La contestazione di Harvard: ‘I dirigenti israeliani alla fine hanno parlato ad una platea vuota’

Azad Essa da New York

15 Novembre 2019 – Middle East Eye

Dani Dayan, diplomatico israeliano ed ex leader del movimento dei coloni israeliani, ha parlato ad una platea semivuota dopo che gli studenti hanno inscenato una spettacolare protesta

Mercoledì circa 100 studenti hanno inscenato una spettacolare protesta durante un evento nella Scuola di Diritto di Harvard, dove avrebbe parlato Dani Dayan, console generale di Israele a New York.

Proprio quando Dayan stava per iniziare il suo intervento, i contestatori, che avevano occupato la maggior parte del centro della sala, si sono alzati, hanno sollevato cartelli dove era scritto “Le colonie sono un crimine di guerra”, quindi hanno voltato le spalle a Dayan e sono usciti in silenzio.

Quando la sala si è svuotata, si è potuto udire Dayan che diceva: “Ricordo che si faceva così all’asilo”.

Ma è stata l’azione silenziosa degli studenti a impressionare l’uditorio.

Dayan è stato lasciato a parlare su “La strategia legale delle colonie israeliane” ad una sala per lo più vuota.

Su internet il video dell’uscita degli studenti è diventato virale e sono piovute parole di incoraggiamento e congratulazioni per aver preso posizione e aver messo a disagio Dayan.

Vedere 100 persone alzarsi in piedi contemporaneamente e in silenzio ha avuto effetto”, ha detto a Middle East Eye Samer Hjouj, uno degli organizzatori della protesta. “Appena abbiamo saputo dell’evento ci siamo organizzati e questo ci è costato molto tempo, ma avevamo un gruppo in ogni scuola di Harvard che cercava persone che ci potessero aiutare a realizzare la protesta.”

Dayan, l’ex leader del movimento dei coloni israeliani, ritenuto uno dei principali ostacoli al processo di pace, nel 2012 ha scritto sul New York Times che “I coloni israeliani sono qui per restarci.”

Circa 650.000 israeliani vivono in colonie nella Cisgiordania occupata.

Le colonie sono illegali in base al diritto internazionale e sono considerate un crimine di guerra.

Menachem Butler e Noah Feldman, insieme al ‘Programma Julis-Rabinowitz sul diritto ebraico e israeliano’ (che hanno co-organizzato l’evento), hanno detto a MEE che, pur essendo assolutamente lecito che gli studenti abbiano espresso contrarietà e disapprovazione in quel modo, non hanno alcun rimorso per aver ospitato l’evento.

Il nostro programma invita persone di opinioni molto diverse su Israele e Palestina. Dayan è un diplomatico del governo israeliano che ha illustrato la politica del governo israeliano. Certamente delle organizzazioni internazionali considerano le colonie una violazione [delle Convenzioni] di Ginevra. Non è così per il governo di Israele”, ha detto Butler, che è il coordinatore del Programma per i Progetti Giuridici Ebraici.

Analogamente Feldman, che aveva presentato Dayan appena prima della contestazione, ha detto che il fatto che “qualcuno abbia posizioni sul diritto internazionale che io o il mio governo consideriamo errate non significa che tali posizioni non debbano essere affrontate”.

L’opinione di Dayan sulla legalità delle colonie è quella del suo governo – ed io ho piacere di ospitare rappresentanti del governo israeliano, esattamente come sono felice di ospitare rappresentanti palestinesi. Finché la posizione del governo israeliano è coinvolta nelle colonie, la pace sarà quasi impossibile da raggiungere”, ha detto Feldman, docente nella Scuola di Diritto.

Ma gli studenti attivisti dicono che le argomentazioni che suggeriscono che sia una questione di tolleranza di diverse opinioni accademiche sono una distorsione della verità.

Hjouj sostiene che avevano deciso di non invitare Dayan per evitare di dare credibilità ad una posizione insostenibile.

Rami Younis, uno studente della Harvard Divinity School [una delle scuole che fanno parte dell’università di Harvard, in Massachussets, ndtr.], che ha contribuito ad organizzare la contestazione silenziosa, ha detto che, dato che il console generale israeliano è una persona la cui intera vita si è incentrata sull’esproprio e il furto, “dovrebbe essere processato in un tribunale internazionale e non invitato a parlare di fronte ad un pubblico ‘progressista’.”

Allo stesso modo Amaya Arregi, studentessa della Fletcher School [scuola di specializzazione in affari internazionali, in Massachussets, ndtr.], che ha preso parte alla protesta, ha affermato che, anche se la libertà accademica è fondamentale, lei si è stupita di come la Scuola di Diritto potesse giustificare “l’invito ad un politico israeliano a parlare di come loro continuano a violare il diritto internazionale.”

Gli hanno dato un ampio spazio e avrebbe parlato impunemente. Il fulcro della sessione era esattamente quali metodi legali usa Israele per portare avanti il suo progetto coloniale. Abbiamo avuto l’impressione che la Scuola di Diritto di Harvard stesse aprendo la strada perché simili opinioni diventassero normali negli incontri accademici”, ha aggiunto Arregi.

Gli studenti hanno anche sostenuto che Harvard è stracolma di posizioni a favore di Israele, comprese conferenze di ex agenti del Mossad [servizio segreto israeliano, ndtr.].

Harvard invita molti relatori israeliani – di tutte le posizioni politiche. Ma i relatori palestinesi devono essere graditi all’amministrazione. Non inviterebbero mai uno come Omar Barghouti, che appoggia la campagna di boicottaggio”, ha detto Hjouj.

Ma Hamzah Raza, studente laureato della Harvard Divinity School, che ha partecipato alla protesta, ha detto che l’efficace azione di mercoledì gli ha indicato che sempre più giovani negli Stati Uniti stanno diventando sostenitori dei diritti umani dei palestinesi.

Il fatto che praticamente tutta la sala si sia svuotata significa qualcosa per lui. Le persone che continuano a mantenere simili posizioni si troveranno a parlare a platee sempre più vuote”, ha detto.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 29 ottobre – 11 novembre 2019 (due settimane)

Il 2 novembre, un civile palestinese 27enne è stato ucciso ed un altro è rimasto ferito durante una serie di attacchi aerei israeliani contro siti militari ed aree non urbane della Striscia di Gaza.

I due uomini sono stati colpiti a sud-ovest di Khan Younis; si trovavano all’interno di una struttura agricola che, secondo fonti israeliane, veniva utilizzata a scopi militari. Nei due giorni precedenti, un gruppo armato palestinese aveva lanciato verso la regione meridionale di Israele diversi missili; uno di questi aveva colpito un edificio nella città di Sderot, provocando danni.

Vicino alla recinzione israeliana che perimetra la Striscia di Gaza, sono proseguite le manifestazioni della “Grande Marcia del Ritorno”, durante le quali le forze israeliane hanno ferito 396 palestinesi, tra cui 171 minori. Secondo il Ministero della Salute palestinese, 102 di loro, tra cui 39 minori, sono stati colpiti con armi da fuoco. Fonti israeliane hanno riferito che contro le forze israeliane sono stati lanciati ordigni esplosivi improvvisati, bombe a mano e bottiglie incendiarie e che ci sono stati diversi tentativi di violare la recinzione; non sono state riportate vittime israeliane.

In almeno 30 occasioni, allo scopo di far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle aree della Striscia di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e, in mare, al largo della costa; non sono stati segnalati feriti. In un caso separato, due pescatori palestinesi sono stati arrestati e la loro barca è stata confiscata dalle forze navali israeliane. In un altro caso, le forze israeliane hanno arrestato un minore palestinese che avrebbe tentato di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale. Le forze israeliane hanno anche compiuto tre incursioni [nella Striscia], effettuando operazioni di spianatura del terreno vicino alla recinzione perimetrale.

L’11 novembre, durante scontri all’ingresso del campo profughi di Al ‘Arrub (Hebron), le forze israeliane hanno sparato e ucciso un palestinese di 22 anni. Il Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite, Nickolay Mladenov, ha dichiarato che le registrazioni video dell’uccisione mostrano che, al momento in cui gli hanno sparato, l’uomo ucciso non costituiva alcuna minaccia per le forze israeliane. Secondo resoconti di media israeliani, le autorità israeliane hanno avviato un’indagine penale sul caso. Gli scontri erano scoppiati durante una manifestazione che commemorava il 15° anniversario della morte del Presidente palestinese Yasser Arafat.

In Cisgiordania, durante molteplici proteste e scontri, 56 palestinesi, tra cui almeno 17 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane. Gli scontri più ampi sono stati registrati durante la summenzionata manifestazione nel campo di Al ‘Arrub; nel corso della protesta settimanale contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e durante una protesta nel villaggio di Surif (Hebron) contro la confisca della terra. Complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 84 operazioni simili, tre delle quali hanno portato a scontri e a feriti.

Inoltre, 285 scolari e 35 insegnanti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni: nella Zona (H2) della città di Hebron, controllata da Israele, in tre diverse circostanze, le forze israeliane avevano sparato gas lacrimogeni e bombe sonore nei cortili di due complessi scolastici. Secondo varie fonti palestinesi, solo uno dei tre casi (il 3 novembre) era stato preceduto dal lancio di pietre contro le forze israeliane da parte di minori palestinesi.

Nel quartiere Al Isawiya di Gerusalemme Est, le operazioni di polizia hanno sconvolto, quasi quotidianamente, la vita di circa 18.000 palestinesi; la maggior parte di queste operazioni ha provocato scontri e arresti. Il 2 novembre, per protestare contro la violenza della polizia, il Comitato dei genitori ha dichiarato uno sciopero di due giorni in tutte le scuole del quartiere. Sebbene non sia stato possibile accertare il numero delle persone ferite durante gli scontri di cui sopra, c’è particolare preoccupazione per un bambino di otto mesi e una donna incinta che hanno inalato gas lacrimogeno. Diciannove residenti, tra cui sette minori, sono stati arrestati. Ad Al Isawiya, dallo scorso giugno, si registrano alti livelli di tensione e violenze.

Due palestinesi, un ragazzo 15enne e una donna di 37 anni, sono stati feriti dalle forze israeliane in due episodi separati: secondo quanto riferito, avevano tentato di aggredire con un coltello le forze israeliane; nessun israeliano è rimasto ferito. I due episodi sono avvenuti il 28 e il 30 ottobre, rispettivamente nella Città Vecchia di Gerusalemme e nella zona H2 della città di Hebron. I due sospetti autori sono stati arrestati. Vicino al villaggio di Qaffin (Tulkarm), le forze israeliane hanno sparato e ferito un palestinese che aveva tentato di attraversare la Barriera senza permesso.

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, o costretto le persone a demolire, 19 strutture: 49 palestinesi sono stati sfollati mentre altri 61 hanno subìto ripercussioni di diversa entità [segue dettaglio]. Sei di queste strutture, di cui quattro precedentemente fornite come aiuti umanitari, si trovavano in Comunità di pastori situate in aree da Israele dichiarate chiuse e dedicate ad “addestramento a fuoco” delle forze armate israeliane. Altre tre strutture (tutte abitative) erano situate nelle Comunità beduine palestinesi ad est di Gerusalemme, vicino a un’area destinata all’espansione dell’insediamento colonico di Ma’ale Adummim (piano E1). Le rimanenti nove strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, inclusa una casa in Al Isawiya, auto-demolita dai proprietari. Dall’inizio dell’anno ad oggi [11 novembre], il numero di strutture demolite (513) indica un incremento di quasi il 33%, rispetto al corrispondente periodo del 2018.

In diverse aree della Cisgiordania la raccolta delle olive è stata sconvolta dalla violenza di coloni israeliani che hanno danneggiato almeno 1.050 alberi e rubato diverse tonnellate di olive. Nove episodi documentati hanno avuto luogo [su terreni palestinesi] vicino ad insediamenti colonici; l’accesso dei palestinesi a questi luoghi è limitato e regolato dalle autorità israeliane. Le Comunità colpite includevano Qaryut, Burin, Al Lubban ash Sharqiya e Deir al Hatab (tutte a Nablus), Kafr Qaddum (Qalqiliya), Mas-ha (Salfit) e Umm Safa (Ramallah). Altri sette episodi che hanno visto coloni come protagonisti sono stati segnalati nei villaggi di Yatma, Sawiya e Burin (Nablus), Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Yasuf (Salfit). La raccolta delle olive, che si svolge ogni anno tra ottobre e novembre, è un evento basilare per i palestinesi, sia da punto di vista economico che sociale e culturale.

Altri cinque attacchi di coloni hanno provocato ferimenti e danni a proprietà palestinesi. In tre di questi episodi, accaduti sulle strade della Cisgiordania, un palestinese è stato ferito e tre veicoli palestinesi hanno subito danni a seguito del lancio di pietre. In altri due casi, coloni israeliani hanno vandalizzato almeno 32 veicoli ed hanno spruzzato scritte tipo “Questo è il prezzo da pagare” su tre case nei villaggi di Tublas (Gerusalemme) e Qabalan (Nablus). A Qarawat Bani Hassan (Salfit), coloni israeliani avrebbero danneggiato una baracca e dato fuoco a 400 balle di fieno. Finora nel 2019, OCHA ha registrato 299 episodi in cui coloni israeliani hanno ucciso o ferito palestinesi o danneggiato loro proprietà; nei corrispondenti periodi dei due anni precedenti, gli episodi erano stati 213 nel 2018 e 124 nel 2017.

Media israeliani hanno riferito di sei episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli di coloni israeliani: due coloni sono rimasti feriti e diversi veicoli sono stati danneggiati. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 93 episodi in cui palestinesi hanno ucciso o ferito coloni o altri civili israeliani o danneggiato loro proprietà; quindi si registra un calo rispetto al numero di episodi verificatisi in periodi corrispondenti del 2018 (141 casi) e 2017 (211 casi).

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Nelle prime ore del 12 novembre, l’aeronautica israeliana ha preso di mira e ucciso un comandante dell’ala armata del gruppo palestinese della Jihad islamica (PIJ) e sua moglie, mentre dormivano nella loro casa. L’episodio ha innescato, per circa 48 ore, un crescendo di ostilità tra Israele e varie fazioni armate palestinesi; ne è rimasta estranea Hamas. Secondo il Ministero della Salute palestinese (MoH), a Gaza, durante questi attacchi sono state uccise 34 persone, di cui 23 uomini, otto minori e tre donne. Delle vittime fanno parte otto persone appartenenti alla stessa famiglia; stando a quanto riferito, sono rimaste uccise durante un attacco diretto contro un agente PIJ di alto livello. Il MoH ha anche riferito che 111 palestinesi sono rimasti feriti, tra cui almeno 41 minori e 13 donne. In Israele, sarebbero state ricoverate in ospedale, in stato di shock o ferite in vario modo, 77 persone, incluse donne e bambini. La mattina del 14 novembre, con la mediazione delle Nazioni Unite e dell’Egitto, è stato annunciato un cessate il fuoco informale che, al momento, pare tenere.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 15 – 28 ottobre 2019 (due settimane)

Le dimostrazioni collegate alla “Grande Marcia del Ritorno”, iniziate il 30 marzo 2018, si sono ripetute per l’80esima settimana consecutiva. Nel corso delle proteste settimanali [svolte nel periodo di riferimento del presente Rapporto], 335 palestinesi, tra cui 168 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane; non sono stati segnalati morti.

Dei 335 feriti, 68 (di cui 29 minori) sono stati colpiti con armi da fuoco. Fonti israeliane hanno riferito che contro le forze israeliane sono stati lanciati ordigni esplosivi improvvisati, bombe a mano e bottiglie incendiarie e che ci sono stati diversi tentativi di aprire brecce nella recinzione. Non sono stati registrati ferimenti di israeliani.

In almeno 28 occasioni, allo scopo di far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle aree della Striscia di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e al largo della costa. Sono stati segnalati due feriti [palestinesi], uno dei quali un lavoratore. In altri due episodi, le forze israeliane hanno arrestato quattro palestinesi che, a quanto riferito, avrebbero tentato di infiltrarsi in Israele attraverso la recinzione perimetrale; due di loro erano minori. Le forze israeliane hanno effettuato quattro incursioni [entro la Striscia] e compiuto operazioni di spianatura del terreno nei pressi della recinzione perimetrale.

Il 18 ottobre, al checkpoint di Jubara (Tulkarm), le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese 25enne. Secondo le autorità israeliane, l’uomo avrebbe tentato di pugnalare un soldato israeliano, mentre, secondo Organizzazioni per i Diritti Umani, i soldati hanno sparato e ucciso l’uomo perché si era avvicinato ad un’area riservata del checkpoint, non rispettando l’ordine di fermarsi. Il suo corpo è ancora trattenuto dalle forze israeliane. Il 24 ottobre le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni nella zona H2 (controllata da Israele) della città di Hebron. Come conseguenza, 70 palestinesi, tra cui 28 minori, avendo inalato gas, hanno avuto bisogno di cure mediche e sono stati trasportati in ospedale. La mattina seguente è morto un neonato palestinese.

In Cisgiordania, durante proteste e scontri, altri 134 palestinesi, tra cui almeno sette minori, sono stati feriti da forze israeliane [di seguito il dettaglio]. 52 feriti sono stati registrati a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante la manifestazione settimanale contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso e, a Turmus’ayya (Ramallah), durante una manifestazione contro gli attacchi al villaggio da parte di coloni israeliani e la recente installazione, sempre ad opera di coloni, di due strutture sulla terra del villaggio, vicino all’insediamento colonico di Shilo. Nel villaggio di Qaffin (Tulkarm), vicino a una porta della Barriera, in due casi distinti, le forze israeliane hanno sparato e ferito un palestinese e ne hanno aggredito fisicamente un altro; entrambi avevano tentato di attraversare la Barriera senza permesso. Nella città di Nablus, altri 51 palestinesi sono rimasti feriti in scontri con forze israeliane, avvenuti in seguito all’ingresso di coloni israeliani nel sito religioso della Tomba di Giuseppe. Altri 9 palestinesi sono rimasti feriti nel Campo profughi di Al Am’ari (Ramallah), in scontri verificatisi durante una “demolizione punitiva”, descritta in un successivo paragrafo. In un episodio separato, accaduto nel medesimo Campo, le forze israeliane hanno sparato e ferito un palestinese. Secondo resoconti di media israeliani, si sarebbe trattato di un tentativo di aggressione con auto, e l’uomo sarebbe stato colpito, dopo lo scontro, perché sospettato di avere con sé un oggetto sospetto. Fonti locali palestinesi hanno riferito che l’uomo si è schiantato accidentalmente contro una jeep militare. Non sono stati segnalati feriti tra le forze israeliane. Complessivamente, quasi la metà dei [134] feriti è stata curata per aver inalato gas lacrimogeno, il 38% perché colpito da proiettili di gomma e i rimanenti per aver subito aggressioni fisiche o ferite di arma da fuoco.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 79 operazioni di ricerca-arresto, arrestando 86 palestinesi, tra cui nove minori. La maggior parte delle operazioni sono state condotte nel governatorato di Hebron (23), seguono i governatorati di Ramallah e di Gerusalemme.

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, o costretto le persone ad autodemolire, cinque strutture, sfollando dieci persone e causando ripercussioni di diversa entità su altre 19 [segue dettaglio]. Tre delle strutture colpite erano a Gerusalemme Est e due in Area C. Due di queste [cinque strutture] si trovavano nei quartieri di Beit Hanina e Jabal al Mukabbir (Gerusalemme Est), dove due famiglie palestinesi sono state costrette ad autodemolire una struttura abitativa in un caso, ed una di sostentamento nell’altro, provocando lo sfollamento per la prima famiglia e ripercussioni sulla sussistenza della seconda. A Gerusalemme Est, oltre un quarto delle demolizioni di quest’anno (52 su 178 strutture) sono state eseguite dagli stessi proprietari palestinesi, principalmente per evitare di pagare al Comune il costo della demolizione. La terza demolizione, effettuata dalle autorità israeliane a Gerusalemme Est, vicino al checkpoint di Qalandiya, riguardava due piani in costruzione, per otto appartamenti. Altre due proprietà [delle 5] sono state demolite in Area C, vicino al Campo profughi di Al ‘Arrub (Hebron); si trattava di strutture agricole e per animali. Il numero di strutture demolite finora in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, rileva un aumento di quasi il 35% rispetto al corrispondente periodo del 2018.

Il 24 ottobre, nel Campo profughi di Al Am’ari (Ramallah), in Area A [ad amministrazione palestinese], le autorità israeliane hanno demolito, per “motivi punitivi”, un edificio residenziale a tre piani in costruzione, colpendo quattro famiglie (tredici persone). La casa apparteneva alla famiglia di un palestinese che era stato accusato di aver ucciso, nel maggio 2018, un soldato israeliano durante un’operazione di ricerca-arresto; successivamente l’uomo era stato condannato all’ergastolo dalle autorità israeliane. Degli scontri scoppiati durante la demolizione è stato riferito sopra [nel 4° paragrafo]. Dall’inizio del 2019, per “motivi punitivi” sono state demolite sette case. Erano state sei nel 2018 e nove nel 2017.

In diverse aree della Cisgiordania, la raccolta delle olive è stata pesantemente disturbata dalla violenza di coloni israeliani: sono stati aggrediti e feriti due agricoltori [palestinesi], sono stati danneggiati 1.085 alberi e rubate diverse tonnellate di olive. Le Comunità colpite includevano Al Jab’a e Nahhalin (entrambe in Betlemme), Burin e Awarta (entrambe in Nablus), Kafr ad Dik e Yasuf (entrambe a Salfit) e Turmus’ayya (Ramallah). Sono stati inoltre segnalati numerosi altri episodi di lancio di pietre da parte di coloni nei confronti di agricoltori palestinesi. La raccolta delle olive, che si svolge ogni anno tra ottobre e novembre, è un evento chiave per i palestinesi, sia sul piano economico che sociale e culturale.

Cinque attacchi di coloni hanno provocato ferimenti e danni a proprietà palestinesi. Un palestinese è stato aggredito fisicamente e ferito da coloni israeliani nell’area controllata da Israele [zona H2] della città di Hebron. Oltre 40 veicoli e alcune case sono stati vandalizzati nei villaggi di Yatma (Nablus) e Deir Ammar (Ramallah). In altri due casi, verificatisi nei villaggi di Al Mughayyir (Ramallah) e Qusra (Nablus), è stato riferito che coloni israeliani hanno danneggiato una struttura agricola di proprietà palestinese, hanno spruzzato graffiti tipo “questo è il prezzo da pagare” e vandalizzato un cancello e serbatoi d’acqua. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 270 casi in cui coloni israeliani hanno ucciso o ferito palestinesi o danneggiato proprietà palestinesi; un numero un po’ più alto rispetto a quello del corrispondente periodo del 2018 (213 casi), ma più che doppio rispetto a quello del 2017 (124 casi).

Media israeliani hanno riportato tre episodi di attacchi con pietre e bottiglie incendiarie da parte di palestinesi contro veicoli di coloni israeliani; almeno tre veicoli hanno subìto danni. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 90 casi in cui palestinesi hanno ucciso o ferito coloni o altri civili israeliani oppure danneggiato le loro proprietà; un calo rispetto al numero di episodi avvenuti nei corrispondenti periodi del 2018 (141 casi) e 2017 (211 casi).

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Bruciano gli alberi e picchiano gli agricoltori: i coloni israeliani fanno scempio di un altro raccolto di olive

Yumna Patel

21 ottobre, 2019 Mondoweiss

Ogni anno, senza eccezione, i palestinesi accolgono l’inizio dell’autunno con la raccolta delle olive. Un sacro evento culturale, le famiglie provenienti da tutto il paese lasciano città e villaggi e si dirigono ai loro uliveti, che hanno ereditato dalle generazioni precedenti.

Ed ogni anno, senza eccezione, gran parte della raccolta è segnata dagli attacchi di coloni e soldati armati israeliani a contadini e famiglie palestinesi. Quest’anno non è stato diverso.

Da quando all’inizio di ottobre è cominciata la raccolta, parecchi attacchi di coloni ai contadini ed al loro raccolto sono stati segnalati da attivisti ed organizzazioni nella Cisgiordania occupata.

Nelle prime due settimane del mese l’Agenzia dell’ONU per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie (OCHA) ha riportato più di 10 attacchi di coloni riguardanti la raccolta di olive.

Secondo l’agenzia, i coloni hanno aggredito fisicamente ed insultato tre contadini palestinesi nei villaggi di Tell e Jit, nella zona di Nablus, e nel villaggio di al-Jab’a, nella zona di Betlemme.

Oltre 100 ulivi sono stati dati alle fiamme e sono stati riferiti più di sette furti del prodotto nei villaggi di Burin (Nablus) e Kifr al-Dik (Salfit).

Fonti di informazione locali hanno anche riferito di altri incidenti in cui sono stati abbattuti e sradicati decine di alberi.

Il 14 ottobre l’agenzia di notizie Wafa ha riferito che un gruppo di coloni armati ha attaccato contadini palestinesi mentre raccoglievano le olive nella zona di Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, “e ha minacciato di sparargli se non se ne fossero andati dal loro terreno.”

Pochi giorni dopo, il 16 ottobre, un altro incidente ha occupato i titoli di cronaca, quando un gruppo di giovani coloni mascherati armati di mazze ha attaccato un rabbino israeliano ed il gruppo di contadini palestinesi e di volontari internazionali che era con lui.

L’incidente è avvenuto nel villaggio di Burin – una zona calda per gli attacchi dei coloni, data la sua prossimità a colonie notoriamente violente come Yitzhar e Har Brakha.

Secondo il Times of Israel [quotidiano israeliano indipendente in lingua inglese, ndtr.] un gruppo di circa 10 volontari internazionali stava scortando un gruppo di contadini di Burin e del vicino villaggio di Huwwara, quando una trentina di coloni mascherati provenienti da Yitzhar si sono avventati su di loro.

Il rabbino Moshe Yehudai, dell’associazione Rabbini per i Diritti Umani, è stato uno dei cinque feriti del gruppo, riportando colpi alla testa e al braccio.

In un altro incidente ancora, occorso il 19 ottobre a Burin, si sono visti coloni dell’avamposto di Givat Ronen tirare pietre a contadini palestinesi. Tre di loro pare siano stati portati in ospedale dopo essere stati picchiati e malmenati dai coloni.

Nello stesso giorno le forze israeliane hanno arrestato temporaneamente un gruppo di attivisti e contadini palestinesi nel villaggio mentre raccoglievano olive.

Ghassan Najjar, un attivista di Burin, ha postato su Facebook una foto di ulivi di Burin dati alle fiamme dai coloni, commentando: “Non trovo le parole per descrivere lo stato di oppressione in cui ci troviamo ogni giorno.”

Ma state certi, noi andiamo nei nostri terreni a raccogliere le nostre olive per mandare il messaggio a tutte le bande di coloni che noi siamo più forti di tutti loro”, ha scritto Najjar. “Garantiamo che coltiveremo ogni metro della nostra terra e che bruciare e tagliare i nostri alberi non cancellerà il nostro diritto a coltivare ed accedere alla nostra terra.”

Con oltre 12 milioni di ulivi piantati nel 45% dei terreni agricoli della Cisgiordania, la raccolta delle olive costituisce una delle maggiori fonti di sostegno economico per migliaia di famiglie palestinesi.

Secondo l’OCHA, l’industria dell’olio d’oliva costituisce il sostentamento di oltre 100.000 famiglie e contribuisce per un quarto al reddito lordo agricolo dei territori occupati.

Ma, come sottolinea la locale Ong Miftah, “gli ulivi hanno un significato non solo economico nelle vite dei palestinesi. Non sono come gli altri alberi, sono il simbolo dell’attaccamento dei palestinesi alla loro terra.”

Poiché gli ulivi sono resistenti alla siccità e crescono in condizioni di terreno povere, rappresentano la resistenza e la resilienza dei palestinesi. Il fatto che gli ulivi vivano e diano frutti per migliaia di anni accompagna la storia e la permanenza dei palestinesi su quella terra.”

Yumna Patel è la corrispondente per la Palestina di Mondoweiss.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 17 – 30 settembre ( due settimane)

Il 27 settembre, durante una manifestazione della “Grande Marcia del Ritorno” (GMR) tenutasi ad est di Rafah, vicino alla recinzione perimetrale tra Gaza ed Israele, un palestinese è stato ucciso con arma da fuoco dalle forze israeliane. Altri 441, tra cui 193 minori, sono rimasti feriti; 90 [dei 441] presentavano ferite di arma da fuoco. Complessivamente, dal marzo 2018, data di inizio delle proteste della GMR, sono stati uccisi 210 palestinesi, tra cui 46 minori. Fonti israeliane hanno riferito che, durante il periodo di riferimento [di questo Rapporto], contro le forze israeliane sono stati lanciati ordigni esplosivi artigianali, bombe a mano e bottiglie incendiarie; inoltre ci sono stati diversi tentativi di aprire brecce nella recinzione.

Nel corso di tre distinti episodi di accoltellamento, due donne israeliane sono state ferite, una donna palestinese è stata uccisa e due ragazzi sono stati arrestati [segue dettaglio]. Il 18 settembre, presso il checkpoint di Qalandiya che controlla l’accesso a Gerusalemme Est da nord, una donna palestinese si è avvicinata ai soldati con un coltello: le forze israeliane hanno sparato, colpendola ad una gamba: la donna è morta per dissanguamento. Il 25 settembre, uno dei due ragazzi (un 14enne), ha accoltellato e ferito una colona ad una stazione d’autobus vicina al checkpoint della Barriera nella città di Maccabim (Ramallah) ed è stato successivamente arrestato. Il secondo ragazzo palestinese è stato arrestato dopo aver accoltellato e ferito, il 26 settembre, una poliziotta nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Sei palestinesi sono rimasti feriti da un razzo, lanciato da Gaza verso Israele; il razzo è caduto all’interno della Striscia, ad est di Rafah, vicino alla loro casa. Durante il periodo di riferimento non sono stati registrati attacchi aerei israeliani.

In almeno 16 occasioni, allo scopo di far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento nelle aree della Striscia adiacenti alla recinzione perimetrale e al largo della costa [cioè le ARA, Aree ad Accesso Riservato]; non sono stati segnalati feriti. Le forze israeliane hanno effettuato quattro incursioni [nella Striscia] e compiuto operazioni di spianatura del terreno nei pressi della recinzione. Un palestinese è stato arrestato dalle forze israeliane al valico di Erez, dopo essere stato convocato per un colloquio con i funzionari della sicurezza,

In Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, nel corso di numerosi scontri, le forze israeliane hanno ferito un totale di 68 palestinesi, tra cui sette minori [segue dettaglio]. 19 sono rimasti feriti nella città di Al ‘Eizariya (governatorato di Gerusalemme), in scontri con le forze israeliane. In tale località gli scontri si sono protratti, con regolarità, per più di un mese. Altri 24 palestinesi sono rimasti feriti in operazioni di ricerca-arresto condotte dalle forze israeliane; 16 [dei 24 ferimenti] sono avvenuti nel villaggio di Azzun (Qalqiliya), dove le operazioni hanno anche implicato la chiusura dei negozi e del cancello posto sull’accesso principale del villaggio. Infine, due palestinesi sono rimasti feriti a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante la protesta settimanale contro l’espansione degli insediamenti. Oltre la metà dei feriti è stata curata per inalazione di gas lacrimogeno, il 20% per lesioni causate da proiettili di gomma ed i restanti per le aggressioni fisiche e le ferite di arma da fuoco.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato un totale di 191 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 167 palestinesi. La maggior parte delle operazioni sono state condotte nei governatorati di Ramallah (58), Gerusalemme (45) ed Hebron (23).

Nel sud di Hebron, citando ragioni di sicurezza, le autorità israeliane hanno installato una barriera permanente lungo una strada chiave, ostacolando ulteriormente gli spostamenti delle vulnerabili Comunità di pastori. Tale barriera limiterà il movimento di circa 800 palestinesi appartenenti a quattro Comunità a rischio di trasferimento forzato. Esse, infatti, vivono in un’area (Massafer Yatta) che, in aggiunta ad altre pratiche restrittive, Israele ha designato come “zona per esercitazione a fuoco” per l’addestramento militare.

Coloni israeliani hanno compiuto quattro aggressioni che hanno provocato il ferimento di tre palestinesi e danni ad ulivi; altri 12 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane in episodi collegati a coloni [segue dettaglio]. In due casi, avvenuti nella zona H2 (a controllo israeliano) della città di Hebron e nel villaggio di Beitin (Ramallah), coloni hanno lanciato pietre e ferito cinque palestinesi, tra cui un ragazzo di 14 anni. Gli altri due casi si sono verificati a Nablus: gli abitanti del villaggio di As Sawiya hanno riferito che coloni hanno rubato le loro olive ed hanno vandalizzato 47 alberi, mentre nel villaggio di Duma hanno spruzzato slogan sulle case e hanno vandalizzato un veicolo. Altri 12 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane durante scontri scoppiati in concomitanza con la visita di coloni israeliani a siti religiosi delle città di Nablus e Halhul (Hebron). Infine, vicino all’insediamento avamposto di Havat Ma’on (Hebron) [insediamento colonico illegale anche per Israele], coloni hanno aggredito verbalmente ed intimidito i volontari internazionali che accompagnavano pastori palestinesi.

In Area C e Gerusalemme Est, durante il periodo di riferimento, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 12 strutture di proprietà palestinese, sfollando sette persone. Tutte le strutture, tranne una “tenda di protesta”, sono state demolite per mancanza di permessi edilizi israeliani. La tenda era stata eretta nella zona di Al Muntar, vicino alla città di Al ‘Eizariya (Gerusalemme), per protesta contro un nuovo insediamento colonico avamposto. Palestinesi hanno riferito che l’avamposto è stato eretto sulla loro terra e che ne rende problematico l’accesso a circa 300 persone. Gli sfollamenti sopraccitati sono avvenuti a Gerusalemme Est, dove sono state demolite tre abitazioni nei quartieri di Beit Hanina, Silwan e At Tur. Le restanti proprietà demolite includevano quattro strutture di sostentamento, due case in costruzione, una cisterna per l’acqua e recinzioni in cemento in cinque località dell’Area C. Finora, in Cisgiordania, nel 2019 sono state demolite o sequestrate 439 strutture, con un aumento di oltre il 40% rispetto al periodo equivalente del 2018.

Secondo fonti israeliane, nell’area di Ramallah, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani causando danni a un’auto.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Guardate Hebron e vedrete l’occupazione nel suo complesso

Eyal Hareuveni

29 settembre 2019 +972 Magazine

Le colonie, i checkpoint ed i muri che sono la realtà della popolazione palestinese di Hebron vengono ora replicati ovunque in tutta la Cisgiordania.

Chi visita per la prima volta la colonia ebraica nel centro della città vecchia di Hebron potrebbe avere l’impressione di essere finito nel cuore dell’oscurità. È qui che le politiche di occupazione militare israeliana hanno toccato il picco della barbarie: reggimenti di soldati sono dispiegati per proteggere 700 coloni ebrei che vivono in un’enclave che è diventata un luogo di degrado urbano in conseguenza delle misure di sicurezza dell’esercito. I 200.000 palestinesi residenti della città non possono fare nulla per contrastare le misure oppressive che rendono insopportabili le loro vite.

A Hebron l’esercito ha distrutto o sigillato le case dell’epoca mamelucca [regno egiziano durato dalla metà del XIII alla metà del XVI secolo, ndtr.] che costeggiano il cosiddetto Cammino dei Fedeli, un sentiero riservato esclusivamente ai coloni ebrei in quanto è il loro percorso verso la Tomba dei Patriarchi [la moschea di Ibrahim per i musulmani, ndtr.]. Shuhada Street, un tempo vivace fulcro commerciale dell’intera Cisgiordania meridionale, è immersa nel silenzio; i commercianti hanno abbandonato i loro negozi e quasi tutti gli abitanti se ne sono andati. Né è possibile ignorare le decine di checkpoint attrezzati con tecnologie avanzate di riconoscimento facciale. Queste riproposizioni nel XXI secolo delle fortezze medievali mantengono la colonia ebraica separata dal resto di Hebron.

Alcuni palestinesi sono rimasti, anche se le loro vite sono controllate e gestite dalle forze di sicurezza israeliane. Quasi tutti dicono che, se solo avessero potuto, avrebbero lasciato la città fantasma in cui da tempo Israele li ha intrappolati. Ogni attività quotidiana – andare a scuola o al lavoro, fare o ricevere visite dai famigliari, partecipare a feste di famiglia, addirittura andare a fare la spesa – comporta stare in fila ai checkpoint e subire un trattamento umiliante.

Quasi ogni giorno, nella pressoché totale impunità, soldati, poliziotti e coloni commettono violenze contro i palestinesi. I soldati li sottopongono a perquisizioni umilianti, fanno incursione nelle loro case nel cuore della notte ed eseguono finti arresti. Tutti questi sono normali aspetti dell’occupazione in generale, ma ad Hebron sono molto più continui.

Nel 2007 Hagai Alon, allora collaboratore dell’ex Ministro della Difesa Amir Peretz [dirigente del partito Laburista israeliano, ndtr.], disse che lo scopo di queste politiche era di “svuotare Hebron dagli arabi” – in altri termini, scacciare la popolazione civile con la forza. In base al diritto umanitario internazionale, il trasferimento forzato di popolazione civile è un crimine di guerra.

Il modello di Hebron non è unico. Le forze di occupazione usano le stesse tattiche in tutta la Cisgiordania, in modi differenti ma con lo stesso scopo – la sempre più violenta espulsione dei palestinesi dalle loro case e dalle loro terre. Insediamenti, checkpoint e muri circondano i principali centri urbani palestinesi, ed anche villaggi come Susiya e Khan al-Ahmar. Gli abitanti di questi due villaggi devono anche affrontare la minaccia di espulsione nel tentativo di spingerli a forza in enclave più grandi. Lo stesso avviene nella Valle di Shiloh, nel blocco di colonie di Talmonim, in tutta la Valle del Giordano dove sono sorti gli avamposti, a Gerusalemme est, intorno a Betlemme e nel sud della Cisgiordania. In altre parole, avviene ovunque.

Il meglio di Israele ha preso parte a questa ingiustizia: i giudici della Corte Suprema, gli alti ufficiali dell’esercito e degli apparati di sicurezza, i membri dell’Avvocatura Generale dell’esercito, l’ufficio della Procura di Stato e, ovviamente, politici di destra e di sinistra. Tutti hanno tollerato la violenza, a Hebron e dovunque in Cisgiordania. Tutti hanno legittimato l’espulsione dei palestinesi e il furto delle loro proprietà – e non solo ad Hebron. Tutti hanno appoggiato la continua oppressione dei palestinesi, anche dopo che gli atroci effetti di questa politica sono diventati evidenti.

I coloni amano dire: “Hebron: infine e per sempre”. Ma Hebron è molto più di ciò: è qui, là e dovunque. Guardate Hebron e vedrete tutti i territori occupati.

Eyal Hareuveni è un ricercatore di B’Tselem. Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su ‘Local Call’.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Le elezioni rivelano una profonda spaccatura nella destra israeliana.

Meron Rapoport

19 settembre 2019 + 972

Il potere politico del movimento dei coloni, una volta un’élite in ascesa, è ora in declino.

Mentre gli analisti politici si chiedono se siamo arrivati alla fine dell’era Netanyahu, si presta poca attenzione a un altro importante risultato di queste elezioni, cioè il declino del potere politico del movimento nazionalista religioso. Un tempo questi “signori della terra”, come si autodefiniscono, pensavano di essere sulla strada giusta per diventare la nuova élite politica e culturale di Israele. Ma i dati dimostrano che il loro influsso politico sta calando.

Il Likud è sempre stato al centro del blocco di destra. Negli ultimi decenni ha assorbito i partiti che rappresentano tre grandi gruppi demografici: gli ultraortodossi, gli immigrati dall’ex Unione Sovietica e il movimento nazionalista religioso o dei coloni. Netanyahu ha creato un blocco politico coerente che, ad ogni elezione, ha garantito una maggioranza praticamente automatica alla destra.

Netanyahu ha fatto del consolidamento del blocco dell’ala destra lo scopo della sua vita politica, basandosi sulla convinzione che fosse il modo migliore per evitare uno Stato palestinese. Quindi ha rafforzato i legami del Likud con il campo nazionalista religioso, poiché la loro lealtà alla Terra di Israele era indiscussa, a differenza di quella della vecchia base del Likud, più interessata al libertarismo che all’espansionismo territoriale. Questo è uno dei motivi per cui Netanyahu si è circondato di gente che indossa lo yarmulke [tipico copricapo degli ebrei osservanti, ndtr.] all’uncinetto, preferito dai coloni nazionalisti religiosi.

Le elezioni di aprile hanno creato una spaccatura nel blocco di destra, che ha visto i partiti che rappresentano gli ultraortodossi e gli elettori dall’ex Unione Sovietica distanziarsi dagli ideologi nazionalisti religiosi, di cui non condividono la visione del mondo. Infatti non sono mai stati particolarmente interessati né all’idea di controllare la Grande Terra Biblica di Israele, né al progetto delle colonie.

Lieberman non ha dovuto faticare molto per convincere i falchi della sua base secolare proveniente dall’ex Unione Sovietica che gli ultraortodossi erano il loro più grande nemico. Gli ultraortodossi sono quelli che mettono in discussione la loro identità ebraica e che cercano di imporre il loro stile di vita religioso, con il rifiuto di permettere i trasporti pubblici di sabato e i tentativi di controllare la vendita di cibi non kosher.  Gli ultraortodossi hanno reagito.

Alle elezioni del 17 settembre, entrambi i gruppi sono cresciuti, Lieberman ha fatto crescere il suo partito da cinque a otto seggi e gli ultra-ortodossi sono saliti da 16 a 17. Ma ci sono poche possibilità che i partiti di destra si uniscano di nuovo per ricostruire un’alleanza forte come in passato.

Ancora più interessante è la sorte dei partiti nazionalisti religiosi, che hanno legato il proprio destino al Likud. Ad aprile avevano vinto 44 seggi (35 per il Likud, 4 per Kahlon [leader del partito di centro Kulanu, ndtr.] e 5 per l’Unione dei partiti di destra), più 4 dal partito New Right [Nuova Destra, partito dei coloni, ndtr] di Bennett e Shaked e altri 3 dal partito Jewish Leadership [Dirigenza Ebraica, partito sionista libertario, ndtr.] di Moshe Feiglin. Complessivamente, 51 seggi sono andati al blocco di destra.

Queste elezioni hanno visto affievolirsi il potere del movimento religioso nazionalista. Il Likud ha conquistato solo 31 seggi, un calo rispetto ai 35 di aprile. Netanyahu ha ottenuto solo 38 seggi per il suo blocco, nonostante quelli vinti con i voti dei sostenitori di Kahlon, Feiglin, Smotrich, Rafi Peretz, Shaked e Bennett. La lista kahanista di Otzma Yehudit (Jewish Power) non ha superato la soglia, ma anche se lo avesse fatto, avrebbe portato solo quattro seggi in più, arrivando a 41, mentre il minimo necessario per un governo di coalizione è di 61 seggi.

L’equilibrio di potere nella destra politica è ora scosso, con implicazioni cruciali. Se i partiti ultra-ortodossi vedranno che collaborare con il blocco dell’ala destra non garantisce loro un incarico nel governo, rivaluteranno la loro alleanza. Se gli elettori dell’ex Unione Sovietica vedranno che scontrarsi con gli ultraortodossi ne fa l’ago della bilancia nell’arena politica israeliana, non si affretteranno a rientrare nel blocco di Netanyahu.

Il movimento nazionalista religioso pagherà il prezzo politico più alto per una tale ridistribuzione dell’equilibrio del potere. Nonostante la loro percezione di sé come signori della terra, non sono mai riusciti ad entrare in politica come partito indipendente. Invece di diventare la “nuova élite”, il movimento dei coloni starebbe per diventare un peso politico, proprio come il movimento dei kibbutz, ormai quasi dimenticato, che divenne praticamente irrilevante nel 1977 quando Menachem Begin guidò il Likud alla vittoria. Non siamo ancora arrivati a quel punto, ma ci siamo più vicini di quanto chiunque avesse potuto pensare sei mesi fa.

(traduzione  di Mirella Alessio)




Annessione della valle del Giordano

I palestinesi della valle del Giordano: “Le nostre terre sono già state annesse”

La promessa di Netanyahu di formalizzare il controllo di fatto di Israele sulla valle del Giordano provoca inquietudine tra gli abitanti palestinesi

di Arwa Ibrahim

12 settembre 2019 – Al Jazeera

 

Ras Ain al-Auja, valle del Giordano – Tra le vaste terre aride della valle del Giordano, che si estendono a nord del Mar morto e a ovest dei confini della Cisgiordania con la Giordania, sorge il piccolo villaggio palestinese di Ras Ain al-Auja.

Se il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu porterà a compimento il suo piano, annunciato martedì, di annettere la valle del Giordano e le zone a nord del Mar morto, il villaggio di circa 350 residenti e i suoi fertili terreni agricoli diventeranno parte di Israele.

Alcuni osservatori hanno liquidato il piano di Netanyahu come una bravata da campagna elettorale prima delle elezioni generali della prossima settimana. Ma gli abitanti di Ras Ain al-Auja dicono che le parole di Netanyahu sono minacciose in quanto il suo piano potrebbe formalizzare il controllo israeliano sulla zona.

“Non è una novità. Le nostre terre sono già state annesse e stiamo vivendo sotto l’occupazione israeliana,” afferma ad Al Jazeera il quarantottenne Ahmed Atiyat, un contadino di Ras Ain al-Auja.

“Tutte queste terre e le palme sono degli israeliani,” dice indicando distese di terre coltivate punteggiate di cespugli verdi e palme da dattero che si estendono verso il Mar Morto.

Il progetto di Netanyahu intende annettere il villaggio e altre parti della valle del Giordano, tuttavia non includerebbe Gerico, la città palestinese più vicina a  Ras Ain al-Auja.

L’annessione di Gerico lo obbligherebbe ad occuparsi là della condizione di migliaia di cittadini palestinesi. L’attuale piano tendenzialmente taglierebbe fuori Gerico da altre città palestinesi nella Cisgiordania occupata.

 

Occupazione di fatto

La popolazione di Ras Ain al-Auja comprende soprattutto contadini che hanno lavorato su quella terra da generazioni. Dicono che risorse idriche in esaurimento e restrizioni alla costruzione e ai collegamenti da parte dell’esercito israeliano hanno reso difficili le condizioni di vita.

“Tutte le nostre sorgenti d’acqua sono sotto controllo israeliano. Abbiamo pochissima acqua potabile, per non parlare dell’acqua per i nostri orti,” afferma Atiyat, che racconta che la sua famiglia si è spostata nella zona dopo essere stata espulsa dall’esercito israeliano dalle sponde del fiume Giordano nel 1967.

Hussein Saida, un altro contadino e membro del locale Comune, è d’accordo.

“Dobbiamo affrontare continue difficoltà, soprattutto quando si tratta di aver accesso e di fare la manutenzione ai nostri pozzi per innaffiare in nostri orti. Essi sono di fatto sotto il controllo israeliano,” dice Saida. Secondo molte Ong palestinesi e israeliane, Israele nega accesso alla terra, all’acqua e all’elettricità ai palestinesi che vivono nella valle del Giordano, così come in altre aree nella Cisgiordania occupata, rendendo le condizioni di vita difficili.

“Israele ha annesso di fatto la zona della valle del Giordano. Gran parte di essa è destinata ad uso militare, per cui i palestinesi non possono viverci. Se lo fanno, vengono espulsi” dice Roi Yellim, direttore della diffusione al pubblico di B’Tselem, una Ong [israeliana, ndtr.] per i diritti umani.

“C’è anche un continuo tentativo da parte di Israele di rendere difficili le condizioni di vita dei palestinesi nella valle del Giordano, in modo che la maggior parte di loro lasci le proprie terre,” aggiunge, sottolineando che tali condizioni vengono applicate in tutta la Zona C, che costituisce il 60% della Cisgiordania occupata.

L’area che Netanyahu progetta di annettere costituisce circa il 30% della Cisgiordania occupata. Più di 65.000 palestinesi e circa 11.000 coloni israeliani illegali vivono nella zona.

Maha Abdullah, una ricercatrice giuridica e avvocatessa di Al-Haq, un’Ong palestinese, dice che queste condizioni potranno solo peggiorare se l’area viene annessa, portando i palestinesi a pensare di lasciare le proprie case. “Queste zone rendono molto all’economia israeliana e quindi conviene sfruttarne le risorse e le terre,” afferma Abdullah. “Al contempo, creare un contesto costrittivo per i palestinesi che vi vivono attraverso la demolizione di case e la fornitura ridotta di acqua e di elettricità spingerà i palestinesi ad andarsene,” dice, facendo un confronto con l’annessione di Gerusalemme est nel 1967.

Ai palestinesi della Gerusalemme est occupata non è stata concessa la cittadinanza israeliana, dato che le annessioni e il loro status rimangono controversi e irrisolti.

Futuro Stato palestinese

Il piano minaccia anche la formazione di un futuro Stato palestinese, in quanto i palestinesi rivendicano i 2.400 km2 della valle del Giordano come confine orientale di un futuro Stato palestinese nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

Saeb Erekat, segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, denuncia il progetto di annessione, dicendo ad Al Jazeera che “seppellirebbe ogni restante prospettiva di una pace e di uno Stato palestinese fattibile e indipendente.”

La minaccia per il futuro della Palestina è avvertita anche ad un livello più locale.

 

“Anche se si trattasse solo di parole, per il momento, il progetto di Netanyahu di annettere le terre più fertili della Palestina e parti di un futuro Stato palestinese è molto pericoloso,” dice ad Al Jazeera Salah Frijat, capo dell’autorità locale di Auja, che è il Comune più esteso da cui dipende

Ras Ain al-Auja. “Ci sono continue violazioni delle nostre terre e delle nostre risorse idriche. Vogliono vederci andar via in quanto la vita diventa più dura e le colonie intorno a noi aumentano,” aggiunge.

Israele ha ripetuto le sue intenzioni di mantenere il controllo militare sulla zona, che ha conquistato nella guerra del 1967, anche se venisse raggiunto un accordo di pace con i palestinesi.

Lo scorso anno il presidente USA Donald Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele. Oltre a ciò la sovranità di Israele sulle Alture del Golan occupate, che le sue forze hanno conquistato dalla Siria nel 1967, ha fatto temere a molti osservatori che prima o poi questo piano possa effettivamente essere messo in atto.

“Anche se quello che Netanyahu ha detto fosse davvero una bravata elettorale, probabilmente procederà a una sorta di annessione perché ha l’appoggio dell’amministrazione di Trump,” sostiene Yellim.

Nonostante queste difficili condizioni e minacce, Atiyat dice che non lascerà mai la sua terra.

“Anche se la vita continua ad essere sempre più dura, moriremo qui piuttosto che andarcene o essere di nuovo cacciati dalle nostre terre,” dice ad Al Jazeera.

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

 

 




Rapporto OCHA 20 agosto- 2 settembre 2019

Il 31 agosto, un palestinese è morto per ferita d’arma da fuoco: era stato colpito dalle forze israeliane nel corso di una manifestazione della “Grande Marcia del Ritorno” (GMR) tenutasi il giorno precedente [nella Striscia di Gaza], vicino alla recinzione che separa Israele dalla Striscia. Durante il periodo in esame, nel corso di proteste connesse alla GMR, sono stati feriti dalle forze israeliane 483 palestinesi; 236 (tra cui 96 minori) sono stati ricoverati in ospedale; 99 erano stati colpiti con armi da fuoco. Fonti israeliane hanno riferito che contro le forze israeliane sono state lanciate bottiglie incendiarie e ordigni esplosivi. Un soldato israeliano è rimasto ferito.

 

Il 23 agosto, vicino all’insediamento israeliano di Dolev (Ramallah), una ragazza israeliana di 17 anni è stata uccisa e suo padre e suo fratello sono stati gravemente feriti da un ordigno artigianale esploso nei pressi di un fontanile. In conseguenza di tale avvenimento le forze israeliane hanno effettuato vaste operazioni di ricerca nei villaggi vicini, in particolare a Deir Ibzi’, hanno istituito checkpoint volanti nell’area ed hanno arrestato numerosi palestinesi.

 

Gruppi armati palestinesi hanno lanciato dieci missili e proiettili di mortaio dalla Striscia di Gaza verso Israele. Fonti israeliane hanno riferito che nella città di Sderot, nel sud di Israele, una casa in costruzione è stata danneggiata e due persone sono rimaste ferite. L’aeronautica israeliana ha effettuato una serie di attacchi aerei sulla Striscia di Gaza, contro aree aperte e siti militari, senza provocare vittime. Inoltre, sempre in risposta al lancio di razzi, Israele ha dimezzato la quantità di carburante che Gaza può importare per il funzionamento della sua Centrale Elettrica [nota: Israele ha il controllo sulle merci in entrata/uscita da Gaza]; la normale fornitura di carburante è stata ripristinata il 1° settembre.

 

In almeno 23 occasioni, allo scopo di far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso [alle aree della Striscia a loro interdette], le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento nelle aree di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale ed al largo della costa; è stato segnalato un ferito. Sempre vicino alla recinzione, le forze israeliane hanno fatto due incursioni all’interno della Striscia e compiuto operazioni di spianatura del terreno; hanno anche arrestato quattro palestinesi che, secondo quanto riferito, tentavano di forzare la recinzione.

 

Il 27 agosto, nella città di Gaza, a seguito di esplosioni verificatesi presso due posti di blocco della polizia, tre poliziotti palestinesi sono morti ed altre nove persone, tra cui due minori ed una donna, sono rimasti feriti. Secondo i media, le esplosioni sarebbero da attribuire ad attentatori suicidi; tuttavia, nessuna organizzazione ne ha rivendicato la responsabilità e sull’accaduto è in corso un’indagine della polizia.

 

In Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, nel corso di numerosi scontri, le forze israeliane hanno ferito 146 palestinesi. Quasi il 90% dei feriti sono stati trattati per inalazione di gas lacrimogeni; i rimanenti erano stati colpiti da proiettili di gomma o erano stati aggrediti fisicamente. La maggior parte dei feriti (120) sono stati registrati nell’area H2 della città di Hebron, controllata da Israele. In tale area, in due occasioni, in risposta al lancio di pietre da parte di palestinesi, le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni contro case palestinesi. Altri 11 [dei 146] palestinesi sono rimasti feriti durante operazioni di ricerca-arresto condotte nella città di Al ‘Eizariya (governatorato di Gerusalemme), nel quartiere di Al’ Isawiya (Gerusalemme Est), nel Campo Profughi di Tulkarm e nel villaggio di Anabta (gli ultimi due si trovano in Tulkarm). I restanti ferimenti [15] si sono avuti nel corso di due proteste; una a Kafr Qaddum (Qalqiliya) contro la violenza dei coloni e l’espansione degli insediamenti, e l’altra ad Abu Dis (Gerusalemme) a sostegno dei prigionieri [palestinesi nelle carceri israeliane].

 

Nei villaggi e nelle città della Cisgiordania, le forze israeliane hanno svolto 166 operazioni di ricerca-arresto, la maggior parte delle quali si sono svolte a Ramallah (46), Gerusalemme (33) ed Hebron (31). Durante tali operazioni sono stati arrestati circa 150 palestinesi.

 

Nel contesto di aggressioni compiute da coloni israeliani, o individui ritenuti tali, un palestinese è stato ferito e sono stati causati rilevanti danni a proprietà palestinesi. Il 30 agosto, un agricoltore palestinese, mentre stava lavorando la sua terra, è stato aggredito fisicamente e ferito da una guardia di sicurezza del vicino insediamento colonico di El’azar (Betlemme). In un altro caso, coloni dell’insediamento di Efrata (Betlemme) hanno abbattuto 70 viti appartenenti al villaggio palestinese di Khallet Sakariya. In seguito all’uccisione di una ragazza israeliana (vedi sopra), decine di coloni si sono radunati all’incrocio di Huwwara (Nablus) e hanno lanciato pietre contro auto palestinesi, danneggiandone almeno 20. In altri quattro episodi, 14 auto sono state vandalizzate nei villaggi di Rafat e Haris (Salfit ), Al Lubban ash Sharqiya e Sinjil (Ramallah). Sempre ad Haris, coloni sono stati ripresi da telecamere mentre spruzzavano scritte sui muri della sede del Consiglio del villaggio, della clinica sanitaria e di una moschea. Nella zona H2 della città di Hebron, coloni hanno rioccupato una casa palestinese, dalla quale, per ordine del tribunale [israeliano], erano stati sfollati lo scorso anno.

 

In Area C e Gerusalemme Est, a causa della mancanza di permessi rilasciati da Israele, sono state demolite otto strutture di proprietà palestinese. Di conseguenza, 19 persone sono state sfollate, metà delle quali a causa della demolizione di un edificio residenziale del quartiere Beit Hanina di Gerusalemme Est. In Tubas, quasi 700 palestinesi sono stati colpiti dalla demolizione di un bacino idrico che riforniva cinque Comunità beduine palestinesi, una moschea ed una residenza in costruzione vicino alla città di Hebron.

 

In due occasioni, secondo fonti israeliane, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiano su strade della Cisgiordania vicino a Gerusalemme, causando danni a un’auto e un autobus.

 

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

ð  sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina:  https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2:  Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

 

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

 

 




Adolescente israeliana uccisa da un’esplosione nei pressi di una colonia in Cisgiordania

MEE e agenzie

23 agosto 2019 – Middle East Eye

L’esercito dice che una ragazza diciassettenne e stata uccisa, suo padre e suo fratello feriti gravemente in un attacco con una mina nei pressi di una nota meta escursionistica.

Secondo l’esercito israeliano, venerdì un’adolescente israeliana è stata uccisa mentre suo padre e suo fratello sono rimasti gravemente feriti a causa di un’esplosione nella Cisgiordania occupata.

Un portavoce dell’esercito ha affermato che la famiglia è stata colpita da un ordigno artigianale (IED) mentre visitava una sorgente d’acqua nei pressi di Dolev, una colonia israeliana illegale a nord-ovest della città palestinese di Ramallah.

In precedenza si era detto che dopo l’esplosione la ragazza diciassettenne era in condizioni critiche e che veniva curata sul posto da un’equipe medica.

In un comunicato l’esercito ha affermato: “Tre civili che si trovavano presso una vicina sorgente sono stati feriti dall’esplosione di una mina.”

Uno dei civili viene curato sul posto mentre gli altri due sono stati portati da un elicottero (dell’esercito) in un ospedale per ulteriori cure mediche.”

L’esercito ha anche detto che forze di sicurezza stavano cercando nella zona palestinesi ritenuti responsabili.

L’equipe di soccorso ha detto che il padre e il fratello dell’adolescente, di 46 e 21 anni, sono stati gravemente feriti. Dolev si trova in una regione collinosa circondata da uliveti e orti, ed è un luogo molto frequentato da turisti ed escursionisti.

Lo scorso anno nella zona ci sono stati scontri tra palestinesi ed israeliani a causa dell’espansione delle colonie, con gli abitanti palestinesi che denunciano i tentativi dei coloni di occupare la loro terra, comprese le sorgenti. In seguito all’attacco le forze di sicurezza israeliane hanno rapidamente isolato la zona attorno alla sorgente di Ein Bobin, vicino al villaggio palestinese di Deir Ibzi.

Ci sono timori di un aumento della violenza in vista delle elezioni israeliane, previste per il 17 settembre.

La tensione è alta in Cisgiordania, dove recentemente c’è stata una serie di attacchi nei pressi delle colonie israeliane.

Lo scorso venerdì due israeliani sono stati feriti presso la colonia di Elazar, in quello che la polizia afferma essere stato un attacco con un’auto. Il conducente, un uomo palestinese, è stato ucciso sul posto dalle forze di sicurezza israeliane. All’inizio di questo mese un soldato israeliano è stato accoltellato a morte presso la colonia di Migdal Oz, cosa che ha portato all’arresto di due palestinesi.

Più di 600.000 ebrei vivono in circa 140 colonie costruite in Cisgiordania da quando Israele ha occupato il territorio nella guerra mediorientale del 1967. In base alle leggi internazionali le colonie israeliane in Cisgiordania, dove vivono circa 2.5 milioni di palestinesi, sono illegali.

(traduzione di Amedeo Rossi)