Una nuova strada per assicurare alla giustizia i criminali di guerra

Tyler McBrien

6 agosto 2025 – The intercept

È nei tribunali nazionali, non nella CPI o nella CIG, che i palestinesi hanno le migliori possibilità di ottenere giustizia.

Molti di coloro che osservano gli orrori che si consumano a Gaza hanno riposto le loro più grandi speranze e le loro più profonde frustrazioni nelle corti supreme del mondo: la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale. A quasi due anni dall’inizio della guerra questi organi giudiziari non hanno né impedito che si verificassero atrocità né punito i responsabili. Giornalisti e attivisti hanno accumulato ampie prove che documentano i crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano, eppure i suoi soldati continuano a operare a Gaza impunemente.

È un errore concentrarsi esclusivamente sulla CIG, istituita dalla Carta delle Nazioni Unite per dirimere le controversie tra Stati, e sulla Corte Penale Internazionale, che persegue gli individui accusati di genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di aggressione ai sensi dello Statuto di Roma. Così facendo, si fraintende e si enfatizza eccessivamente il loro ruolo. “Il dibattito sulla giustizia penale internazionale ruota eccessivamente attorno alla CPI, oscurando altre vie e strumenti di giustizia”, mi ha detto Brian Finucane dell’International Crisis Group [ONG internazionale impegnata nella prevenzione e definizione dei conflitti, ndt.]. Questa miopia non tiene conto anche dell’importante lavoro svolto dai tribunali nazionali. È proprio a livello nazionale che i palestinesi hanno le migliori possibilità di ottenere giustizia, poiché gli Stati nazionali cercano di adempiere ai propri obblighi internazionali attraverso indagini e procedimenti giudiziari interni.

Per molti versi le speranze e le frustrazioni riposte nella CPI e nella CIG sono comprensibili. Quando si pensa a processi internazionali, viene in mente Norimberga e il segnale dato alla comunità internazionale che si trattava dei crimini più gravi in assoluto”, ha affermato Jake Romm, avvocato per i diritti umani e rappresentante statunitense della Hind Rajab Foundation [fondazione con sede a Bruxelles, impegnata nel contrastare l’impunità israeliana per i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani in Palestina,ndt.]. Gaza è esattamente il tipo di grave situazione per cui sono stati istituiti questi tribunali, che dal 7 ottobre 2023 non sono rimasti completamente inattivi. All’inizio del 2024, dopo che il Sudafrica ha intentato una causa contro Israele sostenendo che avesse violato la Convenzione dell’ONU sul genocidio, la CIG ha emesso diverse serie di misure provvisorie ordinando a Israele di astenersi dal compiere atti di genocidio, di interrompere l’azione militare e garantire il flusso di aiuti umanitari. Nel novembre dello stesso anno la CPI ha emesso mandati di arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant (insieme a tre alti comandanti di Hamas) per il crimine di utilizzo della fame come metodo di guerra e per i crimini contro l’umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani.

Ma generalmente gli ingranaggi della giustizia si muovono lentamente e nel caso specifico dei palestinesi può spesso sembrare che gli ingranaggi della giustizia internazionale non si muovano affatto. La CIG probabilmente non si pronuncerà sul caso di genocidio prima della fine del 2027. E se le prospettive di vedere Netanyahu o Gallant sul banco degli imputati all’Aja sono sempre state scarse, appaiono ancora più scarse dopo che l’Ungheria, Stato parte dello Statuto di Roma, ha concesso al primo ministro ricercato di Israele un passaggio sicuro attraverso Budapest, sottraendosi all’obbligo di arrestarlo. Inoltre la CPI rimane coinvolta in una crisi dopo che il suo procuratore capo ha preso un periodo di congedo a causa di accuse di molestie sessuali, mentre i perenni problemi legati alle risorse e le pressioni politiche continuano ad affliggere la Corte e l’amministrazione Trump la prende di mira con sanzioni e altre minacce. Persino i tribunali penali internazionali speciali, come le strutture ad hoc create per i casi dell’ex Jugoslavia o Ruanda, sono soggetti al veto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un ostacolo insormontabile per i palestinesi.

Questi tribunali internazionali non hanno certamente soddisfatto le esigenze del momento, ma non possono lottare da soli per la giustizia globale, né sono stati concepiti per farlo. Senza un procedimento esecutivo indipendente il diritto internazionale funziona come un sistema volontario, la cui applicazione dipende dagli Stati – sia come soggetti che come agenti principali. E, secondo Chantal Meloni, professore associato di diritto penale all’Università degli Studi di Milano e consulente legale esperto del Centro Europeo per i Diritti Costituzionali e Umani, lo Statuto di Roma stabilisce “una logica molto chiara secondo cui non tutti i crimini internazionali commessi ovunque nel mondo possono sottostare alla giurisdizione della CPI, e gli Stati devono assumersi la loro parte di responsabilità per prevenire e punire questi crimini”.

Invece i tribunali nazionali spesso non devono affrontare le stesse limitazioni di risorse e possono perseguire i responsabili lungo tutta la catena di comando. La ricerca della giustizia attraverso i tribunali nazionali “può coinvolgere centinaia, persino migliaia di potenziali sospettati, a differenza della CPI, che è in grado di occuparsi solo di pochi casi”, ha affermato Mark Lattimer, direttore esecutivo del Ceasefire Centre for Civilian Rights [ONG con sede a Londra impegnata nella promozione dell’accesso alla giustizia per tutti, ndt.] . Sebbene gli Stati affrontino anche pressioni politiche interne, non devono necessariamente destreggiarsi come fa la CPI per compiacere i suoi numerosi sostenitori. Lattimer aggiunge che gli sforzi nazionali possono anche “rompere i doppi standard” fin troppo presenti nelle corti internazionali, soprattutto nei Paesi con una magistratura forte e indipendente, immune dalle conseguenze dei continui slittamenti di potere geopolitici e libera di perseguire le più gravi violazioni del diritto internazionale, indipendentemente dalla nazionalità del colpevole.

Gli sforzi per attivare la giurisdizione nazionale per i crimini internazionali non sono una novità. Un ampio corpus giurisprudenziale è emerso da procedimenti extraterritoriali sulla guerra siriana, sulle guerre balcaniche, su vari conflitti africani e, naturalmente, sulla Seconda Guerra Mondiale. Paesi come la Spagna e il Belgio disponevano già di leggi sulla giurisdizione universale, che autorizzano le autorità nazionali di qualsiasi paese a indagare e perseguire gravi crimini internazionali anche se commessi in un altro Paese, in vigore anche prima dell’adozione dello Statuto di Roma nel 1998.

Avvocati e attivisti, basandosi su questi precedenti storici, stanno spingendo le giurisdizioni nazionali ad indagare e perseguire gli atroci reati commessi dall’esercito israeliano a Gaza, con risultati tangibili in diversi Paesi. Il mese scorso le autorità belghe hanno fermato e interrogato durante un festival musicale due soldati israeliani in licenza in risposta a una denuncia presentata dalla Hind Rajab Foundation e dal Global Legal Action Network. L’episodio dell’arresto di soldati israeliani da parte di autorità nazionali con l’accusa di crimini commessi a Gaza potrebbe aver costituito un precedente, ma questi “soldati itineranti”, alcuni dei quali con doppia cittadinanza, hanno dovuto affrontare anche altre conseguenze. A gennaio, il ministro degli Esteri israeliano ha aiutato Yuval Vagdani, soldato in vacanza, a fuggire dal Brasile dopo aver appreso che un giudice federale aveva aperto un’indagine per crimini di guerra a seguito di un’altra denuncia della Hind Rajab Foundation. (Vagdani ha negato le accuse.)

Oltre ad aver presentato una denuncia alla CPI contro oltre 1.000 membri dell’esercito israeliano, la Fondazione Hind Rajab ha inoltrato elenchi di accuse e richieste di arresto alle autorità nazionali di almeno 23 Paesi. In risposta a questi e altri interventi il governo israeliano ha emesso avvisi per i soldati che si recano in determinate giurisdizioni con suggerimenti legali e altri consigli. “Sono spaventati”, dice Romm. “Per la prima volta nella storia sistemi giuridici nazionali stanno attivando la possibilità di arrestare e incarcerare questi soldati israeliani per quello che stanno facendo ai palestinesi”. Sebbene nessuna denuncia abbia ancora portato a un procedimento giudiziario è probabile che questi procedimenti continuino e potrebbero persino accelerare. A luglio 30 Paesi riuniti nel Gruppo dell’Aja [blocco inizialmente formato da otto Stati, con lobiettivo dichiarato di assicurare Israele alla giustizia sulla base del diritto internazionale, ndt.] si sono impegnati a sostenere “mandati di giurisdizione universale, nei modi e nei luoghi applicabili secondo i nostri quadri giuridici costituzionali e giudiziari, per garantire giustizia a tutte le vittime e la prevenzione di futuri crimini nei Territori Palestinesi Occupati”.

Naturalmente in diversi Paesi l’attuale contesto politico rende impossibile qualsiasi indagine sui soldati israeliani, a prescindere dalle questioni di giurisdizione e di capacità processuale. Ad aprile la Fondazione Hind Rajab ha presentato una richiesta urgente al Dipartimento di Giustizia per perseguire penalmente il soldato israeliano Yuval Shatel ai sensi della legge federale statunitense, dopo aver appreso che era stato avvistato in Texas giorni prima. Secondo un comunicato stampa della fondazione, la richiesta includeva un dossier di prove a sostegno delle accuse secondo cui Shatel avrebbe commesso “gravi violazioni del diritto internazionale umanitario durante la campagna militare israeliana a Gaza”. (Shatel e il Dipartimento di Giustizia non hanno risposto alle richieste di commento).

Tuttavia la Hind Rajab Foundation non è ingenua. Le possibilità che il Procuratore Generale degli Stati Uniti Pam Bondi ordini al Dipartimento di Giustizia di indagare sulle accuse contro Shatel sembrano a dir poco scarse, considerando soprattutto che il War Crimes Act statunitense, approvato nel 1996, è rimasto inattivo fino al dicembre 2023, quando il Dipartimento di Giustizia ha incriminato quattro russi per presunte violazioni dello statuto federale sui crimini di guerra – il primo (e unico) procedimento penale nei 30 anni di storia della legge. L’evidente riluttanza ad applicare lo statuto altrove ha suscitato critiche in concomitanza con l’intensificarsi della campagna militare israeliana a Gaza. Il 21 ottobre 2024 gli avvocati del Dipartimento di Giustizia hanno scritto una lettera al predecessore di Bondi, Merrick Garland, “sottolineando il ‘divario evidente’ tra l’approccio del dipartimento ai crimini commessi da Russia e Hamas e il suo silenzio sui potenziali crimini commessi dalle forze armate e dai civili israeliani”.

La richiesta della Hind Rajab Foundation mira a colmare questa lacuna. “C’è una discrepanza tra il dettato della legge e il modo in cui gli Stati Uniti stanno agendo”, dice Romm. “Abbiamo presentato questa richiesta perché vogliamo che procedano ad un’azione penale, e perché possono farlo. Hanno giurisdizione e i reati sono molto chiari”. Il caso Shatel è la prima richiesta di accusa presentata da HRF negli Stati Uniti, ma Romm afferma che non sarà l’ultima. “Tutto quello che posso dire è che ce ne saranno altre”, mi ha detto. “Cercheremo di far arrestare tutti quelli che possiamo”.

Non esiste prescrizione per le più gravi trasgressioni del diritto internazionale. Per gli autori di crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio, la spada di Damocle del pubblico ministero incomberà su di loro per tutta la vita. Lo hanno dimostrato a dicembre i tribunali tedeschi nel processare un ex nazista centenario, quasi 80 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. “Nonostante questa carneficina vada avanti da quasi due anni, sulla base degli standard giudiziari è ancora agli inizi”, ha affermato Finucane. “Quando si tratta di accertare le responsabilità per i crimini più atroci l’attesa è molto lunga, e queste cose vanno avanti per decenni”.

Per chiunque chieda giustizia e accertamento delle responsabilità per i crimini israeliani a Gaza, il messaggio è chiaro: che fioriscano mille procedimenti giudiziari.

Tyler McBrien è caporedattore di Lawfare e borsista del Law & Justice Journalism Project 2024-25 [organizzazione internazionale indipendente impegnata a promuovere lo stato di diritto in tutto il mondo, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




L’aviatore USA che ha gridato “Palestina libera” prima di darsi fuoco

Redazione di MEE

26 febbraio 2024 – Middle East Eye

L’azione di protesta contro la guerra a Gaza ha portato a una valanga di critiche contro il modo in cui i principali mezzi di comunicazione hanno dato la notizia dell’incidente.

Aaron Bushnell, militare in servizio attivo dell’aviazione militare USA, è morto domenica dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington per protesta contro il genocidio a Gaza.

Le sue ultime parole sono state “Palestina libera”.

“Non voglio più essere complice del genocidio. Sto per compiere un atto estremo di protesta, ma rispetto a quello che sta provando la gente in Palestina per mano dei suoi colonizzatori non è affatto estremo. È ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sia normale. Palestina libera,” ha detto in un video girato mentre camminava davanti all’ambasciata.

Lunedì il Pentagono ha affermato che la sua morte è stata un “evento tragico”.

Il portavoce del Pentagono generale Patrick Ryder ha detto che il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin sta seguendo la situazione.

Bhusnell, 25 anni, era in divisa ed ha utilizzato un accendino per darsi fuoco dopo essersi cosparso di un liquido. Ha ripreso tutto l’avvenimento su Twitch, una piattaforma in streaming molto diffusa, che ha cancellato il video.

Nelle immagini due poliziotti gli si avvicinano mentre sta bruciando. Uno di loro gli punta contro un’arma. L’altro dice: “Non c’è bisogno di un’arma, ci vuole un estintore!” Pare che Bushnell sia rimasto avvolto dalle fiamme per circa un minuto prima che gli agenti spegnessero le fiamme.

Lunedì è stato ampiamente condiviso su Twitter un post su Facebook attribuito a Bushnell con il seguente contenuto: “Molti di noi amano chiedersi: ‘Cosa avrei fatto durante lo schiavismo? O nel Sud di Jim Crow [durante la segregazione razziale, ndt.]? O l’apartheid? Cosa avrei fatto se il mio Paese stesse commettendo un genocidio?’ La risposta è: quello che stai facendo, proprio ora.”

Bushnell viveva a San Antonio, Texas, e stava frequentando un corso di laurea di ingegneria informatica.

Nella sua pagina LinkedIn afferma: “Durante il periodo passato nell’esercito sia nei ruoli di comandante che di sottoposto, così come in una precedente esperienza di lavoro svolgendo una serie di ruoli civili mi sono arricchito in contesti di squadra ed ho sviluppato ottime capacità comunicative.”

Non è la prima volta che incidenti come questo avvengono nelle proteste USA contro le guerre ed è il secondo di questi atti di auto-immolazione dall’inizio della guerra a Gaza in ottobre.

A dicembre una contestatrice si è immolata fuori dall’edificio del consolato israeliano ad Atlanta, in quello che la polizia statunitense ha descritto come “un atto estremo di protesta politica.” Ha subito ustioni di terzo grado sul corpo. Sul posto è stata trovata una bandiera palestinese. Il suo nome o età non sono mai stati resi noti dalle autorità.

Il 2 novembre 1965 Norman Morrison, un attivista contro la guerra, si cosparse di cherosene e si diede fuoco davanti all’ufficio del segretario alla Difesa Robert McNamara al Pentagono per protestare contro la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra del Vietnam.

Nel 1993 Graham Bamford si versò addosso benzina e si diede fuoco davanti alla Camera Bassa del parlamento britannico nelle ore centrali della giornata per evidenziare le sofferenze di quanti stavano morendo in Bosnia in seguito al genocidio.

Critiche ai mezzi di comunicazione 

Dopo l’evento i principali mezzi di comunicazione sono stati messi in discussione per la scelta dei loro titoli. Quello del New York Times dice “La polizia afferma che un uomo è morto dopo essersi dato fuoco fuori dall’ambasciata israeliana a Washington”.

La CNN: Aviatore USA muore dopo essersi dato fuoco fuori dall’ambasciata israeliana a Washignton.”

La BBC: “Aaron Bushnell: aviatore USA muore dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington.”

Il Washington Post: “Aviatore muore dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana nel Distretto Federale.

“Perché lo ha fatto?” ha scritto Assal Rad, utente di X. “Nessuno dei titoli cita le parole ‘Gaza’ o ‘genocidio’, la ragione della protesta di Aaron o la parola ‘Palestina’, l’ultima che ha detto.”

Reazioni

Membri dello staff di Ceasefire, un gruppo di collaboratori dell’amministrazione Biden che stanno facendo pressione sull’amministrazione per un cessate il fuoco, hanno pianto la perdita di Bushnell e chiesto un immediato e permanente cessate il fuoco a Gaza.

“Il Presidente Biden, nostro comandante in capo, continua a ignorare il dissenso dei collaboratori sulle sofferenze di massa provocate dalla complicità dei nostri dirigenti,” afferma il comunicato.

“Solo il presidente Biden, non attraverso inutili conversazioni dietro le quinte, ma attraverso processi definiti dalle leggi internazionali e una forte attività diplomatica, ha il potere di ridurre i danni che vengono fatti. Può scegliere di cambiare il nostro attuale percorso di distruzioni inutili.”

In un post su Instagram il Movimento Giovanile Palestinese ha affermato: “Mentre i media statunitensi stanno già spacciando la storia come se si trattasse di un malato di mente, un giovane disturbato, il messaggio stesso di Aaron nei secondi prima del suo atto dimostra la limpidezza e lungimiranza morale con cui ha meditato e alla fine deciso il suo atto.”

Aggiunge che la “parola per martire in arabo, ‘shaheed’, si traduce con ‘testimone’, o una persona i cui ultimi istanti di vita sono una testimonianza dell’ingiustizia.

Aaron Bushnell è un martire, il cui ultimo momento è stato speso nel fuoco di una nuda, incontrovertibile verità: la coscienza morale di ogni essere umano, dal ventre della bestia agli angoli più remoti del pianeta, chiede immediata attenzione e azione per porre fine agli orrori che abbiamo davanti a noi,” afferma il comunicato.

Il Forum del Popolo, un centro comunitario che opera per comunità di lavoratori e marginalizzate di New York, sta contribuendo a guidare una veglia per Bushnell il 27 febbraio insieme al Movimento della Gioventù Palestinese.

In un post su Instagram scrive che Bushnell “ha compiuto l’estremo sacrificio per porre fine a un genocidio perpetrato, appoggiato e finanziato dall’amministrazione Biden.

Il sistema è colpevole di crimini contro l’umanità a Gaza e Aaron Bushnell ha preso una posizione eroica. Onoriamo lui e il suo sacrificio.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Cosa implica per la guerra contro Gaza la sentenza provvisoria della CIG?

Justin Salhani

26 gennaio 2024 – Al Jazeera

Secondo alcuni esperti, se le misure provvisorie della CIG hanno evitato di chiedere un cessate il fuoco, potrebbero rendere più difficile per Israele continuare la guerra.

Venerdì la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso una serie di misure provvisorie che chiedono a Israele di rispettare la convenzione sul genocidio del 1948, consentire l’ingresso a Gaza di più aiuti umanitari e agire contro quanti esprimono affermazioni genocidarie.

La sentenza provvisoria della Corte Internazionale nella causa intentata dal Sudafrica, che accusa Israele di commettere un genocidio a Gaza, ha evitato di ordinare a Israele di sospendere o porre fine alla sua devastante guerra contro Gaza, che dal 7 ottobre ha ucciso più di 26.000 palestinesi nell’enclave.

Ma ha rigettato la tesi di Israele secondo cui la Corte non ha giurisdizione per imporre misure provvisorie e ha evidenziato che le sue conclusioni sono vincolanti.

L’Autorità Palestinese ha accolto positivamente la sentenza: “La decisione della CIG è un importante richiamo al fatto che nessuno Stato è al di sopra della legge e fuori dalla portata della giustizia,” ha affermato in un comunicato il ministro degli Esteri palestinese Riyadh Maliki. “Ciò infrange la radicata cultura israeliana di criminalità e impunità, che ha caratterizzato le sue pluridecennali occupazione, spoliazione, persecuzione e apartheid in Palestina.”

Mentre la Corte di per sé non ha il potere di imporre l’applicazione della sentenza provvisoria, e neppure il verdetto definitivo che emetterà sul caso, secondo alcuni analisti le sue decisioni di venerdì potrebbero influire sulla guerra a Gaza. Nelle scorse settimane sono aumentate le pressioni su Israele e sui suoi sostenitori americani, mentre continuano a guadagnare terreno gli appelli internazionali per un cessate il fuoco.

La sentenza di venerdì non stabilisce se Israele stia commettendo un genocidio, come ha sostenuto il Sudafrica. Ma la giudice Joan Donahue, attuale presidentessa della CIG, annunciando le misure provvisorie ha affermato che la Corte ha concluso che la “situazione catastrofica” a Gaza potrebbe peggiorare ulteriormente durante il periodo che passerà prima del verdetto finale, e ciò richiede misure transitorie.

“La sentenza invia il forte messaggio a Israele che la Corte vede la situazione come molto grave e che Israele dovrebbe fare quello che può per esercitare moderazione nel portare avanti la sua campagna militare,” afferma Michael Becker, docente di diritto internazionale umanitario al Trinity College di Dublino e che è stato anche un giurista associato presso la Corte Internazionale di Giustizia all’Aia dal 2010 al 2014.

La guerra può continuare?

Nei suoi provvedimenti provvisori la CIG non ordina a Israele di interrompere la campagna militare a Gaza. Nella sua richiesta di interventi temporanei il Sudafrica, citando la possibilità di un genocidio a Gaza, aveva sollecitato una decisione per la cessazione immediata.

Nel marzo 2022, un mese dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, la Corte aveva ordinato alla Russia di interrompere la sua guerra in Ucraina, ma Mosca ha ignorato quella sentenza.

Quindi Israele non violerebbe le indicazioni di venerdì della CIG continuando la guerra che, insiste ad affermare, proseguirà finché non avrà distrutto Hamas, il gruppo armato palestinese che il 7 ottobre ha attaccato Israele uccidendo circa 1.200 persone e rapito altre 240.

Tuttavia il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sarà probabilmente più che mai sottoposto a controllo riguardo alle azioni dei suoi soldati a Gaza e alle affermazioni dei suoi leader e generali.

In base alla sentenza della CIG, a Israele viene chiesto di sottoporre un rapporto entro un mese per dimostrare che sta rispettando le misure provvisorie. Il Sudafrica avrà la possibilità di smentire le affermazioni di Israele.

Israele darà seguito alla sentenza della CIG?

Quando, alla fine di dicembre, il Sudafrica ha presentato la sua denuncia alla CIG, i politici israeliani l’hanno liquidata come una “menzogna” e accusato i sudafricani di “ipocrisia”. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che Israele non si sarebbe lasciato influenzare da alcuna sentenza.

“Ripristineremo la sicurezza sia a sud che a nord,” ha scritto Netanyahu sulla piattaforma X, ex Twitter, dall’account ufficiale della presidenza del consiglio israeliana. “Nessuno ci fermerà, né l’Aia, né l’asse del male, né altri.”

Ma, anche se Israele decidesse di non rispettare la sentenza della CIG, ci saranno pressioni sui suoi sostenitori internazionali.

“I politici israeliani hanno già detto che ignoreranno l’ordine della CIG,” dice ad Al Jazeera Mark Lattimer, direttore esecutivo del Ceasefire Centre for Civilian Rights [Centro del Cessate il Fuoco per i Diritti dei Civili, ong britannica, ndt.]. “È molto più difficile, soprattutto per gli USA e gli Stati europei, compresa la Gran Bretagna, ignorare l’ingiunzione, perché essi hanno una storia molto più solida di sostegno e supporto alla Corte Internazionale di Giustizia.”

Alcuni giuristi prevedono che gli alleati occidentali di Israele, tra cui gli USA, rispetteranno la sentenza della CIG. Non farlo avrebbe gravi ripercussioni.

Ciò minerebbe la “credibilità dell’ordine internazionale basato sulle regole che gli USA sostengono di difendere,” afferma Lattimer. Aggiunge che ciò “rafforzerà anche una crescente divisione” tra gli USA e i Paesi occidentali nei confronti del Sud globale, che vede con scetticismo questa asserita “difesa dell’ordine internazionale”.

La sentenza accrescerà le pressioni internazionali per un cessate il fuoco?

Mentre la sentenza di per sé non chiede il cessate il fuoco, essa potrebbe rendere più difficile per gli alleati di Israele continuare a ostacolare i tentativi internazionali di porre fine alla guerra.

“La sentenza della CIG accentua notevolmente la pressione sugli USA e gli altri alleati occidentali perché portino avanti una risoluzione per il cessate il fuoco,” dice ad Al Jazeera Zaha Hassan, avvocata per i diritti umani e ricercatrice presso il Carnegie Endowment for International Peace [gruppo di ricerca indipendente sulla pace con sede a Washington, ndt.]. “Ciò rende molto più difficile agli USA, insieme a Israele, far accettare ai governi occidentali, che si preoccupano ancora molto della legittimità internazionale, di continuare a sostenere che a Gaza Israele sta agendo all’interno dei limiti delle leggi internazionali e per autodifesa.”

Alcune prove suggeriscono che lo sa anche Israele. Secondo alcuni esperti, poco dopo che il Sudafrica ha annunciato che avrebbe portato il caso davanti alla CIG, la strategia di Israele sul terreno ha iniziato a cambiare.

C’è stata “una corsa per eliminare ogni possibilità di un ritorno dei palestinesi nel nord di Gaza,” sostiene Hassan, evidenziando i bombardamenti mirati contro università e ospedali. “Una volta che hai tolto di mezzo gli ospedali hai reso impossibile alle persone restare durante una guerra. È parte di una strategia per obbligare la popolazione palestinese a trasferirsi e per uno sfollamento permanente.”

Ma questo dovrebbe essere la consapevolezza del fatto che il tempo a disposizione di Israele per portare avanti la sua campagna militare sta per scadere.

“C’è bisogno di una pressione internazionale sufficiente a creare sostanzialmente più incentivi per negoziare un cessate il fuoco,” afferma Lattimer. “L’ordinanza della CIG è un importante contributo.”

Compagni d’armi

Soprattutto gli USA hanno fornito l’aiuto militare su cui si basa Israele per continuare a condurre la guerra. Il presidente Joe Biden ha eluso il Congresso USA due volte in un mese per dare l’approvazione alla vendita d’emergenza di armi a Israele.

L’amministrazione Biden sostiene di aver chiesto a Israele di proteggere la vita dei civili, ma ciò non gli ha evitato pesanti critiche, anche interne, per non aver convinto Israele a prestare maggiore attenzione alle vite innocenti a Gaza.

“Questa amministrazione è preoccupata del crescente numero di membri del Congresso, soprattutto senatori democratici moderati che stanno dando segnali d’allarme contro l’uso scorretto delle armi americane e la possibile complicità degli USA se continuano a inviare rifornimenti incondizionati a Israele,” dice Hassan.

La sentenza della CIG potrebbe dare maggiore impulso alla promozione di un cessate il fuoco a Gaza e affinchè gli USA insistano per un maggiore livello di controllo quando si tratta delle azioni dell’esercito israeliano.

“Nel momento stesso in cui gli USA diranno ‘Non continueremo più a rifornirvi’ questa guerra contro Gaza finirà,” sostiene Hassan.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)