Rapporto OCHA della settimana 19 – 25 luglio 2016

Il 19 luglio, durante scontri vicino all’ingresso settentrionale della città di Ar Ram (Gerusalemme), le forze israeliane (a quanto riferito, si trattava di agenti della polizia di confine) hanno colpito con un proiettile di gomma un ragazzo palestinese di 12 anni, uccidendolo.

Dal 12 luglio, Ar Ram è stata un luogo critico di operazioni militari e scontri. Il caso sopraccitato porta a 76, di cui 22 minori, il numero totale dei palestinesi uccisi nel 2016 dalle forze israeliane nei Territori occupati; 18 di questi sono stati uccisi durante proteste e scontri.

In Cisgiordania, nel corso di molteplici scontri, le forze israeliane hanno ferito 74 palestinesi, tra cui 15 minori. La maggior parte degli scontri, e dei feriti (46), sono stati registrati durante le proteste tenutesi nella città di Abu Dis (Gerusalemme), in solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, e nel corso della manifestazione settimanale a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Gli altri scontri sono stati registrati durante operazioni di ricerca-arresto, la più ampia delle quali ha avuto luogo a Jayyus (Qalqiliya), dove si sono registrati dieci feriti. Nel complesso, durante la settimana, sono stati registrati 135 operazioni di ricerca-arresto; 150 i palestinesi arrestati, la quota più alta (21%) nel governatorato di Gerusalemme.

A Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno dieci occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi, causando il ferimento di un agricoltore palestinese che stava lavorando la sua terra nei pressi della recinzione perimetrale. In un caso, verificatosi in mare, quattro pescatori, tra cui un 17enne, sono stati arrestati; in un altro caso, un pescatore è stato costretto a nuotare verso l’imbarcazione militare israeliana. Nelle ARA di terra, in tre circostanze, le forze israeliane hanno spianato il terreno ed effettuato scavi. Analogamente a quanto avvenuto per i pescatori, l’operato delle forze israeliane ha sconvolto il sostentamento di centinaia di agricoltori i cui terreni sono vicini alla recinzione.

A Gerusalemme Est, in quattro casi, per mancanza di permessi edilizi rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito sette strutture palestinesi, sfollando una persona e coinvolgendone, in modi diversi, altre 71, tra cui 19 minori.

Il 20 luglio, nel villaggio di Duma (Nablus), ignoti hanno appiccato il fuoco ad una casa palestinese. Gli occupanti sono riusciti a fuggire, ma il padre è stato intossicato dal fumo ed ha avuto bisogno di cure mediche. A causa dei danni subiti dall’abitazione, i cinque membri della famiglia, tra cui tre minori, sono stati costretti allo sfollamento. Nello stesso villaggio di Duma, nei mesi di luglio 2015 e marzo 2016, coloni israeliani praticarono due attacchi incendiari simili, nel primo dei quali morì un bambino ed entrambi i suoi genitori. Sull’accaduto le autorità palestinesi e israeliane hanno avviato separate indagini.

Nel governatorato di Hebron l’esercito israeliano ha riaperto al traffico palestinese otto importanti snodi stradali che, dall’inizio del mese, erano stati bloccati in seguito a due attacchi palestinesi verificatisi nella zona. L’apertura ha notevolmente facilitato l’accesso delle persone ai servizi ed ai mezzi di sussistenza. Tuttavia, permane ancora una serie di blocchi, imposti nella stessa circostanza, che costringono i residenti a ricorrere a lunghe deviazioni; tra i più colpiti, i villaggi di Ad Dahriyya, Karma, Deir Razeh e Ar Ramadin (circa 44.500 persone).

Coloni israeliani armati hanno fatto irruzione in una zona agricola vicino alla città di Al-Khader e all’insediamento colonico di El’azar (Betlemme); hanno sparato in aria e costretto i contadini palestinesi, intenti a coltivare la terra, a lasciare la zona; nella circostanza uno dei contadini è stato aggredito fisicamente e ferito. Nella stessa area, in altri due episodi, secondo quanto riferito ad opera di palestinesi, un veicolo israeliano è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco e un altro da pietre; entrambi i veicoli hanno riportato danni.

Il 19 luglio, nella Striscia di Gaza, un uomo è stato condannato a morte. Altre due condanne a morte, emesse in precedenza, sono state convalidate da un tribunale militare palestinese; tutte le condanne sono state emesse per “collaborazione con Israele”.

A Gaza circa 600.000 persone sono colpite da una significativa riduzione nella fornitura di acqua corrente. Questa riduzione è stata provocata dall’aumento delle interruzioni di energia elettrica in programma dal 14 luglio; interruzioni dovute ad un parziale spegnimento dell’unica Centrale elettrica di Gaza.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone, con esigenze urgenti, sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 27 luglio, nel villaggio di Surif (Hebron), nel corso di una operazione di ricerca-arresto, a quanto riferito dopo uno scambio di colpi di arma da fuoco, le forze israeliane hanno ucciso un palestinese sospettato di aver effettuato, il 1° luglio, un’aggressione con arma da fuoco, nel corso della quale fu ucciso un colono israeliano. Durante l’operazione, i soldati hanno bombardato l’edificio di tre piani in cui l’indagato si era nascosto, distruggendolo completamente e sfollando tre famiglie.

Il 26 luglio, a causa della mancanza di permessi di costruzione, in una sezione del villaggio di Qalandiya che rientra nei confini municipali israeliani di Gerusalemme, ma dai quali la Barriera la separa, le autorità israeliane hanno demolito 15 strutture; in conseguenza delle demolizioni sei persone sono state sfollate e altre 180 circa sono state in vario modo colpite.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto OCHA della settimana 12 – 18 luglio

In Cisgiordania, in due distinti episodi, le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi.

Nel primo caso, il 18 luglio, all’ingresso del Campo profughi di Al Arrub (Hebron), un palestinese ha accoltellato e ferito due soldati israeliani; successivamente è stato a sua volta ferito gravemente con arma da fuoco ed è morto il giorno seguente.

Nel secondo caso, il 12 luglio, durante una operazione di ricerca-arresto svoltasi nella città di Ar Ram (Gerusalemme), le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro un veicolo uccidendo un giovane palestinese di 22 anni e ferendone altri due; secondo i media israeliani, i soldati sospettavano che i palestinesi stessero per investirli; tale versione dei fatti è stata smentita da fonti locali palestinesi.

In Qabatiya (Jenin), le forze israeliane hanno demolito la casa di famiglia di un uomo sospettato di aver aiutato gli autori di un accoltellamento, avvenuto il febbraio 2016, durante il quale fu ucciso un poliziotto israeliano; per effetto della demolizione, una famiglia di dieci persone, tra cui un minore, è stata sfollata. Prima della demolizione, gli abitanti della città si sono scontrati, anche con l’impiego di armi da fuoco, con le forze israeliane e otto palestinesi sono rimasti feriti. Dall’inizio del 2016 le autorità israeliane, per motivi punitivi, hanno demolito o sigillato 22 case, sfollando 110 persone; in tutto il 2015, per gli stessi motivi, vi erano state 25 demolizioni e 157 persone sfollate.

Nei Territori palestinesi occupati, in totale, le forze israeliane hanno ferito 44 palestinesi, tra cui 13 minori. 42 di questi ferimenti sono stati registrati in Cisgiordania, di cui 10 verificatisi durante gli scontri in Ar Ram e Qabatiya [vedi i paragrafi precedenti] e 29 durante operazioni di ricerca-arresto, le più vaste delle quali hanno avuto luogo in Al Mazra’a al Qibliya (Ramallah) e nel campo profughi di Ayda (Betlemme). Due palestinesi sono stati colpiti con armi da fuoco e feriti nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA): uno nel corso di una protesta ed un altro, secondo quanto riferito, mentre cacciava uccelli. Nel corso della settimana, in altri cinque casi le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle ARA, a terra e in mare: non sono stati registrati feriti.

Il 17 luglio, a Gerusalemme Ovest, le forze israeliane hanno arrestato un palestinese che trasportava ordigni esplosivi e coltelli che, secondo la polizia israeliana, intendeva utilizzare per effettuare un attentato alla Metropolitana leggera di Gerusalemme.

Durante la settimana, in tutto il governatorato di Hebron sono state mantenute le restrizioni ai movimenti imposte [da Israele], dall’inizio di luglio, in seguito a due attacchi palestinesi; restrizioni che ostacolano l’accesso ai servizi e ai mezzi di sostentamento per centinaia di migliaia di residenti. La comunità più colpita è Bani Na’im, con una popolazione 26.500 abitanti, dove i tre ingressi principali sono rimasti bloccati per il movimento veicolare; una parziale eccezione è consentita per i casi di emergenza, a fronte di accordi preventivi. Secondo la Camera di Commercio palestinese, l’attività economica di tutto il governatorato di Hebron è stata notevolmente influenzata, tra le altre cause, dalle restrizioni imposte alla circolazione dei veicoli commerciali.

In Area C e in Gerusalemme Est, in quattro casi, per la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito 23 strutture palestinesi, sfollando 43 persone, tra cui 25 minori, e coinvolgendone altre 43. Il caso più grave, che comprende tutti gli sfollamenti di questa settimana, è stato registrato in una comunità beduina a nord della città di ‘Anata (Gerusalemme), in cui le autorità israeliane hanno demolito 14 strutture, una delle quali era stata fornita precedentemente come assistenza umanitaria. Questa è una delle 46 comunità beduine nella Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato a causa di un piano israeliano di rilocalizzazione.

Per gli stessi motivi, sempre nella zona C e in Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno consegnato almeno 13 ordini di demolizione e arresto dei lavori contro case, strutture commerciali e cisterne d’acqua. Le comunità colpite includono: Frush Beit Dajan, Qusra (entrambe a Nablus), Susiya (Hebron), Silwan (Gerusalemme Est).

Questa settimana vengono riportati nove attacchi da parte di coloni israeliani con conseguenti ferimenti o danni alle proprietà palestinesi: dall’inizio del 2016 questo è il più alto numero di attacchi condotti da coloni in una sola settimana. In particolare: tre palestinesi sono stati aggrediti fisicamente e feriti da coloni israeliani, in tre distinti casi, a Al-Khader (Betlemme), ad Haris (Salfit) e nella città di Hebron; altri tre episodi hanno riguardato l’incendio di 150 ulivi secolari a Betlemme, la devastazione di una piantagione di sorgo di 5.000 mq vicino a Huwwara (Nablus); il furto di più di 50 sacchi di fieno e di grano nel villaggio di Qusra (Nablus), a quanto riferito, sempre ad opera di coloni israeliani. Inoltre, nei governatorati di Qalqiliya, Salfit ed Hebron, in tre diverse occasioni, per il lancio di pietre da parte di coloni, sei veicoli palestinesi hanno riportato danni.

Il 14 luglio, per carenza di carburante, la centrale elettrica di Gaza è stata costretta a fermare una delle due turbine attive, innescando interruzioni di corrente per 18-20 ore al giorno; in precedenza le interruzioni erano di 16-18 ore. Questo ha avuto un impatto significativo sulla fornitura dei servizi di base, l’approvvigionamento idrico e, in particolare, sui servizi sanitari. Sembra che la carenza di carburante sia causata dalle continue controversie, tra le autorità di Ramallah e quelle di Gaza, in merito ad una esenzione fiscale relativa al carburante acquistato per l’impianto.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Durante la notte del 19 luglio, ignoti hanno dato fuoco ad una casa nel villaggio di Duma (Nablus); anche se i residenti sono riusciti a mettersi in salvo, la casa è stata gravemente danneggiata. Nel luglio 2015, nello stesso villaggio, un attacco incendiario simile, operato da coloni israeliani, uccise un bambino ed entrambi i suoi genitori.

Il 19 luglio, durante scontri con le forze israeliane nei pressi dell’ingresso settentrionale della città Ar Ram (Gerusalemme), un dodicenne palestinese è stato ucciso da un proiettile di gomma.

Il 19 luglio, nella Striscia di Gaza, un uomo è stato condannato a morte. Questa e altre due condanne a morte, emesse in precedenza, sono state convalidate da un tribunale militare palestinese, motivate da “collaborazione con Israele”.

Il 19 luglio, dopo più di tre settimane di rigida chiusura, è stato riaperto uno dei tre ingressi del villaggio di Bani Na’im (Hebron).

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

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https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto Ocha sulla settimana 5- 11 luglio 2016

Il 9 luglio, secondo i media israeliani, sulla strada 356, nei pressi del villaggio di Tuqu’ (Betlemme), un colono israeliano è stato ferito da spari provenienti da un veicolo con targa palestinese.

Il sospetto autore dell’attacco, secondo quanto riferito, sarebbe fuggito verso il villaggio di Sa’ir (Hebron). Dopo l’attacco, le forze israeliane hanno bloccato tutti gli ingressi e le uscite del villaggio ed hanno avviato operazioni di ricerca-arresto nella zona; nel corso di tali operazioni due palestinesi sono rimasti feriti. Inoltre, il 6 luglio, vicino allo snodo stradale Neve Daniyyel (Betlemme), in un sospetto attacco con auto, un palestinese ha investito un veicolo militare israeliano, ferendo tre soldati. Anche il sospetto autore è rimasto ferito ed è stato successivamente arrestato dalle forze israeliane. Infine, il 5 luglio, una 17enne palestinese è stata ferita dalle forze israeliane con armi da fuoco: secondo una videoregistrazione, avrebbe minacciato i soldati con un coltello ad una fermata d’autobus vicino ad Haris (Salfit).

Il 7 luglio, un palestinese è morto per le ferite riportate nel maggio 2015, quando fu colpito con armi da fuoco dalle forze israeliane nei pressi della recinzione perimetrale di Gaza.

In Cisgiordania, 50 palestinesi, tra cui 14 minori, sono stati feriti nel corso di scontri con le forze israeliane. Quasi tutti i ferimenti sono riferibili ad operazioni di ricerca-arresto, la più ampia delle quali ha avuto luogo nella città di Dura (Hebron), in cui si sono avuti 38 feriti. In totale, in Cisgiordania, questa settimana, le forze israeliane hanno condotto 98 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 95 palestinesi; il governatorato di Hebron registra il più alto numero sia di operazioni che di arresti.

Nella striscia di Gaza, a sud-est di Rafah, il 10 luglio le forze egiziane ha aperto il fuoco verso il territorio palestinese, ferendo una ragazza palestinese 13enne.

Continuano, da parte delle forze israeliane, i blocchi di diversi snodi stradali che collegano villaggi e città palestinesi del governatorato di Hebron; il 2 luglio, dopo l’uccisione, in due distinti episodi, di due coloni israeliani, sulla zona è stata imposta una chiusura generale che intralcia pesantemente l’accesso ai servizi e ai mezzi di sostentamento dei circa 400.000 palestinesi residenti. Il 12 luglio, nel corso di una informativa al Consiglio di Sicurezza, il Segretario generale dell’ONU ha dichiarato che “gli autori dei recenti attacchi terroristici devono assolutamente essere ritenuti responsabili. Tuttavia, le chiusure – come quelle messe in atto in Hebron – così come le demolizioni punitive e la revoca generalizzata dei permessi penalizzano migliaia di palestinesi innocenti e si configurano come punizioni collettive”.

Il 7 luglio, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto una petizione volta ad evitare la demolizione punitiva della casa di un palestinese di Qabatiya (Jenin) che fu arrestato per aver collaborato, secondo quanto riferito, ad un accoltellamento mortale avvenuto a Gerusalemme Est nel febbraio 2016. Il 25 giugno, l’UN Relief and Works Agency per i Rifugiati di Palestina (UNRWA), ha invitato le autorità israeliane a porre fine alla pratica delle demolizioni punitive.

A Gaza, in almeno sette occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare; non sono stati segnalati feriti, ma pescatori ed agricoltori palestinesi hanno dovuto interrompere il lavoro. In quattro occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza, hanno spianato il terreno ed effettuato scavi.

Nella zona H2 di Hebron, si è verificato un caso di vandalismo contro proprietà palestinese, ad opera, secondo quanto riferito, di coloni israeliani. Inoltre, ancora in questa settimana, ci sono state due manifestazioni di coloni armati che, per protesta contro i recenti attacchi palestinesi contro israeliani, si sono riuniti [nel primo caso] all’ingresso del villaggio di Bani Naim (Hebron) impedendone l’accesso e [nel secondo caso] hanno marciato dall’insediamento di Haggai fino all’insediamento di Otniel (Hebron), intimidendo i palestinesi presenti

Sono stati segnalati tre episodi di lancio di pietre, ad opera di palestinesi contro veicoli israeliani, nei pressi di Beit El (Ramallah), presso l’insediamento di Kiryat Arba (Hebron) e nella città di Hizma (Gerusalemme) con conseguente ferimento di tre israeliani e danni a tre veicoli. In altri due episodi, verificatisi vicino a Betlemme e ad Hebron, palestinesi hanno lanciato bottiglie incendiarie contro veicoli israeliani; non sono stati segnalati danni.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 12 luglio, nella città di Ar Ram (Gerusalemme), durante una operazione di ricerca-arresto, un 22enne palestinese è stato ucciso e altri due (entrambi di 20 anni) sono stati feriti da soldati israeliani. Secondo i media israeliani, le forze israeliane, ritenendosi in pericolo, hanno aperto il fuoco. Secondo fonti palestinesi locali, le vittime stavano viaggiando ad alta velocità e non si sono resi conto della presenza dei soldati israeliani che hanno sparato contro di loro. Uno dei feriti è stato arrestato dai soldati israeliani.

Il 12 e il 13 luglio, in Area C (nella città di ‘Anata e presso la confinante comunità beduina di Nord ‘Anata Bedouins) e in Gerusalemme Est (Jabal Al Mukabbir), a causa della mancanza di permessi di costruzione israeliani, le autorità israeliane hanno demolito 23 strutture, sfollando 43 persone, tra cui 25 minori.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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In Cisgiordania le discriminazioni non scarseggiano quando si tratta di acqua

Haaretz

di Amira Hass – 2 luglio 2016

Israele sta chiedendo il rinnovo del Comitato Congiunto per l’Acqua, ma i palestinesi hanno sperimentato che la commissione si limita a rafforzare le colonie e a perpetuare il controllo israeliano sulle risorse idriche

“Convocare il Comitato Congiunto per l’Acqua.” Questo è il mantra israeliano tirato fuori in risposta alle vicende relative alla scarsità d’acqua in Cisgiordania. Da quando i palestinesi hanno iniziato a boicottare per parecchi anni il lavoro del Comitato, si continua a sostenere che non si è potuto ammodernare e riparare le infrastrutture idriche.

Questa è stata anche la replica che Haaretz ha ricevuto la scorsa settimana dall’Autorità Israeliana per l’Acqua e dall’ufficio di coordinamento delle attività governative nei territori, in risposta a un quesito sul perché dall’inizio di giugno la compagnia israeliana delle acque (Mekorot) ha ridotto la quantità di acqua che vende ai palestinesi nel distretto di Salfit e a Nablus.

Mekorot ha dato una risposta simile al settimanale Makor Rishon [giornale di destra e vicino al movimento dei coloni. Ndtr.], che una settimana fa ha dato notizia di una riduzione nell’erogazione dell’acqua in numerose colonie, quartieri e avamposti illegali in Cisgiordania.

Effettivamente dalla fine del 2010 i palestinesi hanno smesso di approvare le richieste di progetti per l’acqua e le fognature presentati dalla controparte israeliana al Comitato Congiunto per l’Acqua (JWC). Inizialmente hanno rifiutato di firmare i verbali delle riunioni. Poi hanno smesso di parteciparvi. Il primo ministro palestinese del tempo era Salam Fayyad, mentre il capo dell’Autorità Palestinese per l’Acqua era il ministro Shaddad Attili. I palestinesi erano arrivati alla conclusione – qualcuno dice con troppo ritardo – che, con il pretesto della condivisione e della reciprocità, Israele stava estorcendo loro un consenso scritto e una manifesta approvazione che consentiva lo sviluppo delle infrastrutture idriche nelle colonie e persino di incrementarne la fornitura d’acqua. Allo stesso tempo stava limitando lo sviluppo e l’espansione delle infrastrutture idriche palestinesi e perpetuando l’ineguale divisione dell’acqua tra israeliani e palestinesi.

Nel 2014, dopo che Rami Hamdallah è diventato primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, Attili – che gli israeliani consideravano un guastafeste e la causa del problema – è stato sollevato dall’incarico; Mazen Ghoneim è stato nominato al suo posto. Tuttavia, nonostante qualcuno abbia interpretato questo come un cedimento alle pressioni israeliane per riprendere il lavoro del Comitato, la posizione dei palestinesi non è cambiata.

“Il Comitato si riunisce” – cioè è richiesta l’approvazione dell’altra parte – “solo quando si tratta di progetti per i palestinesi,” ha detto la scorsa settimana ad Haaretz il ministro Ghoneim. “Gli israeliani fanno tutto quello che vogliono nelle colonie, quando vogliono. Non chiedono il nostro permesso di costruire ed espandere insediamenti e avamposti, perciò perché dovrebbero ottenere la nostra approvazione per gli acquedotti?”

Un chiara prova è arrivata la scorsa settimana: il 20 giugno il sito web dell’amministrazione per gli appalti del governo israeliano ha pubblicato un bando per un condotto fognario congiunto israelo-palestinese, che sarà posto di fianco al percorso della rete fognaria già esistente tra Givat Ze’ev, Bir Naballah e Al Jib [la prima è una colonia, gli altri due sono villaggi palestinesi. Ndtr.]. L’Autorità Palestinese per l’Acqua ha detto ad Haaretz che ciò viene fatto a sua insaputa.

Secondo COGAT [il Coordinamento per le Attività Governative nei Territori, ente del ministero della Difesa israeliano che si occupa delle attività civili nei Territori Occupati. Ndtr.], si tratta solo di una risistemazione e di un lavoro di manutenzione di una conduttura già esistente, e di conseguenza non richiede il consenso del Comitato. Tuttavia, secondo fonti palestinesi, quando il JWC era operativo i palestinesi dovevano chiedere l’approvazione israeliana per la ristrutturazione (sostituzione e manutenzione) di ogni tubatura esistente – persino nelle aree A e B, che sono sotto il controllo dell’ autorità civile palestinese. Senza tale approvazione, anche per le aree A e B, i Paesi donatori, e soprattutto gli Stati Uniti, non avrebbero finanziato i progetti.

L’articolo 40 degli accordi interinali del 1995 tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che tratta di questioni relative ad acqua e sistema fognario, stabiliva che i palestinesi sarebbero stati nelle condizioni di estrarre circa 118 milioni di m³ annui dall’Acquifero Montano in Cisgiordania. In più l’accordo stabiliva che Israele avrebbe venduto ai palestinesi altri 30 milioni di m³ e che durante il periodo dell’accordo (fino al 1999) avrebbero potuto incrementare la quota di altri 80 milioni di m³ annui dai loro pozzi di perforazione nel bacino orientale o “da altra fonte”.

Secondo i calcoli della Banca Mondiale, la quantità destinata ai palestinesi in Cisgiordania era circa il 20% delle estrazioni dall’Acquifero Montano. Il resto dell’acqua – cioè la maggior parte del totale – era destinata ad Israele per il consumo delle colonie e all’interno di Israele. Il ruolo del JWC era quello di mettere in pratica gli impegni delle parti in base all’articolo 40 e di gestire i sistemi idrici e fognari in Cisgiordania.

All’inizio i palestinesi videro questa norma come una base per estendere la propria indipendenza nel settore idrico. Oggi, 17 anni dopo che l’accordo avrebbe dovuto terminare, secondo i calcoli dell’Autorità Palestinese delle Acque i palestinesi stanno ricevendo solo 103 m³ all’anno dall’Acquifero Montano.

In confronto, secondo uno studio di B’Tselem [organizzazione israeliana per i diritti umani. Ndtr.], i cui dati sono stati aggiornati nel 2013, 28 siti di perforazione di Mekorot nella Valle del Giordano (il Bacino Orientale) producono circa 32 milioni di m³ all’anno, cioè poco meno di un terzo del totale dell’acqua che i palestinesi stanno estraendo da tutto l’Acquifero Montano. La grande maggioranza di quei 32 milioni di m³ è destinata a circa 10.000 coloni ebrei nella Valle del Giordano, per usi domestici ed agricoli, rispetto ai 103 milioni di m³ destinati a tutti i 2,7 milioni di palestinesi della Cisgiordania.

La popolazione palestinese in Cisgiordania è cresciuta di circa un milione dal 1995. In seguito a ciò ora i palestinesi non hanno altra alternativa che comprare una maggiore quantità di acqua da Israele rispetto a quella stabilita originariamente.

Uno studio inglese pubblicato nel 2013 ha rilevato che la discriminazione contro i palestinesi è stata applicata anche dal JWC. Il ricercatore, Jan Selby dell’università del Sussex, ha scoperto che tra il 1995 e il 2008 la proporzione tra i progetti palestinesi approvati dal Comitato (cioè, approvata anche dalla parte israeliana) è stata minore dei progetti che sono stati approvati nelle colonie: è stato approvato non più del 66% delle domande palestinesi di perforare pozzi rispetto al 100% delle richieste israeliane; tra il 50% e l’80% delle richieste per reti di fornitura idrica per la popolazione palestinese è stato approvato, rispetto al 100% per i coloni; e il 58% delle domande di impianti per la purificazione di acque di scolo dei palestinesi rispetto al 96% per i coloni.

Selby ha anche scoperto che la portata degli impianti approvati di stoccaggio dell’acqua degli israeliani è circa cinque volte maggiore di quella delle loro controparti palestinesi – 4.723 cm³ per gli israeliani rispetto ai 965 cm³ per i palestinesi. E il diametro più frequente delle tubature per i palestinesi è di 2 pollici, rispetto agli 8 e 12 pollici per gli israeliani.

Durante lo stesso periodo, i 174 progetti di cisterne/riserve di stoccaggio per i palestinesi avevano una capienza totale di 167.950 cm³ rispetto ai 28 impianti simili per gli israeliani con una capienza totale di 132.250 cm³.

Selby conclude che l’espansione delle infrastrutture nelle colonie è stata portata avanti con l’approvazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, perché è apparso chiaro che altrimenti Israele non avrebbe consentito la ristrutturazione e lo sviluppo delle infrastrutture idriche palestinesi.

Fonti dell’Autorità Palestinese per le Acque preferiscono dire oggi che nei primi anni “abbiamo firmato progetti di interesse comune (cioè condutture comuni per le colonie e le comunità palestinesi). Progressivamente ci si è preteso da noi che approvassimo progetti solo per le colonie in cambio dell’approvazione dei nostri progetti.”

Queste fonti hanno aggiunto che i progetti più grandi, che avrebbero potuto essere messi in atto solo nell’area C [sotto totale controllo israeliano e dove si trovano le riserve idriche. Ndtr.] sono anche passati per la complicata burocrazia dell’Amministrazione Civile [il governo militare israeliano in Cisgiordania. Ndtr.], che a volte ha ritardato o bloccato la loro messa in opera. E Selby ha scoperto anche che, prima ancora che un progetto venisse sottoposto al processo di approvazione dell’Amministrazione Civile, un progetto israeliano è stato approvato dal Comitato Congiunto delle Acque mediamente entro due mesi, mentre per un progetto palestinese ce ne sono voluti 11.

La ricerca di Selby riassume la crescente frustrazione palestinese e spiega la decisione di lasciare il Comitato Congiunto.

Una portavoce del COGAT ha affermato che “il miglioramento delle condizioni delle infrastrutture idriche in Cisgiordania richiede la progettazione di nuove condutture, in quanto quelle esistenti hanno raggiunto la portata massima e quindi è necessario convocare il Comitato Congiunto per le Acque.”

Ha aggiunto: “Notiamo che alla luce delle difficoltà che l’Autorità Nazionale Palestinese sta continuando a porre al comitato, i progetti idrici e fognari sono stati approvati unilateralmente per dare una prima risposta al problema dell’acqua per entrambe le popolazioni della regione.”

Uri Schor, un portavoce dell’Autorità Israeliana per le Acque, ha detto ad Haaretz: “Nel novembre 2011 il direttore dell’Autorità per le Acque, nel quadro del Comitato Congiunto, ha dato la sua approvazione ai palestinesi per 43 progetti per la ristrutturazione di punti di perforazione esistenti, per la sostituzione e per nuovi punti di perforazione. “Nell’ottobre 2012,” ha scritto, “c’è stato un accordo tra le due parti per fissare il prezzo dell’acqua in più per la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.” Una fonte palestinese ha detto ad Haaretz che le richieste di perforazione approvate dall’autorità erano state presentate molto tempo prima e che l’accordo sui prezzi era stato stabilito solo per un anno.”

Dall’ottobre 2012, ha aggiunto Schor, “il governo palestinese ha preso la decisione politica di non approvare nessun altro progetto israeliano (contravvenendo all’accordo sull’acqua) silurando in tal modo un contesto di collaborazione che ha reso possibile rifornire entrambe le popolazioni della Cisgiordania.”

Invece i palestinesi affermano che il recente taglio massiccio nella fornitura di acqua alle loro comunità ha lo scopo di ricattarli per farli tornare al Comitato Congiunto per le Acque e per “far loro approvare i progetti esclusivamente destinati alle colonie illegali, in modo da renderli apparentemente legali.”

All’Autorità Palestinese per le Acque fanno notare che, proprio come lo status dell’area C e le relazioni economiche (il Protocollo di Parigi), destinate ad essere provvisorie, anche l’articolo 40 e le quote di acqua imposte ai palestinesi dovevano essere temporanei.

Ma quello che doveva essere provvisorio è diventato permanente. I palestinesi dicono che le loro richieste di emendare l’articolo 40 non hanno ricevuto risposta. Oggi l’unica soluzione realistica, affermano, è permettere loro di cominciare subito a perforare nel più ricco Bacino occidentale dell’Acquifero Montano.

Da parte sua, il ministro Ghoneim riassume la posizione israeliana: “Israele ci tratta come clienti di un’impresa e non come un popolo che ha un diritto legale sulle fonti idriche del nostro Paese.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA della settimana 28 giugno- 4 luglio 2016

In Cisgiordania e Israele, nel corso di quattro attacchi e presunti attacchi ad opera di palestinesi, due israeliani sono stati uccisi e altri sei feriti; tre dei presunti responsabili degli attacchi sono stati uccisi sul posto

[di seguito il dettaglio degli eventi sopraccitati]. Il 30 giugno, nell’insediamento di Kiryat Arba’ (Hebron), un giovane palestinese ha accoltellato e ucciso una 13enne israeliana ed è stato successivamente ucciso dalle guardie di sicurezza dell’insediamento. Nello stesso giorno, a Netanya (Israele), un palestinese ha accoltellato e ferito due israeliani ed è stato successivamente ucciso da un civile israeliano. Il 1° luglio, nella zona H2 di Hebron, le forze israeliane hanno ucciso una 27enne palestinese che avrebbe tentato di accoltellare uno di loro. Più tardi, nello stesso giorno, sulla strada 60 (Hebron), ignoti hanno aperto il fuoco contro una macchina con targa israeliana, uccidendo un colono israeliano e ferendo la moglie e due figli di 15 e 13 anni; sono quindi fuggiti.

In conseguenza degli attacchi sopra riportati, le forze israeliane hanno chiuso diversi snodi stradali che collegano villaggi e città palestinesi dei governatorati di Hebron e Tulkarem. Gli snodi stradali ancora accessibili sono al momento controllati da posti di blocco, dove i soldati israeliani vagliano veicoli e passeggeri. Le chiusure hanno costretto la popolazione a ricercare percorsi alternativi per raggiungere gli snodi praticabili, con tempi di attesa che vanno da pochi minuti a più di un’ora. Conseguentemente, per i circa 890.000 abitanti dei due governatorati coinvolti [Hebron e Tulkarem], l’accesso ai servizi ed ai mezzi di sostentamento risulta pesantemente intralciato.

A Bani Na’im (governatorato di Hebron), città di 26.500 abitanti e residenza di numerosi presunti autori di recenti attacchi, tutti gli ingressi per il movimento veicolare sono stati bloccati, compreso l’unico ingresso destinato ai casi di emergenza, per definire i quali sono richiesti accordi preventivi. I funzionari israeliani hanno anche annunciato la revoca di permessi di lavoro e commerciali per 2.800 residenti della città, misura che, se attuata per lungo tempo, si prevede possa avere un impatto significativo sull’ economia.

Sempre in relazione con gli attacchi sopra riportati, i mezzi di informazione hanno riferito che Israele ha approvato un piano per la costruzione di circa 800 nuove abitazioni in vari insediamenti colonici israeliani, ed ha annunciato una gara d’appalto per la costruzione di 42 unità abitative nell’insediamento colonico di Kiryat Arba, luogo in cui si è verificato uno degli attacchi [vedi il primo paragrafo]. Contemporaneamente, sempre secondo quanto riferito dai mezzi di informazione, le autorità israeliane hanno approvato i piani per la costruzione di circa 600 unità abitative per i palestinesi residenti a Gerusalemme Est.

Il 1° luglio, al checkpoint di Qalandiya (Gerusalemme), un 63enne palestinese è morto per aver inalato gas lacrimogeno ed altri 21 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane. L’episodio si è verificato quando un gran numero di uomini e ragazzi, con un’età non corrispondente ai criteri prefissati dalle autorità israeliane [avere meno di 12 o più di 45 anni] per accedere senza permesso a Gerusalemme Est per la preghiera dei venerdì di Ramadan, si sono riuniti presso il checkpoint di ingresso; al loro rifiuto di allontanarsi dall’area, le forze israeliane hanno risposto sparando lacrimogeni e granate assordanti. Almeno altri 16 palestinesi sono rimasti feriti cadendo mentre fuggivano dalla zona. Sono stati segnalati anche alcuni casi di lanci di pietre da parte di palestinesi, con conseguente ferimento di un soldato israeliano. Si stima che, nel quarto venerdì di Ramadan, sia stato concesso l’ingresso in Gerusalemme Est per pregare nella Moschea di Al Aqsa a circa 73.000 palestinesi detentori di documenti di identità della Cisgiordania.

Durante scontri verificatisi in altre zone della Cisgiordania, altri 58 palestinesi, undici dei quali minori, sono stati feriti dalle forze israeliane. Nell’episodio più grave, verificatosi prima di una demolizione punitiva (vedi sotto) nel Campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), 26 palestinesi sono stati feriti, 20 dei quali con armi da fuoco. Gli altri ferimenti sono stati riportati durante la manifestazione settimanale a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e durante operazioni di ricerca-arresto; la maggior quota di feriti è stata riscontrata a Dura (Hebron).

Complessivamente, in Cisgiordania, le forze israeliane hanno condotto 89 operazioni di ricerca-arresto ed arrestato 162 palestinesi; il governatorato di Gerusalemme conta il più alto numero di arresti (95, tra cui 27 minori), il governatorato di Hebron il maggior numero di operazioni (28).

Nel Campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), le forze israeliane hanno distrutto, per punizione, le abitazioni di due palestinesi autori, nel dicembre 2015, di una aggressione con coltello a Gerusalemme Est; nel corso dell’aggressione furono uccisi due coloni israeliani, uno dei quali colpito da “fuoco amico” e gli stessi autori dell’aggressione. A seguito delle demolizioni, due famiglie di rifugiati, composte da nove persone, sono state sfollate.

Il 29 giugno, nella città di Ya’bad (Jenin), tre palestinesi sono morti e 14 sono rimasti feriti nel corso di uno scontro armato tra famiglie palestinesi. Nello stesso giorno, nella città di Nablus, in circostanze non chiare, sconosciuti armati hanno ucciso due membri delle forze di sicurezza palestinesi e gravemente ferito una donna palestinese.

Il 1° luglio, un gruppo armato palestinese ha lanciato un razzo verso la città israeliana di Sderot, danneggiando un edificio. Secondo quanto riferito, il giorno dopo, in risposta a questo attacco, l’esercito israeliano ha effettuato una serie di attacchi aerei contro siti appartenenti a gruppi armati palestinesi; è stato colpito anche un negozio nella parte orientale della città di Gaza, con il ferimento di due palestinesi e danni materiali. Ancora in questa settimana, in almeno quindici occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) a terra e in mare; non sono stati registrati feriti, ma pescatori ed agricoltori palestinesi hanno dovuto interrompere le loro attività.

In tre diversi episodi verificatisi a Burin (Nablus), Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Wadi Fukin (Hebron), decine di alberi di proprietà palestinese, un appezzamento di terreno coltivato e due serre sono state vandalizzate, secondo quanto riferito, da coloni israeliani. Ancora in questa settimana, nei pressi di Huwwara (Nablus), un palestinese è stato colpito da pietre e ferito da un gruppo di coloni israeliani e il suo veicolo danneggiato. Inoltre, in diverse occasioni, coloni israeliani armati si sono riuniti presso gli ingressi delle città di Salfit e Nablus, impedendo l’accesso e intimidendo i palestinesi presenti.

Sono stati riportati tre episodi di lancio di pietre, da parte di palestinesi contro veicoli israeliani sulla strada 60 e 463 (Ramallah) e in Gerusalemme Est, con conseguente ferimento di quattro israeliani e danni a tre veicoli. In altri due casi, vicino a Betlemme ed Hebron, palestinesi hanno lanciato bottiglie incendiarie verso veicoli israeliani; non sono stati segnalati danni.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto in entrambe le direzioni per cinque giorni (29, 30 giugno e 2, 3, 4 luglio), consentendo a quasi 3.000 persone l’uscita e ad oltre 1.600 l’ingresso a Gaza; secondo le autorità palestinesi di Gaza le persone precedentemente registrate ed in attesa di attraversare erano circa 30.000.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli

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Rapporto OCHA della settimana 21 – 27 giugno 2016

Il 24 giugno, vicino all’ingresso dell’insediamento colonico di Kiryat Arba’ (Hebron), una 18enne palestinese, alla guida di un veicolo, ha speronato un’auto con targa israeliana, ferendo due coloni; la donna è stata uccisa dalle forze israeliane.

In seguito all’attacco, per tre giorni consecutivi le forze israeliane hanno bloccato o disposto punti di controllo sugli accessi principali al villaggio di Bani Naim (Hebron), dove viveva la ragazza. Nella prima metà del 2016, le forze israeliane hanno ucciso 54 palestinesi presunti responsabili di attacchi, tra cui sei donne e due ragazze. Per confronto: nell’ultimo trimestre del 2015 furono 89 i presunti aggressori colpiti a morte. Le circostanze di molti episodi hanno sollevato preoccupazione sull’eccessivo uso della forza.

Il 21 giugno, presso il villaggio di Tahta (Ramallah), le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro due veicoli palestinesi che viaggiavano in direzione di Beit ‘Ur: un 15enne è stato ucciso ed altri quattro palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti. Poco prima una vettura con targa israeliana era stata colpita da pietre e tre passeggeri erano stati feriti; l’esercito israeliano ha confermato che il palestinese ucciso ed i feriti non erano coinvolti nel lancio di pietre. Dopo circa 40 ore dall’episodio le autorità israeliane hanno consegnato alla famiglia il cadavere del 15enne ed hanno annunciato l’apertura di un’indagine penale.

In due occasioni durante la settimana, palestinesi si sono scontrati con le forze israeliane nel Complesso di Haram al Sharif/ Monte del Tempio, in Gerusalemme Est: 26 palestinesi, tra cui tre minori, sono rimasti feriti. Gli scontri hanno fatto seguito all’entrata di coloni israeliani ed altri gruppi nel Complesso: secondo le autorità palestinesi ciò ha costituito una trasgressione allo status quo applicato negli anni passati durante gli ultimi dieci giorni del mese di Ramadan.

Altri 30 palestinesi, nove dei quali minori, sono stati feriti dalle forze israeliane durante scontri in altre zone della Cisgiordania: durante la dimostrazione settimanale in Kafr Qaddum (Qalqiliya), prima di una demolizione punitiva [vedere paragrafo successivo] e durante operazioni di ricerca-arresto. In questa settimana, le forze israeliane hanno svolto 89 operazioni di ricerca-arresto, durante le quali sono stati arrestati 112 palestinesi.

Il 21 giugno, in Hajja (Qalqiliya), le forze israeliane hanno demolito, a scopo punitivo, la casa di famiglia di un palestinese che, nel marzo 2016, compì una aggressione con coltello: cinque persone, tra cui due minori, sono state sfollate. Palestinesi, cercando di evitare la demolizione si sono scontrati con le forze israeliane: nove i palestinesi feriti (inclusi nel totale riportato nel paragrafo precedente). Dall’inizio del 2016, le autorità israeliane hanno demolito 19 abitazioni palestinesi per motivi punitivi; per confronto: nella seconda metà del 2015 furono 25. Il 25 giugno 2016, l’UN Relief and Works Agency per i Rifugiati di Palestina (UNRWA), ha invitato le autorità israeliane a porre fine alla pratica delle demolizioni punitive in Cisgiordania.

Per la quarta settimana consecutiva, tredici comunità palestinesi nei governatorati di Salfit, Nablus e Jenin hanno riferito che l’azienda idrica israeliana Mekorot ha ridotto del 50-70% la quantità di acqua a loro fornita. Le oltre 53.000 persone che risiedono in queste aree sono state costrette, per soddisfare i bisogni domestici e di sussistenza, a fare affidamento in misura maggiore sulla costosa acqua trasportata con le autobotti. Le motivazioni di questa riduzione rimangono controverse.

Nella comunità di Al Baq’a, situata in Area C, vicino alla città di Hebron, le autorità israeliane hanno smantellato i tubi dell’acqua di irrigazione, a motivo del loro collegamento illegale alla rete; come parte dell’episodio, è stato distrutto un ettaro di terra coltivata. Ancora in Area C, nella città di Al Khadr (Betlemme), i proprietari di tre strutture abitative e due locali ad uso agricolo hanno ricevuto ordini di arresto-lavori; il provvedimento colpisce cinque famiglie palestinesi.

Nella Striscia di Gaza, in sette occasioni durante la settimana, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti in Aree ad Accesso Riservato, di terra e di mare; non sono stati segnalati feriti. In alcuni dei casi, pescatori ed agricoltori palestinesi hanno dovuto interrompere il lavoro.

Il 26 giugno, Israele ha ridotto da 9 a 6 miglia nautiche la zona di pesca lungo la costa meridionale della Striscia di Gaza. Il 3 aprile 2016, Israele aveva ampliato la zona di pesca [lungo la costa meridionale] a 9 miglia nautiche, pur mantenendo il limite a 6 miglia nautiche lungo la costa settentrionale. Secondo il Ministero dell’Agricoltura [della Striscia di Gaza], la temporanea espansione aveva consentito un aumento significativo della quantità e qualità del pescato. Oltre 35.000 palestinesi dipendono dalla pesca per il loro sostentamento.

Nel terzo venerdì del mese del Ramadan (24 giugno), circa 100.000 palestinesi in possesso di documenti identificativi della Cisgiordania sono stati ammessi in Gerusalemme Est per pregare nella Moschea di Al Aqsa. Ai maschi ultra 45enni ed infra 12enni e alle donne di tutte le età è stato consentito l’accesso senza preventiva autorizzazione. Le autorità israeliane, dopo l’attentato dell’8 giugno a Tel Aviv, tengono ancora in sospeso circa 83.000 permessi precedentemente rilasciati a palestinesi della Cisgiordania per il mese di Ramadan. Durante il periodo di riferimento, tre palestinesi sono stati feriti mentre cercavano di scavalcare la Barriera per andare a pregare a Gerusalemme Est.

In due separati episodi, in As Sawiya (Nablus) e nei pressi di Kafr Malik ed Al Mughayyir (Ramallah), circa 280 alberi di proprietà palestinese ed alcuni ettari di terra coltivata sono stati incendiati e danneggiati, secondo quanto riferito, da coloni israeliani provenienti dall’insediamento di Shilo e da insediamenti colonici illegali della zona. Negli ultimi anni questi insediamenti sono stati una fonte di sistematica violenza e di molestie, minando la sussistenza e la sicurezza fisica dei palestinesi che vivono nei villaggi circostanti. Ancora in questa settimana, un palestinese è stato fisicamente aggredito e ferito da un gruppo di israeliani mentre lavorava nell’insediamento di Ramot, in Gerusalemme Est. Inoltre, coloni israeliani hanno fatto un’incursione nel villaggio di Asira al Qibliya (Nablus), rubando e vandalizzando alcune proprietà e spruzzando scritte tipo “Questo è il prezzo che dovete pagare”.

Sono stati riportati due episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli con targa israeliana che viaggiavano nei pressi dei villaggi di Hizma (Gerusalemme) e di Beit Sira (Ramallah), con conseguenti danni a due veicoli. In cinque casi aggiuntivi, nei pressi di Betlemme, Hebron e Ramallah, palestinesi hanno scagliato bottiglie incendiarie verso auto con targa israeliana: non sono stati segnalati danni.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli nove giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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segue

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 30 giugno, un giovane palestinese ha accoltellato e ucciso una 13enne israeliana nell’insediamento di Kiryat Arba’ (Hebron), ed è stato successivamente ucciso dalle guardie di sicurezza dell’insediamento.

Il 29 giugno, tre palestinesi sono rimasti uccisi e 14 feriti nel corso di uno scontro armato tra famiglie palestinesi nella città cisgiordana di Ya’bad (Jenin); diverse case e veicoli sono stati incendiati o danneggiati.

Il 29 giugno, a Nablus, in circostanze non chiare, uomini armati sconosciuti hanno ucciso due membri delle forze di sicurezza palestinesi e gravemente ferito una donna palestinese.

Il 28 giugno, le autorità egiziane hanno annunciato che il valico di Rafah verrà eccezionalmente aperto, in entrambe le direzioni, dal 29 giugno al 4 luglio (tranne il 1° luglio) per i casi umanitari e le persone pre-registrate.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Che cosa ci fanno i coloni alla “Marcia per l’Uguaglianza”?

+972 – 20 giugno 2016

di Haggai Matar

I coloni israeliani godono di bilanci preferenziali e sussidi, e giocano un ruolo fondamentale in un sistema di segregazione e espropriazione. Chi gli ha permesso di unirsi alla “Marcia per l’Uguaglianza” con le comunità di Israele più trascurate e svantaggiate?

Questa settimana attivisti sociali israeliani e dirigenti di amministrazioni locali hanno iniziato una marcia verso Gerusalemme, la “Marcia per l’Uguaglianza”, per chiedere uguaglianza nei finanziamenti pubblici per i servizi sociali ed educativi nelle loro trascurate comunità delle aree economicamente e geograficamente periferiche di Israele.

Mentre i manifestanti avanzavano lungo la strada dal deserto del Negev verso Gerusalemme, sono stati raggiunti da alcuni membri della Knesset [il Parlamento israeliano. Ndtr. ], dal capo del più importante sindacato del Paese e da altri.

La lotta in merito ai finanziamenti per l’educazione ed il sistema di welfare destinati alle comunità svantaggiate di Israele è importante e giusta. Anche l’idea di una manifestazione inclusiva, che promuova l’unità tra residenti di comunità periferiche disperse, è ottima. Una tale lotta merita tutto il nostro appoggio.

C’è solo un problema: la partecipazione dei coloni. Tra i partecipanti all’iniziativa, che comprende i sindaci di due delle città israeliane più impoverite, Rahat e Netivot (rispettivamente, un Comune beduino e una cittadina in maggioranza composta da mizrahi [ebrei di origine araba. Ndtr.]), c’erano i dirigenti dei governi locali delle colonie Binyamin, Gush Etzion e delle colline a sud di Hebron, in Cisgiordania. I dirigenti delle colonie non sono arrivati per esprimere solidarietà con le più deboli comunità israeliane, ma piuttosto per cercare e trovare spazio per loro stessi dietro lo striscione impugnato dalle città ignorate e oppresse della periferia israeliana.

La loro partecipazione solleva tre domande inquietanti: in primo luogo, di quale discriminazione nella destinazione dei fondi pubblici soffrono le colonie della Cisgiordania? (Non parlo degli insediamenti degli ortodossi. Le colonie degli ultra-ortodossi effettivamente patiscono di gravi carenze nei finanziamenti). Solo ieri il governo ha approvato il trasferimento di ulteriori 82 milioni di shekel [ quasi 19 milioni di €] agli insediamenti della Cisgiordania, oltre ai 340 milioni [più di 78 milioni di €] che sono stati promessi come parte di un accordo di coalizione.

E si tratta di un’integrazione al bilancio normalmente destinato alle colonie. Questa settimana l’istituto di ricerca “Molad” [gruppo di analisti israeliano di tendenza progressista. Ndtr.] ha evidenziato che i servizi pre-scolastici nelle colonie delle colline di Hebron ricevono per bambino migliaia di shekel in più rispetto a quanti sono destinati ad Ashkelon e ad Ashdod, città all’interno della Linea Verde (confine tra Israele e Cisgiordania prima del ’67. Ndtr.] considerate periferiche. Molad nota che i fondi del governo per lo sviluppo, l’alimentazione e l’agricoltura sono più consistenti negli insediamenti, e in generale il governo investe il 28% in più per un colono della Cisgiordania che per un residente in Galilea [nel nord di Israele. Ndtr.] ( e ciò escludendo i costi aggiuntivi per le spese della sicurezza negli insediamenti della Cisgiordania).

Un altro esempio: il centro Adva [centro indipendente di studi politici di Tel Aviv. Ndtr.] ha scoperto che nel 2014 la spesa pro capite di un’amministrazione locale nelle colonie non ortodosse della Cisgiordania è stata superiore a quanto è stato speso nei 15 Comuni considerati economicamente più importanti all’interno della Linea Verde.

Come ha ripetutamente evidenziato Dani Gutwein [professore di storia ebraica all’università di Haifa, Ndtr.], anche nella sua serie video “Il piatto d’argento” [documentari della rete televisiva israeliana “Canale 8”. Ndtr.], gli insediamenti sono un’alternativa, che Israele ha creato al di fuori dei propri confini, allo Stato sociale. Negli insediamenti le case costano meno, gli investimenti pubblici nell’edilizia e nello sviluppo sono molto più alti e i servizi fondamentali, come i trasporti pubblici, sono sovvenzionati ad un livello significativamente superiore. I servizi pubblici che stanno scomparendo all’interno di Israele abbondano dall’altra parte della Linea Verde.

Uguaglianza sotto un regime militare

A livello più basilare, se prendiamo in considerazione la situazione al di fuori del contesto, ci dovremmo rallegrare che il governo stia ancora investendo nei settori tipici dello Stato sociale, ma questo ci porta alla seconda domanda: quale posto hanno, in una manifestazione per l’uguaglianza, i dirigenti di una classe privilegiata in un regime militare separato in base alla “razza”*? Unendosi alla marcia, i dirigenti delle colonie stanno cercando di rendere normale la propria posizione nella società israeliana, per presentare se stessi semplicemente come un qualunque governo locale delle comunità israeliane, che per caso si trova fuori dai confini dello Stato ed è illegittimo in base alle leggi internazionali. Cercano di eliminare il fatto che la loro stessa esistenza gioca un ruolo attivo nella quotidiana espropriazione dei palestinesi e nella perpetuazione di sistemi giuridici paralleli, uno per gli ebrei e uno per gli arabi.

Mentre i sindaci delle città ebraiche del Negev potrebbero voler marciare insieme a quelli delle vicine cittadine arabe di Hura e Rahat, non si vedrebbero i capi del consiglio dei coloni delle colline a sud di Hebron marciare insieme agli abitanti palestinesi di Susya, sottoposti al regime militare israeliano, in cui loro giocano un ruolo attivo. In virtù della loro partecipazione, i rappresentanti dei coloni hanno apposto un piccolo asterisco sullo striscione della marcia per l’uguaglianza, una nota a pié di pagina che dice: “Uguaglianza, ma non per i palestinesi dei territori occupati.”

Il capo del consiglio regionale dell’insediamento di Shomron, Yossi Dagan, ha enunciato molto chiaramente questo approccio discriminatorio in un editoriale di “Ynet” [sito web di notizie del giornale israeliano “Yedioth Aharonot’. Ndtr.] del lunedì, edizione in ebraico: “Un bambino è un bambino e merita le stesse opportunità, che sia nato a Tel Aviv, a Karnei Shomron o a Taibe.” (Karnei Shomron è una colonia in Cisgiordania, Taibe è una città araba all’interno di Israele).

Certo, ci dovrebbe essere parità di diritti per i bambini di Tel Aviv, Karnei Shomron e Taibe, per quel che riguarda Dagan; ma non per i bambini di Burkin, Nablus o Deir Istiya, città e villaggi palestinesi che soffrono quotidianamente a causa dell’esistenza dell’insediamento che lui guida – per qualche ragione loro rimangono esclusi. E’ qui che Dagan traccia il limite, e si porta dietro tutta la manifestazione per l’uguaglianza.

Perciò, cosa ci fanno i coloni alla manifestazione? Cercano una legittimazione per se stessi. Si stanno ritagliando alleanze con attivisti sociali e sindaci di comunità che effettivamente sono prive di servizi e discriminate, infiltrandosi in una lotta sociale nel tentativo di annullare le differenze tra loro e la reale periferia economica e sociale in Israele.

E questo ci porta alla nostra terza domanda: perché lasciare che si uniscano alla manifestazione? Perché il sindaco di Sakhnin, una grande città araba in Israele, è disposto ad andare insieme a loro? Perché il sindaco di Yerucham, un pacifista del partito laburista, è d’accordo? Perché il “movimento delle periferie” sta marciando con loro, mano nella mano?

Non auguro altro che il successo per la “marcia per l’uguaglianza”, ma fatela senza i coloni.

*i traduttori di Zeitun non condividono l’uso del termine “razza”, ma per rispettare l’opinione dell’autore hanno deciso di mantenere la definizione originale.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA sulla settimana 7 – 13 giugno 2016

L’8 giugno, due 21enni palestinesi provenienti dalla città cisgiordana di Yatta (Hebron) hanno ucciso tre israeliani e ne hanno feriti altri sette in un centro commerciale a Tel Aviv (Israele).Nella stessa circostanza un’altra israeliana è morta, secondo i media israeliani, per crisi cardiaca.

La polizia israeliana ha arrestato i due aggressori, uno dei quali era stato precedentemente ferito. Il Segretario generale dell’ONU ha decisamente condannato l’attacco. Questo episodio porta a nove il numero di israeliani uccisi in attacchi compiuti da palestinesi della Cisgiordania a partire dall’inizio del 2016; negli ultimi quattro mesi del 2015 le uccisioni furono 23.

nota (nel testo originale): Altri tre israeliani sono stati uccisi nel mese di gennaio 2016, e uno nel mese di ottobre 2015, durante attacchi perpetrati da due cittadini palestinesi di Israele, anch’essi rimasti uccisi.

Dopo questo attacco, le forze israeliane hanno chiuso, per tre giorni, tutte le vie di accesso a Yatta, impedendo ogni movimento in entrata e in uscita dalla città, ad eccezione dei casi umanitari preventivamente concordati. Inoltre, per tutta la settimana, è stato impedito l’ingresso in Israele, o nell’area chiusa posta oltre la Barriera (la “Seam Zone “), a circa 350 titolari di permesso aventi il medesimo cognome del sospetto autore di un tentativo di accoltellamento avvenuto il 2 giugno nella zona di Tulkarem, nel corso del quale il presunto attentatore venne ucciso.

Nello stesso contesto, le autorità israeliane hanno sospeso i permessi rilasciati, per il Ramadan, ad oltre 83.000 palestinesi della Cisgiordania e ad alcune centinaia di abitanti della Striscia di Gaza; permessi utilizzati soprattutto per visite a familiari residenti in Israele. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, oltre a condannare l’attacco, ha espresso preoccupazione per la cancellazione dei permessi, fatto che può configurarsi come una punizione collettiva.

Inoltre, dal 10 al 12 giugno, in occasione di una festa ebraica (Shavuot), le autorità israeliane hanno imposto una chiusura della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, precludendo ai titolari di permesso l’ingresso in Israele e a Gerusalemme Est, ad eccezione degli operatori umanitari, del personale delle organizzazioni internazionali e dei titolari di permesso di ricongiunzione familiare.

Nonostante le misure di cui sopra, durante il primo venerdì del Ramadan (10 giugno), almeno 30.000 palestinesi in possesso di documenti di identità della Cisgiordania sono stati autorizzati ad entrare a Gerusalemme Est per la preghiera. Ciò è dovuto principalmente alla già annunciata rinuncia, da parte di Israele, ad esigere alcuni requisiti per consentire l’ingresso [a Gerusalemme Est] dei palestinesi della Cisgiordania; in particolare, nell’annuncio precedente, si autorizzavano ad entrare gli uomini di età superiore ai 45 anni, i ragazzi al di sotto dei 12 anni e le donne di tutte le età.

L’11 giugno, a Beit ‘Amra (Hebron), le forze israeliane hanno distrutto la casa di famiglia di un 15enne palestinese, attualmente accusato dell’accoltellamento e uccisione di una donna israeliana verificatosi nel gennaio 2016 nell’insediamento colonico di ‘Otni’el. In seguito alla demolizione, sei persone, tra cui un minore, sono state sfollate. Dal quando, nel luglio 2014, questa pratica è stata ripristinata, le autorità israeliane hanno demolito o sigillato 48 case per motivi punitivi, sfollando 288 persone, tra cui 133 minori. Nel mese di novembre 2015, Robert Piper, coordinatore umanitario per i Territori palestinesi occupati, ha invitato le autorità israeliane a fermare questa pratica, che è una forma di punizione collettiva, illegale secondo il diritto internazionale.

Al checkpoint di ‘Awarta (Nablus), nel corso di un presunto tentativo di accoltellamento, le forze israeliane hanno gravemente ferito con arma da fuoco un palestinese mentalmente disabile; nessun soldato israeliano è rimasto ferito. È stato riferito che l’uomo sarebbe stato lasciato a terra sanguinante per circa un’ora, fino a quando un’ambulanza israeliana lo ha prelevato per le cure mediche. In Cisgiordania, in vari episodi, le forze israeliane hanno ferito complessivamente 15 palestinesi, tra cui due minori. Ciò rappresenta, dall’inizio del 2016, una riduzione dell’82% della media settimanale di palestinesi feriti.

L’8 giugno, le forze della Sicurezza palestinese hanno ferito cinque palestinesi durante scontri scoppiati nel corso di una protesta contro l’ingresso di israeliani in un santuario nella città di Nablus (la Tomba di Giuseppe); queste visite avevano già portato a scontri con le forze israeliane: il 6 giugno, era stato ucciso un giovane palestinese. Una protesta simile si era verificata il 4 giugno, con scontri tra manifestanti e forze palestinesi: dieci persone avevano subito lesioni causate dalla inalazione di gas lacrimogeno.

Durante una operazione di ricerca nella città di Qalqiliya, le forze israeliane hanno lanciato razzi illuminanti: almeno 50 alberi di ulivo hanno preso fuoco e sono rimasti danneggiati. In Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, le forze israeliane hanno condotto 87 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 128 palestinesi; circa il 30% degli arresti hanno avuto luogo nel governatorato di Hebron.

Nella zona (H2) della città di Hebron, sotto controllo israeliano, coloni israeliani hanno spruzzato liquido al peperoncino in faccia ad un 13enne palestinese. Inoltre, ci sono stati almeno cinque attacchi di coloni israeliani con conseguenti danni a proprietà palestinesi: 13 alberi di ulivo vandalizzati in Turmus’ayya (Ramallah); lanci di pietre ed atti vandalici contro almeno 21 veicoli in due episodi accaduti nelle zone di Gerusalemme Est e Nablus; 1.500 mq di terra spianati ad Al-Khader (Betlemme); 30 pecore di proprietà palestinese investite ed uccise nel villaggio di Az Zubeidat (Jericho).

Secondo quanto riferito dai media israeliani, in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, in quattro distinti episodi di lanci di pietre da parte di palestinesi contro veicoli israeliani, cinque israeliani, tra cui un minore, sono stati feriti e un veicolo è stato danneggiato.

Nella Striscia di Gaza, durante la settimana, in dieci occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) a terra e in mare; non sono stati registrati feriti. In uno degli episodi, una barca da pesca è stata danneggiata e tre palestinesi sono stati arrestati.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli nove giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli

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Il futuro di Israele è terrificante: la “moralità” inquietante di Moshe Yaalon e di Israele

1 giugno 2016

Ma’an news

di Ramzy Baroud

La società israeliana sta continuamente andando a destra e, di conseguenza, viene regolarmente ridefinita l’intera scala di valori [del sistema] politico.

La società israeliana sta continuamente andando a destra e, di conseguenza, viene regolarmente ridefinita l’intera scala di valori [del sistema] politico. Che Israele sia ora governato dal “governo di destra più estrema della sua storia” è passato nel giro di pochi anni dall’essere un’affermazione fondata ad un vuoto luogo comune.

Infatti quella stessa argomentazione è stata utilizzata nel maggio del 2015 quando il primo ministro di destra Benjamin Netanyahu ha formato il suo governo con una risicata maggioranza di esponenti della destra con idee simili, con fanatici religiosi e ultranazionalisti. Lo stesso concetto, praticamente con le medesime parole viene nuovamente adottato, quando Netanyahu ha allargato la sua coalizione imbarcando l’ultranazionalista Avigdor Lieberman.

Così mercoledì 25 maggio Lieberman è diventato anche il ministro della difesa d’Israele. Tenendo conto della sua politica facinorosa e violenta, come ha dimostrato nei suoi due incarichi come ministro degli esteri (dal 2009 al 2012 e di nuovo dal 2013 al 2015), con lui come ministro della difesa del “governo di destra più estrema della storia” ci si aspetta ogni tipo di terrificante futuro”.

Mentre molti commentatori ricordano opportunamente le passate provocazioni di Lieberman e le [sue ] rozze affermazioni, per esempio, la sua dichiarazione del 2015 in cui minacciava di decapitare con un’ascia i cittadini palestinesi d’Israele se non avessero manifestato piena lealtà nei confronti di Israele; in cui propugnava la pulizia etnica dei palestinesi d’Israele; il suo ultimatum [con minaccia] di morte all’ex primo ministro palestinese Ismail Haniyeh e così via, al suo predecessore, Moshe Yaalon è stata risparmiata gran parte delle critiche.

Peggio, l’ex ministro della difesa Yaalon è stato additato da alcuni come un esempio di professionalità e di moralità. Egli è “ben stimato”, ha scritto William Booth sul Washington Post, paragonato a Lieberman “ un ribelle divisivo”. Ma “stimato bene” da chi? Dalla società israeliana la cui maggioranza appoggia l’assassinio a sangue freddo di palestinesi?

Israele si è attenuto per un lungo periodo a una definizione sua propria della terminologia politica. Il suo “socialismo” di prima maniera era una combinazione di vita in comune resa possibile dai massacri dei militari e basata sul colonialismo. La sua attuale definizione di “sinistra”, “destra” e “centro” è relativa, valida solo per Israele.

Yaalon è ora un esempio di livello di ragionevolezza e di moralità grazie a Lieberman, l’ex immigrato russo , buttafuori nei club trasformatosi in politico che sta organizzando costantemente il milione circa di ebrei russo- israeliani in base al suo programma politico sempre più violento.

Infatti, la citazione riportata numerose volte dai media sulle ragioni delle dimissioni di Yaalon è che ha perso fiducia “nella capacità decisionale di Netanyahu e nella sua moralità”.

Moralità? Analizziamo la realtà.

Yaalon ha partecipato a ogni importante guerra israeliana fin dal 1973 e il suo nome è stato più tardi associato alle più atroci guerre ed ai massacri israeliani prima in Libano e dopo a Gaza.

La sua “moralità” non gli ha mai impedito di ordinare alcuni dei più indicibili crimini di guerra perpetrati contro la popolazione civile, sia a Qana in Libano(1996) sia a Shujayya ,Gaza (2014).

Yaalon si è rifiutato di collaborare con qualsiasi inchiesta internazionale organizzata dalle Nazioni Unite o da qualsiasi altra organizzazione sulla sua violenta condotta. Nel 2005 è stato portato in giudizio in un tribunale degli Stati Uniti dai sopravissuti al massacro di Qana dove centinaia di civili e di operatori delle forze di pace delle Nazioni Unite sono stati uccisi e feriti dalle incursioni militari israeliane in Libano. In questo caso, non è prevalsa né la moralità israeliana né quella americana, e la giustizia deve ancora fare il suo corso.

Yaalon, che ha ricevuto l’addestramento militare all’inizio della sua carriera presso il British Army’s Camberley Staff College dell’esercito inglese [scuola di guerra inglese di origine coloniale e che ha formato molti ufficiali superiori israeliani, tra cui Rabin, ndtr], ha continuato ad avanzare di grado nell’esercito fino al 2002 quando è stato nominato capo di stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane [IDF]. Rimasto per quasi tre anni in tale veste di conseguenza ha ordinato l’assassinio di centinaia di palestinesi e ha sovrainteso a diversi massacri che sono stati perpetrati dall’esercito israeliano durante la seconda intifada.

L’allora ministro della difesa, Shaul Mofaz, l’ha sollevato dal suo incarico nel 2005. Anche in questo caso è stata l’immoralità, non la moralità che ha giocato un ruolo nel conflitto tra lui e i suoi superiori. Yaalon era e rimane un fervente sostenitore della colonizzazione illegale del territorio palestinese. Nel 2005 egli si è opposto con forza al cosiddetto trasferimento dalla Striscia di Gaza dalla quale poche migliaia di coloni illegali sono stati ricollocati in colonie ebraiche nella Cisgiordania.

Nel 2006 in Nuova Zelanda fu raggiunto[da un ordine di cattura] per i suoi crimini di guerra riguardo all’assassinio di un comandante di Hamas, Saleh Shehade, insieme a 14 membri della sua famiglia e ad altri civili. L’ ordine di arresto fu emesso ma revocato in seguito, dopo pesanti pressioni politiche, permettendo a Yaalon di scappare dal paese.

È tornato alla guida dell’esercito nel 2013, giusto in tempo per intraprendere la guerra devastante contro Gaza nel 2014 nella quale furono uccisi 2.257 palestinesi in 51 giorni. L’OCHA , l’agenzia delle Nazioni Unite per il monitoraggio della situazione [nei territori occupati], ha calcolato che oltre il 70% degli uccisi fossero civili, tra cui 563 bambini.

La distruzione di Shujayya, in particolare, era una strategia preordinata concepita dallo stesso Yaalon. In un incontro nel luglio del 2013 con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, Yaalon informò il capo dell’ONU che avrebbe bombardato l’intero quartiere in caso di guerra. L’ha fatto.

Nel maggio del 2015 non si era ancora pentito. Parlando a una conferenza a Gerusalemme, ha minacciato di ammazzare civili nel caso di un’altra guerra contro il Libano. “ Noi colpiremo i civili libanesi comprese le famiglie con bambini” ha detto.

Abbiamo discusso molto approfonditamente. Lo abbiamo fatto allora, lo abbiamo fatto nella Striscia di Gaza e lo rifaremo in futuro in qualunque altro conflitto”, ha detto. Ha anche parlato implicitamente di sganciare una bomba nucleare sull’Iran.

Yaalon ha più volte dato via libera all’esercito israeliano di occupazione perché metta in pratica la politica di “sparare per uccidere” i palestinesi per contrastare la “tensione” in aumento nei Territori Occupati.

Queste sono le parole [pronunciate]da Yaalon durante una visita alla base militare di Gush Etzion nel novembre del 2014:[prima colonia costruita dagli israeliani in Cisgiordania, ndtr.]

Deve essere chiaro che chiunque viene per uccidere ebrei deve essere eliminato. Qualunque terrorista che usa un’arma, un coltello o una pietra, che prova a investire o in qualsiasi modo attaccare ebrei deve essere ammazzato.”

Centinaia di palestinesi sono stati uccisi nei mesi scorsi nella Gerusalemme Est occupata e in Cisgiordania. Molte delle vittime sono ragazzi che tiravano le pietre per fronteggiare i veicoli dell’esercito israeliano e migliaia di coloni ebrei felici di premere il grilletto.

Nella sua prima dichiarazione publica dopo le dimissioni, Yaalon ha accusato “una minoranza chiassosa” in Israele di attaccare “i valori fondamentali” del paese, affermando che si sono persi i “punti di riferimento morali” del paese .

La cosa preoccupante è che molti israeliani sono d’accordo con Yaalon. Considerano come un esempio di moralità e un difensore di principi fondamentali l’uomo che è stato accusato di aver commesso crimini di guerra per la maggior parte della sua carriera.

Mentre Lieberman ha dimostrato di essere una mina vagante e di essere politicamente irresponsabile, Yaalon ha parlato pubblicamente di colpire i bambini e più volte ha mantenuto le sue promesse.

Quando i “mi piace” per Yaalon , un uomo dal passato sanguinario, diventa il volto della moralità in Israele, si può comprendere perché c’è poca speranza per il futuro di quel Paese, specialmente adesso che Lieberman ha portato il suo partito “Israele è Casa Nostra” nel terrificante covo di partiti politici[del governo] di Netanyahu.

Ramzy Baroud è un editorialista di fama internazionale, scrittore e fondatore di Palestine Chronicle.com. Il suo ultimo libro è “Mio padre era un combattente per la libertà: la storia non raccontata di Gaza.”

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale dell’Agenzia Ma’an News.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Rapporto OCHA sulla settimana 17- 23 maggio 2016

Una 17enne palestinese è stata uccisa dalla polizia di frontiera israeliana mentre si avvicinava al checkpoint di Beit Iksa, a nord di Gerusalemme. Secondo i media israeliani, prima di essere colpita, la ragazza aveva sollevato un coltello e non aveva rispettato l’ordine di fermarsi.

Non sono stati segnalati feriti tra le forze israeliane. Dall’inizio del 2016, nel corso di aggressioni e presunte aggressioni, le forze israeliane hanno ucciso 52 palestinesi sospetti aggressori, mentre, nel corso dell’ultimo trimestre del 2015, ne furono uccisi 89. Le circostanze di molti episodi hanno creato preoccupazione per l’uso eccessivo della forza.

Le autorità israeliane hanno restituito alle loro famiglie i cadaveri di cinque palestinesi, sospettati di aver perpetrato attacchi contro israeliani. Vengono tuttora trattenuti i corpi di altri nove palestinesi. Il 24 maggio, le autorità israeliane hanno comunicato che avrebbero sospeso la consegna dei cadaveri, a causa di un episodio di presunta violazione delle condizioni concordate per lo svolgimento dei funerali.

In Cisgiordania almeno 49 palestinesi, tra cui quattro minori e una donna, sono stati feriti dalle forze israeliane, in prevalenza durante scontri; la maggior parte dei ferimenti si sono verificati durante le manifestazioni per commemorare il 68° anniversario di quello che, in riferimento ai fatti del 1948, i palestinesi definiscono “Al-Nakba” [la Catastrofe]: in particolare ad Al ‘Eizariya e Silwan (Gerusalemme) e a Ni’lin (Ramallah). Altri feriti si sono avuti nelle manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya); a Deir Isitya (Salfit), durante una protesta contro la recinzione di una strada principale che impedisce l’accesso alla terra e durante alcune delle 82 operazioni di ricerca-arresto svoltesi nella settimana. Il lancio di lacrimogeni in uno degli scontri verificatisi nel campo profughi di Al Fawwar (Hebron) ha appiccato il fuoco e bruciato 45 ulivi e viti. A Gaza, durante le manifestazioni presso la recinzione, due palestinesi sono stati feriti con armi da fuoco.

Nella Striscia di Gaza, in almeno 13 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) lungo la recinzione perimetrale e in mare. In uno di questi casi un contadino è stato ferito, mentre dieci pescatori, tra cui un minore, sono stati costretti a togliersi i vestiti e nuotare verso le imbarcazioni delle forze navali israeliane, dove sono stati arrestati. Pur mancando una comunicazione ufficiale o una delimitazione, le aree fino a 300 metri dalla recinzione perimetrale sono considerate zone “vietate”, fatta eccezione per gli agricoltori che possono avvicinarsi fino a 100 metri; tuttavia fino a 1.000 metri le aree sono considerate ad alto rischio, e ciò ne scoraggia la coltivazione.

Il 22 maggio, le autorità israeliane hanno annunciato la revoca del divieto di importazione di cemento per il settore privato nella Striscia di Gaza. Il divieto, in vigore dal 3 aprile 2016, era motivato dalla preoccupazione israeliana per il possibile dirottamento di materiali da costruzione verso gruppi armati e dalla scoperta di un tunnel sotterraneo sotto il confine tra Gaza ed Israele.

Le forze israeliane hanno bloccato temporaneamente due delle strade principali per il villaggio Hizma (Gerusalemme), impedendo l’accesso veicolare a circa 7.000 persone. Ciò ha fatto seguito alla esplosione, verificatasi la settimana precedente al checkpoint di Hizma (che controlla l’accesso a Gerusalemme Est), di un ordigno artigianale che ferì un soldato.

A Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito tre case palestinesi ed un locale per la preghiera, sfollando 26 persone, tra cui nove minori, e coinvolgendone altre otto. Dall’inizio del 2016, a Gerusalemme Est sono state demolite 72 strutture (di cui tre per motivi punitivi), rispetto alle 79 dell’intero anno 2015.

Il 18 maggio, un tribunale israeliano si è pronunciato a favore di una organizzazione di coloni che rivendicava la proprietà di tre appartamenti e due negozi nella zona di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, ordinandone lo sgombero entro il 10 giugno 2016. Quattro famiglie sono a rischio imminente di sfollamento. A Gerusalemme Est, la creazione di insediamenti israeliani nel cuore dei quartieri palestinesi ha inasprito le tensioni e compromesso le condizioni di vita dei palestinesi residenti.

Nella zona H2 della città di Hebron, sotto controllo israeliano, un gruppo di coloni israeliani è entrato in una casa palestinese ed ha aggredito fisicamente e ferito un 16enne palestinese e suo padre. Le forze israeliane sono intervenute e, in base alle affermazioni dei coloni israeliani che sostenevano di essere stati antecedentemente aggrediti dai due, hanno arrestato il ragazzo e suo padre.

Secondo i media israeliani, un bus israeliano che transitava vicino al villaggio di Tuqu ‘(Betlemme) e la metropolitana leggera di Gerusalemme hanno subito danni: il primo per uno sparo e la seconda per il lancio di una bottiglia, presumibilmente ad opera di palestinesi.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah è stato chiuso sul lato egiziano. L’ultima volta è stato aperto l’11 e il 12 maggio, dopo 85 giorni consecutivi di chiusura. Secondo le autorità palestinesi, almeno 30.000 persone, di cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti, sono registrate e in attesa di attraversare. Dall’inizio del 2016, le autorità egiziane hanno aperto il valico di Rafah solo per cinque giorni su 144.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: http://www.ochaopt.org/reports.aspx?id=104&page=1

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli