è ridefinito come un generoso pacificatore disposto a risolvere il problema offrendo “concessioni” sul suo presunto diritto all’intera Palestina storica.

Crollo della “Moralità”

È difficile individuare esattamente quando il pilastro morale su cui si reggeva Israele ha iniziato a erodersi, al punto che ora si sta sgretolando davanti ai nostri occhi.

Qualcuno potrebbe dire che questo processo sia stato avviato nel 1982 con l’invasione israeliana del Libano, mentre altri considerano come momento di trasformazione la Prima Intifada palestinese nel 1987. Ad ogni modo, l’immagine di Israele agli occhi dell’opinione pubblica mondiale si sta modificando da decenni.

Ma ciò che spesso viene ignorato è che, se non fosse stato per la resistenza e la resilienza palestinese, la legittimità e la moralità dello Stato ebraico non sarebbero state messe alla prova, mentre ora [il suo agire] è continuamente considerato come contrario al diritto internazionale, il buon senso e l’etica comportamentale.

Direi che già nel 1948 – quando Israele fu dichiarato uno Stato sorto sulle rovine della Palestina storica – i fatti sul campo divennero noti a sempre più persone in tutto il mondo. Questo è stato un risultato diretto degli sforzi compiuti dai palestinesi e dalle loro reti di solidarietà in continua crescita.

L’immagine di Israele – sia sul piano interno che internazionale – come Stato democratico e membro delle “nazioni civili” non sembrava corrispondere alle nuove informazioni. Sempre di più la cosiddetta democrazia israeliana è stata smascherata come un regime di apartheid, che abusa quotidianamente dei diritti civili e umani dei palestinesi.

Tuttavia, non sembra che la rivelazione della vera natura di Israele e il diffuso rifiuto pubblico della narrazione israeliana abbiano avuto un riscontro da parte delle élite politiche al potere e dei governi di tutto il mondo, il cui atteggiamento nei confronti di Israele è rimasto sostanzialmente invariato.

Al contrario, i governi del nord del mondo sono quelli che conducono la battaglia contro i vari movimenti di solidarietà con i palestinesi. Sembrano determinati a sopprimere la libertà di parola delle proprie comunità legiferando contro le iniziative civili che richiedono boicottaggio, sanzioni e disinvestimento nei confronti di Tel Aviv.

Non va molto meglio nell’emisfero sud, dove governi e autorità politiche ignorano la richiesta delle loro società di prendere una posizione ferma contro Israele. Tra di loro i regimi arabi, che fanno la fila per normalizzare i loro rapporti diplomatici con Tel Aviv.

Fino alle ultime elezioni del novembre 2022 in Israele sembrava che il silenzio e/o la complicità internazionale avessero protetto Israele dal tradurre il cambiamento dell’opinione pubblica in azioni concrete. La prova di ciò è stata che il lavoro coraggioso e davvero impressionante di organizzazioni come il Movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) non ha influenzato minimamente la realtà sul terreno.

Fino al novembre 2022 pensavo che l’incapacità di tradurre l’opinione pubblica in politiche concrete fosse il risultato del cinismo dei nostri sistemi politici in tutto il mondo. Tuttavia ora credo fortemente che solo un cambiamento nella conduzione della politica dall’alto tradurrà l’incredibile solidarietà con i palestinesi in un effetto determinante sul terreno.

Quando Israele ha offerto alla Germania missili del valore di 4 miliardi di euro e ai Paesi Bassi un altro tipo di missile del valore di 300 milioni di euro (per proteggerli da cosa esattamente?), i commentatori politici in Israele hanno sostenuto che tali armi sarebbero servite come il miglior antidoto contro ciò che chiamavano la campagna per delegittimare Israele.

I media israeliani hanno annunciato con grande orgoglio che le armi avrebbero consentito al Paese di comprare il silenzio dell’Europa in modo che qualsiasi parola di condanna delle atrocità commesse dai soldati e dai coloni israeliani in Palestina non si traducesse in azione.

Fantasy Israel” vs la Giudea

Eppure c’è di più. Un certo elettorato ebraico all’interno di Israele si è persino ingannato – anzi, lo fa tuttora – nel credere che l’Occidente appoggi Israele perché aderirebbe a un sistema di valori” occidentale basato sulla democrazia e sul liberalismo.

Io chiamo questo costrutto culturale “Fantasy Israel”

Nel novembre 2022, “Fantasy Israel” è crollato a tutti gli effetti.

L’elettorato ebraico israeliano che ha vinto le elezioni non ha mai avuto molta ammirazione per i “sistemi di valori” occidentali di democrazia e liberalismo.

Al contrario, desidera vivere in uno Stato ebraico più teocratico, nazionalista, razzista e persino fascista; uno Stato che si estenda su tutta la Palestina storica, compresa la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

Gli israeliani chiamano questa idea alternativa dello Stato, “Giudea”, che ora è in guerra con “Fantasy Israel”.

Al popolo della Giudea non interessa la legittimità internazionale. I loro leader e guru sono molto colpiti dai nuovi alleati di Israele nel mondo, siano essi i leader dei partiti di estrema destra in Occidente o i movimenti di estrema destra in Paesi come l’India.

Questi leader nazionalisti e fascisti sembrano ammirare lo Stato della Giudea e sono disposti a fornirgli una rete internazionale di sostegno. Questo si è già tradotto in politica in Paesi dove l’estrema destra è molto potente, come Italia, Ungheria, Polonia, Grecia, Svezia, Spagna e, se Trump vincerà nuovamente, anche Stati Uniti.

In apparenza, lo scenario apertosi nel novembre 2022 sembrava molto cupo.

Tuttavia questo non è del tutto vero.

Il fallimento di “Fantasy Israel” ha messo in luce una interessante connessione tra i pilastri morali e materiali.

È emerso che il sistema capitalista neoliberista non ha motivo di investire nello Stato della Giudea se effettivamente sostituisce “Fantasy Israel”. Le società finanziarie e l’industria di alta tecnologia internazionali considerano Stati come la Giudea delle mete imprevedibili e rischiose per gli investimenti stranieri.

In effetti stanno già ritirando da Israele i loro fondi e investimenti da Israele. Il movimento BDS dovrebbe lavorare molto duramente per convincere sindacati e chiese di tutto il mondo a disinvestire da Israele miliardi di dollari per eguagliare i fondi che sono già stati portati fuori da Israele dal novembre 2022.

Questo tipo di disinvestimento non nasce da ragioni morali. In passato Israele, nonostante la sua spietata oppressione dei palestinesi, è stata una destinazione attraente per gli investimenti finanziari internazionali.

Ma sembra che l’immagine del “Fantasy Israel”, e in particolare l’idea che il suo sistema giudiziario fosse in grado di proteggere gli investimenti neoliberisti e capitalisti, convincesse gli investitori stranieri a versare denaro in Israele pregustando in cambio buoni dividendi.

Ora le prospettive dello Stato della Giudea in sostituzione del “Fantasy Israel” stanno seriamente compromettendo la sopravvivenza economica dello Stato ebraico. Pertanto, la capacità di Israele di usare la sua industria o il suo denaro per influenzare le politiche di altri Paesi nei confronti dello Stato ebraico è più limitata.

Tempo di mobilitazione

Il crollo del “Fantasy Israel” ha anche messo in luce crepe nella coesione sociale e nella prontezza di molti israeliani a dedicare tanto tempo ed energia al servizio militare quanto in passato.

Inoltre, l’attacco al sistema giudiziario israeliano e l’erosione della sua presunta indipendenza esporrà soldati e piloti israeliani a possibili incriminazioni come criminali di guerra all’estero da parte di singoli Paesi o della Corte Penale Internazionale (CPI). Infatti il diritto internazionale non può intervenire nelle questioni interne se i sistemi giudiziari locali sono considerati indipendenti e solidi.

Questo è un raro momento nella storia che apre opportunità per coloro che lottano per la liberazione e la giustizia in Palestina.

In un incontro a Teheran l’Iran ha consigliato al movimento palestinese Hamas e al movimento libanese Hezbollah di astenersi da qualsiasi azione e consentire un’implosione di Israele dal suo interno.

Non sono d’accordo, anche se non voglio dire che ci sia, o ci sia mai stata, una possibilità per liberare militarmente la Palestina. Tuttavia questo è il momento di rinvigorire la resistenza popolare palestinese e unire sia i palestinesi che i loro sostenitori intorno a una visione e un programma concordati. Questa mobilitazione è radicata nella lotta nazionale palestinese per la democrazia e l’autodeterminazione fin dal 1918.

La futura Palestina liberata e affrancata dal sionismo può sembrare ora una fantasia ma a differenza del Fantasy Israel” ha la migliore chance di coinvolgere a livello locale, regionale e globale chiunque possegga un minimo senso etico. Fornirebbe anche un posto sicuro per chiunque viva attualmente nella Palestina storica o per chiunque ne sia stato espulso: i rifugiati palestinesi sparsi in tutto il mondo.

Ilan Pappé è docente all’Università di Exeter. In precedenza è stato professore associato di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È autore di The Ethnic Cleansing of Palestine [La pulizia Etnica della Palestina, Fazi, 2008, ndt.], The Modern Middle East [Il Medio Oriente Moderno, ndt.], A History of Modern Palestine: One Land, Two Peoples, [Storia della Palestina moderna: Una terra, due popoli, Ed. It. Einaudi 2014, ndt.] e Ten Myths about Israel, [Dieci miti su Israele, Tamu, 2022 ndt.]. Pappé è considerato uno dei “Nuovi storici” di Israele che, sin dalla pubblicazione nei primi anni ’80 di documenti relativi alle amministrazioni britannica e israeliana, ha riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La visita di Herzog negli Stati Uniti nasconde i crimini israeliani, ma emergono motivi di speranza.

Majdi Khaldi

29 luglio 2023 – Middle East Eye

Il discorso del presidente israeliano al Congresso è stato un mero esercizio di pubbliche relazioni mentre l’appoggio statunitense ai diritti dei palestinesi sembrerebbe il più alto da sempre.

Proprio mentre il governo israeliano promuove un numero senza precedenti di unità abitative nelle colonie e adotta decine di leggi discriminatorie, i politici occidentali continuano a lodare i valori “democratici” e “liberali” di Israele.

È come se si affannassero a trovare ogni scusa per proteggere Israele qualunque cosa faccia.

Questo atteggiamento è stato il presupposto del recente discorso del presidente israeliano Isaac Herzog al Congresso USA, in cui ancora una volta il messaggio di impunità per le violazioni e i crimini israeliani è stato sostenuto oltre ogni considerazione per le leggi internazionali, i diritti umani o persino gli stessi principi del Processo di Pace per il Medio Oriente sponsorizzato a suo tempo dagli USA.

Il discorso di Herzog ha difeso adeguatamente gli interessi del primo ministro Benjamin Netanyahu. Ha glorificato un Israele mitico come faro di democrazia e uguaglianza, come se decine di leggi israeliane che negano ai palestinesi i loro diritti non esistessero, mentre gli ebrei israeliani godono dei pieni diritti dello Stato. Sono in vigore più di 70 leggi discriminatorie contro i palestinesi che secondo diverse organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch e persino l’israeliana B’Tselem configurano il crimine di apartheid.

Tra gli esempi ci sono la legge dello Stato-Nazione del popolo ebraico, secondo cui l’autodeterminazione è riservata solo agli ebrei la legge del Ritorno, che consente solo agli ebrei di entrare e ottenere la cittadinanza dello Stato; la legge sulla Proprietà degli Assenti, che codifica il furto di proprietà dei rifugiati palestinesi da parte dello Stato; infine il divieto di riunificazione delle famiglie palestinesi, che nega alle famiglie palestinesi cristiane e musulmane di Gerusalemme o di Israele il diritto di vivere insieme se un coniuge ha la carta d’identità palestinese.

Nessun interesse per la pace

Herzog non ha parlato della soluzione a due Stati, ma dei “vicini palestinesi” di Israele come se non fossero sottoposti all’occupazione israeliana, giocando il classico gioco di incolpare gli altri. Ciò che Herzog ha anche dimenticato di citare è che i “vicini” includono più del 50% della popolazione dei territori controllati da Israele, che consegna alla sua minoranza demografica pieni diritti negando nel contempo i diritti civili e umani al popolo palestinese.

Inoltre non ha menzionato il fatto che il territorio occupato nel 1967, compresa Gerusalemme est, in base al diritto internazionale è della Palestina. È semplicemente vergognoso, anche per centinaia di migliaia di cittadini palestinesi-americani, che i politici statunitensi abbiano ospitato al Congresso la negazione della Nakba e l’occultamento dell’occupazione da parte di Herzog.
Si è trattato di un puro esercizio di pubbliche relazioni piuttosto che di un tentativo di fare la pace. Al massimo è stato un tentativo personale da parte del presidente israeliano di presentare le sue credenziali a Washington in un momento in cui i rapporti tra l’amministrazione Biden e Netanyahu sembrano essere tesi.

Tuttavia i loro problemi non riguardano il popolo palestinese, la cui negazione dei diritti a Washington sembra essere stata normalizzata, ma piuttosto le dispute interne a Israele riguardo alle riforme giudiziarie di Netanyahu.

In effetti lo stesso Congresso USA che sostiene le politiche israeliane contro il popolo palestinese non molto tempo fa appoggiava l’apartheid in Sud Africa. La vasta maggioranza delle iniziative prese dall’amministrazione Trump a sostegno all’annessione israeliana e alla negazione dei diritti dei palestinesi non è stata revocata dall’attuale governo, mentre il Congresso considera ancora l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina un gruppo terroristico proprio come fece con l’African National Congress [il partito di Mandela, ndt.]. Herzog rappresenta la tradizionale diplomazia israeliana che nasconde crimini di guerra con un sorriso e una stretta di mano. La sua descrizione del governo israeliano è stata raffinata e fatta su misura per un pubblico di persone già desiderose di concedergli il podio. Ovviamente non ha citato i sionisti religiosi radicali del suo governo perché sono una pubblicità negativa. Nel contempo sono stati attuati sul terreno i disastrosi progetti del colono di estrema destra e ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che chiaramente invocano una seconda Nakba [la pulizia etnica di cui furono vittime i palestinesi nel 1947-49, ndt.] senza uno Stato palestinese, con l’espulsione forzata e l’apartheid.

Ragioni di Speranza

Ma ci sono ancora ragioni di ottimismo. Il boicottaggio che alcuni membri del Congresso hanno messo in atto contro il discorso del presidente israeliano è più significativo di quanto alcuni credono, in quanto rappresenta la crescente percentuale di americani che appoggiano i diritti dei palestinesi.

Nella comunità statunitense per i diritti umani c’è un crescente riconoscimento dell’apartheid israeliana e più comunità religiose ed altre organizzazioni della società civile stanno chiedendo di prendere misure concrete contro l’occupazione israeliana, anche attraverso il boicottaggio e il disinvestimento.

Quanti sostengono l’impunità di Israele sembrano essere sovrarappresentati rispetto all’opinione pubblica USA. Questi segnali potrebbero essere un punto di svolta nella lotta per la libertà, la giustizia, l’uguaglianza e la pace. Il popolo palestinese e i suoi alleati continueranno la lotta, ovunque siano, per la libertà e rinnovano appelli agli USA e ai Paesi europei perché prendano misure di responsabilizzazione per mettere in pratica, con molto ritardo, i diritti inalienabili del popolo palestinese. Ciò dovrebbe includere azioni contro il terrorismo dei coloni. Inoltre è adesso chiaro che il riconoscimento dello Stato di Palestina è un passo urgente che gli USA e l’UE dovrebbero prendere per confermare il loro sostegno a una soluzione politica piuttosto che rimanere in silenzio riguardo alle azioni di un governo di coloni e altri estremisti che dettano i termini dell’impegno.

I tentativi di sdoganare le politiche israeliane non faranno sparire il popolo palestinese. Nel momento in cui il governo israeliano sta mettendo in atto iniziative intese a consolidare l’annessione di tutta la Palestina storica, la risposta di quanti hanno a cuore la pace fondata su un ordine mondiale basato sulle leggi dovrebbe essere di prendere iniziative per la libertà dei palestinesi piuttosto che rafforzare l’occupazione israeliana.

Il discorso di Herzog al Congresso rappresenta la perpetuazione dello status quo, in cui i diritti dei palestinesi sono negati. Ma lo spostamento dell’opinione pubblica statunitense a favore dei palestinesi e i parlamentari che hanno boicottato la sessione con il presidente [israeliano] sono una fonte di speranza lungo il cammino per raggiungere la libertà e l’indipendenza dei palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

L’ambasciatore Majdi Khaldi è membro del Consiglio Nazionale Palestinese e consigliere diplomatico esperto del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




“Unite the Union” condanna la legge britannica contro il boicottaggio e conferma il suo appoggio al BDS

Redazioni di Middle East Monitor e Palestine Chronicle

15 luglio 2023 – Palestine Chronicle

Venerdì 14 luglio Unite the Union, che rappresenta 1.2 milioni di lavoratori nel Regno Unito, ha approvato tre fondamentali mozioni riguardanti l’occupazione israeliana e la continua lotta dei palestinesi per la libertà.

Le risoluzioni riaffermano la costante solidarietà del sindacato con la lotta del popolo palestinese per la liberazione, il sostegno all’appello palestinese per una campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni finché Israele non porrà fine alle violazioni dei diritti dei palestinesi ed ha anche condannato la legge contro il boicottaggio del governo britannico attualmente in discussione in una commissione alla Camera dei Comuni.

Nel suo congresso Unite the Union [il secondo sindacato britannico per numero di iscritti, ndt.] ha notato che l’anti-boicottaggio, impedendo a enti pubblici di interrompere rapporti finanziari con esse riguardo ad abusi o azioni illegali commessi in uno Stato estero, salvo previo esplicito consenso da parte del governo, protegge le imprese coinvolte in violazioni dei diritti umani o nella distruzione ambientale.

La legge viola anche i diritti degli affiliati al sistema pensionistico degli enti locali, tra cui i membri di Unite the Union, impedendo loro di scegliere come vengono investiti i propri fondi pensione.

Un’altra mozione, anch’essa approvata venerdì, afferma che il sindacato riconosce che Israele pratica il crimine di apartheid e chiede di revocare la proposta del governo britannico di un accordo di libero scambio con Israele.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Jenin: tutta la storia, intervista con Mustafa Barghouti

Mustafa Barghouti

7 luglio 2023 – PalestineDeepDive

Il dottor Mustafa Barghouti è il leader di Iniziativa Nazionale Palestinese e anche il presidente della Società Palestinese di Assistenza Medica. È stato candidato alla presidenza nelle elezioni palestinesi ed è medico. 

Questa settimana il dr. Barghouti ha passato parecchi giorni a Jenin, è entrato nella città e nel campo profughi nel secondo giorno dell’incursione e degli attacchi israeliani che hanno ucciso 12 palestinesi, fra cui 4 minori. 

Palestine Deep Dive [Approfondimenti sulla Palestina, rivista on-line, ndt.] ha ottenuto un’intervista esclusiva con il dr. Barghouti per ascoltare il suo resoconto su come si sono svolti gli attacchi israeliani contro Jenin, sull’entità dei danni dopo il massacro, sul conseguente stato d’animo della gente sul posto. Vogliamo anche conoscere la sua opinione su come oggi i palestinesi sono trattati dai principali mezzi d’informazione.

PDD: Può riassumerci gli eventi di questa settimana a Jenin?

Dr Barghouti: Certo. Beh, prima di tutto lasciatemi dire che l’attacco israeliano contro Jenin non è in alcun modo giustificato. Non era diretto solo contro il campo di Jenin, ma anche contro l’intera città. Per pattugliare la zona Israele ha usato tutto il suo arsenale militare: blindati, carri armati, elicotteri Apache e caccia F-16.

Hanno usato razzi e droni per attaccare una popolazione essenzialmente di civili, in una delle zone più densamente popolate del mondo: il campo profughi di Jenin infatti conta 16.000 persone che vivono in meno di mezzo chilometro quadrato.

L’esercito ha mirato ad arrestare o uccidere persone che stanno resistendo all’occupazione, ma non ci sono riusciti, a parte uccidere 12 persone fra cui 4 minori di età inferiore ai 17 anni. Poiché hanno fallito, hanno condotto arresti arbitrari di persone che non fanno realmente parte della resistenza. Hanno anche condotto attacchi terribili e causato enormi danni al campo.

Hanno utilizzato carri armati e bulldozer corazzati che hanno demolito le strade principali e il campo, distruggendo anche delle case, moltissime auto, dando poi fuoco a molti edifici nella città di Jenin, così come nel campo profughi.

Hanno anche usato droni per lanciare razzi contro i civili. Sono stato in molte case che sono state completamente, totalmente distrutte. È stato veramente un miracolo che non siano state uccise molte più persone, ma ci sono stati comunque almeno 200 feriti. Il numero ufficiale è 130, ma in realtà molti preferiscono essere curati a casa piuttosto che in ospedale per paura di essere arrestati. A Jenin ho visitato gli ospedali principali che sono molto vicini al campo, e ho visto i feriti, persone a cui hanno sparato con l’intento di uccidere.

I feriti hanno pallottole nell’addome, nel petto e nelle gambe. Tutti i proiettili usati sono ad alta velocità e lo scopo era di uccidere. Ho visto un uomo colpito alla testa, con il cervello spappolato, prima che lasciassimo l’ospedale ne hanno annunciato la morte. Ma hanno compiuto terribili massacri anche dentro le case, attacchi terribili contro le persone. Le loro famiglie mi hanno detto che l’esercito è entrato nelle case attraverso i muri.

Sono andati da una casa all’altra aprendosi dei varchi nei muri e quindi le famiglie improvvisamente si sono trovate davanti i soldati. Hanno separato gli uomini dalle donne, ammanettato gli uomini, isolandoli in una stanza separata per poi arrestarne la maggioranza, mentre le donne erano in una zona separata, tutte nella stessa stanza. Di solito l’esercito interrompe l’erogazione dell’elettricità. Come sapete la zona è molto calda, è estate, la gente è rimasta bloccata nelle stanze senza acqua, cibo, provviste e con un gran caldo. Molti sono anziani che soffrono di ipertensione, diabete e cardiopatie.

Sono stati tenuti così per due giorni mentre l’esercito occupava il resto della casa, in molti casi l’hanno usata per creare postazioni per i cecchini per sparare alle persone che pensavano facessero parte della resistenza. Molte famiglie mi hanno detto che i soldati hanno rubato loro i soldi. Ci sono dei piccoli, contenitori, non so come li chiamano, in cui i bambini conservano i loro soldini, uno sembrava un giocattolo: li hanno rotti e hanno preso i risparmi dei bambini!

Ma, peggio ancora, hanno isolato i minori, in alcuni casi in una stanza con un ufficiale o un soldato per interrogarli, cercando di costringerli a testimoniare contro i familiari, per esempio a dire che i familiari avevano delle armi. Quando non ci sono riusciti hanno portato nella stanza un cane per terrorizzarli mentre erano separati dalle famiglie. Questo è il tipo di comportamento dell’esercito israeliano. Oltre a ciò hanno attaccato le ambulanze, impedendo alle equipe mediche di raggiungere i feriti in tempo. Hanno sparato a un ragazzo, Hamesia, e l’hanno lasciato a morire dissanguato, il suo corpo è stato trovato solo ore dopo perché l’esercito non ha permesso a nessun medico di avvicinarglisi.

Hanno sparato alle ambulanze, al personale di pronto soccorso e ai giornalisti. C’è un video in cui si vede l’esercito sparare 10 volte da un blindato contro una macchina da presa di una TV e una troupe della stazione televisiva Al-Araby. Solo un miracolo ha salvato questi giornalisti dall’essere uccisi, come era accaduto in precedenza a Shireen Abu Akleh nella stessa zona, e non sorprende che si siano comportati così con i nostri giornalisti. Nel corso degli ultimi 10 anni l’esercito ha ucciso 52 giornalisti palestinesi nel corso di vari attacchi contro i civili.

Fino ad ora il numero totale di palestinesi uccisi dall’esercito israeliano è 197, i feriti sono molte centinaia. Queste sono le cifre più alte dal 2005. L’attacco contro Jenin ha fallito nel senso che non sono riusciti a catturare le persone che cercavano.

PDD: cosa voleva ottenere il primo ministro Benjamin Netanyahu invadendo Jenin?

Dr Barghouti: Netanyahu ha dichiarato molto chiaramente che il suo obiettivo è non solo prevenire la fondazione di uno Stato palestinese indipendente, ma soprattutto togliere completamente dalla testa della gente anche solo l’idea di uno Stato palestinese. Ha dichiarato che il suo governo fascista ha annunciato dei piani per espandere le colonie con una velocità senza precedenti. Hanno già costruito 50 nuove colonie illegali, cosa che non succedeva da anni. Hanno dichiarato la costruzione di non meno di 13.000 nuove abitazioni nelle colonie.

Hanno rivelato che il loro obiettivo è di legalizzare tutti gli avamposti di insediamento creati dai coloni, inclusi i sette nuovi che hanno ricevuto un’autorizzazione da questo nuovo governo. Il numero totale di avamposti di insediamento è 171. Il piano di Netanyahu è di riempire la Cisgiordania con 151 di queste nuove colonie che andranno ad aggiungersi alle altre. Smotrich, il secondo più importante ministro del governo e che si è auto-dichiarato fascista e omofobo, ha reso noto la strategia dell’establishment israeliano.

Ha detto che riempirà la Cisgiordania di coloni e colonie, cosicché i palestinesi perderanno ogni speranza di ottenere un loro Stato e poi avranno una scelta fra tre opzioni: emigrare, morire o accettare una vita di sottomissione a questo regime. Ben-Gvir ha detto che hanno ucciso 120 palestinesi e che ne uccideranno altre migliaia. Ecco il tipo di linguaggio che questo governo sta usando. Allora qual è il piano di Netanyahu?

Il piano di Netanyahu è annettere completamente tutta la Cisgiordania e ebraizzarla, impedire la creazione di uno Stato palestinese indipendente, non concedere la libertà ai palestinesi e allo stesso tempo uccidere chiunque resista a queste ingiustizie. Quando parla di uccidere e arrestare i palestinesi che resistono all’occupazione egli intende praticamente chiunque respinga questi orrendi progetti di mantenere l’occupazione e il sistema di apartheid in Palestina. Non ci sta riuscendo perché l’intero popolo palestinese non accetterà mai una vita di schiavitù sotto l’occupazione israeliana e il suo sistema di apartheid. 

Praticamente quello che Netanyahu sta facendo è esattamente quello che Einstein ha descritto come follia: quando uno continua a fare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Noi siamo stati vittime dell’oppressione israeliana per i 56 anni di occupazione e 75 anni di pulizia etnica avvenuta durante la Nakba nel 1948 e loro hanno continuato ad opprimerci, ma noi non abbiamo mai smesso di resistere a questa ingiustizia in ogni modo possibile. Ed ecco il motivo per cui dico che Netanyahu sta fallendo, perché il suo obiettivo di soggiogarci non avrà mai successo. Nel frattempo tantissimi hanno perso la loro vita, anche in questa fase, e penso che la morte di ogni palestinese, e di ogni israeliano, sia responsabilità del governo israeliano, anche se le cifre sono così diverse.

Quando si paragona il numero dei palestinesi uccisi con quello degli israeliani la discrepanza è enorme, ma io penso che tutti, il sangue di tutti, palestinesi o israeliani, sia sulle mani di questi estremisti e fascisti come Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir, che impediscono che la pace prevalga in quest’area o che qui ci sia giustizia. 

Credo che ora ci troviamo davanti a uno dei governi più estremisti, ma la cosa tragica è che l’opposizione sionista in Israele, che si oppone a Netanyahu riguardo alla riforma del sistema giudiziario, non ha nulla da obiettare a quello che si sta facendo a noi palestinesi. In realtà tutti i leader dell’opposizione hanno sostenuto gli attacchi contro il campo di Jenin e quelli contro i palestinesi. È veramente di poco aiuto e molto deludente perché significa che sfortunatamente tutti i partiti sionisti stanno sostenendo il sistema di occupazione, apartheid e fascismo e la crescita del fascismo che sta riguardando Israele stesso.

Ci sono stati molti saggi leader israeliani che a un certo punto hanno detto che l’occupazione diventerà il cancro che divorerà Israele dall’interno, e io penso che sia esattamente quello che sta succedendo. L’occupazione ha prodotto i coloni, i coloni l’apartheid che sta ora producendo il fascismo in Israele, che è la cosa più pericolosa a cui siamo sottoposti. 

Nel frattempo voglio elogiare il notevole spirito di resilienza e solidarietà che i palestinesi hanno mostrato l’un l’altro nel campo di Jenin, perché oggi ero con equipe mediche che venivano da Ramallah, Gerusalemme e Tulkarem, con la Società Palestinese di Assistenza Medica, l’organizzazione che dirigo.

Erano tutti nel campo ad aiutare la gente, offrendo cure. La gente è arrivata da tutto il Paese per portare latte, cibo, materiale medico sanitario per i bambini e molte amministrazioni comunali intorno a Jenin hanno mandato trattori e macchinari per cercare di riparare alcuni dei terribili danni alle infrastrutture causati dall’esercito. Sono state tagliate le condutture dell’acqua, disselciate le strade, distrutte le attrezzature sanitarie, completamente tagliata la rete elettrica. Le infrastrutture sono state distrutte e non è la prima volta: è esattamente quello che è successo nel 2002 quando Israele invase il campo di Jenin e distrusse tutto, uccidendo più di 70 persone. È veramente ironico che la generazione che oggi sta resistendo all’occupazione sia quella dei bambini nati nel 2002.

PDD: Qual è oggi l’atteggiamento sul terreno dei giovani palestinesi verso il “Processo di Pace”?

La giovane generazione e io stesso abbiamo perso speranza nel cosiddetto processo di pace molto tempo fa, ma cosa abbiamo? Gli accordi di Oslo furono firmati nel 1993, esattamente 30 anni fa. Israele ne ha ostacolato l’implementazione, essi dovevano essere un accordo ad interim solo per sei anni per arrivare alla fondazione di uno Stato palestinese. Yitzhak Rabin, che firmò quell’accordo, fu assassinato da un estremista israeliano. Netanyahu ha sollevato l’opinione pubblica israeliana contro il governo che firmò gli Accordi di Oslo. Netanyahu nel 1994 ha poi scritto un libro intitolato A Place Under the Sun (Un posto sotto il sole) in cui ha promesso che avrebbe affossato il processo di Oslo e impedito la fondazione di uno Stato palestinese. Questo è esattamente quello che ha fatto. Dal 2014 non c’è stato un solo incontro fra i leader palestinesi e quelli israeliani. Israele ha bloccato tutti questi meeting, i negoziati e ha continuato a costruire colonie illegali che sottraggono terra alla Cisgiordania, distruggendo qualsiasi possibilità per la soluzione dei due Stati.

Quando Israele attacca il campo di Jenin, dei civili, sta attaccando dei rifugiati spogliati delle loro terre, della loro patria nel 1948 e che vivono in condizioni orribili in un campo profughi sotto l’occupazione israeliana. Quando Israele attacca un campo profughi così, con una situazione molto critica sotto la sua occupazione con il suo arsenale militare, carri armati, aerei, droni e caccia, quando fa tutto ciò è totalmente inaccettabile che il mondo resti in silenzio e, ancor peggio, che alcuni Paesi incoraggino Israele.

Le dichiarazioni del governo degli Stati Uniti e del governo britannico dicono che Israele ha il diritto all’autodifesa non sono altro che dare il via libera a questa aggressione. E il popolo palestinese che vive sotto l’occupazione israeliana? Non abbiamo il diritto di difenderci o per loro siamo degli esseri subumani? Penso che il fatto vergognoso sia che il parlamento britannico discuta come impedire la forma di resistenza più pacifica, cioè il boicottaggio, disinvestimento e le sanzioni. Fare ricorso al BDS come è successo in Sudafrica non è altro che un atto di libertà di parola, libertà per un popolo di lottare contro l’ingiustizia, per protestare contro l’occupazione e il sistema di apartheid.

Queste posizioni a sostegno di Israele rendono complici coloro che rilasciano dichiarazioni come “Israele ha il diritto all’autodifesa” di un crimine di guerra che Israele ha commesso e continua a commettere contro il popolo palestinese. Tutto il discorso sulla soluzione dei due Stati è diventato null’altro che un cliché che non convince nessuno. Se Stati Uniti, Regno Unito, Europa fossero realmente seri a proposito dello Stato palestinese lo avrebbero riconosciuto e non si sarebbero limitati a riconoscere solo Israele. Se fossero seri sulla soluzione dei due Stati avrebbero iniziato immediatamente a far pressione su Israele, inclusa l’imposizione di sanzioni, per costringerlo a fermare le attività delle colonie illegali che, come ammettono questi Paesi, stanno distruggendo la possibilità di uno Stato palestinese e la soluzione dei due Stati. Penso che tutto questo parlare della soluzione dei due Stati sia null’altro che un modo per distrarre l’attenzione, un modo per dare a Israele più tempo per finire il vero lavoro che sta facendo qua: l’annessione della Cisgiordania e l’eliminazione totale di ogni possibilità di soluzione a due Stati.

E noi diciamo che, nonostante Israele abbia distrutto l’opzione dei due Stati, ciò non significa che abbiano distrutto la nostra speranza di libertà. E hanno creato una nuova realtà, che è una realtà di uno Stato di apartheid. L’alternativa può solo essere uno Stato democratico in cui i palestinesi godano della parità dei diritti non solo come cittadini, ma anche come Nazione, con l’uguaglianza dei diritti per i cittadini e parità di diritti nazionali. Questa è l’unica soluzione a una situazione di uno Stato di apartheid.

PDD: come sono trattati oggi i palestinesi dai media?

Dr Barghouti: Noi siamo per lo più ignorati e raramente intervistati. Io ricordo sempre che 10 o 20 anni fa venivamo intervistati molto più frequentemente dai media internazionali, come CNN e BBC. Negli ultimi anni siamo stati totalmente ignorati. Io non penso che la narrazione dei palestinesi passi attraverso la maggioranza di questi organi di stampa. È per questo che ora contiamo di più sui social media.

Anche quando abbiamo la rara opportunità di portare all’attenzione della gente la narrazione e il punto di vista palestinese, gli israeliani attaccano immediatamente queste emittenti, come stanno facendo ora con la BBC. Vogliono monopolizzare la verità, i media. Vogliono impedire alla gente in Gran Bretagna e nel mondo di conoscere la realtà, la verità. La BBC ha intervistato me ma anche molti israeliani, molti più di noi, eppure gli israeliani attaccano la BBC perché vogliono zittire la voce della verità. Vogliono ostacolare la possibilità che nel mondo si sappia la verità su quello che sta succedendo qui.

Noi non stiamo dicendo che non dovrebbero intervistare gli israeliani, lasciate che lo facciano, ma dovrebbero intervistare anche noi. Noi abbiamo il pieno diritto di portare le nostre opinioni ai media e all’opinione pubblica mondiali. La gente può poi giudicare da sé chi ha ragione e chi torto, cosa è corretto e cosa non lo è, e quali sono i fatti. Ma impedire persino che si possa conoscere il punto di vista dei palestinesi secondo me fa pensare a due cose.

Uno, un comportamento fascista che tenta di monopolizzare la verità e i fatti. Mi spiace. Mostra anche che la posizione di Israele è debole perché hanno paura della verità. Hanno paura del fatto che se si mette uno di noi davanti ai media con un israeliano, persino uno dei fascisti israeliani, la gente riconoscerà immediatamente che noi stiano dicendo la verità. Io dico sempre ai miei colleghi dei media che noi abbiamo bisogno forse di un decimo di quello che hanno gli israeliani per avere la meglio. Perché? Perché noi diciamo la verità ed è questo che essi temono.

PDD: La BBC avrebbe dovuto scusarsi con l’ex primo ministro Naftali Bennett per aver domandato se Israele è “felice di uccidere minori palestinesi”?

Dr Barghouti: Penso che fosse solo giusto perché Israele sta uccidendo i minori. Appena prima dell’ultimo assalto contro Jenin i soldati israeliani hanno ucciso un bambino di due anni e mezzo e il padre davanti a casa. Il padre è stato raggiunto da due proiettili alla spalla e il piccolo uno al cervello, è morto: due anni e mezzo! Gli hanno sparato dieci volte. Poi l’esercito ha detto che è stato un errore, ma nessun soldato è stato portato in tribunale e nessuno è stato punito. Nel 1996 io stesso come medico stavo cercando di aiutare un ferito al quinto piano a Ramallah dove c’erano scontri fra l’esercito e la gente.

Mentre stavo cercando di bloccare l’emorragia un cecchino israeliano mi ha visto e mi ha sparato due volte. Ho ancora 35 schegge nella schiena e in una spalla. Nessuno è stato punito. No, Israele uccide bambini e civili e medici e giornalisti. No, non penso che la BBC avrebbe dovuto scusarsi per questo. Secondo me l’establishment israeliano con il suo enorme potere sta praticando quello che io chiamo terrorismo intellettuale contro i media in tutto il mondo e contro chiunque solidarizzi con i palestinesi. Nessuno dovrebbe accettare di subire questo terrorismo intellettuale che Israele sta mettendo in atto.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Palestine Deep Dive.

Mustafa Barghouti

Politico, attivista e medico

Il dr. Mustafa Barghouti è medico, attivista e politico palestinese, segretario generale di Iniziativa Nazionale Palestinese, anche nota come Mubadara. È membro del Consiglio Legislativo Palestinese dal 2006 e fa anche parte del Consiglio Centrale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La Gran Bretagna e la Nakba: storia di un tradimento

Avi Shlaim

10 maggio 2023 – Middle East Eye

Un ininterrotto filo conduttore di doppiezza, menzogne e inganni lega la politica estera britannica da Balfour alla Nakba fino a nostri giorni.

La Gran Bretagna creò le condizioni che resero possibile la Nakba palestinese.

Nel 1948 i palestinesi sperimentarono una catastrofe collettiva di dimensioni enormi: circa 530 villaggi vennero distrutti, più di 62.000 case furono demolite, circa 13.000 palestinesi uccisi e 750.000, due terzi della popolazione araba del Paese, furono cacciati dalle proprie case e divennero rifugiati.

Questo fu il momento culminante della pulizia etnica sionista della Palestina.

Nella sua essenza il sionismo è sempre stato un movimento colonialista di insediamento. Il suo fine ultimo era la costruzione di uno Stato ebraico indipendente in Palestina sulla maggior quantità possibile di terra e con quanti meno arabi possibile all’interno dei suoi confini. I portavoce sionisti insistettero costantemente di non avere cattive intenzioni nei confronti degli abitanti arabi del Paese, di volerlo sviluppare a beneficio delle due comunità.

Ma si trattava in buona misura di retorica, kalam fadi in arabo, discorsi vuoti.

Il movimento sionista era spinto dalla logica del colonialismo di insediamento, una modalità di dominazione caratterizzata da quello che lo storico Patrick Wolfe ha denominato “una logica di eliminazione”. I regimi coloniali di insediamento intendono annientare la popolazione nativa, o quantomeno evitarne l’autonomia politica. L’eliminazione della popolazione autoctona è una precondizione per l’espropriazione della terra e delle sue risorse naturali.

Il movimento sionista era assolutamente spietato. Non prevedeva di collaborare con la popolazione araba nativa per il bene comune. Al contrario, intendeva sostituirla. L’unico modo in cui il progetto sionista avrebbe potuto essere realizzato e conservato era l’espulsione di un gran numero di arabi dalle loro case e l’appropriazione della loro terra.

Nel gergo sionista tali sgomberi ed espulsioni vennero ingannevolmente definiti e occultati con un termine meno brutale: “trasferimenti”.

Il cammino verso la statualità

Il colonialismo d’insediamento sionista era intrinsecamente legato alla Gran Bretagna, il principale potere coloniale europeo dell’epoca. Senza l’appoggio della Gran Bretagna il movimento sionista non avrebbe potuto raggiungere il livello di successo che ebbe nella sua impresa di costruire uno Stato.

La Gran Bretagna consentì al suo giovane alleato di lanciarsi nella sistematica appropriazione del Paese. Tuttavia il cammino verso la statualità era tutt’altro che agevole. Dalla sua nascita alla fine del XIX° secolo il movimento sionista incontrò un grande ostacolo sul suo cammino: la terra dei suoi sogni era già abitata da un altro popolo. La Gran Bretagna consentì ai sionisti di superare questo ostacolo.

Il 2 novembre 1917 la Gran Bretagna emanò la nota Dichiarazione Balfour. Prese il nome dal ministro degli Esteri Arthur Balfour e prometteva l’appoggio britannico alla creazione di un “focolare nazionale per il popolo ebraico in Palestina”.

Lo scopo della dichiarazione era il ricorso all’aiuto dell’ebraismo mondiale nell’impegno bellico contro la Germania e l’Impero Ottomano. Venne aggiunto un ammonimento, in base al quale “non sarà fatto nulla che possa danneggiare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina”. Mentre la promessa venne pienamente rispettata, l’ammonimento venne lasciato cadere e dimenticato.

Nel 1917 la zona in precedenza chiamata Palestina era ancora sotto il dominio ottomano. Gli arabi rappresentavano il 90% della popolazione del Paese, mentre gli ebrei erano il 10% e possedevano solo il 2% della terra. La Dichiarazione Balfour era un classico documento coloniale perché accordava diritti nazionali a una piccola minoranza, ma semplici “diritti civili e religiosi” alla maggioranza.

Aggiungendo danno alla beffa, faceva rifermento agli arabi, la grande maggioranza della popolazione, come “comunità non-ebraiche della Palestina”. La resistenza araba al potere britannico fu inevitabile fin dall’inizio.

C’è un detto arabo secondo cui qualcosa che inizia storto tale rimane. In questo caso, in ogni modo, è difficile vedere come l’amministrazione britannica della Palestina avrebbe potuto essere raddrizzata senza incorrere nell’ira dei suoi beneficiari sionisti.

L’11 agosto 1919 Balfour scrisse in un memorandum spesso citato: “Il sionismo, che sia giusto o sbagliato, buono o cattivo, è radicato in tradizioni secolari, in necessità attuali, in speranze future, di importanza molto maggiore dei desideri e pregiudizi dei 700.000 arabi che ora vivono in quella antica terra.”

In altre parole, gli arabi non venivano presi in considerazione, mentre i loro diritti, compreso il diritto naturale all’autodeterminazione nazionale, erano liquidati come nient’altro che “desideri e pregiudizi”.

Nello stesso memorandum Balfour affermò anche che “per quanto riguarda la Palestina, le potenze non hanno fatto alcuna constatazione che non sia evidentemente sbagliata, e nessuna dichiarazione politica che, almeno alla lettera, non abbiano sempre inteso violare.” Non ci potrebbe essere un’ammissione più decisa della duplicità britannica.

Sacra fiducia nella civiltà”

Nel luglio 1922 la Lega delle Nazioni diede alla Gran Bretagna il mandato sulla Palestina. Il compito del potere mandatario era preparare la popolazione locale all’auto-governo e lasciare il potere quando fosse stata in grado di governarsi da sola.

Nella Convenzione della Lega i mandati erano descritti come “una sacra fiducia nella civiltà”. I loro scopi dichiarati erano lo sviluppo del territorio a beneficio della sua popolazione nativa e la trasformazione delle ex-province arabe dello sconfitto Impero Ottomano in moderni Stati-Nazione. In realtà erano poco più di una copertura del neo-colonialismo.

Forti pressioni sioniste indussero la Gran Bretagna a insistere per l’incorporazione della Dichiarazione Balfour nel mandato per la Palestina. Spesso è stato detto che ciò trasformò una vaga promessa britannica in un obbligo legale vincolante. Non è così per due importanti ragioni.

Primo, il mandato contraddiceva l’articolo 22 della Convenzione che richiedeva che la popolazione dell’area coinvolta venisse consultata riguardo alla scelta del potere mandatario. Balfour si rifiutò di consultare gli arabi perché sapeva troppo bene che, se avesse potuto dire la loro, avrebbero veementemente rifiutato il potere britannico.

Secondo, la Gran Bretagna non avrebbe potuto assumere il mandato perché nel 1922 non aveva sovranità sulla Palestina. La potenza sovrana fino al 1924 era la Turchia, erede dell’Impero Ottomano. Questo argomento è stato energicamente proposto dal giurista statunitense John Quigley in un articolo non pubblicato intitolato “Il fallimento britannico nell’attribuire valore giuridico alla Dichiarazione Balfour.” Nel sommario egli riassume il ragionamento nel modo seguente:

Il documento che la Gran Bretagna redasse per governare la Palestina (mandato sulla Palestina) chiedeva la creazione del focolare nazionale ebraico citato nella Dichiarazione Balfour. Tuttavia il governo della Gran Bretagna sulla Palestina, presumibilmente soggetto allo schema mandatario della Lega delle Nazioni, non ebbe mai basi legali. Secondo la sua Convenzione, la Lega delle Nazioni non aveva il potere di attribuire valore giuridico al Mandato sulla Palestina o di dare alla Gran Bretagna il diritto di governarla.

La Gran Bretagna non riuscì a ottenere la sovranità, che era un prerequisito per governare la Palestina o per detenere il mandato. La Gran Bretagna diede spiegazioni diverse in momenti diversi nel tentativo di dimostrare di detenere la sovranità. Le Nazioni Unite non misero in discussione la posizione giuridica della Gran Bretagna in Palestina, ma accettarono la legittimità del mandato sulla Palestina come base per la divisione del Paese. Fino ad oggi il problema dei diritti territoriali nella Palestina storica rimane irrisolto.”

Secondo Quigley la Gran Bretagna non andò mai oltre lo status di occupante belligerante. Nel suo libro del 2022 Britain and its Mandate Over Palestine: Legal Chicanery on a World Stage [La Gran Bretagna e il suo mandato sulla Palestina: inganno giuridico sulla scena mondiale] sviluppa questo argomento con una grande quantità di prove schiaccianti. Inganno non è una parola troppo forte per descrivere il modo in cui la Gran Bretagna manipolò la Lega delle Nazioni per ottenere il potere sulla Palestina o in cui abusò di questo potere per trasformare la Palestina da uno Stato a maggioranza araba a uno a maggioranza ebraica.

L’obbligo di proteggere i diritti degli arabi

L’importanza di includere l’impegno per un focolare nazionale ebraico non può essere sottovalutato. È ciò che differenziò fondamentalmente il mandato sulla Palestina dagli altri mandati per le province mediorientali dell’Impero Ottomano.

Il mandato britannico per l’Iraq, quello francese per Siria e Libano riguardavano tutti la preparazione della popolazione locale all’autogoverno. Il mandato sulla Palestina riguardava il fatto di consentire a stranieri, ebrei da ogni parte del mondo, ma soprattutto dall’Europa, di unirsi ai loro correligionari in Palestina e trasformare il Paese in un’entità nazionale controllata da ebrei.

Il mandato includeva un obbligo esplicito di proteggere i diritti civili e religiosi degli arabi, le “comunità non ebraiche in Palestina”. La Gran Bretagna non protesse affatto questi diritti. Il primo alto commissario britannico per la Palestina, sir Herbert Samuel, era sia ebreo che fervente sionista.

Durante il suo incarico la Gran Bretagna introdusse una serie di ordinanze che consentirono un’illimitata immigrazione ebraica in Palestina e l’acquisizione da parte degli ebrei di terre coltivate per generazioni da palestinesi.

Gli arabi chiesero delle restrizioni all’immigrazione e all’acquisizione di terre da parte degli ebrei. Chiesero anche un’assemblea nazionale democraticamente eletta che sarebbe stata un riflesso della situazione demografica. La Gran Bretagna resistette a tutte queste richieste e impedì l’introduzione di istituzioni democratiche. Le linee guida fondamentali della politica mandataria erano di non concedere elezioni finché gli ebrei non fossero diventati maggioranza.

Nel 1936 scoppiò una rivolta araba contro il dominio britannico sulla Palestina. Fu una rivolta nazionalista che durò fino al 1939. Per reprimerla venne schierato l’esercito britannico, che agì con la massima brutalità e spesso in violazione delle leggi di guerra. I suoi metodi includevano tortura, uso di scudi umani, detenzioni senza processo, draconiane norme d’emergenza, esecuzioni sommarie, punizioni collettive, demolizioni di case, villaggi dati alle fiamme e bombardamenti aerei.

Buona parte di questa violenza non venne diretta solo contro i ribelli, ma contro contadini sospettati di aiutarli e di essere loro complici. La repressione dell’insurrezione da parte dei britannici indebolì gravemente la società palestinese: circa 5.000 palestinesi vennero uccisi, 15.000 feriti e 5.500 incarcerati.

Il tradimento finale dei britannici

L’eminente storico palestinese Rashid Khalidi ha sostenuto, a mio parere in modo convincente, che la Palestina non venne persa alla fine degli anni ’40, come si crede comunemente, ma alla fine degli anni ’30. La principale ragione che fornisce dal suo punto di vista è il danno devastante che la Gran Bretagna inflisse alla società palestinese e alle sue forze paramilitari durante la rivolta araba. Questo argomento viene proposto nel capitolo di Khalidi in un libro co-curato da Eugene Rogan e da me: The War for Palestine: Rewriting the History of 1948 [La guerra per la Palestina: riscrivere la storia del 1948].  

Il tradimento finale dei britannici nei confronti dei palestinesi avvenne mentre la lotta per la Palestina entrava nella sua fase cruciale in seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale. All’epoca la Gran Bretagna si scontrò con i suoi protetti, i sionisti, e gli estremisti tra loro condussero una campagna di terrore destinata a cacciare le forze inglesi dal Paese. L’episodio più noto di questa violenta campagna fu l’attentato nel luglio 1946 contro l’hotel King David a Gerusalemme, che ospitava gli uffici amministrativi britannici, da parte dell’Irgun, l’Organizzazione Militare Nazionale.

In seguito a questo e altri attacchi il governo britannico sotto attacco decise di rimettere unilateralmente il mandato. Il 29 novembre 1947 le Nazioni Unite approvarono una risoluzione per la partizione della Palestina mandataria in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo.

Gli ebrei accettarono la partizione e gli arabi la rifiutarono. Di conseguenza la Gran Bretagna rifiutò di realizzare il piano di partizione dell’ONU in quanto esso non godeva del supporto di entrambe le parti.

Tuttavia c’era un’altra ragione: l’ostilità nei confronti della causa nazionale palestinese. Il movimento nazionalista palestinese era guidato da Hajj Amin al-Husseini, il gran muftì di Gerusalemme, che era in dissenso con i britannici e aveva lasciato il Paese durante la rivolta araba.

Agli occhi degli inglesi uno Stato palestinese era sinonimo di uno Stato del muftì. L’ostilità verso i dirigenti palestinesi e uno Stato palestinese fu pertanto una costante e un fattore caratterizzante nella politica estera britannica dal 1947 al 1949.

Il mandato terminò alla mezzanotte del 14 maggio 1948. L’uscita britannica dalle difficoltà fu incoraggiare un suo sottoposto, re Abdullah di Giordania, a invadere la Palestina allo spirare del mandato, e di conquistare la Cisgiordania, che l’ONU aveva destinato allo Stato arabo. Nel frattempo l’astuto re aveva raggiunto un tacito accordo con l’Agenzia Ebraica per dividere la Palestina tra loro a spese dei palestinesi.

Il tacito accordo era che gli ebrei avrebbero fondato uno Stato ebraico nella loro parte di Palestina, mentre Abdullah avrebbe conquistato il controllo sulla parte araba, e che avrebbero fatto la pace dopo che si fossero calmate le acque.

Falsa neutralità

Durante la guerra civile scoppiata in Palestina nel periodo precedente al 14 maggio, la Gran Bretagna rimase defilata, abdicando alla sua responsabilità di mantenere la legge e l’ordine. La sua falsa neutralità aiutò inevitabilmente la parte sionista, più forte. Durante gli ultimi mesi del mandato, le forze paramilitari sioniste passarono all’offensiva e intensificarono la pulizia etnica del Paese.

La prima grande ondata di rifugiati palestinesi avvenne sotto gli occhi dei britannici. La Gran Bretagna di fatto abbandonò i nativi palestinesi alla mercé dei colonialisti d’insediamento sionisti. In breve la Gran Bretagna creò attivamente le condizioni della fine del suo stesso egocentrismo imperialista, in cui potesse svolgersi la catastrofe palestinese, la “Nakba”. Un filo mai spezzato di doppiezza, menzogne, inganni e imbrogli unisce la politica estera britannica dall’inizio del suo mandato fino alla Nakba.

Il modo in cui il mandato finì fu la peggiore vergogna dell’intera esperienza britannica come principale potenza al governo della Palestina. Dimostrò quanto poco importasse alla Gran Bretagna del popolo che avrebbe dovuto proteggere e preparare all’autogoverno.

Quando la situazione si fece difficile il potere mandatario semplicemente se la diede a gambe. Non ci fu nessun passaggio ordinato del potere a un’entità locale. La “sacra fiducia nella civiltà” venne definitivamente, irreversibilmente e imperdonabilmente brutalizzata e tradita.

Il sogno di lord Balfour diventò un incubo per i palestinesi. Nella coscienza collettiva dei palestinesi la Nakba non è un evento isolato, ma un processo storico continuo. Oggi oltre 5,9 milioni di rifugiati sono registrati dall’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi.

Hanan Ashrawi ha coniato il termine “Nakba continua” per denotare la persistente esperienza palestinese di violenza e spoliazione per mano del colonialismo d’insediamento sionista. In un discorso alla conferenza dell’ONU del 2001 si riferì al popolo palestinese come “una nazione in cattività tenuta in ostaggio da una continua Nakba in quanto la più articolata e pervasiva espressione dell’apartheid, del razzismo e della vittimizzazione persistenti.”

Contraddizioni nella politica britannica

È triste dover aggiungere che nessun governo britannico ha mai chiesto scusa per la parte giocata dalla Gran Bretagna nella castrazione della Palestina storica. Gli ultimi cinque primi ministri conservatori, a cominciare da David Cameron, sono stati tutti accaniti sostenitori di Israele.

Nel 2017, nel centenario della Dichiarazione Balfour, l’allora prima ministra Theresa May affermò che fu “una delle lettere più importanti della storia. Dimostra il ruolo fondamentale della Gran Bretagna nella creazione di una patria per il popolo ebraico. Ed è un anniversario che celebreremo con orgoglio.” Non menzionò affatto le vittime palestinesi di questa importante lettera.

Nel suo libro del 2014 The Churchill Factor [Il Fattore Churchill] Boris Johnson descrive la Dichiarazione Balfour come “bizzarra”, “un documento tragicamente incoerente” e “una squisita opera indicibile del ministero degli Esteri”. Ma nel 2015 in un viaggio in Israele come sindaco di Londra Johnson celebrò la Dichiarazione Balfour come “un’ottima cosa”.

Nell’ottobre 2017, nel suo ruolo di ministro degli Esteri, Johnson avviò una discussione sulla Dichiarazione Balfour alla Camera dei Comuni. Ribadì l’orgoglio britannico per la parte giocata nella creazione di uno Stato ebraico in Palestina. Nonostante una larga maggioranza per il riconoscimento della Palestina come Stato, si rifiutò di farlo, affermando che non era il momento.

Ciò evidenziò una fondamentale contraddizione al cuore della politica britannica: sostenere la soluzione a due Stati ma riconoscerne solo uno.

Toccò a chi sostituì Johnson, Liz Truss, dimostrare la profonda indifferenza dei politici conservatori inglesi nei confronti della sensibilità palestinese e fino a che punto essi sarebbero arrivati per ingraziarsi Israele e i suoi sostenitori acritici in quel Paese. Durante la sua campagna per l’elezione a leader del partito Conservatore, ventilò l’idea di spostare l’ambasciata britannica da Tel Aviv a Gerusalemme.

Fortunatamente durante i suoi 49 giorni come prima ministra Truss non riuscì a dare seguito a questa idea idiota.

L’attuale politica estera britannica non si è scusata per la Nakba ed è spudoratamente filosionista. Il 21 marzo 2023 un documento programmatico stilato dal governo è stato intitolato “Percorso per le relazioni bilaterali tra Regno Unito e Israele fino al 2030”. Questo documento tratta di commercio e cooperazione in una vasta gamma di settori.

Ma include anche l’impegno britannico a opporsi al deferimento del conflitto israelo-palestinese alla Corte Internazionale di Giustizia, al movimento globale, di base e non violento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) per porre fine all’occupazione israeliana e a lavorare per ridurre la supervisione all’ONU su Israele.

In breve, il documento programmatico concede a Israele l’intera gamma di immunità per le sue azioni illegali e i suoi veri e propri crimini contro il popolo palestinese. Come tale, è un fedele riflesso della parzialità filosionista della politica estera britannica nel corso degli ultimi 100 anni.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Avi Shlaim è professore emerito di Relazioni Internazionali all’università di Oxford e autore di “The Iron Wall: Israel and the Arab World” [Il muro di ferro: Israele e il mondo arabo, Il Ponte editore] (2014) e di “Israel and Palestine: Reappraisals, Revisiones, Refutations” [Israele e Palestina: ripensamenti, revisioni, refutazioni] (2009).

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Chi ha detto che il BDS ‘è già fallito’?: città europee boicottano l’Israele dell’apartheid

RamzyBaroud

2 maggio 2023 – Middle East Monitor

Una serie di eventi, a partire da Barcellona, Spagna, in febbraio, seguita in aprile da Liegi, Belgio e Oslo, Norvegia, ha inviato un forte messaggio a Israele: il movimento palestinese di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) è vivo e vegeto.

A Barcellona la sindaca della città ha annullato un accordo di gemellaggio con la città israeliana di Tel Aviv. La decisione non è stata impulsiva, benché Ada Colau sia ben nota per le sue posizioni di principio su molte questioni. E’ stata piuttosto l’esito di un processo pienamente democratico, iniziato da una proposta presentata al consiglio comunale dai partiti di sinistra.

Alcune settimane dopo che fu presa questa decisione, precisamente l’8 febbraio, un’organizzazione legale filoisraeliana nota come The Lawfare Project, ha annunciato l’intenzione di intentare una causa contro Colau in quanto lei, presumibilmente, “ha agito al di fuori della competenza della sua autorità”.

The Lawfare Project intendeva comunicare un messaggio ad altri consigli comunali in Spagna e nel resto d’Europa, cioè che vi sarebbero state gravi ripercussioni sul piano giuridico al boicottaggio di Israele. Tuttavia con grande sorpresa dell’organizzazione – e di Israele – altre città hanno subito avviato le loro procedure di boicottaggio. Tra esse la città belga di Liegi e la capitale della Norvegia, Oslo.

I vertici comunali di Liegi non hanno cercato di nascondere le ragioni della loro decisione. E’ stato riferito che il consiglio comunale ha deciso di sospendere i rapporti con le autorità israeliane perché guidano un regime “di apartheid, colonizzazione e occupazione militare”. L’iniziativa è stata appoggiata da un voto di maggioranza nel consiglio, dimostrando ancora una volta che la posizione etica filopalestinese è pienamente compatibile con un processo democratico.

Oslo rappresenta un caso particolarmente interessante. Fu là che il “processo di pace” diede luogo agli Accordi di Oslo nel 1993, che sostanzialmente divisero i palestinesi e fornirono a Israele una copertura politica alla prosecuzione delle sue pratiche illegali, sostenendo di non avere un partner per la pace.

Ma Oslo non è più legata ai vuoti slogan del passato. Nel giugno 2022 il governo norvegese ha dichiarato l’intenzione di negare l’etichetta “Made in Israel” ai beni prodotti nelle colonie ebree israeliane illegali nella Palestina occupata.

Benché le colonie ebree siano illegali ai sensi del diritto internazionale, per anni l’Europa non si è fatta scrupolo di fare affari – di fatto affari lucrativi – con queste colonie. Nel novembre 2019 la Corte di Giustizia Europea ha comunque stabilito che tutti i beni prodotti nelle “aree occupate da Israele” dovevano essere etichettati come tali, in modo da non ingannare i consumatori. La decisione della Corte era una versione attenuata di ciò che i palestinesi si aspettavano: un completo boicottaggio, se non di Israele nel suo insieme, almeno delle sue colonie illegali.

Comunque la decisione è servita ad uno scopo. Ha fornito un’ulteriore base giuridica al boicottaggio, rafforzando le organizzazioni della società civile filopalestinese e ricordando a Israele che la sua influenza in Europa non è così illimitata come Tel Aviv vuole credere.

Il massimo che Israele ha potuto fare in termini di risposta è stato rilasciare dichiarazioni aggressive unitamente a confuse accuse di antisemitismo. Nell’agosto 2022 la Ministra degli Esteri norvegese Anniken Huitfeldt ha chiesto un incontro durante la sua visita in Israele con l’allora Primo Ministro di Israele Yair Lapid. Lapid ha rifiutato. Non solo tale arroganza ha prodotto una certa differenza nella posizione della Norvegia sull’occupazione israeliana della Palestina, ma ha anche allargato i margini per gli attivisti filopalestinesi per una maggiore incisività, conducendo alla decisione di Oslo in aprile di bandire l’importazione di beni prodotti nelle colonie illegali.

Il movimento BDS ha spiegato sul suo sito web il significato della decisione di Oslo: “La capitale della Norvegia…ha annunciato che non commercerà in beni e servizi prodotti in aree che sono illegalmente occupate in violazione del diritto internazionale”. In pratica ciò significa che “la politica di acquisti di Oslo esclude le imprese che direttamente o indirettamente contribuiscono all’impresa coloniale illegale di Israele – un crimine di guerra secondo il diritto internazionale.”

Tenendo conto di questi rapidi sviluppi, The Lawfare Project ora dovrà estendere le sue cause legali includendo Liegi, Oslo e una sempre più ampia lista di consigli comunali che stanno attivamente boicottando Israele. Ma anche in questo caso non vi sono certezze che l’esito di tali contenziosi sarà comunque favorevole a Israele. Di fatto è più probabile che sia vero il contrario.

Un caso specifico è stata la recente decisione delle città di Francoforte e Monaco in Germania di annullare i concerti della leggenda del rock and roll filopalestinese Roger Waters, come parte del suo tour ‘Questa non è un’esercitazione’. Francoforte ha giustificato la sua decisione stigmatizzando Waters come “uno dei più noti antisemiti al mondo”. La bizzarra ed infondata accusa è stata categoricamente respinta da un tribunale civile tedesco che il 24 aprile ha deliberato a favore di Waters.

Certo, mentre un crescente numero di città europee si sta schierando con la Palestina, coloro che appoggiano l’apartheid israeliano trovano difficile difendere o addirittura conservare la propria posizione, semplicemente perché le prime basano le proprie posizioni sul diritto internazionale, mentre i secondi si appoggiano su distorte e convenienti interpretazioni dell’antisemitismo.

Che cosa significa tutto questo per il movimento BDS?

In un articolo pubblicato lo scorso maggio sulla rivista Foreign Policy Steven Cook ha raggiunto la precipitosa conclusione che il movimento BDS “ha già perso”, perché, secondo la sua deduzione, gli sforzi per boicottare Israele non hanno avuto effetto “nei palazzi del governo”.

Se il BDS è un movimento politico soggetto a calcoli sbagliati e errori, è anche una campagna dal basso che opera per raggiungere obbiettivi politici attraverso successivi e controllati cambiamenti. Per avere successo sul lungo termine queste campagne per prima cosa devono impegnare nelle strade la gente comune, gli attivisti nelle università, nei luoghi di culto, ecc., il tutto attraverso calcolate strategie a lungo termine, esse stesse formulate da collettivi e organizzazioni della società civile locale e nazionale.

Il BDS continua ad essere una vicenda di successo e le ultime cruciali decisioni prese in Spagna, Belgio e Norvegia attestano il fatto che gli sforzi della base ottengono risultati.

Non si può negare che la strada sia lunga e ardua. Avrà certamente le sue svolte, i suoi rovesci e, sì, le occasionali battute d’arresto. Ma è questa la natura delle lotte di liberazione nazionale. Spesso richiedono alti costi e grandi sacrifici. Ma, con la resistenza popolare interna e un crescente supporto internazionale e la solidarietà dall’estero, la libertà della Palestina dovrebbe essere di fatto possibile.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Liegi si unisce ad altre città dell’UE nel boicottaggio di Israele

Palestine Chronicle Staff

26 aprile 2023 – Palestine Chronicle

La città belga di Liegi ha approvato una mozione per interrompere  ogni rapporto con Israele, diventando l’ultima città europea in ordine di tempo ad aver votato misure simili contro Tel Aviv.

Secondo quanto riportato dai mezzi di comunicazione belgi, la mozione della città di Liegi approvata lunedì accusa le autorità israeliane di gestire un regime di “apartheid, colonizzazione e occupazione militare.”

La mozione, presentata dal Partito dei Lavoro del Belgio [partito della sinistra marxista, ndt.] (PTB), chiede la sospensione dei rapporti con Israele finché le autorità israeliane “metteranno fine alle sistematiche violazioni dei (diritti del) popolo palestinese.”

CItando la Nakba e il diritto al ritorno dei palestinesi, la mozione elenca tutte le principali violazioni delle leggi internazionali da parte di Israele, chiedendo il boicottaggio a livello nazionale di tutti i beni e servizi israeliani prodotti nei territori occupati.

Liegi è la terza città europea ad aderire al boicottaggio di Israele dopo Barcellona in febbraio e, più di recente, Oslo.

Il Comitato Nazionale del BDS palestinese (BNC) ha accolto positivamente la decisione ed ha chiesto che altre città in tutto il mondo “seguano l’incoraggiante esempio di Barcellona, Oslo e Liegi, interrompendo i rapporti con l’Israele dell’apartheid in appoggio alla lotta palestinese per #DismantleApartheid (smantellare l’apartheid).”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)