Il governo israeliano sta eliminando la Linea Verde – con i soldi Bilancio dopo bilancio, legge dopo legge: dall’obbligo per le imprese di telefonia mobile di estendere la copertura ai territori occupati alle leggi che agevolano il trasferimento di fondi pubblici alle colonie, ecco come il governo di estrema destra di Netanyahu sta lavorando verso un’annessione di fatto.

Tali Heruti-Sover

9 aprile 2024 – Haaretz

A febbraio, con la guerra in corso, il ministero dell’Economia ha inviato un annuncio ai giornalisti a nome del ministro Nir Barkat riguardo a un nuovo programma pilota per la formazione di 5.000 lavoratori israeliani nell’edilizia. Guarda un po’, l’annuncio ha specificato che l’iniziativa verrà effettuata “in collaborazione con l’Impresa per lo Sviluppo di Gush Etzion e con il Centro Israeliano per l’Edilizia.” Chi segue da vicino il comportamento dell’attuale governo non si è certo stupito per la combinazione tra un’iniziativa economica pilota che dovrebbe servire all’edilizia e un’impresa fondata per sviluppare le colonie nel blocco di Etzion, in Cisgiordania.

Riempirsi le tasche (di verde)

L’attuale governo non è il primo ad impegnarsi nel rafforzare il movimento delle “nuove colonie”. Tuttavia dimostra attivismo e creatività straordinari nel farlo. Il governo ha intrapreso una serie di misure con lo scopo di cancellare la Linea Verde [il confine tra Israele e i Territori Palestinesi Occupati, ndt.] e di annettere de facto la Cisgiordania a Israele.

Tra queste ci sono: la creazione di un nuovo ministero dedicato – il ministero delle Colonie e delle Missioni nazionali; la promozione di un programma che è già stato convertito in legge e consente il trasferimento di fondi dalle autorità locali in Israele alle loro omologhe nei territori [palestinesi] occupati;l’imposizione dell’obbligo alle compagnie private in possesso di licenze governative di investire denaro nei territori; il tentativo di espandere il controllo dei coloni e dei loro rappresentanti in ogni area della vita in Cisgiordania, relegando nel contempo ai margini l’Amministrazione Civile, che per decenni è stato l’ente militare responsabile delle attività di governo nelle aree civili del territorio.

Giustizia redistributiva per le colonie”

Negli ultimi giorni il processo di cancellazione della Linea Verde si è accentuato dopo che la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato in seconda e terza lettura una legge presentata dal parlamentare Yaakov Asher di Giudaismo Unito per la Torah [partito religioso ortodosso ashkenazita attualmente al governo, ndt.], che era stata congelata dall’inizio della guerra. La nuova legge (un emendamento dell’Ordinanza per le Amministrazioni locali) autorizza il ministero dell’Interno a decidere che la tassa sulle proprietà economiche raccolta dalle aree industriali e commerciali sia divisa tra le autorità locali in cui queste zone si trovano e quelle limitrofe.

Apparentemente si tratta di un modo per distribuire equamente le risorse. Ma Asher ha voluto far emanare questa legge soprattutto a beneficio delle casse delle colonie israeliane al di là della Linea Verde, comprese quelle ultra-ortodosse.

Quindi la legge renderà possibile, per esempio, obbligare Modi’in-Maccabim-Reut [area che si trova nei pressi della Linea Verde sul lato israeliano, ndt.] a condividere le entrate delle sue zone industriali e commerciali, che lo stesso Comune di Modi’in si è assiduamente impegnato a creare, con le municipalità povere di Modi’in Illit e Betar Ilit, che si trovano dall’altra parte della Linea Verde. Durante il processo legislativo Asher non ha nascosto le sue intenzioni, affermando: “Ciò riguarda la giustizia redistributiva anche per le colonie di Giudea e Samaria [la definizione israeliana di Cisgiordania, ndt.].”

Durante il dibattito sulla legge alla Commissione Affari Interni della Knesset, presieduta da Asher, i deputati Naama Lazimi del partito Laburista e Naor Shiri di Yesh Atid [partiti di centro, ndt.] hanno sostenuto che il progetto avrebbe portato all’annessione de facto dei territori occupati. Asher ha replicato a questo proposito: “De jure, de facto, di Mosè, io non perdo tempo con queste cose.”

Nonostante gli avvertimenti del ministero della Giustizia che ciò potrebbe costituire una violazione delle leggi internazionali, e nonostante l’opposizione della Federazione degli Amministratori Locali, la legge è passata facilmente alla commissione e nella seduta plenaria della Knesset.

Tuttavia, anche se la legge è stata approvata, la sua applicazione è soggetta alla discrezionalità del ministero dell’Interno. Qualsiasi decisione in tal senso da parte sua potrebbe portare a una significativa rivolta dell’opinione pubblica, così come all’opposizione giudiziaria da parte dell’autorità a cui viene richiesto di cedere una parte che le spetta a favore di un’altra amministrazione. Di conseguenza le probabilità che ciò avvenga presto sono basse.

Una legge approvata lo scorso anno, anch’essa non ancora messa in pratica, riguarda la creazione di un fondo finanziato con un’imposta sugli immobili (Arnona) destinata alla redistribuzione di entrate dalle tasse sulle proprietà commerciali tra autorità locali, incoraggiando nel contempo la costruzione di appartamenti residenziali i cui versamenti delle tasse sugli immobili non coprono il costo dei servizi richiesti per i nuovi abitanti. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich [del partito di estrema destra dei coloni Sionismo Religioso, ndt.] ha messo tutto il suo peso politico per la creazione di questo fondo.

In apparenza anch’esso è inteso a una redistribuzione equa: le amministrazioni locali più forti trasferiscono una parte proporzionale delle loro entrate grazie alle tasse sulle proprietà commerciali a un fondo comune che verrà distribuito a quelle più deboli. Tuttavia una delle preoccupazioni sollevate da chi si oppone alla legge è che il flusso di denaro si baserebbe su considerazioni politiche.

Durante la discussione della legge sono state sollevate anche preoccupazioni riguardo al funzionamento del fondo con le autorità locali nei territori [palestinesi] occupati. Per la prima volta è stata approvata una legge che potrebbe vedere il trasferimento di fondi dalle autorità locali all’interno del territorio israeliano alle colonie.

Secondo alcuni critici della legge, mentre il diritto internazionale consente alle colonie di ricevere finanziamenti dallo Stato, proibisce loro di trasferire fondi ad altre autorità locali all’interno del territorio israeliano. Quindi, se alle colonie viene richiesto di trasferire fondi al fondo delle tasse sugli immobili, questa verrà considerata una violazione delle leggi internazionali. Nel tentativo di risolvere questo problema sono state aggiunte alla legge disposizioni riguardanti le amministrazioni locali in Cisgiordania.

In ogni caso, anche se il fondo della tassa sugli immobili avrebbe già dovuto essere attivato, di fatto non lo è ancora. L’Alta Corte ha già discusso ricorsi contro di essa, uno dei quali ha sollevato problemi sull’opportunità di includere le colonie nel fondo. L’Alta Corte ha chiesto alla Procura Generale di esprimere la propria opinione in materia.

Benché non ancora operativo, il fondo della tassa sugli immobili, potrebbe essere importante nel futuro in vista del previsto boom edilizio nelle colonie.

Il 2023 è stato un anno eccezionale in termini del numero di progetti edilizi promossi al di là della Linea Verde: più di 12.000 unità abitative sono state alla fine approvate dagli organi preposti alla pianificazione. Secondo Peace Now [organizzazione israeliana contraria all’occupazione, ndt.], che monitora queste decisioni, si tratta del più alto numero di unità abitative approvato dalla firma degli Accordi di Oslo.

La creazione di un ufficio specifico per le colonie

Per agire in modo efficiente al fine di cancellare la Linea Verde il governo ha creato un ufficio dedicato alle attività “civili” nei territori, il Ministero delle Colonie e delle Missioni Nazionali. Il suo principale obiettivo, anche se non dichiarato esplicitamente, è di fungere da braccio operativo del ministro Bezalel Smotrich che non è solo ministro delle Finanze ma anche uno dei ministri del ministero della Difesa per un flusso massiccio di finanziamenti verso i territori.

Il ministero delle Missioni Nazionali, guidato dalla deputata di Sionismo Religioso Orit Strock, ne ha beneficiato doppiamente: non solo è stato formato ed ha dato lavoro alla ministra e ai suoi sodali, ma, mentre il bilancio di tutti gli altri ministeri è stato tagliato a causa della guerra, quello di Strock non solo è stato risparmiato, ma è persino ottenuto di più. Appena prima della chiusura del bilancio 2023 il ministero ha ricevuto un aumento addizionale di 378 milioni di shekel (circa 95 milioni di euro), per cui il suo bilancio è salito a 543 milioni di shekel (circa 137 milioni di euro), con la guerra in corso.

Recentemente il governo ha persino deciso di trasferire la Divisione per le Colonie dell’Organizzazione Sionista Mondiale, che opera principalmente nei territori, dal ministero dell’Agricoltura all’ufficio di Strock, insieme a un generoso finanziamento supplementare. Tra le altre cose, ha deciso che d’ora in poi il controllo finanziario delle operazioni della divisione sarà fatto dalla ragioneria dello Stato invece che da un revisore esterno.

Inoltre la stessa Strock approverà i servizi forniti dalla divisione, senza dover passare prima attraverso il governo. Anche le decisioni riguardanti la creazione di nuove colonie verranno prese solo con l’approvazione di Strock, senza la necessità dell’approvazione da parte del ministero dell’Edilizia. Durante l’iter le spese generali della divisione saranno aumentate del 10% 40 milioni di shekel (oltre 9 milioni di euro) all’anno finanziati dal bilancio di base del ministero delle Missioni Nazionali. Strock non sta lavorando da sola. È stato nominato un vice-direttore generale del ministero delle Finanze, Israel Malachi. Meno ufficialmente egli è noto come la persona responsabile dei finanziamenti oltre la Linea Verde. Malachi lavora insieme a Strock ed è noto nel ministero delle Finanze come uno specialista nell’ottimizzazione del trasferimento di fondi alle colonie della Cisgiordania.

L’indebolimento dell’Amministrazione Civile

In più lo scorso anno è iniziato un significativo spostamento nella gestione della vita civile in Cisgiordania, dovuto ad una clausola negli accordi di coalizione tra il partito Sionismo Religioso di Smotrich e il Likud di Netanyahu. Secondo questo accordo verrà creato un nuovo ente governativo, l’“Amministrazione delle Colonie”, che si occuperà della gestione di ogni aspetto della vita nelle colonie. Invece l’Amministrazione Civile si occuperà esclusivamente dei palestinesi.

L’Amministrazione delle Colonie, che è in via di formazione, dovrebbe essere un ente civile indipendente, non soggetto a un ministero, e controllare ogni questione riguardante la pianificazione, la costruzione, la creazione ed espansione di colonie, infrastrutture e strade, senza la necessità di consultare il governo.

L’Amministrazione delle Colonie sarà anche responsabile della legalizzazione degli avamposti, di elettricità, acqua e infrastrutture per la comunicazione e avrà anche la responsabilità su siti archeologici, natura, riserve naturali e fattorie agricole. Nel febbraio 2023 il collega di partito di Smotrich Yehuda Eliahu è stato nominato capo dell’Amministrazione.

Tuttavia attualmente c’è una lotta sulla nomina di un vice-capo dell’Amministrazione Civile, una posizione che finora non esisteva. Smotrich sostiene per quel ruolo Hillel Roth, un colono della Cisgiordania e importante figura del Consiglio Regionale della Samaria. L’esercito israeliano si oppone a quella nomina, sostenendo che obbligherebbe i comandanti di brigata regionali a motivare varie operazioni nei territori ad enti civili invece che al capo del comando centrale dell’esercito, come succede ora.

Grandi finanziamenti, persino in tempo di guerra

Uno dei chiari meccanismi per cancellare la Linea Verde è l’iniezione di miliardi di shekel nelle colonie con l’aiuto di vari meccanismi di bilancio, compresi fondi della coalizione. Secondo i controlli di Peace Now, nei bilanci 2023-2024 in totale circa 620 milioni di shekel (circa 153 milioni di euro) dei fondi di coalizione sono stati destinati alle colonie.

Dopo lo scoppio della guerra è stato deciso di tagliare circa 140 milioni di shekel (circa 35 milioni di euro) dai fondi della coalizione per le colonie, ma allo stesso tempo si è deciso di trasferire fondi addizionali, come quelli per l’ufficio di Strock. In pratica nel 2024 i fondi della coalizione per i coloni ammonteranno a più di 737 milioni di shekel (circa 186 milioni di euro) invece dei 275 milioni di shekel (69 milioni di euro) stanziati a questo scopo nelle decisioni originarie del governo da maggio 2023.

Inoltre il ministero dell’Interno attualmente ha circa 330 milioni di shekel (circa 83 milioni di euro) stanziati solo per le colonie. Di questi 75 milioni di shekel (18 milioni di euro) sono destinati a questioni di sicurezza ed altri 75 milioni di shekel al “bilancio continuo per le colonie.”

Costruzione di strade ed espansione della rete per cellulari nei territori

L’oscuramento della Linea Verde include anche investimenti nelle infrastrutture in Cisgiordania, per esempio nel campo dei trasporti e delle reti per i cellulari. Con la formazione del governo i ministeri delle Finanze e dei Trasporti si sono accordati su un piano strategico quinquennale (2023-2027) che destina circa il 24% del bilancio per lo sviluppo viario a strade nelle colonie.

A causa della guerra e in attesa dell’approvazione del bilancio aggiornato per il 2024, nel gennaio 2024 il governo ha deciso di tagliare il bilancio per lo sviluppo del ministero dei Trasporti nel 2024-2027. Tuttavia, secondo la bozza di decisione discussa nel governo, gli investimenti in strade per le colonie rimarranno circa il 20% dell’investimento totale del governo in viabilità.

Un’altra area in cui il governo promuove investimenti in infrastrutture per le colonie è quella delle comunicazioni, soprattutto nella ricezione dei cellulari. Il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha criticato la cattiva ricezione in Cisgiordania e sostenuto che la situazione potrebbe mettere a rischio vite umane.

All’inizio di marzo sono entrate in vigore ordinanze emanate dal capo del Comando Centrale dell’esercito, generale Yehuda Fox, che obbligano le compagnie telefoniche a fornire la copertura dei cellulari sulle strade che raggiungono le colonie in Cisgiordania, simili agli obblighi che vigono all’interno di Israele. Le ordinanze consentono l’imposizione di multe sulle imprese se non soddisfino i requisiti.

Oltretutto il ministero delle Comunicazioni ha annunciato un piano per il posizionamento di infrastrutture per i cellulari nei territori con uno stanziamento dedicato di 50 milioni di shekel. Questo piano dovrebbe essere messo in pratica durante il 2024. Il capo dello Yesha Council [che unisce i consigli municipali delle colonie in Cisgiordania, ndt.], Shlomo Neeman, ha ringraziato Karhi per il suo “deciso impegno nella storica iniziativa” nel campo della ricezione dei cellulari.

D’altra parte sembra che Karhi, che lavora decisamente per i coloni, sia meno preoccupato dei problemi della copertura dei cellulari nelle comunità arabe in Israele, che soffrono di interruzioni nella ricezione dei telefonini e nella connessione a internet. Se il ministero delle Comunicazioni investisse altri 50 milioni di shekel nelle comunità arabe del nord del Paese là le cose andrebbero diversamente.

Conquista sotto le vesti della conservazione della natura

All’inizio della scorsa settimana la ministra della Protezione Ambientale Idit Silman, insieme a Smotrich e al capo del Consiglio della Valle del Giordano David Elhayani, si sono recati a Nahal Yitav – il nome in ebraico di Wadi Auja. Durante l’incontro è stato annunciato che, con l’aiuto di un investimento finanziario di una cifra indefinita, il posto sarebbe stato dichiarato riserva naturale, che include sentieri con segnavia e cartelli. Ciò presumibilmente è una risposta a un attacco terroristico avvenuto qualche giorno prima sulla Route 90 nei pressi del luogo.

La visita dei due ministri sul posto potrebbe aver creato l’impressione che si tratti di un sito naturalistico che verrà utilizzato da tutta la popolazione. Di fatto, sotto le vesti del lavoro nel campo delle riserve naturali, il ministero della Protezione dell’Ambiente sotto Silman ha piantato bandierine sulle terre della Cisgiordania.

Per esempio nel maggio 2023 Silman ha annunciato un piano per definire Sebastia [villaggio nei pressi di Nablus, in Cisgiordania, ndt.] parco nazionale, con un investimento di 32 milioni di shekel, che da allora è stato in parte tagliato. In un annuncio riguardo al progetto la ministra ha twittato all’epoca: “Stiamo riportando l’antica gloria. La Terra di Israele è nostra e continueremo a espanderci e stabilirci in essa.”

Questi tentativi di cancellare la Linea Verde sono aumentati nel corso degli anni e continuano anche ora. Lo scorso lunedì la parlamentare Limor Son Har-Melech di Potere Ebraico [estrema destra dei coloni, ndt.] ha presentato una proposta di legge che intende obbligare l’Autorità per lo Sviluppo del Negev ad operare anche nelle colonie del sud della Cisgiordania, come se fossero parte dei territori dello Stato di Israele.

“Le sfide della regione del Negev… la sua posizione periferica e distanza dal centro del Paese non escludono i cittadini della regione di Giudea e Samaria (il nome biblico della Cisgiordania), che sono anche a sud della linea che definisce la regione del Negev,” ha scritto nelle note esplicative del progetto di legge.

Questa proposta non arriva dal nulla: l’Autorità per lo Sviluppo del Negev, che è in parte finanziata dallo Stato, è sottoposta alla supervisione del ministro per lo Sviluppo del Negev e della Galilea Yitzhak Wasserlauf – membro del partito di Son Har-Melech.

Secondo l’avvocato Michael Sfard, esperto di diritto internazionale e attivista di sinistra, uno dei principi delle leggi sull’occupazione è il divieto di spostare la popolazione della potenza occupante sul territorio occupato. Di conseguenza ogni azione intesa a costruire una infrastruttura per le colonie può essere considerata una violazione delle leggi internazionali.

Un altro principio fondamentale delle norme sull’occupazione è il divieto di annessione unilaterale, da cui deriva la natura problematica del fatto di trattare i territori di Israele e Cisgiordania come una stessa unità dal punto di vista giuridico, burocratico, amministrativo, economico o infrastrutturale. E ciò è esattamente ciò che il governo israeliano cerca di normalizzare.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Il Fondo Nazionale Ebraico* per la gioventù delle colline e per l’annessione

Editoriale di Haaretz

2 ottobre 2023- Haaretz

Il Fondo Nazionale Ebraico * [Jewish National Fund (JNF) è un’organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1901 per acquistare e sviluppare terreni nella Siria ottomana, ndt] continua a rafforzare il suo ruolo di attore chiave nell’impresa della colonizzazione e nel relativo saccheggio ed esproprio dei palestinesi in Cisgiordania in preparazione ad una futura annessione. Come tutti gli altri attori della colonizzazione di insediamento, anche il JNF sembra considerare tutti i mezzi come kosher [idonei]. E se non sono kosher, allora lo saranno retroattivamente in futuro, dopo che i coloni avranno terminato la loro conquista di Israele.

Negli ultimi due anni, il Fondo Nazionale Ebraico ha investito 4 milioni di shekel [987.000 euro] in un progetto per recuperare gli adolescenti che hanno abbandonato gli studi e che vivono nelle colonie agricole e negli avamposti di pastorizia in Cisgiordania. Il denaro, destinato a finanziare la formazione professionale degli adolescenti, viene devoluto a organizzazioni che incoraggiano la creazione di avamposti di colonie illegali. Una fonte del JNF ha detto ad Haaretz che il numero di colonie agricole in Cisgiordania che l’organizzazione finanzia attraverso il suo dipartimento Noar Besikuy per i giovani a rischio è maggiore del numero di fattorie che finanzia nel Negev o in Galilea (Hagar Shezaf, Haaretz, 1° ottobre).

In passato aveva causato una tempesta al JNF la notizia che l’organizzazione aveva acquistato terreni in Cisgiordania. Ma da allora, evidentemente, il JNF ha dismesso la sua neutralità” in politica e si è dichiarato a tutti gli effetti unorganizzazione di coloni. Non gli restava che adottare tutte le pratiche corrotte che limpresa della colonizzazione utilizza per cacciare i palestinesi dalle loro terre e portare avanti il sogno dellannessione e dellapartheid – “massimo territorio, minimo palestinesi.

Negli ultimi dieci anni gli avamposti coloniali di pastorizia sono diventati il tipo più comune di avamposto in Cisgiordania. Secondo un rapporto pubblicato dall’organizzazione Kerem Navot un anno e mezzo fa, i coloni sono riusciti durante questo periodo a impossessarsi di circa il 7% dell’Area C – circa il 60% della Cisgiordania sotto il pieno controllo israeliano – attraverso 77 colonie di pastorizia che nel complesso controllano circa 240.000 dunam [1 dunum, unità di misura corrispondente a circa 1000mq]. Anche se queste fattorie vengono definite illegali e nei loro confronti vengono emessi ordini di demolizione gli ordini non vengono eseguiti a causa della politica adottata dal Primo Ministro, dal Ministero della Difesa e dall’Amministrazione Civile israeliana in Cisgiordania. E in ogni caso, è solo questione di tempo prima che vengano legalizzati, soprattutto visto che l’Amministrazione Civile è ora controllata da Bezalel Smotrich.

Questo progetto opera nelle aree periferiche sociali e geografiche e nelle aziende agricole di tutto il paese”, ha affermato il JNF in risposta. Ma i territori occupati non sono la periferia, e le “fattorie agricole” in Cisgiordania si trovano al di fuori dei confini di Israele. E a giudicare dalla sua risposta, il JNF è indifferente alla loro illegalità. “Il JNF è attivo in programmi educativi e non si occupa dello status giuridico di queste aziende agricole”, ha affermato. In pratica, sta spingendo i giovani a rischio a unirsi alla “gioventù delle colline” estremista dei coloni.

Come tutte le altre istituzioni nazionali israeliane, il JNF completò la sua missione nazionale una volta fondato lo Stato e in quel momento avrebbe dovuto essere chiuso. Ciò è doppiamente vero ora che è diventato il Fondo nazionale per le colonie e l’annessione.

L’articolo di cui sopra è l’editoriale principale di Haaretz, così come pubblicato sul giornale in Ebraico e in Inglese.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Dei coloni ebrei hanno rubato la mia casa. Non è colpa mia se sono ebrei

Mohammed el Kurd 

 26 SEtTEMBre 2023, Mondoweiss

Ai palestinesi viene detto che le parole che usiamo minimizzano i decenni di violenza messa in atto contro di noi dall’autoproclamato Stato ebraico. Un drone va bene, ma gli stereotipi… uno stereotipo è inaccettabile. Ora basta.

Mentre crescevamo nella Gerusalemme occupata, le persone che cercavano di espellerci dal nostro quartiere erano ebrei e le loro organizzazioni spesso avevano “ebraico” nel nome. Lo stesso vale per le persone che ci hanno rubato la casa, buttato i nostri mobili per strada e bruciato la culla della mia sorellina. Anche i giudici che battevano il martelletto a favore della nostra espulsione erano ebrei, così come lo erano i legislatori le cui leggi facilitavano e sistematizzavano la nostra espropriazione.

Il burocrate che rilasciava – e talvolta revocava – le nostre carte d’identità blu era un ebreo, e io lo detestavo soprattutto perché un tratto della sua penna si frapponeva tra mio padre e la città dei suoi avi. Per quanto riguarda i soldati che ci perquisivano per controllare quei documenti, alcuni di loro erano drusi, altri musulmani, la maggior parte ebrei, e tutti loro, secondo mia nonna, erano “bastardi senza Dio”. Quelli che gestivano i fucili e le manette, quelli che redigevano meticolosi e sanguinari piani urbanistici erano … avete indovinato.

Non era un segreto. Vivevamo sotto il dominio dell’autoproclamato “Stato ebraico”. I politici israeliani hanno abusato di questa storia mentre i loro colleghi internazionali annuivano. L’esercito si è dichiarato esercito ebraico e ha marciato sotto quella che ha chiamato bandiera ebraica. I consiglieri comunali di Gerusalemme si vantavano di “prendere casa dopo casa” perché “la Bibbia dice che questo paese appartiene al popolo ebraico”, e i membri della Knesset intonavano canti simili. Quei legislatori non erano marginali o di estrema destra: la legge israeliana sullo Stato nazionale sancisce esplicitamente “l’insediamento ebraico” come un “valore nazionale… da incoraggiare e promuovere”.

Tuttavia, sebbene questo non fosse un segreto, ci veniva detto di trattarlo come tale, a volte dai nostri genitori, a volte da attivisti solidali ben intenzionati. Ci è stato detto di ignorare la Stella di David sulla bandiera israeliana e di distinguere gli ebrei dai sionisti con precisione chirurgica. Non importava che i loro stivali fossero sul nostro collo e che i loro proiettili e manganelli ci colpissero. Il nostro essere apolidi e senzatetto erano irrilevanti. Ciò che contava era il modo in cui parlavamo dei nostri guardiani, non le condizioni in cui ci tenevano – bloccati, circondati da colonie e avamposti militari – o il fatto stesso che ci tenessero.

Il linguaggio era un campo minato peggiore del confine tra la Siria e le alture del Golan occupate, e noi, all’epoca bambini, dovevamo aggirarlo, sperando di non calpestare accidentalmente uno stereotipo esplosivo che ci avrebbe screditato. Usare le “parole sbagliate” aveva la magica capacità di far scomparire le cose:gli stivali, i proiettili,i manganelli e i lividi diventano tutti invisibili se dici un qualcosa per scherzo o con rabbia. Ancora più pericoloso credere nelle “cose sbagliate”: ti rende meritevole di quella brutalità. La cittadinanza e il diritto alla libertà di movimento non erano gli unici privilegi che ci venivano derubati, anche la mera ignoranza era un lusso.

Come palestinesi comprendiamo fin da giovani che la violenza semantica che pratichiamo con le nostre parole fa impallidire decenni di violenza sistemica e materiale messa in atto contro di noi dall’autoproclamato Stato ebraico. Va bene un drone, ma uno stereotipo… lo stereotipo è inaccettabile. Impariamo a interiorizzare la museruola.

Quindi ho dato ascolto a quei messaggi – cos’altro dovrebbe fare un bambino di 10 anni? – e ho imparato a conoscere Hitler e l’Olocausto, ho imparato a riconoscere gli stereotipi del naso, i pozzi avvelenati, i banchieri, i vampiri, i serpenti e le lucertole (ho appena scoperto la piovra), e ho imparato che, quando parlo con i diplomatici in visita a quello zoo che è un nostro quartiere, i coloni che occupano casa nostra devono essere argomento secondario nella mia esposizione, dopo un’accalorata denuncia dell’antisemitismo globale. E quando mia nonna ottantenne si rivolgeva a quei visitatori stranieri, la interrompevo per correggerla ogni volta che descriveva i coloni ebrei in casa nostra come, be’, ebrei.   

Più di un decennio dopo non è cambiato molto. Lo stivale resta lì, lo stesso vale per i proiettili e i manganelli (e sarei negligente se non parlassi del genio creativo delle armi da fuoco robotiche azionate dall’Intelligenza Artificiale recentemente aggiunte all’arsenale dello Stato ebraico).

Il governo chiama il suo progetto in Galilea “l’ebreizzazione della Galilea” e le sue quasi-istituzioni fanno lo stesso. Per quanto riguarda i membri del consiglio che hanno promesso di prendere “casa dopo casa”, oltre al loro successo nel rubare case a Sheikh Jarrah, nella Città Vecchia, a Silwan e altrove, marciano regolarmente nelle nostre città con megafoni e bandiere cantando “vogliamo una Nakba ora.” I giudici continuano a battere martelletti per garantire la continuazione di questa Nakba, governano ancora a favore della supremazia ebraica. E, nonostante il disaccordo con la Corte Suprema su vari aspetti, i parlamentari legiferano in conformità con questo atteggiamento suprematista. Alcuni affermano apertamente che la vita ebraica è semplicemente “più importante della [nostra] libertà” (e talvolta sono anche così gentili da scusarsi con i presentatori televisivi arabi mentre gli comunicano questa dura verità).

Più di un decennio dopo lo status quo rimane immutato. E noi, e mi si spezza il cuore, continuiamo a ballare tra le mine. Continuiamo a puntare sulla moralità e sull’umanità così come loro puntano sulle loro armi.

Qualche settimana fa 16 agenti di polizia israeliani hanno spento le loro telecamere e hanno marchiato, intendo dire inciso fisicamente, la Stella di David sulla guancia del 22enne Orwa Sheikh Ali, un giovane arrestato nel campo profughi di Shufat.

Sempre poche settimane fa, MEMRI, un gruppo di controllo dei media co-fondato da un ex ufficiale dell’intelligence militare israeliana, ha pubblicato filmati del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas che affermava che gli europei “hanno combattuto [gli ebrei] a causa della loro posizione sociale” e dell’ ”usura” e “non a causa della loro religione”.

In risposta, un gruppo di rinomati intellettuali palestinesi, molti dei quali ammiro e rispetto, ha pubblicato una lettera aperta “condannando senza mezzi termini” – indovinate un po’? – i “commenti moralmente e politicamente riprovevoli” di Abbas.

Forse si può definire la loro dichiarazione congiunta una mossa “strategica” per confutare la convinzione che i palestinesi nascano intolleranti. Altri potrebbero dire che rappresenti ciò che significa avere un “codice morale coerente”. Sono certo che alcuni firmatari credono che la nostra cosiddetta autorità morale ci imponga di deplorare il revisionismo storico “rispetto all’Olocausto” e di dare l’esempio nel rifiutare ogni forma di razzismo, non importa quanto retorica.

Sia quel che sia, quando l’ho letta ho provato un senso di deja vu. Eccoci qui, presi ancora una volta in una crisi sconclusionata, a rispondere precipitosamente di crimini che non abbiamo commesso. La strategia di difenderci dall’accusa infondata di antisemitismo ci ha storicamente avvicinato ad essa. E soprattutto un simile impulso eleva inconsapevolmente la storia della sofferenza ebraica, che è certamente studiata e addirittura glorificata, molto al di sopra della nostra sofferenza odierna, una sofferenza negata e dibattuta.

Anche se i firmatari della lettera, alcuni dei quali criticavano l’Autorità Palestinese da prima che io nascessi, hanno denunciato “il governo sempre più autoritario e draconiano dell’Autorità Palestinese” e hanno preso atto delle “forze occidentali e filo-israeliane” che sostengono il mandato presidenziale scaduto di Abbas, nessuna di queste circostanze è servita da catalizzatore per quella che sembra essere la prima dichiarazione congiunta di condanna per Mahmoud Abbas. La lettera non menzionava nel titolo la sua collaborazione con il regime sionista, né la brutalizzazione di manifestanti e prigionieri politici, per non parlare dell’omicidio di Nizar Banat [militante e attivista per le libertà assassinato dalle Forze di Sicurezza Palestinesi, ndt.]

Il catalizzatore qui sono state le parole. Solo parole. Ed è sempre così. Ancora una volta, un drone va bene, ma uno stereotipo è vietato.

Ironicamente, sia la lettera congiunta che il discorso di Abbas cercavano di prendere le distanze dall’antisemitismo. Verso la fine del filmato, Abbas ha voluto “chiarire” che ha detto ciò che ha detto riguardo “gli ebrei d’Europa che non hanno nulla a che fare con il semitismo” perché dovremmo “sapere chi dobbiamo accusare di essere nostro nemico”. “

Che impeto impegnativo. Non solo viviamo nella paura di essere evacuati per mano di un colonialismo che si professa ebraico, non solo il nostro popolo è bombardato da un esercito che marcia sotto quella che sostiene essere la bandiera ebraica, e non solo i politici israeliani enunciano ossessivamente l’ebraicità delle loro azioni, ci viene detto di ignorare la Stella di David che sventola sulla loro bandiera – la Stella di David che incidono sulla nostra pelle.

Questo impeto è vecchio di decenni, se non di un secolo. Nella trascrizione manoscritta di un discorso tenuto al Cairo nell’ottobre 1948, lo studioso palestinese Khalil Sakakini cancellò un frammento di frase che diceva “… la lotta tra arabi ed ebrei” per sostituirla con “la lotta tra noi e gli invasori .” Gli accademici palestinesi, l’Istituto per gli studi sulla Palestina e il Centro di Ricerca sulla Palestina dell’OLP (che fu saccheggiato e bombardato ripetutamente negli anni ’80) hanno dedicato articoli, libri e volumi allo studio dell’antisemitismo, delle sue radici europee e delle sue manifestazioni, europee e non – e la sua fusione con l’antisionismo.

Il popolo palestinese ha continuamente chiarito che il nostro nemico è l’ideologia colonialista e razzista del sionismo, non gli ebrei. La nostra capacità di cogliere tale distinzione è ammirevole e impressionante, considerando la mano pesante con cui il sionismo tenta di farsi sinonimo di ebraismo.

Tuttavia, questa distinzione non è nostra responsabilità e, personalmente, non è fra le mie priorità. Il risentimento provato da un palestinese non ha il sostegno di una Knesset che lo codifichi in legge. Gli stereotipi non sono droni, né si possono convertire le teorie della cospirazione in armi nucleari. Siamo oltre i primi del ‘900. Le cose sono diverse, il potere è cambiato. Le parole non ammazzano.

Nei giorni trascorsi tra il gesto di 16 soldati che marchiano la Stella di David sul volto di un uomo e la pubblicazione della lettera congiunta, un soldato israeliano ha ucciso un adolescente disabile vicino a un posto di blocco militare a Qalqilya; un altro ha sparato alla testa a un bambino a Silwan; un giovane già colpito durante un raid israeliano nel campo profughi di Balata è morto per le ferite riportate; un cecchino ha sparato alla testa di un giovane palestinese a Beita; un diciassettenne è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a sud di Jenin; un altro giovane è morto a causa delle ferite riportate in seguito all’invasione del campo profughi; famiglie di palestinesi i cui cadaveri sono trattenuti dalle autorità di occupazione avevano marciato con bare vuote a Nablus; un soldato ha ucciso un uomo vicino a Hebron; la polizia ha giustiziato un ragazzo di 14 anni a Sheikh Jarrah tra gli applausi di centinaia di coloni; la polizia ha poi lanciato gas lacrimogeni sulla sua famiglia a Beit Hanina; un palestinese è stato ucciso dopo aver speronato soldati israeliani a Beit Sira uccidendone uno; nel nord di Gerico un palestinese è stato ucciso e un soldato è rimasto ferito in uno scontro a fuoco; un soldato ha sparato alla testa a un uomo a Tubas, uccidendolo – e questa è solo la punta dell’iceberg.

Quale di questi eventi ha causato un ampio dibattito? Nessuno. C’è stato molto dibattito in televisione riguardo all’affermazione di Itamar Ben-Gvir secondo cui la vita ebraica è “più importante della libertà [palestinese]”, molto meno riguardo al marchio della Stella di David e, naturalmente, Mahmoud Abbas ha ricevuto la reazione più rumorosa di tutte. (Questo vale in generale, non solo nel caso della lettera aperta).

Tutti e tre questi esempi riguardano l’estetica. Le dichiarazioni di Ben-Gvir erano concrete e vere: la vita ebraica vale più della nostra sotto il dominio israeliano, ma è stata la sua esplicita orazione a scatenare l’indignazione, piuttosto che le politiche istituzionalizzate che hanno reso le sue osservazioni razziste la realtà materiale sul campo. Anche la deformazione fisica del volto di un palestinese è risultata degna di nota solo per ciò che l’incisione simboleggiava, non per l’incisione stessa: se i soldati avessero inciso dei segni senza significato sulla sua guancia dubito del tutto che la cosa avrebbe attirato l’attenzione.

Per quanto riguarda la morte dei palestinesi, è quotidiana e trascurabile. Se siamo fortunati, i nostri martiri vengono comunicati in cifre sulle pagine dei resoconti di fine anno. Il “revisionismo”, d’altro canto, merita una cacofonia di condanne.

E questa è la mia posizione. C’è un ebreo che vive – con la forza – in metà della mia casa a Gerusalemme, e lo fa per “decreto divino”. Molti altri risiedono – con la forza – in case palestinesi mentre i loro proprietari restano nei campi profughi. Non è colpa mia se sono ebrei. Non ho alcun interesse nel ripetere a memoria o chiedere scusa per i luoghi comuni secolari creati dagli europei, o nel dare alla semantica più peso di quanto gli spetti, soprattutto quando milioni di noi affrontano un’oppressione reale e tangibile, vivendo dietro muri di cemento, o sotto assedio, o in esilio, e convivendo con pene troppo grandi per essere riassunte. Sono stanco dell’impulso a prendere preventivamente le distanze da qualcosa di cui non sono colpevole, e particolarmente stanco del presupposto che io sia intrinsecamente fazioso. Sono stanco della pretesa fintamente inorridita secondo cui se tale animosità esistesse, la sua esistenza sarebbe inspiegabile e senza radici. Soprattutto, sono stanco della falsa equivalenza tra violenza semantica e violenza sistemica.

So che questo saggio è già di per sé un campo minato. Che verrà estrapolato dal contesto e divulgato, ma io non sarò mai la vittima perfetta: non si può sfuggire all’accusa di antisemitismo. È una battaglia persa e, cosa ancora più importante, un’evidente diversivo. Ed è ora di riconsiderare questa tattica. Ci sono cose migliori da fare: abbiamo delle bare da trasportare. Abbiamo dei parenti nelle camere mortuarie israeliane che dobbiamo seppellire.

Questo saggio è stato ispirato dallo storico articolo di James Baldwin del 1967 “I negri sono antisemiti perché sono anti-bianchi”.

Mohammed el-Kurd (1998-) è uno scrittore e poeta palestinese che risiede a Sheikh Jarrah, Gerusalemme Est. Prima della crisi Israele-Palestina del 2021 stava conseguendo un master negli Stati Uniti ma è tornato per protestare contro lo sfratto dei palestinesi dalle loro case a Gerusalemme Est da parte di Israele.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




La visita di Herzog negli Stati Uniti nasconde i crimini israeliani, ma emergono motivi di speranza.

Majdi Khaldi

29 luglio 2023 – Middle East Eye

Il discorso del presidente israeliano al Congresso è stato un mero esercizio di pubbliche relazioni mentre l’appoggio statunitense ai diritti dei palestinesi sembrerebbe il più alto da sempre.

Proprio mentre il governo israeliano promuove un numero senza precedenti di unità abitative nelle colonie e adotta decine di leggi discriminatorie, i politici occidentali continuano a lodare i valori “democratici” e “liberali” di Israele.

È come se si affannassero a trovare ogni scusa per proteggere Israele qualunque cosa faccia.

Questo atteggiamento è stato il presupposto del recente discorso del presidente israeliano Isaac Herzog al Congresso USA, in cui ancora una volta il messaggio di impunità per le violazioni e i crimini israeliani è stato sostenuto oltre ogni considerazione per le leggi internazionali, i diritti umani o persino gli stessi principi del Processo di Pace per il Medio Oriente sponsorizzato a suo tempo dagli USA.

Il discorso di Herzog ha difeso adeguatamente gli interessi del primo ministro Benjamin Netanyahu. Ha glorificato un Israele mitico come faro di democrazia e uguaglianza, come se decine di leggi israeliane che negano ai palestinesi i loro diritti non esistessero, mentre gli ebrei israeliani godono dei pieni diritti dello Stato. Sono in vigore più di 70 leggi discriminatorie contro i palestinesi che secondo diverse organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch e persino l’israeliana B’Tselem configurano il crimine di apartheid.

Tra gli esempi ci sono la legge dello Stato-Nazione del popolo ebraico, secondo cui l’autodeterminazione è riservata solo agli ebrei la legge del Ritorno, che consente solo agli ebrei di entrare e ottenere la cittadinanza dello Stato; la legge sulla Proprietà degli Assenti, che codifica il furto di proprietà dei rifugiati palestinesi da parte dello Stato; infine il divieto di riunificazione delle famiglie palestinesi, che nega alle famiglie palestinesi cristiane e musulmane di Gerusalemme o di Israele il diritto di vivere insieme se un coniuge ha la carta d’identità palestinese.

Nessun interesse per la pace

Herzog non ha parlato della soluzione a due Stati, ma dei “vicini palestinesi” di Israele come se non fossero sottoposti all’occupazione israeliana, giocando il classico gioco di incolpare gli altri. Ciò che Herzog ha anche dimenticato di citare è che i “vicini” includono più del 50% della popolazione dei territori controllati da Israele, che consegna alla sua minoranza demografica pieni diritti negando nel contempo i diritti civili e umani al popolo palestinese.

Inoltre non ha menzionato il fatto che il territorio occupato nel 1967, compresa Gerusalemme est, in base al diritto internazionale è della Palestina. È semplicemente vergognoso, anche per centinaia di migliaia di cittadini palestinesi-americani, che i politici statunitensi abbiano ospitato al Congresso la negazione della Nakba e l’occultamento dell’occupazione da parte di Herzog.
Si è trattato di un puro esercizio di pubbliche relazioni piuttosto che di un tentativo di fare la pace. Al massimo è stato un tentativo personale da parte del presidente israeliano di presentare le sue credenziali a Washington in un momento in cui i rapporti tra l’amministrazione Biden e Netanyahu sembrano essere tesi.

Tuttavia i loro problemi non riguardano il popolo palestinese, la cui negazione dei diritti a Washington sembra essere stata normalizzata, ma piuttosto le dispute interne a Israele riguardo alle riforme giudiziarie di Netanyahu.

In effetti lo stesso Congresso USA che sostiene le politiche israeliane contro il popolo palestinese non molto tempo fa appoggiava l’apartheid in Sud Africa. La vasta maggioranza delle iniziative prese dall’amministrazione Trump a sostegno all’annessione israeliana e alla negazione dei diritti dei palestinesi non è stata revocata dall’attuale governo, mentre il Congresso considera ancora l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina un gruppo terroristico proprio come fece con l’African National Congress [il partito di Mandela, ndt.]. Herzog rappresenta la tradizionale diplomazia israeliana che nasconde crimini di guerra con un sorriso e una stretta di mano. La sua descrizione del governo israeliano è stata raffinata e fatta su misura per un pubblico di persone già desiderose di concedergli il podio. Ovviamente non ha citato i sionisti religiosi radicali del suo governo perché sono una pubblicità negativa. Nel contempo sono stati attuati sul terreno i disastrosi progetti del colono di estrema destra e ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che chiaramente invocano una seconda Nakba [la pulizia etnica di cui furono vittime i palestinesi nel 1947-49, ndt.] senza uno Stato palestinese, con l’espulsione forzata e l’apartheid.

Ragioni di Speranza

Ma ci sono ancora ragioni di ottimismo. Il boicottaggio che alcuni membri del Congresso hanno messo in atto contro il discorso del presidente israeliano è più significativo di quanto alcuni credono, in quanto rappresenta la crescente percentuale di americani che appoggiano i diritti dei palestinesi.

Nella comunità statunitense per i diritti umani c’è un crescente riconoscimento dell’apartheid israeliana e più comunità religiose ed altre organizzazioni della società civile stanno chiedendo di prendere misure concrete contro l’occupazione israeliana, anche attraverso il boicottaggio e il disinvestimento.

Quanti sostengono l’impunità di Israele sembrano essere sovrarappresentati rispetto all’opinione pubblica USA. Questi segnali potrebbero essere un punto di svolta nella lotta per la libertà, la giustizia, l’uguaglianza e la pace. Il popolo palestinese e i suoi alleati continueranno la lotta, ovunque siano, per la libertà e rinnovano appelli agli USA e ai Paesi europei perché prendano misure di responsabilizzazione per mettere in pratica, con molto ritardo, i diritti inalienabili del popolo palestinese. Ciò dovrebbe includere azioni contro il terrorismo dei coloni. Inoltre è adesso chiaro che il riconoscimento dello Stato di Palestina è un passo urgente che gli USA e l’UE dovrebbero prendere per confermare il loro sostegno a una soluzione politica piuttosto che rimanere in silenzio riguardo alle azioni di un governo di coloni e altri estremisti che dettano i termini dell’impegno.

I tentativi di sdoganare le politiche israeliane non faranno sparire il popolo palestinese. Nel momento in cui il governo israeliano sta mettendo in atto iniziative intese a consolidare l’annessione di tutta la Palestina storica, la risposta di quanti hanno a cuore la pace fondata su un ordine mondiale basato sulle leggi dovrebbe essere di prendere iniziative per la libertà dei palestinesi piuttosto che rafforzare l’occupazione israeliana.

Il discorso di Herzog al Congresso rappresenta la perpetuazione dello status quo, in cui i diritti dei palestinesi sono negati. Ma lo spostamento dell’opinione pubblica statunitense a favore dei palestinesi e i parlamentari che hanno boicottato la sessione con il presidente [israeliano] sono una fonte di speranza lungo il cammino per raggiungere la libertà e l’indipendenza dei palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

L’ambasciatore Majdi Khaldi è membro del Consiglio Nazionale Palestinese e consigliere diplomatico esperto del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Perché i pogrom dei coloni stanno squassando la Cisgiordania proprio ora

Menachem Klein 

26 giugno 2023 +972

Frustrati dalle reazioni armate ai loro pogrom, i coloni continueranno a propugnare la supremazia ebraica con ogni mezzo necessario.

A volte un evento è così estremo da strappare il paraocchi della deliberata ignoranza alla società ebraico-israeliana. Il pogrom di Huwara lo scorso febbraio in cui centinaia di coloni hanno incendiato la città palestinese nella Cisgiordania occupata è stato un evento del genere. I pogrom della scorsa settimana a Turmus Ayya, Urif e Umm Safa hanno aperto ulteriormente il quadro, costringendo molti israeliani a guardare in faccia a una realtà presente da tempo e che senza dubbio può peggiorare.

Il problema principale non è però nel sottoprodotto dell’occupazione – il terrorismo dei coloni ebrei – ma nell’attività di routine di Israele nei territori. In effetti, la decisione dei dirigenti della sicurezza israeliana di etichettare i pogrom come “terrorismo” indica che il paraocchi è stato levato solo in parte: semplicemente non vogliono che il terrorismo ebraico interferisca o metta in imbarazzo l’autorità di esercito, Shin Bet e polizia.

L’insediamento coloniale è di per sé un atto violento, che sia fatto in accordo con la legge israeliana o con una legge che lo legittima retroattivamente. È violento perché i coloni impongono la loro presenza agli abitanti autoctoni e li privano della terra, dell’acqua, della libertà di movimento e dei diritti umani fondamentali. È un sistema organizzato di violenza per conto dello Stato.

La simbiosi tra esercito e coloni non si limita alla violenza; esiste anche nella concezione che hanno della loro missione. I coloni definiscono esplicitamente la loro missione come l’ebraizzazione dell’area, e lo fanno in modo efficace e coerente. La missione dell’esercito non è garantire la sicurezza a tutti i residenti nei territori – come il diritto internazionale richiede alla potenza occupante – ma piuttosto proteggere i coloni dalle reazioni dei nativi palestinesi, ai quali non è permesso difendersi, né con l’aiuto delle forze di sicurezza palestinesi, né istituendo una propria guardia nazionale.

Il fattore che determina se la vita e la proprietà di un residente della Cisgiordania saranno protette è se è ebreo o meno.

Anche l’espansione delle colonie in risposta all’assassinio di israeliani – come alte cariche del governo si sono impegnate a fare la scorsa settimana – non è un’innocua azione civile. È una violenza senza immediato spargimento di sangue, ma che inevitabilmente genererà una resistenza palestinese seguita da una sanguinosa repressione dell’esercito.

I palestinesi sono tollerati solo se si annullano nel paesaggio, diventando oggetti inanimati che rinunciano alla loro identità collettiva. Ma finché mantengono quell’identità sono per definizione il nemico. L’esercito e lo Shin Bet continueranno a controllarli con dati biometrici ed elettromagnetici che tracciano la loro posizione, le loro azioni e i pensieri espressi nelle telefonate e sui social media. La completa dipendenza dei palestinesi da Israele per i permessi rende facile per le autorità israeliane raccogliere informazioni sulla loro famiglia e le condizioni mediche, le tendenze sessuali, le debolezze personali e l’inquadramento sociale e utilizzare tali informazioni come arma per costringerli a collaborare.

Il predominio ebraico è chiaro come il sole e il popolo palestinese sta sanguinando fisicamente e politicamente. Tuttavia, man mano che le colonie si espandono e l’esercito interviene aumenta l’attrito, e così anche la motivazione palestinese a reagire. Oggi la violenza palestinese ha poca speranza di liberare la Cisgiordania la disparità di potere tra le parti è fin troppo evidente. Piuttosto, intende far pagare un prezzo, un qualsiasi prezzo, ai colonizzatori.

Una frustrazione pericolosa

Questa reazione frustra i coloni. Com’è possibile che tutto il loro potere e la loro supremazia non abbiano ancora cancellato l’identità e la resistenza palestinese? Questa frustrazione è ciò che muove i pogrom, come quelli che abbiamo visto la scorsa settimana, che poi spingono l’esercito e il governo a usare ancora più forza nell’espandere il progetto di insediamento coloniale. Solo pochi giorni fa, il Col. (Forze di Riserva) Moshe Hagar, capo dell’accademia premilitare nella colonia di Beit Yatir, ha invocato la distruzione di una città o di un villaggio palestinesi per dare una lezione ai palestinesi. Nel frattempo Bezalel Smotrich che funge sia da Ministro delle Finanze che come Ministro incaricato degli Affari Civili in Cisgiordania, ha definito “sbagliato e pericoloso” qualsiasi paragone tra ciò che ha definito “terrore arabo” e le “contro-operazioni di civili”.

La loro frustrazione oggi è maggiore di quanto non fosse in passato. Negli anni ’80 e ’90 i coloni nei territori occupati si sono trasformati da movimento civile sostenuto dalla classe dirigente in classe dirigente essi stessi. Si sono fatti strada nei livelli esecutivi degli ambiti governativi di amministrazione e sicurezza che controllano la popolazione palestinese e la sua terra. Oggi, sotto l’attuale governo di estrema destra, hanno raggiunto l’apice del potere. Non pensano affatto a riconoscere dei limiti al proprio potere, perché la direzione delle loro ambizioni politiche è diretta e inequivocabile. Non devono ritrarsi.

L’idea di contenere il conflitto per non perdere il controllo – come sperano di fare esercito, Shin Bet e polizia – è per loro inaccettabile, poiché la loro frustrazione è pari al loro estremismo politico e teologico. I coloni stanno spingendo i dirigenti della sicurezza ad agire secondo la visione di Hagar. A differenza dell'”Operazione Scudo Difensivo” – quando l’esercito israeliano distrusse fisicamente e politicamente l’Autorità Nazionale Palestinese nel 2002 attraverso devastanti invasioni urbane – oggi non c’è più una leadership da decimare. L’ANP sotto il presidente Mahmoud Abbas l’ha già fatto per Israele. L’appello della destra israeliana a lanciare “Scudo Difensivo II” è invece un invito a porre i civili palestinesi come obiettivo centrale piuttosto che come semplice e accettabile effetto collaterale.

La fine del conflitto e la soluzione dei due Stati non sono più interessanti per l’opinione pubblica israeliana e per la comunità internazionale. In mancanza di una soluzione – o più precisamente, della volontà di perseguirne una – i governi stranieri, compresi gli Stati arabi, hanno permesso a Israele di creare un regime unico nell’intera area compresa tra il fiume e il mare senza dover dichiarare ufficialmente l’annessione.

Il fatto che due popoli diversi vivano sotto due sistemi di leggi e un unico potere significa che Israele sta attuando pratiche di apartheid, supremazia razziale e governo militare non come una questione di politica estera, ma piuttosto come politica interna.

Questo è il motivo per cui, ad esempio, il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir sta cercando di istituire una propria milizia privata, per avere il potere di sottoporre i cittadini palestinesi di Israele alla detenzione amministrativa e per approfondire la penetrazione dello Shin Bet nella vita dei cittadini palestinesi di Israele. E, sulla scia degli eventi del maggio 2021 [grave esplosione di violenza iniziata il 10 maggio 2021 e continuata fino all’entrata in vigore del cessate il fuoco il 21 maggio, ndt.] l’esercito israeliano ha ora elaborato piani per agire contro i cittadini palestinesi in caso di conflitto.

I dirigenti di Israele si stanno rendendo conto che devono piegare ulteriormente la legge alla loro volontà, altrimenti l’identità dell’intera area tra il fiume e il mare non sarà mai esclusivamente ebraica. E, sfortunatamente, la sinistra ebraica sionista non ha né la visione né il coraggio per impedire questa tendenza.

Menachem Klein è professore di Scienze Politiche all’Università Bar Ilan. È stato consigliere della delegazione israeliana nei negoziati con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel 2000 ed è stato uno dei leader dell’Iniziativa di Ginevra. Il suo nuovo libro, Arafat e Abbas: Portraits of Leadership in a State Postponed [Arafat e Abbas: ritratti di leadership in uno Stato rinviato], è stato appena pubblicato da Hurst London e Oxford University Press New York.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Un bambino palestinese di due anni muore dopo essere stato colpito dal fuoco dei soldati

Maureen Clare Murphy

6 giugno 2023 – The Electronic Intifada

Un bambino palestinese è morto per le ferite riportate quattro giorni dopo essere stato colpito dalle truppe israeliane, lunedì, a Nabi Saleh, un villaggio vicino a Ramallah nella Cisgiordania centrale occupata.

Defence for Children International-Palestine ha affermato che Muhammad Haitham Ibrahim Tamimi, di 2 anni, era nel retro dell’auto di suo padre fuori dalla loro casa giovedì sera “quando le forze israeliane hanno aperto il fuoco indiscriminatamente”.

L’organizazione per i diritti umani ha aggiunto che il bambino è stato colpito alla testa e suo padre alla spalla. Muhammad è stato trasportato in aereo in un ospedale vicino a Tel Aviv, dove in seguito è morto.

L’esercito israeliano afferma che uomini armati palestinesi avevano aperto il fuoco su un insediamento vicino da Nabi Saleh e che le truppe di stanza in una postazione dell’esercito hanno risposto al fuoco.

Il Times of Israel ha affermato in un titolo che Muhammad sarebbe stato “colpito per errore”.

Ma anche se il soldato non intendeva ferire il bambino, l’uso indiscriminato delle armi da fuoco in una comunità palestinese dimostra uno scellerato disprezzo per le vite dei palestinesi.

Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma per Defence for Children International-Palestina, ha affermato: “Sparare indiscriminatamente proiettili veri in un quartiere residenziale dove non vi è alcuna minaccia per la vita di un soldato israeliano è una chiara violazione delle stesse politiche dell’esercito israeliano”,

“Le uccisioni illegali di minori palestinesi sono diventate la norma poiché le forze israeliane sono sempre più autorizzate a usare la forza letale intenzionale in situazioni che non sono giustificate”, aggiunge Abu Eqtaish.

“Questo è un crimine di guerra senza conseguenze”.

L’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA ha riferito lunedì che Hassan al-Tamimi, lo zio del bambino ucciso, ha dichiarato che la famiglia intende portare il caso di Muhammad alla Corte penale internazionale.

Diverse persone nel villaggio sono state uccise negli ultimi anni, di cui due in incidenti distinti nel 2022. Altre sono state gravemente ferite e imprigionate dalle forze israeliane in quanto gli abitanti resistono all’occupazione e agli insediamenti coloniali, in particolare Halamish, che è costruito sulla terra di Nabi Saleh.

Dall’inizio dell’anno le forze israeliane hanno ucciso almeno due dozzine di minori palestinesi, 20 dei quali in Cisgiordania.

Sei minori palestinesi sono stati uccisi durante l’offensiva militare israeliana a Gaza nel mese di maggio; i rapporti iniziali indicano che due di quei ragazzi e ragazze potrebbero essere morti a causa di un razzo che non ha raggiunto il suo obiettivo in Israele.

Inoltre un bambino di 10 anni è morto a causa delle ferite alla testa subite durante un attacco israeliano a Gaza nell’agosto 2022.

Dall’inizio dell’anno ventiquattro israeliani e persone di altre nazionalità sono stati uccisi dai palestinesi nel contesto dell’occupazione, o sono morti per ferite riportate in precedenza. Quattro di loro erano minori.

Sabato, inoltre, tre soldati israeliani sono stati colpiti e uccisi da un ufficiale egiziano lungo il confine tra i due paesi. L’ufficiale egiziano è stato ucciso in una sparatoria in seguito alla sua scoperta da parte delle truppe che setacciavano la zona.

Nel frattempo, domenica, i coloni israeliani hanno attaccato Burqa, una città nel nord della Cisgiordania, lanciando pietre contro gli abitanti e le loro case.

Alla fine del mese scorso i coloni hanno iniziato a spianare la terra a Homesh, un avamposto di coloni costruito su un terreno appartenente ai palestinesi di Burqa.

I coloni hanno invaso Burqa e dato fuoco a diverse strutture nel villaggio dopo che una delegazione di diplomatici a guida europea ha visitato la comunità.

Il gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite OCHA ha registrato quest’anno circa 300 attacchi di coloni in Cisgiordania che hanno provocato danni alla proprietà e più di 100 che hanno provocato feriti o morti.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Un israeliano ucciso in una sparatoria vicino ad una colonia in Cisgiordania

Redazione di MEE

30 maggio 2023 – Middle East Eye

L’esercito sta cercando due assalitori ed ha eretto barriere nell’area attorno alla colonia di Hermesh.

Medici e fonti ufficiali dell’esercito hanno affermato che martedì un civile israeliano è stato colpito a morte vicino ad una colonia nella parte settentrionale della Cisgiordania occupata.

L’esercito israeliano ha affermato che l’uomo, identificato come Meir Tamari, è stato colpito molte volte mentre stava guidando verso l’ingresso della colonia di Hermesh. Secondo funzionari locali Tamari, di 32 anni, era un abitante della colonia a sudovest di Jenin.

L’esercito ha anche affermato che delle truppe stanno cercando i due assaltatori, senza averli ancora identificati, ed hanno eretto delle barriere dell’area circostante.

Un affiliato alle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa (legate ad Al-Fatah) ha affermato che l’attacco è stato realizzato per vendicare palestinesi uccisi dallo Stato di Israele.

Successivamente martedì coloni israeliani hanno indetto proteste in Cisgiordania.

Il funzionario del ministero israeliano della Difesa Yoav Gallant ha detto che in seguito alla sparatoria avrebbe “organizzato una valutazione della situazione insieme ad alti ufficiali delle istituzioni della difesa”.

In precedenza sempre martedì, le forze israeliane hanno arrestato cinque palestinesi durante molteplici incursioni in Cisgiordania.

Gli incidenti sono avvenuti perché il governo di estrema destra dello Stato di Israele adotta in modo crescente politiche a favore delle colonie in Cisgiordania, nel Naqab (Negev) e in Galilea a detrimento dei palestinesi, anche di quelli con cittadinanza israeliana.

Circa 700.000 israeliani vivono adesso nelle colonie della Cisgiordania e a Gerusalemme Est occupata che sono considerate illegali dalla comunità internazionale.

La scorsa settimana, coloni israeliani residenti nella colonia di Adei Ad a nord-est di Ramallah hanno aggredito agricoltori palestinesi che stavano lavorando la loro terra tra i villaggi di Turmus Ayya e al-Mughayyir, nella Cisgiordania centrale.

I coloni hanno lanciato pietre e sparato agli agricoltori ferendo almeno cinque persone.

Nel frattempo, dall’inizio dell’anno le truppe israeliane hanno effettuato incursioni quasi giornaliere in Cisgiordania

Da gennaio almeno 117 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane e nello stesso periodo sono stati uccisi da palestinesi 19 israeliani.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Dopo proteste una conferenza rinuncia alla presenza di un archeologo israeliano per i legami della sua università con una colonia illegale

Oren Ziv

28 maggio 2023 – +972 Magazine

Data l’illegalità degli scavi in un territorio occupato, alcuni archeologi hanno criticato la partecipazione a un evento internazionale di due studiosi dell’Università di Ariel.

La scorsa settimana, in seguito alle pressioni di altri colleghi ricercatori, un convegno internazionale ha annullato la conferenza di un archeologo israeliano dell’università di Ariel, nella Cisgiordania occupata, mentre la presentazione di un dottorando della stessa università si è tenuta come previsto.

Diversamente da altri conferenzieri, la cui appartenenza a un’istituzione era elencata accanto ai loro nomi nel programma, il prof. David Ben Shlomo e Yair Elmakias, entrambi del Dipartimento del Territorio di Studi israeliani e archeologia, non avevano citato il loro rapporto con l’università di Ariel.

Il biennale Congresso Internazionale sull’Archeologia del Vicino Oriente Antico (ICAANE), considerato uno dei due simposi più prestigiosi sul tema, si è tenuto a Copenaghen dal 22 al 26 maggio. L’edizione di quest’anno, la tredicesima, vedeva circa 20 partecipanti di Israele, provenienti dall’Università ebraica di Gerusalemme, l’Università di Haifa, l’Università di Tel Aviv e l’Università Ben-Gurion nel Negev.

Il fatto che due studiosi dell’università-colonia fossero stati invitati è significativo sia perché l’istituzione è situata nel territorio occupato e sia perché scavare in aree occupate è considerata una violazione ai sensi del diritto internazionale.

Uno degli studiosi che si è opposto alla partecipazione di Ben Shlomo e Elmakias è Brian Boyd, co-direttore del Centro di Studi Palestinesi presso la Columbia University a New York. Boyd, in un post su Facebook, ha citato la decisione del 2013 del Congresso Archeologico Mondiale, secondo cui “non è etico per archeologi professionisti e istituzioni accademiche condurre lavori archeologici e scavi in aree occupate e governate con la forza.”

Sottolineando che “le attività delle colonie israeliane costituiscono un crimine di guerra per il diritto internazionale,” Boyd ha scritto che l’omissione dell’affiliazione istituzionale nel programma della conferenza di Ben Shlomo e Elmakias “sembra suggerire che erano bene al corrente della loro situazione legale e che l’hanno fatto per evitare critiche internazionali da parte della comunità archeologica.” Ha poi aggiornato il post con la notizia che l’intervento di Ben Shlomo era stato annullato. Boyd ha rifiutato di essere intervistato per questo articolo.

Secondo il programma originario della conferenza, Ben Shlomo avrebbe dovuto presentare la sua ricerca sui ritrovamenti dell’età del ferro nel sud della valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata. Dopo la cancellazione della sua presentazione, i dettagli del suo intervento sono stati rimossi dal sito web del simposio.

Violando gli accordi di Oslo e il diritto internazionale, Ben Shlomo ha confermato a +972 la sequenza degli eventi. Ha scritto che “(gli organizzatori della conferenza) hanno cancellato la mia conferenza sugli scavi a Khirbet ‘Aujah el-Foqa vicino a Gerico nell’Area C (che è sotto il completo controllo israeliano). All’inizio l’avevano confermata, ma poi varie persone hanno protestato, in Europa il tema è delicato. Immagino specialmente perché uno degli organizzatori del simposio proviene dall’Istituto di Archeologia a Damasco.”

Nell’aprile del 2022 Elmakias, che ha comunque fatto il suo intervento, ha partecipato a un progetto che ha rimosso cumuli di terra dal monte Ebal vicino a Nablus, dove era stato rinvenuto un amuleto con un’iscrizione in ebraico, apparentemente del XIII secolo a.C., la più antica mai scoperta, anche se altri ricercatori hanno messo in dubbio tale datazione.

Il terreno era stato asportato da un sito in Cisgiordania nell’Area B, su cui Israele ha il controllo della sicurezza e l’Autorità Palestinese il controllo amministrativo. In base agli accordi di Oslo e al diritto internazionale Israele non può rilasciare permessi di scavo in questo sito e non può asportare ritrovamenti senza tale permesso.

Come riferito da Nir Hasson ad Haaretz, nel 2019 un gruppo di ricercatori americani e israeliani è arrivato al sito del monte Ebal per collaborare con la Associates for Biblical Research [organizzazione di Ricerca Biblica, ente americano che opera per dimostrare la verità storica della Bibbia, ndt.] e sotto gli auspici del consiglio regionale di Samaria, un ente della colonizzazione [israeliana]. Con l’aiuto di volontari hanno rimosso dal sito tre grandi cumuli di terra che erano stati lasciati dopo gli scavi condotti negli anni ’80, e li hanno spostati per setacciarli nel centro accademico diretto da Elmakias, dove poi hanno scoperto l’amuleto.

Rispondendo a +972 Elmakias sostiene che la sua partecipazione a Copenaghen “non fa notizia”.

Dopotutto gli organizzatori hanno accettato tutte le nostre richieste, incluso che noi apparissimo con il nome dell’università di Ariel e che presentassimo le ricerche condotte in Samaria e nella valle del Giordano.” Elmakias non ha spiegato chi aveva chiesto che la sua affiliazione istituzionale fosse omessa dal programma e se ha ricevuto una richiesta degli organizzatori in seguito alle proteste contro la sua inclusione e quella di Ben Shlomo.

Una grave erosione”

Da parte loro gli organizzatori di ICAANE hanno comunicato a +972 che essi “non discutono con esterni le situazioni individuali,” ma che il congresso “rispetta le convenzioni dell’UNESCO e che, se avesse scoperto che una presentazione avrebbe violato convenzioni, l’avrebbe esclusa dalle presentazioni o dalle pubblicazioni. Ciò può avvenire prima o dopo il congresso.”

Gli organizzatori hanno inoltre dichiarato che non sono loro a invitare i ricercatori alla conferenza, ma sono piuttosto “gli studiosi a sottomettere un estratto e un comitato decide se rientra fra i temi del congresso.” A proposito dell’omissione nel programma dell’università di Ariel hanno detto: “Se alcuni studiosi non hanno affiliazione è molto probabilmente un errore. Normalmente gli studiosi sono ben conosciuti solo per via del loro nome.”

Un rapporto pubblicato nel 2017 da Emek Shaveh e Yesh Din, gruppi per i diritti umani israeliani, afferma: “Dal punto di vista del diritto internazionale i siti archeologici e le antichità sono risorse culturali e di conseguenza appartengono ai territori occupati.” Come tali, continua il rapporto, “le attività permesse al Comandante Militare e a coloro che agiscono in suo nome sono limitate ad azioni intese a salvare o preservare antichità. Israele però interpreta in senso ampio i suoi obblighi di proteggere il patrimonio archeologico, e le sue attività archeologiche si discostano dalle restrizioni su di esso imposte in quanto potenza occupante, determinando violazioni del diritto internazionale.”

Al momento l’Autorità Israeliana per le Antichità (IAA) è tecnicamente responsabile degli scavi nelle zone entro i confini ufficiali di Israele, mentre gli scavi in Cisgiordania sono sotto la responsabilità della Divisione delle Antichità dell’Amministrazione Civile. Tuttavia l’attuale governo di Israele vuole trasferire la responsabilità degli scavi in Cisgiordania alla IAA, sotto l’autorità del Ministero degli Affari e del Patrimonio di Gerusalemme ora guidato da Amichai Eliyahu, del partito di estrema destra Otzma Yehudit.

Alon Arad, direttore di Emek Shaveh, [un gruppo di archeologi di sinistra che criticano gli scavi, ndt.] ha detto a +972 che “se i membri della comunità archeologica di Israele vogliono far parte della comunità professionale internazionale devono farlo secondo le regole e l’etica dell’archeologia. Sfortunatamente assistiamo a una grave erosione di tutto ciò che è relativo all’idea di Israele che la Cisgiordania non è un sito legittimo per le attività accademiche di archeologia israeliana.”

Arad ha aggiunto che in anni recenti c’è stato crescente numero di casi in cui Israele sta tentando di “applicare la sua sovranità indirettamente tramite scavi condotti da università israeliane, o più direttamente tramite IAA.” Ha avvertito che se Israele continua a ignorare il diritto internazionale a questo riguardo, “I’archeologia israeliana sarà danneggiata e gli archeologi israeliani saranno emarginati dalla comunità mondiale.”

Oren Ziv è fotogiornalista, reporter di Local Call e membro fondatore del collettivo fotografico Activestills.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Una tragedia anglo-israeliana nata dall’occupazione

Ben Reiff

11 aprile 2023 – +972 Magazine

Omettere il contesto violento in cui sono avvenute le uccisioni della famiglia Dee equivarrebbe a condannare innumerevoli altri palestinesi e israeliani allo stesso destino.

Tributi sono giunti ai notiziari tv e ai social media per Rina e Maia Dee,15 e 20 anni, le sorelle anglo-israeliane uccise lo scorso venerdì in attacco con armi da fuoco nella Cisgiordania occupata, e per la loro madre Lucy morta all’inizio della settimana in seguito alle ferite subite. Le tre viaggiavano in un’auto nelle vicinanze dello svincolo di Hamra nella valle del Giordano quando sarebbero state colpite da una violenta scarica di proiettili. L’esercito israeliano sta ora conducendo una caccia all’uomo per trovare i sospettati palestinesi. 

La famiglia Dee era emigrata nove anni fa dal Regno Unito nella colonia cisgiordana di Efrat: Leo, il padre delle ragazze e marito di Lucy, era stato in precedenza rabbino in due congregazioni ortodosse nel nord di Londra. “Non ci sono parole per descrivere la profondità del nostro sgomento e dolore nel ricevere la notizia dell’omicidio,” ha twittato il rabbino capo britannico Ephraim Mervis all’annuncio delle morte delle sorelle, aggiungendo che erano “molto amate” nel Regno Unito e in Israele. Alla notizia che anche Lucy era morta ha twittato: “Il nostro dolore indescrivibile è ancora più profondo.” 

Lunedì il rabbino Dee in lacrime ha detto ai media che “la nostra famiglia di sette persone si è ridotta a quattro,” dopo che Lucy, Maia, e Rina sono state sepolte nel cimitero regionale di Gush Etzion nella colonia di Kfar Etzion. Perdere un membro della famiglia, specie se giovane, è una tragedia insopportabile, non si può immaginare il dolore che il rabbino Dee e i figli rimasti stanno sopportando dopo averne persi tre in una volta. 

Pur riconoscendo tale perdita straziante, da quasi tutti questi tributi e racconti manca un dettaglio importante: l’occupazione militare israeliana. Inserire questo elemento non vuole giustificare l’assassinio delle Dee, al contrario. Ma ignorarlo significherebbe fraintendere il contesto in cui sono vissute e sono state uccise, e così condannare molti altri allo stesso destino.

Come centinaia di migliaia di israeliani che abitano in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, i Dee sono diventati parte integrante del progetto israeliano di espansione coloniale nei territori occupati. Colonie come Efrat, che sembra una normale cittadina o sobborgo israeliano serve ad ammassare i palestinesi in bantustan sempre più piccoli per massimizzare il territorio a disposizione degli ebrei, inclusi quelli che arrivano dall’estero. 

Dal 1967 Israele ha rubato oltre 2 milioni di dunam (200.000 ettari) di terre di proprietà privata palestinese in Cisgiordania per fondare centinaia di colonie e avamposti esclusivamente per ebrei, oltre alle infrastrutture necessarie per collegarli fra di loro e con il resto dello Stato. Ognuna di queste colonie è illegale ai sensi del diritto internazionale e viola la Quarta Convenzione di Ginevra che vieta esplicitamente alla potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori occupati. 

Successivi governi israeliani hanno incoraggiato attivamente i propri cittadini a trasferirsi in queste zone offrendo ogni tipo di incentivi finanziari: edilizia sovvenzionata, scuole e trasporti, sgravi fiscali e persino stipendi più alti nel settore pubblico. Tutto ciò va ad aggiungersi a radicate ideologie religiose e suprematiste che ispirano i settori più radicali del movimento dei coloni, sebbene non sia un segreto che tali opinioni sono in molti casi concretamente indotte o facilitate dallo Stato. 

In Israele queste colonie illegali sono totalmente normalizzate e si sono espanse per ospitare circa tre quarti del milione dei suoi cittadini ebrei. Ma l’esistenza stessa delle colonie, oltre all’esteso furto di terre che ha reso possibile la loro costruzione ed espansione, richiede la costante sottomissione della popolazione palestinese dei territori. 

Questa violenza assume varie forme: un esercito che, dall’inizio dell’anno, ha già ucciso circa 90 palestinesi in Cisgiordania, compresi 18 minori, una vasta rete di checkpoint militari che limitano pesantemente la libertà di movimento dei palestinesi e un muro di separazione che penetra profondamente nella Cisgiordania, confiscando altre terre, una misura definita illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia. 

Che un’oppressione di tal sorta generi resistenza, anche scoppi violenti, non dovrebbe sorprendere: è una verità vecchia come la storia che popoli sottomessi lottino contro le società che le opprimono mentre combattono per la libertà. In una pubblicità profetica pubblicata da Haaretz nel settembre 1967, solo pochi mesi dopo l’inizio dell’occupazione, attivisti israeliani affiliati al gruppo radicale di sinistra Matzpen si metteva in guardia: “Tenere i territori occupati ci trasformerà in una Nazione di assassini e vittime di assassini.” 

Quella frase sarebbe suonata vera anche due decenni prima, quando, durante la Nakba del 1948, forze sioniste espulsero oltre 750.000 palestinesi il cui ritorno Israele ha continuato a impedire con la forza sin d’allora costruendo città ebraiche sulle macerie dei villaggi palestinesi. L’obiettivo allora era lo stesso di oggi: mantenere la supremazia ebraica sulla terra.

È possibile ripudiare atti di violenza senza negare le condizioni che rendono tale violenza inevitabile. Eppure è esattamente quello che moltissime reazioni all’uccisione delle Dee stanno facendo, omettendo il brutale sistema di dominio imposto ai palestinesi e perciò rendendo le loro azioni incomprensibili, motivate esclusivamente da sete antisemita di sangue. Evitando di fare i conti direttamente con quel sistema, garantiscono che niente cambierà prima che il prossimo attacco faccia altre vittime.

Mantenere l’occupazione è una semplice questione di scelta, nonostante i complessi meccanismi e la burocrazia. Quante altre persone moriranno prima che Israele scelga di porvi fine?

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




‘I palestinesi sono animali’ – Perché molti ebrei israeliani approvano il pogrom dei coloni

Philip Weiss

7 marzo 2023 – Mondoweiss

C’è un’opinione diffusa tra molti israeliani: ok, questa è la situazione, comunque loro sono animali, comportiamoci allo stesso modo”, dice Amos Harel riguardo alla visione israeliana degli attacchi dei coloni contro i palestinesi.

Un importante giornalista israeliano la scorsa settimana ha spiegato agli ebrei americani che molti nella società israeliana approvano il “pogrom” dei coloni contro il villaggio palestinese di Huwwara perché considerano i palestinesi “animali” ed accettano come normale l’occupazione.

Parlando all’associazione della lobby filoisraeliana ‘Israel Policy Forum’ (IPF), Amos Harel del quotidiano Haaretz [principale quotidiano israeliano di centro sinistra, ndt.] ha detto che la furia dei coloni a Huwwara il 26 febbraio, che ha ucciso un palestinese e distrutto negozi e automobili, ricorda il Ku Klux Klan che terrorizzava i neri nel sud [degli USA, ndt.], o i pogrom russi contro gli ebrei.

Susie Gelman, presidentessa dell’IPF, ha quindi chiesto se gli israeliani provassero orrore per Huwwara e se il pogrom potesse aprire gli occhi a coloro che hanno rimosso gli orrori della Cisgiordania. Harel ha detto che la maggioranza non prova orrore, che Huwara potrebbe essere “il lato oscuro della luna” benché disti 45 minuti dalla periferia di Tel Aviv.

E per molti israeliani il pogrom è assolutamente giustificabile, occhio per occhio:

La maggioranza degli israeliani rimuove ciò che accade nei territori [occupati, ndt.], non va a visitarli…Per la maggior parte delle persone è una specie di realtà oscura che avviene altrove e che non ha praticamente niente a che fare con loro…

Molti israeliani che hanno saldi principi si sentono malissimo riguardo a quanto è accaduto. Altri dicono: ‘Gli sta bene, bisogna fare così: occhio per occhio, dente per dente’. E purtroppo ciò che sentite è quanto affermano anche alcune persone di destra, non solo i politici di estrema destra.

C’è un’opinione tra molti israeliani: ok, questa è la situazione, comunque loro sono animali, comportiamoci allo stesso modo. Questo spaventa moltissimo, e penso che sia uno dei risultati o delle implicazioni di una lunga occupazione. Io sono nato dopo la Guerra dei Sei Giorni [nel 1967, ndt.], questa è la realtà che conosco. Molte altre persone non pensano neanche più a questo. Fa parte della realtà – gli ebrei stanno sopra, gli arabi sotto, le cose stanno così. Ma ovviamente sul lungo termine questo non può durare per sempre. Ci sarà un alto prezzo morale da pagare per questa situazione, soprattutto se si pone all’interno dell’equazione anche la religione, che a mio avviso è parte del problema.”

È importante sottolineare che quando si tratta di rimuovere gli orrori dell’occupazione i capi degli ebrei sionisti americani sono stati centrali nel soffocare questa consapevolezza negli USA. L’‘Israel Policy Forum’ è tra le associazioni filoisraeliane che hanno agito a Washington per fornire a Israele un’assoluta impunità politica per le sue violazioni delle Convenzioni di Ginevra nell’insediare e popolare colonie per 55 anni, al punto che ora ci sono più di 700.000 coloni ebrei soggetti a leggi differenti rispetto ai palestinesi che vivono sotto occupazione.

Per esempio, l’‘Israel Policy Forum’ ha difeso Israele dalle accuse di “apartheid” avanzate da importanti associazioni per i diritti umani. Nondimeno Harel ha detto che i recenti cambi nell’amministrazione sotto il governo Netanyahu non fanno che rafforzare le accuse, ponendo i palestinesi della Cisgiordania sotto la competenza del Ministero della Difesa e i coloni ebrei sotto l’autorità del Ministero delle Finanze.

[Harel] ha motivato l’uso di termini come “pogrom” e “KKK” relativamente alla furia dei coloni, seguita all’uccisione di due coloni israeliani da parte di un palestinese armato di fucile sulla strada principale di Huwwara:

Questo è il termine che utilizzano i media israeliani: è stato un pogrom. E’ stato compiuto da decine, se non centinaia, di coloni che hanno dato fuoco a negozi e case in tutto il villaggio di Huwwara…La cosa più sconcertante forse è stato il fatto che l’esercito israeliano non ha agito, non è intervenuto, ci è voluto molto tempo…prima che iniziasse a impedire ai coloni ulteriori rappresaglie…Sembrava che un uragano fosse passato per la strada principale del villaggio…E’ stato molto preoccupante da un punto di vista strategico – significa maggiore escalation e maggiore violenza…E dal punto di vista etico…ciò che abbiamo visto, e mi scuso per il brutale linguaggio che sto usando, è stato un KKK locale scatenato per tutte le strade di Huwara: è qualcosa che come ebrei e israeliani non possiamo permettere.”

I ministri di destra fascisti nella coalizione di Netanyahu pensano che “forse una nuova Nakba non è una cattiva idea, una deportazione di palestinesi.”, ha detto Harel. “Sono le persone che fanno parte della struttura decisionale. Non sono dei fanatici. Sono le persone su cui Netanyahu fa affidamento.”

Harel prevede che a causa delle proteste senza precedenti in Israele Netanyahu non andrà avanti con la riforma giudiziaria che ha predisposto, e che alla fine il governo cadrà perché l’estrema destra sarà delusa da Netanyahu e lo abbandonerà.

Ha anche detto che la presenza nelle manifestazioni di riservisti dell’esercito e di altre forze di sicurezza ha dato loro un carattere “militarizzato”, ma le rende più efficaci in quanto rappresentano “il cuore, l’anima e la spina dorsale della società israeliana.”

Se parlate con i funzionari, sono tutti molto preoccupati (dalle proposte di riforma di Netanyahu)… Ex importanti membri del Mossad [servizi segreti israeliani per l’estero, ndt.) e funzionari dello Shin Bet [servizi segreti interni, ndt.] partecipano alle manifestazioni…C’è qualcosa di molto militaresco nelle proteste israeliane, ma anche di patriottico…E’ così che bisogna fare. Usare i generali, le uniformi e le truppe per far valere la propria autorità, se volete, per farsi sentire.”

Philip Weiss

Philip Weiss è caporedattore di Mondoweiss.net e ha fondato il sito nel 2005-06.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)