I palestinesi lottano per ricostruire le loro vite dopo i pogrom dei coloni in Cisgiordania

Yuval Abraham

18 gennaio 2024 – +972 Magazine

Unondata di violenze da parte dei coloni a partire dal 7 ottobre ha sottratto le terre e i mezzi di sussistenza a numerose comunità palestinesi che ora non sanno dove andare.

I figli sono tutto ciò che resta a Naama Abiyat. Incontro la ventinovenne madre di cinque figli all’interno di una tenda dalle pareti sottili dove vive nella Cisgiordania meridionale occupata; la tenda è quasi vuota, fatta eccezione per una coperta ricevuta da alcuni passanti e pochi ceppi di legno. I figli interrompono di tanto in tanto la nostra conversazione reclamando la sua attenzione e facendole capire che hanno freddo.

Fino a due mesi fa Abiyat aveva la sua stanza, una casa, un giardino e un uliveto ad Al-Qanoub, un piccolo villaggio di 40 abitanti a conduzione familiare situato a nord di Hebron. Tra l’11 ottobre e il primo di novembre, però, l’intera comunità è fuggita in seguito ad una serie di pogrom da parte di coloni israeliani provenienti dal vicino insediamento coloniale di Asfar e dall’adiacente avamposto di Pnei Kedem. I coloni hanno incendiato le case, aizzato i cani contro gli animali della fattoria e, sotto la minaccia delle armi, ordinato ai residenti di andarsene, altrimenti sarebbero stati uccisi.

Da allora Abiyat e i suoi figli vagano, senza terra e senza casa. Insieme ad altre quattro famiglie sfollate da Al-Qanoub hanno allestito tende provvisorie alla periferia della città di Shuyukh, più vicino a Hebron.

Il giorno dell’espulsione i coloni si sono rifiutati di consentire loro di portare via qualsiasi cosa dal villaggio in fiamme: la carta d’identità di suo marito, veicoli, materassi, cellulari, sacchi di olive, chiavi – “e i miei vestiti”, aggiunge uno dei figli. Tutto è stato abbandonato e in gran parte rubato. Il figlio maggiore di Abiyat, che ha 11 anni, non può più andare alla scuola vicina al villaggio perché non c’è nessuno che possa accompagnarlo.

Nei giorni precedenti la decisione della sua famiglia di fuggire dal villaggio Abiyat dormiva fuori con i suoi figli, temendo che i coloni dessero fuoco alla loro casa mentre dormivano, come era successo a uno dei suoi vicini. “Di notte chiudevamo la casa, spegnevamo le luci e poi andavamo a dormire tra gli ulivi, sotto il cielo”, dice.

Ora Abiyat è impegnata a cercare di ottenere del denaro sufficiente per comprare legna da ardere per linverno. “Sto parlando con te e tutto il mio corpo sta per esplodere”, dice. Qui è pieno di scorpioni e serpenti. I bambini si trovano in uno stato mentale difficile. Non li emoziona più niente nella vita.”

Con il pretesto della guerra, in Cisgiordania un totale di 16 villaggi palestinesi che ospitavano complessivamente oltre 1.000 persone sono stati completamente spopolati a seguito di unondata di violenza da parte dei coloni e di pogrom contro le comunità di pastori palestinesi. Separate dalle loro comunità e costrette a vivere in tende su terreni appartenenti ad altri palestinesi, le famiglie sfollate chiedono tutte la stessa cosa: poter tornare a casa.

Ci hanno detto che avevamo unora per andare via

Prima dellinizio della guerra il villaggio di Southern a-Nassariyah, nella Valle del Giordano, ospitava cinque famiglie, per un totale di 25 persone. Il 13 ottobre sono tutti fuggiti dalle loro case sotto le violente minacce dei coloni israeliani. Attualmente vivono in tende vicino al villaggio di Fasayil, su un terreno di proprietà di un abitante del luogo che ha permesso loro di restare a condizione che vadano via entro aprile. Le famiglie sfollate non sanno dove andranno dopo.

Ci hanno ridotto a fare i braccianti. Dio santo, ci hanno ridotto a fare i braccianti,dice Musa Mleihat, posando una tazza di tè su uno sgabello fuori dalla tenda divenuta la sua casa. Il giorno della sua espulsione ha perso la terra, il che ha significato perdere il sostentamento: non potendo più far pascolare il gregge, è stato costretto a vendere la maggior parte delle pecore e delle capre della famiglia.

Alcuni degli altri abitanti del villaggio hanno iniziato a lavorare come braccianti agricoli negli insediamenti coloniali vicini. Linsediamento di Tomer, ad esempio, è noto per i suoi datteri e gli ananas, e assume lavoratori palestinesi pagandoli illegalmente al disotto del minimo salariale. Molti degli sfollati dai villaggi affermano che diventare braccianti fa parte del costo dellessere costretti ad abbandonare la propria terra.

A sud-est di Ramallah anche i 180 residenti del villaggio di Wadi al-Siq sono stati espulsi con la forza a seguito di un pogrom da parte di coloni. Il 12 ottobre coloni e soldati hanno fatto irruzione nel villaggio, hanno sparato e scacciato donne e bambini prima di rapire tre uomini, ammanettarli, spogliarli, urinare su di loro, picchiarli fino a farli sanguinare e abusare sessualmente di loro.

Dopo averci bendato ci hanno detto che avevamo unora per lasciare il villaggio, dopodiché chiunque fosse rimasto sarebbe stato ucciso, racconta Abd el-Rahman Kaabna, il capo del villaggio. Tre mesi dopo lespulsione sta ancora combattendo per accettare la violenza subita, che ha traumatizzato profondamente i suoi figli, tanto che da allora continuano a bagnare il letto.

Kaabna spiega che in seguito all’espulsione tutta la sua vita è cambiata. La comunità di Wadi al-Siq è stata completamente smembrata: la maggior parte degli abitanti, compreso Kaabna, sono sparsi in tende a est e a sud della città di Ramun, mentre altri si trovano vicino alla città di Taybeh, nei pressi di Ramallah. Vivono tutti sulla terra di altri.

“Ci sentiamo estranei qui”, dice. Non abbiamo le case in cui vivevamo, con campi e pascoli aperti. Oggi vivo in un uliveto e il proprietario continua a chiedermi quanto resteremo”.

Dopo l’espulsione i figli di Kaabna, di 6 e 8 anni, non hanno ripreso a frequentare la scuola. A Wadi al-Siq cera una scuola per gli studenti fino allottava classe [in Palestina l’istruzione obbligatoria comprende dieci anni, ndt.], ma dopo che i residenti se ne sono andati, i coloni hanno rubato tutto allinterno, compresi i libri per bambini. Un mese fa hanno portato un trattore e hanno demolito tutte le nostre case”.

Il villaggio era pieno di ricordi

I coloni hanno distrutto o incendiato le case in molti dei villaggi che i palestinesi sono stati costretti ad abbandonare negli ultimi mesi, rendendo impossibile il ritorno degli ex abitanti. In questo modo, i coloni stanno completando l’intervento della politica del governo israeliano che per anni ha cercato di costringere i palestinesi a lasciare lArea C [parte della Cisgiordania occupata sotto totale controllo israeliano, ndt.]: rifiutando di riconoscere i loro villaggi, impedendo loro di accedere allacqua e allelettricità e demolendo le loro case. Secondo i dati forniti dallAmministrazione Civile, il braccio burocratico delloccupazione, allONG israeliana per i diritti di pianificazione Bimkom, tra il 2016 e il 2020 il governo ha rilasciato 348 volte più permessi di costruzione ai coloni israeliani rispetto ai palestinesi che vivono nellArea C.

Il villaggio di Zanuta, sulle colline a sud di Hebron, che prima dellinizio della guerra contava 250 residenti, è il più grande villaggio ad aver subito negli ultimi mesi la pulizia etnica da parte dei coloni. I coloni hanno successivamente distrutto la scuola del villaggio, insieme a 10 edifici residenziali. Quando gli abitanti di Zanuta hanno tentato di ritornare, un ispettore dellAmministrazione Civile ha detto loro che se avessero montato una sola tenda lesercito lavrebbe considerata una nuova costruzionee lavrebbe abbattuta.

Dopo essere fuggiti dalle loro case gli abitanti di Zanuta sono andati dispersi in sei luoghi diversi: alcuni vivono attualmente vicino al checkpoint di Meitar, all’estremità meridionale della Cisgiordania, alcuni vicino all’insediamento coloniale di Tene Omarim e altri hanno preso in affitto terreni ovunque siano riusciti a trovarne. Ci manchiamo l’un l’altro, mi dice Fayez al-Tal, un ex abitante del villaggio. “Dal giorno in cui abbiamo lasciato Zanuta non ci siamo più visti.”

Non solo gli abitanti hanno perso la maggior parte dei loro pascoli ma sono stati anche costretti a vendere la maggior parte delle loro greggi a causa delle ingenti tasse 70.000 shekel (circa 17.000 euro) a famiglia richieste per il trasporto di tutte le loro proprietà dal villaggio distrutto, lacquisto di nuove tende e baracche e del cibo per le pecore e le capre rimaste che non possono più pascolare.

Nei primi giorni della guerra gli 85 abitanti di Ein al-Rashash, un villaggio di pastori vicino a Ramallah, hanno raccolto le loro cose e sono fuggiti. “Il villaggio era pieno di ricordi della nostra infanzia”, dice uno degli abitanti. Oggi vivono in tende e baracche di alluminio che hanno costruito su un terreno roccioso vicino alla città di Duma. Non sanno cosa faranno in seguito.

Qui non ci sono coloni, ma ci sono altri problemi: lAmministrazione Civile, spiega Awdai, che viveva a Ein Rashash. Dopo che lui e altri hanno iniziato a montare le tende, un drone dell’Amministrazione Civile è arrivato e li ha fotografati. A breve potrebbe seguire un ordine di demolizione.

Il governo sostiene i coloni

Negli ultimi anni nellarea C della Cisgiordania sono stati realizzati decine di avamposti coloniali di allevamento di bestiame e sono diventati una forza trainante per l’incremento delle violenze contro i palestinesi. Tuttavia per molti ex abitanti di villaggi spopolati la paura dei coloni teppisti” non è lunica ragione del loro sfollamento, né ciò che impedisce loro di tornare a casa. Il problema più grave è rappresentato dal sostegno che i coloni ricevono dallesercito e dalla polizia israeliani.

Sappiamo come proteggerci, dice al-Tal, di Zanuta. Ma se lo facciamo i soldati ci sparano o finiamo in prigione. Il governo sostiene i coloni. In passato, racconta, quando i soldati o la polizia arrivavano nel villaggio durante un raid dei coloni arrestavano i palestinesi. Gli abitanti di ciascuno dei villaggi sfollati ripetono la stessa cosa: l’esercito protegge gli aggressori e arresta coloro che vengono aggrediti.

Il 3 gennaio si è tenuta un’udienza presso la Corte Suprema israeliana in merito ad un ricorso presentato a nome degli abitanti di Zanuta e di altri villaggi rimasti completamente o parzialmente spopolati. Lappello chiedeva allo Stato di specificare quale fosse il suo impegno rivolto a proteggere tali comunità dai coloni e chiedeva alle autorità di creare condizioni sul campo che consentissero alle comunità sfollate di tornare nelle loro terre.

Qamar Mashraki-Assad e Netta Amar-Shiff, che rappresentavano i palestinesi, hanno detto ai giudici che la polizia ignora sistematicamente le denunce sulla violenza dei coloni rifiutandosi di raccogliere prove sul campo. Inoltre lesercito non agisce in conformità con lobbligo previsto dal diritto internazionale di proteggere la popolazione occupata.

Durante ludienza, Roey Zweig, un ufficiale del Comando Centrale dellesercito, responsabile delle unità che operano in Cisgiordania e delle costruzioni nellArea C, ha affermato assurdamente che negli ultimi tempi la violenza dei coloni sarebbe in realtà diminuita grazie a misure che l’esercito avrebbe iniziato ad attuare. Nel corso delle sue osservazioni, Zweig che nel 2022, mentre prestava servizio come comandante della Brigata Samaria, aveva affermato che [il progetto di] insediamento coloniale e lesercito sono una cosa sola” – ha definito i villaggi spopolati avamposti palestinesi, ricorrendo al termine utilizzato per le comunità israeliane sulle colline della Cisgiordania che sono palesemente illegali secondo la stessa legge israeliana.

Gli abitanti di ciascuno dei villaggi spopolati conoscono i nomi dei coloni che li hanno terrorizzati e gli insediamenti o avamposti coloniali di cui fanno parte. Per mesi, se non anni, questi coloni hanno fatto di tutto per espellerli, impossessarsi delle loro terre e minacciarli violentemente.

Tuttavia, secondo un funzionario della sicurezza che ha parlato con +972 Magazine e Local Call, occuparsi delle violenze dei coloni e dellespulsione delle comunità palestinesi non rientra nel mandatodellAmministrazione Civile. Le accuse di discriminazione nei permessi di costruzione o nell’applicazione delle norme, ha detto il funzionario, dovrebbero essere “dirette altrove” perché l’Amministrazione Civile è “solo un organo esecutivo”, non “politico”.

Yuval Abraham è un giornalista e attivista che vive a Gerusalemme.

(traduzione dall’Inglese di Aldo Lotta)




Sette palestinesi uccisi da droni israeliani nella Cisgiordania occupata

Palestine Chronicle Staff  

17 gennaio 2024 Palestine Chronicle

Sette palestinesi sono stati uccisi mercoledì mattina da un bombardamento di droni israeliani che hanno preso di mira le città di Tulkarem e Nablus nella Cisgiordania occupata.

Tulkarem

Quattro palestinesi sono stati uccisi ed altri feriti in un bombardamento di droni israeliani che aveva come obbiettivo il quartiere Al-Tammam nel campo profughi di Tulkarem.

L’agenzia ufficiale di informazioni palestinese WAFA ha citato testimoni oculari dall’interno del campo che hanno detto che un drone ha preso di mira un gruppo di giovani nel quartiere Al-Tammam, uccidendo parecchi di loro e ferendone gravemente altri.

La Mezzaluna Rossa palestinese ha confermato che i suoi equipaggi hanno trasportato i corpi di quattro vittime palestinesi dall’interno del campo all’ospedale governativo Martyr Thabet Thabet a Tulkarem.

Secondo la WAFA le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze e alla Mezzaluna Rossa palestinese di entrare nel campo per trasportare i feriti dal luogo preso di mira.

Inoltre truppe israeliane hanno circondato il luogo del bombardamento e nelle vicinanze sono state dislocate pattuglie di fanteria.

Le forze di occupazione israeliane hanno continuato ad aggredire la città di Tulkarem e il suo campo profughi a partire dalle 4,30 del mattino, distruggendo anche proprietà private e infrastrutture.

Un ampio dispiegamento militare, accompagnato da due bulldozer dell’esercito, avrebbe assaltato la città all’alba dagli ingressi ad ovest, nord e sud.

Le forze di occupazione hanno circondato il campo di Tulkarem da tutti gli ingressi, dispiegando veicoli militari nelle strade e nei quartieri, mentre sui tetti di diversi edifici e negozi si sono appostati i cecchini.

Parecchi veicoli militari si sono posizionati agli ingressi dell’ospedale specialistico Al-Isra nel quartiere occidentale e nelle vicinanze dell’ospedale governativo Thabet Thabet accanto al campo, impedendo l’entrata e l’uscita degli abitanti dai suddetti ospedali.

In seguito all’incursione sono scoppiati intensi scontri tra residenti locali e soldati israeliani. Le forze israeliane avrebbero sparato proiettili veri e sono stati sentiti rumori di esplosioni e spari di fucili dall’interno della città e del suo campo profughi.

Durante l’incursione le forze israeliane hanno arrestato tre palestinesi, compresi due ex detenuti.

Nablus

All’alba di mercoledì sono stati uccisi tre palestinesi in un attacco con droni che ha preso di mira un veicolo vicino al campo profughi di Balata, a est di Nablus.

Secondo la WAFA un drone israeliano ha preso di mira un veicolo vicino all’incrocio di Barada, mandandolo completamente a fuoco e uccidendo tre uomini. Le forze israeliane hanno impedito alle equipe mediche di raggiungere il luogo.

I tre uomini sono stati identificati come Mohammad al-Qatawi e i fratelli Saif e Yazan al-Najmi.

Le forze di occupazione israeliane hanno circondato il veicolo con diverse jeep militari.

Inoltre le forze di occupazione israeliane hanno aperto il fuoco contro gli equipaggi delle ambulanze della Mezzaluna Rossa palestinese ed hanno impedito loro di raggiungere il veicolo in fiamme.

Le forze israeliane hanno ulteriormente devastato i campi profughi di Balata e Askar, compiendo massicce incursioni e perquisizioni di case.

La Mezzaluna Rossa ha detto di essere stata in grado di raggiungere il veicolo solo dopo che le forze di occupazione si sono ritirate dalla zona.

Le forze di occupazione avevano precedentemente assalito il campo di Balata con veicoli militari, fra attacchi aerei e sorvoli di aerei e droni, provocando violenti scontri tra gli abitanti del campo e le forze di occupazione.

(PC, WAFA)

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Sei morti nel corso di un attacco israeliano contro un campo profughi nella Cisgiordania occupata

Redazione di Al Jazeera

27 dicembre 2023 – Al Jazeera

Le ambulanze sarebbero state bloccate dall’esercito israeliano dopo l’attacco contro il campo profughi di Nur Shams, vicino a Tulkarem.

Almeno sei palestinesi sono stati uccisi da un drone israeliano durante un raid contro un campo profughi nel nord della Cisgiordania occupata mentre le forze israeliane hanno esteso le loro operazioni sul territorio.

La Mezzaluna Rossa palestinese (PRCS) e funzionari sanitari hanno riferito che mercoledì notte un drone ha colpito un gruppo di palestinesi nel campo profughi di Nur Shams, vicino a Tulkarem.

Secondo il Ministero palestinese della Salute sei corpi sono stati portati in un ospedale locale, oltre a varie persone ferite nel corso dell’attacco.

Secondo quello che ha riferito Imran Khan di Al Jazeera nel suo reportage di mercoledì da Nur Shams, le sei vittime sarebbero giovani fra i 16 e i 29 anni che stavano assistendo al raid.

Il drone è sceso dall’alto, chiaramente gli uomini non hanno avuto scampo. È stato un attacco mortale intenzionale,” ha detto.

L’incursione è stata il “secondo più massiccio raid” sul campo profughi in 24 ore, ha precisato Alan Fisher di Al Jazeera, che si trova nella Gerusalemme Est occupata ha riferito dei continui scontri a Tulkarem e Nur Shams durati fino alle 7 di mercoledì mattina.

Ci hanno avvertiti che c’erano cecchini sul tetto, che gli israeliani erano entrati a Nur Shams per cercare di arrestare persone che dicevano essere ‘ricercate’.”

La seconda notte consecutiva di raid contro il campo hanno fatto preoccupare la gente ancora di più per quello che sarebbe potuto succedere più tardi quella sera, ha aggiunto Fisher.

Ambulanze ‘bloccate’

opo l’attacco a Nur Shams, la PRCS ha detto che l’esercito israeliano ha impedito alle ambulanze di trasportare i morti e i feriti.

La gente ha cercato di aiutare [le vittime], ma per almeno un’ora e mezza gli israeliani non hanno permesso l’accesso alle ambulanze,” ha detto Khan di Al Jazeera. “Alla fine hanno dovuto prelevare i corpi e portarli giù dove stavano le ambulanze. Ovviamente a quel punto era troppo tardi. Erano morti.”

Al Jazeera ha parlato con fonti presso l’ospedale locale, secondo cui un soldato israeliano è entrato in un’ambulanza e ha pugnalato al collo un uomo ora ricoverato in un’unità di terapia intensiva.

L’esercito israeliano ha anche condotto raid notturni contro le città di Betlemme, Jenin, Hebron e Tubas. Secondo quanto riferito dalla palestinese agenzia di stampa Wafa, tre persone sono state ferite nel campo profughi di Dheisheh a Betlemme.

Stando a quanto dichiarato dalla Commissione degli Affari dei detenuti ed ex-detenuti e del Club dei Prigionieri palestinesi, almeno 12 persone sono state incarcerate dall’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata in raid notturni.

La violenza in Cisgiordania è esplosa con l’inizio della guerra israeliana contro la Striscia di Gaza il 7 ottobre. In questo periodo durante i raid oltre 300 persone sono state uccise e 4.700 palestinesi sono stati arrestati.

Nella Striscia di Gaza almeno 20.915 persone sono state uccise e 54.918 ferite nel corso degli attacchi israeliani dal 7 ottobre. Il bilancio aggiornato delle vittime dell’incursione di Hamas in Israele è di 1.139.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che il suo esercito non diminuirà l’intensità dei combattimenti, anzi “espanderà le operazioni a sud di Gaza”, mentre Herzi Halevi, il capo di stato maggiore israeliano, ha precisato che la guerra a Gaza continuerà per “molti mesi”.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Medici Senza Frontiere afferma che la situazione umanitaria nella Cisgiordania occupata è ‘estremamente critica’

Redazione di Middle East Monitor

19 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Medici Senza Frontiere (Médicins Sans Frontières) ha descritto la situazione umanitaria nella Cisgiordania occupata da Israele come ‘estremamente critica’, in particolare a Jenin, data l’aggressione in corso contro i palestinesi da parte dello Stato di occupazione.

Oggi la situazione nella Cisgiordania, e particolarmente a Jenin, è estrema”, ha spiegato la coordinatrice a Jenin dell’organizzazione, Luz Saavedra. “Vediamo una significativa ripresa della violenza contro i civili, ed è andata crescendo rapidamente dal 7 ottobre.” Attacchi contro il sistema sanitario sono drammaticamente aumentati e sono diventati sistematici, ha sottolineato. Strade e infrastrutture, come anche acquedotti e fognature, sono stati distrutti.

Nelle scorse settimane,” ha aggiunto Saavedra, “le forze israeliane hanno assediato molti ospedali a Jenin, provocando un diretto impedimento alle cure sanitarie e hanno anche colpito e ucciso un ragazzo nella struttura dell’ospedale Khalil Suleiman. Il blocco delle cure sanitarie è sfortunatamente diventato una pratica comune. Durante ogni incursione diversi ospedali, incluso quello pubblico, sono stati circondati dalle forze israeliane.”

La mancanza di rispetto per gli ospedali è sconcertante, afferma un funzionario di Medici Senza Frontiere. “Da ottobre, siamo stati testimoni di un ragazzo di 14 anni colpito e ucciso nella struttura dell’ospedale, con i soldati che hanno sparato molte volte fuoco vivo e lacrimogeni contro l’ospedale, e infermieri sono stati costretti a spogliarsi e ad inginocchiarsi per strada. A fianco della violenza diretta, il costante blocco all’accesso alle cure sta anche mettendo a rischio le vite degli abitanti del campo e sembra che sia diventato una procedura operativa standard delle forze militari durante e dopo le incursioni militari a Jenin.”

In conclusione, ha sottolineato che l’organizzazione non può fornire le cure ai pazienti che non vanno in ospedale. “Le persone in stato di necessità devono poter avere un accesso sicuro al servizio sanitario e le strutture sanitarie devono essere protette.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Guerra Israele Palestina: in Cisgiordania i coloni potrebbero già essere in possesso delle armi americane, avverte un ex funzionario

Dania Akkad

23 novembre 2023 – Middle East Eye

Fanno notizia le preoccupazioni per un recente ordine israeliano di fucili statunitensi. Ma secondo gli esperti anche se le armi americane non si trovassero nelle loro mani i coloni sono riusciti ad entrare in possesso di quelle israeliane.

Quando il mese scorso il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamir Ben-Gvir ha iniziato a distribuire fucili dassalto ai civili, c’è stata un’immediata reazione da parte di Washington.

Secondo quanto riferito i funzionari statunitensi indignati avrebbero minacciato di bloccare le spedizioni di armi, inclusi 24.000 nuovi fucili che il ministero di Ben-Gvir aveva ordinato ad aziende americane.

Le armi fotografate in eventi pubblici ampiamente documentati non erano americane o, secondo quanto riferito, fornite dagli americani.

Tuttavia funzionari del Dipartimento di Stato e parlamentari statunitensi erano preoccupati che i nuovi fucili potessero essere consegnati ai coloni e usati contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata, dove dopo il 7 ottobre la violenza dei coloni è aumentata rispetto a livelli già da record.

In tale periodo in Cisgiordania sono stati uccisi da soldati e coloni israeliani più di 200 palestinesi.

Nonostante le assicurazioni israeliane che le armi sarebbero state conseganate ad unità sotto il controllo della polizia nazionale israeliana, allinterno della Linea Verde [confine stabilito negli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949 fra Israele e Paesi arabi confinanti, ndt.], gli Stati Uniti avrebbero ritardato la consegna di 4.500 fucili M-16.

Almeno questo è ciò che si può ricavare dai resoconti dei media israeliani e americani. Giovedì il Dipartimento di Stato ha rifiutato di rilasciare commenti su vendite commerciali dirette e conversazioni diplomatiche private.

Ma un ex funzionario del Dipartimento di Stato ha detto a Middle East Eye che è “quasi certoche le armi americane siano già utilizzate dai coloni in Cisgiordania.

Inoltre esperti sul controllo degli armamenti affermano che anche se le armi statunitensi esportate in Israele, finanziate attraverso gli aiuti militari statunitensi o acquistate a fini commerciali, non fossero nelle loro mani, i coloni potranno entrare in possesso dei fucili israeliani.

“Alcune delle armi che gli Stati Uniti avranno esportato saranno passate attraverso la licenza delle forze di difesa israeliane e naturalmente la maggior parte dei coloni in età per il servizio militare sono riservisti”, ha detto Josh Paul, che fino alle sue dimissioni del mese scorso era direttore dell’Ufficio di Affari di Politica Militare del Dipartimento di Stato.

Quindi nella maggior parte dei casi avranno le loro armi dall’esercito israeliano indipendentemente dal fatto che siano state consegnate o meno da Ben-Gvir ”.

MEE ha chiesto al Dipartimento di Stato se condivide la preoccupazione di Paul secondo cui le armi americane sarebbero probabilmente già nelle mani dei coloni in Cisgiordania.

Un portavoce non ha risposto direttamente alla domanda ma ha affermato che i governi che hanno ricevuto armi dagli Stati Uniti hanno la responsabilità di rispettare le condizioni dei trasferimenti e gli obblighi previsti dal diritto internazionale, compresi quelli relativi ai diritti umani.

Il portavoce ha anche affermato che pari attenzioni dovrebbero essere dedicate alla prevenzione della violenza estremista e alla consegna dei responsabili alla giustizia, compresi i membri delle forze di difesa e di sicurezza israeliani, così come della polizia nazionale israeliana, che restano a guardare e non intervengono.

Quante e quali tipi di armi americane siano arrivate in Israele nel corso degli anni costituisce un interrogativo che sfida anche i più ferrati esperti sul controllo degli armamenti.

Le informazioni più dettagliate disponibili al pubblico mostrano che nei primi nove mesi di questanno le esportazioni statunitensi verso Israele di rivoltelle, pistole e alcuni tipi di fucili sono aumentate in modo significativo rispetto ai tre anni precedenti.

Ma senza dati pubblici completi è impossibile per i contribuenti statunitensi e persino per i parlamentari valutare lentità delle esportazioni di armi statunitensi verso Israele e, soprattutto, quanto di questa sia approvata dal governo degli Stati Uniti.

“Se tutte queste vendite fossero completamente trasparenti per il Congresso e soprattutto per il pubblico penso che ci sarebbe molta più indignazione”, ha affermato Lillian Mauldin, tra le fondatrici e membro del consiglio di amministrazione di Women for Weapons Trade Transparency [Donne per la Trasparenza del Commercio delle Armi, ndt.] e ricercatrice presso il Center for International Policy [Centro di politica Internazionale, ndt.].

È nellinteresse delle aziende che le vendite di armi risultino incredibilmente difficili da tracciare, anche per persone che lavorano nel campo della ricerca sul controllo degli armamenti da decenni”.

Nel frattempo gli esperti affermano che i programmi del governo americano sul monitoraggio delle esportazioni di armi non sono impostati per tracciare il percorso delle armi leggere dopo la loro spedizione. Una volta spedite scompaiono, dice Paul.

Ciò lascia aperti degli interrogativi per i palestinesi in Cisgiordania come Mohammed al-Huraini.

“Prodotto negli USA“?

Al-Huraini è originario di Atuwani, uno dei villaggi della regione di Masafer Yatta, di circa 500 abitanti, nascosto tra le montagne a sud delle colline di Hebron.

Qui gli abitanti subiscono minacce di espulsione e ordini di demolizione da quando nel 1981 lesercito israeliano ha designato la loro terra come zona di esercitazione di tiro.

Huraini ora ha 19 anni e non ha mai conosciuto un momento in cui lui e la sua famiglia non abbiano subito pressioni per lasciare Atuwani.

Sua nonna, Fatemah, non vede da un occhio dopo che nel 2006 i soldati lhanno colpita durante una protesta. Lo scorso settembre i coloni hanno fratturato entrambe le braccia di suo padre Hafez.

Ma Huraini dice che dal 7 ottobre la situazione nel villaggio, raccolta attraverso filmati visionati da MEE e descritta da amici e familiari rimasti lì mentre lui frequenta l’università a Ramallah, è notevolmente cambiata.

I coloni hanno intensificato gli attacchi contro gli abitanti facendo irruzione nelle case e minacciando di uccidere chiunque non se ne vada. Indossano uniformi militari e sono tutti armati.

Prima non era così. Le persone ora hanno paura di affrontare [i coloni] perché sono a mani nude e non ricevono nessun aiuto, dice.

Suo cugino, Zakaria al-Adra, il 12 ottobre è stato colpito a distanza ravvicinata dai coloni con proiettili esplosivi che gli hanno squarciato lo stomaco. Da allora ha subito cinque operazioni.

Anche la casa degli Huraini è stata assalita e lorto della famiglia, che coltivavano da sei anni, è stato demolito con i bulldozer e sostituito da un tendone. Al-Huraini riferisce che non possono spostarsi nella loro proprietà o muoversi per fare la spesa senza essere presi di mira.

“Se ti avvicini ai 20 metri dalla casa iniziano immediatamente a sparare”, dice.

Prima almeno non avevi la sensazione che avresti potuto essere ucciso a sangue freddo. Adesso è più facile”.

Lanno scorso, dopo un attacco durato settimane da parte dellesercito e dei coloni israeliani contro il suo villaggio, Huraini ha trovato un contenitore di gas lacrimogeno fuori dalla sua casa con su scritto Made in USA”.

Non era la prima volta che vedeva un contenitore del genere ma era la prima volta che notava la scritta.

Siamo schiacciati dal potere del denaro e delle armi statunitensi, scrisse in quell’occasione. I cittadini americani dovrebbero sapere dove vanno le loro tasse e cosa finanziano”.

Ora si chiede se anche qualcuna delle armi moltiplicatesi nelle ultime settimane sia americana.

Limiti della Leahy

Tutte le armi americane finanziate o fornite come aiuto militare statunitense dovrebbero essere soggette alla legge Leahy, dal nome di Patrick Leahy, lex senatore democratico del Vermont che nel 1997 ha ideato la regolamentazione.

Secondo la legge ai dipartimenti statali e alla difesa degli Stati Uniti è vietato fornire assistenza in materia di sicurezza a governi stranieri che siano oggetto di accuse credibili di violazioni dei diritti.

Ma sia Paul, lex funzionario dell’ufficio del Dipartimento di Stato che sovrintende ai trasferimenti di armi, sia lo stesso Leahy hanno affermato che nel caso di Israele la legge non è stata applicata.

Nel corso degli anni ho protestato sia con lamministrazione repubblicana che con quella democratica sulla necessità di applicare la legge ad Israele”, ha detto la scorsa settimana Leahy al News & Citizen, un settimanale del Vermont.

Queste amministrazioni hanno sostenuto che Israele ha un sistema giudiziario indipendente, per cui non ci sarebbe bisogno. Recentemente abbiamo assistito agli sforzi volti a rendere la magistratura ancora meno indipendente di prima”.

Paul riferisce a MEE che allinterno del Dipartimento di Stato, riguardo alla Legge Leahy, Israele viene trattato diversamente rispetto aquasi tutti gli altri Paesi al mondo”.

Invece di controllare preventivamente le unità militari prima che ricevano questa roba, la inviamo e poi controlliamo eventuali violazioni dei diritti umani, dice Paul.

In precedenza ha affermato che il dipartimento ha trovato moltiesempi di unità israeliane sospettate di gravi violazioni dei diritti umani, ma non è mai stato in grado di giungere ad alcuna conclusione per cui dovesse essere richiesta lapprovazione da parte degli alti funzionari.

Un portavoce del Dipartimento di Stato non ha commentato direttamente le osservazioni di Paul e Leahy ma ha detto a MEE che ci si aspetta che qualsiasi Paese che riceva assistenza per la sicurezza dagli Stati Uniti la utilizzi in conformità con il diritto umanitario internazionale e le leggi sui diritti umani, e in conformità con gli accordi che ne regolano luso. Israele, ha detto, non fa eccezione.

Dettagli opachi

Nel frattempo il pubblico americano ha informazioni limitate sul tipo e sulla quantità delle armi da fuoco esportate in Israele, sia attraverso aiuti militari che tramite vendite commerciali.

La mancanza di trasparenza riguardo alle vendite di armi e gli aiuti militari statunitensi a Israele, il maggiore destinatario degli aiuti militari statunitensi a livello mondiale, è ben documentata.

E’ netto il contrasto tra le note informative del governo americano sulle armi fornite allUcraina, compresi kit di pronto soccorso e bende, e la scarsità di informazioni su ciò che viene inviato a Israele.

Questa opacità vale anche per le armi inviate a Israele: i dati sulle esportazioni di armi da fuoco statunitensi, qualunque sia il Paese destinatario, sono notoriamente difficili da ottenere.

Ciò è dovuto, in parte, al fatto che esistono restrizioni legali scritte da autorità di controllo finanziate con le tasse su quali informazioni possano essere fornite su determinate vendite.

Al Congresso, ad esempio, vengono comunicate solo le vendite di armi di valore superiore a soglie monetarie che variano a seconda del tipo di vendita, ma queste sono più elevate per i Paesi della NATO e altri cinque, compreso Israele.

Ciò significa che le vendite di armi leggere, che sono meno costose rispetto ad altri armamenti, sono particolarmente inclini a restare al di sotto della soglia e ciò ha determinato miliardi di dollari di vendite “non dichiarate al Congresso e al pubblico americano”, ha detto Mauldin.

I dettagli vengono regolarmente nascosti anche dai dipartimenti governativi statunitensi che sovrintendono alle licenze per l’esportazione di armi perché sostengono che si tratta di informazioni riservate la cui diffusione potrebbe indebolire le aziende statunitensi.

Le informazioni più dettagliate che MEE è riuscito a trovare sono i dati dell’US Census Bureau che mostrano che il valore totale delle armi e loro componenti esportate dagli Stati Uniti in Israele ha superato solo nei primi nove mesi di quest’anno il totale dei tre anni precedenti per ben cinque tipologie di armamenti.

Il valore degli articoli esportati che è aumentato in modo significativo riguarda rivoltelle e pistole, alcuni tipi di fucili, accessori e pezzi di ricambio per fucili e cartucce.

Seth Binder, direttore del settore assistenza legale presso il Project on Middle East Democracy a Washington, DC, ha affermato che il picco suggerito dai dati non è una grande sorpresa data l’intensità degli attacchi dei coloni in Cisgiordania e l’allentamento negli ultimi anni delle leggi israeliane al fine di consentire la concessione di più licenze di porto d’armi.

Quanto di questo proviene da finanziamenti militari stranieri? Sarebbe piuttosto interessante saperlo, ma queste informazioni non sono disponibili”, afferma Binder.

Ha ragione: i dati dellUS Census Bureau non dicono se i finanziamenti statunitensi siano stati forniti per assistere il governo o le aziende israeliane in questi acquisti o se alcuni [prodotti] siano stati inviati gratuitamente.

Quindi, anche se i dati mostrano che questanno c’è stato un forte aumento di componenti di armi e munizioni militari, non è chiaro quanto di questo sia stato sottoscritto dal governo degli Stati Uniti o dai contribuenti. Ma dalle bombe alle armi da fuoco, conoscere i dettagli è importante, sostiene Paul.

C’è qui un interesse intrinseco dei contribuenti statunitensi, prima di tutto su come vengono spesi i dollari dei contribuenti e se il modo in cui vengono spesi fornisce un netto positivo per la politica estera degli Stati Uniti, afferma.

Ciò è particolarmente vero in Israele, dove le armi americane sono lago della bilancia del conflitto.

“Le armi leggere e di piccolo calibro possono causare più danni di quanto la gente creda, in un modo più nascosto”, dice Mauldin.

“Ma il problema più grande è che ovviamente i finanziamenti statunitensi influenzeranno in modo sproporzionato il conflitto nel momento in cui concediamo miliardi di dollari, fondamentalmente una sovvenzione affinché Israele possa acquistare qualunque cosa voglia dagli Stati Uniti, comprese le armi leggere e di piccolo calibro”.

Limitazioni al monitoraggio

E c’è un altro mistero: dove sono le armi e componenti americane già presenti in Israele? Né il Dipartimento di Stato, che monitora le vendite commerciali, né il Dipartimento della Difesa, che monitora le vendite militari, sono in grado di tracciare le armi leggere.

Il programma Blue Lantern del Dipartimento di Stato pone fine ai controlli su circa il 2% delle licenze di esportazione di armi ogni anno, concentrandosi solitamente su nuove entità che compaiono nelle richieste di licenza o su aree in cui sussistono specifiche preoccupazioni guidate dallintelligence.

Quindi, per quanto riguarda le armi da fuoco destinate a Israele, è molto improbabile che si esegua qualsiasi tipo di controllo sulluso finale, presupponendo che siano destinate al governo israeliano e tramite entità logistiche note, afferma Paul.

Il programma Golden Sentry [sentinella d’oro, ndt.] del Dipartimento della Difesa si occupa in genere di armi molto più grandi e costituisce più uno strumento di controllo sulla localizzazione effettiva delle armi nellarsenale indicato da un’autorità militare straniera.

Gli esperti di armi con cui MEE ha parlato nelle ultime settimane hanno affermato che in questo momento il modo più semplice per rintracciare le armi americane in Cisgiordania sarebbe un’indagine fotografica.

Ma c’è anche un altro modo di vedere l’intera questione: anche se non è possibile risalire esattamente a dove siano finite le armi da fuoco statunitensi o se vengano utilizzate dai coloni in Cisgiordania, gli Stati Uniti sono comunque implicati.

Stiamo fornendo 3,8 miliardi di dollari in aiuti militari [all’anno, ndt.]. Si tratta di 3,8 miliardi di dollari che il governo israeliano non ha bisogno di utilizzare per lequipaggiamento militare perché lo forniamo noi, afferma Binder.

Fornire armi americane a Israele, sia attraverso aiuti militari sia attraverso vendite commerciali approvate dal governo degli Stati Uniti, funziona allo stesso modo.

Israele ha una propria industria nazionale e quindi, mentre garantisce che non forniranno armi americane ai coloni israeliani, di fatto lascia che le armi israeliane arrivino ai coloni, dice, aggiungendo che sarebbe rilevante e preoccupante se in questo momento le armi prodotte negli Stati Uniti venissero usate dai coloni.

In ogni caso, dal momento che lesercito israeliano o chiunque allinterno della linea verde utilizza armi statunitensi, se i coloni iniziassero a servirsi di quelle israeliane che differenza farebbe?

Huraini, che si sta preparando a tornare a casa per far visita alla sua famiglia ad Atuwani, ha detto di non essere un esperto di armi e di non essere sicuro se nei filmati che ha raccolto nelle ultime settimane i coloni stiano usando armi da fuoco americane.

Ma trova difficile capire come gli americani possano tollerare una tale politica finanziaria.

In realtà le persone stanno sostenendo con i loro soldi il genocidio, i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani, prosegue.

Non so dove [i soldi] siano finiti esattamente, per quali aiuti. Ma alla fine stanno sostenendo questo regime di apartheid che ha commesso di tutto contro il [nostro] popolo”.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Forze israeliane uccidono tre palestinesi durante un’incursione militare su vasta scala a Jenin

Redazione di Palestine Chronicle

17 novembre 2023 – Palestine Chronicle

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese WAFA ha informato che nelle prime ore di venerdì mattina tre palestinesi sono stati uccisi e molti altri feriti quando le forze di occupazione israeliane hanno preso di mira con attacchi con i droni il campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

Testimoni oculari nel campo hanno dato notizia che nel quartiere di Hawashin del campo profughi un drone israeliano ha bombardato un assembramento di palestinesi, provocando la tragica uccisione di tre persone e il ferimento di altre nove, alcune in condizioni critiche.

Le vittime sono state identificate come il ventitreenne Baha Jamal Lahlouh, in trentaquattrenne Mohammed Azmi Husseiniya e Mohammed Abu Al-Hassan, di 28 anni.

Invasione su vasta scala

L’incursione israeliana a Jenin ha impegnato una significativa presenza militare, compresi unità speciali e bulldozer blindati.

Le forze di occupazione hanno attaccato vari quartieri in città e nel vicino campo profughi, schierando cecchini sui tetti di alcuni edifici.

Durante il raid le forze israeliane hanno fatto irruzione in una struttura residenziale del quartiere di Jabariyat in città, arrestando alcuni palestinesi e facendo esplodere diversi veicoli di proprietà della famiglia Rukh. L’attacco militare israeliano si è esteso ai quartieri di Jabal Abu Dhuhair, Khallet al-Soha ed alla periferia del campo profughi di Jenin.

Scavatrici Caterpillar D9 che accompagnavano i soldati israeliani hanno anche iniziato a devastare infrastrutture in città e all’ingresso del campo profughi di Jenin, provocando danni alle strade e alle auto parcheggiate.

Sono state segnalate interruzioni nelle comunicazioni in quanto le forze israeliane hanno bloccato il segnale nella città e nel campo di Jenin, ed è stata tolta l’elettricità in vari quartieri della città.

Un ospedale assediato

Inoltre l’esercito israeliano ha assediato anche l’ospedale Ibn Sina di Jenin, ha interrogato il personale medico e ha creato una situazione di tensione nella zona.

Secondo testimoni, l’ospedale è stato circondato per parecchie ore, con accurate perquisizioni da parte dell’esercito israeliano di ambulanze che si trovavano nei pressi e richieste di evacuazione dell’ospedale attraverso altoparlanti.

Testimoni oculari hanno anche raccontato che le forze israeliane hanno evacuato dall’ospedale con la forza personale medico, obbligandolo a stare con le mani in alto prima di sottoporlo a perquisizioni nel cortile dell’ospedale.

Le fonti affermano che parecchi lavoratori della sanità sono stati interrogati.

Nel contempo l’esercito israeliano di occupazione si è schierato nei pressi dell’ospedale governativo di Jenin lanciando una raffica di candelotti lacrimogeni tossici. L’uso indiscriminato di agenti chimici nei pressi dell’ospedale ha provocato problemi respiratori a molti civili a causa dell’inalazione di gas.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Israele-Palestina: l’esercito israeliano effettua un nuovo raid mortale in Cisgiordania mentre cresce il bilancio di morti a Gaza

Fayha Shalash, Ramallah

14 Novembre 2023, Middle East Eye

Un attacco di 15 ore a Tulkarem provoca la morte di sette palestinesi e porta il bilancio delle vittime in Cisgiordania a quasi 200 in cinque settimane

Martedì le forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi durante un raid di 15 ore nella città occupata di Tulkarem in Cisgiordania.

L’incursione ha comportato il bombardamento di una casa a colpi di droni, il lancio di gas lacrimogeni in un ospedale, il blocco delle ambulanze che soccorrevano i feriti e la distruzione massiccia di strade e negozi.

Questo nel contesto di un’escalation della violenza israeliana contro i palestinesi in Cisgiordania che procede insieme alla campagna di bombardamenti nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre.

L’ultimo raid a Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, è iniziato lunedì sera, quando le forze speciali israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi della città e sparato a due palestinesi all’interno di un bar.

Sono stati identificati come Mahmoud Hadaida, 25 anni, e Hazem al-Hosari, 29 anni, padre di tre figli e proprietario di un supermercato vicino al campo.

Abu Suhaib al-Hosari, suo zio, ha detto a Middle East Eye che Hazem era seduto con il suo amico in un noto bar quando le truppe israeliane li hanno presi di sorpresa e gli hanno sparato a distanza ravvicinata.

“Quando abbiamo ricevuto la notizia, ho lasciato il campo con il fratello di Hazem; siamo andati in ospedale e ho visto che era stato colpito al petto”, ha detto Abu Suhaib.

“Era ambizioso e sempre allegro, ma come tutti i palestinesi era oppresso dall’occupazione israeliana e dalla sua continua aggressione ovunque”, ha aggiunto.

Immediatamente dopo la sparatoria l’esercito israeliano ha inviato larghi rinforzi al campo, scatenando scontri con palestinesi armati.

Nella notte un attacco di droni ha colpito una casa nel campo, uccidendo almeno tre persone.

Nel frattempo, i bulldozer militari hanno raso al suolo le strade del campo, vandalizzando rotonde e vetrine di negozi, mentre i cecchini prendevano posizione sui palazzi più alti.

I residenti sono stati costretti a rimanere in casa durante il raid, compresa la famiglia di Hazem che per ore non è riuscita a raggiungere l’ospedale per dargli l’addio.

In un comunicato la Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS) ha dichiarato che al suo personale è stato impedito di raggiungere i feriti, ciò che ha causato la morte di molti.

In un caso, le jeep militari hanno fermato un’ambulanza della PRCS diretta all’ospedale, arrestando una persona ferita all’interno.

All’ingresso dell’ospedale Thabet Thabet le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni, come mostrano i filmati pubblicati dai media locali.

Punizione colletiva”

Nelle ultime settimane Tulkarem è stata obiettivo frequente delle forze israeliane.

Il mese scorso l’esercito israeliano ha fatto irruzione nel campo profughi di Nur Shams, a est della città di Tulkarem, in un’operazione durata 24 ore che ha lasciato 13 palestinesi uccisi ed estese distruzioni.

Dal 7 ottobre le forze israeliane hanno ucciso 196 palestinesi in Cisgiordania, quasi lo stesso numero di persone uccise tra gennaio e settembre.

Hassan Khreisha, ex vicepresidente del Consiglio Legislativo Palestinese, ha affermato che l’esercito israeliano sta aumentando le sue aggressioni in Cisgiordania dato che l’attenzione del mondo è rivolta all’attacco su Gaza.

Distruggere le infrastrutture e radere al suolo le strade significa imporre una punizione collettiva e smantellare l’incubatrice popolare della resistenza”, ha detto Khreisha a MEE.

Eppure tutte le volte Israele fallisce e non elimina la resistenza all’interno dei campi”, ha aggiunto.

L’atteggiamento “isterico” con cui l’esercito agisce in Cisgiordania, ha spiegato Khreisha, è in parte dovuto al tentativo di inviare il messaggio che sostenere la lotta armata comporta pagare un prezzo.

Durante il raid di martedì l’esercito israeliano ha distribuito manifesti con la scritta “il terrorismo sta distruggendo il campo” nel tentativo di rivolgere l’opinione pubblica contro i combattenti della resistenza locale.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Israele arresta l’attivista palestinese Ahed Tamimi durante raid in Cisgiordania

Redazione di Al Jazeera

6 novembre 2023 – Al Jazeera

La ventiduenne icona palestinese è stata arrestata durante l’ennesima notte di incursioni israeliane nella Cisgiordania occupata.

Forze israeliane hanno arrestato Ahed Tamimi, famosa attivista palestinese di 22 anni, per “incitamento al terrorismo”.

Hanno annunciato l’arresto lunedì, in seguito a un’altra serie di incursioni notturne e combattimenti nella Cisgiordania occupata. dove dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas lo scorso mese la violenza si è accentuata.

Il corrispondente di Al Jazeera Zein Basravi ha informato di molteplici incursioni dell’esercito israeliano in Cisgiordania, anche nel villaggio di Nabi Saleh, nei pressi di Ramallah, dove è stata arrestata Ahed Tamimi.

L’attivista “è stata incarcerata in quanto sospettata di incitare alla violenza e ad attività terroristiche,” ha affermato un portavoce dell’esercito. “Tamimi è stata affidata alle forze di sicurezza israeliane per ulteriori interrogataori.”

Nariman Tamimi, la madre dell’attivista, ha detto all’agenzia di notizie Anadolu [agenzia di stampa ufficiale turca, ndt.] che le forze israeliane hanno perquisito la casa e confiscato i telefonini dei membri della famiglia. Suo padre Bassen Tamimi è stato arrestato la scorsa settimana dalle forze israeliane durante un raid in città, e non ci sono informazioni sulla sua sorte.

Mezzi di informazione israeliani hanno detto che in un post su Instagram Ahed Tamimi ha esortato all’uccisione di coloni in Cisgiordania. Interpellata riguardo alla ragione del suo arresto, una fonte della sicurezza israeliana ha condiviso con l’AFP [agenzia di stampa francese, ndt.] il presunto post su Instagram.

Tuttavia Nariman nega che sua figlia abbia scritto il post: “Con il nome di Ahed e la sua foto ci sono decine di pagine (in rete) senza alcun rapporto con lei,” afferma.

L’esercito israeliano ha festeggiato l’arresto di Ahed Tamimi pubblicando su Facebook una sua foto e la domanda: “Dov’è ora il suo sorriso?”

Famiglia di attivisti

Tamimi e i membri della sua famiglia sono attivisti molto noti e da quasi un decennio guidano la resistenza non-violenta di Nabi Saleh.

Suo padre è stato arrestato varie volte dalle forze israeliane ed ha passato almeno quattro anni in carcere.

Ahed Tamimi è un simbolo della resistenza palestinese da quando è diventato virale un video del 2012 di un diverbio con un soldato israeliano arrivato a casa sua per arrestare il fratello.

Era già stata arrestata, insieme a sua madre e a sua cugina Nour, di 20 anni, dall’esercito israeliano nel dicembre 2017 in seguito a ulteriori scontri.

Incriminata per 12 accuse, tra cui aggressione, incitamento e precedenti casi di lancio di pietre, è stata incarcerata per otto mesi.

Incusioni notturne

Ahed Tamimi è stata arrestata nel corso di un’altra notte di incursioni israeliane e combattimenti nella Cisgiordania occupata, mentre le forze di occupazione hanno intensificato i raid notturni contro case, villaggi e cittadine palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate.

Informando da Ramallah, Basravi ha detto che è stata una notte caotica, con varie cittadine in tutta la Cisgiordania che hanno assistito a incursioni e scontri aperti tra l’esercito e combattenti armati palestinesi. Le immagini mostrano strade e automobili distrutte.

Uno dei raid più pesanti è avvenuto nel campo profughi di Shuafat [a Gerusalemme est, ndt.], noto perché vi si trovano vari gruppi armati palestinesi. Durante un’intervista in diretta l’esercito israeliano ha arrestato Rafat Alian, un consigliere del governo dell’Autorità Palestinese (AP) e membro di Fatah.

Dal 7 ottobre nel corso delle incursioni notturne in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate Israele ha arrestato circa 1.740 palestinesi.

La maggioranza è stata trattenuta in base a leggi e ordinanze militari che consentono la detenzione senza processo o accuse.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: un secondo palestinese muore in due giorni in una prigione israeliana

Redazione di MEE

24 ottobre 2023 – Middle East Eye

L’autorità giudiziaria ha affermato che martedì un detenuto palestinese di 25 anni è morto nella prigione di Ofer. È il secondo prigioniero a morire in carcere da lunedì.

La Commissione per gli Affari dei Detenuti ed Ex-detenuti Palestinesi ha identificato il prigioniero in Arafat Hamdan originario della città di Beit Sira, nella parte settentrionale della Cisgiordania occupata. Hamdan è stato arrestato domenica.

Dal 7 ottobre, quando combattenti palestinesi hanno lanciato a sorpresa un attacco per terra, aria e mare s sud di Israele, uccidendo 1.400 israeliani, Israele ha effettuato una campagna di arresti di massa in tutta la Cisgiordania.

Le autorità israeliane in precedenza avevano affermato che il prigioniero non si era sentito bene ed era stato trasferito per esami nell’infermeria del carcere, “dove il dottore ha dichiarato la sua morte”.

La Commissione ha affermato che “l’occupazione ha cominciato una operazione di assassinio sistematico contro i prigionieri nel contesto di una campagna di aggressione totale contro il nostro popolo.”

Un giorno prima il prigioniero palestinese Omar Darghmeh, che Hamas ha dichiarato essere un suo membro, è morto in prigione in circostanze non chiare.

Israele ha affermato che Darghmeh è morto per motivi di salute, ma i palestinesi hanno restituito al mittente l’affermazione, dicendo che è morto per tortura.

Daraghmeh era stato incarcerato con suo figlio il 9 ottobre in Cisgiordania.

La morte dei detenuti è avvenuta perché dall’inizio della guerra Israele ha incrementato la sua repressione contro i prigionieri palestinesi.

Le autorità giudiziarie hanno implementato una serie di misure punitive che hanno visto i detenuti confinati nelle loro celle senza accesso ai cortili, ai dispositivi elettronici e alle visite della famiglia e dell’avvocato.

Le testimonianze del Club dei Prigionieri Palestinesi e di carcerati riferiscono che i detenuti sono anche soggetti giornalmente ad essere picchiati duramente, intimiditi, sottoposti a incursioni e a danneggiamenti o confische dei beni.

Le autorità giudiziarie hanno chiuso i negozi di cibo e ai prigionieri si è ridotto il cibo a due pasti al giorno con porzioni ridotte.

Il portavoce del Club dei Prigionieri, Amani Sarhana, ha affermato a Middle East Eye che i detenuti stanno attraversando uno dei “periodi più difficili e crudeli” dato che devono sopportare isolamento, oppressione e fame.

Sono state interrotte anche le cure mediche. Non stiamo più parlando di prigionieri soggetti a cure mediche insufficienti, ma piuttosto del taglio completo dell’assistenza sanitaria,” ha affermato Sarhana.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Guerra Israele-Palestina: coloni e soldati “commettono gravi abusi” su palestinesi e attivisti

Redazione di MEE

19 ottobre 2023 – Middle East Eye

Sulla base di un report di Haaretz tre palestinesi e cinque attivisti israeliani di sinistra detenuti, legati, picchiati e umiliati sessualmente dalle forze israeliane

Uno degli uomini, Mohammed Matar, 46 anni, noto come Abu Hassan, ha riferito ad Haaretz che quanto hanno vissuto è stato simile alle torture e agli abusi sui prigionieri perpetrati dalle forze statunitensi nella prigione irachena di Abu Ghraib.

I palestinesi sono stati rilasciati in serata da funzionari dellAmministrazione Civile, lorgano di governo israeliano nella Cisgiordania occupata. Sono stati portati all’ospedale di Ramallah gravemente feriti e dopo aver subito il furto della maggior parte delle cose in loro possesso, tra cui un’auto e dei contanti.

Un portavoce dell’esercito israeliano ha detto ad Haaretz che è stata aperta un’indagine sull’incidente e che come risultato un comandante è stato rimosso.

I Palestinesi denudati e torturati dai coloni. Foto (social media)

Lo stesso giorno degli attivisti israeliani di sinistra giunti sul posto con un bambino sono stati aggrediti e trattenuti per diverse ore.

I soldati e i coloni hanno minacciato di ucciderli e hanno continuato a picchiare alcuni di loro. Gli attivisti, che sono stati rilasciati dopo tre ore di prigionia, hanno raccontato che a un certo punto un giovane colono in abiti civili è stato incaricato di sorvegliarli.

La violenza dei coloni

Abu Hassan e Mohammed Khaled, 27 anni, entrambi dipendenti dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che avevano trascorso sette settimane a Wadi al-Siq in aiuto degli abitanti, hanno riferito al giornalista di Haaretz Hagar Shezaf che erano già saliti in macchina per lasciare il villaggio quando sono arrivati i coloni e i soldati in uniforme militare, tutti armati e per la maggior parte a volto coperto”.

Secondo quando riferito da Abu Hassan e Khaled i coloni, dopo averli catturati, bloccati a terra e legate le loro mani con delle corde hanno iniziato a picchiarli con le armi, tenendo la loro testa bloccata al suolo e calpestandoli.

Sono stati mostrati alcuni coltelli, secondo i coloni e i soldati di proprietà dei palestinesi, ma che secondo questi ultimi erano stati introdotti nei loro bagagli.

I prigionieri palestinesi hanno detto ad Haaretz che durante la loro prigionia ad un certo punto è sopraggiunto del personale che ha dichiarato di far parte dello Shin Bet, lagenzia di sicurezza interna israeliana, che li ha interrogati e commesso abusi su di loro. Lo Shin Bet ha negato le accuse.

I tre palestinesi detenuti e torturati hanno riferito che era difficile distinguere i coloni dai soldati.

I prigionieri affermano che dopo una prima fase della detenzione sono stati condotti con gli occhi bendati e le mani legate con filo d’acciaio in un edificio vuoto.

“Ci hanno messo a pancia in giù e uno di loro ha portato un coltello e ci ha strappato i vestiti”, dice Abu Hassan ad Haaretz. Siamo rimasti solo in mutande”.

Hanno continuato a picchiarci, afferma Khaled. Ci hanno picchiati anche con un tubo di ferro e dei coltelli. Mi hanno colpito ovunque, sulle mani, sul petto e sulla testa. Ovunque. Ci hanno spento addosso le sigarette, hanno cercato di strapparmi le unghie”.

Abu Hassan dice che la sua faccia è stata sbattuta nella spazzatura ed escrementi che coprivano il pavimento dell’edificio. Sono stati interrogati e gli è stato chiesto ripetutamente dove intendessero “effettuare l’attacco con i coltelli” che sostenevano fossero in nostro possesso. Riferiscono di aver anche subito domande personali sulle loro famiglie.

La violenza è continuata per tutto il tempo, dice Abu Hassan ad Haaretz. Ci hanno versato addosso dellacqua, ci hanno urinato addosso. Dopodiché qualcuno con in mano un bastone ha provato a ficcarmelo nel sedere. Ho resistito con tutte le mie forze finché non ha desistito”.

Secondo i due palestinesi dopo circa sei ore sono stati portati fuori dall’edificio pieno di escrementi, a piedi nudi e in mutande. Non erano a conoscenza della presenza di un terzo palestinese, Majed, che era stato legato con una corda e a cui era stato sequestrato il telefono e che in seguito ha trascorso due notti in ospedale.

I tre palestinesi sono stati rilasciati in serata.

“Tutti gli arabi sono una merda”

Secondo il report nel frattempo cinque attivisti israeliani di sinistra sono stati trattenuti per ore dai coloni.

Quando ci hanno visto, hanno iniziato a inseguirci, ha riferito ad Haaretz uno degli attivisti. “Alcuni di loro erano in uniforme, o per metà in uniforme e per metà in abiti civili, ma i veicoli erano civili.”

Abu Hassan dice ad Haaretz che pensava di essere stato preso di mira e sottoposto ad abusi così gravi in quanto conosciuto tra i coloni come attivista che aiuta le comunità di pastori della zona.

“Hanno voluto trasmettere due messaggi: primo, che gli ebrei sono furiosi in seguito [ai fatti riguardanti, ndt.] la Striscia di Gaza, secondo, che noi arabi non dobbiamo osare a metterci contro di loro”, prosegue.

Ho detto loro che ero contro Hamas e contro la Jihad islamica palestinese ma a loro non interessava. Hanno detto che tutti gli arabi sono una merda e che dovremmo essere mandarli in Giordania. Ciò che è accaduto non ha nulla a che fare con la legge, lordine o la condotta di un Paese civile. Si tratta semplicemente di gang coordinate”.

Gli eventi si svolgono in un contesto di crescente violenza e tensione in Cisgiordania a causa della guerra israelo-palestinese in corso.

Le forze israeliane hanno imposto un rigido blocco in tutta la Cisgiordania, chiudendo le città, posizionando barriere e blocchi di cemento agli ingressi di villaggi e città e sparando sui manifestanti.

Dal 7 ottobre, dopo lo scoppio della guerra a seguito di un attacco a sorpresa condotto da Hamas contro Israele, hanno ucciso decine di civili palestinesi e ne hanno arrestato almeno 870. Allo stesso tempo, gli attacchi dei coloni sono aumentati del 40%.

Dallo scoppio della guerra nella Cisgiordania occupata sono state uccise almeno 72 persone mentre a Gaza sono morte almeno 3.785 persone e 1.400 in Israele.

Martedì scorso, due giorni prima dellattacco contro i palestinesi e gli attivisti di sinistra, il ministro israeliano di estrema destra della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha annunciato che il suo ministero è in procinto di acquistare 10.000 fucili per armare le squadre di sicurezza civile anche negli insediamenti coloniali in Cisgiordania.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)