Il governo della “seconda Nakba” coglie l’attimo

Meron Rapaport

2 gennaio 2024, +972Mag

I leader israeliani esprimono esplicitamente l’intenzione di riutilizzare oggi a Gaza i metodi del 1948. Ma ciò che non riuscì a domare i palestinesi allora non ci riuscirà adesso.

All’inizio del dicembre 2022, poco prima che il governo di estrema destra israeliano prestasse giuramento e molto prima degli orrendi eventi del 7 ottobre e del brutale attacco israeliano alla Striscia di Gaza, Ameer Fakhoury e io avevamo pubblicato un articolo su queste pagine intitolato “Perché il governo della ‘seconda Nakba’ vuole rimodellare lo Stato israeliano”.

La nostra preoccupazione che questo governo volesse effettuare un’espulsione sul modello dell’esproprio di massa della Nakba del 1948 era basata sul fatto che a Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir erano stati assegnati ruoli centrali nel governo: Smotrich Ministro delle Finanze e de facto signore della Cisgiordania e Ben Gvir Ministro della Sicurezza Nazionale. Questo duo, avevamo scritto, desidera il caos, credendo che ciò “porterà al momento decisivo in cui i palestinesi si piegheranno o verranno espulsi”.

Un anno dopo i nostri peggiori timori si sono avverati: 1,9 dei 2,2 milioni di abitanti palestinesi della Striscia di Gaza sono attualmente sfollati dalle loro case – che in molti casi sono state completamente distrutte – e alti esponenti del governo israeliano stanno apertamente promuovendo e attivamente lavorando per l’espulsione di massa dall’enclave assediata.

Nei giorni scorsi Smotrich ha esposto in termini chiari la sua visione per la Striscia. “La mia richiesta è che Gaza cessi di essere un focolaio dove 2 milioni di persone crescono nell’odio e aspirano a distruggere lo Stato di Israele”, ha detto in un’intervista alla radio militare la settimana scorsa. “Se a Gaza ci fossero 100.000 o 200.000 arabi e non 2 milioni, tutto il discorso sul giorno dopo [la fine della guerra] sarebbe diverso”.

Il 1° gennaio, in una riunione della sua corrente Otzma Yehudit (Potere ebraico) alla Knesset, Ben Gvir ha proposto di “incoraggiare la migrazione degli abitanti di Gaza” come “soluzione corretta, giusta, morale e umana”, e ha fatto eco all’appello di Smotrich a ristabilire le colonie ebraiche nella Striscia. Ciò avviene dopo che a novembre due parlamentari del partito Likud di Netanyahu hanno pubblicato un articolo sul Wall Street Journal intitolato “L’Occidente dovrebbe accogliere i rifugiati di Gaza”.

E, come +972 e Local Call [edizione in ebraico di +972, ndt.] hanno rivelato integralmente alla fine di ottobre, il Ministero dell’Intelligence israeliano ha raccomandato il trasferimento forzato e permanente dell’intera popolazione palestinese di Gaza nella penisola del Sinai. L’Egitto, da parte sua, continua a sostenere che non consentirà alcun trasferimento di palestinesi nel suo territorio.

Non c’è nulla di nuovo nel fatto che i politici israeliani utilizzino la minaccia della Nakba come strumento politico; Fakhoury e io avevamo infatti pubblicato un altro articolo nel giugno 2022 intitolato “Come le minacce di una seconda Nabka sono diventate normali”, che descriveva dettagliatamente come la destra israeliana sia passata negli ultimi anni dal negare la Nakba al giustificarla e a usarla come rinnovata minaccia contro i palestinesi. Ora, però, questa minaccia si è trasformata da strategia retorica a realtà devastante.

Un’ “arma strategica” – e un fine

L’obiettivo dichiarato dell’esercito israeliano a Gaza è quello di mettere fuori combattimento Hamas e altri gruppi armati palestinesi. Tuttavia le sue azioni negli ultimi tre mesi attestano una campagna molto più ampia che ricorda le politiche della Nakba: espellere i civili in massa e rendere inabitabili le loro case e i loro quartieri.

Pochi giorni dopo la furia distruttiva guidata da Hamas nel sud di Israele, l’esercito israeliano ha ordinato a 1,1 milioni di palestinesi residenti nella metà settentrionale della Striscia di abbandonare le loro case e spostarsi a sud di Wadi Gaza fino a nuovo ordine – continuando a bombardare le aree in cui aveva detto loro di fuggire. Più recentemente, l’esercito ha emanato ulteriori ordini di espulsione ai palestinesi in varie parti del sud di Gaza, spingendone centinaia di migliaia verso la costa e il confine di Gaza con l’Egitto.

Il caporedattore del quotidiano progressista israeliano Haaretz Aluf Benn ha sostenuto che l’espulsione è “la principale mossa strategica di Israele” nella guerra, e che la possibilità per l’esercito di uccidere i civili che tentano di tornare a casa sarà la chiave per la vittoria di Israele. L’analista del quotidiano Middle Eastern Affairs Zvi Bar’el ha descritto in modo analogo la crisi umanitaria che Israele ha provocato a Gaza come “un’arma strategica” progettata “per imprimere nella coscienza palestinese la punizione apocalittica che dovrà affrontare chiunque d’ora in poi osi sfidare Israele”.

Israele non solo considera lo sfollamento forzato uno strumento, sembra anche considerarlo un fine in sé. Testimonianze e documenti che sono trapelati da Gaza durante questo periodo, oltre all’analisi delle immagini satellitari, suggeriscono che l’esercito israeliano stia facendo in modo che molte delle persone sfollate non abbiano una casa in cui tornare.

L’esercito ha raso al suolo interi quartieri, danneggiando o distruggendo oltre il 70% delle case di Gaza. Ha distrutto biblioteche e archivi, edifici comunali, università, scuole, siti archeologici, moschee e chiese. Anche se Israele alla fine non imporrà un’espulsione di massa dei palestinesi fuori dalla Striscia, resterà ben poco della loro vita prima di questa guerra.

Israele non ha alcun interesse che Gaza venga ricostruita”, ha detto a novembre Giora Eiland, ex capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano, all’emittente nazionale israeliana Kan. “Una situazione di caos continuo a Gaza, simile a quella della Somalia, è qualcosa con cui Israele può convivere? Sì, Israele può conviverci. Chi vuole cambiare la situazione dovrà farlo alle nostre condizioni”.

Al di là della depravazione morale dell’idea stessa di deportare o uccidere 2 milioni di persone, il fiorire del “partito della Nakba” nella politica israeliana testimonia la povertà ideologica della società israeliana. Settantacinque anni dopo la fondazione dello Stato, l’unica cosa che la politica ebraico-israeliana ha da offrire è una seconda Nakba.

Ritornare alla strategia militare e politica fondativa del 1948, a quello stesso metodo di deportazione di massa di un intero popolo, dimostra l’instabilità e la debolezza degli altri metodi ipotizzati da Israele per affrontare la “questione palestinese” nel corso degli anni: annessione, mantenimento dello status quo, disimpegno unilaterale, “riduzione del conflitto” e persino proposte di soluzione a due Stati incentrate principalmente sugli interessi ebraici.

Inoltre, l’importanza data all’“opzione Nakba” nel discorso politico ebraico-israeliano contemporaneo testimonia ulteriormente l’eccezionalità di Israele nel mondo di oggi. Dopo la seconda guerra mondiale, e nonostante alcuni casi contrari, il consenso internazionale ha ampiamente ritenuto che i trasferimenti forzati di popolazione e le espulsioni di massa non fossero più legittimi, definendoli addirittura gravi crimini internazionali.

Anche più recentemente, quando queste tattiche sono state messe in atto come in Bosnia o in Ruanda, quasi nessuno Stato ha osato dichiararle la politica ufficiale, e la comunità internazionale – anche se a volte agendo in modo atrocemente tardivo – ha generalmente lavorato per porre fine all’uso di quelle tattiche. Ma espellere i palestinesi dalle loro case e impedirne il ritorno è la più antica politica di Israele, e i suoi leader sono pronti a metterla in atto ancora una volta.

Sull’orlo dell’abisso

Il 7 ottobre è stato un momento di crisi diverso da qualsiasi cosa Israele abbia vissuto nell’ultimo mezzo secolo, o forse addirittura dal 1948. La sicurezza nazionale di Israele è collassata, insieme al senso di sicurezza personale di molti dei suoi cittadini. La ferocia degli attacchi guidati da Hamas ha suscitato un profondo desiderio di vendetta; infatti la maggior parte dell’opinione pubblica ebraica ritiene che affidarsi alle armi sia l’opzione più ragionevole.

Ma vale comunque la pena ricordare: la Nakba del 1948 non ha risolto il conflitto tra ebrei e palestinesi. Settantacinque anni dopo, Israele sta combattendo i nipoti e i pronipoti dei rifugiati palestinesi che fuggirono o furono espulsi a Gaza nel 1948 dalle loro terre all’interno di quello che divenne lo Stato di Israele.

Ora Israele sta trasformando in realtà il sogno di mettere in atto una seconda Nakba, inebriato dal proprio potere e dal vantaggio militare su Hamas, e di fatto scagionato dalla legittimità che dopo il 7 ottobre la comunità internazionale gli ha concesso di “rispondere”. Ma Israele potrebbe tornare sobrio prima del previsto.

Una “pulizia” completa dell’intera Striscia di Gaza sembra essere una missione impossibile: Hamas non si arrenderà, i palestinesi non alzeranno bandiera bianca e la crisi umanitaria porterebbe probabilmente all’intervento arabo, americano ed europeo. La questione del destino degli ostaggi israeliani rimasti a Gaza può anche complicare una linea d’azione inequivocabile, mentre la politica interna israeliana è molto meno coesa di quanto le onnipresenti manifestazioni di patriottismo possano suggerire.

Se Israele alla fine dovesse tornare sobrio, come cambierà rotta? Si può sperare che, a differenza dei casi precedenti, forse questa volta la società israeliana non ritorni semplicemente all’idea assurda di “gestire il conflitto”. Si può sperare che, soprattutto dopo aver vissuto un trauma così terribile, la società israeliana cominci a capire che un futuro sicuro in questa terra può essere garantito solo raggiungendo un qualche accordo con i palestinesi – e che la coercizione, la violenza e la supremazia non risolveranno mai il conflitto.

Ebrei e palestinesi sono oggi più vicini all’abisso di quanto lo siano stati negli ultimi 75 anni, e l’adozione da parte di Israele di una soluzione di Nakba totale potrebbe gettarvici tutti dentro. Ma è anche importante ricordare: quando ci si trova sull’orlo dell’abisso è ancora possibile intravedere l’altra sponda.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Jenin: tutta la storia, intervista con Mustafa Barghouti

Mustafa Barghouti

7 luglio 2023 – PalestineDeepDive

Il dottor Mustafa Barghouti è il leader di Iniziativa Nazionale Palestinese e anche il presidente della Società Palestinese di Assistenza Medica. È stato candidato alla presidenza nelle elezioni palestinesi ed è medico. 

Questa settimana il dr. Barghouti ha passato parecchi giorni a Jenin, è entrato nella città e nel campo profughi nel secondo giorno dell’incursione e degli attacchi israeliani che hanno ucciso 12 palestinesi, fra cui 4 minori. 

Palestine Deep Dive [Approfondimenti sulla Palestina, rivista on-line, ndt.] ha ottenuto un’intervista esclusiva con il dr. Barghouti per ascoltare il suo resoconto su come si sono svolti gli attacchi israeliani contro Jenin, sull’entità dei danni dopo il massacro, sul conseguente stato d’animo della gente sul posto. Vogliamo anche conoscere la sua opinione su come oggi i palestinesi sono trattati dai principali mezzi d’informazione.

PDD: Può riassumerci gli eventi di questa settimana a Jenin?

Dr Barghouti: Certo. Beh, prima di tutto lasciatemi dire che l’attacco israeliano contro Jenin non è in alcun modo giustificato. Non era diretto solo contro il campo di Jenin, ma anche contro l’intera città. Per pattugliare la zona Israele ha usato tutto il suo arsenale militare: blindati, carri armati, elicotteri Apache e caccia F-16.

Hanno usato razzi e droni per attaccare una popolazione essenzialmente di civili, in una delle zone più densamente popolate del mondo: il campo profughi di Jenin infatti conta 16.000 persone che vivono in meno di mezzo chilometro quadrato.

L’esercito ha mirato ad arrestare o uccidere persone che stanno resistendo all’occupazione, ma non ci sono riusciti, a parte uccidere 12 persone fra cui 4 minori di età inferiore ai 17 anni. Poiché hanno fallito, hanno condotto arresti arbitrari di persone che non fanno realmente parte della resistenza. Hanno anche condotto attacchi terribili e causato enormi danni al campo.

Hanno utilizzato carri armati e bulldozer corazzati che hanno demolito le strade principali e il campo, distruggendo anche delle case, moltissime auto, dando poi fuoco a molti edifici nella città di Jenin, così come nel campo profughi.

Hanno anche usato droni per lanciare razzi contro i civili. Sono stato in molte case che sono state completamente, totalmente distrutte. È stato veramente un miracolo che non siano state uccise molte più persone, ma ci sono stati comunque almeno 200 feriti. Il numero ufficiale è 130, ma in realtà molti preferiscono essere curati a casa piuttosto che in ospedale per paura di essere arrestati. A Jenin ho visitato gli ospedali principali che sono molto vicini al campo, e ho visto i feriti, persone a cui hanno sparato con l’intento di uccidere.

I feriti hanno pallottole nell’addome, nel petto e nelle gambe. Tutti i proiettili usati sono ad alta velocità e lo scopo era di uccidere. Ho visto un uomo colpito alla testa, con il cervello spappolato, prima che lasciassimo l’ospedale ne hanno annunciato la morte. Ma hanno compiuto terribili massacri anche dentro le case, attacchi terribili contro le persone. Le loro famiglie mi hanno detto che l’esercito è entrato nelle case attraverso i muri.

Sono andati da una casa all’altra aprendosi dei varchi nei muri e quindi le famiglie improvvisamente si sono trovate davanti i soldati. Hanno separato gli uomini dalle donne, ammanettato gli uomini, isolandoli in una stanza separata per poi arrestarne la maggioranza, mentre le donne erano in una zona separata, tutte nella stessa stanza. Di solito l’esercito interrompe l’erogazione dell’elettricità. Come sapete la zona è molto calda, è estate, la gente è rimasta bloccata nelle stanze senza acqua, cibo, provviste e con un gran caldo. Molti sono anziani che soffrono di ipertensione, diabete e cardiopatie.

Sono stati tenuti così per due giorni mentre l’esercito occupava il resto della casa, in molti casi l’hanno usata per creare postazioni per i cecchini per sparare alle persone che pensavano facessero parte della resistenza. Molte famiglie mi hanno detto che i soldati hanno rubato loro i soldi. Ci sono dei piccoli, contenitori, non so come li chiamano, in cui i bambini conservano i loro soldini, uno sembrava un giocattolo: li hanno rotti e hanno preso i risparmi dei bambini!

Ma, peggio ancora, hanno isolato i minori, in alcuni casi in una stanza con un ufficiale o un soldato per interrogarli, cercando di costringerli a testimoniare contro i familiari, per esempio a dire che i familiari avevano delle armi. Quando non ci sono riusciti hanno portato nella stanza un cane per terrorizzarli mentre erano separati dalle famiglie. Questo è il tipo di comportamento dell’esercito israeliano. Oltre a ciò hanno attaccato le ambulanze, impedendo alle equipe mediche di raggiungere i feriti in tempo. Hanno sparato a un ragazzo, Hamesia, e l’hanno lasciato a morire dissanguato, il suo corpo è stato trovato solo ore dopo perché l’esercito non ha permesso a nessun medico di avvicinarglisi.

Hanno sparato alle ambulanze, al personale di pronto soccorso e ai giornalisti. C’è un video in cui si vede l’esercito sparare 10 volte da un blindato contro una macchina da presa di una TV e una troupe della stazione televisiva Al-Araby. Solo un miracolo ha salvato questi giornalisti dall’essere uccisi, come era accaduto in precedenza a Shireen Abu Akleh nella stessa zona, e non sorprende che si siano comportati così con i nostri giornalisti. Nel corso degli ultimi 10 anni l’esercito ha ucciso 52 giornalisti palestinesi nel corso di vari attacchi contro i civili.

Fino ad ora il numero totale di palestinesi uccisi dall’esercito israeliano è 197, i feriti sono molte centinaia. Queste sono le cifre più alte dal 2005. L’attacco contro Jenin ha fallito nel senso che non sono riusciti a catturare le persone che cercavano.

PDD: cosa voleva ottenere il primo ministro Benjamin Netanyahu invadendo Jenin?

Dr Barghouti: Netanyahu ha dichiarato molto chiaramente che il suo obiettivo è non solo prevenire la fondazione di uno Stato palestinese indipendente, ma soprattutto togliere completamente dalla testa della gente anche solo l’idea di uno Stato palestinese. Ha dichiarato che il suo governo fascista ha annunciato dei piani per espandere le colonie con una velocità senza precedenti. Hanno già costruito 50 nuove colonie illegali, cosa che non succedeva da anni. Hanno dichiarato la costruzione di non meno di 13.000 nuove abitazioni nelle colonie.

Hanno rivelato che il loro obiettivo è di legalizzare tutti gli avamposti di insediamento creati dai coloni, inclusi i sette nuovi che hanno ricevuto un’autorizzazione da questo nuovo governo. Il numero totale di avamposti di insediamento è 171. Il piano di Netanyahu è di riempire la Cisgiordania con 151 di queste nuove colonie che andranno ad aggiungersi alle altre. Smotrich, il secondo più importante ministro del governo e che si è auto-dichiarato fascista e omofobo, ha reso noto la strategia dell’establishment israeliano.

Ha detto che riempirà la Cisgiordania di coloni e colonie, cosicché i palestinesi perderanno ogni speranza di ottenere un loro Stato e poi avranno una scelta fra tre opzioni: emigrare, morire o accettare una vita di sottomissione a questo regime. Ben-Gvir ha detto che hanno ucciso 120 palestinesi e che ne uccideranno altre migliaia. Ecco il tipo di linguaggio che questo governo sta usando. Allora qual è il piano di Netanyahu?

Il piano di Netanyahu è annettere completamente tutta la Cisgiordania e ebraizzarla, impedire la creazione di uno Stato palestinese indipendente, non concedere la libertà ai palestinesi e allo stesso tempo uccidere chiunque resista a queste ingiustizie. Quando parla di uccidere e arrestare i palestinesi che resistono all’occupazione egli intende praticamente chiunque respinga questi orrendi progetti di mantenere l’occupazione e il sistema di apartheid in Palestina. Non ci sta riuscendo perché l’intero popolo palestinese non accetterà mai una vita di schiavitù sotto l’occupazione israeliana e il suo sistema di apartheid. 

Praticamente quello che Netanyahu sta facendo è esattamente quello che Einstein ha descritto come follia: quando uno continua a fare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Noi siamo stati vittime dell’oppressione israeliana per i 56 anni di occupazione e 75 anni di pulizia etnica avvenuta durante la Nakba nel 1948 e loro hanno continuato ad opprimerci, ma noi non abbiamo mai smesso di resistere a questa ingiustizia in ogni modo possibile. Ed ecco il motivo per cui dico che Netanyahu sta fallendo, perché il suo obiettivo di soggiogarci non avrà mai successo. Nel frattempo tantissimi hanno perso la loro vita, anche in questa fase, e penso che la morte di ogni palestinese, e di ogni israeliano, sia responsabilità del governo israeliano, anche se le cifre sono così diverse.

Quando si paragona il numero dei palestinesi uccisi con quello degli israeliani la discrepanza è enorme, ma io penso che tutti, il sangue di tutti, palestinesi o israeliani, sia sulle mani di questi estremisti e fascisti come Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir, che impediscono che la pace prevalga in quest’area o che qui ci sia giustizia. 

Credo che ora ci troviamo davanti a uno dei governi più estremisti, ma la cosa tragica è che l’opposizione sionista in Israele, che si oppone a Netanyahu riguardo alla riforma del sistema giudiziario, non ha nulla da obiettare a quello che si sta facendo a noi palestinesi. In realtà tutti i leader dell’opposizione hanno sostenuto gli attacchi contro il campo di Jenin e quelli contro i palestinesi. È veramente di poco aiuto e molto deludente perché significa che sfortunatamente tutti i partiti sionisti stanno sostenendo il sistema di occupazione, apartheid e fascismo e la crescita del fascismo che sta riguardando Israele stesso.

Ci sono stati molti saggi leader israeliani che a un certo punto hanno detto che l’occupazione diventerà il cancro che divorerà Israele dall’interno, e io penso che sia esattamente quello che sta succedendo. L’occupazione ha prodotto i coloni, i coloni l’apartheid che sta ora producendo il fascismo in Israele, che è la cosa più pericolosa a cui siamo sottoposti. 

Nel frattempo voglio elogiare il notevole spirito di resilienza e solidarietà che i palestinesi hanno mostrato l’un l’altro nel campo di Jenin, perché oggi ero con equipe mediche che venivano da Ramallah, Gerusalemme e Tulkarem, con la Società Palestinese di Assistenza Medica, l’organizzazione che dirigo.

Erano tutti nel campo ad aiutare la gente, offrendo cure. La gente è arrivata da tutto il Paese per portare latte, cibo, materiale medico sanitario per i bambini e molte amministrazioni comunali intorno a Jenin hanno mandato trattori e macchinari per cercare di riparare alcuni dei terribili danni alle infrastrutture causati dall’esercito. Sono state tagliate le condutture dell’acqua, disselciate le strade, distrutte le attrezzature sanitarie, completamente tagliata la rete elettrica. Le infrastrutture sono state distrutte e non è la prima volta: è esattamente quello che è successo nel 2002 quando Israele invase il campo di Jenin e distrusse tutto, uccidendo più di 70 persone. È veramente ironico che la generazione che oggi sta resistendo all’occupazione sia quella dei bambini nati nel 2002.

PDD: Qual è oggi l’atteggiamento sul terreno dei giovani palestinesi verso il “Processo di Pace”?

La giovane generazione e io stesso abbiamo perso speranza nel cosiddetto processo di pace molto tempo fa, ma cosa abbiamo? Gli accordi di Oslo furono firmati nel 1993, esattamente 30 anni fa. Israele ne ha ostacolato l’implementazione, essi dovevano essere un accordo ad interim solo per sei anni per arrivare alla fondazione di uno Stato palestinese. Yitzhak Rabin, che firmò quell’accordo, fu assassinato da un estremista israeliano. Netanyahu ha sollevato l’opinione pubblica israeliana contro il governo che firmò gli Accordi di Oslo. Netanyahu nel 1994 ha poi scritto un libro intitolato A Place Under the Sun (Un posto sotto il sole) in cui ha promesso che avrebbe affossato il processo di Oslo e impedito la fondazione di uno Stato palestinese. Questo è esattamente quello che ha fatto. Dal 2014 non c’è stato un solo incontro fra i leader palestinesi e quelli israeliani. Israele ha bloccato tutti questi meeting, i negoziati e ha continuato a costruire colonie illegali che sottraggono terra alla Cisgiordania, distruggendo qualsiasi possibilità per la soluzione dei due Stati.

Quando Israele attacca il campo di Jenin, dei civili, sta attaccando dei rifugiati spogliati delle loro terre, della loro patria nel 1948 e che vivono in condizioni orribili in un campo profughi sotto l’occupazione israeliana. Quando Israele attacca un campo profughi così, con una situazione molto critica sotto la sua occupazione con il suo arsenale militare, carri armati, aerei, droni e caccia, quando fa tutto ciò è totalmente inaccettabile che il mondo resti in silenzio e, ancor peggio, che alcuni Paesi incoraggino Israele.

Le dichiarazioni del governo degli Stati Uniti e del governo britannico dicono che Israele ha il diritto all’autodifesa non sono altro che dare il via libera a questa aggressione. E il popolo palestinese che vive sotto l’occupazione israeliana? Non abbiamo il diritto di difenderci o per loro siamo degli esseri subumani? Penso che il fatto vergognoso sia che il parlamento britannico discuta come impedire la forma di resistenza più pacifica, cioè il boicottaggio, disinvestimento e le sanzioni. Fare ricorso al BDS come è successo in Sudafrica non è altro che un atto di libertà di parola, libertà per un popolo di lottare contro l’ingiustizia, per protestare contro l’occupazione e il sistema di apartheid.

Queste posizioni a sostegno di Israele rendono complici coloro che rilasciano dichiarazioni come “Israele ha il diritto all’autodifesa” di un crimine di guerra che Israele ha commesso e continua a commettere contro il popolo palestinese. Tutto il discorso sulla soluzione dei due Stati è diventato null’altro che un cliché che non convince nessuno. Se Stati Uniti, Regno Unito, Europa fossero realmente seri a proposito dello Stato palestinese lo avrebbero riconosciuto e non si sarebbero limitati a riconoscere solo Israele. Se fossero seri sulla soluzione dei due Stati avrebbero iniziato immediatamente a far pressione su Israele, inclusa l’imposizione di sanzioni, per costringerlo a fermare le attività delle colonie illegali che, come ammettono questi Paesi, stanno distruggendo la possibilità di uno Stato palestinese e la soluzione dei due Stati. Penso che tutto questo parlare della soluzione dei due Stati sia null’altro che un modo per distrarre l’attenzione, un modo per dare a Israele più tempo per finire il vero lavoro che sta facendo qua: l’annessione della Cisgiordania e l’eliminazione totale di ogni possibilità di soluzione a due Stati.

E noi diciamo che, nonostante Israele abbia distrutto l’opzione dei due Stati, ciò non significa che abbiano distrutto la nostra speranza di libertà. E hanno creato una nuova realtà, che è una realtà di uno Stato di apartheid. L’alternativa può solo essere uno Stato democratico in cui i palestinesi godano della parità dei diritti non solo come cittadini, ma anche come Nazione, con l’uguaglianza dei diritti per i cittadini e parità di diritti nazionali. Questa è l’unica soluzione a una situazione di uno Stato di apartheid.

PDD: come sono trattati oggi i palestinesi dai media?

Dr Barghouti: Noi siamo per lo più ignorati e raramente intervistati. Io ricordo sempre che 10 o 20 anni fa venivamo intervistati molto più frequentemente dai media internazionali, come CNN e BBC. Negli ultimi anni siamo stati totalmente ignorati. Io non penso che la narrazione dei palestinesi passi attraverso la maggioranza di questi organi di stampa. È per questo che ora contiamo di più sui social media.

Anche quando abbiamo la rara opportunità di portare all’attenzione della gente la narrazione e il punto di vista palestinese, gli israeliani attaccano immediatamente queste emittenti, come stanno facendo ora con la BBC. Vogliono monopolizzare la verità, i media. Vogliono impedire alla gente in Gran Bretagna e nel mondo di conoscere la realtà, la verità. La BBC ha intervistato me ma anche molti israeliani, molti più di noi, eppure gli israeliani attaccano la BBC perché vogliono zittire la voce della verità. Vogliono ostacolare la possibilità che nel mondo si sappia la verità su quello che sta succedendo qui.

Noi non stiamo dicendo che non dovrebbero intervistare gli israeliani, lasciate che lo facciano, ma dovrebbero intervistare anche noi. Noi abbiamo il pieno diritto di portare le nostre opinioni ai media e all’opinione pubblica mondiali. La gente può poi giudicare da sé chi ha ragione e chi torto, cosa è corretto e cosa non lo è, e quali sono i fatti. Ma impedire persino che si possa conoscere il punto di vista dei palestinesi secondo me fa pensare a due cose.

Uno, un comportamento fascista che tenta di monopolizzare la verità e i fatti. Mi spiace. Mostra anche che la posizione di Israele è debole perché hanno paura della verità. Hanno paura del fatto che se si mette uno di noi davanti ai media con un israeliano, persino uno dei fascisti israeliani, la gente riconoscerà immediatamente che noi stiano dicendo la verità. Io dico sempre ai miei colleghi dei media che noi abbiamo bisogno forse di un decimo di quello che hanno gli israeliani per avere la meglio. Perché? Perché noi diciamo la verità ed è questo che essi temono.

PDD: La BBC avrebbe dovuto scusarsi con l’ex primo ministro Naftali Bennett per aver domandato se Israele è “felice di uccidere minori palestinesi”?

Dr Barghouti: Penso che fosse solo giusto perché Israele sta uccidendo i minori. Appena prima dell’ultimo assalto contro Jenin i soldati israeliani hanno ucciso un bambino di due anni e mezzo e il padre davanti a casa. Il padre è stato raggiunto da due proiettili alla spalla e il piccolo uno al cervello, è morto: due anni e mezzo! Gli hanno sparato dieci volte. Poi l’esercito ha detto che è stato un errore, ma nessun soldato è stato portato in tribunale e nessuno è stato punito. Nel 1996 io stesso come medico stavo cercando di aiutare un ferito al quinto piano a Ramallah dove c’erano scontri fra l’esercito e la gente.

Mentre stavo cercando di bloccare l’emorragia un cecchino israeliano mi ha visto e mi ha sparato due volte. Ho ancora 35 schegge nella schiena e in una spalla. Nessuno è stato punito. No, Israele uccide bambini e civili e medici e giornalisti. No, non penso che la BBC avrebbe dovuto scusarsi per questo. Secondo me l’establishment israeliano con il suo enorme potere sta praticando quello che io chiamo terrorismo intellettuale contro i media in tutto il mondo e contro chiunque solidarizzi con i palestinesi. Nessuno dovrebbe accettare di subire questo terrorismo intellettuale che Israele sta mettendo in atto.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Palestine Deep Dive.

Mustafa Barghouti

Politico, attivista e medico

Il dr. Mustafa Barghouti è medico, attivista e politico palestinese, segretario generale di Iniziativa Nazionale Palestinese, anche nota come Mubadara. È membro del Consiglio Legislativo Palestinese dal 2006 e fa anche parte del Consiglio Centrale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Proposta di legge israeliana per impedire ai cittadini palestinesi di vivere in ‘zone ebraiche’

Elis Gjievori

6 giugno 2023 – Middle East Eye

Associazioni per i diritti umani si sono impegnate a combattere contro la proposta di legge che vedrebbe molte altre città israeliane impedire ai palestinesi di comprare o affittare appartamenti

Il governo israeliano propone una legge per “ebraizzare” la Galilea, una regione nel nord di Israele con una considerevole popolazione palestinese. 

La mossa fa parte di un accordo concluso lo scorso anno per formare il nuovo governo israeliano con i politici di estrema destra Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che vogliono espandere la colonizzazione ebraica nella regione.

In quanto parte del piano per “salvare la colonizzazione ebraica in Galilea,” il primo ministro Benjamin Netanyahu progetta di rafforzare significativamente la controversa legge del 2011 che darebbe a piccole comunità il potere di esaminare (e scartare) i potenziali nuovi arrivati.

Quando la legge fu approvata lo scopo era di aggirare una sentenza della Corte Suprema che proibisce alle comunità residenziali di affittare le terre solo ad ebrei.

Suhad Bishara di Adalah, il Centro legale per i diritti della minoranza araba in Israele, sostiene che le leggi danno “una discrezionalità quasi completa” a queste piccole comunità di scegliere chi ci vive.

“In pratica questa disposizione è principalmente un mezzo per scartare i cittadini palestinesi e impedire loro di risiedere in queste comunità e costituisce un meccanismo giuridico per la segregazione residenziale in molte località dello Stato di Israele,” ha detto Bishara a Middle East Eye.

All’inizio di questo mese il ministro della Giustizia Yariv Levin [del partito di Netanyahu, il Likud, ndt.] ha detto che in Israele l’acquisto di case da parte di palestinesi in paesi e cittadine sta spingendo gli ebrei a andarsene da queste zone.

“Gli arabi comprono appartamenti in comunità ebraiche in Galilea e ciò costringe gli ebrei ad abbandonare queste città perché non sono disposti a vivere con gli arabi,” dice Levin.

Ora il governo israeliano “vuole espandere e rafforzare questo sistema,” dice Bishara.

Il governo si è impegnato ad aumentare il numero di città che possono selezionare i nuovi arrivati estendendolo da quelle con 400 nuclei familiari a quelle con un massimo di 1000.

L’estensione della legge è sostenuta anche da alcuni parlamentari dell’opposizione. La prima versione della legge, che avrebbe permesso a cittadine con un massimo di 600 case di esaminare chi vi si trasferisce è stata approvata dal governo precedente.

Ufficialmente la legge non permette ai comitati di accettazione di respingere candidati alla residenza per motivi di razza, religione, genere, nazionalità, disabilità, classe, età, parentela, orientamento sessuale, Paese di origine, opinioni o affiliazione a un partito politico.

Tuttavia il testo della legge del 2011 permette ai comitati di respingere candidati che essi ritengono “inadatti al tessuto sociale e culturale” della comunità.

Sfacciata violazione della legge per i diritti umani’

All’inizio di questo mese il governo israeliano ha anche discusso una nuova proposta per imporre “valori sionisti ” in politiche governative che i critici sostengono potrebbero permettere agli ebrei israeliani di ricevere un trattamento preferenziale nella definizione dei piani regolatori e nella costruzione di case.

Cittadini palestinesi di Israele che vivono nella regione del Negev (Naqab) hanno da tempo accusato il governo israeliano di tentare con varie tattiche di sradicarli.

Queste includono la confisca di terre ai palestinesi trasformando i proprietari in affittuari. Inoltre il governo israeliano è stato accusato di impedire l’espansione dei villaggi palestinesi circondandoli con nuove colonie ebraiche.

Si intende espandere la nuova legge anche alla Cisgiordania occupata in zone dove Israele ha annesso territori in cui vivono anche palestinesi.

Bishara ha aggiunto che, se la proposta di legge passasse così com’è, potrebbe “essere soggetta a una verifica di costituzionalità in relazione alla sua applicabilità in Israele.”

“Questa è una sfacciata violazione del diritto internazionale umanitario e delle leggi per i diritti umani che si applicano alla Cisgiordania in quanto territorio occupato,” ha segnalato Bishara.

“Se approvata rafforzerebbe il meccanismo dell’annessione de facto di territori occupati e potrebbe essere considerato parte di un processo di annessione de jure, in totale violazione delle leggi relative a territori occupati,” aggiunge.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Gerusalemme: palestinesi aggrediti mentre ministri israeliani partecipano alla controversa ‘marcia della bandiera’

Latifeh Abdellatif

18 maggio 2023 – Middle East Eye

Il ministro di estrema destra Itamar Ben Gvir si unisce a migliaia di persone nella marcia accompagnata da violenze contro i palestinesi e da slogan di incitamento alla violenza, suprematismo ebraico e razzismo’

Gerusalemme

Giovedì a Gerusalemme poliziotti e ultranazionalisti israeliani hanno aggredito palestinesi e giornalisti mentre ministri israeliani e parlamentari di estrema destra partecipavano alla controversa ‘marcia della bandiera’.

I manifestanti hanno bersagliato con pietre un reporter di Middle East Eye e altri giornalisti che seguivano il raduno presso la Porta di Damasco nella Città Vecchia. Almeno due sono stati colpiti e feriti alla testa.

Decine di partecipanti hanno sventolato la bandiera nera del gruppo razzista di estrema destra Lehava urlando “il vostro villaggio brucerà”.

Altrove gli ultranazionalisti hanno attraversato il quartiere musulmano della Città Vecchia picchiando gli abitanti palestinesi e causando alcuni tafferugli. La polizia israeliana è intervenuta, ma aggredendo i palestinesi già sotto attacco.

L’attivista palestinese Iyad Abu Snainah è stato arrestato per aver urlato contro i poliziotti che non stavano proteggendo i palestinesi. 

Nel contempo migliaia di israeliani hanno continuato ad ammassarsi nella piazza della Porta di Damasco per partecipare all’annuale marcia che si tiene nella festività del “Giorno di Gerusalemme” per commemorare l’occupazione di Gerusalemme Est nel 1967. 

L’evento è associato a violenze contro i palestinesi e, secondo ONG israeliana Ir Amim, a “slogan di incitamento alla violenza, suprematismo ebraico e razzismo’”.

Fra i partecipanti di giovedì c’erano il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, di estrema destra, e quello ai Trasporti Miri Regev [del Likud, ndt.]. 

“Grazie al cielo qui ci sono migliaia di persone,” ha detto Ben Gvir al suo arrivo al luogo di partenza della marcia in King George Street. “Gerusalemme è nostra per sempre.”

Arrivata a un altro punto della marcia, Limor Son Har-Melech, la parlamentare di Potere Ebraico, il partito di estrema destra di Ben Gvir, ha dichiarato al Times of Israel [giornale israeliano di centro, ndt.] che vi partecipava per “celebrare la nostra vittoria contro gli arabi”.

Protetti da una massiccia sorveglianza, i manifestanti alla Porta di Damasco hanno cantato slogan razzisti, sventolando la bandiera israeliana e danzando, in attesa che altri si unissero a loro. 

La polizia israeliana ha schierato circa 3.000 poliziotti per garantire la sicurezza del raduno, che intende dimostrare la “sovranità” di Israele su Gerusalemme. 

È stato riferito che cecchini israeliani erano posizionati lungo le mura della Città Vecchia, mentre droni di sorveglianza della polizia sorvolavano la folla.  

È anche stato impedito a giornalisti e palestinesi il passaggio a tutte le strade di accesso alla Porta di Damasco.

La polizia israeliana ha negato l’accesso anche a una reporter di MEE, nonostante abbia esibito il suo tesserino stampa costringendola a fare un lungo giro per entrare da un’altra strada. 

All’inizio della giornata si è tenuta un’altra “marcia della bandiera” a Lydd (Lod), una città nel centro di Israele dove risiede una consistente popolazione palestinese. 

In risposta i palestinesi hanno inscenato un raduno nella Cisgiordania occupata e a Gaza sventolando la bandiera palestinese.

Manifestanti vicino alla barriera che separa la Striscia di Gaza da Israele sono stati dispersi dai soldati israeliani con lacrimogeni. 

Storia violenta

Negli scorsi anni i partecipanti israeliani alla “marcia della bandiera” avevano aggredito dei palestinesi e attaccato e coperto di graffiti e sputi attività commerciali e case palestinesi lungo il percorso. 

Avevano anche scandito slogan come “Morte agli arabi”, “La seconda Nakba sta arrivando ” e “Maometto è morto,” riferendosi al profeta dell’Islam.

Sempre nell’ambito delle celebrazioni della “Giornata di Gerusalemme” in precedenza nella stessa giornata coloni e politici israeliani hanno fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa. Una persona è stata ripresa nel cortile della moschea mentre insultava il profeta Maometto. 

Fra di loro c’erano parecchi parlamentari, fra cui Yitzhak Wasserlauf, ministro dello Sviluppo del Negev e della Galilea, appartenente al partito Potere Ebraico. 

Vi hanno partecipato anche Dan Illouz, Amit Halevi e Ariel Kallner, tre parlamentari del Likud, il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu. 

La Giordania ha condannato l’assalto e ammonito che la marcia “provocatoria” potrebbe portare a un’escalation a Gerusalemme. 

Israele ha conquistato Gerusalemme Est nel 1967 e l’ha annessa nel 1980, una decisione che non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale. 

Il controllo israeliano della città viola vari principi del diritto internazionale che stabilisce che una potenza occupante non ha la sovranità sul territorio che occupa e non può apportarvi alcun cambiamento permanente.

(traduzione di Mirella Alessio)




Quando il sionismo si spacca: Israele e il monito della storia coloniale

David Heartst

26 gennaio 2023 – Middle East Eye

La divergenza tra il progetto delle truppe d’assalto sioniste per la creazione di uno Stato ebraico e la tradizione sionista è stata tantissime volte nascosta sotto il tappeto. Oggi sta venendo prepotentemente allo scoperto.

La classe politica israeliana non ha saputo dare nessuna risposta [alla domanda]: “Chi è al comando?”

[Tale domanda] costituiva una provocazione suscitata dalla acuta sensazione che gli ebrei avessero perso il controllo sui palestinesi che vivevano nel loro Stato. Ma a poche settimane dall’ultima reincarnazione di Benjamin Netanyahu a capo del governo più estremista nella storia di Israele milioni di israeliani si stanno ponendo una domanda simile: chi abbiamo al comando?

Un ministro della giustizia che intende neutralizzare l’autorità e l’indipendenza giudiziaria? Un ministro delle finanze che mette in dubbio il diritto degli immigrati russi a essere considerati ebrei? Un ministro della sicurezza nazionale il cui primo atto è stato l’assalto alla moschea di Al-Aqsa? 

In verità, le manifestazioni di massa riguardano solo la prima delle tre questioni, anche se la questione dell’identità russa è abbastanza esplosiva – Bezalel Smotrich l’ha definita una bomba a orologeria ebraica.

I palestinesi sono stati ancora una volta esclusi dalla rivolta sionista liberale. Dopo che alcune bandiere palestinesi sono apparse nel mare di quelle bianche e blu durante le prime proteste di massa gli organizzatori si sono affrettati a rinunciare a una presenza palestinese. Ciò nonostante, i sionisti liberali hanno avuto un assaggio di cosa significhi essere palestinesi nelle mani della nuova élite – il movimento nazionalista religioso dei coloni.

È vero, la battaglia si inquadra come una lotta contro i fascisti a favore della democrazia. Non si trasforma, almeno per ora, in un dibattito sulla crudeltà quotidiana e sul costo umano del sostegno allo progetto sionista in sé. Ma quelle domande cominciano ad emergere.

Leggete questo commento pubblicato da Yedioth Ahranoth, un giornale di centro fedele alla linea ufficiale israeliana sull’occupazione: “La verità scomoda è che non può esserci democrazia insieme a un’occupazione, non può esserci democrazia in un Paese la cui politica economica consente ai forti di fare un balzo in avanti mentre i deboli restano indietro e non può esserci democrazia in un luogo dove gli arabi sono tenuti fuori dalla scena”.

Chi non riesce ad affrontare questi problemi in modo chiaro e coerente fallirà anche nel suo sforzo assolutamente giustificato di fermare una parte del processo. La scomoda verità è che chiunque voglia portare un milione di persone nelle strade per scuotere il paese in risposta al piano di Levin non può balbettare luoghi comuni sul “restringimento del conflitto” e sull’essere “né di destra né di sinistra”.

Un rapporto complesso

Il rapporto del sionismo tradizionale con il movimento dei coloni è sempre stato più complesso e ricco di sfumature rispetto alla sua consueta rappresentazione come divisione tra centro ed estrema destra. E quando il centro è al comando fa molto peggio che voltarsi dall’altra parte. Molto peggio.

Gli insediamenti si sono moltiplicati sotto i governi laburisti. Esprimere orrore per personaggi come Ben Gvir incaricati di governare la Cisgiordania occupata significa ignorare il sangue palestinese che gronda dalle mani dell’ex primo ministro Yair Lapid.

L’anno scorso è stato il più sanguinoso dalla Seconda Intifada con 220 morti tra cui 48 minori.

Denunciare gli attacchi ai giudici israeliani “di sinistra” significa dimenticare che gli attacchi dei coloni sono rimasti impuniti – e anche nel raro caso di una condanna continuano a rimanere nella stragrande maggioranza impuniti. Fino ad ora, il rapporto tra il sionismo liberale e il terrorismo ebraico è stato simbiotico sia prima che dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995 [allepoca Rabin era primo ministro e fu assassinato da un estremista israeliano, ndt.].

Questo è molto chiaro nelle testimonianze dei successivi capi dello Shin Bet. Quando il servizio di sicurezza interna ha catturato dei terroristi nell’atto di piazzare negli autobus palestinesi bombe al semtex [esplosivo al plastico, ndt.] che avrebbero provocato un eccidio di massa, si è imbattuto anche nei piani per far saltare in aria la moschea di Al-Aqsa.

Carmi Gillon, a capo dello Shin Bet dal 1994 al 1996, intervistato nel documentario The Gatekeepers [I guardiani, ndt.], ha dichiarato: “Dopo che smascherammo la Jewish Underground [o makhteret, organizzazione terrorista di destra ebraica, ndt.] il primo ministro Shamir definì la mia unità il diamante della corona. Abbiamo ricevuto complimenti e sostegno da tutte le parti. Iniziarono le pressioni a loro favore. Furono processati. Tre di loro ebbero l’ergastolo, altri condanne diverse. Tutti uscirono di prigione molto velocemente. Tornarono a casa come se niente fosse. Tornarono ai loro precedenti incarichi, alcuni ad incarichi anche più elevati. La Knesset [parlamento israeliano, ndt.] rilasciò l’intera Jewish Underground. La legge di clemenza verso la Jewish Underground fu firmata da Yitzhak Shamir come primo ministro di Israele. Non si trattò solo di pochi membri dell’opposizione”.

Per lo Shin Bet l’assassinio di Rabin fu un incidente automobilistico al rallentatore. In quella circostanza emerse per la prima volta Ben Gvir. Apparve in televisione brandendo lo stemma del cofano della Cadillac che era stato rubato dall’auto di Rabin: “Siamo arrivati alla sua macchina e arriveremo anche a lui”.

Yaakov Peri, capo dello Shin Bet dal 1988 al 1994, ha detto che per lui l’assassinio di Rabin ha cambiato il mondo intero: “Improvvisamente ho visto un Israele diverso. Non ero consapevole dell’intensità degli abissi, dell’odio e delle fratture tra di noi. Come percepiamo il nostro futuro? Cosa abbiamo in comune? Perché siamo venuti qui? Cosa vogliamo diventare? Tutto ciò era evidente e tutto è andato in pezzi.”

C’è un senso di amarezza in tutte e sei le interviste con i capi dello Shin Bet. Non si sentono solo delusi dai governi successivi. Si sentono traditi e lo dicono apertamente. Nel 1996, quando l’assassino di Rabin, Yigal Amir, fu condannato, il 10% degli israeliani disse che avrebbe dovuto essere rilasciato; nel 2006, tale sostegno era aumentato al 30%.

Ma il rapporto non è più simbiotico. L’ascesa al potere di Ben Gvir e Smotrich non è uno scherzo della natura, un incidente della politica. Non è Trump. Né è un’insurrezione del 6 gennaio.

Il conflitto tra il progetto delle truppe d’assalto sioniste per la creazione di uno Stato ebraico dal fiume [il Giordano, ndt.] al mare [Mediterraneo, ndt.] e la visione tradizionale sionista, sia in Israele che all’estero, è stato intrinsecamente latente sullo sfondo fin dalla creazione dello Stato di Israele stesso.

È presente da quando Rabin, in qualità di comandante del neonato esercito israeliano, ordinò alle sue truppe di aprire il fuoco su una nave mercantile che stava scaricando armi per l’Irgun [gruppo paramilitare sionista ndt.], uccidendo 16 combattenti. Un futuro primo ministro, Menachem Begin, fu portato a terra ferito.

Questa spaccatura è stata nascosta tante volte sotto il tappeto. Oggi sta venendo prepotentemente allo scoperto.

Il modello algerino

Se esiste un parallelo storico con la scissione che sta spaccando il sionismo, non è con il Sud Africa ma con l’Algeria.

I coloni francesi, conosciuti come i pied-noirs, si trovavano in Algeria dal XIX secolo. Il Paese veniva trattato come un’estensione del Paese continentale piuttosto che una colonia in Africa. “Algeri fa parte della Francia tanto quanto la Provenza”, dicevano tra loro.

Fin dall’inizio, i “colons” furono parte integrante del progetto coloniale francese. Il maresciallo Thomas-Robert Bugeaud, governatore generale dell’Algeria, proclamò all’Assemblea nazionale francese nel 1840: “Ovunque (in Algeria) ci sia acqua dolce e terra fertile, là bisogna collocare dei coloni, senza preoccuparsi a chi appartengono queste terre.“

I primi fermenti del dopoguerra concernenti richieste algerine per una parità di cittadinanza furono affrontati con dei tentativi di riforma. Parigi concesse la cittadinanza a 60.000 persone in base a ciò che venne definito un criterio “di merito”, e nel 1947 un parlamento con una camera per i pied-noirs e un’altra per gli algerini. Tuttavia, il voto del pied-noir era considerato valere sette volte il voto di un algerino.

Impegnati per quattro anni in una brutale guerra d’indipendenza il cui bilancio di vittime la Francia – fino ad oggi – continua a sottostimare (l’Algeria parla di 1,5 milioni di morti, mentre la Francia dice che furono uccisi da entrambe le parti 400.000 persone), i pied-noirs ebbero la simpatia e il supporto dell’esercito e degli apparati di sicurezza francesi.

E’ istruttivo su quest’epoca il capitolo di Henry Kissinger, nel suo libro Leadership sul generale Charles De Gaulle, che definisce uno dei sei grandi leader con cui ha interagito durante la sua carriera di diplomatico.

Il rapporto di De Gaulle con i coloni si evince da un discorso in cui diceva loro “vi capisco” per il fatto di essere presi di mira nella stessa Francia per la loro campagna terroristica. In quel momento l’umore pubblico in Francia era cambiato e la Francia si rivoltava contro i coloni. Il punto di svolta fu la mutilazione di una bambina di quattro anni nell’esplosione di una bomba a Parigi nel 1962.

Prima di allora, l’Organizzazione Armee Secrete (OAS) [organizzazione paramilitare clandestina francese il cui slogan era “l’Algérie française”, ndt.] godeva del sostegno di 80 deputati all’Assemblea nazionale.

Ciò provocò una manifestazione contro l’OAS, che la polizia represse uccidendo otto persone. Ai loro funerali parteciparono centinaia di migliaia di persone e un cessate il fuoco tra la Francia e il Fronte di liberazione nazionale (FLN) [movimento rivoluzionario algerino che diresse la guerra d’indipendenza, ndt.] trasformò una lotta a tre in un conflitto a due che l’OAS era destinata a perdere.

Naturalmente ci sono tante differenze tra i pied-noirs e i coloni ebrei così come sono molte le somiglianze. La religione non svolse un ruolo determinante nel progetto francese. Non c’era stato in Europa alcun eccidio su larga scala dei francesi che giustificasse la creazione di quella colonia.

Tuttavia, l’elemento essenziale del confronto rimane valido. Quando l’OAS si mise in proprio l’intero progetto fu destinato a perdere. Un altro punto vitale per i palestinesi, né la resistenza algerina né la resistenza sudafricana hanno vinto militarmente. Erano entrambe completamente prive di armi. In entrambi i casi a vincere la battaglia è stata la perseveranza, il rifiuto di arrendersi.

Nessuno sta dicendo, tanto meno io, che Israele stia per crollare come fece il dominio francese in Algeria. Ma stanno comparendo le prime grandi crepe nel progetto sionista.

Le prime crepe

Ben Gvir ha fatto di più per delegittimare Israele da quando è salito al potere poche settimane fa che anni di campagna del movimento BDS. Gli ex capisaldi del sostegno ebraico di New York a Israele stanno rilasciando dichiarazioni che implorano Netanyahu di cambiare rotta.

Eric Goldstein, il capo della più grande federazione ebraica del Nord America, ha “rispettosamente implorato” Netanyahu di mantenere le precedenti promesse di bloccare le leggi che minacciano l’indipendenza del sistema giudiziario israeliano.

Le federazioni ebraiche non rilasciano quasi mai tali dichiarazioni pubblicamente per il semplice motivo che il settore dei servizi sociali israeliani è uno dei loro maggiori beneficiari.

Ovviamente Netanyahu farà tutto ciò che è in suo potere per giocare la carta internazionale. Lo ha fatto in Giordania, dichiarando senza fondamento che lo status quo ad Al-Aqsa non cambierà. Lo aveva già fatto, come sa benissimo il Waqf, custode dei luoghi santi di Gerusalemme, la cui gestione è affidata alla Giordania.

Ma in Ben Gvir e Smotrich Netanyahu ritrova una forma diversa di partner di coalizione. Questi rottweiler della destra religiosa nazionale non sono solo una parte dell’attuale, traballante soluzione politica di un politico, Netanyahu, che ha superato da tempo la data di scadenza. Sono la forma della futura leadership di Israele.

Questo dovrebbe costituire un segnale di allarme per ogni ebreo israeliano che non ha un passaporto europeo e non gradisce la prospettiva di una guerra a tutto campo con 1,6 miliardi di musulmani in tutto il mondo, che il movimento religioso nazionale sembra essere determinato a scatenare.

Dovrebbero pensare ad affrontare il futuro con i palestinesi alla pari, visto che il conflitto è ancora riferito alla terra e alla nazionalità, non alla religione. C’è solo un breve periodo di tempo per farlo.

Gillon afferma in The Gatekeepers: “Il piano era di far saltare in aria la Cupola della Roccia e l’esito avrebbe portato – come anche oggi – alla guerra totale da parte di tutti gli stati islamici, non solo l’Iran, ma anche l’Indonesia”.

Se aveva ragione 11 anni fa quando questa intervista è stata registrata, ha ancora più ragione oggi. Con il movimento religioso nazionale al comando, la previsione di Ami Ayalon è preveggente: “Vinceremo ogni battaglia ma perderemo la guerra”.

E’ capitato in Algeria. E’ capitato in Sud Africa. Capiterà anche in Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è co-fondatore e redattore capo di Middle East Eye. È commentatore e relatore sulla regione e analista sull’Arabia Saudita. E’ stato capo redattore per la politica estera del Guardian e corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È entrato a far parte del Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per l’istruzione.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Quale ruolo avrà Sionismo Religioso nel prossimo governo israeliano?

Redazione di Al Jazeera

22 dicembre 2022 – Redazione Al Jazeera

Sionismo Religioso è una forza in crescita in Israele e godrà di una forte presenza nel prossimo governo israeliano.

La formazione del governo più di destra di Israele è stata annunciata dopo che il Primo Ministro incaricato del Paese, Benjamin Netanyahu, ha chiamato il Presidente Isaac Herzog per informarlo.

Se il partito Likud di Netanyahu costituisce il cuore del nuovo governo, gli alleati di estrema destra che fanno parte del movimento ideologico Sionismo Religioso, dopo i buoni risultati ottenuti a novembre nelle elezioni della Knesset, il Parlamento, occuperanno posizioni di rilievo che influenzeranno la politica nei confronti dei palestinesi che vivono nei territori occupati.

La presenza di questi politici ai vertici di Israele sarebbe stata impensabile solo alcuni anni fa, ma il loro emergere è indicativo della crescita del movimento Sionismo Religioso in Israele.

Facciamo un’analisi più puntuale.

Che cosa è Sionismo Religioso?

  • Costituitosi come un’ideologia nazionalista laica, il Sionismo fu inizialmente contrastato da molti ebrei ortodossi. Una parte significativa di ebrei continuò ad opporsi al Sionismo anche dopo la nascita di Israele nel 1948, considerandolo non conforme alla legge ebraica.

  • Il movimento ideologico Sionismo Religioso emerse come modo per avvicinare gli ebrei religiosi al Sionismo, staccato dalle sue influenze secolari. Mentre la rivendicazione nazionalista del popolo ebraico nei confronti della Palestina storica era al centro del pensiero del Sionismo tradizionale, per i Sionisti religiosi era centrale il concetto della terra di Israele “promessa da Dio” al popolo ebraico.

  • Il movimento è cresciuto solo quando la comunità ortodossa è diventata più numerosa in Israele e il Paese è diventato più di destra.

Quali risultati hanno avuto nelle elezioni israeliane i partiti di Sionismo Religioso?

Secondo i media israeliani dovrebbero entrare nel nuovo Parlamento israeliano nove coloni che vivono nella Cisgiordania occupata, sei dei quali fanno parte di una coalizione di partiti che si è presentata unitamente sotto il simbolo di Sionismo Religioso alle elezioni parlamentari.

. L’alleanza di Sionismo Religioso si è affermata come principale partner della coalizione di Netanyahu ed è il terzo gruppo alla Knesset.

  • L’alleanza è composta principalmente dal partito Sionismo Religioso di Bezalel Smotrich e dal partito Potere Ebraico di Itamar Ben-Gvir. Netanyahu li aveva incoraggiati a formare una lista unica alle elezioni per superare la soglia di ingresso alla Knesset. Il gruppo ha ottenuto 14 seggi prima di separarsi nuovamente, ma i partiti restano ideologicamente simili.

Che posizioni hanno i partiti di Sionismo Religioso nei confronti dei palestinesi?

  • Sia Smotrich che Ben-Gvir sono espliciti circa la loro intenzione di espandere gli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata e di annettere la terra palestinese e sono tristemente noti per incitare alla violenza contro i palestinesi. Entrambi sono coloni che vivono all’interno della Cisgiordania.

  • Smotrich ha chiesto pubblicamente l’annessione della Cisgiordania occupata, mentre Ben-Gvir afferma di opporsi ad uno Stato palestinese ed ha guidato incursioni di coloni sulla spianata della moschea di Al Aqsa e nel quartiere di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme est occupata.

  • Il curriculum di Ben-Gvir include anche una condanna nel 2007 per incitamento razziale contro gli arabi e sostegno al “terrorismo”, nonché attivismo anti-LGBTQ.

  • All’inizio del mese Ben-Gvir ha richiesto l’espulsione da Israele dei giornalisti di Al Jazeera subito dopo che la rete aveva inoltrato richiesta formale alla Corte Penale Internazionale (CPI) di indagare e perseguire gli assassini della sua giornalista Shireen Abu Akleh, uccisa a maggio.

Quali ruoli si prevedono nel prossimo governo per gli esponenti di Sionismo Religioso?

  • Il 16 dicembre la coalizione del governo entrante ha approvato in prima lettura la normativa che consentirà a Smotrich di diventare “ministro indipendente” incaricato della costruzione delle colonie nella Cisgiordania occupata, attraverso la più influente autorità in quei luoghi – il Ministero della Difesa – che comprende l’esercito israeliano.

Se approvata, sarebbe la prima volta che viene creata una simile posizione e darebbe a Smotrich il potere di portare avanti i suoi obbiettivi di impedire le costruzioni palestinesi nell’ Area C – il 60% della Cisgiordania sotto il diretto controllo dell’esercito israeliano – espandendovi la costruzione delle colonie israeliane illegali.

  • Intanto Ben-Gvir è pronto a ricoprire il ruolo chiave di Ministro della Sicurezza Interna, che soprassiederà non solo alle operazioni di polizia, ma anche alla polizia israeliana di frontiera. Quest’ultima è parte delle forze che gestiscono l’occupazione sui palestinesi a Gerusalemme est e controllano i posti di blocco militari in Cisgiordania.

  • Attraverso il Ministero Ben-Gvir avrà anche il controllo del sistema penitenziario israeliano.

Con le tensioni che si sono accese nella Cisgiordania occupata lo scorso anno, l’effetto di simili personaggi in importanti posizioni chiave probabilmente non farà che infiammare ulteriormente la situazione sul campo.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)

 




Israele: Netanyahu ha chiesto al mondo di dimenticarsi dell’occupazione. Ben-Gvir la vuole in primo piano e al centro

Meron Rapoport

22 novembre 2022 – Middle East Eye

Il primo ministro israeliano entrante ha lavorato duramente per togliere i palestinesi dalla lista delle priorità sia degli israeliani che degli arabi, ma lo scontro è fondamentale per i suoi nuovi partner di coalizione

Circa due settimane prima delle ultime elezioni israeliane Benjamin Netanyahu ha illustrato la sua concezione del futuro di Israele in un articolo pubblicato da Haaretz [giornale israeliano di centro sinistra, ndt.]. “Negli ultimi 25 anni ci è stato detto ripetutamente che ci sarebbe stata pace con gli altri Paesi arabi solo dopo che avessimo risolto il conflitto con i palestinesi,” ha scritto. Ma egli credeva che “la strada verso la pace non passi da Ramallah [sede dell’Autorità Nazionale Palestinese, ndt.], ma piuttosto le giri attorno.”

La sua via, ha sostenuto su Haaretz, si è dimostrata giusta. Ha firmato accordi di normalizzazione con quattro Paesi arabi e si prospettano ulteriori accordi con altri Stati. In poche parole, non solo Israele può prosperare senza risolvere il suo conflitto con i palestinesi, ci dice, ma il modo per raggiungere la prosperità è di fatto ignorarli. Non hanno nessuna importanza.

Sono trascorse altre tre settimane dalle elezioni del 1° novembre in cui il blocco di partiti di destra guidato da Netanyahu ha ottenuto una maggioranza apparentemente comoda di 64 seggi nel parlamento israeliano, la Knesset. Al momento rimane incerto quale sarà l’esatta composizione del suo prossimo governo e chi deterrà dicasteri chiave come Difesa, Finanza e Affari Esteri.

Tuttavia una cosa è già chiara: per dei possibili partner di Netanyahu, in particolare Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, i due leader della lista razzista e nazionalista della lista Sionismo Religioso che hanno vinto 14 seggi alle elezioni, il conflitto di Israele con i palestinesi non è solo un fattore importante: è l’unico fattore importante.

Netanyahu ha inequivocabilmente dimostrato che rimuovere la questione palestinese dall’agenda pubblica in Israele, e anche a livello globale, è stato uno dei suoi obiettivi preminenti, soprattutto dal suo ritorno al potere nel 2009.

Ha perseguito questo obiettivo utilizzando tre approcci principali: in primo luogo, cancellando il confine del 1948 (noto come Linea Verde) dalla coscienza della maggioranza degli ebrei in Israele espandendo le colonie e annettendo nella pratica ampie fasce dell’Area C [più del 60% dei territori occupati e sotto totale controllo di Israele, ndt.] in Cisgiordania.

In secondo luogo, promuovendo l’affermazione secondo cui “non esiste un partner per la pace” da parte palestinese, ignorando quasi completamente la leadership palestinese e le sue richieste di porre fine all’occupazione; infine, moderando in qualche modo l’uso della forza militare israeliana in base alla teoria che meno violento è il conflitto, minore sarà l’attenzione, in Israele, nel Medio Oriente e in tutto il mondo.

Questo approccio ha avuto un grande successo. La maggior parte degli ebrei israeliani oggi non sa dove sia la Linea Verde [il confine tra Israele e Giordania prima della guerra del 1967, ndt.]. Il termine “occupazione” è diventato una parolaccia che non viene quasi mai menzionata nei principali media israeliani. L’affermazione che “non c’è nessuno con cui parlare” dalla parte palestinese si è solidificata nel consenso non solo nella destra e nel centro ebraici, ma anche nella sinistra moderata.

Il contenimento di operazioni militari di vasta portata, a parte la guerra mortale a Gaza nel 2014, ha ridotto il numero di israeliani uccisi a causa del conflitto a poco più di 10 all’anno, tanto che la discussione su quello che veniva chiamato il “prezzo dell’occupazione” è quasi scomparsa.

Annessione strisciante

Ovviamente lo status quo proposto da Netanyahu non è stato realmente uno status quo, poiché l’annessione strisciante dei territori palestinesi è continuata e sul terreno ha gradualmente preso forma un regime di apartheid. Ma nel complesso per gli (ebrei) israeliani continuare con questa situazione sembra preferibile al tentativo di cambiarla.

Parte del successo di Netanyahu deriva da processi non direttamente collegati alla sua persona. Quando nel 2009 diventò primo ministro per la seconda volta, la Seconda Intifada era finita. La scissione tra Hamas a Gaza e Fatah in Cisgiordania aveva notevolmente indebolito la posizione palestinese e Netanyahu potè sfruttare questa debolezza.

Nel 2011, con l’avvento delle decantate primavere arabe, i Paesi arabi vicini erano inclini a dedicare più attenzione ai propri affari e meno alla causa palestinese. E la crescente ondata di populismo di destra in tutto il mondo, culminata con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti nel 2016, ha creato un’atmosfera congeniale a Netanyahu e alla sua politica di strisciante apartheid.

Ma negli ultimi anni qualcosa è andato storto in questo gioco di equilibrio promosso da Netanyahu. La scomparsa del conflitto con i palestinesi dall’agenda nazionale di Israele ha effettivamente sollecitato il movimento dei coloni di destra a spingere per l’annessione o, nel loro lessico, per “l’applicazione della sovranità”. La logica dei coloni sostiene che se i palestinesi non sono più una minaccia, non c’è motivo di evitare di annettere, in tutto o in parte, la Cisgiordania. Sebbene Netanyahu abbia rinunciato all’annessione all’ultimo minuto, questa spinta della destra per sconvolgere lo status quo non è svanita.

Il momento in cui è diventato chiaro che il falso status quo costruito da Netanyahu non funzionava più è arrivato nel maggio 2021. I palestinesi, che Netanyahu aveva cercato di escludere dal discorso pubblico in Israele, si sono ribellati non solo a Gerusalemme est e a Gaza, ma anche nelle cosiddette “città miste” all’interno di Israele: Lydd (Lod), Ramla, Acre (Akka) e altre località.

Invece di retrocedere in Cisgiordania dietro le montagne di tenebre, il conflitto con i palestinesi si è presentato improvvisamente sulla porta di casa di molti ebrei nel cuore del Paese.

Subito dopo l’esponente della destra Naftali Bennett ha deciso di allearsi con il centrista Yair Lapid per formare un governo alternativo e lasciare, per la prima volta in 12 anni, Netanyahu all’opposizione. Le ragioni di questa mossa sono state molte, ma potrebbe aver contribuito alla sua caduta anche il fatto che Netanyahu non fosse più considerato in grado di fornire una risposta al “problema palestinese”.

Nel vuoto lasciato da Netanyahu, la destra razzista è passata nelle mani del famoso colono Itamar Ben-Gvir, leader del partito Otzma Yehudit (“Potere ebraico”), residente a Hebron e ammiratore di Baruch Goldstein, che nel 1994 uccise 29 fedeli musulmani nella Moschea Ibrahimi di Hebron. Gli eventi del maggio 2021 sono stati sfruttati da Ben-Gvir come prova del fatto che gli ebrei in Israele vivono sotto la minaccia della “violenza araba”, che può essere contrastata solo ricordando agli arabi che gli ebrei sono gli unici “proprietari ” di questo luogo. Per sostenere questa argomentazione Ben Gvir ha evocato anche il timore della gente di un aumento della criminalità nelle città del sud di Israele, dove il crimine viene attribuito principalmente agli abitanti beduini palestinesi dell’area, che vivono in condizioni di estrema povertà e discriminazione di lunga data.

Conflitto come priorità

Ovviamente Ben-Gvir non ha inventato l’idea della supremazia ebraica, che sin dall’inizio è stata, in misura maggiore o minore, un aspetto del sionismo. Ma con il suo effettivo successo nel trasformare l’aspirazione alla supremazia ebraica in un’ampia piattaforma politica Ben-Gvir ha sfidato, consapevolmente o inconsapevolmente, il presupposto di Netanyahu di ignorare la questione palestinese.

Mentre Netanyahu ha sostenuto che il problema non esiste più, o almeno non sta influenzando le vite degli israeliani, è arrivato Ben-Gvir e ha sostenuto che il conflitto palestinese colpisce le vite degli ebrei, sempre e ovunque, all’interno o al di là della Linea Verde. La soluzione di Ben-Gvir è violenta e razzista – uccidere o deportare chiunque, palestinese o anche ebreo, si opponga al regime di supremazia ebraica – ma, nel frattempo, ha messo al primo posto la questione delle relazioni ebraico-palestinesi.

Anche Bezalel Smotrich, partner di Ben-Gvir nell’alleanza del “sionismo religioso”, fa della questione del conflitto tra ebrei e palestinesi la sua massima priorità politica. E Smotrich, come Ben-Gvir, propone una soluzione violenta e razzista. Nel suo saggio “Il progetto decisivo di Israele” pubblicato nel 2017, Smotrich offre tre opzioni ai palestinesi in Cisgiordania: accettare di vivere senza diritti politici sotto il dominio ebraico, emigrare in un altro Paese o affrontare un esito  deciso dalla guerra.

Come Ben-Gvir, Smotrich pensa che in nessun caso si dovrebbe mai rinunciare alla supremazia ebraica all’interno di Israele. Nel 2021 ha ritirato l’appoggio che avrebbe consentito a Netanyahu di formare un governo perché per farlo Netanyahu avrebbe dovuto dipendere da un partito arabo, la Lista Araba Unita guidata da Mansour Abbas. “Un nemico non è un alleato legittimo. Punto,” ha scritto all’epoca Smotrich per giustificare la sua decisione.

Ben-Gvir ha cercato di persuadere gli elettori nelle città periferiche che Netanyahu non ha offerto loro nessuna risposta – né riguardo alle loro preoccupazioni per il crescente rafforzamento economico, accademico e politico dei loro vicini palestinesi, né in merito al fatto che loro, abitanti di zone marginali, devono ancora godere della sbandierata prosperità economica di cui Netanyahu si è vantato.

Smotrich è stato popolare soprattutto tra l’opinione pubblica religiosa, che oggi è parte dell’élite economica e governativa di Israele. Ma ciò che è chiaro è che entrambi questi uomini, dopo aver incrementato i loro risultati insieme dai 6 seggi nella precedente tornata elettorale ai 14 nell’attuale Knesset, che consentono loro di dettare le condizioni a Netanyahu, che sa che senza di loro non può governare, sono i grandi vincitori delle ultime elezioni.

Promesse vincenti

Come c’era da aspettarsi, queste circostanze riguardano innanzitutto questioni che coinvolgono il conflitto con i palestinesi. Prima ancora che finiscano i negoziati sulla formazione del governo, Netanyahu ha già promesso a Ben-Gvir quanto segue: in Cisgiordania verranno forniti allacciamenti alla rete elettrica e idrica a 60 avamposti coloniali senza permesso, la maggior parte dei quali costruiti su terra di proprietari privati palestinesi; su terreni della città palestinese di Beita, in un luogo che i coloni chiamano Evyatar, potrà essere fondata una yeshiva [scuola religiosa ebraica, ndt.]; verrà ora abrogata una legge del 2005 adottata al fine di consentire l’evacuazione di tre insediamenti coloniali nel nord della Cisgiordania per permettere che vi venga ricostruita una colonia, di nuovo su terre private palestinesi, insieme a notevoli investimenti in strade di collegamento per le colonie in Cisgiordania.

Gli ha anche promesso il ministero della Sicurezza Pubblica, che controlla la polizia, dove Ben-Gvir vuole mano libera per reprimere i beduini palestinesi nel sud di Israele e pretende cambiamenti delle regole d’ingaggio relative a quando è consentito aprire il fuoco, in modo che i poliziotti possano sparare e uccidere chiunque ritengano sospetto senza timore di essere perseguiti.

Smotrich sta puntando più in alto. Vuole essere ministro della Difesa. In tale veste Smotrich sarebbe di fatto l’unico potere sovrano in Cisgiordania e potrebbe fare più o meno quello che vuole. Per non parlare del fatto che ha promesso di mandare l’esercito nelle cosiddette “città miste” all’interno di Israele se e quando si ripetessero gli avvenimenti violenti del maggio 2021.

Finora su questo punto Netanyahu si è rifiutato, in parte perché l’amministrazione Biden a quanto pare è stata chiara sul fatto di non aver intenzione di collaborare con un ministero della Difesa israeliano gestito da Smotrich. E anche perché Netanyahu forse comprende che, se i bellicosi razzisti di Sionismo Religioso avessero il controllo sia del ministero della Sicurezza Pubblica che di quello della Difesa, egli non controllerebbe più il modo in cui Israele gestisce il conflitto con i palestinesi.

Netanyahu avrebbe voluto fare a meno di Smotrich e Ben-Gvir e avrebbe scelto invece di includere nel suo governo l’attuale ministro della Difesa, il centrista Benny Gantz, rinnovando il tal modo l’approccio della “gestione del conflitto” che ha guidato con tanto successo negli ultimi 15 anni. A quanto pare gli americani stanno facendo pressione su di lui e su Gantz perché raggiungano un simile accordo. Ma ciò potrebbe non dipendere da Netanyahu. La destra razzista, stanca dello status quo che egli vende agli elettori israeliani, è più forte di lui.

Crescente violenza

È ancora troppo presto per prevedere le conseguenze di questa nuova situazione. Netanyahu riuscirà, nonostante tutto, a imporre la sua politica preferita e mettere da parte la questione palestinese? Non sarà facile, e non solo perché tornerà alla carica di primo ministro durante un periodo molto violento, con il numero di palestinesi e israeliani uccisi dall’inizio del 2022 a livelli record, che non si vedevano dalla fine della Seconda Intifada nel 2005: al 18 novembre 139 palestinesi e 27 israeliani.

Anche se la destra razzista dovesse riuscire a farsi carico della polizia e dell’esercito, le possibilità che metta in pratica le sue fantasie violente non sono una conclusione scontata. I palestinesi si trovano in una posizione diversa da quella del 1948 o del 1967 ed essi non saliranno senza resistere sugli autobus per essere deportati.

La comunità internazionale, con tutti i suoi limiti, ha già difficoltà ad accettare l’apartheid israeliana (come evidenziato dalla recente decisione di affidare la discussione sulla legalità dell’occupazione israeliana alla Corte Internazionale di Giustizia). Oltretutto l’economia di Israele dipende totalmente da quella mondiale; dopo le recenti elezioni la società ebraica in Israele è anche più divisa che mai, con una parte sostanziale del centro-sinistra che vede i partiti “religiosi” di Ben-Gvir e Smotrich come una minaccia per il suo stile di vita laico.

Nell’articolo citato all’inizio di questo resoconto Netanyahu ha adottato il concetto del “Muro di Ferro”, titolo di un famoso testo del padre della destra sionista, Zeev Jabotinsky, che negli anni ‘20 scrisse che solo dopo che gli ebrei avessero occupato la Terra di Israele con la forza i palestinesi avrebbero accettato la loro esistenza qui. Ma nel Muro di Ferro che Netanyahu ha cercato di costruire per tenere a distanza la questione palestinese stanno comparendo vistose crepe. Non è necessariamente una cosa negativa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)