Attore israeliano appoggia il BDS

Finalmente libero, l’attore israeliano Itay Tiran appoggia il BDS e afferma che il sionismo è razzismo

Jonathan Ofir

8 settembre 2018,Mondoweiss

 

Sono rimasto molto colpito dalla recitazione di Itay Tiran nell’avvincente mini-serie britannica “La promessa”, diretta da Peter Kosminsky. La serie riguarda Israele-Palestina, e va avanti e indietro tra gli anni precedenti la fondazione dello Stato [di Israele] e gli avvenimenti attuali. Tiran recitava la parte di un ebreo israeliano di sinistra che si unisce a “Combattenti per la pace” [gruppo di israeliani e palestinesi per la pace e la convivenza, inizialmente formato solo da ex-combattenti, ndtr.], e sua sorella lo considera un antisionista. È molto credibile nel suo ruolo, mentre sfida i suoi genitori “sionisti progressisti” e mette in evidenza la loro ipocrisia.

Ora l’attore trentottenne sta per lasciare Israele per andare in Germania, ed ha rilasciato ad “Haaretz” [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndtr.] un’intervista in cui si esprime liberamente. Parla a favore del BDS [movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele, ndtr.], in modo ragionato. Definisce il sionismo razzista – non come iperbole –, si esprime a questo proposito in modo razionale e logico.

È davvero liberatorio leggerlo. Ci sono espressioni che i sionisti stanno cercando di vietare in tutto il mondo – ed egli è totalmente libero di parlarne! Immagino che se lo sia tenuto in serbo per il momento in cui sarebbe andato via, perché le conseguenze che ne possono derivare in Israele possono essere disastrose.

Negli estratti di intervista pubblicati finora da “Haaretz” (pensano di pubblicare l’intervista completa nel supplemento culturale in ebraico di “Haaretz”), Tiran dice che il BDS è assolutamente legittimo:

Il BDS è una forma di resistenza assolutamente legittima. E se noi vogliamo invocare un certo tipo di discussione politica che non è violenta, dobbiamo rafforzare queste voci, anche se è difficile. Del resto non importa quello che faranno i palestinesi. Quando commettono un atto di terrorismo vengono definiti terroristi violenti, sanguinari. E quando appoggiano il BDS sono terroristi politici. Se ciò che alla fine porterà a una soluzione qui saranno pressioni non violente, portate avanti come discorso politico, allora perché non appoggiarlo?

È un atteggiamento umanitario, ed è anche concreto, e penso che eviterà le prossime guerre.

Non è certo un’opinione condivisa in Israele, che ha interi ministeri e notevoli fondi destinati a lottare contro il BDS. Tiran va anche oltre.

Parla del fascismo di Israele, e della sua negazione:

Ti alzi la mattina, bevi il tuo caffè e leggi i giornali. Vedi un articolo e dici: ‘Dunque questo è il momento in cui siamo diventati fascisti o no?’ Stai lì seduto e giochi una specie di gioco e gradualmente capisci che tutto quello che fai è continuare a farti quella domanda e a stare al gioco, senza deciderti.

Parla di come la legge fondamentale recentemente approvata, che dichiara Israele lo Stato-Nazione del popolo ebraico, non sia per niente nuova, e che in questo senso non è del tutto negativa, se serve come segnale d’allarme:

Se la legge sullo Stato –Nazione è un punto di riferimento, in base al quale stabilire dove è arrivata la società israeliana, allora è chiaramente una legge razzista e non egualitaria, un altro passo nella deriva nazionalista che avviene qui. D’altra parte dico che non è solo negativa. Perché? Perché fa emergere una sorta di subcosciente collettivo che qui c’è sempre stato. La “Dichiarazione di Indipendenza” e discorsi su uguaglianza e valori, tutto ciò fu l’autoesaltazione di un colonialismo che si vantava di essere un liberalismo illuminato. C’è gente che si definisce ancora di centrosinistra, e pensa ancora che se inseriscono la parola “uguaglianza” nella legge tutto sarà a posto. Non lo credo. E realmente, l’obiezione giustificata della Destra è stato: ‘Aspettate un attimo, ma c’è la legge del [diritto al] ritorno. Come mai solo la legge sullo Stato – Nazione vi fa diventare matti?’

Ottima osservazione. Quindi l’intervistatore, Ravit Hecht, gli pone un’importante domanda:

 “Pertanto stai dicendo che il sionismo, non importa quale, è uguale al razzismo?”

“Sì”, risponde Tiran.

Semplicemente così. L’ex ambasciatore di Israele all’ONU Chaim Herzog si infuriò su tale questione, e com’è noto fece a pezzi la risoluzione del 1975 che equiparava il sionismo al razzismo. L’ambasciatore USA all’ONU, Daniel Patrick Moynihan, pronunciò un famoso discorso denunciando la risoluzione come opera dei nazisti.

L’aberrazione dell’antisemitismo ha assunto l’aspetto di una sanzione internazionale. L’Assemblea Generale oggi concede un indulto simbolico – e qualcosa in più – agli assassini di sei milioni di ebrei europei.

E c’è Tiran, che accetta l’equazione, razionalmente, pacificamente e inequivocabilmente.

Di conseguenza la discussione prosegue.

“Che il sionismo equivalga al colonialismo?” chiede Hecht.

“Sì, esatto. Tutti noi dobbiamo quindi vedere la verità, e poi prendere posizione.”

Non potrebbe essere più chiaro di così. Non è complicato. L’intervista integrale sicuramente sarà qualcosa a cui guardare con impazienza. Come ho già detto, una liberazione.

 

Su Jonathan Ofir

Musicista israeliano, conduttore e blogger / writer che vive in Danimarca.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Vittoria BDS al festival israeliano Meteor

Vince il BDS: 15 artisti annullano la loro esibizione al festival israeliano “Meteor”

Ma’an News

7 settembre 2018

 

Betlemme (Ma’an) – Un’ondata di cancellazioni ha fatto seguito all’annuncio da parte di Lana del Rey dell’annullamento della sua esibizione al festival musicale “Meteor”, nel nord di Israele questo fine settimana.

Secondo la “Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel” [Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele] (PACBI), in seguito all’impegno del movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) e alle critiche internazionali, più di 15 musicisti hanno annullato la propria esibizione al festival “Meteor” in Israele.

La prima rinuncia, che doveva essere il principale avvenimento del festival, è stata quella della cantautrice americana Lana Del Rey, che ha twittato: “Per me è importante esibirmi sia in Palestina che in Israele e trattare tutti i miei fan allo stesso modo.”

Il musicista americano Henry Laufer, noto anche come Shlohmo, ha annunciato la cancellazione del suo concerto solo poche ore dopo Del Rey.

Shlohmo ha postato sul suo twitter: “Mi spiace per il breve preavviso, ma non suonerò in Israele la prossima settimana. Per me è più importante appoggiare gli oppressi con la mia assenza, soprattutto dopo le recenti atrocità del governo [israeliano] contro i diritti umani.”

Un gruppo pop americano indipendente di Montreal ha annullato l’esibizione con un post sulla propria pagina Facebook: “Abbiamo deciso di annullare la nostra presenza al festival “Meteor”. Dopo aver escluso ogni diverso modo possibile per giustificare il fatto di suonare in un festival israeliano, mentre i dirigenti politici e militari del Paese continuano a mettere in atto le loro politiche assassine e brutali contro il popolo palestinese, siamo arrivati alla conclusione che non ci sia altra iniziativa concreta che non sia annullare lo spettacolo.”

L’annullamento più recente è stato annunciato dalla cantante e attrice inglese Little Simz, che ha scritto: “I rapporti tra palestinesi ed israeliani sono molto più complicati di quanto sapessi. Non comparirò al festival ‘Meteor’.”

Tra gli altri nomi famosi, che non parteciperanno al programma del festival ci sono il DJ britannico Shanti Celeste, il famoso DJ e produttore britannico Leon Vynehall, così come il DJ svedese Seinfeld e il DJ australiano Mall Grab. Anche la cantante turca Selda, DJ Volvox, DJ Python, Black Motion e gruppi come Khalas e Zenobia hanno rinunciato all’evento.

Il BDS e i suoi sostenitori, compreso Roger Waters [leader dei Pink Floyd, ndtr.], avevano chiesto a molti degli artisti, compresa Lana Del Rey, di annullare la loro esibizione al festival come gesto di solidarietà con il popolo palestinese.

Durante un’intervista a “The Real News Network” [sito di notizie nordamericano, ndtr.] Roger Waters ha parlato della vicenda, sottolineando che “se rimani neutrale dove avvengono ingiustizie, stai dalla parte dell’oppressore.”

Waters ha aggiunto che “rimanere neutrale è stare dalla parte dell’occupazione e dello Stato dell’apartheid. È così e basta. La cosa giusta da fare è annullare [il concerto].”

Nonostante tutte queste cancellazioni ci saranno più di 130 esibizioni al festival “Meteor”. Esibirsi in Israele rimane ancora una questione molto politicizzata, con molte critiche riguardo al fatto che le azioni militari di Israele contro i palestinesi sono più che sufficienti per giustificare il boicottaggio culturale.

 

(traduzione di Amedeo Rossi)




Boicottaggio Eurovisione in Israele

Artisti internazionali invocano il boicottaggio di “Eurovisione” in Israele

The Electronic Intifada

Ali Abunimah – 7 settembre 2018

 

Più di 140 importanti artisti internazionali hanno appoggiato la richiesta palestinese di boicottare il “Concorso Canoro Eurovisione” del prossimo anno se verrà ospitato in Israele.

Nel contempo sono emerse ulteriori prove della manipolazione da parte di Israele della competizione del 2018, e gli organizzatori dell’Eurovisione hanno chiesto che, come Paese ospitante del prossimo anno, Israele garantisca la libertà di espressione e di movimento.

“Eurovisione 2019” dovrebbe essere boicottata se verrà ospitata da Israele, finché continua con le sue gravi e decennali violazioni dei diritti umani dei palestinesi,” affermano gli artisti in una lettera pubblicata venerdì da “The Guardian” [giornale inglese di centro sinistra, ndtr.].

La lettera si riferisce a come Israele solo il 14 maggio ha massacrato più di 60 palestinesi a Gaza, due giorni dopo che Netta Barzilai aveva vinto l’Eurovisione 2018, garantendo ad Israele il diritto di ospitare l’edizione del prossimo anno della rinomata competizione.

Tra i firmatari ci sono gli ex partecipanti all’Eurovisione di vari Paesi, compresi Charlie McGettigan, che vinse il concorso canoro per l’Irlanda nel 1994, e i finalisti finlandesi di Eurovisione Kaija Kärkinen (1991) e Kyösti Laihi (1988).

Vi sono anche il compositore Brian Eno, i commediografi Eve Ensler e Caryl Churchill, i registi Mike Leigh e Ken Loach e l’attore di Arrested Development [“Ti presento i miei”, serie televisiva USA trasmessa anche in Italia, ndtr.]  Alia Shawkat. Molti dei firmatari sono musicisti, tra cui Moddi dalla Norvegia, Nick Seymour del gruppo australiano “Crowded House” e il cantautore catalano Lluís Llach.

Altri sostenitori dell’appello sono il direttore del teatro nazionale portoghese Tiago Rodrigues, l’attore, cantante e commediografo italiano Moni Ovadia e l’artista comico francese Tardi. Il PACBI, la Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele, ha accolto con favore la dichiarazione degli artisti. Ha anche sottolineato che l’“Unione Europea della Radiodiffusione”, l’ente internazionale che produce l’Eurovisione, negli scorsi giorni ha “chiesto che Israele rispetti la libertà di espressione e di movimento come condizione per ospitare il concorso.”

Secondo il quotidiano israeliano “Haaretz”, l’“Unione Europea della Radiodiffusione” ha chiesto al governo del primo ministro Benjamin Netanyahu garanzie scritte che “ai visitatori di Israele sia consentito di viaggiare ovunque senza restrizioni indipendentemente dalle loro opinioni politiche o dal loro orientamento sessuale, e che Kan (la radiodiffusione pubblica israeliana) abbia la completa libertà di montare la trasmissione.”

“Le condizioni riguardanti la libertà di movimento e di espressione sono poste solo a Paesi in cui ci sono preoccupazioni a questo proposito,” ha informato Haaretz.

Gilad Erdan, il ministro israeliano degli Affari Strategici, che ha sistematicamente bloccato l’ingresso nei territori controllati da Israele di attivisti solidali con i palestinesi o critici nei confronti delle violazioni israeliane dei diritti umani, ha chiesto che Netanyahu rifiuti queste condizioni.

“Non capisco in base a quale diritto l’‘Unione Europea della Radiodiffusione’ abbia l’audacia di arrivare e fare simili richieste e domande, contrarie alle leggi di uno Stato democratico, che a una persona debba essere consentito l’ingresso in Israele anche se lavora giorno e notte per danneggiare Israele in modo da boicottarlo e isolarlo,” ha affermato Erdan.

Altri ministri hanno insistito che nessuna prova di Eurovisione si tenga durante il sabato ebraico, una condizione che renderebbe praticamente impossibile lo svolgimento della competizione.

Funzionari pubblici israeliani incaricati di lottare contro il movimento internazionale di solidarietà con la Palestina vedono il fatto di ospitare l’Eurovisione come un “progetto nazionale” e il governo sta spendendo milioni di dollari per organizzare un evento che sperano contribuirà a ripulire l’immagine di Israele, soprattutto in seguito ai recenti massacri di manifestanti della “Grande Marcia del Ritorno” a Gaza.

Fonti ufficiali dell’Eurovisione hanno in precedenza espresso preoccupazione per i tentativi di Israele di utilizzare la competizione canora come parte della sua campagna di propaganda internazionale, compresa l’insistenza iniziale affinché si tenga a Gerusalemme.

Ma Israele ha rinunciato a questa richiesta in giugno, ed ha affermato che Gerusalemme sarebbe solo una delle varie possibili sedi, comprese Tel Aviv, Haifa e Eilat.

Con le possibilità a quanto sembra limitate a Gerusalemme e Tel Aviv, l’annuncio della città ospitante è atteso da un momento all’altro.

“Capiamo che l’“Unione Europea della Radiodiffusione” chieda che Israele trovi un luogo ‘non divisivo’ per l’Eurovisione 2019,” affermano gli artisti nella loro lettera su “The Guardian” – un riferimento a quanto Tel Aviv sia vista dai responsabili di Eurovisione come una sede meno discutibile di Gerusalemme.

Ma gli artisti affermano che l’“Unione Europea della Radiodiffusione” “dovrebbe annullare del tutto il fatto che sia Israele ad ospitare la competizione e spostarla in un altro Paese con migliori risultati in termini di diritti umani. L’ingiustizia divide, mentre il perseguimento della dignità e dei diritti umani unisce.”

 

La campagna israeliana di condizionamento

Nel contempo, è emersa un’ulteriore prova dei tentativi israeliani di influenzare il voto nel concorso del 2018 per contribuire a garantire la vittoria di Netta Barzilai.

Il 13 maggio, in giorno dopo la competizione del 2018, i gestori dell’applicazione Act.IL [per prodotti della Apple, ndtr.] hanno inviato un messaggio ai sostenitori rivendicando il merito di aver raggiunto “centinaia di migliaia di votanti che hanno appoggiato Netta portandola ad una bella vittoria.”

Di recente “The Electronic Intifada” ha ottenuto una copia dell’email.

L’ applicazione Act.IL sostenuta dal governo israeliano è utilizzata per lanciare false campagne di massa sui media sociali – una strategia nota come “astroturfing” – perché sembri che Israele abbia un maggiore appoggio dell’opinione pubblica di quanta ne ha in realtà.

“L’ applicazione Act.IL è un prodotto della collaborazione tra centri studi israeliani, gruppi lobbistici e il ministero degli Affari Strategici, che ha investito quasi 600.000 dollari nel progetto,” ha informato in maggio “The Electronic Intifada”.

Act.IL si è vantato di aver intrapreso la sua campagna per influenzare l’Eurovisione in collaborazione con gruppi antipalestinesi quali “StandWithUS” [organizzazione californiana antimusulmana e filoisraeliana, ndtr.] e il “Consiglio Israelo-Americano” [gruppo americano filoisraeliano, ndtr.], e con un account sulle reti sociali che si chiama come, ma a quanto pare non legato a, la nota agenzia israeliana di spionaggio e assassinii “Mossad”.

Israele ha utilizzato l’applicazione Act.IL anche per cercare di manipolare sondaggi di opinione riguardo a se dovesse essere boicottata l’Eurovisione in Israele.

Tra gli altri, Act.IL sostiene che il suo tentativo è stato “alimentato” dal “Consiglio Israelo-Americano”, il gruppo lobbistico diretto e foraggiato dal finanziere filoisraeliano condannato per evasione fiscale Adam Milstein.

Lo scorso mese “The Electronic Intifada” ha rivelato con un’esclusiva che Milstein viene nominato in un documentario di Al Jazeera censurato come il principale finanziatore di “Canary Mission”, un sito informatico anonimo che calunnia e perseguita studenti e docenti che sostengono i diritti dei palestinesi.

Una campagna sostenuta da un governo per influenzare il voto popolare dell’Eurovisione per fini politici di uno Stato reietto è chiaramente scorretta e contrasta con lo spirito della competizione, le cui norme vietano ai partecipanti di promuovere alcuna causa politica o di fare discorsi o gesti politici.

L’“Unione Europea della Radiodiffusione” non ha risposto a una richiesta di informazioni da parte di “The Electronic Intifada”.

 

(traduzione di Amedeo Rossi)




Israele escogita l’ “assicurazione BDS” per proteggere ‘Eurovisione’

Asa Winstanley

17 agosto 2018 , Middle East Monitor

Non c’è forse miglior barometro per misurare fin dove Israele può arrivare nel diffamare, attaccare e sabotare il movimento internazionale per i diritti dei palestinesi del suo atteggiamento verso il BDS.

Ricordiamoci che il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni non è altro che un tentativo di rendere Israele responsabile in base ai principi del diritto internazionale e ai fondamentali diritti umani, laddove i governi nazionali per decenni hanno rifiutato di farlo.

Il BDS invita ad un boicottaggio totale di Israele fino a quando non concederà i tre principali diritti umani dei palestinesi, che sta attualmente violando: libertà, eguaglianza e [diritto al] ritorno.

I palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza (insieme ai siriani delle Alture del Golan) vivono sotto un’occupazione militare illegale, che entra ora nel 52mo anno. Perciò i palestinesi chiedono libertà.

I palestinesi cittadini di Israele – mentre godono di alcuni simbolici diritti civili – non hanno eguaglianza, essendoci più di 65 leggi (e continuano ad aumentare) che li discriminano per la colpa di non essere ebrei. Perciò i palestinesi chiedono eguaglianza.

E i rifugiati palestinesi in tutto il mondo vivono in campi profughi dispersi e ormai consolidati, privati della loro patria dopo che i loro avi sono stati espulsi con i fucili puntati dalle milizie sioniste che hanno costituito l’esercito israeliano. A differenza che in ogni altro conflitto nel mondo, sono privati del loro diritto fondamentale (sia in base al diritto internazionale che ai principi etici basilari) di tornare nella loro patria. Perciò i palestinesi chiedono il diritto al ritorno.

Queste tre richieste sono riportate nell’appello del BDS del 2005, il documento fondativo del movimento, che è promosso dalla totalità della società civile palestinese.

I diritti umani basati sul diritto internazionale non sono merce di scambio da barattare con la pretesa di essere “ragionevoli” o “realisti”. I diritti dei palestinesi, come i diritti di tutti gli esseri umani, sono inalienabili e non possono essere ceduti da nessun traditore o leader politico di alcuna fazione.

Il movimento BDS ha messo Israele sulla difensiva.

C’è tutto un “ministero” del governo ora dedicato solamente a combattere il BDS – in ciò che definisce una “guerra”. Utilizzando il comune eufemismo israeliano per assassinio, il ministro spia di Israele Yisrael Katz nel 2016 ha minacciato “l’eliminazione civile” del cofondatore del movimento BDS Omar Barghouti. L’anno seguente Barghouti ha ricevuto il divieto di viaggiare ed è stato vittima di una causa legale per un’“evasione fiscale” inventata ad arte.

Questo cosiddetto ministero – il ministero degli Affari Strategici – è diventato in effetti un nuovo ramo delle agenzie di spionaggio israeliane. È guidato dall’ex ufficiale di alto rango dell’intelligence militare Sima Vaknin-Gil, e la maggior parte del suo staff proviene da diverse agenzie di spionaggio israeliane.

È impegnato non solo nel “monitoraggio” del movimento globale BDS, ma in attività di sabotaggio. Il giornalista veterano dell’intelligence israeliana Yossi Melman le ha definite “operazioni segrete”.

La natura globale di questa minaccia significa che Israele è impegnato in attività sovversive in territorio straniero, incluso il Regno Unito, molto probabilmente in violazione delle leggi locali.

Israele interferisce apertamente nei sistemi elettorali degli Stati Uniti e del Regno Unito ad un livello che supera di gran lunga qualunque cosa di cui la Russia sia mai stata accusata, per non parlare dell’ attendibilità dimostrata.

La campagna segreta di sabotaggio ha diversi fronti, compreso il partito Laburista di Jeremy Corbyn, ma l’obiettivo principale nel mondo è il movimento BDS. A differenza di precedenti “minacce strategiche” al sistema israeliano di razzismo e occupazione, il ministero degli Affari Strategici comprende che il BDS non ha un’unica leadership che possa essere “decapitata”, come è stato con i molti leader palestinesi – sia della lotta armata che di quella senza armi – che ha assassinato in passato.

Perciò si impegna invece in una campagna di sabotaggio ad ampio raggio, che prende di mira questo movimento globale guidato dai palestinesi.

Il fatto che il governo sembra aver escogitato una sorta di “assicurazione BDS” per proteggere il programmato festival musicale “Eurovisione”, che dovrebbe svolgersi in Israele il prossimo anno è un sintomo piuttosto divertente di quanto gli strateghi israeliani temano il movimento BDS.

A giugno gli attivisti BDS contro l’ “Eurovisione” [gara canora internazionale, che si svolge nel Paese vincitore dell’edizione precedente, nel 2018 Israele, ndtr.] israeliana hanno rivendicato la loro prima vittoria. Avendo clamorosamente politicizzato la competizione, la ministra della Cultura di Israele (ed ultra razzista) Miri Regev è stata costretta ad un’umiliante marcia indietro.

Regev aveva sostenuto che “Eurovisione” dovesse svolgersi a Gerusalemme, o non tenersi affatto. Ha preso questa posizione nel tentativo di accrescere la legittimità dell’illegittima pretesa di Israele che Gerusalemme sia la sua capitale.

Il problema ovviamente è che, nonostante il molto controverso spostamento da parte di Trump dell’ambasciata USA nella città all’inizio di quest’anno, nessun Paese europeo riconosce la pretesa di Israele e per tal motivo tutti mantengono le proprie ambasciate a Tel Aviv.

La stampa israeliana ha riferito che lei ha dovuto fare marcia indietro a causa della reazione negativa e che Tel Aviv viene ora considerata come la sede del pacchiano festival pop. Gli attivisti BDS hanno invitato a mantenere alta la pressione finché esso non venga definitivamente annullato.

Anche se nel passato gli artefici della propaganda israeliana hanno cercato di mostrare pubblicamente di ignorare il BDS e ridurlo ad un elemento irrilevante, quel tempo è molto lontano.

Questa “assicurazione BDS” è un segnale di quanto grave sia considerata la minaccia del BDS all’occupazione israeliana. Questa settimana il quotidiano di Tel Aviv Haaretz ha riferito che l’emittente pubblica è in trattativa con il ministero israeliano delle Finanze sui termini di un massiccio prestito di 13,5 milioni di dollari per coprire i costi dello svolgimento del festival.

Secondo il quotidiano, “il ministero delle Finanze si impegnerebbe a coprire l’ammontare del prestito se il festival alla fine non si tenesse in Israele, a causa di circostanze attenuanti come un terremoto, una guerra o un boicottaggio organizzato dal BDS, Movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni.”

A quanto pare le condizioni finali non sono state ancora concordate, ma questo genere di “assicurazione BDS” è probabilmente un segnale di come andranno le cose.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Proteste, boicottaggio e dimissioni dalla Knesset: come rispondere alla legge di Israele sullo Stato-Nazione

Hatim Kanaaneh

Lunedì 30 luglio 2018, Middle East Eye

Si fa un gran parlare riguardo a manifestazioni, scioperi e quant’altro. Ma nulla di ciò raggiunge il livello di una vera disobbedienza civile e di una seria presa in considerazione di unirsi al [movimento] BDS

La mattina del 27 luglio sto di nuovo cogliendo fichi dai miei alberi, ascoltando il programma di notizie di Jack Khoury che dura un’ora sulla stazione radio locale araba nei pressi di Nazareth. Khoury, un cittadino di Israele arabo cristiano, funge da corrispondente per Haaretz.

Se non fosse per il suo nome, e basandosi solamente sulle sue relazioni, lo si potrebbe scambiare per un israeliano qualunque. Io non ho letto il testo della nuova legge di Israele sullo Stato-Nazione e non sono certo se ora Khoury debba portare sul braccio un contrassegno di identità razziale. Appena dopo aver citato l’argomento della nuova legge, ha trasmesso una deliziosa e malinconica canzone araba riguardo al nostro legame con la terra.

Mi domando: la nuova legge specifica la punizione per un simile reato di pensiero? O le autorità hanno fiducia nel fatto che i responsabili di Haaretz mettano in riga i loro dipendenti? Il mio amico ebreo kamikaze, Gideon Levy, accusa i media israeliani di autocensura e definisce una finzione il loro status di stampa libera.

Una questione sensibile

Il successivo argomento del programma di Khoury era la reazione dell’opinione pubblica araba alla demolizione di una casa a Sakhnin. Ha parlato al telefono con il proprietario della casa demolita, che ha messo in guardia sul fatto che la sua è stata una delle migliaia di case arabe destinate alla demolizione.

Poi c’è stata l’opinione professionale del dott. Hanna Swaid, ex membro della Knesset, urbanista e capo dell’‘Alternative Planning Center’, che ha evidenziato il fondamento giuridico dell’aggressione del governo israeliano.

Pare che nessuno si interroghi sul diretto rapporto tra la tempistica del feroce atto di cui si parlava e la nuova legge. Mi chiedo se qualcuno abbia notato una questione apparentemente secondaria: mentre tutti manifestavano a Sakhnin, l’intero villaggio beduino di Al-Araqib nel Negev veniva demolito per la 131esima volta.

Poi Khoury si è spostato su un altro argomento sensibile, almeno per quanto riguarda i drusi in Israele: l’intera comunità sembra pronta alle armi (scusate l’espressione agghiacciante– i maschi drusi servono nell’esercito israeliano e detengono armi) per il modo in cui la nuova legge ha declassato loro e la loro presunta consanguineità con il popolo ebraico.

Uno dei loro villaggi in Galilea una volta si è vantato del fatto di essere il primo per numero di soldati uccisi in combattimento in tutto Israele. Improvvisamente le cose sono cambiate e loro sono relegati al livello di normali ‘goyim’ [parola ebraica per indicare, a volte in modo spregiativo, i non ebrei, ndtr.], non migliori di altri arabi privi di valore. 

I drusi sono stati pugnalati alle spalle”, strillava un titolo di giornale. “Abbiamo dimenticato i nostri fratelli drusi”, ha ammesso Naftali Bennet, ministro e primo firmatario della nuova legge. Tre deputati drusi hanno impugnato la legge davanti alla Corte Suprema. E i capi della comunità, sia politici che spirituali, sono stati convocati ad un incontro conciliatorio con Netanyahu ed alcuni dei suoi principali ministri.

Ma all’incontro il premier è stato irremovibile, offrendo di pensare alla promulgazione di un’ulteriore “legge fondamentale” per favorire i drusi rispetto ad altri comuni ‘ goyim’, invece di recedere sulla legge o su parti di essa. Asa’ad Nafa’a, un avvocato druso di sinistra recentemente intervistato da Khoury, ha rilevato che Netanyahu, invece di prendere una scala per scendere dall’alto albero su cui si era arrampicato, ha offerto ai drusi una scaletta per salire appena al di sopra della testa degli altri arabi in Israele.

Gli arabi e la leadership drusa

Mi ha fatto venire in mente lo status intermedio dei ‘coloured’ nel Sudafrica dell’apartheid e il “test della matita” [metodo per determinare l’identità razziale: si infilava una matita tra i capelli e se rimaneva attaccata ai ricci si veniva classificati come meticci, ndtr.] per smascherare i casi limite. Alcuni giovani drusi, che devono aver discusso se andare in prigione piuttosto che fare il servizio militare nell’esercito israeliano, sono contenti dei nuovi sviluppi. “È positivo che sia venuto da loro”, si sono rallegrati insieme a Nafa’a.

Nessuno, tra i giornalisti e i loro intervistati, sembra rendersi conto della differenza nell’approccio tra la leadership drusa e quella delle altre minoranze arabe in Israele. I leader drusi (e alcuni ex generali beduini che hanno osato uscire allo scoperto e dire la propria opinione) protestano a gran voce, ma solo entro i limiti delle strutture israeliane riconosciute, affrettandosi a presentare richieste alla Corte Suprema israeliana o a scrivere lettere di protesta ai dirigenti dei rispettivi partiti politici, gli stessi che avevano fatto molta pressione per far passare la legge.

Al contrario, le due leadership parallele degli altri cittadini palestinesi di Israele, i membri della Lista Unita [ coalizione tra tutti i partiti arabo-israeliani, ndtr.] eletti alla Knesset e il gruppo della leadership politica rappresentata dall’Alto Comitato per i Cittadini Arabi di Israele e dal suo militante leader, Mohammad Baraki, si sono rivolte direttamente a Bruxelles e a Ginevra, invitando la comunità internazionale a assumersi le proprie responsabilità morali, ammonendo Israele perché torni sui suoi passi. Questa, a giudicare dall’esperienza, non è una prospettiva promettente.

L’unico anello mancante – finora – è quello del più vasto ambito della società civile. Si fa un gran parlare di manifestazioni, scioperi e quant’altro. Ma nulla di tutto ciò arriva a livello di una vera disobbedienza civile, come la chiusura dei municipi in tutte le comunità arabe in Israele, seguita anche da quella di rispettabili comunità ebree che simpatizzino [con i cittadini arabi di Israele, ndtr].

Un partito binazionale

Per essere efficace, deve essere palestinese ed ebrea, senza il solito balbettio della sinistra israeliana. E deve essere sostenuta per mesi se non per anni, prendendo anche seriamente in considerazione di unirsi alla campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni.

Ma il primo colpo d’avvertimento a Netanyahu e compagnia devono essere le dimissioni collettive di tutti i membri della Lista Unita dal parlamento israeliano e la creazione di un partito politico binazionale che auspichi un unico Stato laico e democratico ad ovest del fiume Giordano.

Sarebbe molto opportuno che un ugual numero di deputati ebrei simpatizzanti desse le dimissioni e si unisse alla lotta.

Continuiamo a sognare! Ecco la citazione su ‘Palestine Square’ [giornale di studi palestinesi, ndtr.] di Hasan Jabareen di Adalah [Centro Giuridico per i Diritti della minoranza araba in Israele, ndtr.]: “Come ha scritto Adalah nel suo documento, la legge mostra chiaramente che il regime israeliano è un regime coloniale di apartheid, che viola la Convenzione sull’apartheid, la quale lo considera un crimine contro l’umanità.”

Come può un onesto e sensato politico palestinese in Israele continuare a lavorare in questa situazione? Talvolta il suicidio per auto immolazione è la sola azione corretta. Credo che siamo a questo punto.

  • Hatim Kanaaneh è medico della sanità pubblica e cittadino palestinese di Israele, che ha vissuto e praticato la professione nel suo villaggio natale in Galilea per oltre 40 anni. È autore della raccolta di racconti brevi ‘Chief Complaint: a country doctor’s tales of life in Galilee’ (Just World Books, 2015) e di un libro di memorie, ‘A doctor in Galilee: the life and struggle of a Palestinian in Israel’ (Pluto press, 2008).

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 




I cambiamenti nei rapporti tra palestinesi dalle due parti del muro

Rami Younis

15 luglio 2018, +972

Nonostante la separazione fisica e le divisioni interne, i palestinesi di entrambi i lati della Linea Verde stanno nuovamente parlando del futuro della loro lotta e del ruolo che i palestinesi cittadini di Israele vi possono giocare.

Lontano dagli occhi dell’opinione pubblica israeliana, anche se sotto lo sguardo attento del governo, si è scatenato un dibattito interno alla società palestinese sugli effetti devastanti della separazione fisica e delle divisioni interne che l’affliggono.

Due recenti proteste, una ad Haifa in solidarietà con Gaza e un’altra – a cui hanno partecipato anche palestinesi cittadini di Israele – a Ramallah contro il ruolo giocato dall’Autorità Nazionale Palestinese nell’assedio [di Gaza] hanno contribuito a rafforzare il confronto sul rapporto tra palestinesi dei due lati del muro di separazione e sul ruolo dei palestinesi cittadini di Israele nella lotta contro l’occupazione.

La dottoressa Huneida Ghanem, che dirige “Madar” – il Centro Palestinese di Studi Israeliani -, ha studiato questo problema per anni. Nelle sue ricerche Ghanem, che divide il suo tempo tra Israele e Ramallah, ha scoperto che, nonostante le divisioni, la maggioranza dei palestinesi concorda su una serie di punti fondamentali: che la divisione è stata loro imposta, che li indebolisce e che consente ad Israele di controllarli più facilmente.

Le divisioni non iniziano e finiscono con il muro e l’occupazione. Per anni Fatah e Hamas sono stati incapaci di riconciliarsi, nonostante le esortazioni del loro popolo. I palestinesi all’interno di Israele affrontano divisioni al proprio interno, per cause anche religiose, dispute politiche e differenze geografiche che generano divari culturali.

Nel corso degli anni tutti questi fattori hanno creato in ogni comunità situazioni politiche, sociali ed economiche diverse, portando a differenti necessità e problemi che richiedono differenti approcci e politiche. In seguito a ciò, secondo Ghanem, ogni gruppo ha sviluppato un proprio programma politico per affrontare l’occupazione.

Nei territori occupati la lotta si concentra sulla fondazione di uno Stato attraverso mezzi sia violenti che non violenti, compresi la lotta popolare e il movimento BDS. Quella in Cisgiordania si concentra sulle colonie e l’apartheid; a Gaza il fulcro è sulle difficoltà create dall’assedio, così come sulla violenza e sulle distruzioni causate dalle guerre con Israele ogni paio d’anni e sulla ricostruzione tra uno scoppio di violenza e l’altro.

I palestinesi cittadini di Israele stanno lottando per una cittadinanza uguale attraverso partiti politici e organizzazioni extraparlamentari, concentrandosi soprattutto sulla discriminazione e sulle leggi [israeliane] razziste. E fuori dalla Palestina milioni di rifugiati stanno lottando per il diritto al ritorno nelle proprie terre.

Secondo Ghanem, le due Intifada hanno rappresentato un cambiamento per i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde [la linea di confine tra il territorio israeliano e la Cisgiordania e Gaza, ndtr.]. Durante la Prima Intifada, nel corso della quale centinaia di migliaia di palestinesi nei territori occupati protestarono contro l’occupazione, i palestinesi all’interno di Israele tennero manifestazioni non violente di solidarietà, chiedendo al contempo uguaglianza per tutti i cittadini israeliani. La Seconda Intifada, tuttavia, fu un punto di svolta: intere comunità palestinesi vennero coinvolte indipendentemente dalla loro collocazione geografica, e i palestinesi improvvisamente in quel momento percepirono che il destino di Giaffa [in Israele, ndtr.] era legato a quello di Gerusalemme e di Jenin [nei territori occupati, ndtr.].

Arabi o palestinesi?

Nonostante la separazione fisica e le varie divisioni, sempre più arabi in Israele si definiscono come palestinesi. Più Israele insiste a utilizzare il termine “arabi israeliani” e cerca di imporre loro un’identità, più essi dimostrano orgoglio per la propria identità nazionale. Dopotutto, l’identità è parte della lotta.

Un anno e mezzo fa ho pubblicato una serie di video reportage su Social TV relativi alla storia dell’identità nazionale tra gli arabi cittadini di Israele, e soprattutto su come il “Giorno della Terra” del 1976 [in cui 6 palestinesi cittadini israeliani vennero uccisi durante proteste contro l’esproprio di terre, ndtr.] e gli avvenimenti dell’ottobre 2000 [quando durante proteste e scontri con civili ebrei la polizia israeliana uccise 13 dimostranti palestinesi con cittadinanza israeliana, ndtr.] furono cruciali nello spingerli ad adottare un’identità palestinese.

Una delle persone da me intervistate, il dottor Marwan Darweish, docente di Studi per la Pace all’università di Coventry in Gran Bretagna, spiegò il fenomeno:

Le divisioni interne palestinesi, l’assedio, le colonie, il muro – tutto ciò ha creato diverse situazioni e divisioni tra i vari gruppi di adolescenti palestinesi. Penso sia uno degli obiettivi della politica israeliana: che le persone si definiscano palestinesi, ma che ci siano divisioni interne e differenze e in qualche modo un conflitto tra di loro, creando differenti rappresentazioni l’una dell’altra. Come i palestinesi di Gaza vedono i palestinesi di Gerusalemme o all’interno di Israele. Queste rappresentazioni e la creazione di identità differenti in un certo senso sono funzionali allo Stato, all’occupazione e al controllo israeliano sui palestinesi.

L’attivista Qamer Taha all’epoca disse: “Ci sono vari studi che mostrano come negli ultimi anni tra il 30 e il 40% degli adolescenti si sia autodefinito “palestinese” senza comprendere veramente la complessità della situazione.” Taha ha sostenuto che la generazione più giovane potrebbe aver adottato un’identità palestinese in risposta alle divisioni etniche all’interno della società palestinese in Israele. Invece che musulmani o cristiani, ci sono soltanto palestinesi.

L’uovo e la gallina

Tuttavia, nonostante il senso e l’orgoglio della loro identità palestinese, negli ultimi anni sempre meno cittadini palestinesi hanno inscenato proteste, e in qualche modo sono molto meno coinvolti politicamente.

Ci sono varie ragioni per cui meno palestinesi sono scesi in piazza. Una delle principali è la mancanza di una visione politica e di una strategia chiare,” ha detto Muhammad Younis, un attivista che vive ad Haifa. (Nessun rapporto con chi scrive). Younis è uno dei fondatori di un nuovo movimento che appoggia la costituzione di un unico Stato democratico in Israele-Palestina sulla base dell’uguaglianza tra arabi ed ebrei.

Aggiungi a ciò quello che sta succedendo in Siria e ti renderai conto della disperazione e della frustrazione collettive,” ha continuato Younis. “C’è frustrazione anche nei confronti dei nostri dirigenti – la “Lista Unitaria” [coalizione di partiti arabo-israeliani, ndtr.] e l’“Alta Commissione Araba di Monitoraggio” [composto da rappresentanti politici palestinesi sia locali che nazionali cittadini israeliani, ndtr.]. Quest’ultima ha completamente perso la fiducia dell’opinione pubblica.”

Recenti sondaggi mostrano che i cittadini palestinesi di Israele si concentrano sulle violenze (intercomunali) che infuriano nelle nostre strade, e ben a ragione. Ci stiamo concentrando sui nostri problemi immediati, per cui come possiamo portare migliaia di persone a protestare per Gaza? Ciò pone un dilemma strategico: occuparci della violenza o continuare ad opporci all’occupazione, dato che (quest’ultima) consente e trae beneficio dalla violenza? È una situazione da uovo e gallina. Cosa viene prima, la violenza o l’occupazione?

Younis dice di credere che i cittadini palestinesi di Israele si stiano allontanando dai palestinesi della Cisgiordania, catalizzati sia dagli avvenimenti nel mondo arabo, che dall’effetto a valanga della hasbara israeliana. “I palestinesi guardano alla Primavera Araba e dicono ‘forse le cose vanno meglio in Israele’. Alcuni di loro stanno iniziando a recepire gli ingannevoli discorsi sionisti contro la “Lista Unitaria”, che non farebbe niente per affrontare i problemi della società araba all’interno di Israele. Ovviamente succede a causa della violenza incontrollata. Gran parte della nostra opinione pubblica sta iniziando a fare una distinzione tra l’occupazione ed i problemi della nostra società, senza comprendere come l’occupazione approfitti di questi problemi.”

Un anno e mezzo fa ero seduto nell’ufficio della dottoressa Ghanem a Ramallah, proprio mentre l’ANP aveva iniziato a imporre sanzioni contro gli abitanti di Gaza bloccando il pagamento della loro elettricità. “La gente è terrorizzata,” ha detto Ghanem, spiegando perché praticamente nessuno fosse sceso in piazza. “Non è che gli piacciano (le politiche dell’ANP), o che non stiano male. Sono feriti e frustrati, eppure non protestano perché vedono cosa sta succedendo in Siria. In un certo modo la mancanza di opposizione ad Abbas è simile all’accettazione del male minore.”

Forse le cose comunque stanno cambiando. Negli ultimi mesi ci sono state manifestazioni di alto profilo ad Haifa (nonostante il numero relativamente basso di partecipanti) e a Ramallah (nonostante il timore a protestare contro l’ANP). È possibile che i manifestanti di Ramallah fossero ispirati da quelli di Haifa e dalle recenti proteste antigovernative in Giordania? Il fatto che attivisti di Haifa si siano uniti alle manifestazioni a Ramallah è foriero di una cooperazione da entrambi i lati del muro? Può essere che a Ramallah i timori di una Primavera Araba stiano iniziando a svanire? Il tempo lo dirà.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su “Local call” [sito israeliano di notizie affiliato a +972, ndtr.].

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’UE stronca il ministro israeliano: così si alimenta la disinformazione e si mescolano BDS e terrorismo

Noa Landau

17 luglio 2018, Haaretz

Federica Mogherini dell’UE ha scritto una lettera molto critica al ministro della Sicurezza Pubblica di Israele Gilad Erdan, accusandolo di fare affermazioni infondate e inaccettabili secondo cui l’Unione appoggerebbe il terrorismo

La ministra degli Esteri dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha inviato una lettera personale molto tagliente al ministro degli Affari Strategici Gilad Erdan chiedendogli di fornire le prove delle affermazioni “vaghe e non comprovate” che l’UE stia finanziando terrorismo ed attività di boicottaggio contro Israele attraverso organizzazioni no profit.

Nella sua lettera, acquisita da Haaretz, Mogherini risponde a un rapporto diffuso in maggio dal ministero degli Affari Strategici intitolato “I milioni dati da istituzioni dell’UE a Ong legate al terrorismo e al boicottaggio contro Israele.”

Nella lettera inviata insieme al rapporto a Mogherini, Erdan scriveva: “Uno studio approfondito realizzato dal mio ministero ha rivelato che nel 2016 l’UE ha finanziato 14 Ong europee e palestinesi che promuovono esplicitamente e chiaramente il BDS.” Ha anche accusato che “molte Ong che promuovono il BDS e che ricevono finanziamenti diretti o indiretti dall’UE sono legate a organizzazioni che l’UE definisce terroristiche.” Erdan ha aggiunto che tali finanziamenti minacciano i rapporti tra l’UE e Israele ed anche “le possibilità di una pace.”

In seguito il rapporto è filtrato al giornale “Israel Hayom” [“Israele oggi”, giornale gratuito israeliano di destra, ndtr.], che lo ha pubblicato sotto il titolo “Milioni di euro di odio”. Nel giorno in cui il rapporto è stato reso noto, Erdan ha twittato: “L’Ue continua a finanziare con decine di milioni di shekel all’anno organizzazioni del BDS, alcune delle quali legate a organizzazioni terroristiche.”

Nella sua lettera, che è stata inviata a Erdan il 5 luglio, Mogherini scrive: “Le accuse secondo cui l’UE appoggerebbe l’incitamento all’odio o il terrorismo sono infondate e inaccettabili. Anche lo stesso titolo del rapporto è inopportuno e fuorviante: mette insieme il terrorismo e il tema del boicottaggio e crea nell’opinione pubblica una confusione inaccettabile riguardo a due fenomeni differenti.” Aggiunge che l’UE si oppone fermamente “a ogni insinuazione sul coinvolgimento dell’UE nel sostegno al terrore o al terrorismo,” e che “accuse vaghe e insostenibili servono solo a contribuire a campagne di disinformazione.”

Mogherini sostiene anche che il rapporto in questione contiene degli errori: “Per esempio, delle 13 organizzazioni elencate nel rapporto, 6 non ricevono finanziamenti dell’UE per attività in Palestina e nessuna di loro riceve fondi UE per attività del BDS,” scrive. Nota anche: “Inoltre, come riportato ampiamente dalla stampa israeliana nelle ultime settimane, un certo numero di organizzazioni citate nel rapporto riceve finanziamenti anche da altri donatori internazionali, compresi gli Stati Uniti.”

Riguardo al presunto appoggio al movimento BDS, Mogherini scrive a Erdan: “L’Unione Europea non ha cambiato la propria posizione riguardo al cosiddetto movimento “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” (BDS). Confermando la propria politica di chiara distinzione tra il territorio dello Stato di Israele ed i territori da esso occupati dal 1967, L’UE rifiuta ogni tentativo di isolare Israele e non appoggia appelli al boicottaggio. L’UE non finanzia azioni relative ad attività di boicottaggio. Tuttavia il semplice fatto che un’organizzazione o un singolo individuo sia in rapporto con il movimento BDS non significa che questa entità sia coinvolta nell’incitamento a commettere atti illegali, né la esclude da finanziamenti dell’UE.”

L’UE è fortemente impegnata nel rispetto della libertà di espressione e di associazione in linea con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani. La libertà di espressione è applicabile anche ad informazioni ed idee ‘che offendono, scioccano o disturbano lo Stato e qualche settore della popolazione.’ Ogni azione che abbia come risultato di chiudere lo spazio in cui operano organizzazioni della società civile, limitando indebitamente la libertà di associazione, dovrebbe essere evitata.”

Riguardo alle accuse di appoggiare il terrorismo, Mogherini scrive: “L’UE ha norme molto severe per selezionare e vagliare i beneficiari dei fondi UE. Prendiamo molto seriamente in considerazione ogni accusa di uso scorretto dei fondi UE e siamo impegnati a verificare tutte quelle che vengono presentate con prove concrete. Siamo sicuri che i finanziamenti UE non siano stati utilizzati per appoggiare il boicottaggio di Israele o attività del BDS e sicuramente non per finanziare il terrorismo.”

Alla fine della lettera Mogherini invita Erdan a Bruxelles a mostrare le prove delle sue accuse: “Lei e i suoi funzionari siete i benvenuti a Bruxelles in qualunque momento a presentare le prove che dovreste avere per sostenere queste accuse,” scrive. “Nel contempo invitiamo il vostro governo a perseguire con noi un dialogo produttivo su questioni della società civile, come previsto dal “Piano d’Azione UE-Israele”, in uno spirito di cooperazione aperta e trasparente piuttosto che con materiale senza fondamento reso pubblico senza un dialogo e un coinvolgimento preventivi.”

Nel rapporto diffuso dal ministero degli Affari Strategici si sosteneva che nel 2016 l’UE ha trasferito più di 5 milioni di euro a organizzazioni “che promuovono la delegittimazione e il boicottaggio contro Israele.” Benché il rapporto sia descritto come “approfondito”, la maggior parte delle accuse è basata su un piccolo numero di casi da fonti accessibili a tutti. Haaretz ha esaminato qualcuna delle affermazioni fatte dal rapporto ed ha scoperto che l’interpretazione di alcuni degli avvenimenti descritti si discosta dalle informazioni su cui si basa. Per esempio, un boicottaggio solo delle colonie è occasionalmente interpretato come un appoggio al BDS, anche se le organizzazioni in questione non lo sostengono necessariamente, o addirittura vi si oppongono, applicando i principi del movimento al vero e proprio Israele. Questa interpretazione si collega con il modo in cui il governo israeliano negli ultimi anni ha cercato di annullare la distinzione tra i due.

Tuttavia per l’UE questa distinzione è importante. Mentre l’UE non finanzia direttamente attività che promuovono il boicottaggio dello Stato di Israele – escludendone le colonie – vede l’appoggio ideologico al movimento come legittima libertà di espressione politica. L’UE è in grado di controllare l’uso dei suoi finanziamenti, dato che in genere sono destinati in anticipo ad attività specifiche e c’è una supervisione costante.

In altri casi il rapporto del ministero definisce come “sostegno al terrorismo” esempi specifici in cui agenti di Hamas o del Fronte Popolare [per la Liberazione della Palestina, gruppo armato palestinese di orientamento marxista, ndtr.] hanno preso parte ad altre attività sostenute da Ong che ricevono fondi UE. Su questa base Israele sta accusando l’UE di finanziare indirettamente il terrorismo. Una lettura del rapporto mostra anche che un grande numero di denunce sono una riproposizione di affermazioni fatte da organizzazioni di destra, soprattutto dall’Ong “Monitor” [Ong israeliana che si occupa di controllare le Ong internazionali da un punto di vista filo-israeliano, ndtr.].

Erdan ha risposto a questo rapporto dicendo: “È triste che il ministero degli Esteri dell’Unione Europea abbia ancora una volta scelto di nascondere la testa nella sabbia e ignorato le evidenti prove che le organizzazioni del BDS che ricevono fond, sia direttamente che indirettamente, sono legate o collaborano con organizzazioni terroristiche come Hamas e il Fronte Popolare. Mogherini ammette che la maggior parte delle organizzazioni che appaiono nel rapporto del mio ministero in effetti promuovono il boicottaggio di Israele, eppure utilizza la risibile scusa che i soldi sono dati a organizzazioni del boicottaggio ma utilizzati per altri scopi, e non per le loro attività intese a boicottare Israele.”

Purtroppo scuse come questa rappresentano la politica dell’Unione Europea anche in altre questioni, come il suo atteggiamento nei confronti dell’Iran e del terrorismo palestinese,” continua. “Anche su questi problemi l’UE ha scelto di agire come un’ostrica e si comporta come se fosse cieca nei riguardi dell’odio, dell’incitamento alla violenza e del boicottaggio.”

L’Ue ha commentato questo rapporto informativo dicendo: “In genere non commentiamo o facciamo filtrare scambi di messaggi con i Paesi che sono nostri partner, ma sulla questione delle accuse contenute nel recente rapporto pubblicato dal ministero degli Affari Strategici, i nostri uffici centrali hanno esaminato accuratamente il rapporto e sono arrivati alla conclusione che le accuse presentate nel rapporto sono infondate.”

L’Ue ha norme molto rigide per verificare e vagliare i beneficiari di fondi UE. Siamo quindi fiduciosi che i fondi UE non siano stati usati per finanziare il terrorismo.”

La nostra lotta contro il terrorismo non è mai stata così dura, ed abbiamo sempre mantenuto una posizione chiara sulle organizzazioni terroristiche. Siamo anche sicuri che i nostri fondi non sono stati usati per appoggiare il boicottaggio di Israele, in particolare non le attività del BDS,” si legge nel commento.

L’UE ripudia ogni tentativo di isolare Israele e non appoggia appelli al boicottaggio. Nel contempo l’UE rimane ferma nel proteggere la libertà di espressione e di associazione in base alla Carta Fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea. Come sempre l’UE verifica ogni seria denuncia presentata in relazione a tali attività e finanziamenti. Se ci dovesse essere una qualche prova che confermi quelle affermazioni, le autorità israeliane saranno le benvenute a presentarcele come parte di un dialogo aperto e trasparente.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Il Senato irlandese approva una proposta di legge di boicottaggio dei prodotti delle colonie israeliane

Noa Landau

12 luglio 2018, Haaretz

Il governo irlandese si è opposto alla legge, ma i parlamentari indipendenti e dell’opposizione l’hanno appoggiata. Israele: l’iniziativa ‘danneggerà anche i palestinesi’

Mercoledì il Senato irlandese ha approvato una proposta di legge per boicottare i prodotti provenienti dalle colonie della Cisgiordania.

La proposta di legge è passata con 25 voti a favore, 20 contrari e 14 astensioni. Essa vieta “l’importazione e la vendita di prodotti, servizi e risorse naturali provenienti dalle colonie illegali nei territori occupati (da Israele).”

La proposta, prima di diventare legge, deve essere approvata da entrambe le camere del parlamento.

All’inizio di quest’anno una votazione sulla proposta di legge era stata rinviata, su richiesta del governo irlandese. Il governo, dietro pressioni israeliane, ha poi cercato di mitigare il testo, ma non è riuscito a raggiungere un compromesso.

La proposta di legge è passata grazie ai voti dei parlamentari dell’opposizione e indipendenti. La senatrice Frances Black, la parlamentare indipendente che ha promosso il disegno di legge, ha recentemente postato un video che invita gli irlandesi a fare pressione sui loro rappresentanti perché lo sostengano.

Il ministero degli Esteri israeliano ha criticato duramente l’Irlanda dopo l’approvazione della proposta di legge, affermando che “il Senato irlandese ha dato il suo appoggio ad un’iniziativa di boicottaggio anti israeliana populista, pericolosa ed estremista, che nuoce alle possibilità di dialogo tra Israele e i palestinesi.”

Il ministero degli Esteri ha aggiunto che la legge “avrà un impatto negativo sul processo diplomatico in Medio Oriente”, e che “danneggerà il livello di vita di molti palestinesi che lavorano nelle aree industriali israeliane colpite dal boicottaggio.”

Il ministero ha detto che Israele sta ancora valutando la sua risposta sulla base degli sviluppi dell’iter legislativo.

L’alto dirigente palestinese Saeb Erekat si è congratulato con l’Irlanda per la decisione di approvare il disegno di legge, affermando di voler “ comunicare il nostro sincero apprezzamento al Senato irlandese per aver sostenuto a testa alta il principio della giustizia, approvando questa storica mozione che vieta il commercio con le colonie israeliane illegali nella Palestina occupata.”

Oggi il Senato irlandese ha inviato un chiaro messaggio alla comunità internazionale ed in particolare al resto dell’Unione Europea: le sole parole riguardo alla soluzione dei due Stati non bastano, se non si adottano misure concrete”, ha continuato Erekat.

Vorrei approfittare di questa occasione per ringraziare tutti coloro che sono stati coinvolti nell’approvazione di questa proposta di legge, dai partiti politici alla società civile palestinese ed irlandese ed in particolar modo alla senatrice Frances Black per il suo coraggio nel proporre questa mozione che promuove la causa della giustizia in Palestina”, ha affermato.

Le reazioni tra i parlamentari israeliani all’approvazione del disegno di legge sul boicottaggio sono state differenziate. La deputata Ayelet Nahmias Verbin (Unione Sionista [coalizione di centro sinistra, all’opposizione, ndtr.]), membro della Commissione della Knesset per gli Affari Esteri e la Difesa, ha detto che “il boicottaggio irlandese sui prodotti provenienti da Giudea e Samaria [denominazione israeliana della Cisgiordania, ndtr.] potrebbe facilmente slittare verso un boicottaggio sui prodotti israeliani e legittimare altri Paesi europei ad adottare una misura simile.”

Nel frattempo, la deputata Haneen Zoabi (Lista Unita [coalizione di partiti arabo-israeliani, all’opposizione, ndtr.]) si è detta “felice che la proposta di legge sia passata” e che “contenga un importante messaggio politico: è tempo che l’Europa riveda il proprio approccio alla strategia di boicottaggio di Israele che sta diventando ogni giorno più fascista, e il diritto internazionale non fa che indebolirsi di fronte alla distruttività israeliana.”

La protesta di Netanyahu

Originariamente la votazione era prevista in gennaio, ma è stata rinviata dopo che il ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatrice di Irlanda in Israele, Alison Kelly, chiedendo spiegazioni. Il ministero ha agito su richiesta del primo ministro Benjamin Netanyahu, che è anche ministro degli Esteri.

Kelly ha detto a Rodica Radian-Gordon, responsabile dell’ufficio per l’Europa del ministero [degli Esteri israeliano], che la proposta di legge è stata promossa da parlamentari indipendenti, ma che il governo irlandese vi si è opposto. Ha anche sottolineato che il disegno di legge non era una proposta di BDS [Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni, ndtr.], ma si limitava a invitare al boicottaggio delle colonie.

Netanyahu tuttavia non ha accettato questa argomentazione. Ha denunciato la proposta di legge, dicendo che era intesa a “appoggiare il movimento BDS e danneggiare Israele.” In una dichiarazione rilasciata dal suo ufficio, ha aggiunto che la proposta “fa un favore a coloro che cercano di boicottare Israele ed è assolutamente contraria ai principi di libero commercio e di giustizia.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Festival tedesco contro gruppo musicale a favore del BDS

Un festival artistico tedesco prima revoca poi rinnova l’invito ai “Young Fathers”

Il dietrofront del festival arriva dopo che il gruppo era stato liquidato per il suo sostegno a un’organizzazione filo-palestinese

The Guardian

Philip Oltermann da Berlino

Martedì 26 giugno 2018

Un importante festival tedesco di musica e arte è stato messo in subbuglio dopo che i suoi organizzatori hanno revocato – e poi rinnovato –  l’invito al gruppo scozzese “Young Fathers” per il suo sostegno al movimento filo-palestinese Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).

All’inizio del mese la direttrice artistica della “Ruhrtriennale”  ha annunciato che il trio britannico di hip-hop  sarebbe stato tolto dal programma del festival, che si svolge dal 18 agosto al 30 settembre.

In un comunicato Stefanie Carp ha affermato che, benché non creda che criticare le politiche del governo israeliano sia antisemita, il gruppo, vincitore del premio “Mercury” [importante premio musicale britannico assegnato al miglior disco dell’anno, ndtr.],  “purtroppo non ha preso le distanze dal BDS”.

Ma giovedì gli organizzatori del festival hanno fatto una svolta a 180 gradi. Non solo hanno invitato i Young Fathers, ma li hanno anche invitati a spiegare la loro posizione sul palco.

“In quanto tedesca, ovviamente è difficile per me essere messa in rapporto con un movimento che boicotta Israele,” ha detto Carp. “Ma io ho invitato i Young Fathers e non il BDS.”

Un portavoce della Ruhrtriennale ha detto a “The Guardian” che i Young Fathers li hanno informati di non poter accettare il nuovo invito.

Alcuni artisti che inizialmente si erano ritirati dalla Ruhrtriennale in solidarietà con il gruppo scozzese, compreso il chitarrista libanese Sharif Sehnaoui, hanno detto di aver accettato di essere inseriti nel programma del festival. Gli organizzatori della Ruhrtriennale hanno detto che gli altri eventi andranno avanti come previsto, con in più un dibattito sulle ragioni alla base di queste reazioni.

Comunque in Germania il dietrofront di Carp è stato criticato  da organizzazioni ebraiche locali e da Isabel Pfeiffer-Poensgen, ministra della Cultura dello Stato Nord-Reno Wstphalia.

“Non si può escludere che questa decisione darà alla campagna BDS una tribuna alla Ruhrtriennale,” ha detto  Pfeiffer-Poensgen. “In un momento di incremento dei delitti di antisemitismo ed altri incidenti, purtroppo anche nel Nord-Reno Wstphalia, questo è un segnale sbagliato.”

Nel corso degli  ultimi 10 mesi sindaci di città tedesche, comprese Berlino, Monaco e Francoforte, hanno messo in relazione l’appello del BDS al boicottaggio contro Israele a pratiche del periodo nazista. Ci sono state richieste di mettere al bando l’uso di spazi pubblici per le attività del BDS.

In una lettera a “The Guardian” 75 artisti e personaggi della cultura  hanno criticato quello che ritenevano essere un “tentativo di imporre un condizionamento politico ad artisti che appoggiano i diritti umani dei palestinesi,” descrivendo la decisione iniziale di togliere dal programma i Young Fathers come “censura, persecuzione e repressione.”

I firmatari della lettera includono Patti Smith, che si è esibita alla Ruhrtriennale nel 2005, e i Massive Attack, che hanno suonato al festival nel 2013 [e tra gli altri anche i musicisti Brian Eno, Peter Gabriel e Roger Waters, gli intellettuali Judith Butler, Noam Chomsky, Angela Davis, Alice Walker, Desmond Tutu, Naomi Klein e Eyal Weizman, i registi e attori Aki Kaurismaki Mike Leigh, Ken Loach, Mira Nair, Julie Christie e Viggo Mortensen, ndtr.].

L’esibizione dei Young Fathers è l’ultima di una serie di concerti recentemente annullati in Germania in relazione con l’appoggio di artisti al movimento BDS. Nel 2017 i Young Fathers sono stati una delle numerose band che si sono ritirate dal festival “Pop-Kulture” di Berlino, dopo che si è scoperto che l’ambasciata israeliana ha regalato 500 € per contribuire a coprire le spese di viaggio di artisti provenienti da Israele. L’ambasciata israeliana era indicata come partner sui manifesti dell’evento.

Il musicista britannico Richard Dawson, così come gli artisti di “Shopping” e Gwenno , si sono ritirati dal programma del festival “Pop-Kultur” di quest’anno, con quest’ultima che ha citato l’uccisione di palestinesi a Gaza da parte delle forze di frontiera israeliane come una delle ragioni per annullare la sua apparizione.

Lo scorso settembre la poetessa e performer inglese Kate Tempest ha annullato un concerto al teatro ” Volksbühne” di Berlino in seguito a quelle che il suo manager ha definito “minacce personali via mail e sulle reti sociali” per il suo appoggio al movimento BDS.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Registi LGBTQ rifiutano di consentire a Israele di utilizzarli per nascondere dietro al rosa i suoi crimini

Ali Abunimah

8 giugno 2018, Electronic Intifada

Arriva a 11 il numero di artisti che hanno lasciato il festival, parte di una crescente ondata di appoggio internazionale al Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) [contro Israele] in seguito ai massacri da parte di Israele di palestinesi disarmati durante le manifestazioni della “Grande Marcia del Ritorno” a Gaza.

Il canadese Marc-Antoine Lemire ha ritirato il suo corto “Pre-Drink”, che ha vinto il premio per il miglior corto canadese al festival internazionale del cinema di Toronto.

Recentemente siamo venuti a sapere della strategia israeliana di “pinkwashing” [lett. “lavaggio rosa” in riferimento all’uso propagandistico delle tematiche LGBTQ, ndt.], e desideriamo esprimere il nostro rifiuto a contribuirvi, oltre al nostro appoggio alla comunità LGBTQ+,” ha scritto Lemire.

In seguito al movimento di protesta di parecchi registi e artisti in disaccordo con le politiche di Israele contro la Palestina, abbiamo deciso di prendere posizione a favore di questo movimento. Soprattutto con i recenti avvenimenti, rifiutiamo la strumentalizzazione del nostro film.”

Il regista francese Antoine Héraly ha annullato una sua prevista apparizione al festival per la proiezione del suo film “Furniture Porn Project”.

Dopo un’intensa settimana di riflessione e di letture e di discussioni con organizzazioni e un ampio spettro di intellettuali, sono arrivato alla conclusione che, se io dovessi partecipare fisicamente alla proiezione per presentare “Furniture Porn Project”, la mia coscienza sarebbe assente dalla sala cinematografica,” ha scritto Héraly agli organizzatori del festival.

Se avessi avuto un periodo di tempo più lungo in cui mettere insieme le mie idee, vi avrei chiesto di togliere il mio film dal festival, con cui non mi posso identificare, in quanto è finanziato dallo Stato e quindi parte delle politiche israeliane di ‘pinkwashing’”, ha aggiunto Héraly.

Egli ha sottolineato che il festival in ogni caso ha proiettato film di altri registi che avevano chiesto che venissero cancellati, una cosa che Héraly ha definito “inaccettabile”.

TLVFest è una pietra miliare della campagna di “pinkwashing” di Israele. Il “pinkwashing” è una strategia di pubbliche relazioni che utilizza la presunta apertura di Israele verso le questioni LGBTQ per sviare critiche contro le sue violazioni dei diritti umani e fare appello in particolare al pubblico progressista dell’Occidente.

Ciò spesso implica grossolane esagerazioni delle politiche progressiste israeliane, insieme ad assolute menzogne sui palestinesi.

Governi filo-israeliani che hanno puntualmente evitato di condannare o agire per porre fine alla deliberata uccisione a Gaza di palestinesi disarmati, compresi minori, medici e giornalisti, da parte di Israele, sono diventati sostenitori particolarmente entusiasti del “pinkwashing”.

Venerdì molte ambasciate dell’Unione Europea hanno di nuovo partecipato alla sfilata dell’orgoglio gay a Tel Aviv, come parte dei loro tentativi di etichettare la città come una destinazione turistica aperta e progressista, nonostante il modo in cui ha rappresentato un contesto violento, razzista e ostile per i palestinesi e gli africani [si riferisce soprattutto alle vicende dei richiedenti asilo africani, ndt.].

TLVFest è finanziato dal ministero della Cultura di Israele, che è guidato dall’esponente politica di estrema destra Miri Regev.

Regev è nota per la sua esternazione razzista, in cui ha paragonato rifugiati da Stati africani a un “cancro”, e per aver postato su Facebook un video in cui lei e un gruppo di tifosi di calcio israeliani incitavano alla violenza contro i palestinesi.

Tra gli sponsor di TLVFest c’è la “Saison France-Israël”, un’iniziativa di pubbliche relazioni sostenuta da entrambi i governi e intesa a promuovere l’immagine di Israele.

Boicottaggio di “Pop-Kultur”

Il musicista americano John Maus è diventato il quarto artista a ritirarsi dall’imminente festival “Pop-Kultur” di Berlino, in seguito alla sponsorizzazione da parte dell’ambasciata israeliana.

Il festival ha emesso un comunicato in base al quale Maus e il suo gruppo “preferiscono non suonare all’interno di uno scenario politicizzato.”

Tre artisti britannici – Gwenno Saunders, Richard Dawson e Shopping – hanno già annunciato il proprio ritiro.

Saunders ha scritto: “Non posso mettere in discussione il fatto evidente che il governo e l’esercito israeliani stanno uccidendo palestinesi innocenti, violando i loro diritti umani, e che questa situazione disperata deve cambiare.”

Richieste di annullare la partita di Israele in Irlanda

Queste ultime azioni in solidarietà con i palestinesi sono arrivate dopo che i grandi nomi Shakira e Gilberto Gil hanno abbandonato il progetto di esibirsi a Tel Aviv, e dopo l’annuncio congiunto dello scorso mese di decine di gruppi musicali che avrebbero rispettato l’appello palestinese al boicottaggio.

Ci sono state anche crescenti richieste di boicottare la gara canora “Eurovisione” del prossimo anno se, come è stato anticipato, Israele la ospiterà in seguito alla vittoria di quest’anno di Netta Barzilai.

Ma il maggior risultato per i palestinesi è stato la cancellazione da parte dell’Argentina di una partita “amichevole” contro Israele che era prevista a Gerusalemme questo fine settimana.

L’incontro, parte della preparazione per la Coppa del Mondo di quest’estate, sarebbe stata il fiore all’occhiello delle iniziative propagandistiche israeliane.

Sulla base dell’impulso che viene da quella vittoria della campagna BDS, il partito irlandese [della sinistra nazionalista, ndt.] Sinn Féin sta ora chiedendo la cancellazione di un’ “amichevole” tra Israele e l’Irlanda del Nord prevista a settembre.

Faccio questa richiesta in seguito al recente massacro di oltre 100 manifestanti e alle mutilazioni di migliaia di altri da parte dell’esercito israeliano,” ha detto Sinéad Ennis, parlamentare del Sinn Féin dell’Irlanda del Nord. “La comunità internazionale dovrebbe opporsi allo Stato israeliano per il massacro indiscriminato e le continue discriminazioni contro i palestinesi.”

Il Sinn Féin appoggia la campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) contro Israele che riguarda i rapporti culturali, accademici e sportivi,” ha affermato Ennis.

La IFA, l’ente che gestisce il calcio nell’Irlanda del Nord, si sta già opponendo a questa richiesta.

Il Sinn Féin rappresenta tradizionalmente i nazionalisti irlandesi che pensano che l’Irlanda del Nord dovrebbe diventare parte di uno Stato irlandese unitario.

In genere i nazionalisti non si identificano con la squadra dell’Irlanda del Nord nelle competizioni internazionali e tifano per la Repubblica d’Irlanda.

Il Sinn Féin è uno dei due maggiori partiti dell’Irlanda del Nord, mentre l’altro è il Partito Democratico Unionista (DUP), che appoggia decisamente il mantenimento della divisione dell’Irlanda e il Nord come parte del Regno Unito.

Come partito di tutta l’Irlanda, il Sinn Féin si candida alle elezioni anche nella Repubblica d’Irlanda, e il sindaco di Dublino del Sinn Féin è stato un sostenitore accanito dei diritti dei palestinesi, come riflesso dell’ampia solidarietà per la Palestina nella società irlandese.

In aprile il consiglio comunale di Dublino ne ha fatto la prima capitale europea a sostenere il BDS.

E in maggio il consiglio di Derry, una città della parte dell’Irlanda controllata dalla Gran Bretagna, ha approvato una mozione presentata dal Sinn Féin per l’illuminazione di edifici comunali con i colori della bandiera palestinese in segno di solidarietà.

Al contrario il DUP, cristiano sionista e fortemente filo-israeliano, attualmente tiene in piedi il governo londinese della prima ministra Theresa May, il che gli dà un enorme potere nel Regno Unito.

I politici del DUP appoggiano decisamente la partita Israele-Irlanda del Nord.

(traduzione di Amedeo Rossi)