Di questo passo Israele non arriverà al centesimo compleanno

Meirav Arlosoroff

19 maggio 2024, Haaretz

Nel loro ultimo saggio gli esperti di politiche di governo Eugene Kandel e Ron Tzur segnalano come l’élite israeliana fuggirà dal paese quando vedrà che le varie “tribù” non riescono a mettersi d’accordo su un contratto sociale

Il 76esimo Giorno dell’Indipendenza di Israele, la scorsa settimana, è stato il Giorno dell’Indipendenza più triste e cupo dalla fondazione dello Stato. Invece di festeggiare, le persone si chiedevano: e dopo? Israele uscirà dalla crisi e vivrà fino a celebrare il centenario?

La risposta è no, non nella direzione in cui sta andando. È questa la conclusione di uno straordinario documento che delinea una nuova visione di Israele, redatto dal prof. Eugene Kandel e da un altro esperto di politiche di governo, Ron Tzur.

Per sei anni Kandel ha guidato il Consiglio Economico Nazionale presso l’ufficio del primo ministro ed è stato molto vicino al primo ministro Benjamin Netanyahu. Tzur è stato un alto funzionario sia della Commissione per l’Energia Atomica che della Commissione per il Servizio Civile.

Come dice Tzur, “Noi condividiamo una rara conoscenza degli architetti del sistema”.

Scrivono che “Nello scenario di business as usual dell’attuale configurazione politica c’è una buona probabilità che Israele non sopravviverà come Stato ebraico sovrano nei prossimi decenni”.

E sostengono che “Dopo il tentativo del governo lo scorso anno di indebolire il sistema giudiziario, seguìto al sud dal massacro di Hamas, è emerso il quadro di un totale fallimento del sistema, della gestione e delle azioni dell’amministrazione… e non si tratta della debacle di un singolo settore… piuttosto di un collasso.”

Kandel e Tzur cercano quindi di spingere l’opinione pubblica ad agire perché sia chiaro che è necessario un cambiamento drastico. “Nell’odierno regime politico israeliano non c’è alcuna possibilità di porre fine alla guerra interna”, scrivono. “Dopo il terribile disastro e il conseguente collasso funzionale, non è più possibile agire all’interno dello stesso quadro e aspettarsi risultati migliori.”

Kandel e Tzur osservano la divisione di Israele in fazioni che si combattono per imporre all’intero Stato la loro visione del mondo. Molte persone sperano che questa guerra di identità finisca, ma il divario è troppo ampio. Quindi gli autori prospettano che una volta finita la guerra di Gaza la lotta intestina riprenderà con massima forza.

Ad esempio, se uno dei due schieramenti ottiene la maggioranza alla Knesset, cercherà di imporre la sua visione del mondo a tutti gli altri, come è accaduto con il tentativo di revisione giudiziaria. Non c’è spazio per il compromesso. Tutto ciò alimenta la disintegrazione della società e porterà inevitabilmente ad un abbandono di massa dello Stato.

Tre sfide

Il documento presenta le tre sfide esistenziali di Israele. La prima è economica: l’esistenza di tre gruppi che vengono finanziati a discapito degli altri. Questi sono gli ultraortodossi – gli haredim – la comunità araba e i coloni. Nessuno dei tre è in grado o disposto a finanziare da sé il proprio stile di vita.

Secondo Kandel e Tzur, nel 2018 l’intero sussidio dal bilancio nazionale per gli haredim è stato di 20 miliardi di shekel (oltre 5 milioni di euro) e per la comunità araba di 25 miliardi di shekel. (I coloni non sono considerati un gruppo nel bilancio nazionale) In realtà, a causa delle differenze di dimensione dei popoli, le spese per gli ultra-ortodossi sono quasi il doppio: ogni famiglia Haredi riceve 120.000 shekel (30.000 € ca) all’anno in finanziamenti o sussidi e ogni famiglia araba 65.000 shekel.

Questo denaro viene pagato dalle famiglie ebree non Haredi, 20.000 shekel all’anno, ma si prevede che questa cifra aumenterà perché si prevede che la comunità ultra-ortodossa triplicherà le sue dimensioni entro il 2065. Quindi i 20.000 shekel aumenteranno fino a 60.000, alle previsioni odierne. A ciò si aggiunge il previsto aumento del bilancio della difesa – un peso irragionevole imposto alla popolazione maggiormente produttiva e contribuente di Israele.

La seconda sfida è lo scontro di valori. L’ex presidente Reuven Rivlin ha coniato il concetto delle “quattro tribù” e ha invocato un nuovo contratto sociale su cui tutte e quattro siano d’accordo. Ma Kandel e Tzur non sono d’accordo con Rivlin; dicono che ci sono solo tre tribù e che non c’è alcuna possibilità che si accordino su un contratto sociale.

Le tre tribù principali sarebbero: la prima costituita dal popolo dello Stato ebraico-democratico-liberale che vuole vivere come in una democrazia occidentale. Gli autori stimano che la grande maggioranza degli israeliani, compresi gli arabi israeliani e molti ebrei religiosi, si identifichino con questa tribù.

I membri della seconda tribù sostengono uno Stato della Torah. Gli ultra-ortodossi, la fazione di destra della comunità religiosa sionista (gli hardalim) e la fazione di destra degli ebrei religiosi non haredi probabilmente sceglierebbero di vivere secondo le leggi di questa tribù. Preferirebbero le sentenze dei rabbini ai valori e alle leggi democratiche.

I membri della terza tribù si oppongono all’esistenza di uno Stato ebraico e preferirebbero uno Stato per tutti i cittadini. Kandel e Tzur stimano che gran parte della comunità araba, nonostante il nazionalismo arabo, preferisca i valori della tribù democratico-liberale.

In ogni caso Kandel e Tzur ritengono che il divario non possa più essere colmato. Scrivono che, una volta iniziato lo scontro sulla revisione giudiziaria, è diventato chiaro a molti che “le concezioni di identità e le visioni dei due principali gruppi ebraici si scontrano e sono addirittura inconciliabili”. Si è imposta la mentalità “noi o loro”.

Questo scontro è totale, poiché ogni fazione ha la sensazione che l’altro gruppo stia imponendo i propri valori con la forza.

“La guerra per la nazione, per l’identità e i valori di ognuno contro tutti gli altri rappresenta una minaccia esistenziale per il Paese, perché una tale guerra non può essere fermata senza un marcato cambiamento nei sentimenti di tutte le parti”, scrivono gli autori. Ci deve essere “un ritorno alla sensazione che non vi sia alcun pericolo per i valori di nessuno dei diversi gruppi identitari”.

Kandel e Tzur aggiungono che sarebbero felici si raggiungesse un compromesso “basato sul dialogo in una visione condivisa, soprattutto dopo la terribile perdita che abbiamo subito il 7 ottobre”. Ma dicono che anche prima di quella tragedia “la nostra analisi non dava molte speranze in un compromesso tra valori opposti, e, a nostro avviso, ancor meno dopo la fine dei combattimenti”.

Sostengono che i dati demografici della comunità ultraortodossa determineranno l’indirizzo di uno Stato nazionalista basato sulla Torah. Si prevede che gli israeliani produttivi, che credono nei valori liberali sia eticamente che economicamente, perderanno.

Kandel e Tzur prevedono un’emigrazione di massa dell’élite produttiva israeliana, quasi una corsa agli sportelli. Tra un decennio o due in Israele ci sarà una corsa. L’élite semplicemente fuggirà.

“Questo genere di processo può ribollire per anni, ma se accade è probabile che sia acuto e veloce, come una corsa agli sportelli. Quando arriva la decisione di andarsene, c’è un vantaggio nel farlo prima della grande ondata,” scrivono gli autori.

“Sarà più facile per i primi andarsene senza danni finanziari, mentre coloro che tenteranno di emigrare più tardi subiranno delle perdite poiché l’economia si contrarrà, il valore dei loro beni diminuirà e verranno imposte restrizioni al trasferimento di denaro all’estero. … Sono le persone che reggono l’alta tecnologia, la medicina, il mondo accademico e parti importanti dell’establishment della difesa. La maggior parte di loro ha interessanti opportunità di lavoro all’estero, e alcuni hanno già preso in considerazione l’opzione di immigrare”.

Senza questa élite, Israele subirà un declino socioeconomico e nella sicurezza. La partenza di 20.000 menti critiche sarebbe sufficiente perché Israele rimanga senza alta tecnologia, mondo accademico e sicurezza.

“Molti politici hanno affermato dalla tribuna parlamentare che il paese potrebbe farcela senza i piloti, gli esperti dell’alta tecnologia e i membri di altri gruppi dell’elite'”, scrivono gli autori. “Oggi più che mai, l’arroganza di queste affermazioni è chiara, perché la spina dorsale esistenziale di Israele dipende da un gruppo relativamente piccolo di persone. Senza di esse non è semplicemente possibile sostenere il paese nel tempo”.

L’abbandono di questa élite significherà la fine della crescita economica, ed eroderà il tenore di vita. E non basta. “Il 7 ottobre ci ha dimostrato il terribile costo da pagare quando la percezione del nemico è che Israele sia debole”, scrivono Kandel e Tzur. “Un ulteriore indebolimento potrebbe comportare sfide alla sicurezza più estreme e gravi”, persino “il collasso di Israele e la fine del sogno sionista”.

L’apatia del pubblico

Sì, la fine del sogno sionista. Questa è la previsione di Kandel e Tzur, e la cosa scioccante è la terza sfida: poche persone si accorgono di questo pericolo esistenziale, e dunque nessun politico muove un dito per prevenirlo.

Questa è una minaccia esistenziale più grande dell’Iran, scrivono gli autori. Similmente al destino di Gerusalemme – abbandonata dalla comunità laico-liberale, rimasta una città povera che ha bisogno del denaro statale per sopravvivere – Israele è suscettibile di abbandono. Ma nel caso di Israele non ci sarà un ente superiore che possa erogare budget.

Quindi Kandel e Tzur mirano ora a risvegliare gli elettori israeliani affinché comprendano che dipende solo da loro. Invece di preoccuparsi delle dicotomie sinistra-destra, laico-religioso, l’elettore israeliano dovrebbe concentrarsi sulla questione centrale: come evitare che lo Stato di Israele imploda a causa delle ampie spaccature interne.

Gli autori elencano tre obiettivi a cui gli elettori israeliani dovrebbero aspirare. Il primo è un profondo cambiamento nelle priorità politiche, un cambiamento che non avverrà a meno che gli elettori non lo impongano ai funzionari da loro eletti. “Non voteremo mai più per coloro che ci distruggono”, dice Tzur.

“Noi non siamo la base di nessuno, né di destra né di sinistra, e ne abbiamo abbastanza di essere trattati da imbecilli. Voteremo solo per chi ci spiegherà cosa intende fare, come intende costituire un governo ampio, ripristinare la fiducia della gente, consolidare la società, riabilitare il servizio pubblico e rafforzare l’economia e la difesa”.

C’è bisogno di un cambiamento profondo anche nel modo in cui Israele è governato. “L’attuale struttura governativa e politica incoraggia e perpetua gli schemi distruttivi in cui si trova Israele”, scrivono gli autori.

“Il sistema esistente induce i funzionari eletti ad agire in modo divisivo e indirizzato al conflitto, per alzare la bandiera della ‘vittoria’ di una parte sull’altra. … La soluzione deve garantire che nessun gruppo abbia la capacità di imporre i propri valori a chiunque altro.” È inoltre necessario un profondo cambiamento economico affinché tutti i segmenti della società possano sostenersi da soli.

La radicale soluzione di Kandel e Tzur sarà presto pubblicata insieme ad altre proposte in un progetto del Jerusalem Institute for Policy Research. Il progetto è stato gestito da Ehud Prawer, ex capo del gruppo Società e Popolazione presso l’ufficio del primo ministro – un altro israeliano con grande esperienza nell’amministrazione di governo.

Come dice Tzur: “Non siamo disposti ad arrenderci. Entrambi siamo diventati nonni l’anno scorso e siamo entrambi completamente impegnati a continuare qui la catena generazionale non solo delle nostre famiglie ma dell’intero popolo. Da nessun’altra parte.”

Ma nessuna soluzione sarà possibile se gli elettori israeliani non cambieranno la loro percezione e non si renderanno conto che le minacce all’esistenza di Israele provengono dall’interno. I politici devono proporre piani coraggiosi per confrontarsi con loro.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)