Annessione israeliana: se questa volta Abbas fa sul serio, i palestinesi dovrebbero appoggiare la reazione dell’ANP

Ghada Karmi

18 giugno 2020 – Middle East Eye

Se Israele procederà con la prevista annessione il presidente dell’ANP ha redatto una tabella di marcia per riportare la Cisgiordania occupata ai giorni pre-Oslo

Il mese scorso il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha tenuto un duro discorso a Ramallah, denunciando la prevista annessione di Israele e minacciando ritorsioni.

Abbas ha presentato un piano di ritorsioni, ma come nel caso del ragazzo che gridava al lupo, nessuno gli crederà fino a quando non accadrà davvero.

A prima vista, il piano non contiene molto che non sia già stato minacciato, ma che non è mai stato messo in pratica, nemmeno in momenti di gravi provocazioni, come nel 2017, quando Israele ha installato dei metal detector agli ingressi dell’area della moschea di al-Aqsa, o nel 2018, quando l’ambasciata americana fu trasferita a Gerusalemme in violazione del diritto internazionale. Questa volta sarà diverso?

Fine delle relazioni

C’è ragione di crederlo. Il piano di Abbas è più dettagliato delle minacce precedenti, e stabilisce le misure che riporterebbero la Cisgiordania occupata ai giorni precedenti [rispetto agli accordi di] Oslo se Israele procedesse con la progettata annessione.

Prima che nel 1993, con gli accordi di Oslo, fosse creata l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), era Israele, in quanto potenza occupante, ad essere responsabile del benessere quotidiano, dei servizi, degli stipendi e della polizia per la popolazione palestinese. Dopo Oslo, [Israele] è stato in grado di scaricare questi oneri sull’ANP, e questa è da allora la situazione. 

Il piano di Abbas prevede di porre fine a quegli accordi, interrompendo tutte le relazioni con Israele, compreso il coordinamento per la sicurezza, chiamandosi fuori da Oslo. Ciò potrebbe includere lo scioglimento dell’ANP, con il suo ruolo ridotto a funzioni civili come la gestione di scuole, ospedali e stazioni di polizia. La soluzione a due Stati, annientata dall’annessione israeliana, non sarebbe più un’opzione.

Ne dovrebbero seguire drastici tagli al bilancio dell’ANP, riducendo gli stipendi di migliaia di persone, impiegate nella sicurezza e altro. Il pagamento mensile di 105 milioni di dollari a Gaza verrebbe tagliato e il trasferimento delle tasse finora raccolte da Israele per conto della ANP si interromperebbe, causando gravi perdite finanziarie e forse addirittura la chiusura totale delle attività del governo.

In altri ambiti, l’ANP cesserebbe di pagare per le cure mediche dei palestinesi ricoverati negli ospedali israeliani. Le autorizzazioni per l’ingresso dei lavoratori palestinesi in Israele non verrebbero più trattate dall’ANP, che significherebbe la non ammissione e una conseguente perdita di redditi. I lavoratori disperati dovrebbero quindi richiedere i permessi direttamente all’amministrazione militare israeliana dei territori occupati.

Fine al coordinamento per la sicurezza

L’aspetto più significativo del piano, tuttavia, è la minaccia di porre fine al coordinamento per la sicurezza con Israele e gli Stati Uniti. Abbas questa volta sembra fare sul serio, e secondo fonti israeliane il processo è già iniziato.

Secondo quanto riferito, la CIA è stata informata dell’intenzione dell’Autorità Nazionale Palestinese che i suoi 30.000 agenti armati della polizia e dell’intelligence cessino di comunicare con le loro controparti israeliane e statunitensi già all’inizio del mese prossimo, essendo l’annessione prevista a partire dal 1 ° luglio. È stato riferito che le forze di sicurezza dell’ANP hanno iniziato a ritirarsi dall’area B, per la maggior parte controllata da Israele ma con un ruolo ridotto dell’ANP.

Se Abbas decide di continuare su questa strada, il prezzo per i palestinesi sarà alto: 80.000 impiegati dell’ANP – il 44 % di tutto il settore pubblico – che lavorano nel settore della sicurezza rimarranno senza stipendio, con tagli di bilancio di circa un terzo del totale delle uscite dell’ANP. La fine del coordinamento per la sicurezza sarà anche un duro colpo per Israele, che per decenni ha fatto affidamento sul subappalto all’ANP delle attività di polizia in Cisgiordania.

Il calcolo di Abbas è che sicuramente la violenza, premeditata o spontanea, sarà fomentata da queste difficoltà e inevitabilmente esploderà nella Cisgiordania occupata, costringendo Israele a controllare nuovamente la popolazione palestinese. Rimane senza risposta il dubbio se ciò accadrà veramente.

Hamas e molti all’interno di Fatah hanno manifestato il proprio appoggio al piano di Abbas, ma esso ha suscitato uno scarso interesse nella società civile palestinese nel suo complesso, che si ricorda di minacce simili in precedenza finite nel nulla. C’è una generale disillusione nei confronti della dirigenza palestinese, vista come incompetente e corrotta. Di conseguenza, nella stampa palestinese ci sono stati pochi commenti e analisi sul piano di Abbas.

Evitare il collasso

Il fatto che le precedenti minacce dell’ANP di porre fine alla cooperazione per la sicurezza con Israele siano state vane è comprensibile. Israele ha il controllo totale sul movimento di persone e beni all’interno dei territori occupati. Lo stesso Abbas deve chiedere il permesso a Israele per viaggiare e le competenze essenziali dell’ANP dipendono dall’autorizzazione di Israele. Senza di essa l’attività economica nella Cisgiordania occupata collasserebbe, paralizzando l’ANP.

Eppure Abbas non ha alternative. Se Israele procede all’annessione, ciò porrà fine alla ragione di esistere dell’ANP. L’Autorità è nata per costruire uno Stato palestinese; l’annessione renderebbe obsoleto questo progetto. In questo contesto la risposta dell’ANP è razionale e l’unico modo per salvare sé stessa dal crollo.

Questo triste ciclo di eventi risale ad Oslo, e prima di questo, all’inesplicabile autorizzazione concessa dal 1967 ad Israele dalla comunità internazionale di colonizzare i territori palestinesi e di imporre il controllo su ogni aspetto della vita dei palestinesi. In questo senso, l’ultima spinta verso l’annessione da parte di Israele non è una sorpresa – e il contro-progetto palestinese arriva semmai troppo tardi.

Ciò lascia aperta una serie di questioni fondamentali: come saranno affrontate le pesanti conseguenze per la popolazione? Che tipo di piano esiste per affrontare la risposta israeliana, che sarà brutale?

Anche con tutto questo, e nonostante tutte le sue lacune, il piano di Abbas merita che i palestinesi mettano da parte il loro scetticismo e lo appoggino, come dovrebbe fare chiunque sia solidale con loro.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Ghada Karmi è un’ex-assegnista di ricerca all’Istituto per gli Studi Arabi e Islamici dell’università di Exeter. È nata a Gerusalemme ed è stata obbligata a lasciare la sua casa con la sua famiglia in seguito alla creazione di Israele nel 1948. La famiglia andò in Inghilterra, dove lei è cresciuta ed ha studiato. Per molti anni Karmi ha esercitato la professione medica lavorando come specialista nella cura di migranti e rifugiati. Dal 1999 al 2001 Karmi è stata membro del Royal Institute of International Affairs [Istituto Reale di Affari Internazionali], dove ha guidato un importante progetto sulla riconciliazione tra israeliani e palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Rapporto OCHA del periodo 2 – 15 giugno

In Cisgiordania, a motivo della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, sono state demolite o sequestrate 70 strutture di proprietà palestinese, sfollando 90 persone e creando ripercussioni su almeno oltre 280.

Ciò rappresenta un aumento del 250% rispetto alla media settimanale di strutture prese di mira dall’inizio dell’anno (10). 61 delle strutture colpite erano situate in Area C, e 9 [delle 61] erano state fornite come assistenza umanitaria. Tra le aree più colpite c’è Massafer Yatta, nel sud di Hebron, dove le autorità israeliane hanno demolito 17 abitazioni, cisterne e strutture collegate al sostentamento. Questa zona è designata da Israele come “Zona di tiro” per le esercitazioni militari israeliane, ed i suoi 1.300 residenti devono affrontare un contesto coercitivo che li mette a rischio di trasferimento forzato. Nove delle 70 strutture colpite si trovavano a Gerusalemme Est; quattro di queste sono state demolite dai medesimi proprietari palestinesi, al fine di evitare oneri imposti dalla municipalità e possibili danni ad altre strutture adiacenti o ad effetti personali. Nel contesto della pandemia in corso, l’aumento delle demolizioni e degli sfollamenti desta serie preoccupazioni.

In Cisgiordania, 25 palestinesi, tra cui nove minori, sono rimasti feriti in scontri con forze israeliane. Dei 25 feriti, 22 sono stati registrati durante le ormai consuete dimostrazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya), tenute per protestare contro le restrizioni di accesso e l’espansione degli insediamenti. Dei tre rimanenti, uno è rimasto ferito nei pressi di Tubas, durante una protesta contro la prevista annessione ad Israele di parti della Cisgiordania, e due durante operazioni di ricerca-arresto svolte nel quartiere Al Isawiya di Gerusalemme Est e nella città di Qabatiya (Jenin). Rispetto alle cause delle lesioni, dodici dei feriti sono stati colpiti da proiettili di metallo rivestiti di gomma; dieci hanno inalato gas lacrimogeno (e sono stati sottoposti a trattamento medico); due sono stati aggrediti fisicamente ed uno è stato colpito da una bomboletta di gas lacrimogeno.

Durante il periodo in esame [2-15 giugno], le forze israeliane hanno effettuato 120 operazioni di ricerca-arresto, arrestando circa 190 palestinesi. Di queste operazioni, 28 sono state svolte a Gerusalemme Est, 26 nel governatorato di Hebron, 15 nel governatorato di Ramallah e le rimanenti in altre località della Cisgiordania.

Nella Striscia di Gaza, in aree adiacenti alla recinzione perimetrale israeliana ed al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco in almeno 35 occasioni, presumibilmente per imporre le restrizioni di accesso. Non sono stati segnalati feriti. In altre cinque occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia, ad est di Gaza, Beit Lahiya, Jabaliya e Rafah ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino alla recinzione perimetrale.

Un gruppo armato palestinese ha lanciato un missile verso Israele, a seguito del quale le forze israeliane hanno bombardato alcuni siti militari ed aree aperte vicine alla recinzione perimetrale. Questi attacchi reciproci non hanno causato feriti, ma i siti di Gaza bombardati hanno subito danni. Inoltre, per la prima volta dopo diversi mesi, da Gaza sono stati lanciati un certo numero di palloncini incendiari verso il sud di Israele; non sono stati segnalati danni.

L’uscita di pazienti palestinesi da Gaza attraverso il valico di Erez è pregiudicata dalla sospensione, attuata dall’Autorità Palestinese (PA), di ogni forma di coordinamento con le Autorità israeliane. Quest’ultima misura è stata adottata [dalla PA] in risposta all’intento di Israele di annettersi parti della Cisgiordania. A partire dal 21 maggio, l’Autorità Palestinese concorda con Israele solo l’uscita di casi eccezionali di pronto soccorso. In qualche caso, richieste di uscita di pazienti sono state inoltrate alle Autorità israeliane da Organizzazioni per i Diritti Umani. Dall’11 marzo, nel contesto delle restrizioni imposte per contenere la pandemia di COVID-19, il valico di Rafah con l’Egitto è stato completamente chiuso per chi voleva uscire da Gaza, compresi i pazienti.

Dieci palestinesi sono rimasti feriti e almeno 90 alberi di ulivo e dieci veicoli sono stati vandalizzati da aggressori ritenuti coloni israeliani [segue dettaglio]. Tra i feriti c’è una bambina di dieci anni che, nella Città Vecchia di Gerusalemme, spinta da un colono, è rimasta ferita ad un occhio. I rimanenti nove feriti palestinesi sono stati colpiti da pietre o malmenati in varie località: vicino agli insediamenti di Asfar (Hebron) e Homesh (Nablus); vicino alla Comunità di pastori di Khirbet Tana (Nablus), nella zona del Mar Morto e nell’Area (H2) controllata da Israele della città di Hebron. In quest’ultimo caso, ripreso da una telecamera, un soldato israeliano ha fermato l’aggressione, aiutando il palestinese a fuggire. In due episodi verificatisi nei villaggi di Burin (Nablus) e Kafr ad Dik (Salfit), coloni hanno dato fuoco o abbattuto almeno 90 alberi. Inoltre, nei villaggi di Jamma’in, As Sawiya e Lifjim (tutti a Nablus), Al Mughayyir (Ramallah) e Kifl Hares (Salfit), nonché in Area H2 di Hebron, aggressori (si presume si tratti di coloni) hanno vandalizzato veicoli, tende e strutture idriche. In altri sei casi, coloni hanno pascolato le loro pecore su terreni appartenenti agli agricoltori della Comunità di Qawawis (Hebron), danneggiando almeno 2 ettari di colture stagionali.

Secondo una ONG israeliana, tre israeliani sono rimasti feriti e 17 veicoli hanno subito danni a seguito del lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte di palestinesi contro veicoli israeliani che percorrevano strade della Cisgiordania.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Comunicato Relatori speciali ONU contro l’annessione,l’apartheid e l’occupazione

Ginevra 16 giugno 2020

Comunicato Esperti Onu

L’annessione israeliana di parti della Cisgiordania palestinese violerebbe il diritto internazionale – gli esperti dell’ONU chiedono alla comunità internazionale che ne paghi le conseguenze.

GINEVRA (16 giugno 2020) – Oggi esperti dell’Onu hanno detto che l’accordo del nuovo governo di coalizione di Israele per annettere dopo il 1° luglio ampie zone della Cisgiordania palestinese occupata violerebbe un principio fondamentale del diritto internazionale e deve essere contrastato in modo efficace dalla comunità internazionale. Quarantasette degli inviati indipendenti per le procedure speciali nominati dalla Commissione per i diritti umani hanno rilasciato la seguente dichiarazione:

L’annessione dei territori occupati è una grave violazione della Carta delle Nazioni Unite e delle Convenzioni di Ginevra ed è contraria alle norme fondamentali più volte affermate dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, secondo cui l’acquisizione di territori con la guerra o con la forza è inammissibile.

La comunità internazionale ha vietato l’annessione proprio perché incita a guerre, devastazioni economiche, instabilità politica, sistematiche violazioni dei diritti umani e diffuse sofferenze.

I piani dichiarati da Israele per l’annessione estenderebbero la sovranità su gran parte della Valle del Giordano e su tutti gli oltre 235 insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania. Ciò equivarrebbe a circa il 30% della Cisgiordania. L’annessione di questo territorio è stata approvata dal Piano Americano di Pace per la Prosperità, reso noto alla fine di gennaio 2020.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato in molte occasioni che l’occupazione israeliana, che risale a 53 anni fa, è fonte di gravissime violazioni dei diritti umani contro il popolo palestinese. Queste violazioni includono confisca di terre, violenza dei coloni, leggi di pianificazione urbanistica discriminatorie, confisca delle risorse naturali, demolizione delle case, trasferimento forzato della popolazione, uso eccessivo della forza e tortura, sfruttamento del lavoro, violazioni estese dei diritti alla privacy, restrizioni sui media e sulla libertà di espressione, prendere di mira le donne attiviste e i giornalisti, detenzione di minorenni, avvelenamento da esposizione a rifiuti tossici, sfratti ed espulsioni forzate, deprivazione economica e povertà estrema, detenzione arbitraria, mancanza di libertà di movimento, insicurezza alimentare, applicazione discriminatoria delle leggi e imposizione di un sistema a due livelli di diritti politici, legali, sociali, culturali ed economici diversi in base all’etnia ed alla nazionalità. I difensori dei diritti umani palestinesi e israeliani, che portano pacificamente l’attenzione dell’opinione pubblica su queste violazioni, sono calunniati, criminalizzati o etichettati come terroristi. Soprattutto, l’occupazione israeliana ha significato la negazione del diritto all’ autodeterminazione dei palestinesi.

Dopo l’annessione queste violazioni dei diritti umani non farebbero che intensificarsi. Ciò che rimarrebbe della Cisgiordania sarebbe un Bantustan palestinese, isole di territorio completamente scollegate, circondate da Israele e senza alcun legame territoriale con il mondo esterno. Recentemente Israele ha promesso che manterrà il controllo permanente della sicurezza tra il Mediterraneo e il fiume Giordano. Quindi il giorno dopo l’annessione sarebbe la cristallizzazione di una realtà già di per sé ingiusta: due popoli che vivono nello stesso spazio, governati dallo stesso Stato, ma con diritti profondamente disuguali. Questa è la visione di un’apartheid del XXI secolo.

Già per due volte in precedenza Israele ha annesso territori occupati – Gerusalemme Est nel 1980 e le Alture del Golan siriane nel 1981. In entrambe le occasioni il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha immediatamente condannato le annessioni come illegali, ma non ha preso alcuna contromisura significativa per opporsi alle azioni di Israele.

Allo stesso modo, il Consiglio di Sicurezza ha ripetutamente criticato le colonie israeliane in quanto flagrante violazione del diritto internazionale. Tuttavia, la sfida di Israele a queste risoluzioni e il suo continuo rafforzamento delle colonie è rimasto senza risposta da parte della comunità internazionale.

Questa volta deve essere diverso. La comunità internazionale ha la grave responsabilità giuridica e politica di difendere un ordine internazionale basato su regole, di opporsi alle violazioni dei diritti umani e dei principi fondamentali del diritto internazionale e di dare attuazione alle sue numerose risoluzioni che criticano la condotta da parte di Israele durante questa prolungata occupazione. In particolare, gli Stati hanno il dovere di non riconoscere, aiutare o assistere un altro Stato in qualsiasi forma di attività illegale, come l’annessione o la creazione di insediamenti civili in territorio occupato. Le lezioni del passato sono chiare: le critiche senza conseguenze non impediranno l’annessione né porranno fine all’occupazione.

La responsabilizzazione e la fine dell’impunità devono diventare una priorità immediata per la comunità internazionale. Essa ha a sua disposizione un’ampia gamma di misure di responsabilizzazione che sono state ampiamente applicate e con successo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU in altre crisi internazionali negli ultimi 60 anni. Le misure di responsabilizzazione che vengono selezionate devono essere prese in piena conformità con il diritto internazionale, essere proporzionate, efficaci, soggette a revisione periodica, coerenti con i diritti umani, umanitari e con il diritto dei rifugiati, progettate per annullare le annessioni e por fine all’occupazione e al conflitto in modo giusto e duraturo. I palestinesi e gli israeliani non meritano di meno.

Esprimiamo grande rammarico per il ruolo degli Stati Uniti d’America nel sostenere e incoraggiare i piani illegali di Israele per l’ulteriore annessione dei territori occupati. Negli ultimi 75 anni in molte occasioni gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo importante nel promuovere i diritti umani a livello mondiale. In questa occasione dovrebbero opporsi decisamente all’imminente violazione di un principio fondamentale del diritto internazionale, piuttosto che favorirne concretamente la violazione”.

(*) Gli esperti:

Mr. Michael Lynk, Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian Territory occupied since 1967; Ms. Agnès Callamard, Special Rapporteur on extrajudicial, summary or arbitrary executions; Mr. Ahmed Reid (Chair), Ms. Dominique Day, Mr. Michal Balcerzak, Mr. Ricardo A. Sunga III, and Mr. Sabelo Gumedze, Working Group of experts on people of African descent;Ms. Alena Douhan, Special Rapporteur on the negative impact of the unilateral coercive measures on the enjoyment of human rights; Ms Alice Cruz, Special Rapporteur on the elimination of discrimination against persons affected by leprosy and their family members, Ms. Anaïs Marin, Special Rapporteur on the situation of human rights in Belarus; Mr. Aristide NONONSI, Independent Expert on the situation of human rights in the Sudan; Mr. Alioune Tine,Independent Expert on the situation of human rights in Mali; Mr. Balakrishnan Rajagopal, Special Rapporteur on adequate housing as a component of the right to an adequate standard of living, and on the right to non-discrimination in this context; Mr. Baskut Tuncak, Special Rapporteur on human rights and hazardous substances and wastes; Ms. Catalina Devandas-Aguilar, Special Rapporteur on the rights of persons with disabilities; Ms. Cecilia Jimenez-Damary, Special rapporteur on the human rights of internally displaced persons; Mr. Chris Kwaja (Chair), Ms. Jelena Aparac, Ms. Lilian Bobea, Mr. Saeed Mokbil,Ms. Sorcha MacLeod, Working Group on the use of mercenaries as a means of violating human rights and impeding the exercise of the right of peoples to self-determination; Ms. Claudia Mahler, Independent Expert on the enjoyment of all human rights by older persons; Mr. Clément Nyaletsossi Voule, Special Rapporteur on the right to peaceful assembly and association; Mr. Dainius Pūras, Special Rapporteur on the right to physical and mental health; Mr. David Kaye, Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of expression; Mr. David R. Boyd, Special Rapporteur on human rights and the environment; Mr. Diego García-Sayán, UN Special Rapporteur on the independence of judges and lawyers; Ms. Dubravka Šimonovic, Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences; (Chair) Ms. Elizabeth Broderick (Vice Chair) Ms. Melissa Upreti, Ms. Alda Facio, Ms. Ivana Radačić, Ms. Meskerem Geset Techane, Working Group on discrimination against women and girls; Mr. Fernand de Varennes, Special Rapporteur on minority issues; Ms. Fionnuala D. Ní Aoláin, Special Rapporteur on the promotion and protection of human rights and fundamental freedoms while countering terrorism; Mr. Githu Muigai (Chair), Ms. Anita Ramasastry (Vice-chair), Mr. Dante Pesce, Ms. Elżbieta Karska, and Mr. Surya Deva, UN Working Group on Business and Human Rights; Ms. Isha Dyfan, Independent Expert on the situation of human rights in Somalia; Mr. Joe Cannataci, Special Rapporteur on the right to privacy; Mr. José Francisco Calí Tzay, Special Rapporteur on the rights of indigenous peoples;Mr. José Antonio Guevara Bermúdez (Chair), Ms. Elina Steinerte (Vice-Chair), Ms. Leigh Toomey (Vice-Chair), Mr. Seong-Phil Hong, and Mr. Sètondji Adjovi, Working Group on Arbitrary Detention; Ms. Karima Bennoune, Special Rapporteur in the field of cultural rights; Ms. Kombou Boly Barry, Special Rapporteur on the right to education; Mr. Léo Heller,Special Rapporteur on the human rights to water and sanitation; Mr. Livingstone Sewanyana, Independent Expert on the promotion of a democratic and equitable international order; Ms. Mama Fatima Singhateh, Special Rapporteur on sale and sexual exploitation of children; Ms Maria Grazia Giammarinaro, Special Rapporteur on trafficking in persons, especially women and children; Ms. Mary Lawlor, Special Rapporteur on the situation of human rights defenders; Mr. Michael Fakhri, Special Rapporteur on the right to food; Mr. Nils Melzer, Special Rapporteur on torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment; Mr. Obiora C. Okafor, Independent Expert on human rights and international solidarity,Mr. Olivier De Schutter, Special Rapporteur on extreme poverty and human rights; Mr. Saad Alfarargi, Special Rapporteur on the right to development; Ms. E. Tendayi Achiume, Special Rapporteur on Contemporary Forms of Racism; Mr. Thomas Andrews. Special Rapporteur on the situation of human rights in Myanmar; Mr. Tomás Ojea Quintana, Special Rapporteur on the situation of human rights in the Democratic People’s Republic of Korea; Mr. Tomoya Obokata, Special Rapporteur on contemporary forms of slavery, including its causes and consequences; Mr. Victor Madrigal-Borloz, Independent Expert on protection against violence and discrimination based on sexual orientation and gender identity; Ms. Yuefen LI, Independent Expert on the effects of foreign debt and other related international financial obligations of States on the full enjoyment of all human rights, particularly economic, social and cultural rights; Mr. Yao Agbetse, Independent Expert on the situation of human rights in Central African Republic

Gli osservatoti speciali fanno parte di quelle che sono note come le Procedure Speciali della Commissione per i Diritti Umani. Procedure Speciali, l’ente più grande di esperti indipendenti nel sistema dell’ONU per i Diritti Umani, è il nome complessivo del sistema di accertamento dei fatti e dei meccanismi di controllo che si occupano sia della situazione di Paesi specifici sia di questioni tematiche in ogni parte del mondo. Gli esperti delle Procedure Speciali lavorano su base volontaria: non fanno parte del personale dell’ONU e non ricevono uno stipendio per il loro lavoro. Non dipendono da nessun governo o organizzazione e prestano servizio nell’ambito delle loro competenze individuali.

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Docenti di studi ebraici: “Rifiutiamo l’apartheid, l’annessione e l’occupazione”

Oren Ziv

16 giugno 2020 – +972

Oltre 500 docenti di studi ebraici firmano una petizione contro i piani di annessione di Israele che, affermano, consolideranno la “situazione di apartheid” nei territori occupati.

Oltre 500 docenti di studi ebraici di tutto il mondo hanno firmato una petizione contro i piani del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di annettere una buona parte della Cisgiordania occupata.

Secondo la petizione, che è stata pubblicata in inglese, ebraico e arabo, “la prosecuzione del l’occupazione e l’intenzione dichiarata dell’attuale governo israeliano di annettere parti della Cisgiordania, determineranno formalmente (de jure) la creazione di condizioni di apartheid in Israele e Palestina “.

“In questo momento storico di svolta, ancora incerto e pericoloso”, afferma la petizione, “rifiutiamo l’annessione e l’apartheid, il razzismo e l’odio, l’occupazione e la discriminazione. Ci impegniamo per una cultura aperta di studio, cooperazione e critica sulla questione israelo-palestinese. “

Non è chiaro quanto della Cisgiordania occupata, se non di tutta, Netanyahu annuncerà formalmente l’annessione. Il primo ministro ha ripetutamente dichiarato la sua intenzione di annettere almeno il 30 % del territorio a partire dal 1 ° luglio.

Tra i firmatari vi sono importanti accademici del settore degli studi ebraici negli Stati Uniti, tra cui il rabbino Chaim Seidler-Feller dell’UCLA [Università della California di Los Angeles, ndtr.], il professore di Yale Samuel Moyn e Chana Kronfeld dell’UC Berkeley.

La petizione afferma inoltre che il governo israeliano ha chiarito che i palestinesi della Cisgiordania che sarà annessa a Israele non riceveranno la cittadinanza e che “i risultati più probabili … saranno un’ulteriore disparità di distribuzione delle risorse territoriali e idriche a vantaggio delle illegali colonie israeliane, una più estesa violenza di stato e [l’esistenza di] enclavi palestinesi parcellizzate sotto il completo controllo israeliano.”

In tali circostanze, prosegue la petizione, l’annessione “consoliderà un sistema antidemocratico giuridico separato e diseguale e una discriminazione sistematica contro la popolazione palestinese”, che secondo i firmatari equivarrà a una “situazione di apartheid”. Un tale passo, avvertono, porterà a un “inevitabile picco di antisemitismo e islamofobia, con una polarizzazione tra comunità minoritarie”.

Secondo Mira Sucharov, docente associata di Scienze politiche alla Carleton University di Ottawa, in Canada, i passi di Israele verso l’annessione segnalano una “ulteriore pericolosa tendenza verso l’ apartheid totale. I diritti territoriali e umani dei palestinesi sono a rischio. La democrazia in Israele sta subendo un ulteriore degrado.”

“L’annessione è la prosecuzione di processi di lungo periodo, ma rappresenta comunque una svolta molto pericolosa”, afferma il prof. Nitzan Lebovic della Lehigh University in Pennsylvania, uno degli accademici autori la petizione. “Siamo rimasti sorpresi dalla risposta immediata di molti firmatari”, afferma. “Non ci sono state obiezioni sulla parola ‘apartheid’. Questa è stata una risposta alla svolta a destra di Israele negli ultimi anni”.

“La questione non è solo la dichiarazione di annessione di Netanyahu, ma ciò che sta succedendo dal 1948, e in particolare dal 1967, con l’annessione di 64 km2 intorno a Gerusalemme insieme a decine di migliaia di palestinesi. L’annessione creerà due regimi politici e civili – uno per gli ebrei e uno per gli arabi. In termini di diritto internazionale, questo è stato definito come una prosecuzione del concetto di apartheid “.

Secondo Lebovic, l’annessione contribuirà a un incremento dell’antisemitismo, nonché dell’islamofobia e del razzismo contro altri gruppi minoritari. “L’annessione è vista come un passo unilaterale da parte dello Stato di Israele, ma avrà implicazioni per ogni ebreo nel mondo. Come docenti universitari, siamo ripetutamente chiamati a spiegare le azioni di Israele. L’annessione ci metterà in una posizione in cui non saremo in grado di spiegare perché Israele abbia deciso di istituzionalizzare il suo attacco al diritto internazionale. La comunità ebraica si trova nella posizione di dover dichiarare [di essere] un’identità distinta da Israele. Israele deve decidere se questo sarebbe un risultato desiderabile “.

Nel frattempo, 240 giuristi di tutto il mondo, incluso Israele, hanno firmato una petizione diversa contro l’annessione, affermando che costituirebbe una “flagrante violazione delle regole fondamentali del diritto internazionale e determinerebbe anche una grave minaccia alla stabilità internazionale in una regione instabile “.

Oren Ziv è fotoreporter, membro fondatore del collettivo di fotografia Activestills [collettivo di fotografi impegnato nel sostegno dei diritti dei popoli oppressi con particolare riguardo ai palestinesi, ndtr.] e redattore dello staff di Local Call [versione in lingua ebraica di +972 , ndtr.]. Dal 2003 ha documentato una serie di questioni sociali e politiche in Israele e nei territori palestinesi occupati, con particolare attenzione alle comunità di attivisti e alle loro lotte. I suoi reportage si sono concentrati sulle proteste popolari contro il muro e le colonie, sulle case popolari e altre questioni socio-economiche, sulle lotte contro il razzismo e la discriminazione e sulla battaglia a favore della libertà degli animali.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




Ben Gourion Internazionale, questo aeroporto diventato un tribunale inquisitorio

Laurent Perpigna Iban

6 giugno 2020 – Middle East Eye

All’aeroporto di Tel Aviv ottenere il visto israeliano a volte diventa un incubo per i viaggiatori. Soprattutto per quelli che sono sospettati dalle autorità israeliane di essere militanti filopalestinesi

Tel Aviv, Israele – La lunga rampa che conduce dai terminal dell’aeroporto Ben Gurion agli uffici dell’immigrazione israeliani a volte ha il sapore della paura. Più in basso, dietro i vetri della ventina di posti di controllo, gli agenti attendono pazientemente i viaggiatori. Nelle code in attesa la gioia dei pellegrini contrasta con l’ansia di altri candidati al visto.

Arriva il momento fatidico. I passaporti vengono analizzati meticolosamente, le domande a dir poco brusche: “Dove andate? Conoscete qualcuno qui? Come si chiama?”. E altrettante domande a cui i viaggiatori devono rispondere senza batter ciglio, soprattutto coloro che intendono recarsi per conto proprio in Cisgiordania, per i quali la bugia risulta essere il miglior parafulmine ai guai.

Queste domande da interrogatorio non riguardano solo questioni di sicurezza. Gli obbiettivi, oltre a prevenire attacchi sul suolo israeliano, sono anche politici, poiché si tratta di limitare la presenza straniera nei territori occupati. A questo scopo le autorità israeliane dispongono di uno strumento imbattibile: la concessione del visto all’arrivo.

Dato che i due principali punti d’ingresso che consentono agli stranieri di recarsi in Cisgiordania sono sotto controllo israeliano – l’aeroporto di Tel Aviv e il ponte di Allenby – Malik Hussein, tra la Cisgiordania e la Giordania – la concessione di questo ‘apriti sesamo’ si è trasformata nel tempo in uno strumento amministrativo agli ordini della politica israeliana.

Gli accordi che esentano dalla richiesta di visto prima della partenza conclusi con parecchi Paesi erano peraltro tesi a facilitare il viaggio degli stranieri. Ma ecco che queste cortesi direttive hanno assunto l’aspetto si una roulette russa per molti viaggiatori: l’autorizzazione ad entrare nel territorio – attraverso un visto per turismo di tre mesi – si ottiene direttamente sul posto e di fatto sottopone i viaggiatori all’arbitrio.

Il quotidiano economico Globes, citando statistiche dell’Amministrazione dei posti di frontiera, della popolazione e dell’immigrazione –che fa capo al Ministero dell’Interno israeliano – riportava che nel 2018 erano state respinte al loro arrivo circa 19.000 persone, contro le 16.534 del 2016 e….le 1.870 del 2011.

Risultato: molti viaggiatori che vogliono andare in Cisgiordania in modo indipendente preferiscono tacere le proprie intenzioni, di fronte al rischio di pesanti interrogatori o anche di respingimento.

Interrogatori interminabili

Kamel e Louis* lo sapevano. Questi due giovani francesi si erano documentati in proposito prima di partire per Tel Aviv, nel novembre 2019. Se Louis ha passato senza problemi i controlli, non è stato così per il suo amico.

“Ho mostrato il mio passaporto francese. Ho risposto che sarei andato a visitare Tel Aviv e Gerusalemme. La giovane donna allora mi ha chiesto quali fossero le mie origini. Algerine. Per me è stato l’inizio dei guai,” racconta Kamel a Middle East Eye.

Il giovane viene quindi fatto entrare nella sala d’attesa riservata ai “aspiranti [all’ingresso in Israele] sospetti”. Kamel subisce un primo interrogatorio di una mezz’ora. Passano due ore prima che sia portato davanti ad un secondo interlocutore.

“Questo mi ha detto di essere il capo della sicurezza. Mi ha fatto le stesse domande alle quali ho dato le stesse risposte. Mi sono trovato davanti una terza persona. E’ diventato sempre più pesante.”

Kamel riferisce che dal terzo interrogatorio in poi era presente un traduttore francese.

“L’agente della sicurezza israeliana ha alzato più volte la voce. Mi ha chiesto se ero musulmano, se pregavo… E poi domande personali che non li riguardavano e che comunque loro si permettevano di farmi. Davano l’impressione di voler controllare tutto e di avere un potere assoluto. Mi hanno chiesto perché i miei genitori erano andati a vivere in Francia. Hanno anche controllato il mio portatile”, racconta.

Il giovane ha subito in tutto cinque interrogatori, per un fermo in totale di sei ore.

“Hanno cercato di colpirmi psicologicamente. Ero nella posizione del colpevole”, racconta a MEE. Quando si rassegna ad un respingimento formale, ha finito “quasi miracolosamente”per ottenere il visto.

Un trattamento che sono costretti a subire tutti coloro che non corrispondono al profilo del turista depoliticizzato. Ma di fatto le persone di origine araba e di fede musulmana sono molto più esposte a queste complicazioni. Al punto che alcune di loro, dal profilo insospettabile, a volte sono pesantemente minacciate.

Nel 2019 il quotidiano israeliano Haaretz ha dato conto della disavventura dell’ambasciatore di Israele a Panama, Reda Mansour, che ha riferito che lui stesso e suoi famigliari sono stati “umiliati e trattati come sospetti dalle guardie di sicurezza”.

Un trattamento che aveva provocato una pesante polemica in Israele, che ha costretto il presidente Reuven Rivlin ad esprimersi pubblicamente. “Ciò che conta è ciò che voi sentite, e se voi vi sentite così feriti, allora non dobbiamo fare delle riflessioni”, aveva allora dichiarato il capo dello Stato.

In seguito la situazione non sembra essere affatto migliorata: alcune ore prima della messa in quarantena di tutti i viaggiatori in arrivo all’aeroporto di Tel Aviv a causa dell’epidemia di coronavirus, gli agenti dell’immigrazione si preoccupavano meno di sapere se essi provenissero da una zona infetta dal coronavirus che di cosa avessero intenzione di fare una volta entrati.

La legge in questione

Alla fine degli interrogatori alcuni non hanno la fortuna di Kamel e si trovano nella situazione di « denied entry » (ingresso respinto). Per loro è un ritorno al mittente.

Qualunque scusa è buona per giustificare questa decisione. Le simpatie filo palestinesi, anche presunte, mettono il candidato al visto nella posizione del colpevole, mentre le foto archiviate sui telefonini, gli account Twitter e Facebook valgono come prove.

Una situazione tanto più paradossale in quanto la visita nei territori palestinesi non è vietata agli stranieri, anche in base al diritto israeliano.

Tuttavia nel 2017 la Knesset [parlamento israeliano, ndtr.] ha approvato una legge che vieta il rilascio di visti e di diritti di residenza ai cittadini stranieri che aderiscono al boicottaggio economico, culturale o accademico di Israele, ma anche di tutte le istituzioni israeliane o di ogni “zona sotto il controllo di Israele”, cioè le colonie. Se gli stranieri sono il principale obiettivo, anche i militanti israeliani contro l’occupazione ne fanno regolarmente le spese.

Tuttavia non sono solo i controlli all’arrivo a provocare paura e tensione. Quelli effettuati al momento di lasciare il Paese in aereo – il primo avviene tre chilometri prima di arrivare all’aeroporto – sono tanto numerosi quanto snervanti.

Il più inquietante è quello effettuato dentro l’area da una schiera di agenti di sicurezza, ancor prima che il viaggiatore possa accedere agli sportelli per il check in. Con il pretesto della sicurezza aeroportuale, le domande sui viaggi precedenti – soprattutto nei Paesi arabi – si susseguono a folle velocità, volutamente destabilizzante.

Questa raccolta di informazioni resta segreta, anche se alcuni segreti dei servizi di immigrazione israeliani a volte finiscono per essere smascherati. È il caso degli adesivi con codice a barre incollati sul retro del passaporto dopo l’interrogatorio: secondo diverse fonti il primo numero, compreso tra 1 e 6, classifica i viaggiatori secondo un ordine crescente di “pericolosità”.

Una teoria confermata da nostri incontri con una decina di persone che hanno viaggiato in Israele: quelle che hanno la prima cifra compresa tra 5 e 6 subiscono interrogatori pesanti e sistematiche perquisizioni dei bagagli.

Chris Den Hond è un giornalista. Abituato dal 1994 a recarsi nei territori occupati, è avvezzo a questo genere di interrogatori.

“Anche se non mi hanno messo il timbro sul passaporto e non mi hanno mai sequestrato cassette video, tutte le volte, sia all’entrata che all’uscita, è lo stesso stress”, confida a MEE.

“Mi sono sempre limitato a visitare i siti turistici di Gerusalemme e di Betlemme. Ma le intimidazioni perché io fornissi i nomi, i numeri di telefono e gli indirizzi di contatti palestinesi sono sempre numerose.”

Nel 2017, quando Chris Den Hond è uscito dal territorio attraverso il valico con la Giordania, ha citato anche la visita a Ramallah. “La città di troppo”, spiega, amaramente.

Si susseguono lunghe ricerche condotte dalle forze di sicurezza israeliane, che non tardano a trovare dei video che il giornalista ha realizzato sul movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), vera bestia nera delle elite del paese.

“Alla fine un dirigente mi ha consigliato ironicamente di consultare l’ambasciata israeliana prima di pensare di tornare in Israele, per evitare di essere respinto all’arrivo. Ho chiesto: ‘ Per quanto tempo?’ Mi hanno risposto: ‘Almeno per dieci anni’.”

[SI tratta di] frequenti misure di divieto di ingresso nel territorio, come spiega a MEE Salah Hamouri, avvocato franco-palestinese.

“All’arrivo attraverso questo aeroporto Israele cerca di vietare l’ingresso nel territorio a tutte le persone che hanno idee politiche considerate filo palestinesi. Questo rientra nel loro concetto di negazione stessa dell’esistenza del popolo palestinese”, commenta.

Il caso spinoso dei familiari di palestinesi

Salah Hamouri è nel mirino delle autorità israeliane. Dopo essere stato incarcerato una prima volta tra il 2005 e il 2011, l’avvocato viene arrestato nell’agosto 2017 a Gerusalemme: passerà più di un anno in detenzione amministrativa, senza che le accuse contro di lui vengano rese pubbliche.

Prima ancora, nel 2016, hanno arrestato sua moglie, Elsa Lefort, allora incinta di sette mesi. “È rimasta tre giorni in un centro di detenzione prima di essere rimandata in Francia con un divieto di ingresso nel territorio tuttora in vigore. Non può più venire a Gerusalemme.”

Quando è uscito di prigione nel 2018, il Ministero degli Esteri francese ha consigliato a Salah Hamouri di fare domanda di visto presso l’ambasciata israeliana prima di partire, se (sua moglie) vuole tornare nel Paese.

 “L’ambasciata mi ha risposto che le era vietato l’ingresso nel territorio fino al 2025. Quanto a mio figlio, hanno detto che la sua domanda sarebbe stata esaminata al momento dell’arrivo…”, spiega.

L’avvocato ricorda almeno “una trentina di donne francesi sposate a palestinesi” che incontrano tremende difficoltà per entrare nel territorio e condurre una vita normale. Di fronte a questi problemi che le riguardano direttamente, “le autorità francesi restano sorde…”, ci dice.

In realtà Salah Hamouri, come altri, deplora la passività della diplomazia francese.

“Ufficialmente, anche se io sono in possesso della carta di residenza di Gerusalemme, ho soltanto la nazionalità francese e in quanto famiglia francese noi abbiamo il diritto di vivere dove vogliamo. Le nostre richieste alle autorità francesi sono vane. Nel mio caso gli israeliani utilizzano questo per revocarmi la carta d’identità come residente a Gerusalemme e scoraggiarmi dall’andarci.”

Un arbitrio al passo coi tempi: i palestinesi di Gerusalemme, che nella gran maggioranza non possiedono la cittadinanza israeliana, hanno solamente lo statuto di residenti della città, facilmente revocabile. Per Salah Hamouri, come per migliaia di altri, un allontanamento geografico di eccessiva durata potrebbe privarlo di questa preziosa carta di residenza.

Nondimeno, l’ esasperato sistema di controllo dell’aeroporto di Tel Aviv suscita l’interesse e anche l’ammirazione di parecchi Paesi, soprattutto europei, che lo considerano – nonostante gli abusi rilevati – uno dei luoghi più sicuri al mondo.

Così, due mesi dopo l’attentato avvenuto all’aeroporto di Bruxelles nel marzo 2016, il Ministro dell’Interno belga ha effettuato una visita privata delle installazioni israeliane. Anche altre delegazioni europee vi si sono recate in trasferta.

In queste condizioni è difficile aspettarsi un qualunque ammorbidimento all’aeroporto internazionale Ben Gurion, che di anno in anno si trasforma sempre più in tribunale inquisitorio.

* I nomi di battesimo sono stati modificati.

** Al momento della pubblicazione di questo articolo le autorità aeroportuali israeliane non avevano ancora risposto alle domande di MEE.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




“Per Scopi Medicinali” Il settore militare israeliano e la crisi del coronavirus.

Rapporto flash

Maggio 2020 – WHO PROFITS

Il Ministero della Difesa israeliano (IMOD), l’esercito e le imprese militari statali e private sono stati in prima linea nella risposta del governo israeliano alla crisi del coronavirus. Il loro cospicuo coinvolgimento, salutato dai media israeliani come dimostrazione di solidarietà sociale e impegno civile, evidenzia il profondo coinvolgimento militare alla base del regime economico e politico israeliano e la simbiosi esistente tra la sfera civile e l’apparato militare. Una delle caratteristiche che spiccano nel caso di Israele è la conversione della produzione e della ricerca e sviluppo (R&S) militare in un’azienda medica nazionale. Apparentemente da un giorno all’altro, il Direttorato per la Difesa (DDR e D) israeliano è stato trasformato in un hub di tecnologia medica, unità top secret di intelligence sono state convertite in centri di raccolta di informazioni mediche e le più grandi imprese militari israeliane sono diventate società appaltatrici per il settore medico. Questi sviluppi rivelano il dominio del settore militare nella ricerca e sviluppo commerciale israeliano e offrono nuove opportunità alle imprese militari di beneficiare materialmente e simbolicamente dalla crisi. In questo flash-report Who Profits [Centro di ricerca indipendente dedicato alla divulgazione del ruolo del settore privato nell’economia israeliana dell’occupazione, ndt] indaga le attività correlate al coronavirus dell’establishment militare e delle imprese private israeliane, concentrandosi sulle nuove iniziative lanciate, secondo quanto riferito, dalle tre maggiori e più lucrative società militari israeliane: l’Israel Aerospace Industries (IAI) di proprietà statale, e Rafael Advanced Defense Systems e Elbit Systems quotati in borsa.

“Una fusione di medicina e guerra”- La risposta militarizzata di Israele al Coronavirus

L’approccio militarizzato di Israele al virus è vividamente catturato nel National CoronaPlan for Israel del Ministero della Difesa israeliano (IMOD), un documento di trentuno pagine pubblicato il 29 marzo 2020. Il documento fa riferimento alla pandemia come “una fusione di medicina e guerra” e prevede un ruolo centrale per l’IMOD in materia di sanità pubblica e politica economica. [1] Tra le altre cose, presenta un’iniziativa pubblico-privata per sviluppare, rendere operativo e potenzialmente esportabile un sistema centralizzato di dati per valutare la probabilità degli individui di essere infettati dal virus. [2] I rapporti dei media hanno rivelato che la società privata coinvolta nel progetto è l’azienda di spionaggio informatico israeliana NSO Group. [3] Dall’inizio della crisi, gli organismi governativi di sicurezza nazionale hanno svolto un ruolo di primo piano nella creazione e nell’attuazione dell’agenda coronavirus. Questi includono il National Security Council (NSC), operante nell’ufficio del primo ministro, il Mossad, l’agenzia di intelligence segreta di Israele e il General Security Service (GSS o Shin Bet). Il NSC è stato incaricato del coordinamento generale a livello nazionale, nonostante le dubbie qualifiche nei settori della sanità pubblica e dell’economia. La divisione dei ruoli tra il Mossad e lo Shin Bet nella risposta alla crisi ha riflesso i rispettivi settori di attività, internazionale e nazionale. Il Mossad, che opera una vasta rete globale di agenti segreti regolarmente collegati con casi confermati e presunti di omicidi extragiudiziali [4], è stato impiegato nell’ambito dell’approvvigionamento di attrezzature mediche. [5] Il capo della divisione tecnologica del Mossad ha riferito a un giornalista israeliano che parte dell’attrezzatura è stata ottenuta illecitamente, affermando che “noi attiviamo i nostri collegamenti speciali al fine di […] mettere le mani su partite che qualcun altro ha ordinato.”[6] Lo Shin Bet, che opera nel territorio palestinese occupato e all’interno della linea verde, è stato rapidamente autorizzato dal governo israeliano a monitorare i pazienti coronavirus confermati e i probabili contatti.[7] I considerevoli poteri di sorveglianza della Shin Bet precorrono di gran lunga l’attuale pandemia e sono stati a lungo usati contro i palestinesi da entrambe le parti della Linea verde. Secondo Ynet [notiziario e sito web israeliano di contenuti generali, che è l’outlet online per il quotidiano Yedioth Ahronot, ndt], il monitoraggio dei pazienti con coronavirus si affida a un enorme database segreto già esistente, noto come “the Tool” [lo Strumento], che raccoglie dati continui in tempo reale su tutti i cittadini israeliani.[8] Lo Shin Bet è molto coinvolto nella politica israeliana degli omicidi mirati, nella stesura di black-list e a fornire indicazioni per le operazioni dell’aeronautica militare israeliana.[9] A settembre 2019, Amnesty International ha denunciato la tortura autorizzata dallo Stato del detenuto palestinese Samir Arbeed durante gli interrogatori dello Shin Bet.[10] La Intelligence Division dell’esercito israeliano è stata anche coinvolta nella risposta nazionale al coronavirus, stabilendo un National Information and Knowledge Center on Coronavirus.[11] Secondo quanto riportato dai media, due unità di intelligence d’élite, l’unità 8200, la Signals Intelligence Uni,t e l’unità 81, la Intelligence Division’s Technology Unit, stanno al momento conducendo una ricerca medica correlata al coronavirus.[12] È significativo che gli sforzi tecnologici per affrontare il virus a livello nazionale non siano stati condotti dalla Israel Innovation Authority (IIA) o dal Ministero della scienza e della tecnologia, ma dal Directorate of Defence Research and Development (DDR & D) dell’esercito israeliano.[13] Il direttore della DDR & D, Brigadier-General (Res.) Dani Gold, è stato nominato capo del National Technological Center to Fight Coronavirus, che il Ministro della Difesa Naftali Bennett ha definito una “commando unit” per individuare tecnologie avanzate. [14] ​​La Direzione ha istituito un “National Emergency Team” composto da alcuni ministeri del governo (Difesa, Salute e Finanza), esercito israeliano, industrie militari, IIA, società tecnologiche, ospedali e istituzioni accademiche. Il Centro fornisce la cornice istituzionale per molte delle recenti collaborazioni tra le compagnie militari israeliane e le imprese medicali civili, gli ospedali e gli accademici in campo medico. Questa cornice fornisce un potenziale modello di sviluppo commerciale per il settore militare israeliano nel mercato medico. Come ha detto il Direttore della Government Companies Authority al quotidiano israeliano Globes, “I due tipi di industrie in cui c’è big money sono quelle che sviluppano mezzi per uccidere le persone e quelle che sviluppano mezzi per salvarle”. [15] Come verrà discusso nella sezione seguente, dal lancio del Centro diretto dal DDR& D c’è stata una rapida proliferazione di proposte, prodotti e progetti relativi al coronavirus, che coinvolgono autorità israeliane di governo, capitale privato, enti accademici di ricerca e ospedali. Va sottolineato che questa sua nuova vocazione medica non ha distolto l’apparato militare israeliano dalla sua funzione primaria e ragion d’essere, ossia il continuo controllo militare sulla popolazione civile palestinese. La repressione quotidiana dei palestinesi rimane il lavoro “essenziale” dell’esercito. Secondo la rivista ufficiale dell’esercito israeliano, l’equipaggiamento di protezione, tra cui maschere e guanti chirurgici e altre misure fanno sì che i soldati possano continuare a compiere incursioni nelle case palestinesi nella Cisgiordania occupata e pattugliare il territorio attorno a Gaza assediata con un minimo di rischio per sé.[16] Inoltre, dal momento della crisi, sono avvenute diverse segnalazioni di attacchi aerei israeliani in Siria [17], che hanno sollevato la possibilità che Israele stia approfittando della crisi sanitaria globale per ottenere benefici geopolitici strategici.[18]

Militarismo nella medicina – Esercito militare israeliano e tecnologia correlata al Coronavirus

La crisi del coronavirus spalanca una finestra su come funziona il trasferimento della conoscenza militare israeliana alle industrie civili, in questo caso l’industria medica. Le ricerche precedenti di Who Profits hanno messo in luce i modi in cui la commercializzazione del know-how militare israeliano generato dall’occupazione si estenda oltre l’industria della sicurezza e all’interno dei mercati civili. L’apparato militare statale funziona come un laboratorio, un punto di riferimento, un cliente e un incubatore per l’innovazione tecnologica israeliana. Dai muri sottomarini alle armi per il controllo della folla e ai sistemi biometrici, l’occupazione prolungata di Israele fornisce un terreno fertile per lo sviluppo e l’applicazione di nuove tecnologie di controllo. I contratti con le forze armate israeliane fungono da “biglietto da visita” [19] per le aziende con i potenziali clienti, dando loro un vantaggio competitivo. L’importanza di avere l’establishment militare come acquirente di prodotti di sicurezza ha risvolti sia materiali sia in termini di reputazione, creando la domanda locale iniziale e facilitando l’emergere dell’industria locale.[20] Infine, le industrie militari e di proprietà statale rappresentano un campo di addestramento altamente efficace per i lavoratori della tecnologia, molti dei quali, dopo aver lasciato il settore militare, vengono ad occupare posizioni chiave nel settore privato dell’alta tecnologia, portando con sé il know-how tecnico e la rete informale ottenuta nel corso della loro carriera militare. Un’indagine della risposta tecnologica israeliana alla pandemia di coronavirus rivela il coinvolgimento dei tre maggiori attori del settore militare israeliano. Secondo quanto riferito, IAI, Rafael ed Elbit Systems sono stati coinvolti in innumerevoli iniziative legate al coronavirus, tra cui la produzione di ventilatori e la conversione di funzionalità di monitoraggio remoto per uso medico. Mentre IAI, Rafael ed Elbit derivano la maggior parte delle loro entrate dai mercati della difesa e della sicurezza, tutti e tre sono attivi nel mercato civile, direttamente o tramite le loro filiali. Nel 2018, IAI ha riferito che il 28% delle sue entrate proveniva dal mercato civile.[21] Rafael detiene il 49,9% di Rafael Development Corporation (RDC), una società privata che gestisce un portafoglio di società tecnologiche impegnate nello sviluppo di prodotti basati su tecnologie militari originarie di Rafael per i mercati civili.[22] Elbit Systems fornisce prodotti e soluzioni in una serie di settori commerciali, compresa la strumentazione medica.[23] Precedenti ricerche di Who Profits hanno dimostrato che tutti e tre hanno adattato le proprie capacità militari ad uso nella crescente industria della tecnologia agroalimentare: IAI ha convertito droni per uso agricolo, la controllata Rafael mPrest ha collaborato con Netafim su una piattaforma di irrigazione digitale ed Elbit è membro di un consorzio di ricerca sulle tecnologie di identificazione delle piante.[24] L’attuale crisi della sanità pubblica presenta a queste società nuove prospettive di guadagno materiale e simbolico. La capacità di diversificare la loro offerta di prodotti è particolarmente significativa in quanto la pandemia minaccia di avere un impatto sulle catene di approvvigionamento della difesa globale e sulle priorità di bilancio dei governi [25]. Inoltre, con il numero di pazienti in condizioni critiche in Israele [26], il potenziale per future esportazioni è innegabile.

Ventilatori

Una delle prime iniziative intraprese dalla DDR & D è stata abbinare i produttori israeliani di ventilatori alle industrie militari, sfruttando le capacità di produzione di queste ultime per aumentare la produzione [27]. ll Direttore della DDR & D ha riferito ai media israeliani che “le nostre industrie militari hanno capacità straordinarie di produrre rapidamente e in grandi quantità qualsiasi componente, armi o ventilatori, e di eliminare la dipendenza dalle importazioni”. [28] Secondo un’intervista al capo della divisione tecnologica del Mossad, anche il Mossad ha procurato, “con mezzi tortuosi”, informazioni vitali per la produzione di ventilatori. [29] Il 31 marzo 2020, IAI ha dichiarato in un comunicato stampa che il DDR & D, la Direzione di Produzione e Approvvigionamento dell’IMOD, la società israeliana privata Inovytec Medical Solutions e un Dipartimento segreto di produzione di missili IAI hanno istituito una linea di produzione per i ventilatori VentwaySparrow.[30] Secondo Calcalist, il dipartimento di produzione in questione fabbrica satelliti di sorveglianza per l’IMOD e clienti internazionali. [31] Secondo quanto riferito, gli ingegneri IAI hanno preso parte a una collaborazione tra la divisione elettronica di Aeronautica Militare, Microsoft Israel e altre entità per convertire respiratori manuali in automatici [32] Rafael e le società israeliane private Flight Medical e Baya Technologies sono anche coinvolte nella produzione in serie di ventilatori.[33] Flight Medical è un produttore di respiratori portatili, [34] mentre Baya Technologies è specializzata nella produzione di sistemi elettronici sensibili per l’industria militare e medica. [35] In un blog Rafael ha dichiarato che la società stava fornendo assistenza per i componenti difficili da reperire e nella creazione di infrastrutture di produzione. [36] Infine, la Elbit Systems è stata selezionata dalla IMOD, DDR & D e dal Ministero della Salute per stabilire una linea di produzione seriale per fabbricare grandi quantità di ventilatori LifeCan One, basati sulla tecnologia sviluppata dalla start-up medica israeliana LifeCan Medical.[ 37]

Monitoraggio remoto

Mentre la produzione di ventilatori fa leva principalmente sulla capacità produttiva del settore militare, una serie di progetti tecnologici cerca di adattare le tecnologie militari israeliane, sviluppate nel contesto dell’occupazione prolungata di Israele del territorio palestinese e siriano, per uso medico civile. Tra questi progetti c’è un’iniziativa congiunta di Elbit Systems ed Elta Systems, una filiale interamente controllata dell’IAI, condotta nell’ambito del National Technological Center DDR & D, per sviluppare un sistema remoto di monitoraggio per pazienti affetti da coronavirus. [38] Secondo The Marker [quotidiano economico in lingua ebraica pubblicato dal gruppo Haaretz in Israele, ndt], il sistema si basa sul radar e sui sistemi ottici di Elbitand Elta, nonché sulle tecnologie sviluppate dalle startup israeliane Neteera, Vayyar ed EchoCare. [39] Un sensore altamente sensibile misurerebbe la frequenza cardiaca e respiratoria di un paziente mentre una termocamera misurerebbe la temperatura corporea; nella fase successiva, una componente di Intelligenza Artificiale può essere aggiunta per analizzare i dati. [40] Un’altra azienda che si unisce al business della tecnologia correlata al coronavirus è l’impresa israeliana di riconoscimento facciale AnyVision, i cui prodotti di sorveglianza sono stati impiegati nella Cisgiordania occupata, tra cui Gerusalemme est. La tecnologia aziendale è stata utilizzata nei checkpoint militari e nelle reti CCTV esistenti all’interno della Cisgiordania per monitorare e sorvegliare i palestinesi, [41] come anche dalla polizia israeliana per rintracciare i sospetti lungo le strade di Gerusalemme est controllate da Israele, dove tre residenti su cinque sono palestinesi. [42] All’inizio di aprile, Calcalist ha riferito che AnyVision inizierà a distribuire in un ospedale di Tel Aviv termocamere in grado di misurare in remoto la temperatura del corpo e determinare se l’alta temperatura è il risultato di una malattia o di uno sforzo fisico. [43] Il sistema si basa sulle telecamere termiche MiniIOP44 dell’IAI. Secondo Calcalist, la tecnologia è stata originariamente sviluppata per navi da guerra e droni militari. [45] Un prodotto simile, progettato per identificare le persone con febbre nei luoghi pubblici, è stato sviluppato dalla Rafael utilizzando le termocamere della sua parzialmente controllata (49,9%) Opgal. Secondo il blog dell’azienda “queste telecamere ad alta sensibilità, utilizzate nei dispositivi di tracciamento collegati ai nostri missili, sono in grado di rilevare e misurare il calore da una distanza significativa”. [46] A seguito di uno studio pilota in due ospedali israeliani, il prodotto è attualmente operativo. In futuro, secondo il blog, tali telecamere potranno anche essere installate in luoghi come centri commerciali e negozi. Mentre la presenza dei maggiori attori militari israeliani nelle iniziative del National Technological Center to Fight Coronavirus è stata di vasta portata e onnipresente, esistono canali aggiuntivi per il trasferimento di conoscenze dall’apparato militare statale al settore medico privato. Diverse unità israeliane di intelligence militare, ingegneria informatica e programmi di addestramento funzionano da “nastro trasportatore” per centinaia di israeliani, molti dei quali migrano verso l’industria privata dell’alta tecnologia. [47] Un caso emblematico è la start-up israeliana Sensible Medical, composta in gran parte da veterani dell’Unità 81, l’unità tecnologica top-secret della divisione di intelligence dell’esercito israeliano. [48] Haaretz ha riferito che in un certo numero di ospedali israeliani la società sta testando l’uso del suo monitor del fluido polmonare ReDS per monitorare i polmoni dei pazienti affetti da coronavirus. [49] Secondo quanto riferito, il sistema ReDS è già in uso in Italia e negli Stati Uniti. [50] Il CEO di Sensible Medical, Amir Ronentold ha detto a Haaretz che la tecnologia di base del sistema è una tecnologia militare, “intesa a vedere attraverso i muri in condizione di guerra urbana o per localizzare i sopravvissuti sotto i detriti”. [51]

1 National Corona Plan for Israel . Israeli Ministry of Defense. 29 March 2020.

2 Ibid. “This is why we have established in the IMOD in collaboration with the IDF [sic] and civilian

companies a centralized data system, into which we will ‘spill’ all the data…The system is ready to be operationalized. It is the most advanced system in the world, in my opinion, and will be replicated later (gladly!) all over the world.”

3 Goichman, Rafaela. Ministry of Defense Teamed Up with NSO to Rate the Probability of You Catching Coronavirus. The Marker, 29 March, 2020. For more on the involvement of NSO Group, see NSO Group: Technologies of Control, Who Profits, May 2020. https://whoprofits.org/updates/nso-group-technologies-of-control/

4 Black, Ian. Rise and Kill First: The Secret History of Israel’s Targeted Assassinations – review . The

Guardian. 22 July 2018. https://www.theguardian.com/books/2018/jul/22/rise-kill-first-secret-history-israel-targeted-assassinations-ronen-bergman-review-mossad

5 Holmes, Oliver. Israeli spies source up to 100,000 coronavirus tests in covert mission. The Guardian. 19 March 2020. https://www.theguardian.com/world/2020/mar/19/israeli-spies-source-100000-coronavirus-tests-covert-foreign-mission

6 Dayan, Ilana. Commander of Mossad war room for fighting coronavirus, in an interview with Uvda: Globally people are dying due to shortage of ventilators. That won’t happen in Israel. Channel 12, 31 March 2020 (Hebrew).

7 Konrad, Ido. Equating coronavirus with terror, Netanyahu turns surveillance powers on Israelis. +972 Magazine, 15 March 2020. https://www.972mag.com/netanyahu-surveillance-coronavirus/

8 Bergman, Ronen and Shvartztuch, Ido. “The Tool” is exposed: The secret GSS database that collects your SMS texts, calls and locations. Ynet+, 27 March 2020 (Hebrew).

9 Weizman, Eyal. Hollow land: Israel’s architecture of occupation. Verso books, 2012, p. 241. 10 Israel/ OPT: Legally-sanctioned torture of Palestinian detainee left him in critical condition. Amnesty International, 30 October 2019. https://www.amnesty.org/en/latest/news/2019/09/israel-opt-legally-sanctioned-torture-of-palestinian-detainee-left-him-in-critical-condition/

11 National Information and Knowledge Center on Coronavirus. Gov.il (Hebrew).

12 Berkovitz, Uri. Hush-hush IDF intel unit takes on Covid-19. Globes, 20 April 2020. https://en.globes.co.il/en/article-hush-hush-idf-intel-unit-takes-on-covid-19-1001325867

13 DDR&D- Directorate of Defense Research & Development. Israeli Ministry of Defense. Accessed 11 May 2020. https://english.mod.gov.il/About/Innovative_Strength/Pages/Directorate-_of_Defense_Research_Development.aspx

14 DDR&D: Emergency team to address the COVID-19 pandemic. Israeli Ministry of Defense. Accessed 11 May 2020.

15 Barkat, Amiram. Weapons against coronavirus. Globes, 1 April 2020. https://en.globes.co.il/en/article-weapons-against-coronavirus-1001324270

16 Barel, Merav, Van Zayden, Batya, Greenberg Cohen, Einav and Neustein, Lior. Adjusted training, surgical gloves and dispersing the force: How does one maintain operational preparedness under the coronavirus pandemic?. IDF [sic] Editorial Board, 22 March 2020 (Hebrew).

17 Salama, Daniel, Zeitoun, Yoav and Blumenthal, Itay. Syria: Israel attacked in the northern region. Ynet, 5 May 2020 (Hebrew).

18 Harel, Amos. Analysis Under Cover of COVID-19, Israel Seems to Intensify Its Attacks Against

Iran in Syria. 5 May 2020.

19 Israel Aerospace Industries, 2018 Annual Report, p. 124. On file with Who Profits.

20 Gordon, Neve. “The political economy of Israel’s homeland security/surveillance industry.” The New Transparency: Surveillance and Social Sorting 28 (2009). P. 24

21 Israel Aerospace Industries, 2018 Annual Report, p. 154. On file with Who Profits.

22 Rafael Advanced Defense Systems, 2018 Annual Report, p. 13. On file with Who Profits.

23 Elbit Systems, 2019 Annual Report. On file with Who Profits.

24 Agribusiness as Usual Agricultural Technology and the Israeli Occupation. Who Profits, January

2020. https://whoprofits.org/report/agribusiness-as-usual/

25 Sreekumar, Arjun. How COVID-19 Will Impact the Defense Industry. The Diplomat, 27 March 2020. https://thediplomat.com/2020/03/how-covid-19-will-impact-the-defense-industry/

26 Covid-19 in Israel. Haaretz. Accessed 11 May 2020. https://www.haaretz.com/israel-news/EXT-INTERACTIVE-coronavirus-tracker-israel-world-updates-real-time-statistics-covid-19-cases-deaths-1.8763410

27 Etzion, Udi. Head of MOD emergency team: “We will supply ventilators in a short period time”. Calcalist, 29 March 2020 (Hebrew).

28 Etzion, Udi. A peek into Israel’s ventilators production line.Calcalist, 6 April 2020 (Hebrew).

29 Dayan, Ilana. Commander of Mossad war room for fighting coronavirus, in an interview with Uvda: Globally people are dying due to shortage of ventilators. That won’t happen in Israel. Channel 12, 31 March 2020 (Hebrew).

30 In Accordance with the Directive of the Minister of Defense, Naftali Bennett: The Ministry of Defense, IAI and Invoytec will Begin the Serial Production of Israeli-developed Ventilators. Press release. Israel Aerospace Industries. 31 March 2020. Accessed 11 May 2020. https://www.iai.co.il/serial-production-of-israeli-developed-ventilators

31 Etzion, Urdi. Coronavirus brings military industries into a new battlefield. Calcalist, 31 March

2020 (Hebrew).

32 Ibid; Etzion, Udi. Head of MOD emergency team: “We will supply ventilators in a short period time”. Calcalist, 29 March 2020 (Hebrew).

33 Ibid.

34 Flight Medical Homepage . Accessed 11 May 2020. https://www.flight-medical.com/

35 Etzion, Udi. A peek into Israel’s ventilators production line. Calcalist, 6 April 2020 (Hebrew).

36 Fighting the Coronavirus with Powerful Technologies . Rafael Blog. Rafael Advanced Defense Systems, 16 April 2020. Accessed 11 May 2020. https://www.rafael.co.il/blog/rafael-fighting-the-coronavirus-with-powerful-technologies/

37 Globes Correspondent. Elbit Systems to produce LifeCan Medical ventilators . Globes , 10 April 2020. https://en.globes.co.il/en/article-elbit-systems-to-produce-lifecan-medical-ventilators-1001325034

38 Cohen, Sagi. Without a doctor’s touch: An Israeli system will remotely monitor temperature and breathing in coronavirus patients . TheMarker , 31 March 2020 (Hebrew).

39 Ibid.

40 Ibid.

41 Ziv, Amitai. Scoop: The curious Israeli startup that operates clandestinely in the territories and surveils Palestinians. TheMarker, 14 July 2019 (Hebrew).

42 Solon, Olivia. Why did Microsoft fund an Israeli firm that surveils West Bank Palestinians? NBC News, 28 October 2019. https://www.nbcnews.com/news/all/why-did-microsoft-fund-israeli-firm-surveils-west-bank-palestinians-n1072116

43 Kabir, Omer. Face Recognition Startup AnyVision to Deploy Thermal Cameras at Tel Aviv Hospital. CTech, 7 April 2020. https://www.calcalistech.com/ctech/articles/0,7340,L-3806587,00.html

44 MiniPOP Lightweight Payload for Day/Night Observation System. Israel Aerospace Systems. Accessed 11 May 2020. https://www.iai.co.il/p/minipop

45 Kabir, Omer. Face Recognition Startup AnyVision to Deploy Thermal Cameras at Tel Aviv Hospital. CTech, 7 April 2020. https://www.calcalistech.com/ctech/articles/0,7340,L-3806587,00.html

46 Fighting the Coronavirus with Powerful Technologies. Rafael Blog. Rafael Advanced Defense Systems, 16 April 2020. Accessed 11 May 2020.

47 Gordon, Neve. “The political economy of Israel’s homeland security/surveillance industry.” The New Transparency: Surveillance and Social Sorting 28 (2009).

48 Cohen, Sagi. Pilot in hospitals: A radar to warn about deteriorating condition of coronavirus patients. Haaretz, 30 April 2020 (Hebrew).

49 Ibid.

50 Sensible Medical ReDS Lung Fluid Monitor to Help COVID-19 Patients in Italy, US and Other Countries. News. Sensible Medical. 16 April 2020. Accessed 11 May 2020. https://sensible-medical.com/sensible-medical-reds-lung-fluid-monitor-to-help-covid-19-patients-in-italy-us-and-other-countries/

51 Cohen, Sagi. Pilot in hospitals: A radar to warn about deteriorating condition of coronavirus patients. Haaretz, 30 April 2020 (Hebrew).

(Traduzione dall’inglese di Angelo Stefanini)




La Corte Penale Internazionale (CPI) continuerà a investigare i crimini di guerra israeliani nonostante gli accordi di Oslo

9 giugno 2020 – Palestine Chronicle

Il pubblico ministero Fatou Bensouda della Corte Penale Internazionale (CPI) ha annunciato ieri che continuerà le sue indagini sulle politiche di Israele relative ai palestinesi, nonostante l’ininterrotta applicazione degli accordi di Oslo del 1993, 

Questa dichiarazione è la risposta alla richiesta, presentata il 27 maggio, della Camera per il processo preliminare del CPI di chiarire l’attuale situazione degli accordi di Oslo e del loro impatto sull’inchiesta sui crimini di guerra israeliani.

Alcuni hanno messo in dubbio se la Corte internazionale possa investigare tali crimini dato che gli accordi di Oslo prevedono che Israele abbia la giurisdizione in materia penale nella Cisgiordania occupata, dimostrando così che non esiste lo Stato di Palestina e che quindi essa non possa presentare il caso alla CPI, come spiega il Jerusalem Post.

L’ANP ha detto che non sarebbe più legata dagli accordi di Oslo nel caso Israele procedesse il mese prossimo con la pianificata annessione della Cisgiordania occupata.

Bensouda ha espresso un’ulteriore preoccupazione circa l’impatto dell’annessione israeliana e ha affermato che una tale mossa da parte di Israele non avrebbe valore legale.

Se Israele procede con l’annessione, una violazione sostanziale degli accordi fra le due parti, si annullerebbero di conseguenza ciò che resta degli accordi di Oslo e tutti gli altri patti,” ha detto Riyad Al-Maliki, il ministro degli esteri palestinese.

Lo Stato di Palestina continuerà a cooperare con le istituzioni di diritto internazionale, inclusa la CPI, per combattere i crimini e punire chi commette gravi delitti contro i palestinesi per ottenere giustizia,” ha aggiunto Maliki.

Israele ha tempo fino al 24 giugno per rispondere alle osservazioni del pubblico ministero, ma, secondo il Jerusalem Post, potrebbe scegliere di non farlo per non dare legittimità alla CPI.

In dicembre l’ufficio del procuratore della CPI ha terminato un’inchiesta preliminare durata cinque anni sulla “situazione nello Stato di Palestina”, concludendo che ci sono fondati motivi per credere che nella Cisgiordania occupata siano stati o siano ancora commessi crimini di guerra.

Il 30 aprile, Fatou Bensouda, procuratrice capo della CPI, ha ripetuto che la Palestina è uno Stato e perciò la Corte ha giurisdizione legale per pronunciarsi su presunti crimini di guerra là commessi.

La dichiarazione è stata una risposta decisa all’intensa pressione esercitata da Israele e dai suoi sostenitori, specialmente la Germania, per delegittimare del tutto il procedimento nel suo complesso.

Comunque, la palla è ora alla Camera per il processo preliminare della CPI, da cui nelle prossime settimane si attende una risposta sui dubbi circa la giurisdizione.

(traduzione di Mirella Alessio)




‘È un crimine di guerra’: migliaia in piazza a Tel Aviv per protestare contro il piano di annessione di Netanyahu *

Jacob Magid

6 giugno 2020 – Times of Israel

Un deputato del Meretz e un leader della Lista Unita dichiarano che la decisione creerebbe ‘l’apartheid”. Sanders invia un videomessaggio; la polizia ha usato la forza con i fotogiornalisti presenti all’evento, arrestati 4 dimostranti.

*Nota redazionale: non condividiamo molte delle affermazioni riportate nell’articolo che segue: non consideriamo Blu e Bianco un partito di “centro-sinistra”, come affermato dal giornalista; non crediamo che l’apartheid in Israele sarebbe il risultato dell’annessione, ma sia già presente sia all’interno di Israele che nei territori occupati; non condividiamo le posizioni della cosiddetta “sinistra” sionista, che riteniamo sia un ossimoro. Tuttavia abbiamo deciso di tradurre questo articolo perché racconta di una manifestazione che nell’Israele attuale rappresenta comunque un avvenimento significativo.

Migliaia di israeliani si sono radunati sabato sera a Tel Aviv per protestare contro l’impegno del primo ministro Benjamin Netanyahu di iniziare il mese prossimo l’annessione di parti della Cisgiordania.

Inizialmente la polizia aveva cercato di bloccare la manifestazione, ma ha fatto marcia indietro venerdì, dopo l’incontro con gli organizzatori che hanno raccomandato ai partecipanti di indossare mascherine e di attenersi alle norme del distanziamento fisico.

Sono stati schierati decine di agenti per garantire la sicurezza della dimostrazione dopo che la polizia ha detto che si sarebbero limitate le presenze a 2000 persone, sebbene il quotidiano Haaretz ne abbia calcolate 6.000 in quella che è sembrata la più grande protesta nel Paese dall’inizio della pandemia da coronavirus.

La manifestazione è stata organizzata dal partito di sinistra Meretz e da Hadash, la fazione comunista della Lista Unita a maggioranza araba, insieme a parecchi altri gruppi di sinistra.

MK Nitzan Horowitz, il leader di Meretz, ha detto alla folla che l’annessione sarebbe un “crimine di guerra” e costerebbe milioni ad Israele in un momento in cui l’economia sta già vacillando a causa della pandemia.

Noi non possiamo sostituire un’occupazione di decine di anni con un’apartheid che durerà per sempre,” ha gridato un rauco Horowitz. “Sì ai due Stati per due popoli, no alla violenza e allo spargimento di sangue,” ha continuato. “No all’annessione, sì alla pace.”

Horowitz ha detto che “l’annessione è un crimine di guerra, un crimine contro la pace, un crimine contro l’umanità, un crimine che finirà in una strage.”

Ha chiamato in causa Benny Gantz, ministro della Difesa, Gabi Ashkenazi, ministro degli Esteri e Amir Peretz, ministro dell’Economia, accusandoli di “alzare le mani e di essersi inginocchiati alla fazione opposta [cioè alla destra, ndtr.].”

I tre legislatori di centro-sinistra avevano promesso che non avrebbero fatto parte di un governo con Netanyahu, citando le accuse di corruzione mosse al premier, ma dopo la terza elezione inconcludente a marzo hanno accettato di unirsi a lui in una coalizione.

L’accordo di coalizione firmato dal Likud di Netanyahu e dal Blu e Bianco di Gantz permette al primo ministro di cominciare a procedere con l’annessione il primo luglio. Le parti della Cisgiordania su cui Israele estenderà la sovranità sono quelle scelte dal piano di pace del presidente degli USA Donald Trump.

Voi non avete alcun mandato per approvare quest’apartheid. Voi non avete nessun mandato per seppellire la pace,” ha urlato Horowitz. Il leader di Meretz ha affermato che Netanyahu è stato spinto a portare avanti la controversa mossa dall’amministrazione “messianica” di Trump.

Fatevi sentire o tutti penseranno che siamo una manica di sfigati,” ha gridato l’oratore alla folla dopo il discorso di Horowitz.

La deputata della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] Tamar Zandberg, anche lei appartenente al Meretz, ha fatto a pezzi il piano di pace di Trump definendolo “un accordo maledetto fra un uomo che sta cercando di vincere un’elezione e un altro che sta cercando di evitare un processo per corruzione,” riferendosi rispettivamente al presidente americano e a Netanyahu.

Trump non è un amico di Israele. Bibi [Netanyahu] non è un bene per Israele,” ha detto, facendo il verso ironicamente ai leader dei coloni che si oppongono al piano USA perché sostiene uno Stato palestinese. “Questo accordo [di pace] non ha nulla a che fare con quello che è bene per noi, israeliani e palestinesi che viviamo qui in Medio Oriente.”

Ha continuato dicendo che l’accordo “trasformerà ufficialmente Israele in uno Stato con un regime di apartheid … (Esercitare) la sovranità (in Cisgiordania)] senza (concedere) la cittadinanza (ai palestinesi)] è apartheid,” ha asserito.

Anche Ayman Odeh, leader della Lista Unita, si è rivolto alla folla con un collegamento video, confinato in quarantena dopo che un membro del suo partito ha contratto il COVID-19. Odeh ha detto che tutti gli ebrei e gli arabi che sostengono pace e giustizia devono opporsi al piano di Netanyahu di imporre la sovranità israeliana su circa il 30% della Cisgiordania.

L’annessione è apartheid,” ha detto Odeh fra gli applausi dei manifestanti.

Odeh ha paragonato la protesta contro l’annessione al movimento di protesta delle “Quattro Madri” che, alla fine degli anni’ 90, spinse il governo al ritiro delle truppe israeliane dal Libano meridionale.

La laburista Merav Michaeli, che si è opposta alla decisione del suo partito di unirsi al nuovo governo, ha detto alla folla di essere andata in piazza Rabin come rappresentante di quanti nella sua fazione di centro-sinistra si oppongono all’annessione.

Michaeli ha detto che la mossa danneggerà le relazioni con la Giordania che, con l’Egitto è l’unico Paese arabo ad avere rapporti con Israele oltre ad avere stretti legami commerciali con l’Europa.

Ha anche criticato duramente Gantz per aver accettato di unirsi a un governo che avrebbe portato a termine una misura simile.

Bernie Sanders senatore del Vermont ed ex candidato del partito Democratico [USA] si è rivolto alla folla dagli Stati Uniti tramite un messaggio video.

Sono estremamente rincuorato vedendo cosi tante persone, arabi ed ebrei insieme, che si battono per pace, giustizia e democrazia,” ha detto il democratico che si autodefinisce socialista.

Ha aggiunto: “Bisogna fermare i piani per annettere qualsiasi parte della Cisgiordania. Si deve porre fine all’occupazione e dobbiamo lavorare insieme per un futuro di uguaglianza e dignità per tutti in Israele e in Palestina.”

Alcuni dei dimostranti sventolavano bandiere israeliane, palestinesi e comuniste, varie decine avevano foto di Iyad Halak, un palestinese affetto da autismo ucciso la settimana scorsa dalla polizia nella Città Vecchia a Gerusalemme. Gli agenti hanno detto che credevano avesse una pistola, in realtà era disarmato e aveva in mano un cellulare e a quanto pare non aveva capito gli ordini di fermarsi.

Imitando le proteste negli USA, Shaqued Morag di Peace Now [associazione israeliana contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndtr.] ha detto ai dimostranti di inginocchiarsi “in memoria di George Floyd. In memoria di Iyad Halak. In memoria di tutte le vittime del conflitto israelo-palestinese.”

Quando le proteste sono finite, la polizia ha fatto sgombrare un gruppo che stava bloccando illegalmente via Ibn Gabirol, una strada di grande scorrimento che passa vicino a piazza Rabin.

La polizia ha detto che cinque dimostranti sono stati arrestati, incluso un fotografo del quotidiano Haaretz che stava riprendendo la protesta.

Un giornalista del giornale ha twittato che il fotografo si è identificato come giornalista, ma che è stato trattenuto con la forza dagli agenti.

Prima della manifestazione, Yair Lapid, leader dell’opposizione nella Knesset ha liquidato la promessa di annessione da parte di Netanyahu come “fuffa” intesa a distogliere l’attenzione della gente dal processo per corruzione in corso e dalla crisi economica causata dalla pandemia.

Io penso che sia una manovra diversiva da parte di Netanyahu, che sta cercando di distrarre l’attenzione dal collasso economico, incluso quello delle imprese private, e dal suo processo penale,” ha detto in un’intervista al telegiornale su Channel 12.

Io appoggio il piano di Trump. Mi oppongo all’annessione unilaterale,” ha aggiunto Lapid.

La protesta di sabato è arrivata in mezzo a un’ondata di critiche a livello regionale e internazionale nei confronti del programma israeliano di annessione di parti della Cisgiordania secondo il piano di pace proposto dall’amministrazione trumpiana negli USA.

Gran parte della comunità internazionale ha già espresso una forte opposizione alla decisione e anche gli USA recentemente hanno intimato a Israele di procedere più lentamente.

I palestinesi si oppongono apertamente al piano di Trump, che dà a Israele il via libera all’annessione delle colonie ebraiche nella Valle del Giordano, in quella che dovrebbe essere parte di un processo negoziale, ma che potrebbe procedere unilateralmente.

Alla stesura di questo articolo hanno contribuito la redazione di Times of Israel e di agenzie di stampa.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele rinnova la sua legge razzista sul matrimonio

Ali Abunimah 

3 giugno 2020 – Electronic Intifada

Questa settimana Israele ha rinnovato una delle più apertamente razziste tra le decine di leggi dei suoi codici giuridici che discriminano i palestinesi e i cittadini palestinesi residenti in Israele.

La “Legge sulla cittadinanza e sull’ingresso in Israele ” proibisce ai cittadini israeliani che sposino palestinesi della Cisgiordania occupata o della Striscia di Gaza o a quelli con nazionalità di parecchi altri Stati della regione di vivere in Israele con il marito/la moglie.

La legge colpisce decine di migliaia di famiglie palestinesi residenti fra Israele e la Cisgiordania, su entrambi i lati della Linea verde, e impedisce ai palestinesi di trasferirsi legalmente in Israele per il ricongiungimento familiare,” secondo quanto riportato da Adalah, un’associazione di assistenza legale per i palestinesi di Israele che ha inutilmente presentato dei ricorsi in tribunale.

La disposizione era stata originariamente approvata come misura di emergenza nel 2003, ma da allora è stata rinnovata ogni anno.

La legge fa parte degli sforzi di Israele per impedire l’aumento della popolazione palestinese, una misura sostanzialmente razzista giustificata dai suoi leader in quanto necessaria a mantenere la maggioranza ebraica.

Zvi Hauser, il capo del Comitato degli affari esteri e della difesa della Knesset, il parlamento di Israele, ha detto che il rinnovo è giustificato dalla legge dello Stato-Nazione del popolo ebraico di recente promulgata che, secondo il parere dei giuristi, viola i divieti internazionali contro l’apartheid.

La legge israeliana sulla cittadinanza non differisce, negli intenti e negli effetti, dalle leggi che esistevano nel Sud Africa dell’apartheid per prevenire i matrimoni misti, l’incrocio di persone di razze diverse e per controllare dove i neri potessero vivere – leggi come il Group Areas Act [che divideva la città in aree per bianchi e relegava i neri nelle baraccopoli, ndtr] e il Prohibition of Mixed Act [che vietava i matrimoni misti, ndtr.].

Anche se la legge israeliana non vieta esplicitamente i matrimoni, in effetti impedisce ai cittadini israeliani e palestinesi l’esercizio del loro diritto alla vita di famiglia.

Mira a ottenere esattamente lo stesso scopo, seppure con mezzi più subdoli di quelli impiegati dai suprematisti bianchi in Sud Africa, come spiego nel mio libro del 2014: The Battle for Justice in Palestine (La Lotta per la giustizia in Palestina).

Manipolazione dei collegi elettorali su base razziale

Inizialmente Israele ha giustificato la legge sul matrimonio sul piano della “sicurezza,” una scusa respinta da Human Rights Watch. [nota ong statunitense, ndtr.].

Human Rights Watch nel 2012 ha dichiarato che un “divieto assoluto” senza “valutare nel caso specifico se la persona in questione possa mettere in pericolo la sicurezza è ingiustificato” e “rappresenta un danno esageratamente sproporzionato del diritto dei palestinesi e dei cittadini israeliani di vivere con la propria famiglia.”

La discriminazione presente nella legge potrebbe essere misurata “in base alle conseguenze per i cittadini palestinesi di Israele rispetto a quelli ebrei,” ha aggiunto.

Ariel Sharon, all’epoca primo ministro israeliano, nel 2005 ammise qual era il vero scopo della legge.

Non c’è bisogno di nascondersi dietro la scusa della sicurezza” disse Sharon. “È necessaria per l’esistenza dello Stato ebraico.”

Suicidio nazionale”

Lo scopo demografico razzista della legge fu confermato nel 2012 quando la Corte suprema israeliana respinse il ricorso di Adalah.

I diritti umani non devono essere una ricetta per il suicidio della Nazione,” aveva scritto il giudice Asher Grunis nella sua motivazione al respingimento con una maggioranza di 6 a 5.

Approvando in pratica la manipolazione dei collegi elettorali su base razziale la sentenza della Corte aggiunse anche che “il diritto alla vita familiare non deve essere per forza esercitato entro i confini di Israele.”

Si noti la notevole somiglianza dei termini usati dalla Corte Suprema israeliana con le parole di Daniel Malan, il primo ministro del Sud Africa sotto il regime di apartheid, che disse nel 1953 che “l’uguaglianza… inevitabilmente significherebbe per i bianchi del Sud Africa nient’altro che il suicidio della Nazione.”

I palestinesi colpiti dal provvedimento hanno fatto una campagna per diffondere la conoscenza della legge razzista e delle difficoltà che crea all’“amore ai tempi dell’apartheid.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 12 maggio – 1 giugno 2020 (tre settimane)

Il 30 maggio, nella Città Vecchia di Gerusalemme, poliziotti di frontiera israeliani hanno aperto il fuoco, uccidendo un 31enne palestinese autistico che era fuggito all’intimazione dell’alt.

Le autorità israeliane hanno aperto un’inchiesta. In Cisgiordania, dall’inizio dell’anno, in circostanze diverse, sono stati uccisi 15 palestinesi e un soldato israeliano.

Nel corso di quattro separati attacchi palestinesi contro forze israeliane, due palestinesi sono stati uccisi, mentre altri due palestinesi e un soldato israeliano sono rimasti feriti [seguono dettagli]. Le due persone uccise, il 14 ed il 29 maggio, avevano guidato le loro auto contro soldati israeliani in servizio presso checkpoint vicini ai villaggi di Beit ‘Awwa (Hebron) e An Nabi Saleh (Ramallah). Il soldato israeliano [sopraccitato] è rimasto ferito nell’episodio avvenuto il 14 maggio. Gli altri due palestinesi sono stati colpiti e feriti in due distinti episodi avvenuti a Gerusalemme Est dove avevano tentato di accoltellare soldati israeliani: nei pressi di una torretta militare nel quartiere di Jabal al Mukkabir ed al checkpoint di Qalandiya; non ci sono stati feriti da parte israeliana.

Durante due diverse operazioni di ricerca-arresto, un ragazzo palestinese e un soldato israeliano sono stati uccisi; altri 18 palestinesi sono rimasti feriti [seguono dettagli]. Il 12 maggio, nel villaggio di Ya’bad (Jenin), durante un’operazione di ricerca-arresto, un soldato israeliano è morto, colpito al volto da un sasso lanciato da palestinesi da un tetto. Altri 14 palestinesi sono rimasti feriti durante scontri scoppiati nello stesso villaggio durante operazioni israeliane attuate a seguito di quanto sopra. In ulteriori scontri scoppiati il 13 maggio, durante un’operazione di ricerca-arresto nel Campo profughi di Al Fawwar (Hebron), le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un 15enne palestinese e ferendo altri quattro palestinesi.

In Cisgiordania, altri 45 palestinesi sono rimasti feriti in numerosi episodi e scontri con forze israeliane [seguono dettagli]. Ventitre sono stati feriti nel villaggio di As Sawiya (Nablus), nel corso di una manifestazione contro l’esproprio di terreni per l’espansione del vicino insediamento colonico [israeliano] di Rechalim. Cinque palestinesi sono rimasti feriti nel villaggio di Turmus’ayya, in scontri scoppiati dopo che agricoltori al lavoro sui loro terreni vicini al villaggio erano stati costretti da un colono israeliano ad andarsene dalla zona. Nel corso di scontri con forze israeliane tre palestinesi sono stati feriti con arma da fuoco nella città di Abu Dis (Gerusalemme) ed altri tre sono stati aggrediti fisicamente ad Huwwara (Nablus).

Complessivamente, in Cisgiordania, nel corso del periodo di riferimento (tre settimane), le forze israeliane hanno effettuato 145 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato circa 199 palestinesi. Di queste operazioni, 44 sono avvenute nei quartieri di Gerusalemme Est, 28 a Hebron, 19 nel governatorato di Ramallah e 15 a Jenin, prevalentemente nel villaggio di Ya’bad.

Nella Striscia di Gaza, per far rispettare le restrizioni di accesso alle aree [interne alla Striscia] prossime alla recinzione perimetrale israeliana ed al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 59 occasioni. In due casi separati, due pescatori sono rimasti feriti ed una barca e l’attrezzatura da pesca hanno subìto danni. Da aprile, in mare, c’è stato un notevole aumento del numero di aperture del fuoco di avvertimento. In quattro occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia, ad est di Gaza, di Beit Hanoun e del Campo Profughi di Al Bureij, ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino alla recinzione perimetrale.

Nella Striscia di Gaza, a Beit Lahiya, un 14enne è morto per l’esplosione di un residuato bellico (ERW) trovato vicino a casa.

Il 12 maggio, il valico di Rafah con l’Egitto ha riaperto in una direzione per tre giorni consecutivi, per consentire il rientro a Gaza di 1.168 palestinesi. Dal 15 marzo, per impedire la diffusione di COVID-19, il valico era rimasto prevalentemente chiuso in entrambe le direzioni.

Una prima valutazione fa ritenere che la sospensione, da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, di ogni coordinamento con le autorità israeliane abbia reso più difficile l’uscita dei palestinesi da Gaza. I titolari di permessi di uscita hanno avuto difficoltà a lasciare Gaza attraverso il valico di Erez, mentre l’Autorità Palestinese non ha ricevuto nuove richieste in tal senso. Questa misura era stata adottata in risposta all’annuncio del governo israeliano circa l’intenzione di annettere parti della Cisgiordania.

In Area C e Gerusalemme Est, a motivo della mancanza di permessi di costruzione, cinquantanove (59) strutture di proprietà palestinese sono state demolite o sequestrate dalle autorità israeliane, sfollando 37 persone e creando ripercussioni su altre 260 [seguono dettagli]. Quarantacinque [delle 59] strutture demolite in Area C hanno interessato 16 Comunità; sette di queste demolizioni sono state attuate in base all’Ordine Militare 1797, che prevede la rimozione accelerata di strutture senza licenza, in quanto ritenute “nuove”. Metà delle 14 strutture demolite a Gerusalemme Est si trovavano nel villaggio di Al Walaja, situato sul “lato Gerusalemme” della Barriera. Dal 4 marzo, queste sono state le prime demolizioni effettuate dalle autorità israeliane nell’area municipale di Gerusalemme. Le demolizioni delle restanti sette strutture in Gerusalemme Est, sono state effettuate dagli stessi proprietari. Durante il mese di Ramadan, conclusosi il 23 maggio, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 42 strutture; erano state 13 nel Ramadan del 2019, una nel 2018, nessuna nel 2017.

Il 25 maggio, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha accolto una petizione volta ad impedire la demolizione “punitiva” di un appartamento nel villaggio di Beit Kahil a Hebron. La casa, dove vivono una donna e tre minori, appartiene alla famiglia di un palestinese accusato di aver ucciso un israeliano, nell’agosto 2019, vicino all’insediamento colonico di Gush Etzion. La sentenza della Corte è la prima nel suo genere dal 2016.

Tredici palestinesi sono rimasti feriti e circa 480 ulivi sono stati vandalizzati da aggressori ritenuti coloni israeliani [seguono dettagli]. Cinque dei feriti erano minori e sono stati aggrediti fisicamente da coloni nella parte della città di Hebron controllata da Israele (Zona H2). Sei sono rimasti feriti durante le irruzione di coloni nei villaggi di Huwwara e Yatma (Nablus). Due sono stati aggrediti da coloni nei pressi di una sorgente vicina al villaggio di Deir Nidham (Ramallah). Coloni hanno fatto irruzione nei villaggi di Al Jab’a (Betlemme) e Beitin (Ramallah) e nel quartiere di Tel Rumeida nella città di Hebron, danneggiando case, muri e automobili. In due casi, i residenti hanno riferito che coloni hanno abbattuto oltre 50 ulivi appartenenti ai villaggi di Yatma e di Nahhalin, mentre altri 280 sono stati vandalizzati vicino al villaggio di Shufa (Tulkarm). Vicino al villaggio di Haris (Salfit), coloni hanno sradicato 150 alberi di ulivo. Nel sud di Hebron, in tre distinti episodi, assalitori ritenuti coloni hanno dato fuoco o hanno fatto pascolare le loro pecore su terreni di proprietà palestinese, causando danni ad alcuni ettari di terreno coltivati con colture stagionali.

Sono stati segnalati diversi episodi di lancio di pietre, bottiglie incendiarie e bottiglie contenenti vernici, da parte di palestinesi contro veicoli israeliani che viaggiavano su strade della Cisgiordania. Di conseguenza, secondo una ONG israeliana, un bambino di cinque anni è stato leggermente ferito e 18 veicoli hanno subìto danni.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it