l settore della sicurezza della Autorità Nazionale Palestinese: consolidare la repressione di Stato

ll settore della sicurezza della Autorità Nazionale Palestinese: consolidare la repressione di Stato

Alaa Tartir *

14 novembre 2021   Al Shabaka

 

Nell’ottobre 2021, il Palestinian Civil Society Team for Enhancing Public Budget Transparency [un’organizzazione della società civile palestinese per la trasparenza del bilancio pubblico, ndt] ha rivelato che il settore della sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) continua a ricevere la maggior parte del budget di quest’ultima. Durante la prima metà del 2021, sono stati spesi più di 50 milioni di shekel israeliani (oltre 14 milioni di euro) per la riforma delle forze di sicurezza dell’ANP (PASF). La PASF ha anche ricevuto 1.675 milioni di shekel (circa 480 milioni di euro) – oltre il 22% del budget totale dell’ANP. L’88% della cifra è stato destinato agli stipendi, un aumento di 115 milioni di shekel (circa 33 milioni di euro) rispetto ai primi sei mesi del 2020.

Queste cifre indicano il netto divario tra i bisogni del popolo palestinese e le priorità dell’ANP. Mentre i palestinesi cercano di porre fine all’oppressivo quadro di sicurezza imposto dagli Accordi di Oslo, l’ANP continua a investire politicamente, finanziariamente e istituzionalmente nello status quo, rafforzando l’ambito della sicurezza con il pretesto della stabilità e della costruzione dello Stato.

Invece di condurre ad un processo di democratizzazione, inclusione e responsabilità, i processi di riforma della sicurezza dell’ANP, sponsorizzati a livello internazionale – che sono stati il ​​fulcro del progetto di costruzione dello Stato post-2007 dell’ANP – hanno portato alla repressione, alla persecuzione e alla professionalizzazione dell’autoritarismo dell’ANP. In questo modo quest’ultimo si è strutturalmente radicato nel sistema politico palestinese.

Repressione e deterioramento delle condizioni sociali

Dopo l’uccisione dell’attivista critico dell’ANP Nizar Banat nel giugno 2021, la PASF ha represso le proteste pacifiche con l’uso illegittimo della forza, prendendo di mira, con arresti arbitrari e torture, giornalisti, attivisti della società civile e avvocati. Il livello di repressione osservato durante l’estate del 2021 è stato senza precedenti ed evidentemente si è trattato di un’operazione complessa: ha mostrato il costante coinvolgimento delle istituzioni legali, politiche, di sicurezza ed economiche dell’ANP. Far convergere le forze per reprimere in modo più efficace è uno sviluppo preoccupante e, a meno che non venga contrastato con meccanismi di responsabilità controllati dalla popolazione stessa, l’aggressione autoritaria si intensificherà e non vi sarà spazio per alcuna transizione democratica.

Il consolidamento del potere nel settore della sicurezza continua ad essere un obiettivo chiave dell’ANP. L’obiettivo delle campagne del 2007 della PASF era “ripulire” la Cisgiordania dalle armi non in possesso dell’Autorità Nazionale Palestinese, condurre un processo di disarmo, arrestare coloro che sfidavano l’autorità dell’Autorità Nazionale Palestinese e inviare un messaggio chiaro ai palestinesi che l’Autorità Nazionale Palestinese era l’unica struttura di governo e di potere. Quindi, l’ANP ha adottato un “approccio indifferenziato” per confiscare le armi e intenzionalmente non ha distinto tra le “armi dell’anarchia” e quelle della “resistenza armata”. Ciò ha significato che criminali e membri della resistenza sono stati trattati e presi di mira allo stesso modo. Come ha chiesto con scherno un abitante del campo profughi di Balata: “Come può un ladro essere tenuto nella stessa cella di un muqawim (combattente per la libertà)?”

Le conseguenze dei processi di riforma del settore della sicurezza (SSR) richiedono tempo per manifestarsi nella società e in Palestina stanno diventando chiare solo ora. Le campagne di sicurezza del 2007, ironicamente denominate “sorriso e speranza” e il processo di riforma che ne è seguito, ancora in corso, hanno creato profondi problemi strutturali e carenze che hanno portato a radicare una cultura della paura, addomesticare o criminalizzare la resistenza, e hanno approfondito la sfiducia che i palestinesi provano nei confronti della loro leadership.

In effetti, la tortura e l’uccisione di oppositori politici, l’arresto arbitrario in condizioni disumane di voci critiche, l’aumento dei livelli di sorveglianza e la diminuzione di quelli di tolleranza e pluralità, sono ingredienti chiave per il deterioramento della società palestinese. Un’ulteriore sorveglianza oppressiva degli spazi sociali toglierà potere al popolo palestinese, rafforzerà la sua frammentazione e indebolirà la sua capacità di resistere efficacemente alle strutture coloniali e oppressive.

Ripensare la gestione del settore della sicurezza

Ripensare una gestione del settore della sicurezza palestinese nella quale sia data priorità al popolo palestinese deve essere parte di qualsiasi dialogo nazionale serio e globale. Il consolidamento del potere, anziché dell’inclusività e della responsabilità, ha fatto sì che le PASF siano più responsabili nei confronti dei donatori e del regime israeliano che nei confronti del popolo palestinese. Invertire questo processo è un punto fondamentale per il settore della sicurezza. Per far ciò è necessario quanto segue.

  • La società civile e la leadership palestinesi devono impegnarsi in un dialogo nazionale inclusivo, onesto e complessivo. Rivedere il programma nazionale palestinese nell’ottica della gestione del settore della sicurezza potrebbe servire a molteplici scopi, poiché richiede l’avvio di un dibattito sulle strategie di resistenza, la natura delle strutture di gestione degli affari pubblici e i meccanismi di responsabilizzazione.
  • Le fazioni politiche palestinesi e la società civile devono esigere che l’ANP ridistribuisca equamente il proprio budget, anche nei settori economici produttivi, per porre fine agli stanziamenti gonfiati dell’establishment della sicurezza dell’ANP.
  • La società civile palestinese deve fare pressione sull’ANP affinché metta in atto la decisione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di porre fine al coordinamento della sicurezza con Israele, cosa che non ha fatto nonostante le sue dichiarazioni.
  • La società civile e la leadership palestinesi devono adottare una strategia di resistenza unitaria, anche per quanto riguarda la resistenza armata, per evitare che le armi diventino strumenti nella lotta interna alle fazioni politiche, specialmente in tempi di transizione del potere e vuoti di leadership.

*Alaa Tartir è consulente per i programmi di Al-Shabaka.  Tartir è anche ricercatore associato presso il Center on Conflict, Development, and Peacebuilding e visiting fellow presso il Dipartimento di Antropologia e Sociologia del Graduate Institute of International and Development Studies (IHEID), Ginevra, Svizzera. Tra le altre attività, Tartir è stato borsista post-dottorato presso The Geneva Centre for Security Policy (GCSP) dal 2016-17, ricercatore e docente invitato (2015) presso il Dipartimento di Storia e Storia dell’Arte dell’Università di Utrecht, Paesi Bassi, e, tra il 2010 e il 2015, è stato ricercatore in studi di sviluppo internazionale presso la London School of Economics and Political Science (LSE), dove ha conseguito il dottorato di ricerca.

 

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)

 




Forze israeliane uccidono ufficiali palestinesi in una ‘missione sotto copertura’

Redazione di Al Jazeera e agenzie

10 giugno 2021- Al Jazeera

Almeno tre palestinesi uccisi, inclusi due ufficiali dell’intelligence, in un attacco prima dell’alba a Jenin, Cisgiordania occupata.

Le autorità palestinesi hanno comunicato che giovedì, nel corso di un raid prima dell’alba, a Jenin, nella Cisgiordania occupata, forze israeliane hanno ucciso almeno tre palestinesi, inclusi due ufficiali dell’intelligence militare dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).

Wafa, l’agenzia di stampa palestinese, ha informato che il Ministero della Salute palestinese ha identificato i due ufficiali come Adham Yasser Alawi, 23 anni, e Tayseer Issa, 32 anni, aggiungendo che la terza vittima è Jamil al-Amuri, in precedenza detenuto nelle carceri israeliane.

Secondo Wafa un altro agente palestinese, Muhammad al-Bazour, 23 anni, gravemente ferito durante la missione israeliana sotto copertura, è stato trasferito in un ospedale israeliano.

Un video online, a cui The Associated Press [agenzia di notizie USA, ndtr.] ha avuto accesso, sembra mostrare degli ufficiali palestinesi cercare riparo dietro un veicolo mentre in sottofondo si sentono rumori di spari. Qualcuno grida che stanno rispondendo al fuoco delle forze israeliane “sotto copertura”.

I media israeliani riportano che al-Amuri era stato detenuto in quanto membro della Jihad islamica palestinese, ma ciò deve ancora essere confermato da fonti palestinesi.

Harry Fawcett, corrispondente di Al Jazeera nella Gerusalemme Est occupata, dice che si è trattato di “un’operazione sotto copertura con un veicolo civile.”

L’impressione è che le (forze israeliane) avessero nel mirino almeno un membro della Jihad Islamica Palestinese (JIP). “In questa operazione è stato ucciso un giovane e un altro, ferito, è stato portato via dalle forze israeliane. L’uomo ucciso sembra appartenesse alla JIP,” afferma Fawcett.

Secondo i resoconti, il secondo uomo era un palestinese, Wissam Abu Zaid, che pare sia stato arrestato durante l’operazione.

Nelle strade di Jenin sono scesi in migliaia per prendere parte al corteo funebre di Alawi, mentre si stanno svolgendo anche i preparativi per la sepoltura degli altri due uccisi.

Ci sono anche state richieste per proclamare uno sciopero generale nelle città palestinesi.

Pericolosa escalation israeliana’

Un portavoce di Mahmoud Abbas, il presidente palestinese, ha condannato quello che ha definito una “pericolosa escalation israeliana”, dicendo che i tre uomini sono stati uccisi da forze speciali israeliane che, durante gli arresti, si erano travestite da palestinesi.

Il portavoce Nabil Abu Rudaina ha chiesto alla comunità internazionale e agli Stati Uniti di intervenire per porre fine a tali attacchi. Ci sono resoconti contradditori circa i dettagli dell’incidente.

L’esercito e la polizia israeliani non hanno risposto immediatamente alle richieste di un commento. Tuttavia, un ufficiale israeliano, in forma anonima, ha riferito all’agenzia Reuters che i poliziotti palestinesi sono stati uccisi durante lo scontro a fuoco.

Testimoni sul posto dicono che le forze israeliane hanno anche aperto il fuoco contro membri dell’intelligence militare palestinese, agenti che erano nei pressi della scena, fuori dal loro commissariato,” ha detto Fawcett ad Al Jazeera.

I resoconti dei media israeliani parlano di israeliani che rispondono al fuoco diretto verso di loro, ma qualsiasi cosa sia successa quello che si sa è che due funzionari dell’intelligence militare sono stati uccisi e che un terzo, ferito in maniera gravissima, è stato di conseguenza trasportato in un ospedale israeliano.

Questo è un altro caso in cui agenti dell’intelligence militare palestinese sono uccisi dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata,” ha aggiunto.

Secondo gli accordi di pace ad interim firmati negli anni ‘90, l’ANP ha un’autonomia limitata nelle varie enclave sparpagliate che insieme costituiscono circa il 40% della Cisgiordania occupata. Israele ha un’autorità superiore sulla sicurezza in Cisgiordania ed esegue abitualmente retate nelle città palestinesi amministrate dall’ANP.

Ai sensi degli accordi di Oslo del 1993, l’ANP è obbligata a condividere informazioni con Israele su qualsiasi forma di resistenza armata all’occupazione israeliana, una prassi nota come “coordinamento per la sicurezza”, che l’anno scorso è stata sospesa brevemente in conseguenza al piano israeliano di annettere la Cisgiordania occupata.

Hamas, che governa la Striscia di Gaza, ha criticato l’ANP per il cosiddetto “coordinamento per la sicurezza”. Molti appartenenti ad Hamas sono stati arrestati a causa della collaborazione dell’ANP con le autorità israeliane.

Le forze israeliane conducono frequentemente blitz per fare arresti nella Cisgiordania occupata. Durante uno di questi raid, il 25 maggio, le forze israeliane hanno ucciso un palestinese vicino a Ramallah.

I media palestinesi riportano che, in seguito al ritiro delle forze israeliane da Jenin, Israele ha mandato rinforzi all’ingresso nord della città palestinese.

L’incidente è avvenuto settimane dopo il fragile accordo di pace raggiunto dopo una guerra di 11 giorni condotta da Israele contro Gaza assediata che ha causato la morte di oltre 250 palestinesi, inclusi 66 minori.

Almeno 12 persone sono state uccise in Israele a causa dei razzi lanciati dalle fazioni armate palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Hanan Ashrawi smentisce l’affermazione secondo cui si è dimessa per la collusione tra PA e Israele

Ali Abunimah

9 dicembre 2020 – Electronic Intifada

Hanan Ashrawi ha messo a tacere le informazioni secondo cui si è dimessa dal Comitato Esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina per protestare contro la ripresa esplicita dell’Autorità Nazionale Palestinese del “coordinamento della sicurezza” con l’esercito di occupazione israeliano il mese scorso.

All’inizio di questa settimana i media, che citano fonti anonime, hanno affermato che Ashrawi si è dimessa perché si oppone alla collaborazione per la sicurezza con Israele.

Mercoledì, tuttavia, l’OLP ha pubblicato una traduzione in inglese della lettera di Ashrawi, in cui presenta le sue dimissioni al leader dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, seguita da una sua dichiarazione.

Nella lettera del 26 novembre Ashrawi dice ad Abbas che “con la presente metto a tua disposizione le mie dimissioni, in attesa che tu le accetti entro la fine di quest’anno”.

La lettera offre solo ragioni vaghe e generiche di questa decisione.

“Il problema in questo momento non è una decisione personale o professionale”, scrive Ashrawi. “Piuttosto, ha a che fare con la situazione attuale e il futuro della Palestina, e con la necessità del ricambio di autorità e responsabilità”.

Non fa alcun accenno al “coordinamento per la sicurezza”, la politica in base alla quale le forze dell’ANP aiutano e spalleggiano l’esercito e le agenzie di intelligence israeliani nella repressione della resistenza palestinese all’occupazione israeliana.

“Ingannevole e irresponsabile”

Nella dichiarazione che accompagna la lettera, Ashrawi afferma di aver incontrato Abbas il 24 novembre per una “discussione schietta e amichevole in cui l’ho informato della mia decisione di dimettermi dal Comitato Esecutivo a partire dalla fine dell’anno”.

Ashrawi aggiunge di aver chiesto di mantenere segrete le sue dimissioni “fino a quando non saranno concluse tutte le misure necessarie”, anche se non specifica che tipo di misure per le dimissioni richiederebbe più di un mese.

Ashrawi dice di essere stata in contatto con Abbas in seguito alle notizie dei media sulle sue dimissioni e di aver acconsentito alla divulgazione ufficiale della sua lettera.

Era evidentemente arrabbiata per la fuga di notizie che affermavano erroneamente che stava protestando contro la rinnovata collaborazione dell’Autorità Nazionale Palestinese con l’esercito israeliano.

“Purtroppo la notizia delle mie dimissioni è trapelata da ‘fonti autorevoli’ in modo fuorviante e irresponsabile, il che ha portato a congetture e voci,” afferma.

Ashrawi dice che Abbas ha rinviato la decisione sull’accoglimento delle sue dimissioni, aggiungendo che, quanto a lei, le considera “in vigore”. (Aggiornamento: mercoledì sera Abbas ha accettato le dimissioni di Ashrawi.)

Il suo comunicato sollecita la “riforma” dell’OLP e chiede “rinnovamento e rinvigorimento” del sistema politico palestinese “con l’inclusione di giovani, donne e altri professionisti qualificati.”

Tuttavia non è chiaro perché Ashrawi abbia scelto questo momento per dimettersi, dato che da decenni la caratteristica distintiva dell’OLP è stata l’esclusione antidemocratica del popolo palestinese dal processo decisionale.

Statura internazionale

Il Comitato Esecutivo dell’OLP, ufficialmente il più alto organo esecutivo dei palestinesi, è scelto dal Consiglio nazionale palestinese, un organo legislativo non eletto che si riunisce raramente ed è di fatto controllato da Abbas e dai suoi fedeli.

Ashrawi è stata nominata nel Comitato esecutivo dell’OLP nel 2009 e di nuovo nel 2018, anno in cui Abbas l’ha messa a capo del dipartimento di “diplomazia pubblica” dell’OLP.

Ashrawi ha acquisito importanza internazionale come portavoce della delegazione palestinese alla conferenza di Madrid del 1991, che ha avviato il cosiddetto processo di pace.

In precedenza docente alla Birzeit University, Ashrawi ha mantenuto una notevole reputazione internazionale come sostenitrice della causa palestinese – un ruolo in contraddizione con il fatto che lei è stata parte integrante del regime di occupazione permanente e apartheid cementato dagli accordi di Oslo firmati dall’OLP e da Israele all’inizio degli anni ’90.

Ashrawi è stata eletta nel Consiglio Legislativo dell’Autorità Nazionale Palestinese nel 1996.

Dal 1996 al 1998 è stata ministra dell’Istruzione Superiore dell’Autorità Nazionale Palestinese sotto Yasser Arafat, ma si è dimessa per quello che ha definito il modo improprio in cui sono state gestite le accuse di corruzione.

Nel 2006, Ashrawi ha partecipato alle elezioni legislative palestinesi con la lista “Terza Via” insieme a Salam Fayyad.

Anche se il loro partito ha ottenuto solo il 2,41% dei voti, Abbas ha nominato primo ministro Fayyad dopo che elementi allineati con Abbas sostenuti dagli Stati Uniti hanno organizzato un colpo di stato contro i vincitori delle elezioni, la lista “Cambiamento e Riforma” di Hamas.

Quel colpo di stato è riuscito in Cisgiordania ma è fallito a Gaza, da cui nel 2007 sono state espulse le milizie palestinesi sostenute dagli Stati Uniti, lasciando il controllo del governo interno di Gaza ad Hamas.

Dimissioni ripetute

L’ultima mossa di Ashrawi è destinata a essere vista con un certo scetticismo poiché si inserisce in un lungo schema tra gli alti funzionari dell’OLP che si potrebbe definire “dimissioni a porte girevoli”.

Una persona che si è “dimessa” in innumerevoli occasioni è stato Saeb Erekat, il negoziatore di lunga data dell’OLP morto il mese scorso.

Anche Abbas si è dimesso o ha minacciato di farlo in numerose occasioni.

Mercoledì, in un video a commento delle sue dimissioni, Ashrawi afferma: “La verità è che, come tutti sanno, non ho mai chiesto una posizione ufficiale né alcun privilegio.”

Ciò è del tutto coerente con il linguaggio che Ashrawi usò 25 anni fa nel suo libro This Side of Peace [Questo lato della pace], in cui afferma: “Personalmente non aspiro a una posizione e non mi sono impegnata per ottenere potere o benefici. Non voglio niente … non voglio nessun posto ufficiale.”

Eppure dal 1991 Ashrawi ha accettato ripetutamente incarichi ufficiali.

Il professore della Columbia University Joseph Massad fu uno dei primi ad osservare questa tendenza.

In un saggio del 1997 (ripubblicato nel suo libro del 2006 The Persistence of the Palestinian Question [La persistenza della questione palestinese]), Massad indica un certo numero di intellettuali palestinesi, tra cui Ashrawi ed Erekat, che “prima di Oslo minacciavano di dimettersi dalle loro posizioni per protestare contro le concessioni dell’OLP”, ma in seguito hanno continuato a ricoprire incarichi ministeriali nell’ANP.

Negli anni ’90 Ashrawi dichiarò ripetutamente che non avrebbe accettato alcun incarico ufficiale, insistendo in un’occasione sul fatto che il suo rifiuto era “una questione di coscienza e convinzione”.

“Tuttavia la sua successiva accettazione di una posizione ministeriale, “osserva Massad in modo caustico, “dimostra le tendenze mutevoli che la sua coscienza e convinzione subiscono continuamente”.

Resta da vedere se queste saranno le dimissioni definitive di Ashrawi.

Ma, come attestano i precedenti di importanti politici palestinesi, raramente c’è stato un rapporto tra le dimissioni e l’effettiva rinuncia al potere o ai suoi inganni e alle sue trappole.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




È ora di sciogliere l’Autorità Nazionale Palestinese

Asa Winstanley

27 giugno 2020 – Middle East Monitor

L’Autorità  Nazionale Palestinese (ANP) tiene sotto controllo i palestinesi in Cisgiordania dal 1993 e, nella Striscia di Gaza, fino al 2007. Sotto il regime israeliano dell’apartheid, l’ANP non ha l’autorità di fare altrettanto con i coloni israeliani che occupano illegalmente la Cisgiordania, tutto al contrario. Anzi, l’ANP li protegge.

Molti, persino nel movimento di solidarietà palestinese, ne fraintendono totalmente la natura.

L’ANP non ha una reale autorità e il nome è fondamentalmente sbagliato. Le forze di occupazione israeliane hanno un potere di veto totale su tutto quello che essa fa. Né appartiene veramente ai palestinesi, né agisce nell’interesse della loro liberazione.

Volendo essere sinceri, l’ANP agisce da sempre come un subappaltatore per l’occupazione israeliana. Non avrebbe potuto essere nient’altro.

Essa è strutturalmente concepita per servire gli interessi di Israele e della sua occupazione della Cisgiordania e di Gaza. Per quasi 30 anni è stata leale senza riserve nel ricoprire questo ruolo.

Hamas, il movimento islamico di liberazione palestinese, dopo la vittoria nelle elezioni libere ed eque del 2006, aveva tentato per un breve periodo di cambiare l’ANP dall’interno. Questo tentativo è subito fallito a causa di un colpo di stato. La CIA, Israele, la Giordania e altre potenze agirono insieme per eliminare Hamas, confinandolo con successo a Gaza.

Fin dall’inizio tutta la principale funzione dell’ANP è stata quella di reprimere i palestinesi e di sostenere l’occupazione israeliana. In questo modo svolge un utile servizio coloniale per Israele.

L’ANP è il subappaltatore autoctono per l’occupazione israeliana.

La condizione fondamentale delle forze armate dell’ANP, e che spesso non si vuole ammettere, risiede in quello che è eufemisticamente chiamato “coordinamento per la sicurezza”, cioè collaborare con Israele.

Secondo questo accordo, le forze armate dell’ANP arrestano i combattenti della resistenza palestinese e impediscono alla popolazione di fare dimostrazioni contro l’occupazione israeliana, distruggendo la libertà di espressione e altre forme di dissenso contro Israele e il suo subappaltatore, l’ANP.

Anni fa, Mahmoud Abbas, “presidente” a fine mandato dell’ANP, dichiarò in modo scellerato che per lui questa politica di collaborazione [con Israele] era “sacra”. Nessun segnale sarebbe potuto essere più chiaro: questa è l’unica vera funzione dell’ANP.

L’ANP è anche afflitta da corruzione, brutalità e gretta oppressione.

All’inizio del mese c’è stato un esempio particolarmente scioccante. Le forze dell’ANP hanno arrestato il giornalista palestinese Sami Al-Sai per un post su Facebook.

Qual era il suo reato? Forse aveva invocato il rovesciamento armato dell’ANP? Aveva forse incoraggiato le proteste contro di essa? Ne aveva forse svelato la corruzione? No: aveva postato un video totalmente apolitico in cui si vedono dei palestinesi che vendono delle angurie.

Ma, secondo Human Rights Watch, anche una community palestinese di una pagina locale di Facebook di Tulkarem, la città cisgiordana dove il video era stato girato, aveva postato lo stesso video. Gli abitanti del posto avevano pubblicato su quella stessa pagina Facebook delle lamentele relative a presunta corruzione e altri scandali in città, alcune critiche nei confronti di funzionari dell’ANP.

Secondo Human Rights Watch, Al-Sai è in carcere da giovedì.

L’intera faccenda sembra solo un pretesto per arrestare un giornalista e impedirgli di fare il proprio lavoro. Al-Sai è stato arrestato e perseguitato varie volte nel corso degli anni sia dall’ANP che dalle forze di occupazione israeliana.

L’ANP ha una lunga storia di detenzioni e soprusi nei confronti di giornalisti palestinesi i cui articoli non le sono piaciuti.

Nel 2012 ho scritto di parecchi giornalisti palestinesi incarcerati e interrogati dall’ANP in Cisgiordania semplicemente perché stavano svolgendo il proprio compito.

Yousef Al-Shayab ha denunciato un presunto scandalo relativo a un tentativo dell’ANP di controllare dei gruppi di studenti palestinesi in Francia. Anche Tariq Khamis è stato arrestato dopo aver scritto un pezzo su un gruppo di giovani palestinesi che avevano richiesto la fine dei negoziati con Israele.

Se l’ANP avesse fiducia in se stessa permetterebbe ai giornalisti di fare il proprio lavoro,” mi ha detto Khamis. “Ma a causa dei suoi errori e della sua corruzione ha paura di noi.”

A prescindere dalla protezione dei suoi piccoli feudi, la funzione primaria dell’ANP è la protezione di Israele.

È stata strutturata così. È scritto negli accordi di Oslo e nella serie di intese che ne sono seguite.

Intellettuali palestinesi di spicco come Joseph Massad e il compianto Edward Said l’avevano capito immediatamente. Said aveva definito Oslo in modo indimenticabile: “Uno strumento della resa palestinese, una Versailles palestinese.” L’opinione di Said, allora controversa, era però obiettivamente corretta e ha resistito alla prova del tempo.

Come spiega Massad: “L’ANP aveva promesso di porre fine alla resistenza anti-coloniale e alla solidarietà internazionale a sostegno del popolo palestinese come parte della sua capitolazione al colonialismo degli occupanti israeliani, in cambio non di una diminuzione, ma di un aumento della colonizzazione israeliana, sommata a privilegi economici per i funzionari dell’ANP e per gli imprenditori palestinesi che sostengono che i loro profitti sono una specie di ‘vittoria’ sugli israeliani, invece che il prezzo per aver rinunciato ai diritti per il proprio popolo.”

L’ANP non può essere “riformata”, perché la sua sottomissione a Israele non è la conseguenza della sua corruzione, ma piuttosto il contrario. Fin dall’inizio è stata creata per servire Israele e ha svolto bene questa sua funzione.

È ora che l’ANP venga sciolta.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Forze israeliane uccidono un adolescente durante scontri in Cisigordania

Maureen Clare Murphy

14 dicembre 2018, Electronic Intifada

Forze israeliane hanno sparato uccidendo un adolescente nel campo di rifugiati di Jalazone mentre l’esercito ha usato il pugno di ferro nella zona di Ramallah nella Cisgiordania occupata dopo 24 ore di violenza in cui due soldati e quattro palestinesi sono rimasti uccisi.

L’adolescente ucciso è stato identificato come Mahmoud Yousif Nakhla. Il ministero della Sanità della Cisgiordania ha detto che aveva 16 anni, ma secondo alcuni mezzi di informazione ne aveva 18.

L’agenzia di notizie palestinese Ma’an News ha affermato che l’adolescente è stato colpito da una distanza inferiore ai 10 metri e che alcuni soldati hanno cercato di nascondere il suo corpo. Secondo Ma’an paramedici palestinesi sono riusciti a recuperare il corpo di Nakhla solo dopo aver discusso con i soldati per più di 30 minuti.

Alcuni filmati della scena montati insieme mostrano soldati che trascinano e poi trasportano Nakhla, dopo di che fanno la guardia intorno a lui. Il video non sembra mostrare soldati che prestino le prime cure all’adolescente.

Nell’ultimo filmato del montaggio delle immagini Nakhla appare ancora vivo quando i medici palestinesi lo mettono su una barella e lo caricano su un’ambulanza. I media informano che Nakhla era in condizioni critiche quando è arrivato all’ospedale, dove è stato infine dichiarato morto.

Il campo profughi di Jalazone

Il campo profughi di Jalazone, nella parte centrale della Cisgiordania, si trova a soli 200 metri dalla colonia di Beit El, costruita da Israele in violazione delle leggi internazionali, che vietano a una potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori che occupa.

I soldati di guardia alla colonia, finanziata da David Friedman, l’ambasciatore USA in Israele, vessano costantemente i minori del campo.

Negli ultimi anni le forze israeliane che sorvegliano Beit El hanno ucciso e ferito gravemente parecchi ragazzini palestinesi del campo di Jalazone.

Lo scorso anno soldati di una torre di guardia nei pressi di Beit El hanno ferito a morte Jassim Nakhla, 15 anni, e Muhammad Khattab, 17 anni, sparando contro una macchina che trasportava quattro minori ed era ferma sulla strada. Al momento della pubblicazione di questo articolo non è chiaro se Jassim Nakhla fosse un parente diretto di Mahmoud Nakhla.

Venerdì ci sarebbero stati altri due feriti da proiettili veri durante scontri tra le forze israeliane e i palestinesi nei pressi di Ramallah.

Secondo alcune notizie, venerdì pomeriggio un ragazzo palestinese di 17 anni sarebbe stato ferito in modo non grave dopo essere stato colpito al volto da un proiettile d’acciaio ricoperto di gomma durante scontri nel nord della Cisgiordania.

Venerdì le forze israeliane hanno anche aperto il fuoco contro un’ambulanza palestinese ad al-Bireh, nei pressi di Ramallah, la sede dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania.

L’agenzia di notizie Ma’an ha informato che il soccorso medico stava portando un paziente all’ospedale quando i soldati israeliani del checkpoint di Beit El hanno aperto il fuoco contro l’ambulanza.

Sempre venerdì un soldato israeliano sarebbe stato gravemente ferito nell’avamposto militare nei pressi di Beit El dopo essere stato attaccato con una pietra e un coltello da un palestinese che poi è fuggito.

Secondo il “Palestine Prisoners Club” [Associazione dei Prigionieri della Palestina] anche gli uomini armati che hanno ucciso due soldati e ne hanno feriti altri due giovedì sono in fuga mentre l’esercito li ha cercati per il secondo giorno, e giovedì e nelle prime ore di venerdì ha arrestato più di 100 palestinesi in Cisgiordania.

La città di Ramallah è stata chiusa dall’esercito il giorno prima e lo è rimasta anche venerdì.

Secondo la Mezzaluna Rossa palestinese venerdì 25 palestinesi sono rimasti feriti durante scontri con le forze israeliane ad al-Bireh, vicino a Ramallah.

Violenza dell’Autorità Nazionale Palestinese

Nel contempo venerdì, che ha segnato il 31mo anniversario della fondazione del partito avversario, Hamas, le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese hanno aggredito dimostranti che protestavano contro i crimini israeliani e ne avrebbero feriti 5 e arrestati 15.

Il “coordinamento per la sicurezza” tra Israele e le forze dell’ANP gioca un ruolo fondamentale nel reprimere la resistenza palestinese contro l’occupazione militare israeliana.

Le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese si sono anche schierate per disperdere con la forza proteste seguite all’uccisione di Mahmoud Nakhla.

Le forze di sicurezza dell’ANP avrebbero anche arrestato il giornalista Abd al-Karim Museitaf mentre stava informando sulle proteste a Ramallah.

I coloni israeliani hanno continuato ad attaccare palestinesi sulle strade della Cisgiordania, compreso un padre che ha reagito con rabbia e frustrazione dopo che il veicolo su cui stava viaggiando con i suoi figli piccoli è stato colpito da una pietra.

L’uomo ha espresso il suo sdegno per il fatto che i suoi figli non hanno un futuro sotto l’occupazione e potrebbero essere uccisi in qualunque momento dagli israeliani.

Una madre palestinese è stata ferita a morte all’inizio di quest’anno in un attacco simile.

Giovedì notte un autista di autobus palestinese ha avuto il bulbo oculare rotto dopo essere stato picchiato da coloni che hanno usato tirapugni mentre stava lavorando nei pressi di Gerusalemme. Il fratello dell’uomo ha detto ai mezzi di comunicazione che l’autista, che lavora per una compagnia israeliana, “è stato aggredito in un incidente simile lo scorso anno, ma ha continuato a lavorare per mantenere la sua famiglia.”

Nel contempo venerdì almeno 60 manifestanti sono rimasti feriti da proiettili veri in quanto Israele ha continuato a utilizzare mezzi letali contro le dimostrazioni della Grande Marcia del Ritorno lungo il confine orientale di Gaza. Sette paramedici e un giornalista sarebbero rimasti feriti durante le proteste.

Finora quest’anno circa 300 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane.

Secondo il gruppo per i diritti umani “Al Mezan”, a Gaza, durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno, 175 palestinesi sono stati uccisi dal loro inizio il 30 marzo, “compresi 34 minori, una donna, due giornalisti, tre paramedici e sei disabili, tra cui un minore.”

Circa altri 13.000 sono stati feriti durante le proteste, di cui più di 7.200 da proiettili veri.

Quest’anno sono stati uccisi dai palestinesi quindici israeliani.

(traduzione di Amedeo Rossi)