Giro d’Italia: il ciclista palestinese ferito a Gaza ‘disgustato’ dalla gara a tappe in Israele

Maha Hussaini

Mercoledì 2 maggio 2018, Middle East Eye

Alaa Al-Dali, che ha perso una gamba dopo essere stato colpito mentre protestava vicino alla barriera di confine di Gaza, afferma che la gara a tappe a Gerusalemme è un incoraggiamento agli abusi israeliani.

Un ciclista palestinese, che ha perso una gamba dopo che un cecchino israeliano gli ha sparato mentre manifestava vicino alla barriera di confine di Gaza, ha accusato gli organizzatori e i corridori del Giro d’Italia di incoraggiare la violenza israeliana accettando che la gara si disputi nel Paese.

Alaa al-Dali ha subito otto operazioni ed alla fine gli è stata amputata una gamba dopo essere stato colpito mentre partecipava alle proteste della “Grande Marcia per il Ritorno” il 30 marzo.

Il ventunenne era in lizza per gareggiare per la Palestina nei giochi asiatici a Giakarta in agosto, ed ha detto a Middle East Eye che l’esercito israeliano ha “distrutto il suo sogno”.

Il Giro d’Italia, una delle corse di ciclismo più prestigiose, inizia a Gerusalemme venerdì ed Israele ospiterà altre due tappe prima che la gara ritorni in Italia, suscitando la condanna degli attivisti per i diritti dei palestinesi e dei partecipanti alla campagna di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni (BDS).

Al-Dali ha fatto appello alla comunità internazionale perché imponga sanzioni ed un boicottaggio sportivo verso Israele, invece di permettergli l’“onore” di ospitare la gara.

“È molto triste sapere che la gente godrà del mio sport preferito nel Paese il cui l’esercito ha distrutto i miei sogni”, da detto al-Dali. “Non è bello. Sono scioccato e disgustato da questa notizia.”

La gara servirà solo a evidenziare il divario tra “l’occupante e l’occupato”, ha aggiunto.

“Questa è una contraddizione all’ennesima potenza. Simili eventi dovrebbero simboleggiare pace e umanità. Non riesco a vedere nulla di pacifico nello spararmi e rendermi disabile per essermi trovato a circa 200 metri dalla barriera di confine.”

Il fratello maggiore di Al-Dali, il venticinquenne Muhammed, ha detto a MEE che i medici hanno deciso di amputargli la gamba a causa dei danni alle ossa e ai tessuti.

Ma ha detto di credere che ci sarebbe stata una possibilità di salvare la sua gamba se Israele non gli avesse negato il permesso di farsi curare in Cisgiordania.

Il sistema sanitario di Gaza è stato devastato da un blocco di 11 anni imposto da Israele dopo la vittoria di Hamas alle elezioni, che ha gettato l’enclave in una crisi umanitaria.

‘Occhi chiusi di fronte alle nostre sofferenze’

“Gli organizzatori ed i partecipanti non solo chiudono gli occhi sulle nostre sofferenze, in quanto atleti a cui vengono negati i diritti fondamentali, ma stanno anche incoraggiando le autorità israeliane ad imporre ulteriori restrizioni ed a continuare nei loro soprusi contro di noi”, ha detto Alaa al-Dali.

Secondo Ashraf al-Qedra, portavoce del ministero della Sanità palestinese a Gaza, dall’inizio delle proteste della Grande Marcia per il Ritorno, in cui i palestinesi stanno protestando per il loro diritto al ritorno nelle terre e nelle case occupate da Israele nel 1948 e nei successivi conflitti, almeno 44 palestinesi sono stati uccisi ed altri 7.000 feriti, comprese decine di persone rimaste disabili.

Venerdì la prima tappa del Giro d’Italia vedrà gli atleti correre una corsa a cronometro di 9.7 km. a Gerusalemme ovest, che terminerà sotto le mura della Città Vecchia di Gerusalemme, nella Gerusalemme est occupata.

Poi Israele ospiterà tappe da Haifa a Tel Aviv e da Beer Sheva attraverso il deserto del Negev fino al porto di Eilat, sul Mar Rosso.

La gara ospita alcuni dei più famosi ciclisti al mondo, compreso Chris Froome, che cerca di diventare il primo campione, nell’era del ciclismo moderno, a conquistare contemporaneamente tutti e tre i titoli dei grandi tour sportivi, il Tour de France, la Vuelta de España e il Giro d’Italia.

La gara ospita anche squadre sponsorizzate dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrain.

La partenza della gara è particolarmente significativa poiché coincide con le celebrazioni del 70^ anniversario del giorno dell’indipendenza di Israele, e avviene solo pochi giorni prima che i palestinesi celebrino l’anniversario della Nakba, o catastrofe, in cui più di 750.000 persone furono espulse con la forza dalle loro terre nel maggio 1948.

Una mappa illustrata del percorso della gara pubblicata sul Twitter del Giro mostra la Città Vecchia di Gerusalemme e la moschea della Cupola della Roccia.

Il movimento BDS ha condotto una campagna perché la corsa venisse spostata fin da quando è stato annunciato il percorso l’anno scorso, avvertendo che far partire la gara in Israele avrebbe assunto il significato di un “timbro di approvazione” delle “violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani dei palestinesi.”

“Proprio come sarebbe stato inaccettabile per il Giro d’Italia partire dal Sudafrica dell’apartheid negli anni ’80, è ora inaccettabile far partire la gara da Israele, in quanto questo servirà solo come sigillo di approvazione dell’oppressione di Israele sui palestinesi”, ha dichiarato il movimento sul suo sito web ufficiale.

In seguito alla comunicazione del percorso della gara lo scorso novembre, le associazioni per i diritti hanno emesso un comunicato congiunto chiedendo agli organizzatori di RCS Sport di spostare la partenza della gara da Israele, che, secondo loro, “accrescerà il senso di impunità di Israele.”

In risposta, RCS Sport, l’organizzatore del Giro, ha detto che la gara si sarebbe svolta in Israele come parte dell’“internazionalizzazione” dell’evento e come “un mezzo per esportare nel mondo tutto ciò che è italiano”.

A settembre il direttore della gara Mauro Vegni ha detto: “La realtà è che vogliamo che questo sia un evento sportivo e che si tenga lontano da ogni questione politica.”

Saied Timraz, vicepresidente di Palestinian Motorsport, Motorcycle and Bicycle Federation, ha affermato che è “irragionevole” tenere un evento così prestigioso in Israele allo stesso tempo in cui gli atleti palestinesi vengono privati dei loro diritti fondamentali dalle autorità israeliane.

“Israele usa lo sport per mascherare le sue flagranti violazioni contro i palestinesi. Ha un particolare interesse ad ospitare questo evento in quanto esso consente ai partecipanti di ammirare i luoghi e promuovere una immagine civilizzata di Israele”, ha detto Timraz a MEE.

“Benché lo sport e la politica debbano mantenersi separati, nulla può giustificare dare un premio agli oppressori.”

Secondo Timraz, lo scorso novembre le autorità israeliane hanno rifiutato a lui ed altri sei atleti palestinesi i permessi per uscire da Gaza per gareggiare nel campionato arabo di atletica del 2017, organizzato dalla Associazione Atletica Araba in Tunisia.

“Non è la prima volta che ci negano i permessi per partecipare ad eventi internazionali”, ha detto Timraz.

“Le autorità israeliane vogliono imporre severe restrizioni ai palestinesi che intendono partecipare ad eventi che darebbero voce alle loro sofferenze e mostrerebbero il vero volto dell’occupazione.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)





Einstein parla di Israele, 70 anni fa – Il fantasma di Herut*

Ramzy Baroud

25 aprile 2018, palestinechronicle

Il 4 dicembre 1948 Albert Einstein, insieme ad altre personalità ebree tra cui Hannah Arendt, pubblicò una lettera sul New York Times. Erano passati solo pochi mesi da quando Israele aveva dichiarato l’indipendenza, e centinaia di villaggi palestinesi erano stati intenzionalmente demoliti dopo averne espulsi gli abitanti.

La lettera denunciava il nuovo partito Herut di Israele e il suo giovane leader, Menachem Begin.

Herut era una costola della banda terroristica Irgun, famosa per i numerosi massacri di comunità arabe palestinesi conclusisi nella Nakba, la catastrofica pulizia etnica del popolo palestinese, cacciato dalla propria patria storica nel 1947-48.

Nella lettera, Einstein e gli altri descrivevano il partito Herut (Libertà) come un “partito politico strettamente affine nell’organizzazione, nei metodi, nel pensiero politico e nell’ascendente sociale ai partiti nazisti e fascisti”.

Che una lettera simile venisse pubblicata solo qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale e la tragedia dell’Olocausto è un’importante indicazione dell’autentico abisso che separava gli intellettuali ebrei dell’epoca: i sionisti che sostenevano Israele e la violenza della sua nascita, e quelli che, in base ad una morale superiore, vi si opponevano.

Purtroppo, quest’ultimo gruppo – sebbene esista ancora – perse la battaglia.

Successivamente, Herut si unì ad altri gruppi per formare il Likud. Begin ha ricevuto il premio Nobel per la pace e il Likud è ora il principale partito nella coalizione israeliana di governo più di destra. La filosofia “nazista e fascista” di Herut ha prevalso e ora travolge e determina la società civile di Israele.

Questa tendenza a destra è più spiccata tra i giovani israeliani che nelle generazioni precedenti.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu è capo del partito di Begin, il Likud. La sua attuale coalizione comprende il ministro della Difesa di origine russa Avigdor Lieberman, fondatore del partito ultranazionalista Yisrael Beiteinu [Israele Casa Nostra, che rappresenta soprattutto gli immigrati russi, ndt.].

In risposta alle continue proteste popolari dei palestinesi assediati a Gaza, e a giustificazione dell’elevato numero di morti e feriti fra i manifestanti disarmati dovuti all’esercito israeliano, Lieberman ha affermato che ” a Gaza non ci sono innocenti “.

Quando il ministro della Difesa di un Paese rilascia questo tipo di dichiarazioni, non può stupire il fatto che i cecchini israeliani sparino ai giovani palestinesi, e che esultino in un video mentre colpiscono il bersaglio [un filmato circolato in rete mostra alcuni soldati che si rallegrano con un cecchino che ha sparato ad un ragazzo palestinese, ndt.].

Questo tipo di discorso – fascista per eccellenza – non è affatto una narrazione marginale nella società israeliana.

La coalizione di Netanyahu pullula di personaggi altrettanto moralmente deplorabili.

Una politica israeliana, Ayelet Shaked, ha spesso invocato il genocidio dei palestinesi.

I palestinesi “sono tutti nemici combattenti e il loro sangue dovrebbe coprirne le teste”, ha scritto in un post su Facebook nel 2015. “E questo comprende anche le madri dei martiri … Dovrebbero scomparire, come le case, luoghi fisici in cui hanno allevato i serpenti. Altrimenti, altri piccoli serpenti vi saranno allevati”.

Pochi mesi dopo la pubblicazione di questa dichiarazione, Netanyahu, nel dicembre 2015, l’ha nominata Ministro della Giustizia del Paese.

Shaked appartiene al partito Jewish Home [Casa Ebraica, partito di estrema destra dei coloni, ndt.], con a capo Naftali Bennett. Quest’ultimo è il ministro dell’Istruzione israeliano ed è noto per dichiarazioni altrettanto violente. È stato uno dei primi politici a difendere i soldati israeliani accusati di violazione dei diritti umani sul confine di Gaza. Altri importanti politici israeliani ne hanno seguito l’esempio.

Il 19 aprile, Israele ha celebrato la propria indipendenza. La mentalità “nazista e fascista” che caratterizzava Herut nel 1948 caratterizza ora la più potente classe dirigente che Israele abbia avuto. I leader di Israele parlano apertamente di genocidio e omicidio, e nonostante ciò celebrano e promuovono Israele come un’icona di civiltà, di democrazia e dei diritti umani.

Perfino gli appartenenti al passato Sionismo Culturale [corrente del sionismo, rappresentata da Achad Haam e da Martin Buber, che sostenteva la rigenerazione dell’ebraismo e la convivenza con gli arabi, ndt.] sarebbero completamente inorriditi dalla creatura che è diventato il loro amato Israel a sette decenni dalla nascita.

Sicuramente il popolo palestinese sta ancora combattendo per la propria terra, identità, dignità e libertà. Ma la verità è che il più grande nemico di Israele è Israele stesso. Il Paese non è riuscito a staccarsi dalla politica e dall’ideologia violente del passato. Al contrario, il dibattito ideologico in Israele è andato decisamente a favore della violenza senza fine, del razzismo e dell’apartheid.

Nella presunta “unica democrazia del Medio Oriente”, il margine di critica è ormai molto limitato.

Sono quelli come Netanyahu, Lieberman, Bennett e Shaked che rappresentano adesso l’Israele contemporaneo e, dietro di loro, un massiccio elettorato di religiosi di destra e di ultranazionalisti che poco badano ai palestinesi, ai diritti umani, al diritto internazionale e a valori apparentemente futili come la pace e la giustizia.

Nel 1938, Einstein aveva messo in discussione l’idea che stava alla base della creazione di Israele. È contro la “natura fondamentale dell’ebraismo”, disse.

Qualche anno dopo, nel 1946, affermò davanti alla Commissione d’inchiesta anglo-americana sulla questione palestinese: “Non riesco a capire perché ce ne sia bisogno [di Israele] … Credo sia sbagliato”.

Inutile dire che se Einstein fosse vivo oggi, si sarebbe unito al movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), che mira a far pagare ad Israele le sue pratiche violente e illegali contro i palestinesi.

Allo stesso tempo, sarebbe sicuramente stato etichettato come antisemita o “ebreo che odia se stesso” dai leader israeliani e dai loro sostenitori. I sionisti di oggi sono davvero imperterriti.

Ma questo tragico paradigma deve essere rovesciato. I bambini palestinesi non sono terroristi e non possono essere trattati come tali. Non sono neanche ‘piccoli serpenti’. Le madri palestinesi non dovrebbero essere uccise. Il popolo palestinese non è un “nemico combattente” da sradicare. Il genocidio non deve essere normalizzato.

Settant’anni dopo l’indipendenza di Israele e dopo la lettera di Einstein, l’eredità del Paese è ancora segnata dal sangue e dalla violenza. Nonostante la festa in corso a Tel Aviv, non c’è alcun motivo di festeggiare e molti motivi per piangere.

Tuttavia, la speranza è mantenuta in vita perché il popolo palestinese sta ancora resistendo, e ha bisogno che il mondo sia solidale. È l’unico modo perché il fantasma di Herut smetta di perseguitare i palestinesi, e le ideologie “nazista e fascista” vengano sconfitte per sempre.

*[il maggior partito politico di centro-destra del Parlamento israeliano dagli anni quaranta fino al 1988]

Ramzy Baroud è giornalista, autore e curatore di Palestine Chronicle. Il suo ultimo libro è The Last Earth: A Palestinian Story (Pluto Press, Londra 2018). Baroud ha conseguito un dottorato di ricerca in Studi Palestinesi presso l’Università di Exeter ed è ricercatore non residente presso il Centro Orfalea di Studi Mondiali e Internazionali all’Università della California a Santa Barbara.

(Traduzione di Luciana Galliano)

 

 




È così che si fa, signorina Portman, ma è solo l’inizio

Gideon Levy

22 aprile 2018, Haaretz

Il rifiuto di Natalie Portman di prendere parte alla cerimonia del Premio Genesis è stato un grande colpo. Il suo chiarimento ha attenuato la portata del passo compiuto.

L’annuncio della decisione di Natalie Portman di boicottare la cerimonia del Premio Genesis è stato un colpo formidabile. Eccolo qui, che arriva dalla vetta del glamour, da un’innamorata di Israele quale lei è, ebrea, che parla ebraico, nata in Israele, cittadina di Israele e una fonte di orgoglio per Israele, e che ha molto da perdere. Non un’antisemita o una fondamentalista, non di estrema destra o della sinistra radicale, non Roger Waters, neppure una del BDS [movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, ndt.]. Proprio un colpo al centro, dal cuore del centro ebraico: una critica a Israele, le bibliche “ferite di un amico” [“Fedeli sono le ferite di un amico, ma ingannevoli sono i baci di un nemico” da Proverbi, 27:6, ndt.], persino una specie di boicottaggio.

Mentre artisti israeliani “di sinistra” hanno paura del rapper “The Shadow” [“L’ombra”, rapper israeliano di estrema destra, ndt.] e soprattutto della loro stessa ombra, un’artista del suo calibro arriva e fa una chiara dichiarazione su Israele. Insieme ad una coscienza, è necessaria una grande quantità di coraggio per un simile passo, soprattutto di fronte a una Hollywood ebraica, sionista, spietata, che non perdonerà Portman né se ne dimenticherà.

Né la perdonerà per questo la Destra israeliana: il ministro della guerra (contro il movimento BDS), cioè quello della Sicurezza Pubblica, Gilad Erdan, ha subito pubblicato una lettera in cui spiega a Portman la situazione. Quello che sta succedendo a Gaza non è a causa nostra, è tutta colpa di Hamas. La solita propaganda insensata e menzognera, proprio nel giorno in cui i tiratori scelti dell’esercito israeliano hanno ucciso a sangue freddo un altro quindicenne e la foto di Mohammed Ayoub sanguinante sulla sabbia di Gaza è stata pubblicata in tutto il mondo. Si è subito scoperto che Erdan, come molti altri, era sicuro che il massacro di manifestanti a Gaza sia stato ciò che ha appiccato l’incendio nello stomaco di Portman. Ma non è stato così.

Il chiarimento di Portman ha attenuato la portata del passo compiuto: “Ho scelto di non partecipare perché non voglio apparire come una sostenitrice di Benjamin Netanyahu,” ha scritto. Un grande passo avanti e un piccolo passo indietro. Netanyahu è certamente un problema, ma non il problema su cui Portman, come persona di coscienza e sionista, deve far sentire la propria voce. Netanyahu è Israele.

Portman ha fatto molta strada, non solo dal suo primo film al suo Oscar, ma anche dalla lettera che pubblicò sull’ “Harvard Crimson” [“Harvard Cremisi”, giornale dell’università di Harvard, ndt.] 16 anni fa in difesa di Israele e negando la sua situazione di apartheid, al passo fatto venerdì.

Il cambiamento in lei, che a quanto pare è avvenuto in molti ebrei, è una buona notizia, come lo è il suo coraggio. Ma la strada è ancora lunga. Portman ha scritto che non sarebbe venuta a causa della “violenza, corruzione, disuguaglianza e abuso di potere.” Neppure una sola parola esplicita sul peccato originale, l’occupazione.

Né la protesta di Portman è diretta all’indirizzo giusto. È un’autodifesa incolpare Netanyahu di tutto. Come molti ebrei (e israeliani) progressisti, Portman considera Netanyahu la radice di ogni male. E cosa dire dei suoi predecessori, quelli che hanno seminato la distruzione e le uccisioni a Gaza e in Libano, che hanno imposto a Gaza un blocco crudele, che hanno rafforzato l’occupazione in Cisgiordania e triplicato il numero di coloni (lei ha stretto le loro mani, meno quella di Netanyahu)?

Il potere mediatico di Portman è enorme. Venerdì mattina la sua dichiarazione su Instagram aveva già riscosso 100.000 “mi piace”. Gli ebrei, come molti israeliani, hanno tirato un sospiro di sollievo. Portman è contro il BDS e contro Netanyahu, ma continua a onorare “il cibo, i libri, l’arte, il cinema e la danza israeliani”.

Con tutto il rispetto, signorina Portman, il cibo, la danza e il cinema israeliani sono anch’essi macchiati, in misura più o meno grande, dall’occupazione. Siamo tutti da condannare per questo. Il modo per porvi fine, che è la prima e fondamentale condizione per rendere Israele un Paese più giusto, passa da iniziative coraggiose come quella che lei ha preso, ma devono rivolgersi al cuore dell’inferno e non solo ai suoi margini; all’origine del tumore e non solo alle sue metastasi. Devono diventare iniziative concrete, come quelle che chiede il movimento BDS. È l’unico modo per scuotere Israele dall’autocompiacimento.

Mi tolgo umilmente il cappello di fronte a lei ed al suo coraggio, signorina Portman. La sua direzione è quella giusta; senza il vento in poppa da persone come lei, qui non cambierà niente. Ma è solo l’inizio.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




In realtà, Natalie, tu STAI praticando il BDS

Yousef Munayyer

The Forward 21 aprile 2018

Cara Natalie (se me lo consenti),
negli ultimi giorni, ho seguito attentamente la tua decisione di non partecipare a una cerimonia di premiazione in Israele e le tue dichiarazioni in merito. La tua decisione per me è stata importante non solo perché sono palestinese, ma perché mi sono reso conto che abbiamo qualcosa in comune, tu ed io. Sono nato in Israele, a soli 50km. da Gerusalemme, dove sei nata tu; a Lydda, la città della mia famiglia (la mia famiglia non si è trasferita in Israele, è Israele che è venuto da noi). Tu ed io siamo anche quasi coetanei, anche se sicuramente abbiamo vissuto il nostro essere cittadini israeliani in modi molto diversi. Per me, palestinese, ha voluto dire essere etichettato e trattato come “minaccia demografica”, mentre tu hai parlato bene di Israele e sei orgogliosa di esserne cittadina. Abbiamo entrambi lasciato Israele e ci siamo trasferiti negli USA da piccoli, insieme alle nostre famiglie. Chissà, magari abbiamo sorvolato l’Atlantico sullo stesso aereo, anche se sono praticamente certo che la tua esperienza con la polizia aeroportuale sia stata molto diversa dalla mia (anche se probabilmente entrambi abbiamo applaudito quando il pilota ci ha fatto atterrare sani e salvi). Ma se, una volta negli USA, la tua esperienza è stata simile alla mia, allora vuol dire che nemmeno tu ti sei mai sentita completamente a tuo agio né qui né lì, un piede qua e uno là, e un cuore perennemente desideroso di una casa. E arriviamo al punto in cui le nostre strade si separano. Tu hai intrapreso una carriera di attrice, fino a vincere un Oscar. La mia carriera d’attore si è fermata al Mago di Oz, in seconda media: io ero il leone, e forse ho un po’ esagerato con l’accento di Bert Lahr. Penso di aver fatto un buon lavoro, ma la mia passione mi ha portato a seguire un’altra strada, che poi è il motivo per cui oggi ti scrivo. La motivazione che hai dato per il tuo rifiuto del Genesis Prize è che non volevi condividere il palco con Netanyahu e non volevi in alcun modo dare l’impressione di sostenerlo. Penso di andare sul sicuro se ipotizzo che il tuo avercela con Netanyahu non sia un fatto personale. Non riguarda la tinta di capelli che ha scelto o l’uso continuo di patetici giochetti e slogan durante i suoi discorsi, ma ha a che fare con la politica e con le politiche che lui rappresenta, politiche che violano il diritto internazionale e i diritti fondamentali dei palestinesi, ammazzati quotidianamente dallo stato israeliano. E, con il tuo rifiuto di tollerare queste politiche e il loro sostenitore, stai dimostrando di capire che lo stato israeliano non pensa che le proprie politiche siano un problema. Ciò che invece loro credono è che la percezione che il mondo ha delle loro politiche sia diventata il vero problema. Se solo potessero far capire al mondo che, in qualche modo, è accettabile negare perennemente i diritti fondamentali a milioni di persone, a quanto pare per loro tutto andrebbe meglio. Gli sforzi di Israele per convincere il mondo ad accettare questa spoliazione includono il portare persone famose come te su palchi israeliani, mandando il messaggio ai loro fan che quel che Israele fa va bene. Questa è una strategia di pubbliche relazioni particolarmente importante per Israele, appunto perché è rivolta a un target giovane che si sta allontanando dallo stato israeliano. Con la tua decisione, hai mandato un messaggio a Israele: le loro politiche, che violano i diritti umani e civili, sono ingiustificabili. Ecco perché è così importante che tu abbia deciso di non partecipare a questa cerimonia. So che potresti non vederla così. Nel tuo comunicato, hai scritto: “Non faccio parte del movimento BDS e non lo sostengo”. “Come molti israeliani ed ebrei nel mondo, posso criticare la leadership in Israele senza per questo voler boicottare l’intera nazione; considero preziosi i miei amici israeliani e la mia famiglia, il cibo israeliano, i libri, l’arte, il cinema e la danza.” Per un cittadino israeliano, la pratica del boicottaggio può apparire complicata. Tu ed io abbiamo entrambi la famiglia in Israele, persone che amiamo e che non possiamo immaginare di non rivedere. Gli israeliani, come tutti, hanno molto da offrire al mondo. Quindi io comprendo la tua esitazione a “boicottare l’intera nazione”. Ma non è questo, il BDS. I singoli individui non sono l’obiettivo del boicottaggio, è lo Stato ad esserlo. Queste cose possono e devono essere separate. La verità è che il BDS non è nemmeno un movimento. Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni sono una serie di strategie nonviolente che vengono utilizzate da molti movimenti, ma che le istituzioni della società civile palestinese hanno chiesto alla comunità internazionale di adottare come parte del movimento nonviolento per i diritti dei palestinesi, per mandare a Israele il messaggio che deve smettere di negarli. E lo stato di Israele, dal canto suo, terrorizzato dall’adozione su vasta scala di queste strategie, ha cercato di diffamare gli attivisti e di mettere zizzania tra i palestinesi e gli internazionali che vogliono sostenerne i diritti, nel tentativo di far desistere la gente dall’uso di queste strategie nonviolente. Alla fine, israeliani e palestinesi dovranno raggiungere un accordo sulle regole politiche che governeranno la loro coesistenza. Ma questo non può succedere finché lo stato israeliano non si rende conto che lo status quo è inaccettabile, immorale e costoso. L’importante è che il messaggio venga inviato. Israele ha bisogno di sentirlo. Ma il modo in cui ognuno decide di mandare il messaggio, beh, questo dipende da ogni singola persona. Sicuramente c’è modo di fare soggiorni etici che non forniscono sostegno o legittimazione allo stato israeliano e alle sue politiche. Io preferisco un’azione economica nonviolenta contro lo stato israeliano e le istituzioni o le aziende legate allo stato che fanno profitti dalle sue politiche abusive o lavorano per mascherarle. Ciò non vuol dire che io non possa comprare l’hummus nel makolet (negozio di alimentari, n.d.t.) di mio cugino quando vado a trovare la mia famiglia. E a quanto pare tu hai trovato il tuo modo di partecipare, boicottando il Genesis Prize. C’è un’ultima differenza tra noi che mi piacerebbe sottolineare. Magari hai pensato di tornare a vivere in Israele, un giorno, con la tua famiglia. Il tuo partner, Benjamin, coreografo francese, potrebbe ottenere la residenza e poi la cittadinanza perché tu sei cittadina israeliana. La mia compagna ed io, invece, non possiamo tornarci insieme, perché lei, professoressa di chimica, è palestinese della Cisgiordania, terra occupata da Israele. Ciò significa che, anche se io sono cittadino israeliano, lo stato impedisce a me e ad altri, sposati con palestinesi, di vivere con loro in Israele. Questo perché, come ha spiegato Benjamin Netanyahu, ciò comporterebbe “un’esplosione demografica”. La differenza, vedi, è che lo stato si preoccupa dei miei figli non ancora nati, ma non dei tuoi. Tu hai contribuito a modo tuo, questa settimana, a mettere fine a questa situazione perversa, mettendoci la faccia contro questo tipo di ineguaglianze. Spero che tu e gli altri che potrebbero trarre ispirazione dalla tua decisione continuerete a farlo, in modi che facciano sentire sempre più forte il messaggio, finché non potrà più essere ignorato.
Con affetto, Yousef
Yousef Munayyer, analista politico e scrittore, è Direttore Esecutivo della Campagna USA per i diritti dei Palestinesi.
(Traduzione di Elena Bellini) su Facebook



“Mezzi di informazione occidentali” e mistificazione di massa

Hamid Dabashi

9 aprile 2018, Al Jazeera

Cosa ci dice l’informazione sulle atrocità commesse da Israele a Gaza della veridicità dei “mezzi di informazione occidentali”?

Confine tra Gaza e Israele: scontri ‘lasciano 16 palestinesi uccisi e centinaia feriti’”. Questo è un tipico titolo della BBC quando i soldati israeliani hanno iniziato a uccidere, con precisione e a sangue freddo, palestinesi indifesi. “Fonti ufficiali palestinesi affermano,” aggiungerebbero poi, “che almeno 16 persone sono state uccise dalle forze israeliane e altre centinaia ferite durante le proteste sul confine tra Gaza e Israele…L’esercito israeliano afferma che i soldati hanno aperto il fuoco dopo che erano scoppiati disordini.”

Da dove provengono queste notizie particolarmente evasive, questo linguaggio ingannevole, questa propensione per un resoconto con tono passivo, che mette sistematicamente in discussione la verità mentre la racconta – cosa significa questo tratto di tergiversazione congenita, cosa penserebbe la gente in tutto il mondo che legge queste righe sia successo, per come lo racconta la BBC, sul “confine tra Gaza e Israele”?

Non importa molto quello che è realmente avvenuto sul “confine”. Quello che interessa è quello che la BBC, o qualunque altro auto-denominato membro onorario del club “mezzi di informazione occidentali”, dice sia avvenuto, e come lo dice. Ma cosa ne è della verità? Cos’è effettivamente avvenuto? Chi ha avuto a portata di mano un potere di fuoco letale, chi si è esposto totalmente indifeso? Uno dei pochi giornalisti palestinesi che avrebbe potuto raccontare al mondo la verità di quanto stava accadendo, Yaser Murtaja, è stato preso di mira da un tiratore scelto israeliano e deliberatamente ucciso. Così il mondo è in balia della BBC o del New York Times, ecc., perché dicano quello che è realmente successo.

Qual’ è la distanza, la differenza, tra quello che è realmente successo per come l’hanno vissuto i palestinesi, camminando come innocenti gazzelle, di fronte ad una banda di feroci cacciatori, e quello che la BBC, o la CNN o il New York Times, ecc., dicono sia successo?

L’esempio di mistificazione di massa

Nel loro rivoluzionario libro “Dialettica dell’Illuminismo” (1944) le figure fondative della “Teoria Critica”, Theodore Adorno e Max Horkheimer, dedicano un ormai leggendario capitolo a quello che chiamano “Industria culturale: quando l’Illuminismo diventa mistificazione di massa.”

In questo capitolo analizzano come le società del capitalismo avanzato producano i soggetti sociali come consumatori della cultura di massa –come sono consumatori del caffè Starbucks o degli hamburger MacDonald –, che vuol dire che le loro soggettività sono la creazione di un’industria della cultura, ricettacoli di un massiccio corpo di disinformazione che non solo li intrattiene e li preoccupa ma, di fatto, li progetta come ricettacoli di una dominazione ideologica al di là della loro consapevolezza o capacità critica. Crea in loro un senso di falsa autonomia di scelta.

Quelli che oggi chiamiamo “mezzi di informazione occidentali” sono l’esempio fondamentale della visione di Adorno e Horkheimer, la produzione di “notizie” come esempi perfetti di feticismo della merce. Mezzi di informazione come BBC, CNN, New York Times sono etichette sotto cui questa merce che si chiama “mezzi di informazione occidentali” costruisce sia una realtà da tenere in conto che di fatto la consapevolezza normativa della persona che consuma queste notizie e si ritiene informata. Possono ritenersi mezzi di informazione obiettivi che ogni tanto diffondono nell’etere un annuncio pubblicitario per una linea aerea o un detersivo. Ma loro stessi sono una marca esattamente come le altre marche che pubblicizzano.

Questi “mezzi di informazione occidentali” si sono storicamente posti inizialmente come il contrario delle notizie come venivano in genere diffuse nel Blocco Sovietico, o in Cina, o nel “Terzo Mondo” in generale, bollate come “controllate dallo Stato”, “propaganda” e quindi false, e di conseguenza postulavano se stessi come “indipendenti”, “oggettivi”, “corretti” e “veritieri”.

Quella etichetta politica ha ora raggiunto il punto di autodefinizione normativa di verità. È stato, forse paradossalmente – forse no – uno squallido ciarlatano come Donald Trump, ora presidente degli Stati Uniti, che per primo ha messo questi “mezzi di informazione occidentali” sulla difensiva, svalutandoli con le proprie “verità alternative”. Le sue bugie e la sua ciarlataneria sono una marca di notizie opposte ai “mezzi di informazione occidentali.”

Proprio questi “mezzi di informazione occidentali” sono ora in uno stato di shock e sulla difensiva. Si sentono minacciati da una disinformazione manipolatoria, come evidenziato al meglio dallo scandalo di “Cambridge Analytica”, in cui abbiamo appreso che compagnie private “estraggono dati” da reti sociali per manipolare masse critiche di votanti nelle elezioni nazionali. Questi “mezzi di informazione occidentali” hanno trovato in “Cambridge Analytica” una sfida, un nuovissimo rivale. “Cambridge Analytica” è un grande specchio scintillante davanti ai “mezzi di informazione occidentali”, che ha un rendimento superiore rispetto alle loro prassi e marchi antiquati.

Permettete che mi spieghi.

Colonialismo allora e adesso

Prendiamo l’esempio della BBC [la televisione pubblica britannica, ndt.] e vediamo in che modo abbia etichettato se stessa come metro di giudizio dei fatti e della verità – mentre si impegnava sistematicamente in quella che Adorno e Horkheimer hanno chiamato “mistificazione di massa”.

Iniziamo ponendoci una semplice domanda: i britannici hanno appreso la lezione dalla loro lunga e crudele storia coloniale, durante la quale hanno saccheggiato la Terra, i suoi abitanti e le sue risorse naturali? Si pentono di quella storia – guardano alle persone di Asia, Africa o America latina con un senso di colpa, rimorso o di scusa?

Per esempio Shashi Tharoor, l’illustre parlamentare indiano, ha sostenuto in modo convincente che i britannici devono all’India un indennizzo per il saccheggio dei suoi preziosi beni. In un mondo giusto, quel risarcimento sarebbe pagato sia come ratifica fattuale di quello che i britannici hanno fatto all’India che come parziale ammenda per le loro criminali atrocità.

Ma si potrebbe dire: lasciamo perdere il passato. Quello che è fatto è fatto. Andiamo avanti. Va bene. Ma i britannici della “British Broadcasting Corporation” (BBC) hanno appreso la lezione e si pentono delle loro atrocità o continuano ad ostentare in qualunque altro luogo gli stessi atteggiamenti, pratiche e discorsi razzisti e colonialisti della conquista coloniale britannica dell’India? Basta vedere il modo in cui la BBC informa sulla conquista israeliana della Palestina a confronto con il linguaggio coloniale della loro conquista dell’India.

Oggi due documenti storici sono a disposizione del mondo in generale per vedere come l’atteggiamento britannico verso il colonialismo sia rimasto costante e coerente: uno è la dichiarazione Balfour del 1917 e l’altro il modo – sia nelle parole che nel punto di vista – con cui oggi la BBC informa dell’occupazione coloniale israeliana della Palestina. Sono identici nella loro perfidia.

Mistificare la verità

Oggi la BBC è parte integrante della macchina propagandistica di Israele – e la prova di ciò è totalmente evidente a tutti ogni volta che gli israeliani compiono una strage massacrando palestinesi come stanno facendo dal 30 marzo, quando gente di Gaza ha cominciato a commemorare il “Giorno della Terra”. L’esercito israeliano ha iniziato a prendere di mira e a uccidere deliberatamente palestinesi, mentre la BBC ed altri campioni del marchio “mezzi di informazione occidentali” hanno sistematicamente sminuito la gravità di questo crudele massacro di persone indifese. La BBC ha reso accettabile, spiegabile, persino giustificabile questo crimine contro l’umanità – per il quale tutti i principali politici della colonia di insediamento [cioè Israele, ndt.] dovrebbero essere arrestati e giudicati in tribunale.

Le strategie di immagini e parole della BBC per mistificare la realtà di quello che gli israeliani hanno storicamente fatto e continuano a fare oggi sono piuttosto semplici, se non insieme rozze e banali. Devono mandare il loro personale a studiare per conseguire un diploma più avanzato in “Neolingua” [linguaggio artificiale inventato da George Orwell nel libro “1984”, ndt.]. La loro “Neolingua” è infantile e banale.

Prendete uno qualunque dei loro reportage: in primo luogo, mostra un primo piano di pugni alzati e bocche aperte e facce infuriate e bandiere in alto di palestinesi – non stanno forse minacciando? Violenti, pericolosi e minacciosi. Assicurati che l’obiettivo della tua macchina da presa sia molto stretto. Non allargarlo mai per mostrare i tiratori scelti israeliani lì vicino che sparano proiettili letali contro migliaia di civili indifesi e disarmati che protestano contro il sistematico furto della loro patria agevolato dal colonialismo britannico. Ciò vanificherebbe l’obiettivo principale, metterebbe in evidenza la menzogna e rovinerebbe il marchio.

Poi arrivano le definizioni più insidiose – a cominciare da “scontri”. Quali “scontri”? Scontri tra quali due soggetti? “Scontrarsi” è confrontarsi con una forza oggettivamente uguale – lo scontro tra due spade, tra due pugni, tra due eserciti – un proiettile letale non “si scontra” con un corpo indifeso. Una pallottola attraversa e ferisce ed uccide (non “si scontra con”) un corpo. Scegliendo “scontri”, la BBC mente: fa finta che ci siano due elementi più o meno identici, due eserciti, due forze opposte. Non c’è niente di simile. Da una parte c’è un esercito senza pietà, armato fino ai denti da Barack Obama e da tutti i suoi predecessori e successori, dall’altra gente indifesa. La BBC occulta questo fatto con la parola “scontri” – e nientemeno che al plurale.

Poi viene il vero trucco: usa virgolette intimidatorie, scrivi “lascia 16 palestinesi morti e centinaia feriti” tra virgolette per pregiudicarne la veridicità. I tuoi reporter sul posto sono sordi, muti e ciechi – non vedono che i palestinesi vengono uccisi e feriti da quei tiratori scelti israeliani – per cui si attribuisce la ”notizia” – non la verità – del loro massacro alle fonti palestinesi – ciò metterà in dubbio il vero valore della notizia. “Loro” dicono che sono stati uccisi o feriti in tanti – la BBC non conferma la veridicità di questi palestinesi di scarsa importanza menomati ed uccisi.

Metti ulteriormente in dubbio la verità – “Fonti ufficiali palestinesi affermano” che in tanti sono stati feriti e uccisi – non la BBC, perché la BBC dedica la sua descrizione ufficiale dei fatti solo se ad essere uccisi o feriti sono gli israeliani.

Quando si tratta della paralizzante accusa di antisemitismo contro Jeremy Corbyn e il partito Laburista, la BBC è in prima linea, audace e coraggiosa, ma quando si tratta del massacro di palestinesi indifesi, le telecamere e le parole della BBC stanno alle spalle dei soldati israeliani, dicendo e mostrando le cose dal loro punto di vista.

La semplice verità

La BBC non è l’unico elemento in questo marchio dei ’”mezzi d’informazione occidentali.” Il “New York Times” è peggio, la CNN peggio di entrambi messi insieme, all’infinito, fino alla nausea. I “mezzi d’informazione occidentali” sono una marca, un trucco, un feticismo delle merci al servizio di una sistematica mistificazione di massa in “Occidente” e in tutto il mondo – e la BBC è un esempio paradigmatico di ciò.

Questo marchio dei “mezzi d’informazione occidentali” si è storicamente collocato in contrasto con i mezzi di informazione controllati dallo Stato in Asia, Africa e America latina, che sono in effetti il terreno per le sistematiche menzogne al servizio degli Stati dominanti. Ma questi mezzi di comunicazione sono così palesemente rozzi nella loro falsità che c’è una buona parte dell’opinione pubblica che ne diffida. La maggioranza della gente non crede a quello che i mezzi di informazione ufficiali dicono in Iran, Egitto o Turchia. Leggono o vedono queste fonti di informazione con una notevole dose di sospetto e scetticismo. I “mezzi d’informazione occidentali” si sono falsamente autodefiniti contro questa realtà e hanno creato la finzione come se la loro falsità fosse la verità. Smantellare questa falsità e mettere in luce le sue pericolose menzogne, o quello che Adorno e Horkheimer giustamente chiamano “mistificazione di massa”, è molto facile.

La migliore e più potente forza contro la “mistificazione di massa” del marchio “mezzi di comunicazione occidentali” è semplicemente dire la verità. Contrariamente all’ingannevole prosa sionista progressista, la situazione palestinese non è per niente complicata. È di fatto semplicissima ed ha una soluzione molto semplice. Non è la storia dei due popoli con due narrazioni. È la storia di un popolo con la verità (palestinesi – ebrei, cristiani o musulmani) e un altro caso di colonialismo di insediamento europeo (sionismo – progressista o più duro), con crudeltà e violenza sfrenati. Israele è l’ultimo potente residuo del colonialismo europeo. Con sorprendente ciarlataneria conta su tutta una storia di spoliazione e sulle sofferenze degli ebrei per spossessare e provocare sofferenze ai palestinesi, rubare la loro terra, costruire uno Stato caserma e metterlo a disposizione degli immutati interessi coloniali ed imperiali dell’imperialismo euro-americano. Questa è la semplice realtà, la semplice verità, leggila una volta al giorno e sarai immune a tutta la mistificazione di massa dei “mezzi di informazione occidentali”.

I sionisti fanno maledettamente tutto quello che vogliono ai palestinesi – rubando la loro terra, distruggendo con i bulldozer le loro case, sradicando i loro ulivi, uccidendoli a sangue freddo – e se qualcuno osa dire una parola contro i loro crimini di guerra e contro l’umanità, loro e la loro quinta colonna sionista negli USA e in Europa, iniziano a gridargli “antisemitismo” – e dato che l’antisemitismo è una malattia europea profondamente radicata nella storia dell’Europa, gli europei stanno zitti quando vengono chiamati antisemiti.

Ma a livello mondiale non ci si preoccupa affatto di questa falsa accusa. Lotteremo contro l’antisemitismo, contro l’islamofobia e contro il razzismo, e soprattutto lotteremo contro il colonialismo e il sionismo, il suo ultimo bastione. Non staremo zitti. Testimonieremo per la giustizia storica della causa palestinese. I sionisti sono ladri assassini. Stanno rubando la Palestina alla luce del giorno e stanno uccidendo palestinesi proprio davanti agli occhi increduli del mondo.

La BBC e quelli della sua risma possono fare tutti i loro trucchetti infantili per mettere in dubbio la verità. Ma il mondo sta guardando. Il mondo è vigile. La liberazione nazionale palestinese, come dimostrato al meglio e meravigliosamente dal movimento globale del BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele, ndt.] e ora dalla “Grande Marcia del Ritorno”, andrà avanti e trionferà sull’ideologia sionista razzista e corrotta – e la BBC starà a guardare quella bellissima festa della verità.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Hazeera.

Israel-Palestine: The conflict and the coverage

Hamid Dabashi è professore “Hagop Kevorkian” di studi iraniani e di letteratura comparata alla Columbia University.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Cosa attende Gaza, dopo il massacro israeliano del “Giorno della Terra?

Haidar Eid

5 Aprile 2018, Al Jazeera

L’unico spiraglio di speranza per Gaza, oltre alla nostra stessa mobilitazione di massa, sta nella crescente campagna BDS.

Dopo aver imposto un blocco mortale ai due milioni di abitanti della Striscia di Gaza per 11 anni ed aver lanciato tre attacchi massicci e genocidi negli ultimi sette anni – con l’aiuto e la complicità della cosiddetta comunità internazionale e del silenzio dei regimi arabi reazionari – Israele la scorsa settimana ha perpetrato un nuovo massacro contro dimostranti pacifici che commemoravano il “Giorno della Terra” e rivendicavano il proprio diritto al ritorno.

Venerdì 30 marzo i soldati israeliani hanno ucciso 17 civili e ne hanno feriti più di 1.400 – per la maggior parte con proiettili veri. Secondo l’esercito israeliano, il massacro si è svolto secondo i piani. Il suo portavoce ha twittato – e in seguito cancellato – : “Il 30 marzo non è stato fatto nulla che fosse fuori controllo; tutto è stato preciso e misurato. Sappiamo dove è arrivato ciascun proiettile.”

All’inizio della Seconda Intifada nel 2000 io scrissi quanto segue:

Gaza è diventata zona di guerra: il più grande campo di concentramento sulla faccia della terra è diventato un luogo di sepoltura – un rumoroso cimitero. Il corpo palestinese è diventato il bersaglio finale del proiettile israeliano – più è giovane, meglio è (anche Sara, una bimba di due anni di Nablus, è stata colpita alla testa). Il corpo palestinese, in altri termini, è diventato il luogo dell’ (in)giustizia: ‘eliminate il corpo ed esso lascerà un vuoto che può essere occupato – una terra senza popolo per un popolo senza terra. ’

Oggi abbiamo una sensazione di déjà vu; siamo già stati là e sappiamo che molti di noi saranno uccisi in ciò che la BBC chiama “scontri”! L’esercito israeliano, o quello che il coraggioso giornalista israeliano Gideon Levy chiama “le forze di massacro israeliane”, è una banda di delinquenti indottrinata da un’ideologia che disumanizza i bambini e giustifica l’uccisione di civili innocenti. Non è sicuramente il momento giusto per tali enormi questioni filosofiche, ma che cosa dovrebbe fare il/la palestinese quando vive una così crudele realtà politica?

La domanda che ha in mente ogni palestinese di Gaza è: “Perché è possibile che avvenga questo, 24 anni dopo il crollo del regime di apartheid del Sudafrica?” Sappiamo perché Israele lo sta facendo: noi siamo gli indesiderati “goyim” [gentili, non ebrei, ndtr.], i rifugiati la cui stessa esistenza continua a rammentare il peccato originale commesso nel 1948 – il crimine premeditato di pulizia etnica di due terzi del popolo palestinese. Siamo stati dannati per avere semplicemente la religione e l’etnia “sbagliate”, per essere nati da madri non ebree! Il problema è che non moriamo in silenzio, facciamo rumore, molto rumore; picchiamo sulle pareti della cella di Gaza – per usare una delle metafore del famoso intellettuale e scrittore palestinese Ghassan Kanafani.

Ho insegnato ai miei studenti dell’università Al-Aqsa di Gaza uno dei più bei racconti di Kanafani, intitolato ‘Tutto ciò che ti è rimasto’. In questo racconto l’eroe, che è un rifugiato che vive a Gaza, perde tutto tranne la sua volontà di resistere. Mantenere quella volontà e combattere l’orrore del colonialismo sionista richiede una visione. Una visione che potrebbe permettergli di ritornare a Jaffa, dove ha perduto suo padre per mano delle bande sioniste nel 1948. La maggior parte dei miei studenti è in sintonia con lui, alcuni addirittura si identificano con lui. Concordano che non possa essere raggiunta nessuna soluzione politica senza l’applicazione della risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che sancisce il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare ai villaggi e alle città da cui furono cacciati con la pulizia etnica nel 1948. Nessuna meraviglia quindi che la maggior parte dei miei studenti sia tra i manifestanti ai confini di Gaza!

A Gaza sappiamo che Israele la passerà liscia, semplicemente perché non è mai stato costretto a rendere conto di alcuno dei massacri che ha compiuto; sappiamo anche che sta per commettere altri e peggiori crimini.

Il rapporto ESCWA [Commissione Economica e Sociale dell’ONU per l’Asia occidentale, ndtr.] non ha forse provato oltre ogni dubbio che Israele sta commettendo il crimine di apartheid contro il popolo autoctono della Palestina? Sappiamo anche che non sarebbe stato in grado di compiere tutti questi crimini senza il sostegno degli Stati Uniti e della cosiddetta comunità internazionale. Pertanto noi abbiamo perso la speranza nelle istituzioni ufficiali come la Lega Araba e l’Organizzazione della Cooperazione Islamica. Invece facciamo affidamento sulla società civile internazionale per mettere fine a questo continuo bagno di sangue perpetrato alla luce del sole da Israele dell’apartheid.

Lo strumento? Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) finché Israele non rispetti il diritto internazionale. Lasciamo perdere gli inutili negoziati che si sono rivelati disastrosi, come il defunto Edward Said aveva correttamente previsto già nel 1994; lasciamo perdere la soluzione razzista dei due Stati, che è stata colpita alla testa dallo stesso Israele e che non si occupa del nodo fondamentale della questione palestinese, cioè dei 6-7 milioni di rifugiati che insistono nel pretendere il loro diritto al ritorno sancito dall’ONU. L’unico spiraglio di speranza, oltre alla nostra mobilitazione di massa, sta nella crescente campagna del BDS sostenuta dalle persone di coscienza in tutto il mondo. Loro capiscono che la nostra lotta non è settaria, è incardinata nei principi fondamentali della Dichiarazione Internazionale dei Diritti Umani, a dispetto dell’accanito tentativo degli ipocriti media occidentali di nascondere la verità.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera

Haidar Eid è professore associato presso l’università Al-Aqsa di Gaza.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 

 




Israele usa la tecnologia per non dover fare i conti con quel che sta facendo ai palestinesi.

Ofri Ilany

4 aprile 2018, Haaretz

Nell’estate del 2017, i siti di notizie israeliani raccontavano di una nuova tecnologia sviluppata nei laboratori dell’IDF (Forze di Difesa Israeliane): un software per combattere la sindrome da stress post-traumatico. Inizialmente si prevedeva un utilizzo del programma tra i soldati al fronte: li avrebbe allenati a identificare gli “elementi di minaccia” e avrebbe aumentato la loro resistenza allo stress post-traumatico. Lo sviluppo (di questo software, n.d.t.) venne pubblicizzato nel periodo in cui era stato reso noto che a 143 soldati che avevano combattuto a Gaza nel 2014 era stato ufficialmente diagnosticato il Disturbo da Stress Post-Traumatico (DPTS). La società israeliana, da allora, è andata avanti velocemente, lasciandosi alle spalle la sanguinosa incursione a Gaza per far fronte a innumerevoli altre questioni. Ma, per i soldati rientrati, l’orrore non è scomparso. Le urla di terrore, i corpi in pezzi e la sensazione di impotenza si ripresentano in flashback quando meno te l’aspetti. Gli ebrei israeliani erano quasi tutti convinti che la guerra a Gaza fosse giusta e necessaria, e le truppe fortemente motivate che hanno assaltato i quartieri di Gaza erano sostenute da dimostrazioni di incoraggiamento, canzoni confortanti di cantanti famosi ed esortazioni di rabbini militari e personalità televisive. Tuttavia, a quanto pare, mandare la Generazione Y a fare incursioni militari in zone densamente abitate lascia qualche segno sulle loro anime. E Israele, come affronta il problema? Inventa una nuova tecnologia, ovvio. “Formazione dell’attenzione”, questo è il nome che le ha dato il responsabile della divisione per la sanità mentale delle forze di terra, che spiega che tale metodo migliorerebbe le prestazioni e ridurrebbe il tasso di abbandono del servizio militare. E in futuro, a quanto si dice, ci sarà un sistema di cura del trauma attraverso la realtà virtuale, con magari anche il supporto del MDMA (anche conosciuta come ecstasy). Questi potrebbero essere sviluppi decisamente importanti, ma racchiudono anche il problema fondamentale di Israele: la convinzione che per ogni ostacolo ci sia una soluzione tecnologica. Nei suoi anni da Primo Ministro, Benjamin Netanyahu ha cercato di alzare il morale israeliano a livelli mai visti prima. Molti israeliani provano una costante sensazione di euforia, come se vivessero dentro un’utopia divenuta realtà. Il giornalista Israel Harel aveva ragione quando ha scritto, nell’editoriale della scorsa settimana, che Israele è in piena fioritura. La vecchia Israele, spaventata e in preda all’ansia, è diventata oggi una società sicura di sé che gode della prosperità del proprio Stato. Negli ultimi due anni, anche quella sorta di paranoia che un tempo era caratteristica degli israeliani è stata rimpiazzata da un nuovo tipo di mentalità: tutto è meraviglioso, siamo forti, siamo popolari, tutti ci amano e noi amiamo noi stessi. In realtà, Israele ha fatto in modo di superare molti dei problemi che la preoccupavano in passato con l’aiuto di soluzioni tecnologiche. I missili che minacciavano le aree di confine vengono oggi intercettati dall’Iron Dome. Le ondate di rifugiati africani sono state bloccate da un muro. La crisi idrica è stata contenuta da impianti di desalinizzazione. La minaccia demografica viene contrastata dai passi avanti nei trattamenti per l’infertilità. E il BDS viene combattuto dall’impegno di squadre addestrate di persone che rispondono e fanno propaganda sui social media. Perfino l’ “intifada dei coltelli” è stata neutralizzata da una qualche specie di algoritmo che permetteva di identificare il potenziale attentatore addirittura prima che lui sapesse di esserlo. Praticamente per ogni minaccia il Paese ha prodotto una soluzione tecnologica appropriata. È stata creata una toppa per ogni strappo nella sicurezza. Tutto ciò può essere considerato alquanto impressionante e ammirevole. Ma in realtà non è stato risolto alcun problema politico. I palestinesi sono ancora qui ed è chiaro che sono la maggioranza nell’area compresa tra il mare e il fiume Giordano. Quindi la situazione resta invariata solo grazie ai mezzi di brutale coercizione. Lo Stato ebraico ha sviluppato una eccezionale capacità di gestione delle masse umane su larga scala. Con l’aiuto di muri, checkpoint, alleanze, ormoni, software e altri sistemi sofisticati, gestisce la popolazione palestinese e quella ebraica in modo da limitare la pressione esercitata sul regime. Usando la tecnologia del “freno alla storia”, è stata in grado di rallentare processi storici che sembravano inevitabili. Ma, col passare del tempo, la tensione insita nel regime sionista relativamente a chi non gode dei diritti politici sta spingendo le autorità a impiegare misure sempre più disperate. La gaudente Israele anela a reprimere la propria consapevolezza dei palestinesi e smania per buttarli fuori dal sistema, altrimenti dovrà riconoscere che qui ci sono altri esseri umani con aspirazioni legittime. Queste non sono persone come te, ci dicono, loro sono “minacce”, mostri di videogame che devono essere eliminati per passare al prossimo livello. E continuano a spuntar fuori in ogni momento. A questo punto, abbiamo fatto ricorso alla manipolazione tecnologica su noi stessi per fare una specie di allenamento mentale, in modo che saremo in grado di affrontare questa sfida. Siamo arrivati, così, alla situazione in cui centinaia di cecchini sparano a manifestanti disarmati e li uccidono al ritmo di 10 al giorno, e nessuno si rifiuta di obbedire agli ordini. Durante la prima intifada, ma anche nella seconda, una cosa del genere avrebbe provocato shock e orrore. Ma ora non più. Ci siamo allenati, usando l’ideologia, la religione, gli algoritmi, la mindfulness, qualunque cosa, per raggiungere uno stato di consapevolezza che ci permette di superare l’istinto elementare della compassione che normalmente sorge spontaneo davanti alla sofferenza umana. Le migliaia di persone dall’altra parte della barricata vengono descritte con ogni tipo di etichetta. I politici e gli analisti le dipingono come ribelli, provocatori, terroristi, nemici, infiltrati, islamici, antisemiti, addirittura omofobi. Ma, come amano dire i commentatori televisivi, a scanso di equivoci queste cose, che hanno braccia e gambe e teste, si chiamano anche “esseri umani”. E il loro rifiuto di accettare una vita in cui sono intrappolati è esattamente ciò che li rende umani. Il loro principale crimine, quello per il quale vengono colpiti dai lacrimogeni, da pallottole di gomma e da colpi d’arma da fuoco, è aver osato apparire nel nostro campo visivo proprio quando stavamo per sederci a mangiare matza e haroset (pane azzimo e marmellata densa di frutta e noci, cibi tipici della pasqua ebraica, n.d.t.). Un anno fa, Israele ha cercato di oscurare quasi completamente il 50° anniversario dell’occupazione. Da allora, la sua arroganza è aumentata, e oggi programma le celebrazioni per il 70° anniversario della sua nascita, questo mese, come un’orgia onanistica. Autorizzati dalle dichiarazioni d’amore di Donald Trump, Netanyahu e il suo governo aspirano a incenerire una volta per tutte il progetto palestinese, con 70 ore di danze Hora. Ma a questo punto qualcuno dovrebbe andare a rovinargli la festa. Quindi, in un certo senso, le marce palestinesi sono motivo di speranza, perché costringono gli Israeliani a ricordarsi che vivono in questa terra insieme a un altro popolo, che ha le proprie aspirazioni. Con o senza l’appoggio di Trump, dovremo tenerne conto. O forse potremmo sviluppare nuove tecnologie di auto-inganno e cercare altri modi di curare la psiche dei cecchini che sparano ai civili lungo il confine. Funghi allucinogeni, magari.
(Traduzione: Elena Bellini)




Stephen Hawking e Hamas: come uno scienziato ha preso la parola a favore dei palestinesi

Redazione di MEE

mercoledì 14 marzo 2018,Middle East Eye

Nel 2006 il fisico, morto mercoledì, incontrò il primo ministro israeliano Ehud Olmert, ma auspicò colloqui tra Israele ed Hamas dopo la guerra contro Gaza del 2008-09

Mercoledì si sono resi omaggi al famoso fisico inglese Stephen Hawking – ricordandolo non solo per la genialità della sua mente come scienziato, ma anche come appassionato attivista che ha prestato la propria impareggiabile voce a cause come il diritto dei palestinesi a resistere e per chiedere la fine della guerra in Siria.

Hawking, morto mercoledì mattina a 76 anni, raggiunse la fama internazionale in seguito alla pubblicazione nel 1988 di “Una breve storia del tempo”, il suo libro sulla ricerca di fisica teorica per una teoria unitaria che permettesse di risolvere [la contraddizione tra] la relatività generale e la meccanica quantistica.

Il libro arrivò a vendere più di 10 milioni di copie e trasformò Hawking in uno dei più rinomati scienziati al mondo.

A quel tempo Hawking era costretto su una sedia a rotelle e in grado di parlare solo tramite il suo particolare sintetizzatore vocale, poiché all’età di 22 anni gli venne diagnosticata una patologia neuronale.

Tra quanti hanno postato sui social media omaggi alla sua memoria ci sono stati i militanti per i diritti dei palestinesi, che hanno ricordato il suo appoggio al movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), che chiede il boicottaggio accademico di Israele.

Nel 2013 Hawking si è ritirato da una conferenza a Gerusalemme sul futuro di Israele, affermando di aver deciso di “rispettare il boicottaggio” in base al parere di accademici palestinesi.

Hawking è stato condannato da sostenitori di Israele ; un portavoce del ministero degli Esteri israeliano ha detto: “Mai uno scienziato di una tale importanza ha boicottato Israele.”

Israel Maimon, il presidente della conferenza, ha affermato: “Il boicottaggio accademico di Israele secondo noi è vergognoso e scorretto, sicuramente da parte di una persona per la quale lo spirito di libertà è alla base della propria missione umana e accademica.”

Nel gennaio 2009, parlando con Al Jaazera dell’invasione israeliana di Gaza, “Piombo fuso”, in cui vennero uccisi più di 1.000 palestinesi, Hawking disse: “Un popolo sotto occupazione continuerà a resistere in ogni modo possibile. Se Israele vuole la pace dovrà parlare con Hamas come la Gran Bretagna ha parlato con l’IRA (l’Irish Republican Army) [il gruppo armato degli indipendentisti irlandesi, ndt.].”

Hamas è il rappresentante democraticamente eletto del popolo palestinese e non può essere ignorato.”

In quel periodo la posizione di Hawking sulla Palestina sembrò essersi radicalizzata, dai tempi della visita di otto giorni in Israele nel 2006, quando si incontrò con l’allora primo ministro Ehud Olmert.

Durante quel viaggio Hawking tenne anche una lezione presso l’Università Ebraica di Gerusalemme e visitò l’università [palestinese] di Birzeit nella Cisgiordania illegalmente occupata.

Hawking ha anche utilizzato la sua pagina Facebook per appoggiare gli scienziati palestinesi, chiedendo lo scorso anno ai suoi followers di donare fondi per sostenere l’apertura di una seconda scuola palestinese di studi di fisica avanzata.

Nel 2014 Hawking ha anche fatto sentire la propria voce sulla guerra in Siria, come parte di una campagna di “Save the Children”, per ricordare quello che allora era il terzo anno del conflitto, dando voce alle esperienze dei bambini colpiti dagli scontri.

Hawking ha affermato: “Quello che sta avvenendo in Siria è un abominio che il mondo sta guardando impotente dall’esterno. Dobbiamo lavorare insieme per porre fine a questa guerra e per proteggere i bambini siriani.”

Nel 2003 Hawking si espresse anche contro l’invasione dell’Iraq guidata dagli USA.

Nel 2004, rivolgendosi ad un raduno contro la guerra, Hawking disse che la guerra era stata giustificata sulla base delle “due menzogne”, secondo cui l’Iraq possedeva ordigni di distruzione di massa e insinuazioni su legami tra il governo di Saddam Hussein e gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli USA.

È stata una tragedia per tutte le famiglie. Se questo non è un crimine di guerra, che cos’è?” disse Hawking. “Mi scuso per la mia pronuncia. Il mio sintetizzatore vocale non è stato impostato per i nomi iracheni.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Deputata UE chiede un’inchiesta sulle calunnie della lobby israeliana

Ali Abunimah

9 marzo 2018, Electronic Intifada

Un’importante esponente del Parlamento Europeo sta chiedendo un’inchiesta ufficiale sul ruolo di una funzionaria di alto livello dell’Unione Europea in una campagna di diffamazione della lobby israeliana che l’ha presa di mira.

Ana Gomes, una parlamentare portoghese di centro-sinistra, è stata denunciata da gruppi della lobby filoisraeliana come antisemita dopo che li ha pubblicamente criticati per aver tentato di bloccare il suo invito al militante per i diritti umani dei palestinesi Omar Barghouti per una conferenza al Parlamento Europeo la scorsa settimana a Bruxelles.

Le accuse dei gruppi della lobby filoisraeliana sono state poi amplificate da Katharina von Schnurbein, la più importante funzionaria dell’UE incaricata di combattere l’antisemitismo, e dall’ambasciata UE a Tel Aviv, nota ufficialmente come la “Delegazione dell’Unione Europea in Israele”.

Gomes ha fatto la sua richiesta mercoledì con una lettera a Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Europea – il governo dell’UE – e alla responsabile della diplomazia dell’UE Federica Mogherini. “Chiedo un’inchiesta sulla campagna diffamatoria diretta contro di me, in quanto MEP (membro del Parlamento Europeo) eletta, da parte di qualcuno della Delegazione UE in Israele e dalla signora von Schnurbein,” afferma la lettera.

Gomes vuole l’indagine per definire se questi funzionari abbiano violato i loro doveri in base al regolamento del personale e alle norme dell’UE sui social media.

In linea con la prassi comune nei sistemi democratici, ai funzionari dell’UE viene richiesto di rimanere politicamente neutrali, il che rende l’attacco pubblico a Gomes – una politica eletta – da parte di von Schnurbein e dell’ambasciata UE a Tel Aviv una grave violazione del loro dovere.

Gomes ha anche sporto la propria denuncia al difensore civico europeo, un ente indipendente incaricato di indagare su accuse di comportamento scorretto presso le istituzioni europee.

Una “lobby perversa”

Il 28 febbraio Gomes ha ospitato un seminario sul movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) [contro Israele] con Omar Barghouti.

Barghouti è uno dei fondatori della campagna di base non violenta per i diritti umani e vincitore nel 2017 del “Gandhi Peace Award” [Premio Gandhi per la Pace].

All’inizio del seminario Gomes ha sottolineato che discussioni sui diritti umani dei palestinesi erano molto più frequenti, “ma sono diventate sempre più rare in questo parlamento in seguito ad una lobby molto perversa che tenta di intimidire le persone.”

Gomes ha aggiunto di essere stata sottoposta a simili pressioni nei giorni precedenti il seminario da parte di gruppi che “dicono molte falsità” e “fraintendono le parole di molti studiosi.”

In risposta l’“AJC Transatlantic Institute” [Istituto Transatlantico AJC] ha denunciato le notazioni di Gomes come “antisemite”, sostenendo che lei stava “demonizzando le organizzazioni della società civile ebraica” e ha chiesto “un’azione disciplinare” contro di lei da parte del suo gruppo parlamentare.

L’ “AJC Transatlantic Institute” è l’ufficio di Bruxelles dell’”American Jewish Committee” [Commissione Ebraica Americana], un’organizzazione lobbystica che afferma di “appoggiare Israele ai più alti livelli” dai “corridoi dell’ONU a New York a quelli dell’Unione Europea.”

Una delle sue principali attività è insabbiare i crimini di guerra israeliani.

Katharina von Schnurbein, dell’UE, ha ritwittato l’attacco dell’“AJC Transatlantic Institute”, sostenendo che le obiezioni di Gomes per essere stata censurata da gruppi politici che lavorano per Israele rappresentano “abominevoli espressioni antisemite.”

A loro volta, i tweet di von Schnurbein che attaccavano Gomes sono stati ritwittati da @EUinIsrael, l’account ufficiale dell’ambasciata UE a Tel Aviv.

In almeno uno dei propri tweet, l’ambasciata ha fornito il proprio appoggio implicito alle critiche a Gomes.

Allineata con Israele

In realtà uno dei suoi [di von Schnurbein] principali obiettivi è stato aiutare la lobby filoisraeliana a combattere l’attivismo solidale con i palestinesi diffamando come antisemite le critiche contro l’occupazione, la colonizzazione di insediamento e l’apartheid di Israele.

Ha sostenuto senza prove che le attività del BDS hanno portato ad un incremento di episodi antisemiti nei campus universitari.

In risposta ad una richiesta di informazioni da parte di “Electronic Intifada”, la Commissione Europea ha fornito il proprio pieno appoggio a von Schnurbein in seguito al suo attacco contro Gomes.

La Commissione Europea rimane ferma contro l’antisemitismo – così come più in generale contro il razzismo e la xenofobia – e il lavoro della coordinatrice nella lotta contro l’antisemitismo è una parte importante dei nostri sforzi a questo proposito,” ha detto un portavoce.

Questa settimana von Schnurbein era a Londra per partecipare alla cena di un gruppo lobbystico israeliano, il “Community Security Trust”, insieme all’ambasciatore israeliano Mark Regev.

L’ambasciata UE a Tel Aviv si è anche schierata con opinioni di estrema destra: lo scorso anno ha ingaggiato un sostenitore israeliano del genocidio dei palestinesi perché comparisse in un video in cui reclamizzava i benefici della cooperazione tra UE ed Israele.

Tentativi di bloccare la conferenza

Nella lettera in cui chiede l’inchiesta, Gomes afferma che l’annuncio del seminario con Barghouti “ha provocato tentativi da parte di alcune organizzazioni di bloccarlo, di etichettare esso, il signor Barghouti e me con l’insulto di “antisemiti”.

Oltre all’”AJC Transatlantic Institute”, Gomes afferma che le “organizzazioni che hanno condotto questa campagna diffamatoria” includono gruppi della lobby filoisraeliana come l’“European Coalition for Israel”, l’“European Jewish Congress” e l’“European Leadership Network”.

Come riportato da Electronic Intifada, l’“European Leadership Network” ha una politica di collaborazione con politici dell’estrema destra europea, compresi neonazisti e negazionisti dell’Olocausto, nella misura in cui sono filoisraeliani.

Anche l’“Israel Project”, un’importante organizzazione antipalestinese, si è dato da fare contro la conferenza di Barghouti, definendo “vergognoso” che il Parlamento Europeo “legittimi il suo antisemitismo.”

Coraggio morale

Insistendo perché io parlassi al Parlamento Europeo, resistendo alle intimidazioni ed ai tentativi menzogneri della lobby dell’UE filoisraeliana, Ana Gomes ha dimostrato il proprio coraggio morale e il suo fermo impegno per i diritti umani,” ha detto Barghouti a “Electronic Intifada”.

Ha aggiunto: “Lei ha anche rappresentato la crescente ripulsa della società civile europea e di base nei confronti delle gravissime violazioni dei diritti umani da parte di Israele contro il popolo palestinese e, in modo decisivo, della complicità dell’UE nel consentire e rafforzare il sistema pluridecennale di oppressione coloniale e apartheid di Israele.”

Nella sua conferenza al seminario – il cui testo Gomes ha postato sul suo sito – Barghouti ha detto che “solo consistenti pressioni da parte della società civile europea possono porre fine a questa complicità dell’UE.”

Anche Israele lo sa, ed è la ragione per cui i lobbysti di Bruxelles ed i loro alleati all’interno della burocrazia dell’UE appaiono così determinati a calunniare chiunque resista loro.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Una controversa definizione di antisemitismo incontra resistenze riguardo a preoccupazioni per la libertà di parola

Ben White

22 febbraio 2018, Middle East Monitor

In Gran Bretagna gruppi filoisraeliani stanno incontrando resistenze ai loro tentativi di utilizzare una controversa definizione di antisemitismo per zittire l’attivismo in solidarietà con la Palestina. Università e autorità locali hanno dato ascolto alle preoccupazioni riguardanti la libertà di parola, un incoraggiamento per gli attivisti per i diritti della Palestina che attualmente stanno tenendo, o si stanno preparando a tenere, iniziative per la “Israeli Apartheid Week [Settimana dell’apartheid israeliana, ndt.] (IAW) nelle università di tutto il Paese.

Nel dicembre 2016 il governo britannico ha annunciato di aver “adottato” la definizione di antisemitismo accolta all’inizio di quell’anno dall’“International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per il Ricordo dell’Olocausto, ndt.] (IHRA). Descritta come “straordinariamente imprecisa” da David Feldman, direttore del “Pears Institute for the Study of Anti-Semitism” [Istituto Pears per lo Studio dell’Antisemitismo, ndt.], la definizione è promossa dall’IHRA ed è accompagnata da un elenco di 11 esempi su come oggi si possa manifestare l’antisemitismo, che comprendono critiche a Israele.

Fin da quando il governo di Theresa May ha dato il suo (non legale, non vincolante) appoggio, in Gran Bretagna un certo numero di gruppi ha dedicato tempo e risorse considerevoli per cercare di ottenere appoggio alla definizione da parte di consigli comunali e istituzioni dell’educazione superiore, tra gli altri. Tuttavia quasi subito c’è stato un rifiuto da parte di chi ha visto nella definizione e nel modo in cui è stata utilizzata, consistenti pericoli per la libertà di parola e per l’attivismo politico legittimo.

Nel marzo 2017 la direttrice della “London’s School of Oriental and African Studies” [Scuola di Studi Orientali ed Africani di Londra, ndt.] (SOAS), Valerie Amos, ha detto alla BBC che la sua università non intende adottare questa definizione. “Ho consultato su questo il nostro ‘Centro di Studi Ebraici’,” ha spiegato, “che ha fondamentalmente detto che questa definizione è discutibile.”

Quello stesso mese l’avvocato dei diritti umani Hugh Tomlinson, patrocinante della Corona [corrispettivo inglese dell’avvocato di cassazione in Italia, ndt.], ha pubblicato un parere legale che evidenzia “gravi errori” nella definizione e nelle linee guida allegate.

Nel maggio 2017 il sindacato dell’università e dei college – che rappresenta 110.000 professori e altri membri del personale – ha approvato a stragrande maggioranza una mozione che respinge l’uso della definizione dell’IHRA e che evidenzia “tentativi ispirati dal governo di mettere al bando iniziative di solidarietà con la Palestina “ come l’”Israel Apartheid Week”.

Ora anche la “London School of Economics” [Scuola di Economia di Londra, ndt., una delle più prestigiose istituzioni accademiche inglesi, ndt.] (LSE) si è unita a quanti, pur accettando la definizione di antisemitismo di 38 parole formulata dall’IHRA, hanno esplicitamente respinto l’elenco di esempi suggeriti, che include critiche a Israele. “La Scuola intende chiarire che criticare il governo di Israele, senza ulteriori prove che suggeriscano intenzioni antisemite, non è antisemitismo,” ha scritto un dirigente della LSE in una lettera lo scorso mese. “La Scuola non accetta neppure che tutti gli esempi che l’IHRA elenca come esemplificazioni di antisemitismo ricadano nella definizione di antisemitismo, a meno che non ci siano ulteriori prove per suggerire intenzioni antisemite.” L’autenticità della lettera, pubblicata su un sito filoisraeliano, mi è stata confermata da un dirigente della LSE.

Frattanto “Università del Regno Unito”, l’influente organizzazione rappresentativa delle università, ha resistito ai tentativi da parte di gruppi filoisraeliani perché manifestasse il proprio appoggio alla definizione dell’IHRA. Secondo un portavoce, che ha parlato con me all’inizio del mese, “Università del Regno Unito” non ha una posizione in merito.

In una richiesta a una commissione parlamentare d’inchiesta in corso sulla libertà di parola nelle università, il “Comitato dei Deputati degli Ebrei Britannici” ha detto ai parlamentari che le università dovrebbero “adottare la definizione dell’IHRA per consentire loro di esprimere giudizi meditati su cosa sia o non sia considerato antisemitismo.” Il Comitato ha riconosciuto: “Tuttavia c’è una preoccupante resistenza da parte delle università ad adottarla e la libertà di parola viene addotta come la principale ragione della loro riluttanza.”

Questa riluttanza è ben fondata. Lo scorso anno, un evento dell’IAW all’università del Lancashire Centrale è stato annullato dai dirigenti dell’università sulla base del fatto che avrebbe trasgredito la definizione dell’IHRA (e in seguito a pressioni da parte di gruppi filoisraeliani). Questa settimana la “Campagna contro l’Antisemitismo” ha affermato di augurarsi che ci siano “successi simili” nell’ottenere che iniziative dell’IAW organizzate dagli studenti quest’anno vengano annullate. Anche l’”Alleanza Israele-Gran Bretagna – un progetto della Federazione Sionista – sta fondando sulla definizione dell’IHRA i propri “sforzi per bloccare…eventi (dell’IAW)”.

Frattanto l’onorevole conservatore Matthew Offord martedì ha detto in parlamento che “le parole “settimana dell’apartheid israeliano” sono palesemente antisemite,” in base alla definizione dell’IHRA. Quindi, ha sostenuto, i ministri dovrebbero prendere in considerazione il fatto di “portare avanti le leggi necessarie per impedire (iniziative dell’IAW).”

Anche a Bruxelles gli effetti agghiaccianti della definizione dell’IHRA, così come viene utilizzata dai gruppi filoisraeliani, sono già stati dimostrati nei tentativi per far annullare un evento del parlamento europeo che ospita il difensore palestinese dei diritti umani Omar Barghouti. In una lettera al presidente del parlamento europeo Antonio Tajani i gruppi filoisraeliani sostengono che Barghouti e il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), di cui è co-fondatore, sono colpevoli rispettivamente di affermazioni e di obiettivi “antisemiti” “in base alla (definizione dell’IHRA).”

Tuttavia, mentre i sostenitori di Israele vedono chiaramente la definizione dell’IHRA come un mezzo per l’eliminazione dell’attivismo in solidarietà con la Palestina e delle voci palestinesi, c’è una discussione interessante, ed una mancanza di chiarezza, riguardo a in cosa consista esattamente la definizione. La “definizione di antisemitismo non vincolante dal punto di vista legale” dell’IHRA è pubblicata in rete all’interno di un riquadro nero chiaramente evidenziato. È un testo di 38 parole, che dice quanto segue: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa come odio nei confronti degli ebrei: manifestazioni verbali e fisiche di antisemitismo sono dirette verso individui ebrei e non ebrei e/o loro proprietà, verso istituzioni e strutture religiose della comunità ebraica.” Lo stesso testo è comparso, anch’esso in un riquadro nero a parte, nel maggio 2016 su un comunicato stampa dell’IHRA che annunciava l’adozione della definizione.

Queste 38 parole sono poi seguite da un testo più lungo, che include l’elenco degli esempi di come si può manifestare l’antisemitismo contemporaneo; questa è la parte in cui è inclusa, in modo discutibile, la critica contro Israele. Tuttavia questi esempi sono effettivamente parte della definizione stessa?

Secondo l’ufficio permanente dell’IHRA a Berlino la risposta è no. In un messaggio mail datato 12 settembre 2017 un rappresentante dell’IHRA ha confermato che la definizione consiste solo nel “testo nel riquadro”, mentre gli esempi intendono “servire come illustrazione” di come “possa manifestarsi” l’antisemitismo.

Sembra che questa conferma sia stata un passo falso o, quanto meno, non è stata ripetuta. Mi sono rivolto all’ufficio permanente dell’IHRA a questo proposito e, stranamente, mi è risultato impossibile, sia con email che al telefono, avere una chiara conferma su cosa sia effettivamente la definizione. In una conversazione di cinque minuti all’inizio di questo mese un funzionario dell’IHRA ha ribattuto alla mia richiesta di chiarire se la definizione consista solo nel testo di 38 parole dicendo che io dovrei “fare riferimento all’informazione sul nostro sito”, o “semplicemente inserire un link sul sito dell’IHRA.” Quando ho fatto notare che certe istituzioni hanno accolto il testo di 38 parole, ma non l’elenco di esempi che lo accompagna, il funzionario ha riconosciuto che “dipende dalla discrezionalità delle istituzioni e delle autorità adottare qualunque cosa ritengano utile,” ma si è di nuovo rifiutato di rispondere alla semplice domanda.

Mentre l’IHRA è curiosamente reticente nel chiarire quello che costituisce la definizione, altri hanno già deciso: una dichiarazione che ho ricevuto dal portavoce della Commissione Europea fa una chiara distinzione tra la “definizione” da una parte e “gli esempi non esaustivi” dall’altra.

Alcune autorità locali in Gran Bretagna hanno allo stesso modo adottato solo il testo di 38 parole; recenti esempi includono il consiglio comunale di Manchester e il consiglio regionale del South Northamptonshire. Quando il consiglio comunale di Liverpool ha accolto solo la definizione di 38 parole, un attivista filoisraeliano si è infuriato – spingendo gli “Amici di Israele di Merseyside” ad affermare che i due testi sono, di fatto, “la definizione effettiva.”

La confusione – e l’ambiguità probabilmente intenzionale da parte dell’IHRA – su cosa costituisca la definizione, l’opposizione alla libertà di parola e il rozzo tentativo di censura da parte di quanti (falsamente) sostengono che la definizione “dimostra” che iniziative come l’IAW sono antisemite, sono tutti ben noti. È per questo che la storia della definizione dell’IHRA è ripresa nel resoconto del suo infausto predecessore, la proposta di definizione provvisoria dell’EUMC [Centro Europeo per il Monitoraggio del Razzismo e della Xenofobia, ndt.]. Alla fine è stata screditata ed abbandonata dopo che sostenitori di Israele l’hanno utilizzata – nelle parole di uno degli estensori della definizione – “con la delicatezza di un martello”.

Nonostante questi tentativi, l’attivismo in solidarietà con la Palestina e in particolare la campagna BDS sono cresciuti e si sono estesi in tutta Europa, compresa la Gran Bretagna, in rapporto diretto con le politiche di un governo israeliano che continua a colonizzare la Cisgiordania e a devastare la Striscia di Gaza.

Gli apologeti di Israele non smetteranno di ridefinire l’antisemitismo per prendere di mira la solidarietà con i palestinesi. Tuttavia è improbabile che soffochino un movimento contro l’apartheid che, in un’epoca segnata da Trump e dalla annessione israeliana, in tutto il mondo troverà solo più adesioni sia dentro che fuori dai campus.

(traduzione di Amedeo Rossi)