No Other Land: un duo di registi israeliano e palestinese lotta per denunciare l’apartheid mentre a Gaza infuria la guerra

Alex MacDonald

26 novembre 2024  Middle East Eye

Middle East Eye parla con Yuval Abraham e Basel Adra di minacce di morte, attacchi di squadracce e antisemitismo

A un certo punto del loro premiato documentario No Other Land il regista palestinese Basel Adra dice al suo co-regista israeliano Yuval Abraham di essere convinto che basteranno 10 giorni per scrivere e girare e avranno finito, e gli dice che è troppo impaziente di vedere la fine dell’occupazione della Cisgiordania da parte del suo Paese.

“Abituati a sbagliarti,” dice Adra, sardonicamente, ad Abraham, mentre girano in macchina per Masafar Yatta, un agglomerato di villaggi a sud di Hebron dove si trova casa sua. “Sei un fallito.”

Nel 2024, dopo 57 anni di occupazione israeliana della Cisgiordania e oltre tre quarti di secolo dopo la Nakba, la ‘catastrofe’ che ha visto la cacciata dalle loro case di oltre 700.000 palestinesi, sembra più difficile che mai credere che un altro articolo, un rapporto o un documentario possano finalmente spingere il mondo ad agire.

No Other Land è disseminato di filmati risalenti all’infanzia di Adra che riprendono il padre attivista fronteggiare i soldati e i coloni israeliani esattamente come avrebbe poi fatto suo figlio.

Sebbene possa sembrare difficile che il documentario, girato nel corso di cinque anni fino all’ottobre 2023, sarà la goccia che farà finalmente traboccare il vaso dell’occupazione, ha certamente suscitato forti reazioni, sia positive che negative.

Abraham e Adra, rispettivamente a Gerusalemme e a Masafer Yatta, hanno detto a Middle East Eye che è stato difficile gestire le ripercussioni seguite al loro film. “Mi hanno sorpreso le reazioni in Germania,” ha detto Abraham.

” La Germania dice di sostenere Israele e gli israeliani, ma in realtà sta sostenendo gli israeliani che credono nella continuazione dell’occupazione e che, in un certo senso, ripetono le politiche dei loro governi.”

A febbraio i due registi hanno vinto il premio per i documentari al film festival della Berlinale; nel discorso di accettazione Abraham ha citato le leggi dell’”apartheid” che lo segregano dal suo co-regista invocando la fine dell’occupazione.

Per tutta risposta vari politici tedeschi hanno bollato i suoi commenti come “antisemiti”, dopo di che ha ricevuto minacce di morte e squadracce di estrema destra hanno attaccato la casa della sua famiglia in Israele.

In seguito il portale ufficiale online della Berlinale ha citato le ” tendenze antisemite” di No Other Land sebbene il commento sia poi stato rimosso.

Abraham ha detto che in Germania l’ossessiva repressione dei comportamenti filo-palestinesi sta rendendo sempre più difficile la vita per israeliani ed ebrei come lui che vogliono vedere la fine dell’attuale guerra a Gaza.

“Questa visione semplicistica su cosa significhi sostenere gli israeliani o il popolo ebraico… diplomaticamente, finanziariamente, significa continuare a fare quello che mostriamo nel film, cioè continuare a operare per impedire uno Stato palestinese.

Credo che abbiano agito non solo contro i palestinesi, ma anche contro gli israeliani perché considero i due popoli connessi e credo che la sicurezza sarà sempre uno sforzo comune,” dice.

‘Una storia di potere’

Tuttavia la controversia all’uscita del film ha solo accresciuto l’interesse per i suoi protagonisti, gli abitanti di Masafer Yatta.

Per decenni le autorità israeliane hanno cercato di sfrattare circa 1000 palestinesi residenti a Masafer Yatta per creare una “zona di tiro” militare, un campo di addestramento per l’esercito israeliano. 

Le loro case sono situate nell’Area C della Cisgiordania che resta sotto la totale autorità di Israele ed è costellata di colonie, illegali ai sensi del diritto internazionale, i cui abitanti attaccano regolarmente i palestinesi, vandalizzando case e veicoli e sparandogli contro.

Adra ha detto che dopo le controversie in Germania ha organizzato un’importante proiezione del film nel suo villaggio natale.

“Volevano veramente vederlo dopo tutte le storie su quello che era successo alla Berlinale, gli attacchi contro di me e contro Yuval da parte dei media israeliani e tedeschi,” ha detto.

“A marzo abbiamo fatto un’importante proiezione nel cortile della scuola con una grande affluenza di centinaia di persone della comunità, giornalisti e attivisti solidali.”

Adra ha detto che, oltre a vedere la loro lotta sullo schermo, l’esperienza è stata piena di nostalgia per molti degli anziani che vedevano i vecchi filmati ripescati dagli anni ‘90.

Un momento particolarmente memorabile era stata la visita nel 2009 dell’ex primo ministro britannico Tony Blair nella sua qualità di inviato di pace In Medio Oriente. All’epoca la sua visita, vista con scetticismo dal padre di Adra, aveva garantito la sospensione della distruzione di uno dei villaggi a Masafer Yatta.

Seguendo la visita Adra commenta fuoricampo “questa è una storia di potere”.

“Oggi siamo delusi,” ha detto a MEE.

Le immagini del massacro a Gaza sono ovunque mentre anche la Cisgiordania occupata ha subito un intensificarsi di attacchi dei coloni e dell’esercito israeliano, inclusi attacchi aerei – un’escalation che ha causato centinaia di morti.

“Eppure governi come quelli di Regno Unito, USA e Germania continuano a difendere Israele, sostenendolo e appoggiandolo,” ha detto Adra.

“Sono complici di occupazione, apartheid e genocidio a Gaza.”

“Fede” nel cinema

Per gli abitanti la lotta per proteggere le proprie case è stata sfinente e costosa, finanziariamente e fisicamente.

Una figura centrale del film è Harun Abu Aran, un abitante del villaggio rimasto completamente paralizzato quando un soldato gli sparò al collo mentre tentavano, inspiegabilmente, di confiscare un generatore.

Sua madre ha sempre cercato di accudirlo dentro la grotta in cui vivevano, occupandosi delle visite di giornalisti stranieri curiosi, lamentandosi delle condizioni inadeguate in cui era costretta a prendersene cura.

In coincidenza con la fine del film Abu Aran è morto per le ferite riportate.

“Porto una telecamera con me da quando ero un ragazzino… per filmare le prove, mostrarle e farle pubblicare,” ha detto Adra a MEE.

Ha detto che si è aggrappato alla “fede”, che se continuava a registrare e produrre le prove in modo che tutto il mondo vedesse, qualcuno finalmente avrebbe fatto qualcosa, che gli USA sarebbero riusciti a fare pressione su Israele.

Il 7 ottobre, poco dopo la fine delle riprese, c’è stato l’attacco di Hamas nel sud di Israele con l’uccisione di circa 1200 persone e la cattura di centinaia di israeliani portati come ostaggi a Gaza.

In risposta Israele ha lanciato un attacco devastante contro la Striscia di Gaza, uccidendo oltre 44.000 persone, causando lo sfollamento praticamente di tutta la popolazione e facendo sprofondare l’enclave nella fame, distruzione e disperazione.

“Per tutto lo scorso anno abbiamo guardato il genocidio in diretta sui nostri cellulari con tutti i video provenienti da Gaza e dalla Cisgiordania… la situazione sul campo non fa che peggiorare,” ha detto Adra.

“E agli israeliani non importa delle pressioni internazionali, del diritto internazionale perché, sfortunatamente, gli USA li sostengono.”

La vita sta diventando più difficile anche per Abraham che fa parte del sempre più sparuto numero di israeliani che sostengono i diritti dei palestinesi, sgomento nell’assistere al fervore ultra-nazionalista e irredentista che ha sommerso il Paese in cui nessuna cifra di morti palestinesi sembra suscitare alcuna simpatia.

“Una sinistra israeliana c’è, al momento non rappresentata politicamente ed è molto piccola e sempre più perseguitata dal governo. Dal 7 ottobre lo spazio per le critiche si è veramente ristretto,” ha spiegato.

I recenti mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale (CPI) contro Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant sono stati pesantemente condannati in Israele, non solo dagli alleati politici ma anche dai leader all’opposizione.

Perfino Yair Golan, leader dei Democratici (una fusione del Partito laburista e di Meretz, di centro sinistra), li ha bollati come “vergognosi.”

“Io penso che la gente, specialmente nei paesi occidentali, voglia aggrapparsi alla speranza che se solo si sostituisse Netanyahu tutto migliorerebbe e ci sarebbe una soluzione politica, la soluzione dei due Stati, qualsiasi cosa,” ha detto Abraham.

“I partiti israeliani non sono intenzionati a esprimere neppure un minimo di critica verso il loro esercito nonostante la più alta Corte del mondo abbia definito crimini di guerra contro l’umanità le loro operazioni militari.”

Un atto di resistenza dall’interno

Masafer Yatta continua a respingere i tentativi di Israele per cancellarne l’esistenza. “È la nostra terra… ecco perché soffriamo per essa,” sono le parole di uno degli abitanti.

Lo scorso anno ha visto un’esplosione di violenza da parte dei coloni in Cisgiordania e Masafer Yatta non ha fatto eccezione.

Nel corso del weekend i coloni avrebbero attaccato la casa di un attivista locale nel villaggio di Tiwani e aggredito i suoi famigliari, ferendone due.

I soldati israeliani sono poi arrivati e invece di prendere di mira i coloni hanno sequestrato l’attivista.

Il film di Abraham e Adra presenta la Palestina alla vigilia di quella che è indubbiamente stata la maggiore crisi per i palestinesi dal 1967.

E con uno spazio per la resistenza palestinese che si è ridotto in Israele, nei territori occupati e, a quanto pare, anche in quasi tutto il resto del mondo, No Other Land sta combattendo un’ardua battaglia.

“Per noi il film è un atto di resistenza dall’interno e appena l’abbiamo finito volevamo farlo vedere il prima possibile,” conclude Adra.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Uno sguardo sulla guerra di Israele contro gli attivisti stranieri che aiutano i palestinesi in Cisgiordania

Hagar Shezaf

17 novembre 2024 – Haaretz

Nell’ultimo anno il ministro della sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir ha iniziato a mettere in pratica una politica di espulsione degli attivisti stranieri filo-palestinesi, molti dei quali americani, con una serie di pretesti. Il risultato: un picco nel numero di attivisti costretti ad andarsene

Quando circa un mese fa l’attivista americano per i diritti umani Jaxson Schor, 22 anni, è stato arrestato in Cisgiordania, non capiva cosa stesse succedendo. Quella mattina era uscito con diversi altri attivisti stranieri per aiutare i palestinesi a raccogliere le olive vicino al villaggio di Qusra nella zona di Nablus quando all’improvviso i soldati lo hanno chiamato. “Mi hanno detto ‘Ciao, ciao’ e mi hanno chiesto il passaporto”, ricorda. “Gliel’ho dato e ho chiesto se c’era un qualche problema”.

I soldati gli hanno detto che non gli era permesso stare lì. “È stato molto surreale”, aggiunge, e descrive il seguito di una lunga giornata caratterizzata da interrogatori in una stazione di polizia, accuse di essere “un sostenitore di Hamas”, umiliazioni da parte della polizia e un’udienza presso la Population and Immigration Authority [Autorità su Popolazione e Immigrazione, ndt.]. Al termine della disavventura il suo visto e quello di un altro attivista arrestato insieme a lui sono stati revocati. E così i due stranieri venuti in Israele con l’intento di fare volontariato con i palestinesi si sono ritrovati espulsi dal Paese.

Non sono gli unici. L’anno scorso sempre più attivisti stranieri giunti per fare del volontariato con i palestinesi sono stati espulsi. I dati ottenuti da Haaretz mostrano che dall’ottobre 2023 almeno 16 di questi attivisti sono stati estradati da Israele dopo essere stati arrestati in Cisgiordania con l’accusa di varie violazioni.

L’avvocato Michal Pomeranz, che ha rappresentato alcuni degli attivisti espulsi, afferma che c’è stato un aumento del numero di arresti di volontari stranieri con falsi pretesti, nel tentativo di fare pressione su di loro affinché se ne andassero. “La situazione non è sorprendente alla luce del carattere dei decisori al governo, ma è esasperante”, afferma Pomeranz. “È inquietante e basata su analisi fittizie”.

Non è un caso che il numero di espulsioni sia aumentato, è anzi il risultato di una politica dichiarata del ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir che viene realizzata sul campo tramite una stretta cooperazione tra l’esercito, la polizia e la Population and Immigration Authority. Nel quadro di tale politica negli ultimi mesi Ben-Gvir ha ordinato che gli attivisti stranieri vengano interrogati presso l’Unità Centrale di Polizia di Giudea e Samaria [denominazione israeliana della Cisgiordania occupata, ndt.], incaricata dei crimini gravi nel distretto di polizia che controlla i territori della Cisgiordania.

Parallelamente la sottocommissione della Knesset per la Giudea e la Samaria, guidata dal parlamentare Tzvi Succot (Partito del Sionismo Religioso), si è occupata ampiamente e approfonditamente della questione. Negli ultimi mesi la sottocommissione ha dedicato almeno cinque sessioni alla questione e ha invitato a partecipare rappresentanti dell’esercito e della polizia. Secondo Succot in queste sessioni i rappresentanti dell’esercito hanno riferito che ai soldati è stato chiesto di fotografare gli attivisti e i loro passaporti e di consegnare gli attivisti o la loro documentazione alla polizia.

La collaborazione fattiva dell’esercito è fondamentale, poiché sono i soldati che, per la maggior parte, eseguono gli arresti sul campo. Un documento ottenuto da Haaretz indica che l’esercito non esita a mettere in pratica la visione di Ben-Gvir e Succot. Nel documento, una lettera del GOC [comandante generale dell’esercito) Avi Bluth inviata dal Comando Centrale a una coalizione di organizzazioni di sinistra chiamata Olive Picking Partners Forum [forum degli attivisti volontari nella raccolta delle olive, ndt.], si afferma esplicitamente che “Il Comando Centrale impedirà e farà rispettare [sic] l’ingresso di attivisti stranieri che arrivano nei siti di raccolta delle olive con l’obiettivo di creare attriti”. In risposta a una domanda di Haaretz il portavoce dell’esercito israeliano ha negato che ci siano istruzioni ai soldati di arrestare gli attivisti stranieri.

Nel frattempo sembra che la collaborazione sia produttiva: la polizia riferisce che dall’inizio di quest’anno sono stati indagati 30 attivisti stranieri. Secondo i dati ottenuti da Haaretz, la maggior parte di coloro che sono stati espulsi sono stati interrogati con l’accusa di aver commesso reati minori come ostacolare un agente di polizia o un soldato durante lo svolgimento dei suoi doveri o la disobbedienza a un ordine in un’area militare interdetta. Tuttavia, alcuni sono stati indagati anche per reati più gravi come il sostegno a un’organizzazione terroristica o l’istigazione.

Dopo l’interrogatorio alcuni dei detenuti sono stati inviati a un’udienza presso la Population and Immigration Authority e successivamente espulsi, in quanto sospettati di aver commesso reati e col pretesto di violazione delle condizioni del loro visto. Altri non sono stati formalmente espulsi ma costretti di fatto a lasciare il Paese dalla polizia, che ha trattenuto i loro passaporti fino a quando non hanno presentato un biglietto aereo. In tutti i casi nella dichiarazione rilasciata sugli arresti la polizia si è assicurata di segnalarli come “anarchici”, assecondando la politica del ministro Ben-Gvir.

Sospetto: sostegno al terrorismo

Schor afferma che da quando è arrivato in Cisgiordania in agosto la maggior parte della sua attività lì consisteva nel fornire una “presenza protettiva”, ovvero accompagnare le comunità palestinesi con l’obiettivo di proteggere gli abitanti dall’esercito o dai coloni. Questo, dice, è ciò che stava facendo alla fine dell’estate quando è stato arrestato e gli è stato confiscato il passaporto. Per tre ore è stato trattenuto sul posto, mentre attivisti di destra documentavano l’arresto e dicevano agli amici di Schor che era proibito filmare o scattare foto e che lo avrebbero “buttato fuori” da Israele.

Uno di loro era Bnayahu Ben Shabbat, dell’organizzazione di destra Im Tirtzu. Alla fine è arrivata la polizia e hanno ammanettato i due volontari. Solo allora, afferma Schor, gli è stato detto che l’area era stata designata come zona militare interdetta. A quel punto è stato trasferito alla stazione di polizia, gli è stato sequestrato il cellulare e gli è stato comunicato che era in arresto con l’accusa di aver ostacolato un soldato nello svolgimento dei suoi compiti, di aver violato un ordine relativo ad un’area militare interdetta e di aver sostenuto un’organizzazione terroristica.

Durante l’interrogatorio gli è stato chiesto cosa stesse facendo in Cisgiordania, chi gli avesse indicato dove recarsi e chi fosse il “capo” della raccolta delle olive. Aggiunge che chi faceva da interprete in simultanea era inesperto e che gli ha persino urlato contro. In seguito a Schor è stato chiesto se avesse partecipato a una manifestazione di Hamas contro Israele, e ha risposto negativamente. Mi hanno detto che stavo mentendo e che ero venuto per combattere gli ebrei e per svolgere azioni terroristiche e che mi avrebbero cacciato dal Paese”, racconta. “Mi hanno chiesto più e più volte se stessi combattendo contro gli ebrei”.

Dopo di che hanno mostrato a Schor quattro sue fotografie. Dice che una di queste era stata scattata da un soldato, un’altra da un colono, una terza era stata presa da un social network e la quarta da un sito di notizie che aveva pubblicato la documentazione di una manifestazione a Ramallah a cui aveva partecipato qualche giorno prima. Ciò ha suscitato il sospetto che fosse stato pedinato anche prima del suo arresto. Alla fine dell’interrogatorio, racconta Schor, un poliziotto gli ha chiesto se fosse un anarchico e se fosse ebreo e gli ha detto: “Noi c’eravamo prima di te e Israele starà qui dopo di te”, e poi ha aggiunto: “Ti butteremo fuori da Israele per sempre”.

Dalla stazione di polizia Schor e l’altro attivista arrestato con lui sono stati portati per un’udienza presso la Population and Immigration Authority, dove i loro visti sono stati revocati. Nell’ultimo anno altri tre attivisti sono stati espulsi da Israele con una procedura simile, in seguito ad un’udienza ufficiale presso l’Authority. Ad altri sette è stato confiscato il passaporto dalla polizia, ed è stato restituito solo dopo la presentazione di un biglietto aereo; a tre è stato offerto il rilascio durante l’indagine a condizione che lasciassero il Paese e a uno, un ebreo britannico di nome Leo Franks, non è stato rinnovato il visto. Successivamente il suo passaporto è stato confiscato e la procedura che aveva iniziato per l’aliyah, l’immigrazione in Israele, è stata bloccata.

Una condotta simile si ritrova anche nella trascrizione dell’udienza di un attivista inglese espulso ad aprile, arrestato a Masafer Yatta in Cisgiordania con l’accusa di aver violato un divieto relativo ad un’area militare interdetta e di aver ostacolato un soldato nello svolgimento dei suoi compiti. Durante l’udienza all’attivista è stato chiesto perché fosse venuto in Israele insieme alle seguenti domande: “Hai visto che Israele sta attaccando i palestinesi e sei venuto per questo?” “Perché sei andato in giro con una macchina fotografica e hai scattato foto ai soldati? Ci sono delle ragioni particolari?” “Vuoi documentare gli attacchi dei soldati contro i palestinesi?”

Secondo l’avvocato Pomeranz, la Population and Immigration Authority non era tenuta ad accettare le considerazioni della polizia riguardo agli attivisti, specialmente nei casi in cui non erano stati portati in tribunale per la custodia cautelare o non erano stati incriminati. L’udienza presso l’Authority ha lo scopo di consentire loro di esporre le loro versioni e servire da premessa per giungere alla decisione se espellerli o meno.

Donne aggredite’

Gli attivisti in Cisgiordania provengono da vari Paesi, tra cui Stati Uniti, Belgio e Inghilterra: alcuni di loro affermano di aver sentito parlare per la prima volta della possibilità di andarci tramite post sui social media, altri grazie a conoscenze. I loro numeri non sono molto alti, con una stima di poche decine di arrivi ogni anno.

Il numero raggiunge il picco con l’avvicinarsi della stagione della raccolta delle olive, che è considerata a rischio. Nell’ultimo anno, affermano gli attivisti, il loro numero è cresciuto. Molti sono arrivati ​​di recente in risposta a un appello dell’organizzazione palestinese Faz3a (Fazaa), che mette in contatto gli attivisti stranieri con le comunità palestinesi minacciate. Altri sono collegati al più veterano e noto International Solidarity Movement (noto come ISM), in parte perché nel 2003 una delle sue attiviste, Rachel Corrie, è stata uccisa da un bulldozer dell’IDF nella Striscia di Gaza. Un’altra delle sue attiviste, Ayşenur Ezgi Eygi, una donna turco-americana, è stata uccisa a settembre a Beita, vicino a Nablus, dal fuoco vivo dell’esercito israeliano.

Di recente il lavoro degli attivisti stranieri in Cisgiordania si è insediato in un appartamento nel villaggio di Qusra. L’11 ottobre i soldati dell’IDF hanno sfondato la porta e perquisito il posto. Secondo gli attivisti i soldati hanno rovistato tra i loro effetti personali, fotografato i loro passaporti e arrestato un attivista palestinese residente nel villaggio. Inoltre, affermano, i soldati hanno esaminato le lettere scritte dagli attivisti che se ne erano andati.

Sebbene non siano qui da molto alcuni degli attivisti hanno già sperimentato violenze estreme. Ad esempio Vivi Chen, una residente del New Jersey giunta in Cisgiordania a luglio, afferma di aver già assistito a due aggressioni da parte di coloni che l’hanno segnata. “Sono rimasta così sorpresa perché loro [i coloni] erano ragazzi adolescenti e stavano aggredendo con tutta la loro forza donne che avrebbero potuto essere le loro madri”, afferma riferendosi ad un fatto avvenuto il 21 luglio a Qusra. Riguardo ad un altro più grave incidente racconta che cinque giovani palestinesi sono stati colpiti da proiettili veri, alcuni sparati dall’esercito.

Un’altra attivista, Lu Griffen, una siriana-americana di 22 anni, racconta che il 4 settembre, durante la sua seconda settimana in Cisgiordania, è stata violentemente aggredita dai coloni mentre accompagnava un pastore a Qusra. “Hanno iniziato a lanciarci pietre. Stavo correndo e una pietra mi ha colpito la testa e me l’ha spaccata”, racconta. Ricorda che anche dopo essere caduta i coloni hanno continuato a lanciare pietre su di lei e hanno spruzzato su di lei e gli altri dello spray al peperoncino.

Griffen spiega di essere stata attratta dall’attivismo in Cisgiordania dopo aver partecipato all’inizio di quest’anno alle proteste contro la guerra nei campus degli Stati Uniti. “È difficile spiegare come mi sento: l’indignazione, la tristezza. Qui la situazione è semplicemente sconvolgente”, dice. “Ho trascorso parte della mia vita in una zona di guerra, ma in quel momento non potevo fare nulla per il mio popolo siriano. E ora che sono abbastanza grande ho tempo, non ho figli o responsabilità che mi trattengano, non c’è niente che voglio fare di più che andare ad aiutare i palestinesi come loro ci stanno chiedendo”.

Indubbiamente però l’evento più traumatico per gli attivisti è stato l’uccisione dell’attivista turco-americana Ezgi Eygi. “All’inizio non credevo fosse morta”, ricorda Chen. “Quando è caduta e sono corsa da lei, potevo sentire il suo polso e ho detto ‘Sopravviverà’.” L’esperienza è stata particolarmente difficile, dice, a causa della diffamazione del nome e dell’attività di Ezgi Eygi. “Molti di noi hanno finito per scrivere le proprie ultime volontà come precauzione, perché vorremmo rendere le cose più facili alle nostre famiglie nel caso in cui accada qualcosa.”

Chen collega la morte di Ezgi Eygi a un incidente che l’ha preceduta nello stesso luogo: il ferimento di unattivista americana durante una manifestazione nel villaggio di Beita. “Se il governo americano avesse condannato l’uccisione di una cittadina americana in quel momento, non avrebbero avuto l’audacia di uccidere un altro straniero”, aggiunge. Secondo l’IDF, un’indagine preliminare sulla morte di Ezgi Eygi ha concluso che non sarebbe stata colpita intenzionalmente. La divisione investigativa criminale della polizia militare ha avviato un’indagine sull’incidente.

Dirgli addio’

Alcuni membri della Knesset, in particolare Tzvi Succot, hanno un problema di vecchia data con gli attivisti stranieri e sostengono che stanno causando danni allo Stato di Israele. All’interno del sottocomitato che presiede, Succot è molto impegnato nelle misure contro gli attivisti. “La legge afferma che chiunque entri nel Paese e violi i termini del suo visto può essere espulso”, dice ad Haaretz. “Quei ragazzi sono un danno strategico. In definitiva, le campagne contro Israele e le sanzioni provengono da loro. E quindi, quando vengono e molestano i soldati o entrano in un’area militare interdetta o commettono la più piccola infrazione, lo Stato di Israele deve dire loro addio/congedarli“.

Durante la conversazione con Haaretz Succot ha continuato a ripetere che il suo problema con gli attivisti consiste nel fatto che starebbero promuovendo un boicottaggio contro Israele. La sua argomentazione si basa sulla legge sull’ingresso in Israele del 2017, che proibisce di concedere un visto a chiunque promuova un boicottaggio dello Stato.

Nel frattempo Succot afferma di stare attualmente lavorando a una legislazione con l’obiettivo di istituire un’organizzazione statale che monitorizzi gli attivisti stranieri mentre sono in Israele e decida la loro espulsione nel caso che dopo il loro ingresso si scopra che abbiano fatto degli appelli al boicottaggio. “Al momento questo non sta accadendo, e quindi la soluzione tampone in questo momento è che se qualcuno viola le condizioni del visto, la legge consente di revocarlo”, aggiunge.

Il monitoraggio degli attivisti durante la loro permanenza in Israele, afferma, è attualmente svolto da organizzazioni civili senza scopo di lucro. Afferma che il recente aumento dell’attività sulla questione è il risultato di un coordinamento rafforzato tra l’IDF, la polizia e il Ministero dell’Interno. “Un soldato sul campo che incontra qualcuno del genere che violi la legge sa di dover registrare i suoi dati personali e il suo passaporto e inviarli alla polizia e poi al Ministero dell’Interno. Da lì, spiega, il passo verso la revoca del visto o l’espulsione dal Paese è breve.

La questione del boicottaggio è emersa nell’inchiesta sull’attivista Michael Jacobsen, 78 anni, dello Stato di Washington. Dopo la sua espulsione Succot ha rilasciato un comunicato stampa di encomio in cui ha ringraziato, tra gli altri, un’organizzazione non-profit chiamata The Legal Forum for the Land of Israel. Il 10 ottobre Jacobsen, che ha militato nell’esercito americano durante la guerra del Vietnam, stava accompagnando un palestinese che pascolava un gregge a Masafar Yatta. Ricorda che un soldato che ha identificato come colono gli ha chiesto il passaporto e poi gli ha detto che era ricercato dalla polizia. “Ha chiesto: ‘sei un membro dell’ISM [International Solidarity Movement]’, e io ho detto di no. E poi ha chiesto ‘sei un ebreo?’ e io ho detto di no, e lui [ha chiesto] ‘sei un terrorista?’ E io ho detto ‘no, sono un turista”.

Jacobsen è stato arrestato e portato alla stazione di polizia. Afferma che durante il tragitto ha cercato di scoprire perché lo stavano arrestando, ma non ha ricevuto informazioni. “Mi hanno detto che ero un terrorista perché ero un membro del BDS”, ha aggiunto, riferendosi al movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Alla stazione di polizia è stato interrogato con l’accusa di aver ostacolato un agente di polizia nell’adempimento dei suoi doveri e di soggiorno illegale, un sospetto basato sull’accusa attribuitagli di sostegno al boicottaggio. “Chi ha condotto l’interrogatorio è stato molto borioso e maleducato con me”, racconta. “Ha detto che ero coinvolto in cinque diverse organizzazioni terroristiche”, ha continuato Jacobsen, citando le cinque come IHH Humanitarian Relief Foundation, Meta Peace Team, International Solidarity Movement, BDS e MPT.

Jacobsen afferma che Meta Peace Team è un’organizzazione di attivisti che gli ha fornito una formazione sulla resistenza non violenta, mentre IHH è un’organizzazione ombrello sotto la cui egida ha partecipato nell’aprile di quest’anno alla flottiglia verso Gaza per portare cibo e attrezzature mediche nella Striscia. Durante l’interrogatorio gli è stata anche mostrata la documentazione sulla sua attività presso Veterans for Peace in Corea del Sud, dove ha lavorato con i dimostranti contro l’istituzione di una base navale. Alla fine dell’interrogatorio gli è stata data una scelta. Poteva rimanere in stato di arresto o poteva essere inviato al confine con la Giordania. Ha scelto di andarsene, senza [partecipare ad] un’udienza presso la Population and Immigration Authority e senza sapere se sarebbe mai potuto tornare in Israele.

A ottobre due attivisti tedeschi sono stati espulsi da Israele in modo simile. Sono stati arrestati con l’accusa di aver ostacolato un agente di polizia nell’adempimento del suo dovere, di riunione illegale e di far parte di un’organizzazione terroristica. Il sospetto di riunione illegale è stato attribuito a causa della loro appartenenza all’International Solidarity Movement, nonostante in Israele l’organizzazione non sia stata messa al bando.

La loro detenzione è stata prorogata due volte, e poi la polizia ha offerto loro la possibilità di scegliere tra lasciare il Paese o affrontare un’altra richiesta di proroga della loro detenzione. Se ne sono andati. Di recente la polizia ha fatto un’offerta simile a due donne americane, una suora e una pensionata di 73 anni, arrestate a South Hebron Hills con l’accusa di aver ostacolato un soldato nell’adempimento del suo dovere. Dopo il loro rifiuto, sono state rilasciate con un divieto di ingresso di due settimane in Cisgiordania.

Dalla sua attuale residenza negli Stati Uniti Jacobsen afferma che il fatto che la sua attività non violenta sia stata definita terroristica lo ha portato a opporsi alle azioni di Israele con ancora più veemenza: “Ok, mi chiami terrorista? Allora esprimerò le mie opinioni su ciò che sta facendo lo Stato sionista di Israele come attività terroristiche. In effetti, lo Stato di Israele sta usando tattiche terroristiche, sicuramente in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza”.

L’unità portavoce dell’IDF ha risposto: “Le forze di sicurezza, la polizia israeliana e l’amministrazione civile stanno agendo per consentire agli abitanti della zona di raccogliere le olive sui terreni di loro proprietà e, allo stesso tempo, stanno agendo per mantenere la sicurezza dei civili e delle comunità israeliane. In generale, non ci sono istruzioni per arrestare gli attivisti stranieri”. Il portavoce ha aggiunto che la decisione di effettuare una perquisizione nella casa degli attivisti a Qusra è derivata da una “segnalazione di attività insolite” in quel sito.

Per quanto riguarda la sparatoria contro l’attivista americana a Beita ad agosto l’esercito ha aggiunto che ciò sarebbe avvenuto dopo una segnalazione di “violento disturbo dell’ordine pubblico durante il quale i terroristi hanno lanciato pietre contro i militari, che hanno risposto utilizzando mezzi per disperdere le dimostrazioni e sparando in aria”. Hanno anche aggiunto che la segnalazione “è nota ed è in corso una verifica“.

La polizia israeliana ha risposto: “La polizia israeliana attua l’applicazione della legge con tutti i mezzi legali contro gli attivisti israeliani e stranieri che agiscono illegalmente interferendo con l’attività operativa delle forze di sicurezza e dimostrando sostegno e condivisione nei confronti delle organizzazioni terroristiche. Dall’inizio dell’anno circa 30 attivisti stranieri sono stati indagati per ostacolo e provocazione contro le forze di sicurezza, e incitamento, sostegno e incoraggiamento verso le organizzazioni terroristiche Hamas e Hezbollah. Alcuni di loro hanno lasciato il Paese al termine del loro interrogatorio e per altri è stata tenuta un’udienza dalla Populating and Immigration Authority, al termine della quale è stato revocato il loro permesso di soggiorno in Israele ed è stato proibito per il futuro l’ingresso nel Paese”.

La Population and Immigration Authority ha risposto: “Di norma un cittadino straniero che entra in Israele con un visto turistico è tenuto a rispettare lo scopo per cui è stato concesso il visto. Un turista che sfrutta la concessione del visto per altre attività, tra cui una condotta di disturbo contro le forze dell’ordine, viola le condizioni per cui è stato concesso il visto ed è consentito annullare il visto e richiedere la sua espulsione dal Paese. In pratica, stiamo parlando di una manciata di incidenti e solo di quelli in cui la polizia presenta prove di reati penali commessi dal titolare del visto”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Un ministro israeliano di estrema destra sta ordinando preparativi per l’annessione della Cisgiordania

Redazione di Al Jazeera

11 novembre 2024 – Al Jazeera

Smotrich, il ministro israeliano delle Finanze, spera che il neoeletto presidente USA Trump sosterrà il piano per annettere la Cisgiordania occupata nel 2025.

Bezalel Smotrich, ministro israeliano delle Finanze di estrema destra, ha ordinato preparativi per l’annessione della Cisgiordania occupata prima dell’insediamento del neoeletto presidente USA Donald Trump nel gennaio 2025.

Lunedì in una dichiarazione Smotrich ha espresso la sua speranza che la nuova amministrazione a Washington riconoscerà l’iniziativa di Israele per rivendicare la “sovranità” sul territorio occupato.

Oltre al suo incarico alle finanze Smotrich, lui stesso un abitante di una colonia israeliana illegale, detiene anche una posizione nel Ministero della Difesa da cui sovrintende l’amministrazione della Cisgiordania occupata e delle sue colonie.

2025: l’anno della sovranità su Giudea e Samaria,” ha scritto Smotrich su X, usando i nomi biblici con cui Israele si riferisce alla Cisgiordania occupata.

Lunedì, in un incontro della sua fazione di estrema destra nel parlamento israeliano o Knesset, Smotrich ha accolto con favore l’elezione di Trump e la sua vittoria contro Kamala Harris e ha detto di aver dato istruzioni alla Direzione delle colonie e dell’Amministrazione Civile del Ministero della Difesa di gettare le basi per l’annessione.

Ho ordinato l’inizio del lavoro da parte di professionisti per preparare le infrastrutture necessarie per esercitare la sovranità israeliana su Giudea e Samaria,” ha detto, “non ho dubbi che il presidente Trump, che ha mostrato coraggio e determinazione nelle sue decisioni durante il suo primo mandato, sosterrà lo Stato di Israele in questa decisione,” ha aggiunto.

Smotrich ha detto che nella coalizione al governo in Israele ci sono un ampio accordo su questa iniziativa e un’opposizione alla formazione di uno Stato palestinese.

L’unico modo di rimuovere questo pericolo dal programma è di esercitare la sovranità israeliana sulle colonie in Giudea e Samaria,” ha dichiarato.

Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha detto che le considerazioni di Smotrich confermano le intenzioni del governo d’Israele di annettere la Cisgiordania occupata in violazione del diritto internazionale.

Noi riteniamo le autorità israeliane di occupazione completamente responsabili delle ripercussioni di tali pericolose politiche. Gli Stati Uniti sono anche responsabili del continuo sostegno offerto all’aggressione israeliana”, ha detto.

Gideon Saar, ministro degli Esteri israeliano, ha detto che mentre i leader del movimento dei coloni possono essere fiduciosi che Trump potrebbe essere incline a sostenere tali decisioni il governo non ha preso alcuna decisione.

Nessuna decisione è stata presa a proposito,” ha detto Saar lunedì nel corso di una conferenza stampa a Gerusalemme.

L’ultima volta in cui abbiamo discusso il tema è stato durante il primo mandato di Trump,” ha detto. “E quindi diciamo che se sarà pertinente verrà ridiscusso anche con i nostri amici a Washington.”

La Cisgiordania è occupata dal 1967 e da allora le colonie israeliane si sono ampliate nonostante siano illegali ai sensi del diritto internazionale e, nel caso degli avamposti, della legge israeliana.

Smotrich aveva già dichiarato la sua intenzione di estendere la sovranità israeliana sui territori occupati ostacolando la nascita di uno Stato palestinese.

Ha anche minacciato di destabilizzare la coalizione di Benjamin Netanyahu se si negoziasse un cessate il fuoco con Hezbollah sul fronte settentrionale di Israele.

Quando [Smotrich] parla di rafforzare la sovranità israeliana sta parlando dell’annessione della Cisgiordania che fa parte del programma governativo israeliano,” ha detto Nour Odeh di Al Jazeera, che scrive da Amman, Giordania perché ad Al Jazeera è stato proibito di operare da Israele.

Odeh fa osservare che Netanyahu ha anche aggiunto al suo gabinetto un ministro senza portafoglio del partito di Smotrich.

Quando Smotrich parla di annessioni molti osservatori dicono che dobbiamo credergli,” aggiunge.

Durante il suo primo mandato nel 2017 Trump ha riconosciuto Gerusalemme quale capitale di Israele ribaltando decenni di politiche USA e di consenso internazionale. Ha anche sostenuto politiche che hanno consentito la continua espansione delle colonie e proposto un piano per una “entità palestinese” che non avrebbe piena sovranità.

All’inizio dell’anno l’Amministrazione Civile dell’esercito israeliano ha ceduto un maggiore controllo sulla Cisgiordania occupata all’Amministrazione delle colonie guidata da Smotrich, conferendole competenze in ambiti che vanno dai regolamenti sugli edifici alla gestione di terreni agricoli, parchi e foreste.

Da quando è entrato nella coalizione governativa di Netanyahu Smotrich ha apertamente sostenuto l’espansione delle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata quale passo verso un’eventuale annessione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Genocidio a Gaza: Israele sta impazzendo?

David Hirst

4 novembre 2024 – Middle East Eye

Netanyahu ha dato potere ai sionisti religiosi. A Gaza, in Cisgiordania, in Libano e altrove ora sentono di stare attuando il disegno divino per il suo popolo eletto. Non andrà a finire bene

“Perché era del Signore indurire i loro cuori perché se essi (i Cananei) incontrassero Israele in battaglia… ma perché (gli Israeliti) li votassero allo sterminio, come il Signore aveva comandato a Mosè.”

Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e, a titolo assolutamente informale, governatore della Cisgiordania, ha da lungo tempo un debole per questo verso, una citazione dal Libro di Giosuè per illustrare quello che chiama il suo piano decisionista, o di dominazione, di Giudea e Samaria, i nomi biblici di quel territorio.

Quindi è così, ha spiegato Smotrich, che proprio come Giosuè avvertì i Cananei di quello che sarebbe accaduto loro se lo avessero ostacolato, ora egli ha avvertito i palestinesi di quello che comporterebbe il suo piano per loro. Sono davanti a tre possibilità: rimanere dove sono ora come “stranieri residenti” con uno “status di inferiorità in base alla (antica) legge ebraica”; emigrare; rimanere e resistere.

Se scelgono il terzo cammino, ha detto loro, le “forze di difesa israeliane” [l’esercito israeliano, ndt.] sapranno cosa fare. E di cosa si tratterebbe? “Uccidere quelli che devono essere uccisi.” Cosa: intere famiglie, donne e bambini? Ha risposto: “À la guerre comme à la guerre.”

Nel corso degli anni i cosiddetti attacchi “prezzo da pagare” (di rappresaglia) dei coloni israeliani contro le comunità palestinesi in Cisgiordania, sradicando i loro antichi ulivi, rubando le loro greggi e avvelenando i loro pozzi e cose simili, sono andati intensificandosi, ma a partire da due mesi dalla nomina a ministro di questo cosiddetto sionista religioso di estrema destra hanno raggiunto un notevole incremento, sia in termini qualitativi che quantitativi.

Alla fine di febbraio dello scorso anno circa 400 di costoro, accompagnati da soldati regolari in un presunto ruolo di controllo, si sono scatenati indisturbati a Huwwara, una cittadina di circa 7.000 abitanti, incendiando 75 case e quasi 100 veicoli e, tra le altre insensate crudeltà, hanno sgozzato o percosso a morte animali domestici, gatti e cani, davanti ai bambini, e fermandosi solo un attimo, mentre lo facevano, per recitare il Maariv, la preghiera ebraica della sera.

“È stata la Notte dei Cristalli”, ha mormorato uno stupefatto giovane soldato di leva che, per caso, aveva assistito a tutto ciò, in riferimento al pogrom nazista su scala nazionale del novembre 1938.

Su Ynet [sito di informazione israeliano moderatamente critico, ndt.] un editorialista israeliano, Nahum Barnea, è arrivato alle stesse conclusioni: “La Notte dei Cristalli è rinata a Huwwara,” ha scritto.

Smotrich non lo aveva ordinato, ma è stata l’improvvisa e sorprendente promozione del loro campione all’alta carica a incoraggiare i suoi sostenitori a farlo. E non appena tutto ciò è finito egli ha entusiasticamente applaudito, salvo che per quanto riguarda un argomento essenzialmente procedurale: “Sì” ha detto, “penso che Huwwara debba essere spazzato via, ma che lo dovrebbe fare lo Stato, non, dio ce ne guardi, privati cittadini.” E, ha continuato, avrebbe chiesto a tempo debito alle “Forze di Difesa Israeliane” di “colpire città palestinesi con carrarmati ed elicotteri, senza pietà e in un modo che comunichi loro che il padrone della terra è impazzito.”

Per molti la devastazione di Huwwara richiama il futuro piano di Smotrich e, si immagina, ciò vale innanzitutto per lo storico Daniel Blatman, che, notando che Smotrich prende a modello Giosuè, il genocida dell’antichità, ha suggerito un candidato più appropriato e più contemporaneo per tale onore: Heinrich Himmler, il principale architetto dell’Olocausto.

Frange estremiste

In molte parti del mondo mettere in rapporto israeliani, o in generale ebrei, con i nazisti è un tabù, vietato, antisemitismo dei peggiori.

Questa è presumibilmente la ragione per cui la rinomata sociologa franco-israeliana Eva Illouz* trova veramente “ironico” che cittadini dello “Stato ebraico” citino paralleli con l’hitlerismo nelle loro discussioni quotidiane “come non oserebbe fare nessun’altra società”.

In altre parole, per dirla senza mezzi termini, gli israeliani si chiamano l’un l’altro costantemente nazisti tout court, o, più semplicemente, denunciano quella che vedono come la loro condotta simile al nazismo.

Si prenda ad esempio Itamar Ben Gvir, il leader del partito di estrema destra Potere Ebraico nel governo del primo ministro Benjamin Netanyahu. Ha iniziato la sua carriera cosiddetta “politica” come un qualunque teppista da strada a Gerusalemme e in seguito è stato incriminato circa 50 volte e condannato otto per accuse come incitamento alla violenza, razzismo e appoggio a un’organizzazione terroristica.

Prima ha conquistato una sorta di notorietà a livello nazionale nel 2015, quando diventò virale un video durante un matrimonio di coloni. Nel filmato giovani ospiti maschi si dedicavano all’accoltellamento rituale dell’immagine di un neonato arabo, Saad Dawabsha, che uno dei loro compagni aveva recentemente bruciato vivo nel nome del “messia”, in un attacco incendiario contro una casa nel sonnolento villaggio di Duma, in Cisgiordania.

Ben Gvir li lodò come “bravi ragazzi”, “sale della terra” e “i migliori sionisti”.

Tuttavia per tutta la sua improvvisa e nuova celebrità quanto meno nella mente dell’opinione pubblica è rimasto, come Smotrich, intrappolato nelle frange estremiste della politica israeliana.

Persino Netanyahu, non certo un buonista progressista o di sinistra, continuò ad evitarlo come la peste finché, nella sua assoluta disperazione per formare un governo, ha deciso che l’unico modo per farlo era non solo di invitare la coppia a unirsi [a lui], ma di sottoporsi anche alle loro condizioni estorsive perché lo facessero.

Smotrich ha chiesto il controllo sulla Cisgiordania, formalmente prerogativa dell’esercito, e Ben Gvir ha concordato la creazione di un cosiddetto ministero della Sicurezza Nazionale del tutto nuovo, sotto i cui auspici, oltre al suo controllo sulla polizia tradizionale, avrebbe creato una guardia nazionale sottoposta al suo esclusivo comando.

Che, non appena ha iniziato a farlo quanti conoscono la storia della Germania nazista  – e con ogni probabilità ce ne sono in percentuale molti di più in Israele che da qualunque altra parte tranne che nella stessa Germania – hanno preso a chiamarli  Sturmabteilung, o Camicie Brune, la numerosa e feroce organizzazione paramilitare su cui Hitler si basò durante la sua ascesa al potere e, finché non venne sostituita dalle ancora più violente Schutzstaffel, o SS, il suo successivo regime dittatoriale.

La prima nomina di Ben Gvir, quella del suo capo di gabinetto, ha fatto ben poco per fugare queste preoccupazioni. Chanamel Dorfman, ora un tranquillo settantaduenne, è stato uno dei “bravi ragazzi” così come sposo e accoltellatore capo al “matrimonio dell’odio”, come è stato definito. In una delle sue prime esternazioni rese note al momento del suo insediamento, ha detto ai suoi detrattori che il suo “unico problema con i nazisti” è che egli si sarebbe trovato “dalla parte dei perdenti”.

Evento “neonazista”

Durante gran parte del 2023, e fino al 7 ottobre, quando il massacro di Hamas nel sud di Israele ha portato a una brusca battuta d’arresto, Israele era precipitato in una sempre più profonda crisi riguardo ai piani di Netanyahu per le cosiddette “riforme giudiziarie”.

Uno dei partecipanti, lo storico Yuval Noah Harari, durante una manifestazione contro la riforma e a favore della democrazia, ha raccontato quanto sia stato sconvolto da una canzone cantata dai dimostranti a favore della riforma e del regime che si trovavano lì vicino.

Ha detto che aveva un “motivetto così orecchiabile” che praticamente anche lui ha iniziato a canticchiarlo tra sé, finché, ecco, lo ha cercato su YouTube, dove aveva ottenuto migliaia di visualizzazioni, e ha scoperto con orrore che finiva come segue:

Chi è andato a fuoco ora? Huwaara!/ Case e auto! Huwwara!/ Hanno portato via vecchie signore, donne e ragazzine; ha bruciato tutta la notte! Huwwara!/Bruciate i loro camion! Huwwara!/ Bruciate le loro strade e macchine!/ Huwwara!

Ovviamente non così totalmente spregevole come la canzone “Quando il sangue ebreo macchia il coltello…”, che le Einsatzgruppen, o squadroni della morte delle SS, erano solite cantare, e a cui un commentatore israeliano le ha accostate, tuttavia non tanto diverse come ispirazione.

Come lo è un’altra istituzione fascista, l’annuale Marcia della Bandiera, che festeggia l’occupazione di Gerusalemme nella guerra arabo-israeliana del 1967.

Si tratta di un tripudio di retorica trionfalistica e di bellicosità in cui i giovani del Paese, pressoché tutti coloni, sfilano attraverso l’antico cuore arabo della città. Mentre si aprono la strada giù per gli stretti vicoli, scandendo entusiasti slogan come “morte agli arabi” o “possano i loro villaggi bruciare”, essi minacciano, insultano e sputano contro ogni palestinese sfortunato o abbastanza temerario da trovarsi lungo il loro percorso, e a volte li gettano a terra per colpirli e picchiarli a piacimento. Ogni tanto persino a giornalisti o fotografi ebrei tocca la stessa sorte.

Un evento “neonazista”, ha scritto il giornalista e attivista Gideon Levy su Haaretz, “che assomiglia troppo a quelle foto di ebrei picchiati in Europa alla vigilia dell’Olocausto.”

Quindi dov’è questo “nazismo ebraico” nella sua forma più perniciosa, e pericolosa? Ovviamente pericolosa, e in modo più immediato, ovviamente e drasticamente tale, per i suoi obiettivi principali, i palestinesi. Ma alla fine, come dirà il tempo, per lo stesso Stato di Israele.

Fisicamente e operativamente si trova principalmente in Cisgiordania, che è dove, notoriamente e profeticamente, il defunto professor Yeshayahu Leibowitz, un filosofo molto amato, aveva per primo identificato il fenomeno e gli aveva dato il nome.

Moralmente ed emotivamente, esso abita nei cuori e nelle menti dei Ben Gvir e degli Smotich, nei coloni religiosi e nei loro molti complici nel governo, nell’esercito e nell’opinione pubblica in generale, molti di loro anche religiosi, ma alcuni laici ultra-nazionalisti che ne condividono le grandiose ambizioni ma non la fede.

Il fenomeno si manifestò per la prima volta sulla scia della guerra arabo-israeliana del 1967. Ecco il perché. Il sionismo, almeno in apparenza, era un’ideologia vigorosamente laica, persino anticlericale. Per i rabbini della diaspora, o per la grande maggioranza di essi, era un’aberrazione, un peccato, persino una “ribellione contro dio”.

Ma in Israele-Palestina un movimento che abbracciò una interpretazione totalmente religiosa del sionismo guadagnò sempre più terreno. In effetti era radicale e rivoluzionaria, con l’obiettivo che lo “Stato ebraico” andasse oltre quello dei laici.

Per esempio nel campo fondamentale del territorio intendeva comprendere tutta Eretz Israel, o Terra di Israele, come promesso da dio nel suo patto con Abramo e i suoi discendenti, e come minimo, i saggi nel corso delle epoche avevano stabilito, Eretz Israel includeva Giudea e Samaria (la Cisgiordania) e Gaza, così come parti consistenti di quelli che ora sono il Libano, la Siria e la Giordania.

Messaggio da dio

Per questi sionisti religiosi la vittoria storica di Israele nella guerra dei Sei Giorni del 1967, ai loro occhi miracolosa, era stata un “messaggio di dio”: avanzate, impossessatevi e insediatevi in queste aree sacre da poco conquistate, in cui si trovavano una volta gli antichi regni ebraici.

Molti compiti li aspettavano, il loro cammino verso la “redenzione” e l’arrivo del messia. Forse il più difficile, per non dire apocalittico, per loro era la ricostruzione dell’antico tempio ebraico sul luogo in cui ora si trovano le moschee della Cupola della Roccia e Al-Aqsa. Ma per il momento questo insediamento sulla terra è ora diventato il più immediatamente fattibile per loro.

Il loro cammino verso la redenzione tuttavia rischia di diventare il cammino di Israele verso la rovina. Così almeno ha affermato Moshe Zimmermann, uno studioso di storia tedesca, che attualmente partecipa a un progetto di ricerca sul tema delle “Nazioni che impazziscono”. La Germania, ha affermato, lo fece nel 1933 con l’ascesa al potere di Hitler, Israele “iniziò” a farlo all’indomani della guerra del 1967, precisamente con questa colonizzazione della Cisgiordania e di Gaza come sua principale manifestazione.

Per questo è una sorta di progetto “nazista ebraico” per eccellenza, presieduto da una storicamente nuova e militante sorta di religiosi convertiti al sionismo. Permeati della loro “teologia di violenza e vendetta” di nuovo conio, essi giustificano praticamente qualunque cosa possa portare avanti la causa, diventata ora santa.

Tra loro è diventato importante il mentore spirituale di Ben Gvir, il rabbino Dov Lior, che una volta notoriamente o scelleratamente disse del medico israelo-americano Baruch Goldstein, che nel 1994 uccise con il mitra 29 fedeli nella moschea di Ibrahim a Hebron, che egli era “un martire più santo di tutti i santi martiri dell’Olocausto”.

Secondo Zimmermann la “storia delle colonie” è la storia di un “romanticismo biblico” che sta “trascinando tutta la società verso la perdizione”, e l’unico modo “logico” per fermarla è la “soluzione dei due Stati” per il conflitto arabo-israeliano e il ritiro totale di Israele dai territori occupati che ciò comporterebbe.

“L’alternativa (è) che noi mettiamo in atto azioni di tipo nazista contro i palestinesi o che i palestinesi lo facciano contro di noi,” ha affermato.

Veramente un avvertimento preveggente, in quanto loro, e il mondo, hanno avuto entrambi.

L’attacco del 7 ottobre è stato l’11 settembre di Israele, una prodezza terroristica assolutamente di sorpresa, tanto brillante (o quasi) nell’esecuzione quanto omicida nelle intenzioni e tanto catastrofico nelle conseguenze quanto lo fu il dirottamente da parte di Osama bin Laden degli aerei americani che si sono schiantati contro le Torri Gemelle di New York l’11 settembre 2001.

Indubbiamente la vendetta è stata un importante motivo dietro all’“azione in stile nazista” di Hamas. Ma gli attacchi hanno anche rappresentato qualcos’altro: una dimostrazione spettacolare della “resistenza” e della “lotta armata” che ritiene essere l’unica, o la principale, via per la “liberazione”, un obiettivo che, almeno ufficialmente, continua a definire come la riconquista di tutta la Palestina, compresa quella che è ora la parte israeliana di essa.

Riguardo alle “azioni in stile nazista” di Israele, anch’esse sono una vendetta, ma a un livello, con una durata e una ferocia che in confronto rende quasi patetica quella di Hamas.

Mutevoli obiettivi di Israele

Nel contempo l’obiettivo ufficiale di Israele, la distruzione di un’‘organizzazione terroristica’, si è trasformato, non ufficialmente ma concretamente, in qualcosa di ben altro, in niente di meno, nei fatti, che in un altro grande progresso nel progetto divino in corso per il suo popolo eletto, il controllo completo degli ebrei su tutta la Palestina dal fiume al mare, la cancellazione, o riduzione ai minimi termini, di ogni presenza araba al suo interno e, in definitiva, la trasformazione dell’attuale, autoproclamato “ebreo e democratico” Stato di Israele in uno “ebreo e halakhico” (teocratico), che sarà governato, se Smotrich riesce a fare a modo suo, dalle leggi dei tempi di re Davide.

Almeno è così che i sionisti religiosi percepiscono la guerra durata ormai un anno, di gran lunga la più lunga e sanguinosa di Israele dal 1948 e dalla Nakba [la pulizia etnica dei palestinesi dal 1947-49, ndt.], e loro se ne rallegrano.

Per costoro, o così i loro rabbini e altri luminari proclamano, sono tempi “magnifici”, anzi “miracolosi”, e nuovamente una prova, se ci fossero stati dubbi su questo dopo il molto contestato ritiro di Israele da Gaza nel 2005, di un dio ancora più che mai chiaramente propenso alla loro “redenzione”, e che ordina loro di ritornarvi.

E a tre mesi dall’inizio della guerra, in una cosiddetta Conferenza per la Vittoria di Israele, a quanto si dice “festosa”, loro e la schiera di ministri e membri del parlamento che vi hanno partecipato si sono impegnati, tra canti e balli, a farlo, preferibilmente insieme all’“emigrazione”, “volontaria” o forzata, di tutta la popolazione palestinese della Striscia di Gaza. Ma, finché ciò non succederà, anche senza.

Nel contempo soldati religiosi, percependo di avere a portata di mano “qualcosa di magnifico”, stanno già costruendo sinagoghe provvisorie in zone “liberate” della Striscia.

In Cisgiordania Smotrich sta progredendo nei suoi progetti di nuove grandi colonie in mezzo a un’ondata di mini Huwwara, cacciando altri palestinesi dalle loro terre e dai loro villaggi ancestrali.

E una guerra su vasta scala in corso contro il Libano ha provocato entusiastici discorsi su occupazione e colonizzazione del sud del Libano fino al fiume Litani, anch’esso una volta parte di Eretz Israel, il presunto “confine naturale” tra i due Paesi.

Quindi ci sono tempi gloriosi per alcuni israeliani, ovviamente soprattutto per questa estrema destra, una minoranza fanatica i cui leader, con Netanyahu nelle loro grinfie, stanno ora in buona misura guidando il Paese.

Per altri, tra la parte più razionale, secolare o moderatamente religiosa, e ora ridotta, della popolazione, questi cominciano ad essere percepiti più come tempi di follia, il compimento, come ha detto uno di loro, di quella “marcia della follia” che iniziò subito dopo la guerra del 1967. E ciò è veramente sorprendente: “sinistra” o “destra”, “religiosi” o “secolari”, “ricchi” o “poveri” sono ovunque una caratteristica tipica del discorso politico, ma nell’Israele di oggi vi si aggiungono “sano” o “folle”.

Quindi, in conclusione, questa pazzia israeliana risulterà veramente essere stata il corrispettivo di quello che fece cadere la Germania di Hitler, come suggerisce Zimmermann? Qualsiasi cosa accada dubito che gli storici futuri troveranno una causa per litigare troppo con lui a questo proposito.

Tuttavia, cosa interessante, un contemporaneo, in realtà niente meno che lo stesso Yuval Harari che è rimasto così scioccato da queste canzoni in stile nazista, indica un’altra e a mio parere insieme nel complesso più calzante analogia storica, e per di più prettamente ebraica: quella degli zeloti e degli elleni.

A metà del primo secolo d. C. gli zeloti erano, per così dire, i sionisti religiosi dell’epoca.  Fanatici di tipo veramente maniacale e omicida, erano continuamente ai ferri corti con gli elleni, quei loro concittadini che, sensibili all’etos ellenistico dominante in quell’epoca e luogo, avevano evidentemente deciso di preferire la vita alla cupa, inumanamente esigente servitù all’onnipotente.

Fu una divisione radicale della società, non diversa da quella che si sta delineando nell’Israele odierno, e un fattore determinante dell’ulteriore estrema calamità: la conquista romana, la distruzione del Tempio e la dispersione finale del popolo ebraico nel suo “esilio” per i secoli successivi.

E Harari è tutt’altro che solo in queste tristi riflessioni.

*Non posso garantire al 100% la correttezza testuale di questa citazione. Due anni fa ho scritto una nota a questo proposito, ma da allora non sono stato in grado di trovarla.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.David Hirst è stato inviato per il Medio Oriente del quotidiano The Guardian per 45 anni. È autore di vari libri, tra cui “The Gun and the Olive Branch” [ed. it. Senza pace. Un secolo di conflitti in Medio Oriente, Nuovi Mondi, 2004] e Beware of Small States: Lebanon, the battleground of the Middle East [Attenzione ai piccoli Stati: Libano, il campo di battaglia del Medio Oriente].

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Un parlamentare europeo dichiara che Israele ha usato i gas lacrimogeni contro la delegazione internazionale

Redazione di MEMO

30 ottobre 2024 – Middle East Monitor

L’ex sindaca di Barcellona Ada Colau ha fatto parte di una delegazione internazionale per testimoniare le violazioni dei diritti degli olivicoltori palestinesi nella Cisgiordania occupata. Ha definito le azioni dell’esercito israeliano di occupazione “il più violento processo di colonizzazione” ed ha affermato che l’inazione dell’Unione Europea e della comunità internazionale è “intollerabile”. Colau – che è stata sindaca di Barcellona tra il 2015 e 2023 e la promotrice della decisione della municipalità di sospendere le relazioni con Israele – è arrivata in Palestina solo due giorni dopo aver effettuato il suo discorso finale al consiglio comunale di Barcellona indossando una kefiah.

Secondo Sama [agenzia di stampa araba, ndt] Jaume Asens, membro del parlamento europeo, ha riferito che le forze di occupazione israeliane hanno usato gas lacrimogeni contro una delegazione internazionale sui diritti umani vicino a Nablus, nella Cisgiordania occupata.

L’ex-sindaca di Barcellona Ada Colau, che ha fatto parte della delegazione insieme ad Asens, ha dettagliato l’incidente in un video condiviso sui social media. Lei ha affermato che l’esercito ha preso di mira la delegazione mentre era accompagnata da un gruppo di palestinesi che stavano raccogliendo le olive.

Secondo il giornale spagnolo La Vanguardia Asens e Colau sono arrivati in Palestina lunedì come parte di un gruppo internazionale per “investigare le violazioni sistematiche del diritto internazionale da parte di Israele.”

Recentemente Israele ha intensificato gli sforzi contro le organizzazioni per i diritti umani, in particolare l’United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees [Agenzia ONU per l’Assistenza ed il Lavoro per i Rifugiati Palestinesi] (UNRWA). Precedentemente il governo israeliano aveva approvato una legge che vieta i contatti con l’UNRWA, vietando di fatto ai ministri degli Esteri e degli Interni israeliani l’emissione di visti al suo staff, e l’ha dichiarata una “organizzazione terroristica.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Bezalel Smotrich sollecita l’estensione dei confini di Israele fino a Damasco

  1. Redazione di MEE

11 ottobre 2024 – Middle East Eye

Il ministro della sicurezza [in realtà è delle Finanze, ndt.] di estrema destra cita l’ideologia della ‘grande Israele’ che prefigura l’espansione in tutto il Medio Oriente.

Il ministro israeliano delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich ha attirato critiche per aver chiesto in un recente documentario che Israele espanda i suoi confini fino a Damasco.

In una intervista per il documentario In Israele: ministri del caos, prodotto dal canale Arte di un servizio pubblico europeo [canale pubblico franco-tedesco, ndt.], Smotrich ha dichiarato che Israele si espanderà gradualmente e alla fine comprenderà tutti i territori palestinesi ed anche Giordania, Libano, Egitto, Siria, Iraq e Arabia Saudita.

“È scritto che il futuro di Gerusalemme sia di espandersi fino a Damasco” ha affermato, citando l’ideologia del “Grande Israele” che prefigura l’espansione dello Stato in tutto il Medio Oriente.

Il ministro degli Esteri giordano ha condannato le dichiarazioni incendiarie affermando che hanno reso evidente l’ideologia pericolosa e “razzista” di Smotrich.

Smotrich aveva precedentemente espresso lo stesso concetto al funerale di un attivista del Likud a Parigi. Quando ha parlato da un podio decorato con una mappa di Israele che includeva la Giordania, ha dichiarato che non è mai esistita una cosa chiamata popolo palestinese.

Il ministro degli Esteri francese aveva di conseguenza annunciato che i rappresentanti del governo a Parigi non avevano intenzione di incontrare Smotrich durante la sua visita nel Paese.

Oltre ad essere il ministro delle Finanze, Smotrich adesso ha importanti competenze sulla Cisgiordania occupata.

Ad agosto Smotrich ha espresso supporto al blocco degli aiuti a Gaza affermando che “nessuno ci permetterà di causare la morte per fame di due milioni di civili, anche se potrebbe essere giustificato e morale finché gli ostaggi non saranno restituiti.”

Alla fine di febbraio il ministro ha affermato che lo Stato di Israele dovrebbe “cancellare” il villaggio palestinese di Huwwara dopo che è stato sottoposto ad un violento attacco da parte dei coloni israeliani.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Il nuovo status quo dopo l’attacco israeliano contro il nord della Cisgiordania

Qassam Muaddi

30 agosto 2024 – Mondoweiss

La vecchia politica israeliana di contenimento della resistenza armata in Cisgiordania è finita. Ora i palestinesi si stanno chiedendo se la guerra contro Gaza si sia estesa alla Cisgiordania.

La continua offensiva militare israeliana contro le città di Jenin, Tulkarem e Tubas, nel nord della Cisgiordania, è ora entrata nel suo terzo giorno. L’esercito israeliano ha insistito nel descriverla come l’invasione più vasta della Cisgiordania dall’operazione “Scudo di Difesa” nel 2002, un messaggio destinato soprattutto all’opinione pubblica israeliana e forse anche inteso a terrorizzare i palestinesi come una forma di guerra psicologica – il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha affermato che Israele dovrebbe fare i conti con la Cisgiordania nello stesso modo in cui lo sta facendo con Gaza, anche “evacuando temporaneamente” gli abitanti.

Le attuali dimensioni dell’operazione “Campi Estivi”, come Israele l’ha denominata, finora non è stata delle dimensioni dell’invasione della Cisgiordania di 22 anni fa, ma in ogni caso i palestinesi si chiedono: questo è l’inizio per noi di quello che sta toccando a Gaza?

Fin dalle prime ore dell’occupazione le forze israeliane hanno isolato Jenin e assediato il suo ospedale pubblico, mentre altre forze hanno fatto irruzione nei campi profughi di Nur Shams a Tulkarem e di al-Fara’a a Tubas. Per molti aspetti non si è trattato di uno spettacolo inconsueto in questi campi anche prima del 7 ottobre. La repressione israeliana contro la resistenza armata nel nord della Cisgiordania e altrove è progressivamente aumentata dalla fine del 2021.

La nascita della Brigata Jenin, seguita da quella delle Brigate di Tubas e Tulkarem e del Covo dei Leoni a Nablus, di breve durata, hanno sfidato seriamente i tentativi israeliani di conservare la stabilità in Cisgiordania mentre espandeva il suo progetto di colonizzazione.

Le aree di Jenin, Tubas, Tulkarem e Nablus sono diventate sempre più difficili da attaccare per le forze israeliane, obbligando Israele a militarizzare ulteriormente queste zone e a far ricorso ad attacchi aerei e ai blindati.

Ciò ha cambiato il contesto della sicurezza in Cisgiordania per un intero anno prima del 7 ottobre.

Un’estensione della guerra a Gaza?

Dal 7 ottobre Israele ha incrementato le sue incursioni nelle città del nord della Cisgiordania, soprattutto nei campi profughi che sono serviti come rifugio per i gruppi della resistenza. La strategia israeliana è stata prevenire l’ulteriore sviluppo di attività armate palestinesi in risposta all’operazione Inondazione al-Aqsa e per neutralizzare la Cisgiordania come fronte aggiuntivo della guerra contro Gaza. Mentre la Cisgiordania nel suo complesso è stata largamente pacificata, il nord era rimasto un campo di battaglia attivo. Invece di essere scoraggiati, a Tulkarem, Jenin e altrove i gruppi della resistenza hanno incrementato le loro capacità, soprattutto in termini di produzione di ordigni artigianali. Poi la resistenza armata ha iniziato a diffondersi nelle zone rurali del nord della Cisgiordania, segnando un incremento della presenza di gruppi armati.

Con il passare dei mesi la retorica degli alleati di Netanyahu, come il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, hanno chiesto sempre più insistentemente un’azione decisiva in Cisgiordania, per estendervi la guerra totale contro Gaza. Ciò è stato accompagnato da un aumento dell’espansione delle colonie e delle misure per l’annessione, con Smotrich e Ben-Gvir che spingevano in questa direzione con il sostegno della loro base popolare dei coloni militanti.

Tuttavia il continuo impegno di Israele a Gaza e la sua impossibilità di dichiarare una vittoria militare decisiva contro Hamas ha reso più difficile aprire nuovo fronte di guerra la Cisgiordania, soprattutto con un secondo fronte aperto contro Hezbollah lungo il confine meridionale del Libano.

Nel contempo negli ultimi mesi la guerra a Gaza si è trasformata in una guerra di attrito, aumentando le pressioni interne ed esterne su Netanyahu per porvi fine. È qui che entra in gioco l’attacco contro la Cisgiordania.

Mentre si prevede che Israele esaurisca e riduca le operazioni a Gaza, ora si attende che estenda le operazioni in Cisgiordania per prolungare il più possibile lo stato di guerra, dato che gli interessi di Netanyahu sono in linea con la continuazione dello scenario di tensione. Se è così, ciò significa che l’attacco in Cisgiordania è solo nelle sue fasi iniziali; quando le forze israeliane si ritireranno da Gaza saranno libere di intensificare la pressione in Cisgiordania.

Oltretutto la Cisgiordania è di importanza strategica per Israele, dato il suo tentativo di annettere vaste zone dell’Area C, che comprende oltre il 60% della sua estensione. Questo piano è il fulcro del progetto politico della destra israeliana, che attualmente domina anche la politica di Israele. In più la vicinanza geografica della Cisgiordania con il centro di Israele e la porosità del muro di separazione rendono intollerabile per Israele l’idea di un progetto di resistenza armata in Cisgiordania.

Cambiamento di strategia

Le ultime operazioni israeliane in Cisgiordania hanno già ucciso 17 palestinesi, tra cui due gemelli adolescenti. Ha distrutto più infrastrutture nelle città prese di mira, mentre decine di abitanti sono stati arrestati. Mentre questa situazione diventa gradualmente lo status quo in Cisgiordania, quello che emerge è un cambiamento nella strategia israeliana. Avremmo già potuto rendercene conto dal 7 ottobre, ma le ultime operazioni in Cisgiordania lo hanno messo chiaramente a fuoco: è il passaggio da una politica di contenimento a una di attacco intensificato.

Per anni Israele ha seguito la politica di evitare gravi disordini e conservare la stabilità impegnandosi in ridotte incursioni in Cisgiordania, soprattutto scatenando grandi campagne di arresti che, in molti casi, sono stati per loro natura preventivi. Dal 7 ottobre questa politica ha lasciato il posto a quella di terrorizzare la popolazione palestinese nel suo complesso: non è solo una campagna per prevenire la rivolta contro i gruppi della resistenza armata, ma una guerra contro la società palestinese in Cisgiordania come mezzo per scoraggiarla dal resistere.

Indipendentemente dal fatto che la guerra in Cisgiordania sia un’estensione di quella contro Gaza, ciò che è chiaro è che stiamo entrando in una nuova fase della politica israeliana nei confronti della Cisgiordania. Anche se la guerra a Gaza finisse domani, la Cisgiordania ora diventerà la nuova arena dell’escalation e dell’espansione annessionista della colonizzazione nel futuro immediato. Il vecchio status quo di una stabilità artificiosa è stato distrutto e non c’è ritorno al passato. Ciò favorisce sia le ambizioni di colonizzazione israeliane, ma è anche a suo discapito, in quanto ciò rischia di provocare un’esplosione in Cisgiordania e nell’intera regione.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Come la crescita della violenza israeliana in Cisgiordania sta alimentando la resistenza palestinese

Miriam Barghouti

12 agosto 2024 – The New Arab

Approfondimento: dall’inizio della guerra a Gaza Israele ha ucciso in Cisgiordania oltre 600 palestinesi, con violenti raid, migliaia di arresti e attacchi sempre più frequenti da parte dei coloni.

Secondo il Ministero della Salute palestinese nel corso dell’attacco sono stati uccisi almeno dieci palestinesi. Oltre che a Jenin, è stata lanciata un’altra operazione militare contro Tubas, 22 km a sud-est della città, durante la quale le forze militari israeliane hanno ucciso altri quattro palestinesi, tra cui un minore.

Solo tre giorni prima, il 3 agosto, l’esercito israeliano ha effettuato un attacco su larga scala contro il campo profughi di Tulkarem, 50 km a sud-est di Jenin, in cui sono stati uccisi almeno nove palestinesi. Con l’attacco a Jenin, il numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania nella sola prima settimana di agosto è salito a 26.

Tra le preoccupazioni per un’imminente guerra regionale, i palestinesi stanno già affrontando un ampliamento e un’intensificazione delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania. Secondo l’UNRWA la situazione in Cisgiordania si sta deteriorando giorno per giorno a causa di quella che l’organizzazione ha definito la “guerra silenziosa” di Israele contro i palestinesi.

Dall’ottobre 2023, e nell’arco di 10 mesi, l’esercito israeliano ha ucciso in Cisgiordania più di 634 palestinesi, di cui almeno un quinto bambini e minorenni. Questo è il tasso più alto di palestinesi uccisi a seguito dell’occupazione militare israeliana in Cisgiordania da quando, nel 2005, l’ONU ha iniziato a documentare le vittime.

Operazioni militari israeliane e resistenza in Cisgiordania

“Quando Israele avrà finito con Gaza verrà in Cisgiordania per fare esattamente la stessa cosa”, ha detto Abu Al-Awda, un disertore delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e combattente delle Brigate Jenin, a The New Arab nell’ottobre 2023, appena due settimane dopo l’aggressione militare israeliana a Gaza.

Come previsto da Abu Al-Awda, secondo le agenzie delle Nazioni Unite, da novembre dell’anno scorso le operazioni militari israeliane in Cisgiordania sono aumentate a un ritmo “allarmante”.

Tuttavia questa intensificazione della violenza in Cisgiordania non è né nuova né improvvisa. Negli ultimi tre anni le città e i villaggi palestinesi in Cisgiordania hanno dovuto affrontare un volume senza precedenti di violenza da parte dei coloni sostenuti dallo Stato, aggressioni guidate dai militari durante le quali sono stati commessi omicidi extragiudiziali e un’allarmante escalation della pratica israeliana di detenere palestinesi senza processo o accusa, compresi bambini e minorenni.

Negli ultimi tre anni l’esercito israeliano ha battuto ripetutamente il record di uccisioni di palestinesi in Cisgiordania, con una quasi totale assenza a livello internazionale di accertamento delle responsabilità. Oltre agli attacchi dei coloni, che includono linciaggi e incendi dolosi con famiglie bruciate all’interno delle loro case, l’esercito e la polizia israeliani hanno intensificato le esecuzioni sommarie a distanza ravvicinata di civili palestinesi.

In tale contesto ha continuato a crescere lo scontro armato contro l’esercito israeliano, in particolare nelle aree a nord della Cisgiordania, vale a dire Nablus, Jenin e in seguito Tulkarem e Tubas.

Come a Gaza, l’esercito israeliano sta ora intensificando in Cisgiordania l’uso bellico dei droni, incluso l’Hermes 450. Mentre l’esercito israeliano afferma di aver preso di mira i gruppi di resistenza palestinese, che l’esercito definisce “cellule terroristiche”, la stragrande maggioranza di persone uccise non sono combattenti, con le violente distruzioni compiute dall’esercito dirette prevalentemente a infrastrutture civili.

“Questo fa parte della politica israeliana”, ha detto Abu Jury, un combattente della Brigata Tulkarem, al The New Arab appena un giorno dopo l’assalto su larga scala in cui nove persone sono state uccise e parti del campo ridotte in macerie. “Prendono di mira i civili per fare pressione sui combattenti. Noi della brigata Tulkarem, prima delle bombe siamo rimasti quasi due settimane senza acqua”, spiega.

Da Gaza alla Cisgiordania: diversa intensità, stessa strategia

Nel corso degli anni i palestinesi della Cisgiordania sono stati gradualmente ridotti ad uno stato di deprivazione simile a quello di Gaza.

Oltre all’evidente aumento della violenza da parte dei coloni e dell’esercito israeliani, i politici di Israele hanno favorito la deprivazione dei palestinesi di risorse essenziali per la sopravvivenza come l’acqua, in particolare acqua potabile, elettricità e libertà di movimento.

Con i jet da guerra che volteggiavano sopra le loro teste e il rischio di un assassinio mirato in qualsiasi momento, Abu El-Izz, un combattente veterano della PIJ [la Jihad Islamica in Palestina, ndt.] con le Brigate Jenin, ha spiegato a The New Arab perché si è unito alla resistenza armata, prima in segreto e poi come membro effettivo della brigata.

“Quando sono stato arrestato dall’esercito israeliano [nel 2002], chi mi interrogava ha detto ‘sei [appena] venuto fuori dal ventre di tua madre e sei [già] un vandalo'”, racconta. Rievocando la sua prigionia a soli 15 anni, ora ne ha 37, Abu El-Izz ricorda la sua risposta al suo interrogatore. “Gli ho detto: non capisci che sono le tue azioni a legittimare lo scontro?”.

“Guarda, in fondo siamo studenti della libertà“, dice Abu El-Izz. “Chiunque si unisce a noi da tutto il mondo, non importa quale sia il suo background, lo accogliamo. La resistenza, armata o disarmata, è benvenuta, finché l’obiettivo è perseguire la libertà“, sottolinea.

Secondo Abu El-Izz, “è pericoloso ridurre ciò che sta accadendo ai palestinesi alla cronologia del 7 ottobre”. L’anziano combattente scoraggia qualsiasi domanda su possibili timori che ciò che sta accadendo a Gaza possa arrivare in Cisgiordania.

È riduttivo e ingenuo suggerire che la guerra di Israele contro di noi sia iniziata lo scorso autunno. Hanno intrapreso una guerra contro di noi e hanno intensificato ogni anno i loro attacchi.

Isolare e istillare la paura: Al di là dei bombardamenti a tappeto

Come Abu El-Izz, il 51enne Abu El-Azmi sottolinea che la “guerra silenziosa” di Israele contro i palestinesi, in particolare in Cisgiordania, è stata condotta in modi e forme diversi.

Di sinistra, Abu El-Azmi si considera un alleato delle Brigate Jenin nonostante non sia un combattente. “Non sono solo le bombe”, dice Abu El-Azmi a The New Arab. “Siamo incatenati da un milione di catene, e sono tutte illusioni”, ha spiegato Abu Al-Azmi. “Dobbiamo spezzare queste catene”.

Lo squilibrio di potere tra l’esercito israeliano e i gruppi armati palestinesi è così netto che è quasi incomprensibile come i palestinesi possano continuare a resistere con fucili M16 obsoleti, molotov, pietre e IED [Improvised Explosive Device: ordigni esplosivi improvvisati, ndt.] artigianali contro alcune delle tecnologie belliche più avanzate e gli aiuti militari internazionali a disposizione di Israele.

A Gaza c’è una modalità più strutturata e organizzata per le operazioni di resistenza armata condotte dall’ala militare di Hamas, le Brigate Qassam, e l’ala armata della Jihad islamica palestinese (PIJ), le Brigate Al-Quds. A differenza di Gaza in Cisgiordania la resistenza assume una forma meno strutturata, che si esprime principalmente attraverso interventi individuali che operano da aree specifiche come il campo profughi di Jenin, il campo profughi di Tulkarem, Nablus e Tubas.

Invece di operare attraverso una specifica affiliazione politica le brigate palestinesi in Cisgiordania sono motivate da un impulso individuale. “Devi acquistare la tua pistola, imparare a usarla e poi impegnarti nella resistenza”, spiega Abu El-Izz.

Questa differenza nella struttura è dovuta in gran parte alla sorveglianza israeliana e al contatto con i palestinesi in Cisgiordania in un modo diverso da Gaza. Mentre Gaza è stata posta sotto un assedio militare per quasi due decenni, per cui i palestinesi avevano una conoscenza di Israele mediata solo dal suono dei droni e delle bombe che cadevano dal cielo, i palestinesi in Cisgiordania affrontano un contatto diretto con l’esercito israeliano a causa della presenza di colonie illegali. La presenza di colonie è anche ciò che ostacola la capacità di Israele di bombardare a tappeto la Cisgiordania fino ad annientarla.

Con ciò, l’asfissiante sorveglianza e la detenzione di massa dei palestinesi sono diventate una pratica comune israeliana in Cisgiordania. “Prima che con le bombe la guerra contro di noi è psicologica”, sottolinea Abu El-Azmi. “Anzitutto instillano la paura nella comunità in modo che si abbia paura l’uno dell’altro prima di avere paura dell’esercito israeliano”, dice.

Abu El-Azmi è molto amato dalla sua comunità ed è conosciuto nelle Brigate Jenin come un uomo che non esita a dare rifugio e a offrire supporto ai combattenti ricercati da Israele, rendendolo un bersaglio da assassinare.

“Ricordi circa qualche settimana fa quando l’esercito israeliano ha legato un uomo ferito alla jeep militare come scudo umano?”, dice uno dei combattenti della brigata, indicando Abu Azmi. “L’obiettivo di quell’incursione era Abu Azmi”.

Questa pratica di non prendere di mira solo i palestinesi e i combattenti politicamente attivi, ma chiunque mostri simpatia e relazioni con loro è stata un protocollo comune di “deterrenza” da parte di Israele.

La stessa strategia viene usata contro gli attori regionali che intervengono o mostrano sostegno alla causa della liberazione palestinese. La dottrina Dahiya usata in Libano nel 2006, che ha comportato l’uso di una forza sproporzionata contro le infrastrutture civili, è emblematica.

Il tentativo di Israele di riformulare il contesto

Per decenni i palestinesi hanno dovuto affrontare una rigida politica di isolamento e separazione progettata dall’apparato di sicurezza israeliano.

Secondo Abu El-Izz, mentre la resistenza armata palestinese è cresciuta in Cisgiordania negli ultimi tre anni, “ciò che ha fatto il 7 ottobre è stato costringere tutti a guardare in questa direzione”.

“Tutto ciò che sta accadendo oggi è solo una parte di ciò che è accaduto in Palestina dal 1948, non si può separare”, afferma.

Secondo il combattente veterano, la provocazione di Israele di una guerra regionale è dovuta proprio a questo cambiamento di percezione. “È indubbio che gli sforzi internazionali, sia a livello regionale che altrove, richiedano di fermare la guerra e di rimettere al centro la Palestina nei termini di una causa di liberazione”, dice Abu El-Izz a The New Arab.

“Non si tratta solo di resistenza locale e regionale”, ha aggiunto. “Bisogna anche guardare agli studenti di tutto il mondo che hanno avuto il coraggio di parlare contro Israele sottolineando il tema della liberazione”.

Forse è per questo che la provocazione intenzionale di Israele nei confronti delle potenze regionali, insieme al contemporaneo rifiuto di mostrare un minimo sforzo di affrontare la questione della liberazione della Palestina, è vista come un tentativo di ostacolare la ricerca della libertà palestinese. “Ovviamente l’occupazione israeliana rifiuta questa idea [di liberazione] e vuole continuare le sue violazioni, la sua occupazione e aggressione in tutte le terre palestinesi”, afferma Abu El-Izz.

Dopo l’assassinio mirato del rappresentante politico di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran il 31 luglio, avvenuto solo poche ore dopo l’uccisione del comandante di Hezbollah Fuad Shukr a Beirut il 30 luglio, la maggior parte dei colloqui diplomatici si è spostata sulle preoccupazioni per una guerra regionale.

“La barbarie di Israele sta cercando di espandere la sua guerra a livello regionale per facilitare il nostro continuo massacro”, spiega Abu El-Izz. “Ecco perché non puoi ignorare e non menzionare la liberazione della Palestina nel valutare tutti gli sviluppi in corso”.

Mentre le potenze regionali sono gli unici attori che forniscono una parvenza di supporto, offrendo una pur esile speranza di fermare le pratiche israeliane di pulizia etnica, la scissione del conflitto regionale dalla liberazione palestinese tiene nascosto un punto più fondamentale.

Per i palestinesi l’obiettivo esplicito di Israele di cacciarli dalle loro terre con la morte o la fuga andrà avanti, che ci sia o meno una guerra regionale.

Mariam Barghouti è una scrittrice e giornalista che vive in Cisgiordania. Si occupa della regione da dieci anni nella veste di reporter e analista, è stata principale corrispondente per la Palestina per Mondoweiss ed è membro del Marie Colvin Journalist Network [comunità online di giornaliste arabe, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Coloni israeliani puntano una pistola alla testa di una bambina palestinese di 3 anni in Cisgiordania

Redazione

11 agosto 2024-The New Arab

Quando una famiglia palestinese diretta a Nablus ha sbagliato strada ed è entrata in un insediamento i coloni si sono scatenati e li hanno attaccati bruciando la loro auto e prendendoli a sassate.

Venerdì quando una famiglia palestinese ha sbagliato strada entrando in un insediamento nella Cisgiordania occupata i coloni israeliani scatenati hanno puntato una pistola alla testa della bambina di tre anni, li hanno presi a sassate e hanno bruciato la loro auto.

Secondo i media israeliani, la famiglia Al-Jaar stava viaggiando verso la città di Nablus, nella Cisgiordania occupata, quando ha sbagliato strada entrando nell’insediamento  Giva’at Ronen.

Nofa, la madre, ha detto al sito di notizie israeliano Ynet che il sistema di navigazione che stavano usando in auto li ha tratti in inganno portandoli fuori dalla strada principale in una strada secondaria che conduce all’insediamento israeliano.

Ha raccontato: “Loro [i coloni] hanno iniziato a rincorrerci. Abbiamo girato [l’auto] perché volevamo scappare da, ma non c’era via d’uscita. Non potevamo tornare indietro, non potevamo andare avanti…”.

Ha proseguito: “Molte persone sono corse nella nostra direzione, due avevano le pistole. Dopo aver rotto tutti i finestrini uno ha puntato la pistola e la nostra bambina ha iniziato a urlare. Hanno chiesto, ‘siete dei territori? Venite da Gaza? Avete qualcuno di Gaza? ‘Vogliamo uccidervi’ ci hanno detto”.

Il rapporto afferma che i coloni hanno poi spruzzato la famiglia con gas lacrimogeni, allontanandoli e hanno preso a sassate la loro auto.

“Abbiamo chiamato la polizia, ma non abbiamo riscontrato alcun senso di urgenza”, ha detto la famiglia a Ynet.

Nofa ha aggiunto: “…Cosa abbiamo fatto? Abbiamo visto la morte davanti ai nostri occhi. Volevano ucciderci. Dopo di che hanno bruciato la nostra auto prima che arrivasse la polizia. Hanno puntato una pistola alla testa della mia bambina di tre anni”.

Il sito israeliano N12 News ha riferito che i membri della famiglia hanno riportato ustioni e contusioni dopo essere stati attaccati dai coloni e hanno dovuto essere trasferiti al Rabin Medical Centre-Beilinson Campus per le cure.

Le forze di sicurezza israeliane hanno dichiarato al sito israeliano Maariv News che l’attacco costituisce una “grave escalation nelle azioni degli attivisti di destra” e che è stata avviata un’indagine dall’agenzia di sicurezza israeliana Shin Bet.

I media israeliani hanno anche riferito che la polizia ha aperto un’indagine sull’attacco.

Dall’inizio della guerra di Israele a Gaza il 7 ottobre, c’è stato un aumento della violenza, dei raid e degli arresti contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata. Secondo Amnesty International da ottobre Israele ha compiuto “uccisioni illegali, anche usando la forza letale senza necessità o in modo sproporzionato durante le proteste e i raid per arrestare palestinesi, negando l’assistenza medica ai feriti”.

Gli israeliani hanno ucciso oltre 500 palestinesi nella Cisgiordania occupata dal 7 ottobre e ne hanno arrestati almeno altri 10.000. Peace Now, un’organizzazione non-profit, ha affermato che Israele ha sequestrato 23,7 kmq di terra palestinese mentre infuria la guerra in corso a Gaza, rendendo quest’anno il più alto per numero di sequestri di terre da parte di Israele negli ultimi tre decenni.

(Traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Palestina: almeno otto vittime degli attacchi e delle incursioni israeliane nella Cisgiordania occupata

 

Fonti sanitarie affermano che quattro persone sono state uccise nell’area di Jenin e quattro nel distretto di Tubas durante incursioni effettuate di mattina presto

Redazione di MEE

6 agosto 2024 – Middle East Eye

 

Almeno otto palestinesi sono stati uccisi martedì da Israele in attacchi ed incursioni nella Cisgiordania occupata.

La Mezzaluna Rossa palestinese e il ministero della Sanità a Ramallah hanno affermato che durante incursioni effettuate di mattina presto quattro persone sono state uccise nell’area di Jenin e quattro nel distretto di Tubas.

La Mezzaluna Rossa palestinese ha affermato in una dichiarazione che “ci sono quattro martiri e tre feriti, uno dei quali è in condizioni molto critiche, a causa del bombardamento da parte dell’occupazione di due veicoli nella zona a est di Jenin”, mentre il ministero della Sanità ha affermato che ci sono stati “quattro martiri e sette feriti dal fuoco dell’occupazione nella città di Aqaba nel distretto di Tubas.”

L’agenzia di notizie Wafa ha affermato che gli assassinii sono avvenuti dopo che l’esercito israeliano ha circondato una casa ad Aqaba ed è stato affrontato dagli abitanti.

Israele ha anche affermato, senza entrare in dettagli, di aver condotto due attacchi aerei in Cisgiordania.

Dall’attacco effettuato da Hamas il 7 ottobre almeno 603 palestinesi sono stati uccisi durante raid israeliani nella Cisgiordania occupata.

Nel frattempo, secondo organizzazioni a sostegno dei prigionieri palestinesi, più di 8.000 palestinesi sono stati arrestati.

I prigionieri sono stati sottoposti ad attacchi fisici e ad altre forme di violenza, incluse fame, privazione del sonno, negazione del contatto con i familiari e privazione dell’acqua.

 

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)