La Corte Suprema israeliana: bastione progressista o responsabile di ingiustizie?

Ben White

Venerdì 23 marzo 2018, Middle East Eye

Invece di arginare le sistematiche violazioni dei diritti contro i palestinesi, il sistema giudiziario rafforza lo status quo discriminatorio

È abitualmente acclamata come l’ultima trincea israeliana contro le leggi ultra-nazionaliste. Ma la Corte Suprema del Paese merita la sua reputazione di difensore dei valori liberali?

Casi recenti hanno evidenziato come la Corte, invece di contrastare le sistematiche violazioni dei diritti subite dai palestinesi, di fatto lubrifica la macchina dell’occupazione.

All’inizio di questo mese la Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato una legge che concede al ministero degli Interni il potere di revocare lo status di residenti permanenti nella Gerusalemme occupata ai palestinesi se sono “sleali” nei confronti dello Stato di Israele. In base alla legge “lo Stato può deportare chiunque abbia perso lo status di residente”.

La legge è stata approvata in seguito ad una sentenza della Corte Suprema dell’anno scorso che, apparentemente, ha rappresentato una vittoria per quattro palestinesi a cui era stata annullata la residenza per le loro attività politiche.

Complici dell’oppressione

Mentre annullava quella revoca, la Corte ha nel contempo “congelato la sentenza per 6 mesi per dare la possibilità alla Knesset di approvare una legge che consentisse di togliere loro lo status di residenti.”

In altre parole, lo Stato e la Corte Suprema sono di fatto complici di una legge estremamente repressiva che rappresenta uno schiaffo agli impegni internazionali e ai diritti umani dei palestinesi.

Oppure prendiamo un altro esempio: quello della prassi israeliana di trattenere i corpi dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane mentre compiono attacchi, veri o presunti, impedendo alle famiglie di seppellire i propri cari.

Lo scorso mese la Corte Suprema ha accettato una richiesta dello Stato di tenere un’ulteriore udienza su questa prassi “rimandando la prevista restituzione dei corpi alle loro famiglie.”

In un primo tempo la Corte aveva sentenziato che “lo Stato non ha l’autorità di trattenere i corpi di palestinesi come merce di scambio, e deve trasferire i cadaveri alle famiglie dei defunti per la sepoltura,” come riassunto dal centro per la certezza del diritto Adalah.

Eppure qualche settimana dopo la stessa Corte ha accettato il ricorso dello Stato di Israele per tenere un’ulteriore udienza in cui impugnare questa sentenza, che avrà luogo in giugno – ed ha anche accolto la richiesta dello Stato di rimandare la restituzione dei corpi finché non verrà presa una decisione definitiva.

Adalah, insieme al Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center [Centro di Assistenza Legale e per i Diritti Umani di Gerusalemme] e alla Commission of Detainees and Ex-Detainees Affairs [Commissione per le Questioni dei Detenuti ed Ex Detenuti], si è comprensibilmente infuriato, sottolineando in un comunicato: “La Corte Suprema ha pronunciato una decisione che rende possibili le continue violazioni delle leggi umanitarie internazionali da parte di Israele.”

Licenza di torturare”

Gli esempi abbondano: lo scorso dicembre i giudici della Corte Suprema israeliana hanno respinto un ricorso per salvare una scuola elementare palestinese nella Cisgiordania occupata minacciata di demolizione. La scuola, ha affermato la Corte, era un tentativo illecito “di creare fatti sul terreno.”

Quello stesso mese fu emessa una decisione persino più preoccupante, quando la Corte Suprema ha respinto una richiesta presentata a favore di un prigioniero palestinese che era stato torturato durante un interrogatorio – come, stranamente, persino lo Stato aveva riconosciuto.

Con una sentenza che ha visto la Corte prendere “le parti dello Stato su tutte le questioni fondamentali che le sono state sottoposte”, la Corte Suprema ha in effetti ridefinito la tortura in modo da consentirla. “La definizione di certi metodi di interrogatorio come ‘tortura’ dipende dalle circostanze concrete,” ha affermato il giudice Uri Shoham, “persino quando ci sono metodi esplicitamente riconosciuti dalle leggi internazionali come ‘tortura’”

Il relatore speciale dell’ONU sulla tortura, Nils Melzer, ha ribattuto: “Questa sentenza crea un pericoloso precedente, minando gravemente il divieto universale di tortura…La Corte Suprema ha essenzialmente fornito loro (agli agenti dello Shin Bet [servizio di intelligence israeliano, ndt.]) una ‘licenza di torturare’ statuita dal punto di vista giuridico.”

Abbassare l’asticella

La Corte Suprema israeliana ha ripetutamente apposto il proprio sigillo di approvazione a leggi e a prassi dello Stato che violano le leggi internazionali e le convenzioni sui diritti umani. L’agghiacciante legge antidemocratica contro il boicottaggio del 2011? La confisca di terre palestinesi a Gerusalemme est occupata?

In effetti è raro che la Corte sentenzi contro lo Stato: i dati presentati nel maggio 2017 mostrano che la Corte Suprema ha rigettato l’87% degli oltre 9.000 ricorsi presentati contro decisioni del governo tra il 1995 e il 2016.

Tuttavia la mitologia abbonda. In un tipico esempio, un rapporto di AP [Associated Press, agenzia di stampa USA, ndt.] dell’ottobre 2017 ha descritto la Corte come “universalmente vista nel ruolo di guardiano dei principi democratici fondativi del Paese”, sottoposta a “pesanti pressioni da politici estremisti” contrari a “quello che vedono come la prevaricazione e la tendenza progressista della Corte.”

È vero che le fazioni politiche israeliane di estrema destra sono state a lungo insoddisfatte della Corte Suprema. Recentemente il ministro della Giustizia Ayelet Shaked ha supervisionato la nomina di due nuovi giudici, con un’iniziativa generalmente indicata come [l’intenzione di] dare alla Corte un aspetto “più conservatore”.

Ma esaminare l’andamento della Corte in base alle percezioni di sostenitori dei coloni ultranazionalisti vuol dire, a dir poco, sistemare l’asticella un po’ troppo in basso. Oltretutto i “progressisti” della magistratura e i loro avversari di destra hanno più cose in comune di quanto entrambi vogliano ammettere.

Vittorie occasionali

La scorsa settimana una commissione della Knesset ha presentato la versione finale di una legge “per lo Stato-Nazione ebraico” che, secondo Haaretz, ha l’intenzione di porre le basi perché la Corte Suprema “dia la prevalenza al carattere ebraico di Israele sui suoi valori democratici, se questi dovessero entrare in conflitto nei tribunali.”

Solo che è una cosa che la Corte Suprema può già fare, ed ha fatto, interpretando una clausola importantissima della Legge Fondamentale [che in Israele fa le veci della costituzione, ndt]: la dignità e la libertà umane vanno intese per dare “un’importanza significativa alla natura di Israele come Stato ebraico e ai suoi obiettivi, a spese dei…diritti fondamentali.”

Quindi il rapporto mostra che, lungi dal rappresentare una protezione per i palestinesi, o persino per gli ebrei israeliani sostenitori dei diritti umani, la Corte Suprema agevola, piuttosto che rigettare, le violazioni. Vittorie sporadiche sono esattamente questo: la Corte è una parte centrale dello status quo discriminatorio, e lo rafforza.

Ben White è autore di Apartheid israeliano: una guida per principianti e di Palestinesi in Israele: segregazione, discriminazione e democrazia.. Scrive articoli per Middle East Monitor e i suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera, al-Araby, Huffington Post, the Electronic Intifada, [nella rubrica] “Il commento è libero” del Guardian [giornale progressista inglese, ndt.] ed altri.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)