Dare lavoro al nemico: la storia dei lavoratori palestinesi nelle colonie israeliane

Middle East Monitor

Editore: Zed Books

Data di pubblicazione: 15 July 2017

Autore: Matthew Vickery

Recensione di: Mustafa Fatih Yavuz

Chi fa ricerca e discute del conflitto tra Palestina e Israele scoprirà che persino l’argomento più specifico è stato ben indagato. Tuttavia temi quali la soluzione dei due Stati, le questioni riguardanti la sicurezza, lo status di Gerusalemme e persino i rifugiati palestinesi riflettono discussioni dell’élite che non fanno riferimento a quelli che rimangono ai margini del discorso – le vittime dell’occupazione. Questi sono i lavoratori palestinesi che non hanno altra alternativa che lavorare nelle colonie israeliane in Cisgiordania a causa degli alti tassi di disoccupazione e delle restrizioni israeliane.

Quando ero a Tel Aviv ho chiesto dei palestinesi a una delle mie amiche che si definisce sionista. Mi ha risposto in modo generico: “A me vanno bene, e costruiscono la mia strada, lavorano per me.” Anche se la risposta mi ha deluso per il suo tono altezzoso, c’era una realtà nascosta dietro di essa. L’espansione delle colonie israeliane e della popolazione ebraica ha raggiunto più di 600.00 [abitanti] dal 1967, ed anche la conseguente involuzione economica palestinese è cresciuta in questo periodo. Ci sono 37.000 palestinesi in Cisgiordania obbligati a guadagnarsi da vivere lavorando in quelle colonie a causa dello sviluppo agricolo ed economico degli insediamenti. Ma quelle storie di palestinesi sono state per lo più ignorate, e quel che è peggio i lavoratori sono stati etichettati dai loro connazionali come “traditori” o “parte del problema”.

Invece il libro di Matthew Vickery offre indicazioni in merito alla loro vita quotidiana, alle principali difficoltà che devono affrontare, a come i coloni li trattano e alle loro condizioni di vita. In quanto giornalista, Vickery sceglie una narrazione non accademica per far entrare il lettore nelle storie dei lavoratori palestinesi. Ha realizzato una serie di interviste con lavoratori palestinesi in Cisgiordania ed ha utilizzato queste interviste come base per il suo libro. Poiché credono che quello che fanno sia sbagliato, lavorare per la gente che sta rubando la loro terra è diventata una vergogna per loro e non ne parlano facilmente.

Il libro di Vickery è diviso in due parti principali, in cui intende mostrare come i coloni abbiano dato lavoro ai palestinesi e come il loro impiego diventi sfruttamento. Nella prima parte il lettore viene introdotto alle varie discussioni riguardo allo status giuridico ed ai sentimenti dei palestinesi che lavorano nelle colonie – vergogna, disperazione, umiliazione ed alienazione. Vickery evidenzia soprattutto le cattive condizioni di lavoro, come il fatto di essere pagati sotto il salario minimo e lo status giuridico dei palestinesi. In base alla legge israeliana, ogni lavoratore nelle colonie ha diritto a un minimo di 214,62 shekel (circa 50 €) al giorno. Ma i palestinesi che non possono avere dalla polizia israeliana un permesso di lavoro sono pagati 140 shekel (circa 33 €) e anche meno.

Lo status giuridico dei palestinesi che lavorano nelle colonie è in realtà incerto. Secondo Vickery la loro condizione dovrebbe essere equiparata a quella dei lavoratori all’interno di Israele nel 2007. Tuttavia ciò non è mai stato applicato. Egli fornisce un interessante aneddoto dall’interno di una commissione della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] nel 2013: “Il ministero dell’Economia ha detto che, quando si tratta di salute e controlli sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, non svolge alcuna attività nelle colonie perché non sa quali leggi applicare.”

Vickery dedica un capitolo ai mediatori di queste questioni di lavoro. I palestinesi vengono assunti attraverso caporali che fanno da intermediari tra i coloni e la forza lavoro palestinese. L’autore non evita di descrivere questi caporali palestinesi come strumenti per sfruttare la manodopera palestinese facendo riferimento a un’altra fonte: “Gli intermediari sono aggressivi, motivati dal denaro e non hanno nessun problema nello sfruttare i loro stessi connazionali.”

Con i dati da fonti affidabili utilizzati nella seconda sezione è ben descritto come Israele sfrutta la manodopera palestinese controllando la popolazione, realizzando colonie ebraiche e limitando gli investimenti palestinesi in Cisgiordania. L’autore pone il lettore nella prospettiva economica dell’occupazione. La segregazione nel mercato del lavoro e lo strangolamento dell’economia palestinese diventano lo strumento principale per controllare i palestinesi e non lasciar loro altre possibilità se non lavorare nelle colonie come operai di serie B. Dato che l’argomento riguarda soprattutto i “lavoratori”, l’autore evidenzia l’impostazione marxista e ne mette alla prova l’ideologia. Utilizza il [concetto di] “esercito industriale di riserva” per confrontare questa nozione con la situazione dei lavoratori palestinesi e scopre che la definizione marxista non è sufficiente per descrivere il rapporto tra lavoratori palestinesi e coloni ebrei capitalisti.

È evidente che la classe operaia israeliana e quella palestinese non sono la stessa cosa, divise semplicemente dallo sfruttamento capitalista. L’importanza di comprenderlo è che risulta possibile ridefinire e utilizzare i concetti marxisti riguardo ad Israele e all’occupazione dei territori palestinesi.” Vickery sostiene anche che i palestinesi che vivono nell’Area C della Cisgiordania [in base agli accordi di Oslo, sotto totale controllo temporaneo di Israele, ndtr.], sottoposti all’occupazione israeliana, sono in realtà lavoratori forzati. L’autore cita un certo numero di fonti che definiscono il lavoro forzato e sostiene che i palestinesi sono in realtà indirettamente lavoratori forzati a causa del fatto di non avere alternative.

Nella grande maggioranza dei casi i lavoratori palestinesi delle colonie in Cisgiordania non sono liberi nella scelta dell’impiego. Sono stati di fatto integrati nel settore attraverso politiche del governo israeliano riguardo ai lavoratori palestinesi, al regime dei permessi, al controllo del mercato e dell’economia palestinesi e alle restrizioni nella libertà di movimento all’interno della Cisgiordania.” scrive Vickery.

Le storie dei lavoratori palestinesi nelle colonie sono veramente molto tristi e non rare per la società palestinese in generale. Le persone sono in realtà abbandonate dalla loro amministrazione, dal loro popolo, dall’attenzione internazionale e lasciate nelle mani del loro aguzzino. Sono davvero, come afferma uno dei titoli dei capitoli del libro, i “miserabili della Terra Santa.” Questo saggio sarà una buona lettura per quanti sono curiosi riguardo la situazione dei lavoratori in Cisgiordania e a come i coloni, in quanto datori di lavoro, trattano i loro dipendenti palestinesi. Forse i lettori possono trovare storie simili a quelle dei palestinesi nei lavoratori in altre parti del mondo. Forse questa occupazione non è stata architettata attraverso la potenza dell’esercito e dei rapporti diplomatici ma del capitale. Chi lo sa?

(traduzione di Amedeo Rossi)