17 israeliani arrestati per aver aggredito dei palestinesi in Cisgiordania il mese scorso

Nir Hasson

16 febbraio 2022 – Haaretz

Nell’incidente sono rimasti feriti tre palestinesi, dopo che un convoglio di auto ha attraversato il villaggio di Hawara in Cisgiordania e alcuni passeggeri hanno scagliato pietre contro veicoli e negozi

Mercoledì la polizia ha arrestato 17 persone sospettate di aver aggredito dei palestinesi e di aver causato danni alle proprietà nel villaggio di Hawara in Cisgiordania il mese scorso.

I sospettati, alcuni dei quali provenienti dal nord, da colonie in Cisgiordania e Gerusalemme, sono sotto inchiesta da parte della polizia con l’accusa di aggressione, partecipazione a raduni illegali e danni alla proprietà per motivi razzisti. La loro detenzione potrebbe essere estesa oltre la giornata di mercoledì.

Nell’incidente, avvenuto a gennaio, una carovana di circa 30 veicoli ha attraversato il villaggio di Hawara.

Un video clip mostra nella carovana diverse persone sporgersi dai finestrini delle macchine, seguiti da un’auto con musica a tutto volume. A lato della strada, dietro il convoglio si possono vedere dei soldati israeliani e una jeep dell’esercito. Un altro video mostra due persone uscire da un’auto rossa con targa israeliana e lanciare pietre contro una macchina sul ciglio della strada per poi tornare di corsa verso l’auto rossa.

Secondo i palestinesi nel corso dell’incidente tre persone sono rimaste leggermente ferite e nel villaggio diversi negozi e veicoli sono stati danneggiati.

Secondo una fonte della sicurezza il fatto è avvenuto durante le celebrazioni per il rilascio dalla prigione di un colono dell’insediamento di Yizhar che era stato condannato lo scorso anno, quando era minorenne, per aver aggredito dei palestinesi.

La scorsa settimana è stato annunciato che, in seguito all’aumento nel corso delle ultime settimane degli attacchi contro i palestinesi, il corpo di polizia che si occupa dell’estremismo di estrema destra in Cisgiordania è stato diviso in due unità, nel tentativo di consentire una risposta più rapida agli attacchi da parte dei coloni.

Ha contribuito a questo articolo Hagar Shezaf.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Sheikh Jarrah: Israele attacca di nuovo i palestinesi in una seconda notte di tensione

Huthifa Fayyad

13 febbraio 2022, MiddleEastEye

Polizia e coloni intensificano gli attacchi contro i residenti del quartiere di Gerusalemme Est, trasformandolo in “zona di guerra”

Come hanno riferito i residenti palestinesi la sera di domenica a Sheikh Jarrah è iniziata una seconda notte di violenti attacchi della polizia israeliana e dei coloni, che hanno trasformato il quartiere occupato di Gerusalemme Est in “zona di guerra”.

Secondo i media locali almeno 31 persone sono rimaste ferite, inclusi dei medici e un giornalista, poiché le forze israeliane hanno usato granate assordanti e proiettili d’acciaio rivestiti di gomma per disperdere la folla palestinese. Sei persone sono state portate in ospedale.

Sono stati impiegati anche spargitori d’acqua puzzolente e polizia a cavallo. Almeno 12 palestinesi sono stati arrestati.

Decine di dimostranti palestinesi si sono radunati in tarda serata dentro e intorno alla casa della famiglia Salem, che sta affrontando un’imminente espulsione, per schierarsi in solidarietà con la famiglia contro le incursioni dei coloni.

Al mattino un gruppo di coloni, guidato dal membro di estrema destra della Knesset Itamar Ben-Gvir, aveva eretto una tenda su un terreno adiacente alla casa dei Salem e vi aveva allestito la postazione di un ufficio parlamentare.

I coloni sono stati visti ballare e intonare canti razzisti e islamofobi per provocare la famiglia e a tratti aggredirla.

Durante la sera sono scoppiate ripetute colluttazioni tra le due folle presenti nella proprietà. All’esterno, le forze di sicurezza hanno negato l’ingresso agli attivisti e hanno chiuso ai palestinesi tutti i punti di accesso alla casa.

L’attivista Muna al-Kurd, residente a Sheikh Jarrah che rischia anche lei un’imminente espulsione, ha detto nei suoi aggiornamenti in diretta su Instagram che la scena nell’area sembrava una “zona di guerra”.

Ramzi Abbasi, un attivista di Gerusalemme che documenta gli attacchi israeliani in città, ha confermato una simile impressione.”È come essere in un accampamento militare “, ha detto Abbasi nei suoi aggiornamenti Instagram in diretta dalla zona. “Ricorda molto la situazione che ha preceduto la rivolta di Sheikh Jarrah l’anno scorso”.

Il quartiere è da maggio un punto molto critico, da quando Israele ha cercato di espellere dall’area famiglie palestinesi per far posto a coloni israeliani.

La cosa ha provocato proteste diffuse in tutta la Cisgiordania occupata e nelle 48 comunità palestinesi all’interno di Israele, nonché un’operazione militare su larga scala nella Striscia di Gaza assediata.

Espulsione incombente  

Nel quartiere le violenze di domenica notte sono seguite a una tesa mattinata poiché Ben-Gvir aveva annunciato il giorno prima che intendeva aprire il suo ufficio a Sheikh Jarrah, su un appezzamento di terreno appartenente alla famiglia Salem che a gennaio era stato confiscato da gruppi di coloni.

Ben-Gvir è a capo del partito Jewish Power, parte dell’alleanza politica Sionismo Religioso che chiede lo sfratto dei palestinesi dalle loro terre per stabilirvi la gestione di Israele secondo i testi della Torah.

Dopo l’annuncio di sabato, subito dopo la mezzanotte decine di coloni hanno fatto irruzione nel quartiere, lanciando pietre contro le case dei palestinesi e danneggiando le auto.

I coloni hanno quindi raggiunto la casa della famiglia Salem e hanno aggredito donne e bambini con spray al peperoncino, come hanno riferito i residenti all’agenzia Anadolu [agenzia di stampa turca di Stato con sede ad Ankara, ndtr.]

“Sono comparsi dal nulla e hanno spruzzato peperoncino a me e al mio vicino, Abu Mohammad. Mi bruciavano gli occhi e non riuscivo ad aprirli. Non riuscivo a respirare”, ha detto Fatima Salem.

La famiglia Salem ha combattuto per decenni nei tribunali contro le pretese dei coloni sulla loro casa.

Nel 1987 un tribunale israeliano ha ordinato a Fatima Salem di lasciare la sua casa con l’accusa di non poter provare la sua residenza lì prima della morte dei genitori. Salem dice che è nata in quella casa e che da allora ha vissuto lì.

Ora vive nella casa con suo figlio, sua figlia e le loro famiglie.

La decisione del 1987 nello stesso anno è stata congelata ma il caso è stato riattivato nel 2015. Nel dicembre 2021 la famiglia ha ricevuto un avviso di sfratto definitivo.

La scorsa settimana le autorità hanno informato i Salem che hanno tempo fino all’inizio di marzo per lasciare la casa.

Attualmente 37 famiglie palestinesi vivono a Sheikh Jarrah, sei delle quali rischiano un imminente sfratto. Dal 2020, i tribunali israeliani hanno ordinato lo sfratto di 13 famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Cosa c’è dietro la rinnovata guerra della destra israeliana contro i cittadini palestinesi?

Meron Rapoport

10 febbraio 2022 – +972 magazine

Articolo pubblicato in collaborazione con Local Call.

Fallito il tentativo di annettere formalmente la Cisgiordania, la destra israeliana prende nuovamente di mira un suo vecchio bersaglio.

Ascoltando la retorica della destra israeliana dello scorso anno sembra di avere fatto un passo indietro nel tempo e di essere tornati ai giorni precedenti la fondazione di Israele. I fatti violenti del maggio 2021 sono etichettati come “tumulti” e “pogrom,” mentre il commentatore Amit Segal considera piantare alberi nel Negev/Naqab: “un’attività naturale e sionista”, un’attività il cui obiettivo, secondo Avraham Duvdevani, presidente del Jewish National Fund, (JNF) [Fondo Nazionale Ebraico, ente no profit dell’Organizzazione Sionista Mondiale, ndtr.] è di “appropriarsi tramite il rimboschimento degli spazi aperti vicino agli insediamenti beduini per bloccare l’occupazione delle terre.” A sentire il giornalista Kalman Liebskind ciò che al momento sta succedendo in tutto il Paese è una “guerra contro il sionismo, la sovranità e la madrepatria.”

Questi tre uomini appartengono tutti all’ala militante del sionismo religioso che, anche se raccoglie al massimo i voti del 10% degli ebrei israeliani, occupa alcune delle cariche più ambite nel cuore dei media e dell’establishment politico israeliano. Segal è il principale commentatore politico di Channel 12 e del quotidianoYedioth Ahronoth [giornale di centro fra i più letti in Israele, ndtr.], Liebskind ha il suo show sull’Israeli Public Broadcasting Corporation (KAN) [l’emittente radiofonica e televisiva pubblica dello Stato di Israele, ndtr.] e Duvdevani è il capo di un’organizzazione che controlla più del 10% della terra del Paese.

Non meno interessante della sproporzionata rappresentanza di quest’ala radicale nella struttura di potere statale è il linguaggio che ideologi e politici di destra hanno cominciato a usare l’anno scorso, in particolare in seguito alle violenze di maggio e dalla formazione del governo Bennett-Lapid: un linguaggio che dà l’impressione che la comunità ebraica in Israele debba ancora conquistarsi il proprio Stato. Fanno sembrare il sionismo come se fosse ancora nella sua fase prestatale, pre-sovrana. Come se nel 1948 Israele non si fosse costituito sulle rovine del popolo palestinese né avesse continuato a stabilirsi in oltre 700 colonie, paesi e città solo per cittadini ebrei. Come se non avesse imposto l’occupazione militare su 4,5 milioni di palestinesi per oltre 50 anni.

Ci sono varie ragioni che hanno fatto emergere questa azione retorica concentrata e deliberata che – pur provenendo dalla destra, è fermamente integrata nel mainstream israeliano – per un ritorno alle “radici del sionismo”, collocate a prima della fondazione di Israele. Esse si possono così riassumere: l’estrema destra teme che il sionismo e lo Stato di Israele abbiano deviato, o stiano per deviare, dalla loro strada e che invece di stabilire uno “ Stato ebraico” il cui unico scopo sia servire la collettività ebraica, il sionismo possa inavvertitamente portare alla creazione di una vera democrazia in cui tutti, inclusi i cittadini palestinesi, abbiano la loro parte di potere.

L’idea stessa di democrazia, uno Stato che sia in ugual misura al servizio dei propri cittadini, è vista come una minaccia imminente. Questo è il messaggio centrale proveniente da quasi tutti gli oratori a una sequela di recenti manifestazioni di destra e pro-Netanyahu a Tel Aviv: lo Stato ebraico deve essere salvato e va evitata ad ogni costo l’istituzione di uno “Stato per tutti i suoi cittadini”. È come se avessero letto il rapporto di Amnesty prima che fosse pubblicato e concordato con la sua diagnosi, ma respinto le conclusioni: Israele è uno Stato di apartheid e deve rimanere tale.

Alla ricerca di una nuova frontiera

La guerra della destra contro uno Stato di tutti i suoi cittadini che si sta rivelando una guerra contro i cittadini palestinesi di Israele è il risultato del fallimento del suo progetto di annessione. Il fallimento dell’annessione formale dei territori occupati, un progetto che la destra ha cullato per oltre un decennio, è un segnale diretto alla base che, almeno per l’immediato futuro, non è possibile espandere i confini della sovranità israeliana in modo sistematico e concordato senza ricorrere alla guerra. Di fatto i coloni hanno visto l’ultima frontiera, il confine definitivo, scomparire davanti ai loro occhi.

Per la destra il sionismo è un movimento in preda a una costante lotta espansionista e perciò sempre bisognoso di trovare “nuove frontiere.” Questo fa da sfondo alla nascita dei Garinim Toranim, i gruppi del movimento dei coloni che in anni recenti hanno cercato di ebraicizzare ulteriormente le “città miste” in Israele.

È anche lo sfondo su cui prospera un’organizzazione come HaShomer HaChadash che afferma di “proteggere la terra, assistere contadini e allevatori e rafforzare il legame del popolo ebraico con la terra, i valori ebraici e l’identità sionista.” Tutto ciò fa parte della “Guerra per il Negev,” oggi lo slogan centrale della battaglia della destra che ha di nuovo conquistato i titoli questa settimana, quando attivisti della destra hanno tentato di fondare una “nuova colonia” per ebrei vicino alla città beduina di Rahat, più o meno con le stesse modalità con cui i coloni stabiliscono avamposti non autorizzati in Cisgiordania.

Ma appena la destra ha distolto lo sguardo dalla Cisgiordania per rivolgerlo su Israele ha scoperto una nuova realtà che non conosceva. Nell’ultimo decennio, e soprattutto durante le ultime quattro tornate elettorali, i cittadini palestinesi in Israele hanno ottenuto un potere su istruzione, economia e specialmente in politica, molto maggiore a quello che aveva nel passato.

Che Mansour Abbas e il suo partito Ra’am [islamista israelo-palestinese, ndtr.] facciano parte del governo israeliano è un diretto risultato del crescente potere dei palestinesi nell’arena politica israeliana. È vero che questa non è la prima volta che un partito arabo fa parte di una coalizione israeliana, ma è difficile negare che il riconoscimento del potere politico dei cittadini palestinesi, e in particolare la legittimità che ha di reggere il timone, è diventato molto ampio.

Questo crescente potere palestinese minaccia di indebolire la storica “divisione del lavoro” fra un “Israele ufficiale,” che afferma di essere democratico e basato sull’uguaglianza fra tutti i suoi cittadini, e un “Israele non ufficiale,” che opera sistematicamente per il beneficio della collettività ebraica in quasi tutti i campi immaginabili. Il JNF che è responsabile della confisca di terre di proprietà araba per piantare alberi nel Negev/Naqab, è uno dei principali agenti di questo Israele non ufficiale.

Per vedere quanto sfacciatamente razzista sia l’Israele non ufficiale basti considerare alcune citazioni del presidente del JNF. A una conferenza agli inizi di dicembre Duvdevani ricorda che quando era alla Jewish Agency [Agenzia Ebraica, ente parastatale israeliano, ndtr.] aveva spinto affinché lo Stato limitasse gli assegni familiari alle famiglie con due o tre figli mentre l’Agency si sarebbe impegnata ad aiutare famiglie più numerose, ma solo se erano ebree. “Siccome l’Agency si concentra solo sugli ebrei,” aveva spiegato che avrebbe potuto funzionare. Oggi comunque non si potrebbe. “Lo Stato è cambiato,” si lamenta, e “oggi si parla di più di uguaglianza e contro il razzismo e uno non può più far niente.” In breve la democrazia danneggia i “veri” sionisti come Duvdevani.

La legge dello Stato-Nazione ebraico è un tentativo di istituzionalizzare questa discriminazione razzista e renderla parte dell’Israele ufficiale, ma sembra che non abbia raggiunto i suoi scopi, almeno secondo la destra: la sua approvazione ha solo propiziato la crescita dell’influenza politica dell’elettorato palestinese, portando alcuni dei suoi rappresentanti al governo.

Qui il rischio per la destra è non solo che la collettività ebraica stia perdendo il suo monopolio assoluto sul potere in Israele o persino che il Movimento Islamico conquisti parte di questo potere per sé e sia in grado di prendere decisioni su politiche riguardanti sia arabi che ebrei. Il vero pericolo è che quelle parti dell’opinione pubblica ebraica, al di là della sinistra radicale, siano ora disponibili a questo partenariato. In altre parole, quello che temono è che troppi ebrei e troppi cittadini palestinesi in Israele possano cominciare a concretizzare la pretesa che Israele sia uno Stato democratico, e farlo veramente diventare “uno Stato per tutti i suoi cittadini.”

Bezalel Smotrich, forse il politico più acuto della destra, ha identificato questo rischio fin da subito e perciò si è rifiutato di entrare in coalizione con Abbas, anche se ciò avrebbe permesso a Netanyahu di restare al potere. Per Smotrich Israele può essere o ebraico o democratico. Non c’è spazio per compromessi. Ha fatto la sua scelta e il resto dell’estrema destra lo ha seguito.

L’obiettivo finale è il conflitto violento

A maggio la violenza fra comunità ha gettato benzina sul fuoco. Non è qui il luogo per un resoconto dettagliato di cosa è successo, ma a destra, anzi non solo a destra, questi eventi sono la prova che il vero nemico è dentro i confini sovrani di Israele, compreso il territorio annesso di Gerusalemme Est. Ci sono pochi dubbi che la destra abbia usato la violenza di rivoltosi arabi ed ebrei nelle cosiddette città miste, Lydda, Ramle, San Giovanni d’Acri e Giaffa, per presentare tutti i cittadini palestinesi di Israele come “il nemico interno.”

Coniare in ebraico l’espressione ‘disordini del 5781’ (alludendo alla rivolta in Palestina del 1929 o del 5689, secondo il calendario ebraico, durante il mandato britannico) ha lo stesso scopo. A chiunque sia cresciuto nel sistema scolastico israeliano-ebraico la parola “Meoraot” (ebraico per “disordini”) immediatamente richiama alla memoria il vero caposaldo del conflitto ebraico-palestinese: gli arabi non ci volevano qui e non ci hanno lasciato altra scelta che combatterli e in ultimo scacciarli, questa è la storia. “Meoraot” catapulta il conflitto a livello della comunità, svincolandolo dall’elemento civile: noi non siamo cittadini dello stesso Stato democratico, noi siamo ebrei e arabi, due comunità eternamente in guerra.

In questo senso lo scopo dei fondamentalisti sionisti è tanto sfacciato quanto semplice: istigare la violenza fra arabi ed ebrei entro i confini di Israele o, più precisamente, istigare un conflitto fra lo Stato e i suoi meccanismi di oppressione (specialmente esercito e polizia) da un lato e i suoi cittadini arabi dall’altro, e neanche lontanamente in senso metaforico, ma in senso molto diretto, fisico.

Il fatto che i rivoltosi della Lod araba questa mattina non contino i propri morti non è perché ci si sia contenuti e moderati. È codardia e volontaria cecità,” ha twittato il giornalista Amit Segal il 12 maggio 2021, due giorni dopo l’inizio degli scontri. “Il fatto che l’ebreo che ha sparato a un manifestante per proteggere la propria famiglia sia ancora in carcere dovrebbe far tremare tutto lo Stato,” aggiunge. Inutile dire che a Lydda l’ebreo che ha sparato e ucciso Musa Hassuna è invece stato subito rilasciato senza accuse: invece gli abitanti arabi di Lydda accusati di aver ucciso l’abitante ebreo Yigal Yehoshua sono stati condannati.

L’ultima settimana di gennaio a una conferenza che aveva organizzato con l’organizzazione di estrema destra Im Tirzu, il parlamentare del Likud Yoav Galant ha chiesto di ampliare la polizia di frontiera paramilitare con “tre battaglioni regolari e una forza di riservisti di alta qualità” per combattere contro la “scatenata criminalità nazionalista.” Galant continua mettendo in guardia che “se noi perdiamo il Negev e la Galilea perderemo anche Tel Aviv e Gerusalemme.” Altri oratori hanno fatto eco a questo sentimento.

I pericoli di questa narrazione, che invoca la soppressione violenta dei cittadini palestinesi in Israele con il debole pretesto di un ritorno alle radici sioniste, non può essere sottostimato, precisamente perché questo discorso, dal piantare boschi a lottare contro i “rivoltosi,” è così profondamente radicato nella coscienza israeliana che è quasi impossibile non prevedere che culminerà nella violenza che cerca di fomentare.

Apartheid formalizzato o una seconda Nakba

Noi dovremmo anche ricordare che a capo dello stesso governo che include il Movimento Islamico siede un uomo della destra con cui la retorica sui pericoli dei “disordini” di maggio e la necessità di difendere la terra della Nazione risuona tanto quanto quello di tutti gli altri. “L’idea è di radunare [i beduini] e concentrarli in una manciata di comunità riconosciute,” ha detto il primo ministro Bennett a Maariv durante il weekend.

Sarebbe una situazione vantaggiosa per tutti, per il sionismo, per lo Stato, per conservare la terra statale,’ continua Bennett. “Noi erigeremo un muro di ferro contro l’ingovernabilità. È una minaccia reale. Lo scoppio di violenza durante Guardian of the Walls (I guardiani delle mura, nome israeliano per l’operazione militare a Gaza del maggio 2021) ci ha scossi tutti. È stato un campanello d’allarme.” Ayelet Shaked, da lungo tempo compagna ideologica di Bennett e attuale ministra degli interni ha aggiunto più tardi nella settimana, parlando della Legge sulla Cittadinanza [che intende impedire ai palestinesi immigrati per ricongiungimento familiare di acquisire la cittadinanza israeliana, ndtr.] che sta cercando di far passare alla Knesset, che “i dati parlano da sé, senza la Legge sulla Cittadinanza noi perderemo il Negev a favore del nazionalismo palestinese.”

Ma c’è il rovescio della medaglia della minaccia. La realtà israeliana del 2022 non è quella delle comunità ebraiche del 1929, 1936, o persino del 1948. Negli anni ’30 l’acquisto di terre condotto da Yosef Weitz per conto dello JNF portò alla cacciata di contadini palestinesi affittuari e alla loro sostituzione con coloni ebrei. Oggi persino se il JNF trasformasse il Negev in una lussureggiante e vasta giungla la possibilità che chiunque a Sawe al-Atrash [villaggio beduino al centro del conflitto sulla riforestazione, ndtr.] lasci le proprie terre è virtualmente nulla. Anche gli abitanti palestinesi-arabi delle “città miste,” sopravvissuti a molti decenni di sfratti, repressione e discriminazioni, non andranno da nessun’altra parte.

Com’è noto Karl Marx disse che la storia si ripete: “la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.” Ci si potrebbe chiedere se il ritorno della destra alla storia del primo sionismo sia poco più di una farsa e, al di là della spacconata, un’ammissione di fallimento. “Noi abbiamo deciso di non raccontare quella battaglia” contro i beduini del Negev, scrive Liebksind nell’articolo che ho citato sopra. E con “noi” egli non vuole dire sé stesso e i suoi camerati della destra. Egli intende l’intera comunità ebraica. La vera chiamata all’azione è ricolma dell’ammissione della sconfitta.

Il motivo per cui Liebskind, Smotrich e compagnia temono che la battaglia sia persa è proprio perché vedono il crescente potere dei palestinesi nella politica israeliana, proprio perché ritengono che parti sempre più vaste della società ebraica come mai prima d’ora stiano mettendosi l’anima in pace in merito alla legittimità della presenza palestinese nel governo israeliano, proprio perché capiscono le implicazioni di lungo termine di questa presenza, sia per la democrazia israeliana che per il futuro dell’occupazione.

Le sole due opzioni rimaste alla destra sono l’apartheid formalizzato o una seconda Nakba [Catastrofe in arabo, l’espulsione dei palestinesi dal territorio in cui nacque lo Stato di Israele, ndtr.], nessuna delle quali appare particolarmente probabile in un prossimo futuro. Smotrich, fra l’altro, sembra spingere per entrambe: da un lato cercando di privare del potere i cittadini palestinesi di Israele e dall’altro ribattendo ai parlamentari arabi con la battuta: “Tu sei qui solo perché nel ’48 (il primo ministro David) Ben-Gurion non finì il lavoro di cacciarvi.”

È importante capire cosa ci troviamo davanti con l’improvviso revival degli slogan vintage, antecedenti lo Stato sionista, e quello che ci sta dietro. Farlo ci permetterà di comprendere i rischi radicati in questa narrazione, ma anche a essere consapevoli dei suoi limiti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




‘Vogliono una guerra’: l’approvazione dell’avamposto da parte del procuratore generale in Cisgiordania scatena le proteste palestinesi

Agar Shezaf

6 febbraio 2022 – Haaretz

Dalla fondazione di Evyatar l’anno scorso i palestinesi di Beita hanno manifestato ogni settimana e otto persone sono morte. Con il suo ultimo intervento ufficiale Mendelblit ha rinvigorito le proteste

La decisione del procuratore generale uscente Avichai Mendelblit di stabilire un insediamento coloniale sul sito dell’avamposto di Evyatar non ha raffreddato l’ardore degli abitanti di Beita, il villaggio palestinese sulle cui terre è situato l’avamposto. Anzi. “Rafforza solo la nostra volontà di resistere e combattere”, ha detto ad Haaretz un diciassettenne che partecipa alla manifestazione contro l’avamposto, la più grande protesta settimanale in Cisgiordania.

L’adolescente, uno studente delle superiori, è arrivato alla manifestazione con le stampelle. Le usa da quando è stato colpito alla gamba dai soldati israeliani due settimane fa. Dice che non è la prima volta che viene ferito. Nella prima settimana in cui si sono svolte le proteste contro l’avamposto un proiettile Ruger (un proiettile calibro 22 usato per la dispersione della folla) gli è sfrecciato sulla testa, ferendolo e rendendo necessario il trasporto in un vicino ospedale.

Eppure continua a protestare ogni giorno contro l’avamposto. “Cosa farei a casa?” si chiede, stupito da una tale domanda. “Questa è la missione del nostro villaggio: rimuovere l’avamposto. Non si tratta solo di dimostrazioni. Sin svolgono anche ‘operazioni notturne di disturbo’ e a volte veniamo qui”.

Operazioni notturne di disturbo è l’appellativo degli incendi notturni di pneumatici e dell’uso occasionale di laser tag [gioco di simulazione militare con l’impiego di strumenti a raggi infrarossi, totalmente innocui, ndtr.] da parte dei giovani di Beita ai piedi dell’avamposto. Sono iniziate ancor prima che i coloni venissero sfrattati dall’avamposto, quando nell’area si potevano scorgere incessanti volute di fumo nero, e continuano ora che l’avamposto è presidiato dai militari.

Le notizie sulla concessione da parte di Mendelblit del permesso di costruzione di una colonia nella località di Evyatar sono state tradotte e distribuite sui gruppi Whatsapp di protesta. “Vogliono una guerra”, afferma Khaled, un abitante di Beita sulla quarantina, che protesta contro Evyatar sin dalla sua fondazione a maggio.

Come ogni venerdì, lo scorso fine settimana centinaia di residenti di Beita sono andati a protestare contro l’avamposto. Sebbene i coloni abbiano lasciato Evyatar circa sei mesi fa, le strutture che vi hanno eretto sono rimaste, così come una grande stella di David in legno, chiaramente visibile dal luogo della manifestazione. Alla manifestazione settimanale partecipano bambini piccoli, ragazzi e anche adulti sulla sessantina. Alcuni hanno con sè delle fionde e prendono di mira i soldati con le pietre.

Altri offrono ai manifestanti bottiglie d’acqua, altri ancora osservano quanto succede e di tanto in tanto urlano contro i soldati. L’esercito usa gas lacrimogeni, proiettili di gomma e proiettili veri. Dall’inizio delle proteste sono stati uccisi otto palestinesi. Secondo la Mezzaluna Rossa questo venerdì tre palestinesi sono stati feriti alle gambe da proiettili veri, nove sono stati feriti da proiettili di gomma e 26 sono stati curati per inalazione di gas.

L’esercito pattuglia continuamente l’avamposto e non permette a nessuno di avvicinarsi, quindi le proteste non si svolgono ai piedi dell’avamposto ma nel letto del torrente tra l’avamposto e il villaggio, e talvolta tra il villaggio e la Statale 60 [la strada che percorre da nord a sud Israele e Cisgiordania unendo Beersheba a Nazareth, ndtr.]. La protesta inizia dopo che la gente del luogo ha pregato sul posto. Oggi i manifestanti hanno affermato che l’esercito si è avvicinato più che mai alle case del villaggio.

Pensano che ciò abbia a che fare con l’annuncio di Mendelblit e che Israele stia cercando di fare pressione su di loro affinché smettano di protestare. “Oggi hanno iniziato subito in modo pesante. Ci sono state molte sparatorie e molto gas”, dice uno dei manifestanti mentre un candelotto lacrimogeno gli cade vicino. “Anche i bambini di Beita sanno in che direzione il gas si diffonde e la differenza tra il suono dello sparo di un proiettile vero e di un Ruger [proiettile considerato dall’esercito israeliano “meno letale” in quanto di calibro ridotto, ndtr.]”.

Più tardi la gente del posto ha respinto l’esercito nel letto del torrente. Alcune decine di giovani, nascosti tra gli ulivi, hanno lanciato pietre contro i soldati; altri osservavano dall’alto. “Questo ha cambiato molto la vita a Beita”, aggiunge Khaled, “ma non sono andato io contro ai coloni, sono loro che sono venuti da me e hanno preso la terra del mio bisnonno. Vogliamo solo che gli edifici vengano rimossi”.

La peculiarità del villaggio, attestano i suoi abitanti, è che tutti sono impegnati in funzione delle proteste: le donne del villaggio producono cibo per i manifestanti, le attività di protesta si svolgono durante la settimana e non sono attribuite ad alcun gruppo politico.

Ogni settimana l’esercito pattuglia la strada che proviene dal villaggio cercando di impedire l’ingresso delle auto. In pratica, questo non impedisce l’arrivo dei manifestanti, ma rende più difficile il lavoro dell’equipe medica. “L’ambulanza continua a rimanere bloccata nel fango”, dice il dottor Abd al-Jaleel, direttore dell’ospedale da campo di Beita, mentre le due ambulanze in servizio dietro la manifestazione sono impantanate nel terreno nel tentativo di partire. L’ospedale è gestito solo da volontari, alcuni di Beita e altri di Nablus e delle aree circostanti.

All’inizio – dice Al-Jaleel – nel villaggio non c’era una clinica adatta per i trattamenti di emergenza. Sin dal primo giorno abbiamo prestato le cure alle persone ferite durante le manifestazioni contro l’avamposto, ma presto ci siamo resi conto che qui il numero di ferite gravissime da arma da fuoco è molto elevato. Dato che l’ospedale di Nablus è a 17 chilometri di distanza e i soldati spesso bloccano la strada, è difficile evacuare le persone abbastanza velocemente”, spiega.

L’ospedale da campo è stato creato all’interno della scuola del villaggio e all’inizio le persone sono state curate su materassi per terra. Al Jaleel stima che ogni venerdì vengano trattati circa cento feriti e nell’ultimo anno sono state prese in cura sette persone con ferite da arma da fuoco che hanno richiesto un trattamento di rianimazione.

E’ riuscito a salvarne uno. Mostra delle foto di ambulanze con i finestrini rotti perché l’esercito gli ha sparato contro proiettili di gomma. “Da quando tutto questo ha avuto inizio non abbiamo alcuna vita sociale né [pausa del, ndtr.] venerdì. Siamo sempre qui”, dice. Il prezzo delle proteste può essere visto dappertutto nel villaggio, dice, e osserva: “Passeggiando per Beita ogni pochi metri si incontra qualcuno con le stampelle”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Nel caso della morte di un anziano palestinese l’esercito israeliano ignora la questione principale

Amos Harel

1 febbraio 2022 – Haaretz

Il battaglione Netzah Yehuda, i cui soldati hanno lasciato morire al freddo un uomo di 80 anni, ha un passato preoccupante ed un’ideologia estremista – e qualcosa in comune con l’incidente di fuoco amico che ha ucciso due ufficiali israeliani

Le decisioni prese lunedì dal capo di stato maggiore dell’IDF [Israeli Defence Force, le forze armate israeliane, ndt] Aviv Kochavi erano assolutamente necessarie. Sono arrivate in seguito alla morte, dopo essere stato arrestato dai soldati del battaglione Netzah Yehuda, di Omar Abdalmajeed As’ad, un anziano palestinese. I risultati delle successive indagini – da parte dei media e dell’esercito israeliano – su quanto accaduto tra As’ad e i membri del battaglione ultraortodosso richiedevano una risposta adeguata.

Kochavi ha descritto il comportamento dei soldati come “insensibile” e ha ordinato che i comandanti del battaglione fossero rimproverati. Ha anche rimosso dai loro incarichi altri due giovani ufficiali che si trovavano sul posto. Un’indagine parallela della polizia militare è ancora in corso.

Tuttavia, si può ritenere che, data la gravità dell’incidente, il capo di stato maggiore avrebbe potuto permettersi di fare qualche passo in più. Innanzitutto la rimozione dei comandanti del plotone e della compagnia contiene una strana clausola: saranno esclusi dai ruoli di comando per due anni. E poi? Se, nel frattempo, non saranno coinvolti nella morte di altri anziani, agli occhi dell’IDF saranno nuovamente idonei al comando?

E in secondo luogo, l’esercito si è astenuto dall’utilizzare la discussione sul caso per mettere in discussione l’esistenza stessa del battaglione Netzah Yehuda, anche se le sue prestazioni nel corso degli anni sono state mediocri e costellate di gravi violazioni dell’etica militare.

I risultati dell’indagine del Comando Centrale confermano quanto già riportato da Haaretz: una delle compagnie del battaglione ha allestito un posto di blocco a sorpresa nel cuore della notte fuori dal villaggio di Jiljilya, a nord di Ramallah, e ha fermato i conducenti palestinesi per perquisire i loro veicoli. As’ad, che era già agitato, quando è stato fermato si è messo a discutere con i soldati. I soldati poi lo hanno sopraffatto con la forza, lo hanno ammanettato e, per un po’ di tempo lo hanno trattenuto e gli hanno coperto la bocca.

È stato messo a terra, al freddo gelido, accanto ad altri fermati. Poco tempo dopo, quando gli altri conducenti palestinesi sono stati rilasciati, As’ad non ha risposto ed è rimasto prono a terra. I soldati, che in seguito hanno sostenuto di pensare che stesse dormendo, anche se hanno consentito agli altri di andarsene, lo hanno lasciato lì. Dopo la partenza dei soldati, gli abitanti del posto hanno chiamato un medico palestinese, che ha scoperto che As’ad era morto per un infarto.

Questa è un’orribile catena di eventi che dimostra, come alti ufficiali hanno dichiarato in seguito all’evento, che questi soldati non vedevano As’ad come un essere umano. Hanno ignorato il fatto che un uomo, che avrebbe potuto essere il loro nonno, non rappresentava una minaccia, lo hanno trattato con eccessiva rudezza e poi lo hanno lasciato morire, nonostante fosse evidente che c’era un problema.

Martedì mattina, il Magg. Gen. Yehuda Fuchs, a capo del comando centrale, ha descritto la condotta dei comandanti e dei soldati sulla scena come “ottusa” e ha affermato che hanno mostrato “scarsa capacità di giudizio”. È dubbio che queste affermazioni siano adeguate alla situazione.

La versione dei fatti dei soldati – di non aver picchiato As’ad e di non aver notato il deterioramento delle sue condizioni – non sembra convincente. L’ottusità non finisce a livello di compagnia o di plotone.

Noia e “burnout”

Poiché si tratta di mantenere l’occupazione, il battaglione Nahal Haredi, come si suole definire Netzah Yehuda, si trova in fondo alla piramide. Il battaglione trascorre nove o dieci mesi all’anno in Cisgiordania e riceve un addestramento minimo; altri battaglioni di fanteria trascorrono circa la metà del loro tempo in addestramento. L’esercito evita persino di spostarlo da un’area operativa della Cisgiordania all’altra. Il risultato per le truppe è la noia e il burnout che gli ufficiali cercano di mitigare con missioni di loro iniziativa. Così è nato un posto di blocco a sorpresa nel bel mezzo di un villaggio.

Un’operazione come questa può avere senso quando l’esercito è alla ricerca di una cellula terroristica dopo un attacco a fuoco. È molto meno necessario quando tutte le persone fermate in tale operazione hanno, secondo testimoni palestinesi, più di 50 anni.

Il tentativo di variare un po’ le missioni delle truppe ha creato un altro problema: ai soldati è stato detto di agire “clandestinamente”. Per farlo, hanno dovuto far tacere As’ad. Lo hanno fatto mettendogli una striscia di tessuto sulla bocca (l’IDF dice che è stata rimossa o è caduta dopo poco tempo).

Come già riportato da Haaretz, questo non è un incidente particolarmente insolito per il battaglione. Il suo mix di giovani che hanno abbandonato le istituzioni educative Haredi [degli Haredim, ebrei ultra ortodossi, ndt] e giovani coloni della cima delle colline [gruppo di coloni particolarmente violenti, ndtr.] ha creato un clima ideologico estremista tra i soldati, che né i vertici dell’esercito né gli ufficiali del battaglione hanno fatto molto per affrontare. Ciò si è trasformato in incidenti frequenti come picchiare i palestinesi, che in alcuni casi hanno portato a incriminazioni.

Il flusso costante di incidenti ha dato origine a raccomandazioni, sia all’interno che all’esterno dell’IDF, di sciogliere il battaglione o almeno spostarlo fuori dalla Cisgiordania in un’altra area operativa. Negli ultimi anni l’IDF ha sciolto o ridotto le sue unità su base etnica, come i battaglioni beduini e drusi. Ma sembra che il ministero della Difesa e il capo di stato maggiore temano entrambi che qualsiasi cambiamento riguardante Netzah Yehuda avrebbe un prezzo politico.

Lo scioglimento del battaglione, soprattutto dopo che una commissione interna dell’IDF ha scoperto che l’esercito per anni ha visto aumentare il numero di reclute ultra-ortodosse, potrebbe far notizia alla Knesset e nel governo. D’altra parte, i gruppi di destra potrebbero vederlo come una vessazione nei confronti dei soldati per motivi ideologici.

Ma c’è un’altra considerazione sullo sfondo che l’esercito è restio ad ammettere: Netzah Yehuda è una unità molto numerosa e i suoi soldati sono altamente motivati ​​a prestare servizio in Cisgiordania. La sua presenza lì libera battaglioni di qualità superiore per l’addestramento bellico. Questa è una risorsa a cui l’IDF è restio a rinunciare, nonostante tutti i segnali di pericolo.

Sulla vicenda le indagini della polizia militare non sono ancora terminate. Se il procuratore militare decidesse di processare alcune delle persone coinvolte, possiamo aspettarci che ne deriverebbe una tempesta politica. Questo è l’effetto a lungo termine del processo contro Elor Azaria [il soldato che a Hebron nel 2016 sparò in testa a un palestinese ferito a terra uccidendolo, ndt.]: ogni atto d’accusa che coinvolge la condotta dei soldati nei confronti dei palestinesi rischia di provocare uno tsunami da parte della destra indipendentemente dalla gravità delle accuse.

Ma un giorno, se Canale 12 News [televisione privata israeliana, ndt.] invitasse in studio la madre di uno dei soldati accusati per l’affare As’ad, ricordiamoci le circostanze del caso. Secondo gli stessi risultati dell’indagine dell’esercito, quei soldati hanno lasciato un uomo di 80 anni a morire al freddo con la risibile scusa che pensavano stesse dormendo.

Risposte sproporzionate

Questa non è l’unica indagine rilevante arrivata questa settimana sulla scrivania del capo di stato maggiore. Kochavi è nel mezzo di una settimana impegnativa durante la quale ha tenuto una serie di incontri sull’incidente avvenuto alla base di Nabi Musa, dove due ufficiali dell’unità Egoz sono stati uccisi accidentalmente da un collega. Un comitato di esperti guidato dal Magg. Gen. (della riserva) Noam Tibon sta indagando sull’incidente, così come la stessa Egoz, che è un reparto speciale assegnato al Comando Centrale.

Come è stato riportato dopo l’incidente, il caso di fuoco amico ha messo in luce una serie di gravi carenze. Ad esempio, l’unità ha lasciato la base senza coordinarsi e senza ricetrasmittenti. Non ha operato seguendo la procedura prescritta e l’intera esercitazione di addestramento è stata particolarmente disordinata. Si scopre inoltre, come verificato da articoli di Haaretz, che nelle settimane precedenti l’incidente c’erano stati diversi furiosi inseguimenti di persone sospettate di aver rubato attrezzature in quei campi di addestramento.

Alcuni degli informatori degli articoli non sono d’accordo sulle quali questioni siano più rilevanti: gli errori commessi all’interno dell’unità Egoz o i fallimenti più ampi riscontrati in altre unità di fanteria che indicano una cultura organizzativa problematica. C’era anche la questione di quanto i cambiamenti nei regolamenti dell’esercito su quando aprire fuoco – e la confusione riguardo alle misure da adottare – abbiano contribuito all’incidente mortale. Due maggiori – Ofek Aharon e Itamar Elharar – sono rimasti uccisi nell’incidente.

È probabile che seguiranno altre polemiche su quali modifiche dovrebbero essere apportate a livello di comando in risposta a tali eventi. Al momento sembra che il comandante di Egoz, il tenente colonnello A., rischi di essere rimosso dal suo incarico. A., che è stato descritto come un eccellente ufficiale, ha avuto una menzione per il coraggio mostrato sotto il fuoco a Gaza. La prossima estate avrebbe dovuto essere promosso colonnello e nominato comandante di un battaglione della riserva. A causa degli errori rivelati dai risultati delle indagini molto probabilmente sarà punito.

Ma, come nel caso dell’indagine su Netzah Yehuda, sembra che ci siano implicazioni più profonde nell’affare Egoz che vanno oltre l’unità stessa. Si può anche trovare un comune denominatore tra i due episodi: N., il comandante della squadra di Egoz che ha sparato i colpi, si è messo alla ricerca di ladri d’armi nel deserto della Giudea con la pallottola in canna, come se stesse preparandosi a tendere imboscate a terroristi nel Libano meridionale. I soldati di Netzah Yehuda hanno trattato l’anziano As’ad come se fosse un pericoloso terrorista. È probabile che il “segreto” che era stato loro ordinato di mantenere nell’ambito dell’operazione abbia contribuito alla sua morte.

In entrambi gli incidenti, i soldati e i loro comandanti diretti hanno agito in modo sproporzionato, adottando misure eccessive rispetto alle missioni di scarsa rilevanza loro assegnate. Ciò ha portato, direttamente o indirettamente, alla perdita assolutamente inutile di vite umane.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La questione della melagrana

Samah Jabr

19 gennaio 2022 – Chronique de Palestine

Un racconto della dottoressa Samah Jabr

La proprietaria della casa è arrivata in tribunale senza recare nulla se non l’immagine stessa della verità. Non si è avvalsa di un avvocato e non ha preparato una documentazione, perché si trattava solo di una melagrana.

Il colono è arrivato con dei voluminosi faldoni con carte e foto e scortato da una schiera di avvocati e di falsi testimoni che si sono presentati come amici e vicini del fratello dell’accusata.

L’ imputazione rivolta alla proprietaria della casa era che si sarebbe introdotta nel giardino e avrebbe colto una melagrana.

Lei ha spiegato che il giardino fa parte della sua casa, che suo padre in persona aveva piantato il melograno e che il frutteto ha più anni del colono.

Allora gli avvocati hanno replicato che lei non è in possesso di documenti attestanti il suo diritto di proprietà, al che lei ha risposto di aver ereditato sia la casa che il giardino da suo padre, dopo essersi assicurata che il suo unico fratello non le contestasse i beni. Gli abitanti del villaggio non hanno mai messo in dubbio la sua eredità in quanto suo padre era conosciuto come una persona generosa.

Per questo motivo non ha richiesto un nuovo titolo di proprietà.

A quel punto gli avvocati hanno tirato fuori dei documenti che sarebbero stati firmati da suo fratello, ucciso durante una manifestazione l’anno precedente.

Hanno sostenuto che suo fratello aveva venduto la casa e il giardino al colono prima di morire e dei falsi testimoni hanno corroborato l’affermazione del tribunale secondo cui le carte firmate dal fratello e registrate da uno studio legale di ottima reputazione erano valide.

Un vecchio compagno di scuola del fratello ha dichiarato: “È proprio la sua scrittura, la conosco bene.” Da parte sua un suo vecchio vicino ha detto: “L’ho visto coi miei occhi firmare queste carte”. Ed un terzo: “Il terreno definito dai suoi confini – dal filo per stendere i panni fino al riquadro coltivato a piante di menta – costituisce la proprietà del colono.”

Queste affermazioni sono sembrate convincenti per il giudice ed hanno instillato il dubbio sulle parole della ragazza. Secondo il parere del giudice, come avrebbe potuto il fratello contestare l’eredità della casa, dato che gli uomini non lasciano in eredità niente alle donne!

La giovane si è allora ricordata di una foto che conservava con affetto nel portafoglio.

Ha mostrato la foto di suo fratello dove si vede un bambino con entrambe le mani amputate in seguito ad un bombardamento della sua scuola quando frequentava le elementari.

Ha chiesto: “Come avrebbe potuto una persona senza mani firmare queste carte?”

Il giudice, in imbarazzo, ha detto: “Oh!…Queste lunghe controversie sono piene di contraddizioni”.

L’udienza si è conclusa ed il tribunale ha deciso quanto segue: l’accusata non ha potuto negare di aver colto la melagrana senza chiedere il permesso; dato che il tribunale teme che l’accusata possa coglierne altre, ha deciso di allontanarla dalla casa e dal giardino per il tempo necessario al tribunale per chiarire il fatto della firma del fratello amputato di entrambe le mani.

Inoltre l’accusata dovrà rimborsare le spese processuali, gli onorari degli avvocati e le spese sostenute dai testimoni.

Lasciandosi alle spalle il colono, il tribunale, l’accusa, i falsi testimoni, la proprietaria della casa non ha ormai altra risorsa che invocare Dio, affinché non permetta che qualcuno venga giudicato ingiustamente il giorno in cui i protagonisti si troveranno davanti al tribunale celeste.

Richiamiamo la vostra attenzione sul fatto che ogni somiglianza alle persone o ai fatti riportati in questo racconto è puramente casuale.

Samah Jabr

Samah Jabr è medico psichiatra ed esercita a Gerusalemme est e in Cisgiordania. Attualmente è responsabile dell’Unità di salute mentale del Ministero della Sanità palestinese. Ha insegnato in università palestinesi ed internazionali. La dottoressa Jabr è spesso consulente presso organizzazioni internazionali in tema di sviluppo della salute mentale. È anche una scrittrice prolifica. Il suo ultimo libro pubblicato in francese è Derrière les fronts – Chroniques d’une psychiatre psychothérapeute palestinienne sous occupation [Dietro i fronti – cronache di una psichiatra psicoterapeuta palestinese sotto occupazione, Sensibili alle Foglie, 2019].

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 11- 24 gennaio 2022

Due aggressioni (o presunte tali) ad opera di palestinesi contro forze israeliane hanno provocato l’uccisione di un presunto aggressore, il ferimento e l’arresto di un altro e il ferimento di un soldato israeliano [seguono dettagli]

Il 17 gennaio, allo svincolo di Gush Etzion (Hebron), un palestinese di 39 anni avrebbe tentato di accoltellare un soldato israeliano che poi gli ha sparato, uccidendolo; alla fine del periodo di riferimento [di questo Rapporto] il corpo del presunto aggressore era ancora trattenuto dalle autorità israeliane. L’11 gennaio, a un checkpoint vicino all’ingresso dell’insediamento [colonico] di Hallamish (Ramallah), un palestinese ha guidato la sua auto contro soldati israeliani, ferendo se stesso e un soldato. Forze israeliane, hanno arrestato l’uomo. Le due famiglie dei presunti colpevoli hanno dichiarato che il loro parente soffriva di disturbi psicologici.

Tre palestinesi sono morti nel contesto di tre distinte operazioni militari israeliane [seguono dettagli]. Il 12 gennaio, nel villaggio di Jilijliya (Ramallah), durante un’operazione di ricerca, le forze israeliane hanno arrestato, bendato e ammanettato, per circa un’ora, un uomo di 80 anni. Poco dopo il ritiro delle forze israeliane, poiché l’uomo non manifestava alcun movimento, è stato portato in ospedale dove è stato dichiarato morto. Le autorità israeliane hanno annunciato un’indagine. Il 17 gennaio, un attivista palestinese di 65 anni è morto per le ferite riportate il 5 gennaio; in quella circostanza, l’uomo era intervenuto nel corso di una operazione di confisca, da parte della polizia israeliana, di un’auto senza licenza nella Comunità di Umm al Kheir (Ebron), ed era stato investito da un carro attrezzi che non si era fermato. Secondo i media israeliani, in quel caso, l’autista del camion era stato colpito e ferito alla testa da pietre lanciate da palestinesi. Il 24 gennaio, nel campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni su palestinesi che lanciavano pietre contro di loro; sei palestinesi sono stati feriti da proiettili di gomma. Molteplici candelotti lacrimogeni sono caduti vicino a un Centro sanitario dell’UNRWA, dove un paziente di 57 anni ha inalato gas lacrimogeni all’interno dell’ambulanza che lo trasferiva in ospedale; l’uomo è morto alcune ore dopo. In una dichiarazione rilasciata il 26 gennaio, l’UNRWA ha invitato le autorità israeliane a indagare sull’episodio, riferendo che il personale sanitario aveva fatto appello alle autorità israeliane per fermare gli spari e consentire ai pazienti di uscire in sicurezza dalla struttura.

In Cisgiordania 135 palestinesi, inclusi 22 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane in scontri [seguono dettagli]. Il numero maggiore di feriti, 46 persone, tra cui almeno sei minori, sono stati registrati in tre episodi accaduti a Burqa e Beita (entrambi a Nablus), dove coloni israeliani avevano fatto irruzione ed avevano attaccato le Comunità, con conseguente scambio di lanci di pietre con palestinesi; le forze israeliane sono intervenute sparando lacrimogeni e proiettili di gomma. Altri 16 feriti sono stati registrati nella città di Nablus, durante scontri tra residenti palestinesi e forze israeliane, in seguito all’ingresso di un gruppo di israeliani in visita a un sito religioso. Palestinesi sono stati feriti anche durante le proteste contro gli insediamenti vicino a Beita (28) e Kafr Qaddum (23) nei governatorati di Nablus e Qalqiliya; undici sono rimasti feriti vicino al checkpoint di Beit El a Ramallah, durante manifestazioni di protesta contro l’arresto, da parte delle forze israeliane, di quattro studenti universitari dell’Università di Birzeit. Un uomo è stato aggredito fisicamente e ferito dalle forze israeliane durante una demolizione a Hebron (vedi sotto), e altri tre durante un’operazione di ricerca-arresto a Betlemme. Complessivamente, due palestinesi sono stati feriti da proiettili veri, 24 da proiettili di gomma e la maggior parte degli altri ha necessitato di cure per aver inalato gas lacrimogeni.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 88 operazioni di ricerca-arresto, arrestando 148 palestinesi. La maggior parte delle operazioni si è svolta nei governatorati di Gerusalemme ed Hebron. In un episodio separato, il 18 gennaio, le forze israeliane hanno fatto irruzione in una scuola del villaggio di Deir Nidham (Ramallah) ed hanno aggredito fisicamente e arrestato due studenti di 17 anni per aver lanciato pietre, a quanto riferito. Secondo il preside, durante il confronto fisico tra personale scolastico, studenti e forze israeliane, queste ultime hanno danneggiato finestre, sedie e banchi della scuola. Le lezioni per gli oltre 210 studenti sono state sospese per il resto della giornata.

Le forze israeliane hanno continuato a bloccare con cumuli di terra gli ingressi principali dei villaggi di Sabastiya, Burqa e Al Mas’udiya (tutti in Nablus), nelle vicinanze dei quali, il 16 dicembre, un colono israeliano era stato ucciso con arma da fuoco; queste misure hanno costretto circa 8.000 palestinesi a dover effettuare lunghe deviazioni, rendendo difficoltoso il loro accesso ai mezzi di sussistenza e ai servizi. Inoltre, a intermittenza, le forze israeliane hanno continuato a presidiare l’insediamento israeliano di Shavei Shomron, controllando i veicoli palestinesi e provocando lunghi ritardi. Le forze israeliane hanno anche spianato terreni e collocato cumuli di terra sulle strade agricole di Deir al Ghusun (Tulkarm) e sul monte Sabih (Nablus), impedendo ai palestinesi l’accesso ai terreni agricoli.

Nelle prime ore del mattino del 19 gennaio, nella zona di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, le forze israeliane hanno sfrattato con la forza una famiglia allargata composta da 12 persone, tra cui due minori, ed hanno poi demolito la loro casa. L’operazione era iniziata il 17 gennaio, quando le forze israeliane avevano demolito le strutture commerciali del complesso, ma non avevano sfrattato le persone. Secondo il Comune di Gerusalemme, il terreno è stato destinato alla costruzione di una scuola per bambini con disabilità. Durante l’operazione sono state arrestate circa 20 persone, tra membri della famiglia ed attivisti. Stati Membri hanno espresso preoccupazione al Consiglio di Sicurezza ONU in merito alle misure fisiche utilizzate dalle forze israeliane durante l’operazione. Ancora a Sheikh Jarrah, alla fine di gennaio o all’inizio di febbraio 2022, un’altra famiglia [palestinese] sarà probabilmente sfrattata in modo forzoso, a seguito di una causa legale intentata da coloni.

Le autorità israeliane, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, hanno demolito o costretto i proprietari a demolire 20 strutture di proprietà palestinese. Di conseguenza, 39 persone sono state sfollate, inclusi 19 minori, e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di altre 38 [seguono dettagli]. Quindici delle strutture erano in Area C e cinque a Gerusalemme Est. A Khirbet Al Fakheit (Hebron), in un’area designata dalle autorità israeliane come “zona di tiro”, sono state demolite otto strutture, tra cui abitazioni, ricoveri per animali e una cisterna d’acqua; cinque di esse erano state fornite come assistenza umanitaria.

In Cisgiordania, in tre episodi, coloni israeliani hanno ferito tre palestinesi, e in 14 casi, persone note come coloni israeliani o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi [seguono dettagli]. Il 24 gennaio, nella città di Huwwara (Nablus), durante un raid, coloni hanno ferito un palestinese ed hanno fracassato i vetri di almeno cinque auto e di almeno due negozi. Il 21 gennaio, in un terreno agricolo vicino al villaggio di Burin (Nablus), coloni hanno aggredito e ferito fisicamente cinque attivisti israeliani per i diritti umani, hanno appiccato il fuoco a uno dei loro veicoli e ne hanno danneggiato un altro. A Deir Sharaf e Qaryut (Nablus), Yassuf (Salfit), Massafer Yatta (Hebron) e Mazra’a al Qibiliya (Ramallah) sono stati sradicati o vandalizzati almeno 550 alberi e alberelli di proprietà palestinese.

In Cisgiordania, in 18 episodi, persone conosciute come palestinesi, o ritenuti tali, hanno lanciato pietre o bottiglie molotov contro veicoli israeliani, ferendo due israeliani e provocando danni ai veicoli. Inoltre, il 15 gennaio, nel sud di Hebron, in un insediamento “avamposto” [illegale, cioè, anche per Israele] una sinagoga è stata data alle fiamme da palestinesi, a quanto riferito.

Vicino alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa di Gaza, in almeno 25 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso [loro imposte]; non sono stati segnalati feriti. In tre occasioni, le forze israeliane [sono entrate all’interno della Striscia ed] hanno spianato terreni adiacenti alla recinzione.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina:https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 21 dicembre 2021- 10 gennaio 2022

Secondo quanto riferito, in tre episodi separati, avvenuti in Cisgiordania, tre palestinesi hanno tentato di pugnalare o speronare con l’auto o aprire il fuoco contro forze israeliane o coloni; i tre sono stati colpiti ed uccisi dalle forze israeliane

[seguono dettagli]. Il 21 dicembre, secondo fonti ufficiali israeliane, un palestinese di 22 anni ha cercato di investire soldati israeliani in servizio al checkpoint di Mevo Dotan, ad ovest di Jenin. I soldati hanno aperto il fuoco contro l’auto, che si è schiantata contro un veicolo militare, provocando l’incendio di entrambi. Secondo fonti israeliane, il 31 dicembre, ad un incrocio vicino all’insediamento israeliano di Ariel (Salfit), un palestinese di 32 anni ha cercato di accoltellare soldati e coloni israeliani, prima di essere ucciso a colpi di arma da fuoco. Fonti palestinesi contestano l’accusa di tentato accoltellamento di israeliani. Il 22 dicembre, vicino al campo profughi di Al ‘Amari (Ramallah), un palestinese di 26 anni è stato ucciso dalle forze israeliane. Secondo il ministero della Salute palestinese, l’uomo è stato colpito alla schiena con arma da fuoco, all’interno della propria auto, durante scontri scoppiati all’ingresso del Campo. Media israeliani riferiscono che le forze israeliane hanno colpito l’uomo mentre inseguivano un veicolo palestinese dal quale, nei pressi dell’insediamento di Psagot (Ramallah), avevano sparato contro di loro. Nessun israeliano è rimasto ferito in questi episodi.

In Cisgiordania, durante operazioni di ricerca-arresto, un altro palestinese è stato ucciso e altri sei sono stati feriti dalle forze israeliane [seguono dettagli]. Il 6 gennaio, le forze israeliane hanno condotto una di tali operazioni nel Campo profughi di Balata (Nablus), dove hanno avuto uno scambio a fuoco con palestinesi armati: un palestinese di 21 anni è rimasto ucciso. Altri sei palestinesi sono stati feriti durante tre operazioni di ricerca-arresto condotte a Gerusalemme, Hebron e Ramallah. In totale, le forze israeliane hanno effettuato 88 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 109 palestinesi. Il maggior numero di operazioni è stato registrato nel governatorato di Hebron (32), seguito da Betlemme (28) e Gerusalemme (15).

Nei pressi dei villaggi di Sinjil e Beit Sira (Ramallah), una donna palestinese di 63 anni e un uomo di 25 sono morti dopo essere stati investiti da veicoli di coloni israeliani, rispettivamente il 24 dicembre e il 5 gennaio 2021. Secondo quanto riferito, entrambi i conducenti israeliani si sono consegnati alla polizia israeliana, che ha avviato accertamenti. Il 5 gennaio, a Umm al Kheir (Hebron), un anziano palestinese è stato gravemente ferito dopo essere stato investito da un camion della polizia israeliana che stava sequestrando veicoli non immatricolati; secondo fonti israeliane, nel momento in cui l’uomo è stato investito, venivano lanciate pietre contro il camion.

In Cisgiordania, complessivamente, 693 palestinesi, inclusi 177 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane [seguono dettagli]. La maggior parte dei ferimenti si sono avuti in cinque episodi accaduti a Burqa, Sabastiya e Deir Sharaf (Nablus), dove 490 persone, tra cui 124 minori, sono rimaste ferite dalle forze israeliane, in seguito a scontri, con lancio di pietre, tra residenti palestinesi e coloni israeliani; questi ultimi avevano fatto irruzione e attaccato le Comunità palestinesi (vedi sotto). Il 25 dicembre, 26 palestinesi hanno avuto bisogno di cure mediche per aver inalato gas lacrimogeni sparati dalle forze israeliane nel corso di scontri tra coloni e palestinesi durante una manifestazione organizzata da coloni israeliani; questi si erano radunati all’ingresso di Sabastiya (Nablus), e lanciavano pietre contro veicoli palestinesi. Altri 181 palestinesi sono rimasti feriti durante le proteste contro gli insediamenti vicino a Beita (126) e Beit Dajan (55) nel governatorato di Nablus, e uno a Dura (Hebron), durante le manifestazioni di solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane. A Hebron, durante una demolizione (vedi sotto), tre donne sono state aggredite fisicamente e ferite dalle forze israeliane. Il 29 dicembre 2021, a Tuqu’ (Betlemme), le forze israeliane hanno aggredito e ferito fisicamente un insegnante che cercava di impedire il loro ingresso in una scuola superiore; il 10 gennaio, nella Università di Birzeit (Ramallah), uno studente è stato colpito con arma da fuoco ed arrestato insieme ad altri tre studenti. Complessivamente, 28 palestinesi sono stati feriti da proiettili veri, 107 da proiettili di gomma e la maggior parte dei rimanenti ha necessitato di cure mediche per aver inalato gas lacrimogeni.

Nella Striscia di Gaza, il 29 dicembre, il membro di un gruppo armato palestinese ha sparato e ferito un israeliano che lavorava sul lato israeliano della recinzione perimetrale; conseguentemente le forze israeliane hanno sparato proiettili di carro armato contro Gaza, ferendo quattro contadini palestinesi, tra cui un minore. In un caso, gruppi armati palestinesi hanno lanciato razzi contro Israele e le forze israeliane hanno effettuato attacchi aerei prendendo di mira, a quanto riferito, postazioni di gruppi armati e campi aperti.

Vicino alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa di Gaza, in almeno 66 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, apparentemente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]. Non sono stati segnalati feriti. Per due volte, bulldozer militari israeliani, entrati all’interno di Gaza, hanno spianato terreni prossimi alla recinzione perimetrale

In Cisgiordania, nel corso di due episodi, coloni israeliani hanno ferito tre palestinesi e, in 25 altri episodi, persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi [seguono dettagli]. A Susiya (Hebron), due contadini palestinesi, al lavoro sulle proprie terre, sono stati colpiti con pietre da coloni israeliani. Ad Azmut (Nablus), un palestinese è stato aggredito fisicamente, spruzzato con peperoncino, ferito e ammanettato per due ore da coloni israeliani, prima di essere liberato dalle forze israeliane e portato in ospedale. Più di 550 alberi sono stati vandalizzati in otto episodi accaduti nei governatorati di Hebron, Nablus e Salfit; inclusi due casi nel sud di Hebron, in aree designate dalle autorità israeliane come “zone di tiro”. A Qalqiliya, Nablus, Salfit e nell’area H2 della città di Hebron, almeno sei veicoli di proprietà palestinese sono stati danneggiati in quattro casi di lancio di pietre. A Qaryut e Bizzariya (entrambi a Nablus) ed a Hebron, in tre episodi, un impianto idrico, un negozio e un muro in pietra sono stati vandalizzati ad opera di coloni israeliani che avevano fatto irruzione nelle Comunità. Nella zona H2 di Hebron, coloni hanno lanciato pietre contro una casa palestinese, danneggiando finestre e mobili.

Nei governatorati di Gerusalemme, Nablus e Gerico, persone conosciute, o ritenute, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani, ferendo undici coloni. In Cisgiordania, secondo fonti israeliane, il lancio di pietre ha danneggiato circa 50 auto israeliane.

Dopo la sparatoria in cui, il 16 dicembre 2021, venne ucciso un colono israeliano e altri due rimasero feriti [vedi Rapporto precedente], sono stati segnalati lunghi ritardi ai posti di blocco e le forze israeliane hanno imposto nuove chiusure agli ingressi di tre villaggi vicini al luogo della sparatoria (nel governatorato di Nablus), perturbando l’accesso ai servizi ed ai mezzi di sussistenza. Le forze israeliane hanno continuato a presidiare, ad intermittenza, un posto di blocco vicino all’insediamento israeliano di Shavei Shomron, controllando e perquisendo i veicoli palestinesi, causando così lunghi ritardi. Il 6 e 8 gennaio, le forze israeliane hanno collocato cumuli di terra per sbarrare sei strade che collegano i villaggi di Sabastiya ed Al Mas’udiya (Nablus) con la Strada 60.

Adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o costretto i proprietari a demolire 63 strutture di proprietà palestinese. Di conseguenza, 62 persone sono state sfollate, inclusi 35 minori, e i mezzi di sussistenza di altre 216 sono stati danneggiati [seguono dettagli]. In Area C sono state demolite 44 strutture; 19 di queste, inclusi sette rifugi abitativi, erano state fornite come assistenza umanitaria in risposta a precedenti demolizioni. Nella valle del Giordano settentrionale, nella Comunità di pastori di Ibziq (Tubas), situata all’interno di una “zona di tiro” e di una “riserva naturale” [così dichiarate da Israele], tre famiglie composte da 16 persone, tra cui cinque minori, sono state sfollate per due volte. Diciannove delle strutture demolite si trovavano a Gerusalemme Est, di cui quattro erano case demolite dai proprietari palestinesi per evitare tasse municipali e possibili danni ad altre strutture ed effetti personali.

Tra il 27 dicembre e il 2 gennaio, nell’area di Ibziq, nella Valle del Giordano, per consentire esercitazioni militari israeliane, almeno sei famiglie palestinesi sono state costrette a evacuare le loro case, per la maggior parte della giornata. La costrizione ha riguardato 38 persone, di cui 17 minori. Dopo questi episodi, l’Alta Corte di Giustizia di Israele avrebbe emesso una ingiunzione per fermare le demolizioni e le esercitazioni militari nell’area in cui vivono queste famiglie. Inoltre, il 22 dicembre, nella valle del Giordano settentrionale, le forze israeliane hanno condotto esercitazioni militari in un’area (designata [da Israele] come “zona di tiro”), circostante le Comunità pastorali di Al Farisiya, Ein al Hilwa e Hammamat al Maleh, interrompendo i mezzi di sussistenza e l’accesso ai servizi.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




2021 in Palestina: finalmente si è sollevata una nuova generazione

Ramzy Baroud

3 gennaio 2022 – The Palestine Chronicle

Quando è iniziato, il 2021 sembrava essere un altro anno di normalità, in cui l’occupazione israeliana era incessante e così anche la miseria palestinese. Anche se molto di tutto questo resta vero, la dinamica dell’occupazione israeliana è stata sfidata da un sentimento senza precedenti di unità popolare tra i palestinesi, non solo a Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza occupate, ma anche tra le comunità palestinesi nella Palestina storica.

Una forte sensazione di cauta speranza ha finalmente rimpiazzato il prevalente senso di disperazione che si respirava negli anni precedenti. Accanto ad esso si è registrato in tutta la Palestina un senso di rinnovamento e di voglia di seguire nuove idee politiche. Per esempio, secondo un sondaggio condotto dal Centro di Informazioni e Comunicazioni di Gerusalemme (JMCC) pubblicato il 22 novembre, c’è un maggior numero di palestinesi della Cisgiordania che appoggiano la soluzione di uno Stato unico rispetto a quelli che ancora sostengono la soluzione di due Stati, ormai praticamente defunta, che ha dominato il pensiero palestinese per decenni.

La pandemia si fa sentire

Tuttavia l’anno è iniziato con un’attenzione su tutt’altra cosa: la pandemia da Covid-19. Oltre a devastare i palestinesi sotto assedio e occupazione, soprattutto nella Striscia di Gaza, la pandemia ha incominciato a diffondersi tra i prigionieri palestinesi.

A febbraio l’Autorità Nazionale Palestinese, insieme ad associazioni ed organizzazioni internazionali per i diritti umani, ha criticato Israele per aver bloccato l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 nella Striscia di Gaza. Sono stati donati vaccini Sputnik 5 dalla Russia, il primo Paese che ha contribuito alla lotta contro la pandemia in Palestina. Alla fine le comunità palestinesi hanno avuto lentamente accesso ai vaccini arrivati attraverso il programma COVAX. Tuttavia la pandemia ha continuato a funestare la Palestina occupata, soprattutto poiché le autorità dell’occupazione israeliana hanno continuato a bloccare le misure di prevenzione palestinesi e a smantellare le strutture di fortuna per il Covid-19 nei territori occupati. Secondo il sito web Worldometer [sito che fornisce dati statistici in tempo reale per diversi argomenti, ndtr.], sono morti a causa del Covid-19 4.555 palestinesi, mentre 432.602 sono risultati positivi alla letale pandemia.

Elezioni cancellate

Come accaduto lo scorso anno, la crisi politica israeliana ha velocemente preso il sopravvento nei titoli dell’informazione, dato che la lotta tra l’allora Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed i suoi rivali è proseguita, portando alla quarta tornata elettorale in Israele in due anni. Le elezioni di marzo hanno infine modificato lo scenario politico israeliano, grazie ad una strana coalizione di governo messa insieme il 13 giugno dal nuovo Primo Ministro israeliano Naftali Bennet. La coalizione ha incluso l’uomo politico arabo Mansour Abbas, il cui partito si è dimostrato determinante per la formazione del governo.

Mentre Netanyahu ed il suo partito Likud sono passati rapidamente all’opposizione, mettendo fine ad un regno durato 12 anni, i palestinesi hanno anticipato le loro elezioni che sono state indette dal presidente dell’ANP Mahmoud Abbas il 15 gennaio.

Le elezioni parlamentari e presidenziali dell’ANP sono state calendarizzate rispettivamente il 22 maggio e il 31 luglio. Era previsto che le due tornate elettorali sarebbero state seguite da un compromesso politico che avrebbe posto fine alla disunione politica palestinese garantendo uguale rappresentanza per tutte le formazioni politiche palestinesi, comprese Hamas e Jihad islamica, in una riproposizione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

Purtroppo non è accaduto nulla di tutto ciò. Nonostante positivi colloqui sull’unità palestinese al Cairo nel corso di diverse settimane, Abbas ha annullato le elezioni programmate con il pretesto che tale decisione fosse stata presa per protesta contro il rifiuto di Israele di permettere la partecipazione degli elettori di Gerusalemme est.

In cambio per aver bloccato gli sforzi palestinesi per assicurare una parvenza di democrazia anche sotto occupazione israeliana ad Abbas è stato permesso di rientrare nella lista degli alleati di Washington. Certo in aprile gli USA hanno ripristinato gli aiuti ai palestinesi, con la promessa di riaprire l’ufficio dell’OLP a Washington, che era stato chiuso dall’amministrazione Trump, e anche con l’impegno di riaprire il proprio consolato a Gerusalemme, anch’esso chiuso da Trump nel settembre 2018.

Nonostante questi gesti, che sono serviti a rilegittimare l’ANP dopo quattro anni di completa emarginazione da parte USA, la nuova amministrazione Biden non ha offerto né un percorso per un nuovo processo di pace, né una pressione su Israele per porre fine alla sua occupazione o rallentare la velocità dell’espansione illegale delle colonie nella Palestina occupata. Infatti il tasso di costruzione delle colonie israeliane è cresciuto in modo esponenziale nel 2021 con l’annuncio in ottobre del piano di Israele di approvazione di migliaia di nuove unità abitative israeliane in Cisgiordania.

Da Sheikh Jarrah a Gaza

Le azioni provocatorie di Israele sarebbero passate inosservate da parte della comunità internazionale se non fosse stato per il popolo palestinese, che ha assunto una posizione collettiva utilizzando tutte le forme di resistenza, da Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, a Gaza. I fatti, che hanno infine portato ad una guerra di Israele contro Gaza a maggio, sono iniziati con uno dei soliti tentativi israeliani di pulizia etnica dei palestinesi da diversi quartieri di Gerusalemme est, compresi Sheikh Jarrah e Silwan. Però gli abitanti palestinesi di Gerusalemme hanno iniziato ad organizzarsi contro un ordine del tribunale israeliano di espellerli dalle loro case per essere poi sostituiti da coloni ebrei israeliani, come è stata la consuetudine per molti anni.

La resistenza popolare a Sheikh Jarrah ha incontrato una risposta di estrema violenza da parte israeliana, che ha coinvolto coloni armati, polizia israeliana e forze di occupazione, provocando il ferimento di almeno 178 manifestanti palestinesi il 7 maggio. I palestinesi in tutti i territori occupati hanno iniziato a mobilitarsi in solidarietà con i loro compagni ad Al Quds (Gerusalemme, ndtr.), conducendo ad una nuova devastante guerra israeliana contro la Striscia di Gaza il 10 maggio. La guerra ha provocato l’uccisione di oltre 250 palestinesi, il ferimento di migliaia e distruzioni su vasta scala.

La guerra israeliana mirava a distrarre l’attenzione dai fatti che avvenivano a Gerusalemme est. I disegni israeliani tuttavia sono falliti del tutto perché i palestinesi a Ramallah, Nablus, Haifa e in molte altre città, villaggi e campi profughi palestinesi hanno marciato in solidarietà con Sheikh Jarrah e Gaza, formulando un discorso politico che per la prima volta era scevro da riferimenti settari.

Per soffocare la rivolta palestinese Israele ha inviato migliaia di soldati e poliziotti, insieme a coloni ebrei e milizie armate nei territori occupati e nello stesso Israele. Molti palestinesi sono stati uccisi nei conseguenti scontri e attacchi. Tuttavia gli eventi di maggio hanno messo in luce non solo l’unità tra i palestinesi, ma anche il profondo razzismo che ha pervaso tutti gli ambiti della società israeliana. Il concetto secondo cui i palestinesi della Palestina storica si sono integrati nella nuova realtà e non fanno più parte di un più vasto corpo politico palestinese si è dimostrato completamente falso.

Boicottaggio, disinvestimenti e la CPI (Corte Penale Internazionale)

La resistenza palestinese in patria ha ulteriormente mobilitato la società civile in tutto il mondo. Organizzazioni per i diritti come Human Rights Watch e la israeliana B’Tselem sono arrivate alla conclusione che Israele è uno Stato di apartheid.

Il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) ha ricevuto molti incoraggiamenti nel corso dell’anno, dato che imprese come il gigante del gelato, Ben & Jerry’s, hanno deciso di disinvestire dai territori occupati e la multinazionale dello sport, Nike, ha deciso di porre fine del tutto alle proprie attività in Israele, pur senza giustificare la sua decisione in termini politici.

Inoltre il maggior fondo pensionistico della Norvegia, KLP, il 5 luglio ha dichiarato che non avrebbe più investito in imprese legate alle colonie israeliane. Più tardi nell’anno la famosa scrittrice irlandese Sally Rooney ha annunciato di rifiutare che il suo bestseller ‘Beautiful world, where are you’ fosse pubblicato da una società israeliana.

Intanto gli sforzi per far rispondere delle proprie responsabilità i criminali di guerra israeliani di fronte alla Corte Penale Internazionale (CPI) sono proseguiti incessantemente. In marzo l’allora Procuratrice capo, Fatou Bensouda, ha annunciato l’avvio di un’inchiesta formale su presunti crimini di guerra nei territori palestinesi occupati. Anche se Bensouda non è più a capo della CPI, il caso palestinese rimane aperto, nella speranza che la giustizia internazionale possa infine prevalere.

Nonostante le molte difficoltà, lo spirito di tutti i palestinesi si è nuovamente risollevato quando a luglio la delegazione olimpica palestinese è entrata nello Stadio Olimpico di Tokyo, portando la bandiera palestinese. La piccola delegazione includeva palestinesi di diverse regioni, cementando anche nella cultura e nello sport l’unità palestinese.

Resistere attraverso la fame 

Intanto i palestinesi in sciopero della fame hanno continuato la loro resistenza nelle carceri israeliane, con prigionieri come Kayed Fasfous e Meqdad Al-Qawasmi che hanno proseguito i loro scioperi per 131 e 113 giorni rispettivamente, fino ad arrivare quasi alla morte. Con una dimostrazione di ulteriore sfida, il 6 settembre sei prigionieri palestinesi sono evasi dalla prigione di Gilboa. Benché siano stati tutti catturati e, secondo le testimonianze, torturati in seguito al loro ri-arresto, la notizia ha catturato l’attenzione di tutti i palestinesi, che si sono sentiti più forti per quella che hanno percepito come un’eroica richiesta di libertà.

Tuttavia molti prigionieri palestinesi hanno sofferto anche nelle mani della stessa ANP, che ha continuato la sua prassi di illegittima detenzione e tortura degli attivisti palestinesi dissidenti. La morte di Nizar Banat nelle mani delle forze di sicurezza dell’ANP il 24 giugno ha provocato proteste di massa di palestinesi, in cui migliaia di persone hanno chiesto un accertamento delle responsabilità e giustizia per il critico dell’ANP che è stato picchiato a morte.

Il 2021 è stato un anno di guerra, perdite e distruzione per i palestinesi. Eppure è stato anche un anno di unità, di conquiste culturali e di speranza, poiché una nuova generazione ha infine occupato il centro della scena, affermando la propria identità e centralità per il futuro della propria patria.

Ramzy Baroud è giornalista e editore di The Palestine Chronicle. E’ autore di cinque libri. L’ultimo è: “These chains will be broken: palestinian stories of struggle and defiance in israeli prisons” (Clarity Press). Il dottor Baroud è ricercatore non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA).

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Mahmoud Abbas si è recato a casa del ministro della Difesa israeliano per colloqui

Redazione di MEE e agenzie

29 dicembre 2021 – Middle East Eye

La riunione nella residenza di Benny Gantz a Rosh HaAyin è stata il primo incontro formale in Israele del presidente palestinese dal 2010.

Martedì [28 dicembre] il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas ha fatto una inusuale visita in Israele, che secondo gli israeliani ha riguardato la sicurezza e questioni civili, per colloqui con il ministro della Difesa Benny Gantz.

I media israeliani hanno informato che l’incontro ha avuto luogo nell’abitazione di Gantz nella città di Rosh HaAyin, che si trova nella zona centrale del Paese, e segna il primo incontro formale di Abbas in Israele dal 2010.

Il giornale israeliano Haaretz ha informato che inizialmente la riunione si sarebbe dovuta tenere la scorsa settimana, ma Abbas ha chiesto chiarimenti a Israele sulla violenza dei coloni e sul fatto che alcune Ong palestinesi sono state messe fuorilegge. Gantz ha detto ad Abbas che intende “continuare a promuovere azioni per rafforzare la fiducia sul piano economico e civile, come stabilito durante i loro ultimi incontri,” ha affermato un comunicato del ministero della Difesa israeliano.

I due uomini hanno discusso di sicurezza e questioni civili,” ha aggiunto.

Il ministero afferma che Gantz ha approvato l’iscrizione all’anagrafe come residenti in Cisgiordania di circa 6.000 persone che abitavano irregolarmente in quel territorio, occupato da Israele dalla guerra del 1967.

Il ministero sostiene che anche altre 3.500 persone di Gaza riceveranno i documenti di residenti. Inoltre il ministero ha annunciato una serie di quelle che ha descritto come “misure per costruire la fiducia”, che faciliteranno l’ingresso di centinaia di uomini d’affari palestinesi tra la Cisgiordania e Israele. Secondo Haaretz si è convenuto che a importanti funzionari dell’ANP verranno concesse decine di cosiddetti permessi per VIP.

Il giornale afferma che Israele ha anche accettato di consegnare all’ANP 100 milioni di shekel (circa 28 milioni di euro) come anticipo sulle tasse che Israele riscuote in sua vece.

Dopo la riunione Gantz ha twittato: “Abbiamo discusso della messa in pratica di misure economiche e civili e sottolineato l’importanza di approfondire la collaborazione sulla sicurezza e prevenire il terrorismo e la violenza, per il benessere sia degli israeliani che dei palestinesi.”

L’incontro di Gantz con Abbas segue una visita nella regione del consigliere per la sicurezza nazionale USA Jake Sullivan.

Il Likud e Hamas condannano l’incontro

A fine agosto Gantz aveva visitato il quartier generale dell’ANP a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, per colloqui con Abbas, il primo incontro ufficiale a un tale livello da parecchi anni.

Ma dopo quelle riunioni il primo ministro israeliano Naftali Bennett aveva sottolineato che non c’era in corso “e che non ci sarà in futuro” alcun processo di pace con i palestinesi.

Mercoledì il ministro palestinese delle Questioni Civili Hussein al-Sheikh ha twittato: “La riunione (di martedì) ha riguardato l’importanza di creare un orizzonte politico che porti a una soluzione politica in base alle risoluzioni internazionali.”

I due hanno anche discusso “della pesante situazione sul terreno a causa delle azioni dei coloni”, così come di “molte questioni relative a sicurezza, economiche e umanitarie.”

Il partito israeliano di opposizione di destra Likud ha condannato l’ultimo incontro, affermando che “concessioni pericolose per la sicurezza di Israele sono solo questione di tempo.”

Il Likud ha aggiunto un riferimento sprezzante alla coalizione di governo di Bennett, che include Raam, un partito che rappresenta parte dei cittadini palestinesi di Israele. “Il governo israeliano-palestinese ha ridato priorità ai palestinesi e ad Abbas… ciò è pericoloso per Israele,” ha sostenuto il Likud.

Hamas, il movimento che governa la Striscia di Gaza assediata ed è rivale del Fatah di Abbas, ha affermato che la visita del presidente dell’ANP è andata contro lo “spirito nazionale del nostro popolo palestinese”.

Questo comportamento da parte della dirigenza dell’Autorità Nazionale Palestinese approfondisce le differenze politiche, complica la situazione palestinese, incoraggia quanti nella regione vogliono normalizzare i rapporti con l’occupante e indebolisce il rifiuto palestinese della normalizzazione,” ha affermato il portavoce di Hamas Hazem Qassem.

Qassem alludeva al Bahrein e agli Emirati Arabi Uniti, così come a Marocco e Sudan, che all’inizio di quest’anno hanno firmato con Israele accordi di normalizzazione mediati dagli USA durante la presidenza di Donald Trump.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)