Chi ha detto che il BDS ‘è già fallito’?: città europee boicottano l’Israele dell’apartheid
2 maggio 2023 – Middle East Monitor
Una serie di eventi, a partire da Barcellona, Spagna, in febbraio, seguita in aprile da Liegi, Belgio e Oslo, Norvegia, ha inviato un forte messaggio a Israele: il movimento palestinese di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) è vivo e vegeto.
A Barcellona la sindaca della città ha annullato un accordo di gemellaggio con la città israeliana di Tel Aviv. La decisione non è stata impulsiva, benché Ada Colau sia ben nota per le sue posizioni di principio su molte questioni. E’ stata piuttosto l’esito di un processo pienamente democratico, iniziato da una proposta presentata al consiglio comunale dai partiti di sinistra.
Alcune settimane dopo che fu presa questa decisione, precisamente l’8 febbraio, un’organizzazione legale filoisraeliana nota come The Lawfare Project, ha annunciato l’intenzione di intentare una causa contro Colau in quanto lei, presumibilmente, “ha agito al di fuori della competenza della sua autorità”.
The Lawfare Project intendeva comunicare un messaggio ad altri consigli comunali in Spagna e nel resto d’Europa, cioè che vi sarebbero state gravi ripercussioni sul piano giuridico al boicottaggio di Israele. Tuttavia con grande sorpresa dell’organizzazione – e di Israele – altre città hanno subito avviato le loro procedure di boicottaggio. Tra esse la città belga di Liegi e la capitale della Norvegia, Oslo.
I vertici comunali di Liegi non hanno cercato di nascondere le ragioni della loro decisione. E’ stato riferito che il consiglio comunale ha deciso di sospendere i rapporti con le autorità israeliane perché guidano un regime “di apartheid, colonizzazione e occupazione militare”. L’iniziativa è stata appoggiata da un voto di maggioranza nel consiglio, dimostrando ancora una volta che la posizione etica filopalestinese è pienamente compatibile con un processo democratico.
Oslo rappresenta un caso particolarmente interessante. Fu là che il “processo di pace” diede luogo agli Accordi di Oslo nel 1993, che sostanzialmente divisero i palestinesi e fornirono a Israele una copertura politica alla prosecuzione delle sue pratiche illegali, sostenendo di non avere un partner per la pace.
Ma Oslo non è più legata ai vuoti slogan del passato. Nel giugno 2022 il governo norvegese ha dichiarato l’intenzione di negare l’etichetta “Made in Israel” ai beni prodotti nelle colonie ebree israeliane illegali nella Palestina occupata.
Benché le colonie ebree siano illegali ai sensi del diritto internazionale, per anni l’Europa non si è fatta scrupolo di fare affari – di fatto affari lucrativi – con queste colonie. Nel novembre 2019 la Corte di Giustizia Europea ha comunque stabilito che tutti i beni prodotti nelle “aree occupate da Israele” dovevano essere etichettati come tali, in modo da non ingannare i consumatori. La decisione della Corte era una versione attenuata di ciò che i palestinesi si aspettavano: un completo boicottaggio, se non di Israele nel suo insieme, almeno delle sue colonie illegali.
Comunque la decisione è servita ad uno scopo. Ha fornito un’ulteriore base giuridica al boicottaggio, rafforzando le organizzazioni della società civile filopalestinese e ricordando a Israele che la sua influenza in Europa non è così illimitata come Tel Aviv vuole credere.
Il massimo che Israele ha potuto fare in termini di risposta è stato rilasciare dichiarazioni aggressive unitamente a confuse accuse di antisemitismo. Nell’agosto 2022 la Ministra degli Esteri norvegese Anniken Huitfeldt ha chiesto un incontro durante la sua visita in Israele con l’allora Primo Ministro di Israele Yair Lapid. Lapid ha rifiutato. Non solo tale arroganza ha prodotto una certa differenza nella posizione della Norvegia sull’occupazione israeliana della Palestina, ma ha anche allargato i margini per gli attivisti filopalestinesi per una maggiore incisività, conducendo alla decisione di Oslo in aprile di bandire l’importazione di beni prodotti nelle colonie illegali.
Il movimento BDS ha spiegato sul suo sito web il significato della decisione di Oslo: “La capitale della Norvegia…ha annunciato che non commercerà in beni e servizi prodotti in aree che sono illegalmente occupate in violazione del diritto internazionale”. In pratica ciò significa che “la politica di acquisti di Oslo esclude le imprese che direttamente o indirettamente contribuiscono all’impresa coloniale illegale di Israele – un crimine di guerra secondo il diritto internazionale.”
Tenendo conto di questi rapidi sviluppi, The Lawfare Project ora dovrà estendere le sue cause legali includendo Liegi, Oslo e una sempre più ampia lista di consigli comunali che stanno attivamente boicottando Israele. Ma anche in questo caso non vi sono certezze che l’esito di tali contenziosi sarà comunque favorevole a Israele. Di fatto è più probabile che sia vero il contrario.
Un caso specifico è stata la recente decisione delle città di Francoforte e Monaco in Germania di annullare i concerti della leggenda del rock and roll filopalestinese Roger Waters, come parte del suo tour ‘Questa non è un’esercitazione’. Francoforte ha giustificato la sua decisione stigmatizzando Waters come “uno dei più noti antisemiti al mondo”. La bizzarra ed infondata accusa è stata categoricamente respinta da un tribunale civile tedesco che il 24 aprile ha deliberato a favore di Waters.
Certo, mentre un crescente numero di città europee si sta schierando con la Palestina, coloro che appoggiano l’apartheid israeliano trovano difficile difendere o addirittura conservare la propria posizione, semplicemente perché le prime basano le proprie posizioni sul diritto internazionale, mentre i secondi si appoggiano su distorte e convenienti interpretazioni dell’antisemitismo.
Che cosa significa tutto questo per il movimento BDS?
In un articolo pubblicato lo scorso maggio sulla rivista Foreign Policy Steven Cook ha raggiunto la precipitosa conclusione che il movimento BDS “ha già perso”, perché, secondo la sua deduzione, gli sforzi per boicottare Israele non hanno avuto effetto “nei palazzi del governo”.
Se il BDS è un movimento politico soggetto a calcoli sbagliati e errori, è anche una campagna dal basso che opera per raggiungere obbiettivi politici attraverso successivi e controllati cambiamenti. Per avere successo sul lungo termine queste campagne per prima cosa devono impegnare nelle strade la gente comune, gli attivisti nelle università, nei luoghi di culto, ecc., il tutto attraverso calcolate strategie a lungo termine, esse stesse formulate da collettivi e organizzazioni della società civile locale e nazionale.
Il BDS continua ad essere una vicenda di successo e le ultime cruciali decisioni prese in Spagna, Belgio e Norvegia attestano il fatto che gli sforzi della base ottengono risultati.
Non si può negare che la strada sia lunga e ardua. Avrà certamente le sue svolte, i suoi rovesci e, sì, le occasionali battute d’arresto. Ma è questa la natura delle lotte di liberazione nazionale. Spesso richiedono alti costi e grandi sacrifici. Ma, con la resistenza popolare interna e un crescente supporto internazionale e la solidarietà dall’estero, la libertà della Palestina dovrebbe essere di fatto possibile.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.
(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)