“Gli ho chiesto se avesse fatto irruzione a casa mia perché smettessi di fare il giornalista”

Basil Adra

5 febbraio 2023 – +972 Magazine

Prima di interrogarlo riguardo alla sua attività di giornalista, forze israeliane hanno arrestato Abdul Mohsen Shalaldeh di notte a casa sua, terrorizzando la sua famiglia.

Il 18 gennaio col favore delle tenebre un gruppo di soldati israeliani ha fatto irruzione in casa di un giornalista palestinese nel villaggio di Sa’ir, nella Cisgiordania occupata, tenendolo in arresto per 4 giorni sotto interrogatorio dello Shin Bet [servizio di sicurezza interna israeliano, ndt.] prima di rilasciarlo senza imputazioni. Il giornalista, Abdul Mohsen Shalaldeh, dice che durante l’irruzione sua sorella, che soffre di un disturbo nervoso, è svenuta per la paura, un incidente che gli investigatori dello Shin Bet gli hanno riferito durante l’interrogatorio, secondo lui nel tentativo di intimidirlo.

Alle due di notte alcuni soldati sono entrati in casa mia e hanno detto di essere venuti ad arrestarmi,” racconta Shalaldeh, giornalista dell’organo di stampa palestinese di notizie J-Media. “Un uomo dello Shin Bet, che si è presentato come ‘Captain Kerem” [Capitano Kerem], è entrato in camera da letto e mi ha detto che vestirmi e seguirlo.”

L’irruzione in casa ha scioccato la sorella più giovane di Shalaldeh, la ventiduenne Rula, con cui egli vive insieme ad altri famigliari e che è svenuta in quanto l’irruzione ha scatenato il suo problema neurologico. “Quando si è svegliata e ha visto i soldati entrare in casa, Rula ha perso i sensi,” ricorda Shalaldeh. I soldati allora l’hanno bendato e l’hanno portato in una cella a Gush Etzion [colonia israeliana nei territori occupati, ndt.].

Prima dell’inizio dell’interrogatorio gli agenti hanno consentito a Shalaldeh di chiamare la sorella. “Ho cercato di calmarla, ma era in preda a un’estrema agitazione ed è stata ancora peggio quando ha sentito la mia voce,” afferma. Poi, durante l’interrogatorio, “Captain Kerem” ha menzionato la questione della salute di sua sorella, forse nel tentativo di spaventarlo riguardo alla condizione di lei.

Mi ha chiesto: ‘Ti sta bene quello che è successo in casa tua? Che tua sorella sia stata così male?’” Shalaldeh ricorda: “Gli ho detto: ‘Cosa intendi dire con bene? Non ti ho chiesto io di fare irruzione in casa mia nel cuore della notte. Perché non mi hai telefonato? Sarei venuto la mattina dopo.’”

Poi quello che l’ha interrogato ha passato la maggior parte del tempo a chiedere a Shalaldeh del suo lavoro come giornalista. “Ha chiesto perché vado a fotografare i prigionieri e le loro famiglie. Gli ho detto che è il mio lavoro. Gli ho chiesto se voleva che io smettessi di fare il giornalista e se era per questo che aveva fatto irruzione a casa mia. Ha detto di no, ovviamente no. Ma tutto l’interrogatorio ha riguardato quello che faccio come giornalista, e uno dei poliziotti mi ha persino chiamato ‘istigatore.’”

Lo scorso anno, durante un’inchiesta congiunta di +972, Local Call [edizione in ebraico di +972, ndt.] e The Intercept [sito internazionale di controinformazione, ndt.], abbiamo intervistato giornalisti palestinesi in Cisgiordania che hanno descritto il modo in cui lo Shin Bet conduce gli interrogatori: gli investigatori regolarmente etichettano i reportage giornalistici e la documentazione riguardante prigionieri, funerali e manifestazioni come “incitamento” e un pretesto per compiere arresti, per lo più senza alcuna base giuridica. In qualche caso i funzionari dello Shin Bet hanno cercato di reclutare i giornalisti come collaboratori.

L’inchiesta ha anche riscontrato che dall’inizio del 2020 fino all’aprile 2022 Israele ha incarcerato almeno 26 giornalisti palestinesi per periodi che vanno da qualche settimana a un anno e mezzo, nella maggior parte dei casi senza basi legali e senza accuse, tenendoli nel limbo giudiziario della detenzione amministrativa.

L’obiettivo è dissuadermi dal fare il mio lavoro”

Shalaldeh afferma che nel 2019 lo stesso funzionario dello Shin Bet lo aveva interrogato sul suo lavoro come giornalista e poi lo aveva messo in detenzione amministrativa. Allora è successo qualcosa di insolito: un tribunale ha accettato di accogliere il ricorso contro la sua detenzione, stabilendo che le affermazioni dello Shin Bet per tenerlo in arresto erano infondate. È stato rilasciato e rimandato a casa.

Non c’è niente di nuovo,” sostiene Shalaldeh. “L’interrogatorio riguardava esclusivamente il mio lavoro di giornalista. Non hanno niente di cui accusarmi. L’obiettivo è dissuadermi dal continuare il mio lavoro, così fanno irruzione in casa mia di notte e terrorizzano la mia famiglia e mia sorella. È anche per questo che mi hanno arrestato un giovedì mattina presto, in modo che potessero tenermi in carcere per tutto il fine-settimana con la scusa che i tribunali sono chiusi.”

Secondo Shalaldeh le condizioni nella prigione di Gush Etzion sono pessime. “Non ci sono materassi. Ti danno una coperta da mettere su una rete metallica. Venerdì le guardie ci hanno portato pezzi di pollo crudo che avevano bollito velocemente per darceli da mangiare. I prigionieri hanno rimandato indietro il cibo chiedendo di cuocerli con più cura, ma le guardie li hanno appena immersi nell’acqua e li hanno riportati ancora crudi. I prigionieri sono rimasti digiuni per un giorno e mezzo, chiedendo del cibo decente. L’ufficiale ci ha detto che avrebbero affrontato il problema della cucina, ma non so se l’hanno fatto dopo che sono stato rilasciato.”

Gli attacchi fisici contro giornalisti palestinesi hanno suscitato una sempre maggiore attenzione internazionale dopo che nel maggio del 2022 l’esercito israeliano ha ucciso Shireen Abu Akleh, la famosa giornalista di Al-Jazeera. Come a molti suoi colleghi, negli ultimi anni i soldati israeliani hanno sparato anche a Shalaldeh, ed è stato persino ferito.

Nel 2020, durante una manifestazione all’università di Hebron, è stato colpito alla testa da un proiettile ricoperto di gomma, che gli ha fratturato il cranio “nonostante indossassi un giubbotto con la scritta ‘stampa’ e i soldati potessero vedere che ero un giornalista.” Lo scorso anno è stato ferito di nuovo a Hebron, questa volta mentre fotografava scontri tra giovani palestinesi e soldati israeliani, “Tutti i giornalisti erano nei pressi di un muro. I soldati ci hanno visti ed era evidente che eravamo giornalisti, non eravamo neppure vicini ai giovani che lanciavano pietre. Ma (i soldati) hanno sparato deliberatamente contro di noi e mi hanno ferito a una mano con un proiettile ricoperto di gomma.”

Rispondendo alle domande di +972 riguardo all’arresto di Shalaldeh, il portavoce delle IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] ha affermato: “Le strutture detentive in Giudea e Samaria (la Cisgiordania) operano in conformità con gli ordini e le procedure e si fanno carico del benessere e delle condizioni di vita dei detenuti. Da quando è arrivato, il detenuto ha ricevuto un materasso e una coperta, come ogni carcerato della struttura, e non risulta alcuna negligenza nella sua sistemazione. I pasti che i prigionieri ricevono regolarmente sono forniti dalla cucina della struttura. È stata ricevuta una lamentela del detenuto riguardo al cibo e gli è stato sostituito con altra carne.” Lo Shin Bet si è rifiutato di rispondere.

Basil Adraa è un attivista, giornalista e fotografo del villaggio di a-Tuwani, sulle colline meridionali di Hebron.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)