La storia riconoscerà che Israele ha commesso un olocausto

Susan Abulhawa

6 marzo 2024 – The Electronic Intifada

In questo momento a Gaza e in Palestina sono le 20:00: è la fine del mio quarto giorno a Rafah e il primo momento in cui ho potuto sedermi in un posto tranquillo per riflettere.

Ho provato a prendere appunti, foto, immagini mentali, ma questo è un momento troppo grande per un taccuino o per la mia memoria in difficoltà. Niente mi aveva preparato a ciò a cui avrei assistito.

Prima di attraversare il confine tra Rafah e l’Egitto ho letto tutte le notizie provenienti da Gaza o su Gaza. Non ho distolto lo sguardo da nessun video o immagine inviata dal territorio, per quanto fosse raccapricciante, scioccante o traumatizzante.

Sono rimasta in contatto con amici che hanno riferito della loro situazione nel nord, nel centro e nel sud di Gaza – ciascuna area soffre in modi diversi. Sono rimasta aggiornata sulle ultime statistiche, sulle ultime mosse politiche, militari ed economiche di Israele, degli Stati Uniti e del resto del mondo.

Pensavo di aver capito la situazione sul campo. Ma non è così.

Niente può veramente prepararti a questa distopia. Ciò che raggiunge il resto del mondo è una frazione di ciò che ho visto finora, che è solo una frazione della totalità di questo orrore.

Gaza è un inferno. È un inferno brulicante di innocenti che boccheggiano in cerca di aria.

Ma qui anche l’aria è bruciata. Ogni respiro irrita la gola e i polmoni e vi si attacca.

Ciò che una volta era vibrante, colorato, pieno di bellezza, possibilità e speranza contro ogni aspettativa, è avvolto da un grigiore di sofferenza e sporcizia.

Quasi nessun albero

Giornalisti e politici la chiamano guerra. Gli informati e gli onesti lo chiamano genocidio.

Quello che io vedo è un olocausto, lincomprensibile culmine di 75 anni di impunità israeliana per i ripetuti crimini di guerra.

Rafah è la parte più meridionale di Gaza, dove Israele ha stipato 1,4 milioni di persone in uno spazio grande quanto laeroporto di Heathrow a Londra.

Scarseggiano acqua, cibo, elettricità, carburante e provviste. I bambini sono privati della scuola: le loro aule sono state trasformate in rifugi di fortuna per decine di migliaia di famiglie.

Quasi ogni centimetro dello spazio precedentemente vuoto è ora occupato da una fragile tenda che ospita una famiglia.

Non è rimasto quasi nessun albero poiché le persone sono state costrette ad abbatterli per produrre legna da ardere.

Non ho notato lassenza di verde finché non mi sono imbattuta in una bouganville rossa. I suoi fiori erano polverosi e soli in un mondo deflorato, ma ancora vivi.

La discrepanza mi ha colpito e ho fermato l’auto per fotografarla.

la bouganvillea sopravissuta a Gaza (Susan Abulhawa)

Ora cerco il verde e fiori ovunque vada, finora nelle zone meridionali e centrali (anche se nel centro è diventato sempre più difficile entrare). Ma ci sono solo piccole macchie derba qua e là e qualche albero occasionale che aspetta di essere bruciato per cuocere il pane per una famiglia che sopravvive con le razioni ONU di fagioli in scatola, carne in scatola e formaggio in scatola.

Un popolo orgoglioso con ricche tradizioni e consuetudini culinarie a base di alimenti freschi è stato ridotto e abituato a una manciata di impasti e poltiglie rimaste sugli scaffali per così tanto tempo che può essere avvertito solo il sapore metallico e rancido delle lattine.

Al nord è peggio.

Il mio amico Ahmad (non è il suo vero nome) è una delle poche persone che hanno Internet. Il segnale è sporadico e debole, ma possiamo ancora scambiarci messaggi.

Mi ha inviato una sua foto in cui sembrava l’ombra del giovane che conoscevo. Ha perso più di 25 kg.

Inizialmente le persone si sono ridotte a nutrirsi di mangime per cavalli e asini, ma è finito. Ora stanno mangiando gli asini e i cavalli.

Alcuni mangiano cani e gatti randagi che a loro volta stanno morendo di fame e talvolta si nutrono dei resti umani che ricoprono le strade, dove i cecchini israeliani hanno preso di mira le persone che hanno osato avventurarsi nel campo visivo dei loro mirini. I vecchi e i più deboli sono già morti di fame e di sete.

La farina è scarsa e più preziosa delloro.

Ho sentito la storia di un uomo nel nord che di recente è riuscito a mettere le mani su un sacco di farina (che normalmente costava 7 euro) e gli sono stati offerti gioielli, dispositivi elettronici e contanti per un valore di 2.300 euro. Ha rifiutato.

Sentirsi piccoli

A Rafah le persone si sentono privilegiate nel ricevere farina e riso. Te lo diranno e ti sentirai umiliato perché si offrono di condividere quel poco che hanno.

E ti vergognerai perché sai che puoi lasciare Gaza e mangiare quello che vuoi. Ti sentirai piccolo qui perché non sei in grado di fare davvero nulla per placare il bisogno e la perdita catastrofici e perché capirai che loro sono migliori di te, poiché in qualche modo sono rimasti generosi e ospitali in un mondo che è stato tanto e per così tanto tempo ingeneroso e inospitale nei loro confronti.

Ho portato tutto quello che potevo, pagando il bagaglio extra e il peso di sei bagagli e aggiungendone altri 12 in Egitto. Per me ho portato quello che stava nello zaino.

Ho avuto la lungimiranza di portare cinque grandi sacchi di caffè, che si è rivelato essere il regalo più apprezzato dai miei amici qui. Preparare e servire il caffè ai colleghi di lavoro del luogo in cui mi trovo è la cosa che preferisco fare, per la gioia assoluta che ogni sorso sembra portare.

Ma anche quello presto finirà.

Difficile respirare

Ho assunto un autista per trasferire sette pesanti valigie di rifornimenti a Nuseirat [campo profughi al centro della Striscia, ndt.], e lui le ha trasportate giù per alcune rampe di scale. Mi ha detto che portare quelle borse lo faceva sentire di nuovo umano perché era la prima volta in quattro mesi che andava su e giù per le scale.

Gli ha ricordato di quando viveva in una casa invece che nella tenda dove ora abita.

È difficile respirare qui, letteralmente e metaforicamente. Una foschia immobile di polvere, degrado e disperazione intride l’aria.

La distruzione è così massiccia e persistente che le particelle sottili della vita polverizzata non hanno il tempo di depositarsi. La mancanza di benzina ha portato le persone a riempire le loro auto di stearato, olio esausto che ha una combustione sporca.

Emette un odore particolarmente sgradevole e una pellicola che si attacca all’aria, ai capelli, ai vestiti, alla gola e ai polmoni. Mi ci è voluto un po’ per capire la fonte di quell’odore pervasivo, ma è facile riconoscere gli altri.

La scarsità di acqua corrente o pulita compromette l’igiene di chiunque di noi. Tutti fanno del loro meglio nella cura di sé stessi e dei propri figli, ma a un certo punto smetti di farci caso.

Ad un certo punto lumiliazione della sporcizia è inevitabile. Ad un certo punto aspetti semplicemente la morte, proprio come aspetti anche un cessate il fuoco.

Ma la gente non sa cosa farà dopo il cessate il fuoco.

Hanno visto le foto dei loro quartieri. Quando vengono pubblicate nuove immagini provenienti dall’area settentrionale le persone si ritrovano insieme per cercare di capire di quale quartiere si tratti, o da chi fosse la casa ridotta in quel cumulo di macerie. Spesso questi video provengono da soldati israeliani che occupano o fanno saltare in aria le loro case.

Cancellazione

Ho parlato con molti sopravvissuti estratti dalle macerie delle loro case. Raccontano quello che è successo con espressione impassibile, come se non fosse capitato a loro; come se sia stata sepolta viva la famiglia di qualcun altro; come se i loro corpi straziati appartenessero ad altri.

Gli psicologi dicono che si tratta di un meccanismo di difesa, una sorta di intorpidimento della mente finalizzato alla sopravvivenza. La resa dei conti arriverà più tardi, se sopravvivranno.

Ma come si può affrontare la perdita dell’intera famiglia, mentre si osservano i corpi disintegrarsi tra le macerie e si avverte l’odore, mentre si attende il salvataggio o la morte? Come si fa a considerare la cancellazione totale della propria esistenza nel mondo: la casa, la famiglia, gli amici, la salute, l’intero quartiere e il paese?

Nessuna foto della tua famiglia, del tuo matrimonio, dei tuoi figli, dei tuoi genitori; anche le tombe dei tuoi cari e dei tuoi antenati sono state rase al suolo. Tutto questo mentre le forze e le voci più potenti ti diffamano e ti incolpano per il tuo miserabile destino.

Il genocidio non è solo un omicidio di massa. È una cancellazione intenzionale.

Di storie. Di ricordi, libri e cultura.

Cancellazione delle risorse di una terra. Cancellazione della speranza in e per un luogo.

Cancellazione come impulso alla distruzione di case, scuole, luoghi di culto, ospedali, biblioteche, centri culturali, centri ricreativi e università.

Il genocidio è la demolizione intenzionale dellumanità di un altro. È la riduzione di unantica società orgogliosa, istruita e ben funzionante a oggetti di carità privi di mezzi, costretti a mangiare lindicibile per sopravvivere; vivere nella sporcizia e nella malattia senza nulla in cui sperare se non la fine delle bombe e dei proiettili che piovono sui loro corpi, sulle loro vite, sulle loro storie e sul loro futuro.

Nessuno può pensare o sperare in ciò che potrebbe accadere dopo un cessate il fuoco. Il massimo possibile delle loro speranze in questo momento è che i bombardamenti cessino.

È il minimo che si può chiedere. Un minimo riconoscimento dellumanità dei palestinesi.

Nonostante Israele abbia tagliato l’energia e Internet i palestinesi sono riusciti a trasmettere in streaming limmagine del loro stesso genocidio a un mondo che permette che questo vada avanti.

Ma la storia non mentirà. Ricorderà che nel 21° secolo Israele ha perpetrato un olocausto.

Susan Abulhawa è una scrittrice e attivista. Questo pezzo è stato scritto durante la sua visita a Gaza a febbraio e all’inizio di marzo.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Secondo esperti dell’ONU donne e ragazze palestinesi nelle carceri israeliane subiscono stupri e aggressioni sessuali

Katherine Hearst

19 febbraio 2024 – Middle East Eye

I relatori condannano anche episodi di ‘esecuzioni arbitrarie’ di donne e minori durante la guerra di Israele contro Gaza

Lunedì esperti ONU hanno denunciato stupri e aggressioni sessuali di donne e ragazze palestinesi detenute dagli israeliani.

Gli esperti indipendenti, che fanno parte dei meccanismi di accertamento e monitoraggio del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, hanno confermato in una dichiarazione di aver ricevuto resoconti di detenute palestinesi sottoposte a “varie forme di aggressioni sessuali,” con almeno due che sarebbero state stuprate mentre altre sarebbero state minacciate di stupro e violenza sessuale. 

Hanno anche descritto donne perquisite da ufficiali israeliani maschi e osservato la circolazione di immagini degradanti di detenute messe online da soldati israeliani.

Il comunicato cita anche almeno una segnalazione di una donna che sarebbe stata tenuta in una gabbia esposta agli elementi.

Secondo il comunicato, dal 7 ottobre “centinaia” di donne e ragazze palestinesi sono state detenute arbitrariamente e sottoposte a “trattamenti disumani e degradanti,” come aggressioni sessuali, pestaggi e privazioni di cibo, medicine e prodotti per il ciclo.

Gli esperti hanno anche espresso “sgomento” per i resoconti di esecuzioni arbitrarie di donne e minori palestinesi che si erano rifugiate o scappavano dall’aggressione israeliana.

Quando sono state uccise dall’esercito israeliano o da forze affiliate avrebbero sventolato bandiera bianca,” dicono gli esperti.

A gennaio un video pubblicato d Middle Est Eye ha mostrato Hala Rashid Abd al-Ati in fuga da Gaza City che veniva uccisa mentre il nipote sventolava una bandiera bianca.

Il documento sottolinea che un numero sconosciuto di donne e minori palestinesi sarebbe scomparso dopo essere entrato in contatto con l’esercito israeliano. 

Gli esperti aggiungono di aver ricevuto “resoconti inquietanti di almeno una neonata portata in Israele con la forza dall’esercito israeliano e di minori separati dai genitori e che non si sa dove si trovino”.

Israele ha respinto le accuse giudicandole “spregevoli e infondate.”

“È chiaro che i co-firmatari sono motivati non dalla verità ma dal loro odio per Israele e il suo popolo,” dicono le autorità israeliane in un comunicato.

Tipologia di una tendenza

Gli esperti hanno richiesto un’indagine indipendente riguardo le asserzioni che secondo loro “costituiscono gravi crimini ai sensi del diritto penale internazionale che potrebbero essere perseguite ai sensi dello Statuto di Roma.”

I responsabili di questi presunti crimini devono essere ritenuti responsabili e le vittime e le loro famiglie hanno diritto ad avere giustizia e a un risarcimento,” aggiungono.

A dicembre la Commissione per gli affari dei detenuti ed ex detenuti dell’Autorità Palestinese ha confermato che al momento nelle carceri israeliane si trovano almeno 142 donne, anche anziane e bambine piccole. 

In una dichiarazione comune con il Club dei Prigionieri Palestinesi la commissione riferisce di “crimini orrendi” perpetrati contro le prigioniere. 

Dal 7 ottobre donne e ragazze rappresentano il 70% delle morti a Gaza, mentre dal 2008 al 7 ottobre 2023 esse rappresentavano meno del 14% delle 6.542 morti palestinesi documentate dall’ONU.

Il massacro autorizzato di decine di migliaia di civili a Gaza, di cui il 70% donne e bambini, non può essere considerato nient’altro che la tipologia di una tendenza che esiste da tempo: il nostro ingresso ufficiale in uno spazio e tempo in cui non c’è nessuna considerazione per le vite, la dignità e l’umanità di donne e bambini. Punto,” ha scritto a gennaio su Middle East Eye Reem Alsalem, il relatore speciale sulla violenza contro donne e ragazze.

L’attacco guidato da Hamas contro il sud di Israele il 7 ottobre ha massacrato 1.139 persone, in grande maggioranza civili. Circa 240 persone sono state rapite e portate come ostaggi a Gaza.

Il successivo attacco israeliano contro Gaza ha ucciso circa 30.000 palestinesi, in maggioranza donne e minori, e distrutto quasi tutte le infrastrutture civili e le abitazioni dell’enclave. 

I feroci bombardamenti israeliani di obiettivi civili ha spinto il Sudafrica a intentare una causa presso la Corte Internazionale di Giustizia accusando Israele di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza.

Il 26 gennaio la Corte ha annunciato misure provvisorie che chiedono ad Israele di impedire e punire atti e incitamento al genocidio. 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Alcune fonti rivelano che Israele sta monitorando i dati statunitensi sugli attacchi dei coloni per contrastare le sanzioni

Yuval Abraham

14 febbraio 2024 – +972

Fonti di intelligence affermano che Israele cerca di contrastare le informazioni inviate privatamente agli Stati Uniti dall’Autorità Palestinese poiché teme provvedimenti contro i coloni violenti in Cisgiordania.

+972 Magazine e Local Call hanno appreso che negli ultimi mesi Israele ha monitorato le informazioni fornite agli Stati Uniti dall’Autorità Palestinese riguardo alla violenza dei coloni nella Cisgiordania occupata.

Fonti dell’intelligence israeliana hanno detto ad entrambe le testate di aver monitorato le informazioni passate attraverso canali privati dall’Autorità Palestinese all’Ufficio del Coordinatore della Sicurezza degli Stati Uniti per Israele e l’Autorità Palestinese (USSC) di Gerusalemme al fine di “capire cosa sanno gli Stati Uniti della violenza dei coloni”. L’intenzione, hanno spiegato, non è quella di agire contro gli autori dei reati ma di evitare che le informazioni raccolte “si trasformino in sanzioni”.

I funzionari statunitensi, che hanno confermato che funzionari dell’Autorità Palestinese hanno inviato una grande quantità di informazioni all’USSC sugli episodi di violenza dei coloni, hanno detto a +972 e Local Call che queste informazioni hanno contribuito in parte alla decisione del presidente Joe Biden all’inizio di questo mese di imporre sanzioni contro quattro coloni noti per aver attaccato palestinesi e attivisti israeliani di sinistra. I funzionari hanno aggiunto che le informazioni hanno portato negli ultimi mesi all’inclusione di decine di altri coloni in una “lista nera” che vieta loro l’ingresso negli Stati Uniti.

L’USSC è stato istituito nel 2005 ed è responsabile delle relazioni tra gli Stati Uniti e le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese, nonché del coordinamento della sicurezza tra Israele e l’Autorità Palestinese. Dal novembre 2021 l’ufficio è diretto dal tenente generale Michael R. Fenzel che, secondo le fonti, sta lavorando attivamente per prevenire la violenza dei coloni, con la consapevolezza che essa mina la stabilità regionale e indebolisce lo status dell’Autorità Palestinese agli occhi dell’opinione pubblica palestinese.

Vogliamo sapere cosa sanno gli americani”, ha detto una fonte israeliana a +972 e Local Call. “L’obiettivo è sapere cosa ci può succedere quando Fenzel arriverà e chiederà ragione di questi casi. Non si tratterebbe di inseguire i coloni e arrestarli: ecco perché molte persone qui si sono sentite a disagio. La preoccupazione per ciò che sanno gli americani deriva dal [comprendere] che intendono fare qualcosa con queste informazioni”, ha continuato la fonte. “Qui tutti conoscono il nome di Fenzel. Gli americani chiedono conto a Israele e gli israeliani si sentono in imbarazzo. Il fatto che ci venga chiesto di cercare informazioni indica che Israele non ha buone risposte”.

Secondo un’altra fonte israeliana che ha parlato con +972 e Local Call, i ranghi politico-diplomatici in Israele vedono la crescente preoccupazione internazionale per la violenza dei coloni come “pressione politica”, e stanno quindi cercando di dimostrare che la portata del fenomeno non è così ampia come sostengono gli americani. Ecco perché, ha detto la fonte, “stiamo lavorando per contribuire a confutare queste accuse o evitare che si trasformino in sanzioni. Il ceto politico è preoccupato che vengano adottate tutte le tipologie di azioni internazionali che costringeranno Israele ad affrontare questo problema”.

Probabili ulteriori sanzioni

+972 e Local Call hanno ottenuto copie dei materiali che i funzionari dell’Autorità Palestinese avevano raccolto e inviato all’USSC. Questi materiali, che non sono disponibili al pubblico e sono stati trasmessi attraverso canali privati, includono rapporti con una breve descrizione di centinaia di incidenti violenti avvenuti in Cisgiordania dopo il 7 ottobre.

Queste informazioni sono utili agli Stati Uniti perché fanno luce sulla portata del fenomeno della violenza dei coloni. A differenza delle informazioni raccolte dall’ONU, ad esempio, che si concentrano principalmente sui casi in cui le persone vengono uccise o ferite o in cui si verificano danni alle proprietà, l’Autorità Palestinese documenta sistematicamente anche casi di minacce ed espulsioni dai pascoli.

In totale i funzionari dell’AP hanno fornito all’USSC i dettagli di centinaia di episodi di violenza da parte dei coloni a partire dal 7 ottobre. Questi includono espulsioni da piccoli villaggi e frazioni palestinesi, attacchi incendiari, sparatorie che hanno ucciso otto palestinesi, circa 100 casi in cui i coloni hanno aperto il fuoco contro i palestinesi o le loro case e centinaia di attacchi contro pastori palestinesi, comprese minacce e atti vandalici.

La maggior parte degli incidenti si sono verificati nell’Area C che costituisce due terzi della Cisgiordania ed è sotto il pieno controllo militare e civile israeliano, dove almeno 16 comunità palestinesi sono state allontanate dall’inizio della guerra dalla violenza dei coloni.

L’USSC non si basa esclusivamente sulle informazioni trasmesse dall’Autorità Palestinese, ma piuttosto raccoglie testimonianze delle violenze da parte dei coloni da varie fonti, tra cui l’ONU, e poi condivide questi casi con le agenzie di sicurezza israeliane per chiedere loro di adottare misure per fermare la violenza. Secondo i funzionari statunitensi la decisione di Biden di imporre sanzioni è il risultato della mancanza di un’efficace azione israeliana in merito.

Una fonte con conoscenza diretta del processo all’origine delle recenti sanzioni statunitensi ha detto a +972 e Local Call che è probabile un altro annuncio di sanzioni economiche da parte della Casa Bianca, che potrebbe includere anche coloni israeliani di alto livello e alti funzionari pubblici con un passato di violenza contro i palestinesi. Secondo la fonte anche la “lista nera” dei coloni soggetti a divieto di viaggio potrebbe ampliarsi e il numero finale potrebbe raggiungere “centinaia di coloni”.

Secondo un’altra fonte, un alto funzionario statunitense, le sanzioni economiche imposte contro quattro coloni dall’ordine esecutivo di Biden del 1febbraio sono state formulate dopo un’indagine approfondita che includeva la raccolta di informazioni da varie fonti e non si basava esclusivamente sull’USSC. Il fascicolo su ciascuno di questi coloni, ha detto la fonte, contiene prove inequivocabili del coinvolgimento nelle violenze che confermano le accuse contro di loro.

Nel suo ordine esecutivo Biden ha scritto che “la situazione in Cisgiordania, in particolare gli alti livelli di violenza estremista dei coloni, lo sfollamento forzato di persone e villaggi e la distruzione di proprietà ha raggiunto livelli intollerabili e costituisce una seria minaccia alla pace, alla sicurezza e stabilità della Cisgiordania e di Gaza, di Israele e della più ampia regione del Medio Oriente”. La dichiarazione includeva anche dettagli sui reati commessi dai quattro coloni: David Chai Hasdai, Einan Tanjil, Shalom Zicherman e Yinon Levi.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in risposta a queste sanzioni ha affermato che “Israele agisce ovunque contro i trasgressori, non c’è quindi bisogno di misure eccezionali per questi eventi”. Ma secondo un’indagine condotta dal gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din, il 97% dei 1.664 fascicoli della polizia israeliana aperti tra il 2005 e il 2023 riguardanti la violenza dei coloni sono stati chiusi senza condannare alcun colono. Nell’81% circa dei casi i fascicoli sono stati chiusi perché la polizia non ha identificato prove o colpevoli.

Nel dicembre dello scorso anno il segretario di Stato Antony Blinken dichiarò che gli Stati Uniti avevano iniziato a inserire nella lista nera i “coloni estremisti” a cui sarebbe stato vietato l’ingresso nel paese. Questo annuncio aveva innescato una reazione a catena, con diversi Stati europei che avevano seguito l’esempio e, secondo quanto riferito, l’Unione Europea sta valutando la possibilità di imporre proprie sanzioni per impedire ai “coloni estremisti” di entrare nel territorio dell’UE. All’inizio di questa settimana, il Regno Unito ha annunciato le proprie sanzioni contro quattro coloni (solo uno dei quali tra i quattro presi di mira dall’ordine di Biden), e la Francia ha imposto un divieto di viaggio a 28 coloni di cui non ha dato i nomi.

+972 e Local Call hanno contattato il portavoce dell’ambasciata americana per un commento, il quale ha risposto: “Secondo la nostra politica non commentiamo questioni di intelligence e vi rimandiamo al governo di Israele”. L’ufficio del primo ministro israeliano ha rifiutato di commentare.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Se l’esercito israeliano invade Rafah, cosa ne sarà dei più di 1,5 milioni di palestinesi che vi si sono rifugiati?

Amira Haas

10 febbraio 2024 – Haaretz

Un’invasione israeliana di Rafah porterà a un esodo di massa di circa un milione di palestinesi in preda al panico. L’IDF pianifica di conciliarlo con l’ordinanza della CIG secondo cui Israele deve prendere ogni misura per evitare atti di genocidio.

Dato che Yahya Sinwar, i suoi stretti collaboratori e i miliziani di Hamas non sono mai stati trovati, prima a Gaza City e poi neppure a Khan Younis, l’esercito israeliano sta prendendo in considerazione di estendere la sua campagna di terra nella città meridionale di Rafah a Gaza. L’esercito sta facendo questo perché ritiene che Sinwar e i suoi aiutanti si nascondano nei tunnel sotto questa zona del sud della Striscia di Gaza, presumibilmente insieme agli ostaggi israeliani che sono ancora in vita. La stragrande maggioranza degli abitanti della Striscia di Gaza, 1,4 milioni di persone, è concentrata a Rafah. Decine di migliaia stanno ancora fuggendo nella cittadina da Khan Younis, dove i combattimenti continuano. Il pensiero che Israele invaderà Rafah e che vi avranno luogo combattimenti in mezzo ai civili terrorizza gli abitanti della città e le persone che vi si trovano come sfollati interni. Il terrore che provano è acuito dalla conclusione che nessuno possa impedire a Israele di mettere in atto le sue intenzioni, neppure la sentenza della CIG che ordina a Israele di prendere ogni misura per evitare azioni di genocidio. I corrispondenti militari israeliani riportano e ipotizzano che l’esercito intenda ordinare agli abitanti di Rafah di spostarsi in una zona sicura. Da quando la guerra è iniziata l’esercito ha sventolato questo ordine di evacuazione come una prova che sta agendo per prevenire danni a “civili non coinvolti”. Tuttavia questa zona sicura, che è stata ed è ancora bombardata da Israele, si sta progressivamente stringendo. In realtà l’unica zona sicura che rimane e che ora l’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] sta indicando alla massa di persone a Rafah è Al-Mawasi, un’area costiera del sud di Gaza di circa 16 km2. Non è ancora chiaro con quali formulazioni a parole l’IDF e i suoi esperti giuridici intendano conciliare il fatto di ammassare così tanti civili con le indicazioni impartite dalla CIG. “La zona umanitaria indicata dall’esercito è più o meno delle dimensioni dell’aeroporto internazionale Ben-Gurion (circa 16,3 km2),” hanno concluso i giornalisti di Haaretz Yarden Michaeli e Avi Scharf nel loro articolo all’inizio di questa settimana. Il reportage, intitolato “I gazawi scappano dalle loro case. Non hanno nessun posto a cui tornare,” ha svelato le estese distruzioni nella Striscia di Gaza riprese da immagini satellitari. Il paragone con l’aeroporto internazionale Ben-Gurion ci spinge a ipotizzare una densità al di là dell’immaginabile, ma i commentatori della televisione israeliana non vanno molto più in là dell’approfondita opinione secondo cui l’invasione di terra a Rafah in effetti “non sarà poi così semplice”. Anche se difficile, dobbiamo immaginare ciò che attende i palestinesi a Rafah se il piano dell’esercito verrà messo in pratica. Lo dobbiamo fare non tanto per considerazioni di carattere umanitario o morale, che dopo il 7 ottobre non sono così importanti per la maggioranza dell’opinione pubblica ebrea israeliana, ma a causa delle complicazioni di carattere militare, umanitario e, alla fine, giuridico e politico che sicuramente sono prevedibili se continuiamo su quella strada.

La compressione

Anche se “solo” circa un milione di palestinesi scapperanno per la terza o quarta volta ad Al-Mawasi, un’area che è già piena di gazawi sfollati, la densità sarà all’incirca di 62.500 persone per km2”. Ciò avverrà in una zona aperta senza grandi edifici per ospitare gli sfollati, dove non ci sono acqua corrente, privacy, mezzi di sostentamento, ospedali o ambulatori medici, pannelli solari né la possibilità di caricare i telefonini e tutto il resto, mentre le organizzazioni umanitarie dovranno attraversare o passare nei pressi delle zone di combattimento per distribuire quel poco di cibo che entra nella Striscia di Gaza. Pare che l’unica condizione in cui questa ristretta area potrebbe accogliere tutti quanti sarebbe se stessero in piedi o in ginocchio. Forse sarà necessario formare commissioni speciali che stabiliranno accordi per dormire a turno: qualche migliaio si sdraierà mentre gli altri continueranno a stare svegli in piedi. Sopra il ronzio dei droni e sotto i pianti dei bambini nati durante la guerra e le cui madri non avranno latte o non ne avranno abbastanza, questa sarà la snervante colonna sonora.dell’IDF e le battaglie a Gaza City e Khan Younis, è chiaro che l’operazione di terra a Rafah, se effettivamente ci sarà, durerà molte settimane. Israele crede che la CIG considererà la compressione di centinaia di migliaia o un milione di palestinesi in un piccolo fazzoletto di terra come una “misura” adeguata per evitare un genocidio?

La marcia per fuggire

Prima della guerra nel distretto di Rafah vivevano circa 270.000 palestinesi. Il milione e mezzo che attualmente vi si trova patisce fame e malnutrizione, sete, freddo, malattie ed epidemie, pidocchi nei capelli ed eruzioni cutanee; soffrono di esaurimento fisico e mentale e mancanza cronica di sonno.Si ammassano in scuole, ospedali e moschee, in quartieri di tende che sono spuntati dentro e attorno a Rafah, in alloggi che ospitano decine di famiglie di sfollati. Decine di migliaia di loro sono feriti, alcuni con arti amputati per gli attacchi dell’esercito o le operazioni chirurgiche che ne sono conseguite. Hanno tutti parenti o amici, bambini, neonati e genitori anziani, che sono stati uccisi negli ultimi 4 mesi.

Una delle tante tende di fortuna eretta a Rafah nel sud della Striscia. Foto: Ibraheem Abu Mustafa / Reuters

Le case della maggior parte di loro sono state distrutte o gravemente danneggiate. Tutto ciò che possedevano è andato perso. Il loro denaro è stato speso a causa del prezzo esorbitante del cibo. Molti sono sfuggiti alla morte solo per caso e hanno assistito a scene spaventose di cadaveri. Non hanno ancora pianto i morti perché il trauma continua. Insieme alle dimostrazioni di appoggio e solidarietà ci sono state anche discussioni e scontri. Alcuni hanno perso la memoria e la salute mentale per tutto quello che hanno subito. Come è stato fatto in altre zone della Striscia, per mantenere l’effetto sorpresa, l’IDF diffonderà un avvertimento circa due ore prima di un’invasione di terra a Rafah. Quel giorno ciò lascerà un lasso di tempo di qualche ora per evacuare la città. Immaginate questa carovana di sfollati e il panico di massa delle persone che scappano verso Al-Mawasi a ovest. Pensate agli anziani, ai malati, ai disabili e ai feriti che saranno “fortunati” ad essere trasportati su carri trainati da asini o da carretti improvvisati e in macchine che viaggiano con olio da cucina. Tutti gli altri, malati o sani, dovranno andarsene a piedi. Probabilmente dovranno lasciarsi dietro il poco che sono riusciti a raccogliere e portare con sé nei precedenti spostamenti, come coperte e teli di plastica come riparo, vestiti pesanti, un po’ di cibo e oggetti indispensabili come piccoli fornelli.

Distruzione a Rafah giovedì 8 febbraio 2024 a Rafah. Foto: Ibraheem Abu Mustafa / Reuters

Questa fuga forzata probabilmente attraverserà le rovine di alcuni edifici bombardati da Israele non molto tempo fa, o i crateri creati sulla strada dagli attacchi. Tutto il convoglio allora si fermerà ancora finché non avrà trovato una deviazione.Alcuni inciamperanno, un carretto rimarrà impantanato. E tutti,affamati e assetati, terrorizzati dall’imminente attacco o dal bombardamento incombente dei carrarmati, continuerà ad andare avanti. Bambini piangeranno e verranno persi. Persone si sentiranno male. Squadre mediche lotteranno per raggiungere chiunque abbia bisogno di cure. Solo 4 km separano Rafah da Al-Mawasi, ma ci vorranno ore per arrivarci. Le persone in marcia verranno tagliate fuori da ogni possibilità di comunicare, anche solo a causa della quantità di gente in marcia e del sovraffollamento. Nella zona dovranno lottare per trovare lo spazio dove sistemare una tenda. Dovranno lottare con chi riesce a stare più vicino possibile a un edificio o a un pozzo per l’acqua. Sveniranno per la sete e la fame. Questa immagine si ripeterà svariate volte nei prossimi giorni: una marcia di palestinesi affamati e terrorizzati inizia a scappare nel panico ogni volta che l’IDF annuncia un’altra zona i cui abitanti dovrebbero evacuare, mentre carrarmati e truppe di fanteria avanzano verso di loro. Il bombardamento e le truppe di terra saranno più vicini agli ospedali che stanno ancora funzionando. Carrarmati li accerchieranno e a tutti i pazienti e al personale medico verrà chiesto di andarsene nell’affollata zona di Al-Mawasi.

L’operazione di terra

È difficile sapere quanti di loro decideranno di non andarsene. Come abbiamo imparato da quello che è successo nei distretti settentrionali di Gaza e di Khan Younis, un numero significativo di abitanti preferisce rimanere in una zona che è destinata a un’operazione di terra. Tra loro ci saranno decine di migliaia di sfollati, gazawi malati e gravemente feriti che sono stati ricoverati negli ospedali, donne incinte e altri che decideranno di rimanere nelle proprie case e in quelle di parenti o nelle scuole trasformate in rifugi. Le poche informazioni che avranno dalle zone di concentrazione di Al-Mawasi saranno sufficienti a scoraggiarli dal raggiungerle. Soldati e comandanti dell’IDF, tuttavia, interpretano l’ordine di evacuazione in modo diverso: chiunque rimanga nella zona destinata all’invasione di terranon è considerato un civile innocente, non è considerato “non coinvolto”. Chiunque rimanga nella propria casa ed esca per prendere l’acqua da una struttura della città che stia ancora funzionando o da un pozzo privato, personale medico chiamato per curare un paziente, una donna incinta che cammina verso un ospedale vicino per partorire, tutti, come abbiamo visto durante la guerra e le scorse campagne militari, sono considerati criminali agli occhi dei soldati. Sparare e ucciderli segue le regole di ingaggio dell’IDF. Secondo l’esercito questi attacchi avvengono rispettando le leggi internazionali perché tali individui sono stati avvertiti che dovevano andarsene. Persino quando i soldati fanno irruzione in case durante i combattimenti i gazawi, per lo più uomini, rischiano la morte colpiti da armi da fuoco. Un soldato che spara a qualcuno perché si sente minacciato o segue gli ordini, non importa. È successo a Gaza City e può avvenire a Rafah. Così come le squadre di soccorso non sono autorizzate o non sono in grado di raggiungere il nord della Striscia di Gaza per distribuire cibo, non potranno distribuirlo nelle zone dei combattimenti a Rafah. Il poco cibo che gli abitanti sono riusciti a conservare gradualmente finirà. Chi rimane nella propria casa sarà obbligato a scegliere il minore tra due mali:o esce e rischia di essere colpito dal fuoco israeliano o muore di fame in casa. La maggior parte già soffre per la grave carenza nutrizionale. In molte famiglie gli adulti rinunciano al cibo in modo che i figli possano essere nutriti. C’è il concreto pericolo che molti muoiano di fame mentre sono a casa propria quando fuori i combattimenti infuriano.

I bombardamenti

Da quando è iniziata la guerra l’esercito ha bombardato edifici residenziali, zone aperte e auto di passaggio in ogni luogo che aveva definito come “sicuro” (ai cui abitanti non era stato chiesto di andarsene). Non importa se gli attacchi hanno preso di mira strutture di Hamas, i miliziani dell’organizzazione o altri membri che sono rimasti con le loro famiglie o che erano usciti dai nascondigli per andarli a trovare, i civili sono quasi sempre uccisi.I bombardamenti non sono ancora neppure finiti a Rafah. Giovedì notte due case sono state bombardate nel quartiere occidentale di Rafah, Tel al-Sultan a Rafah. Secondo fonti palestinesi 14 persone, tra cui 5 minori, sono state uccise.

Una scena di dolore per la morte di un bambino ucciso in un bombardamento a Rafah l’8 febbraio. Foto: Ibraheem Abu Mustafa / Reuters

Le fonti hanno anche affermato che il 7 febbraio una madre e la figlia sono state uccise in un attacco israeliano contro una casa nel nord di Rafah e che il giorno prima un giornalista è stato ucciso insieme a madre e sorella nella parte occidentale di Rafah. Sempre il 6 febbraio, secondo le fonti, sei poliziotti palestinesi sono stati uccisi in un attacco israeliano mentre stavano proteggendo un camion di aiuti nell’est di Rafah.Questi attacchi segnalano che i calcoli sui cosiddetti danni collaterali approvati dagli esperti giuridici dell’IDF e dall’ufficio del procuratore generale sono estremamente permissivi. Il numero di palestinesi non coinvolti che è “permesso” uccidere per colpire un bersaglio dell’esercito è più alto che in qualunque altra guerra. La gente di Rafah teme che l’IDF applicherà questi criteri permissivi anche ad Al-Mawasi e attaccherà anche là se nella zona c’è un obiettivo tra le centinaia di migliaia che vi si rifugeranno. È così che un riparo annunciato come sicuro diventerà una trappola mortale per centinaia di migliaia di persone.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Amnesty International: l’“agghiacciante disprezzo” di Israele per la vita nella Cisgiordania occupata

Redazione Al Jazeera

5 febbraio 2024 – Al Jazeera.

Durante la guerra a Gaza Israele ha scatenato una violenza mortale illegale contro i palestinesi in Cisgiordania, afferma l’organizzazione per i diritti umani.

Israele ha scatenato una forza mortale al di fuori della legge contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata, commettendo uccisioni illegali e mostrando “un agghiacciante disprezzo per le vite dei palestinesi”, afferma Amnesty International.

L’organizzazione per i diritti umani ha affermato in un rapporto pubblicato lunedì che le azioni di Israele nel territorio si sono intensificate durante la guerra a Gaza e che il suo esercito e altri corpi armati stanno commettendo numerosi atti illegali di violenza che costituiscono chiare violazioni del diritto internazionale.

Gli occhi del mondo sono puntati soprattutto sulla Striscia di Gaza, dove l’esercito israeliano ha ucciso più di 27.000 palestinesi, soprattutto donne e bambini, dall’inizio della guerra il 7 ottobre. Ma Amnesty ha scritto nel suo rapporto che le forze israeliane stanno commettendo uccisioni illegali anche nei territori palestinesi occupati.

Il documento è stato redatto mediante interviste a distanza con testimoni, primi soccorritori e residenti locali, nonché video e foto verificati.

Sotto la copertura degli incessanti bombardamenti e delle atrocità commesse a Gaza, le forze israeliane hanno scatenato la loro mortale violenza in contrasto con le norme internazionali contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata, compiendo uccisioni illegali e mostrando un agghiacciante disprezzo per le vite dei palestinesi”, ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttore della ricerca globale, del patrocinio e delle linne guida di Amnesty International.

Questi omicidi illegali sono in palese violazione del diritto umano internazionale e sono commessi impunemente nel contesto del mantenimento del regime istituzionalizzato di oppressione e dominio sistematici di Israele sui palestinesi”.

Già prima della guerra i palestinesi in Cisgiordania erano sottoposti regolarmente a raid israeliani mortali, ma da ottobre si è verificato un aumento esponenziale nel numero di attacchi.

Secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), nel 2023 Israele ha ucciso almeno 507 palestinesi nella Cisgiordania occupata, tra cui almeno 81 minori, rendendolo l’anno più letale da quando l’organizzazione ha iniziato a registrare vittime nel 2005.

I numeri delle Nazioni Unite mostrano anche che 299 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio della guerra fino alla fine del 2023, un aumento del 50% rispetto ai primi nove mesi dell’anno. Almeno altri 61 palestinesi, tra cui 13 minori, sono stati uccisi dalle forze israeliane a gennaio, ha detto l’ONU.

Uccisioni deliberate”

L’analisi di Amnesty International di un raid israeliano durato 30 ore nel campo profughi di Nour Shams a Tulkarem, avvenuto il 19 ottobre, dimostra le tattiche impiegate dall’esercito israeliano.

In quel raid i soldati israeliani hanno utilizzato un gran numero di veicoli militari e soldati per assaltare più di 40 case. Hanno distrutto effetti personali, praticato buchi nei muri per le postazioni dei cecchini, tagliato acqua ed elettricità al campo profughi e usato bulldozer per distruggere strade pubbliche, reti elettriche e infrastrutture idriche.

Alla fine del raid avevano ucciso 13 palestinesi, tra cui sei minori, quattro dei quali sotto i 16 anni, e avevano arrestato 15 palestinesi.

Un agente della polizia di frontiera israeliana è stato ucciso dopo che un ordigno esplosivo improvvisato è stato lanciato contro un convoglio militare.

Tra le persone uccise durante il raid c’era un quindicenne disarmato di nome Taha Mahamid, a cui le forze israeliane hanno sparato uccidendolo davanti a casa sua mentre usciva per verificare se le forze israeliane avevano lasciato l’area, ha affermato Amnesty.

Non gli hanno dato alcuna possibilità”, ha detto Fatima, la sorella di Taha. “In un attimo mio fratello è stato eliminato. Tre proiettili sono stati sparati senza alcuna pietà. Il primo proiettile lo ha colpito alla gamba. Il secondo nello stomaco il terzo in mezzo agli occhi. Non ci sono stati scontri. … Non c’è stato alcun conflitto.”

Il padre di Taha, Ibrahim, ha cercato di portare in salvo suo figlio e nonostante fosse disarmato è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco e ha riportato gravi lesioni interne.

“Questo uso non necessario della forza letale dovrebbe essere indagato come possibile crimine di guerra in quanto omicidio volontario o intenzione di cagionare grandi sofferenze o gravi lesioni al corpo o alla salute”, ha affermato Amnesty.

Ma questo per quella famiglia non è stata la fine dell’operazione israeliana. Circa 12 ore dopo l’omicidio di Taha l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella casa e ha rinchiuso i familiari, compresi tre bambini, in una stanza sotto la supervisione di un soldato per circa 10 ore.

Hanno anche praticato dei fori nei muri di due stanze per posizionare i cecchini con vista sul quartiere. Un testimone ha detto che i soldati hanno perquisito la casa, picchiando un membro della famiglia, e uno è stato visto urinare sulla soglia.

Gli estesi danni arrecati dai bulldozer israeliani alle strette strade del campo profughi hanno impedito il passaggio delle ambulanze, ostacolando l’evacuazione medica dei feriti.

Prendere di mira le ambulanze, uccidere i manifestanti

Amnesty ha anche documentato casi in cui le forze israeliane hanno aperto il fuoco direttamente su ambulanze e personale medico.

Impedire l’assistenza medica ai palestinesi è ormai “una pratica di routine” da parte delle forze israeliane, ha affermato l’organizzazione per i diritti umani.

Ha documentato un caso in cui i soldati israeliani hanno impedito alle ambulanze di raggiungere le vittime che hanno finito col morire dissanguate.

“Le vittime sono state successivamente raccolte da un’ambulanza militare israeliana e i loro corpi devono ancora essere restituiti alle famiglie”, ha detto Amnesty.

L’organizzazione ha anche documentato come l’esercito israeliano reprima sparando proiettili veri e lacrimogeni sulla folla le proteste pacifiche dei palestinesi tenute in solidarietà con il popolo di Gaza.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Dichiarazione su Gaza di funzionari pubblici delle due sponde dell’Atlantico: È nostro dovere far sentire la nostra voce quando le politiche dei nostri governi sono sbagliate

Rilasciata il 2 febbraio 2024

Versione originale

Dichiarazione dei funzionari pubblici riguardo a Gaza.

Ricordando che:

  • Abbiamo il dovere di rispettare, proteggere e tutelare le nostre costituzioni e i vincoli giuridici internazionali e nazionali a cui ci hanno impegnati i nostri governi democraticamente eletti;

  • In quanto funzionari pubblici, ci si aspetta da noi che rispettiamo, serviamo e difendiamo le leggi quando mettiamo in pratica le politiche, indipendentemente dai partiti politici che sono al potere, cosa che abbiamo fatto durante tutta la nostra carriera;

  • Siamo stati assunti per servire, informare e consigliare i nostri governi/istituzioni e abbiamo dimostrato professionalità, competenza ed esperienza su cui i nostri governi hanno contato durante decenni di servizio;

  • Abbiamo manifestato all’interno [delle pubbliche amministrazioni] le nostre preoccupazioni che le politiche dei nostri governi/istituzioni non soddisfino gli interessi comuni e abbiamo chiesto alternative che sarebbero più utili alla sicurezza, democrazia e libertà nazionali e internazionali, rifletterebbero i principi fondamentali della politica estera occidentale e recepirebbero quanto abbiamo imparato;

  • Le nostre preoccupazioni professionali sono state ignorate in base a considerazioni di carattere politico e ideologico;

  • Siamo obbligati a fare tutto quanto in nostro potere a favore dei nostri Paesi e di noi stessi per non essere complici di una delle peggiori catastrofi umanitarie di questo secolo;

  • Abbiamo l’obbligo di mettere in guardia le opinioni pubbliche dei nostri Paesi, per le quali prestiamo servizio, e di agire di concerto con i nostri colleghi a livello internazionale.

Ribadiamo pubblicamente le nostre preoccupazioni riguardo al fatto che:

  • Israele non ha dimostrato alcun limite nelle sue operazioni militari a Gaza, che hanno hanno quindi causato decine di migliaia di evitabili morti civili, e il deliberato blocco degli aiuti da parte di Israele ha portato a una catastrofe umanitaria, mettendo a rischio di carestia e di una morte lenta migliaia di civili;

  • Le operazioni militari di Israele non hanno contribuito all’obiettivo del rilascio di tutti gli ostaggi e stanno mettendo a rischio il loro benessere, le loro vite e il loro rilascio;

  • Le operazioni militari israeliane hanno ignorato ogni importante lezione sull’antiterrorismo appresa dall’11 settembre e l’operazione [militare] non ha contribuito all’obiettivo israeliano di sconfiggere Hamas. ma al contrario ha rafforzato la popolarità di Hamas, Hezbollah e di altri attori negativi;

  • L’operazione militare in corso sarà dannosa non solo per la stessa sicurezza di Israele, ma anche per la stabilità regionale. Il rischio di guerre più ampie sta influendo negativamente anche sugli obiettivi di sicurezza dichiarati dai nostri governi;

  • I nostri governi hanno fornito alle operazioni militari israeliane un appoggio pubblico, diplomatico e militare. Questo supporto è stato fornito in modo incondizionato e senza nessuna responsabilizzazione. Quando sono stati messi di fronte a una catastrofe umanitaria i nostri governi non hanno chiesto un immeditato cessate il fuoco e la fine del blocco di cibo, acqua e medicinali indispensabili a Gaza;

  • Le attuali politiche dei nostri governi hanno indebolito la loro posizione etica e minacciano la loro possibilità di difendere libertà, giustizia e diritti umani a livello globale e indeboliscono i nostri tentativi di mobilitare il sostegno internazionale per l’Ucraina e contrastare le azioni malvage di Russia, Cina ed Iran;

  • C’è il ragionevole rischio che le politiche dei nostri governi stiano contribuendo a gravi violazioni delle leggi umanitarie internazionali, a crimini di guerra e persino a pulizia etnica o genocidio.

Pertanto chiediamo ai nostri governi/istituzioni di:

  • Smettere di dire all’opinione pubblica che dietro all’operazione militare israeliana c’è una motivazione strategica e giustificabile e che appoggiarla è nell’interesse dei nostri Paesi;

  • Ritenere Israele, come a tutti gli attori, responsabile in base agli stessi livelli umanitari e di diritti umani internazionali applicati altrove e rispondere obbligatoriamente degli attacchi contro i civili, come abbiamo fatto nel nostro sostegno al popolo ucraino. Ciò include la richiesta di una immediata e totale messa in pratica della recente ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia;

  • Ricorrere ad ogni forma di pressione disponibile, compresa l’interruzione degli aiuti militari, per garantire un cessate il fuoco permanente, il pieno accesso umanitario a Gaza e un rilascio sicuro di tutti gli ostaggi;

  • Definire una strategia per una pace durevole che includa uno Stato palestinese sicuro e garanzie per la sicurezza di Israele, in modo che non si ripeta mai più un attacco come quello del 7 ottobre né un’offensiva contro Gaza.

Coordinata da funzionari pubblici di:

  • Enti e istituzioni dell’Unione Europea

  • Olanda

  • Stati Uniti

Appoggiata anche da funzionari pubblici di:

  • Belgio

  • Danimarca

  • Finlandia

  • Francia

  • Germania

  • Italia

  • Spagna

  • Svezia

  • Svizzera

  • Regno Unito

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sul “plausibile genocidio” a Gaza: una vittoria incompleta

Jeff Halper

29 gennaio 2024 Counterpunch

Qualsiasi valutazione sulla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio deve iniziare con un applauso per le sue delibere secondo cui (1) le azioni militari di Israele a Gaza rientrano nelle definizioni della Convenzione sul Genocidio; (2) che i palestinesi sono effettivamente un gruppo distinto che si trova a subire il crimine di genocidio e (3) che l’affermazione del Sudafrica sul coinvolgimento israeliano in un “plausibile genocidio” è valida, il che significa che la Corte inizierà a processare Israele per genocidio. Si tratta di un processo che richiederà diversi anni ma è estremamente importante.

Gli stessi atti del processo avranno un effetto immenso su quella che in realtà è la Corte Mondiale, la Corte dell’Opinione Pubblica, fornendo sostegno legale, politico e morale alla lotta per i diritti dei palestinesi e alla fine del genocidio e dell’apartheid israeliani. Potrebbe anche favorire il perseguimento di funzionari e personale militare israeliani per crimini di guerra presso la Corte Penale Internazionale, nonché iniziare a ritenere responsabili i complici dei crimini di Israele.

Se Israele alla fine verrà condannato per genocidio, i Paesi che ne hanno sostenuto le politiche o lo hanno armato potrebbero essere processati per complicità ai sensi della Convenzione sul Genocidio. A livello locale, cause come quella di Defense for Children International-Palestine et al. contro Biden et al. in cui il presidente Biden, il segretario di Stato Blinken e il segretario alla Difesa sono stati citati in giudizio in un tribunale distrettuale della California per “mancata prevenzione e complicità nel genocidio in corso contro Gaza”, potrebbero avere maggiori possibilità di successo.

La giornata di oggi segna una vittoria decisiva per lo stato del diritto internazionale e una pietra miliare significativa nella ricerca di giustizia per il popolo palestinese”, ha affermato il Ministero degli Esteri sudafricano. “Non esiste alcuna base credibile perché Israele continui a sostenere che le sue azioni militari sarebbero nel pieno rispetto del diritto internazionale, inclusa la Convenzione sul Genocidio, vista la sentenza della Corte”.

La CIG dovrebbe essere elogiata anche per le sei misure provvisorie che ha imposto a Israele, vale a dire:

– Adottare tutte le misure per garantire che a Gaza non abbiano luogo atti considerati genocidari ai sensi della Convenzione sul Genocidio

– Garantire che i suoi militari non commettano atti di genocidio

– Prevenire e punire l’incitamento al genocidio

– Consentire e facilitare la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria alla popolazione di Gaza

– Prevenire la distruzione e preservare le prove del genocidio nelle operazioni militari

– Riferire alla Corte sulla sua ottemperanza entro un mese.

Tutte queste misure, oltre alla spiegazione dettagliata della Corte del motivo per cui Israele è di fatto coinvolto in un genocidio “plausibile” e in corso, ci danno tutto il sostegno legale per fare pressione per una fine effettiva del genocidio israeliano, più immediatamente a Gaza ma senza dimenticare il genocidio in corso commesso contro l’intero popolo palestinese sia nella Palestina storica che nel contesto della persistente esistenza di palestinesi rifugiati.

I punti deboli della sentenza

La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia è quindi forte e importante nel prosieguo della lotta per i diritti dei palestinesi. Guardando la situazione, tuttavia, dalla prospettiva dell’immediata necessità di proteggere gli abitanti di Gaza dall’effettivo genocidio che stanno vivendo in questo momento – l’ordine urgente di imporre un cessate il fuoco chiesto dai sudafricani – dobbiamo unirci ai palestinesi nel deplorare la decisione della Corte di non aver emanato tale misura provvisoria. Il divieto di ogni atto di genocidio può assicurarsi il rispetto di Israele solo se rafforzato dall’imposizione di un cessate il fuoco. Ordinare semplicemente a Israele “di adottare tutte le misure in suo potere per non violare le disposizioni della Convenzione di Ginevra” e per garantire che le sue forze militari non la violino è, sul campo, poco effettivo e inefficace.

Finché Israele si astiene da atti apertamente genocidari – che ha già commesso e che ora potrebbe moderare – gli ordini possono ben poco per impedire l’effettivo scopo dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità e, sì, del genocidio, che le operazioni militari in corso perpetuano. B’tselem, la principale organizzazione israeliana per i diritti umani, è d’accordo. “L’unico modo per attuare gli ordini emessi oggi dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia”, si legge in una nota diffusa, “è con un cessate il fuoco immediato. È impossibile proteggere la vita dei civili finché continuano i combattimenti”.

Molti difensori della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, inclusa l’organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq, sostengono che l’obbligo per Israele di porre fine o ridurre le sue operazioni militari è contenuto nella sentenza sul genocidio e nell’ordine delle misure provvisorie, dal momento che molte delle disposizioni – porre fine agli atti di genocidio, ad esempio, o consentire gli aiuti umanitari – non può essere realizzato senza un cessate il fuoco de facto.

Scrive l’avvocato per i diritti umani Robert Herbst: “All’interno della decisione sul genocidio e dell’ordine di misure provvisorie c’è, sub silentio, la richiesta che Israele interrompa o riduca le sue operazioni militari. Ciò potrebbe anche non equivalere ad un ‘cessate il fuoco’, ma potrebbe probabilmente realizzare in concreto la fine di tutti gli omicidi e i ferimenti di massa causati dal genocidio e della distruzione delle infrastrutture rimaste, e il massiccio ingresso di assistenza umanitaria che ripristinerebbe in certa misura la vita civile a Gaza”.

Mi permetto di dissentire. Quali azioni violino effettivamente le misure provvisorie è difficile da dire visto che per loro natura sono vaghe e manipolabili. Contro l’accusa che un atto sia genocida, ad esempio, Israele può invocare l’autodifesa. In effetti, è la loro incertezza che ha impedito alla Corte Internazionale di Giustizia di emettere l’ordine di cessate il fuoco. Affinché un “plausibile genocidio” possa essere effettivamente impedito, le sei misure provvisorie che vietano a Israele di continuare le sue azioni genocide devono essere emanate insieme a un cessate il fuoco immediato.

Stabilire che si tratta di genocidio prevede un processo a lungo termine volto a distruggere un popolo, in tutto o in parte (come nel caso del violento sfollamento dei palestinesi dalle loro terre e dalla loro patria da parte di Israele a partire dal 1948, o l’intento apertamente genocida del sionismo di sostituire la popolazione palestinese di Palestina con gli ebrei e trasformare un paese arabo in uno ebraico) o atti grossolanamente palesi di uccisione e distruzione (come Israele ha commesso a Gaza fino ad oggi).

Ma essere avvisato dalla Corte che sta esaminando specifici atti di genocidio consentirà a Israele di ridurre le operazioni militari in modo da astenersi apparentemente dal commettere atti specifici ritenuti genocidari senza, tuttavia, ridurre di fatto la letalità e la distruttività della sua guerra in corso. Così secondo la Corte l’uccisione di (finora) 27.000 palestinesi, la stragrande maggioranza dei quali civili, equivale ad un plausibile genocidio. Ma senza un ordine di cessate il fuoco e riducendo il comportamento genocida ad “atti”, Israele può affermare che ogni omicidio è uno sfortunato “danno collaterale” o un tragico errore.

La foresta del genocidio si perde a favore degli alberi delle azioni individuali. Israele ha già distrutto il 70% di Gaza e provocato lo sfollamento di oltre due milioni dei suoi abitanti. Può permettersi di andare avanti con più “attenzione”, mantenendo le sue operazioni militari al livello di “semplici” crimini di guerra e crimini contro l’umanità, il che significa che senza un cessate il fuoco le sei misure provvisorie non avranno alcun impatto sulle effettive operazioni militari.

Potrei sembrare troppo severo, ma in pratica il sottotesto della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sembra essere: Ti diamo, Israele, il permesso di continuare la tua campagna militare a Gaza (con le sue conseguenze genocide, anche se non saranno commessi nuovi atti genocidari) purché d’ora in poi vi asteniate da atti che possano essere interpretati come genocidi. È vero, la Corte Internazionale di Giustizia potrebbe rivedere la sua decisione in futuro, ma si può sentire il collettivo sospiro di sollievo di Israele fino all’Aja.

L’esame arriverà tra un altro mese, quando Israele presenterà il suo rapporto alla CIG su come stia rispettando le misure. La Corte potrebbe quindi valutare i suoi sforzi e, se ritenuti significativamente carenti (ciò che a mio avviso avverrà, malgrado tutto), emettere un ordine di cessate il fuoco. Questo resta da vedere. Proprio mentre scrivo, il giorno dopo la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia Israele ha lanciato un grande attacco all’interno di Khan Yunis, circondando migliaia di civili intrappolati all’interno e iniziando la sua avanzata a sud verso Rafah, anche se “con attenzione”. Non vi è alcun indizio che la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia abbia influenzato in qualche modo le operazioni militari. In effetti, le azioni odierne di Israele potrebbero essere viste come una “risposta sionista” alla Corte Internazionale di Giustizia. È proprio la preoccupazione che la sentenza della CIG abbia scarso effetto immediato su ciò che i palestinesi stanno effettivamente vivendo che ha provocato la delusione per il rifiuto della Corte Internazionale di ordinare un cessate il fuoco.

La palla è nel nostro campo

La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia evidenzia il difetto fatale del sistema giuridico internazionale: accordi e leggi meravigliose, ponderate e potenti come la Carta delle Nazioni Unite, la Convenzione sul Genocidio e la Quarta Convenzione di Ginevra – ognuna delle quali, se effettivamente applicata, avrebbe causato il crollo dell’occupazione illegale di Israele, protetto il popolo palestinese e fornito gli strumenti per smantellare il regime coloniale israeliano. Invece, abbiamo una struttura legale gravata da un sistema di adempimento estremamente debole che sostanzialmente annulla le leggi stesse.

La CIG ci ha se non altro fornito una forte motivazione legale e morale per portare avanti la nostra campagna contro il genocidio a Gaza. Tuttavia, in termini di protezione effettiva del popolo di Gaza e del ritenere Israele responsabile del suo crimine di genocidio, la CIG ci ha passato la palla. Evidentemente la palla dovrebbe passare nel campo dei nostri governi. Sono loro ad avere la responsabilità di far rispettare il diritto internazionale – una responsabilità che non hanno mai veramente assunto e che violano impunemente.

Sta a noi accettare il giudizio della Corte secondo cui il genocidio è stato plausibilmente condotto davanti ai nostri occhi e fare ciò che la Corte Internazionale di Giustizia avrebbe potuto fare e non ha fatto: costringere i nostri governi a imporre un cessate il fuoco immediato. Dobbiamo essere i cani da guardia che denunciano non solo il crimine di genocidio che è l’assalto di Israele a Gaza, ma tutti i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità che Israele continuerà a commettere e che sono connaturati al processo stesso di una pacificazione militare. Dobbiamo creare pressione pubblica sui nostri governi – in particolare su Stati Uniti e Germania – affinché interrompano i loro massicci trasferimenti di armi e impongano sanzioni economiche a Israele.

E dobbiamo essere consapevoli che il genocidio è in corso. Oltre a chiedere un cessate il fuoco, oltre a chiedere la fine del genocidio israeliano, dobbiamo ritenere Israele responsabile della situazione genocida che sta costruendo, e che continuerà anche dopo la fine delle ostilità.

Fermate subito il genocidio israeliano!

Immediato cessate il fuoco a Gaza!

Liberate tutti gli ostaggi israeliani e i prigionieri politici palestinesi

Jeff Halper è un antropologo israeliano anticoloniale, capo del Comitato Israeliano Contro le Demolizioni di Case (ICAHD) e membro fondatore della campagna One Democratic State. È l’autore di War Against the People: Israel, the Palestinians and Global Pacification (Guerra contro il popolo: Israele, i palestinesi e la pacificazione globale, Londra: Pluto Press 2015). Il suo ultimo libro è Decolonizing Israel, Liberating Palestine: Zionism, Settler Colonialism and the Case for One Democratic State (Decolonizzare Israele, liberare la Palestina: sionismo, colonialismo di insediamento e il progetto di un unico Stato democratico, Londra: Pluto Press 2021). Può essere contattato all’indirizzo jeffhalper@gmail.com.

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il voto per espellere il deputato della Knesset Cassif perché ha appoggiato la richiesta alla Corte Internazionale di Giustizia contro Israele è una persecuzione politica

Editoriale di Haaretz

30 gennaio 2024 – Haaretz

Con la decisione della Commissione parlamentare di espellere il deputato Ofer Cassif ([della lista di sinistra] Hadash-Ta’al) a causa del suo sostegno alla richiesta presentata dal Sudafrica contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, la Knesset e lo Stato toccano il fondo in modo inaudito.

In quella denuncia il Sudafrica ha sostenuto che Israele è colpevole di genocidio nella Striscia di Gaza. La legge fondamentale della Knesset le consente di espellere un parlamentare sia per razzismo che per il sostegno alla lotta armata contro Israele. Ma niente di quello che Cassif ha affermato rientra in questa definizione.

La decisione della commissione di cacciare Cassif emana un puzzo di persecuzione politica. Se la Knesset fosse davvero decisa a espellere i razzisti al suo interno non ci sarebbero stati abbastanza parlamentari per formare l’attuale governo di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich.

Il parlamentare Oded Forer ([del partito di estrema destra laica, ndt.] Yisrael Beiteinu), che ha guidato la corsa per espellere Cassif, ha messo in luce la logica contorta che lo ha spinto: “Si può considerare la denuncia all’Aia come se fosse stata presentata dallo stesso Cassif,” ha affermato. “E se ciò fosse stato ottenuto avrebbe minacciato la sicurezza di Israele.” Perché? Perché l’obiettivo di Cassif è stato “fermare i combattimenti,” ha continuato Forer, e poi “Hamas si sarebbe ripreso,” il che avrebbe dato come risultato “un danno per i nostri soldati.”

Dei 120 membri della Knesset 85 hanno firmato la richiesta di espellere Cassif, tutti meno i deputati del partito Laburista e dei partiti arabi. E martedì hanno votato per cacciarlo 14 dei 16 membri della commissione del parlamento.

Le anime illuminate che vogliono liberarsi di Cassif includono Moshe Saada (del Likud), che non molto tempo fa ha affermato: “E’ chiaro a chiunque che dobbiamo distruggere Gaza,” e Tzvika Foghel ([del partito di estrema destra religiosa] Otzma Yehudit), che un mese fa ha affermato che “prima sconfiggeremo Hamas ed Hezbollah, e per completare il tutto metteremo a posto la Corte Suprema.” Ma persino Matan Kahana e Zeev Elkin del centrista Partito dell’Unità Nazionale e Naor Shiri del partito di opposizione Yesh Atid hanno appoggiato l’espulsione.

Cassif ha tutto il diritto di pensare che Israele stia commettendo crimini di guerra. In effetti all’Aia i giudici più importanti del mondo hanno accettato di discutere di questa stessa questione. Ma la legge che consente l’estromissione [dei parlamentari, ndt.] è stata fin dall’inizio promulgata per liberarsi dei rappresentanti arabi alla Knesset, che intendono fare di Israele una vera democrazia e si identificano con la lotta dei palestinesi per liberarsi dall’occupazione. Questi deputati non appoggiano il terrorismo e sicuramente non l’attacco di Hamas del 7 ottobre, come ha ripetuto ancora una volta Cassif.

È piuttosto paradossale che la Knesset trovi qualcuno che a suo parere merita di essere cacciato solo qualche giorno dopo che a Israele è stato consegnato un ordine internazionale perché punisca gli istigatori e i razzisti che lo hanno portato davanti all’Aia e due giorni dopo una conferenza al Centro Congressi Internazionali di Gerusalemme in cui ministri e parlamentari hanno invocato il trasferimento di 2,3 milioni di gazawi.

L’approvazione dell’espulsione da parte della commissione non è la fine del percorso. Ci sono altre due fermate lungo il cammino: primo, l’approvazione da parte di tutta la Knesset, in cui 90 dei 120 deputati dovrebbero appoggiarla, e poi la Corte Suprema, se Cassif decidesse di presentare ricorso contro la pronuncia. Là presumibilmente i giudici rimedieranno al disastro della Knesset, come in genere fanno, e ribalteranno la decisione. Ma la macchia sulla democrazia israeliana non sarà cancellata facilmente.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Giustiziati nel sonno: come le forze israeliane hanno assassinato tre palestinesi durante un’incursione in un ospedale della Cisgiordania

SHATHA HANAYSHA

30 gennaio 2024 – Mondoweiss

Le forze israeliane travestite da operatori ospedalieri e civili sono entrate nell’ospedale Ibn Sina di Jenin e hanno assassinato tre palestinesi mentre dormivano. Questo sfrontato omicidio segna un’escalation senza precedenti nella guerra di Israele contro i palestinesi in Cisgiordania.

Abeer Al-Ghazawi è andata a dormire la scorsa notte sentendosi rassicurata, sapendo che suo figlio, Basel, era in un letto dell’ospedale Ibn Sina di Jenin, accompagnato da suo fratello Mohammed. Per lei l’ospedale rappresentava il posto più sicuro nella loro città natale, Jenin. Per mesi, l’esercito israeliano ha intensificato le sue operazioni nella città settentrionale della Cisgiordania e nel suo campo profughi, conducendo violenti raid e attacchi di droni che hanno ucciso decine di persone.

Basel, 19 anni, era in cura per un grave infortunio subito lo scorso ottobre quando un attacco di droni israeliani lo ha reso paraplegico, costretto su una sedia a rotelle. Ad accompagnarlo in ospedale c’erano il fratello maggiore Mohammed, 24 anni, e il loro amico Mohammed Jalamneh, 28 anni. Secondo testimoni, nelle prime ore del mattino di martedì 30 gennaio, i tre giovani dormivano nella stanza d’ospedale di Basel quando un’unità sotto copertura delle forze speciali israeliane è entrata nella loro stanza al terzo piano dell’ospedale e li ha giustiziati a bruciapelo, con armi da fuoco silenziate.

Una decina di membri delle forze speciali israeliane travestiti da operatori ospedalieri e civili palestinesi – tra cui soldati vestiti da donne palestinesi velate, uno con un marsupio per infanti e lavoratori dell’ospedale, e un altro travestito da paziente su sedia a rotelle – si sono infiltrati nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale, aggredendo l’infermiera di turno.

Ripresi dalle telecamere a circuito chiuso, i soldati israeliani travestiti possono essere visti muoversi nel reparto ospedaliero con i fucili d’assalto spianati. Mentre alcuni soldati depongono i loro marsupi e altri travestimenti, si può vedere almeno un soldato che tiene sotto tiro un civile. Il civile è in ginocchio con le mani dietro la testa. Il soldato israeliano toglie la giacca all’uomo e poi gliela mette in testa.

Fuori dall’inquadratura delle riprese della telecamera di sorveglianza diffuse dall’ospedale Ibn Sina le forze speciali si sono fatte strada verso la stanza di Basel. Lì sono entrate nella stanza dove dormivano i tre giovani. I soldati hanno sparato cinque colpi, uccidendo Basel, suo fratello Mohammed e il loro amico Mohammed mentre dormivano. Nel giro di 10 minuti le forze si sono ritirate dalla scena.

Un testimone oculare e paziente dell’ospedale, che ha chiesto l’anonimato, ha informato Mondoweiss di aver sentito delle urla nel corridoio, di essere uscito e di aver visto tre persone armate davanti a lui. Uno dei soldati, ha raccontato il testimone, tratteneva l’infermiera di turno e “la picchiava continuamente sulla testa”.

I soldati hanno urlato all’uomo di tornare nella sua stanza. Ha detto a Mondoweiss che quando ha tentato di uscire di nuovo dalla sua stanza per vedere cosa stava succedendo i soldati hanno sparato verso la sua stanza.

Ha continuato affermando che, dopo che i soldati si erano ritirati, si è precipitato nella stanza in cui erano entrati solo per trovare i tre martiri “che giacevano nei loro letti, con il sangue che scorreva dalle loro teste”. Ha detto che l’operazione all’interno della stanza non è durata più di tre minuti e che si è reso conto, quando li ha sentiti parlare ebraico, che le persone che ha visto erano “musta’ribeen”, il termine arabo per le unità speciali delle forze israeliane che si travestono da palestinesi per effettuare rapimenti e omicidi nei territori palestinesi occupati.

Il testimone ha descritto quello che ha visto come “la scena più straziante” a cui aveva assistito in vita sua. Quando ha cercato di sdraiarsi e riposare dopo l’attacco ha detto che non riusciva a dormire, perché la scena orribile dei letti d’ospedale insanguinati gli scorreva nella mente.

Mondoweiss ha visitato la scena dell’assassinio poche ore dopo che ha avuto luogo. Il letto accessibile ai disabili dove dormiva Basel era macchiato di sangue. Il cuscino su cui giaceva era insanguinato e coperto di frammenti di cervello e cranio.

Accanto al letto di Basel c’erano i resti del suo ultimo pasto.

Inoltre il sangue di suo fratello e del loro amico era schizzato sulle pareti e sul pavimento della stanza dove dormivano.

Lo Shin Bet (Shabak), l’agenzia di intelligence interna israeliana, e l’esercito israeliano hanno riconosciuto in una dichiarazione congiunta di essere coinvolti nell’operazione all’interno dell’ospedale. Hanno dichiarato di aver “bloccato un gruppo di militanti di Hamas che si nascondevano nell’ospedale Ibn Sina nella città di Jenin mentre pianificavano di lanciare un attacco a breve”.

Mohammed Jalamneh è stato rivendicato da Hamas come un suo membro e i due fratelli, Basel e Mohammed, sono stati rivendicati come membri dal gruppo palestinese della Jihad islamica. Si dice che tutti e tre i giovani fossero combattenti della Brigata Jenin, un gruppo di resistenza palestinese all’interno di Jenin e nel campo profughi di Jenin che comprende più fazioni della resistenza.

Mentre Basel era effettivamente disabile e relegato su una sedia a rotelle, né lui né suo fratello o l’amico erano attivamente impegnati in un combattimento armato quando sono stati colpiti alla testa. Secondo l’ospedale quando sono stati assassinati i tre stavano dormendo.

Tuttavia, nonostante le gravi accuse secondo cui l’assassinio costituisce un crimine di guerra, i responsabili israeliani hanno festeggiato l’operazione.

“Mi congratulo vivamente con i commando della marina della polizia israeliana per la loro impressionante operazione di ieri sera in collaborazione con l’IDF e lo Shin Bet nel campo profughi di Jenin che ha portato all’eliminazione di tre terroristi”, ha dichiarato il Ministro della Sicurezza Nazionale israeliano Itamar Ben Gvir nel corso del video su X (ex Twitter).

Walid Jalamneh, padre del martire Mohammed, ha respinto e denunciato la dichiarazione ufficiale dell’esercito israeliano esprimendo il suo sgomento per l’intrusione nell’ospedale e la violazione della sacralità delle strutture mediche. Ha affermato che l’attacco è stato un “crimine evidente e una violazione delle leggi internazionali”.

Ha detto: “Sì, è vero che mio figlio è ricercato dagli occupanti [israeliani], ma l’irruzione nell’ospedale in questo modo mentre era in compagnia del suo amico e il suo fratello malato è un crimine

La Brigata Jenin, l’ala militare del Movimento della Jihad islamica, ha denunciato in un comunicato l’assassinio dei tre martiri all’interno dell’ospedale.

Il gruppo ha promesso di rispondere e ha affermato il proprio impegno a “continuare il cammino aperto dai martiri con il loro sangue puro”, sostenendo che questi omicidi non indeboliranno la loro determinazione.

Il Ministero della Sanità palestinese ha rilasciato una dichiarazione in cui invita urgentemente l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, le istituzioni internazionali e le organizzazioni per i diritti umani a porre tempestivamente fine alla “serie quotidiana di crimini commessi dall’occupazione contro le persone e i centri sanitari nella Striscia di Gaza” e in Cisgiordania” e ad offrire la “protezione necessaria alle strutture e al personale medico”.

La dichiarazione sottolinea inoltre che questo crimine è “parte di una serie di decine di crimini commessi dalle forze di occupazione contro strutture e personale medico” e ricorda che il diritto internazionale prevede una protezione generale e specifica per i luoghi civili, compresi gli ospedali, come stipulato nella Quarta Convenzione di Ginevra e Primo e Secondo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977, nonché dalla Convenzione dell’Aja del 1954.

Wesam Sbeihat, direttore del Ministero della Salute a Jenin, ha dichiarato a Mondoweiss: “L’intrusione nei reparti e nelle stanze dell’ospedale, così come l’esecuzione e l’assassinio all’interno dell’ospedale di un paziente e dei suoi compagni è un crimine che viene documentato e aggiunto all’elenco dei crimini dell’occupazione contro le équipe mediche e gli ospedali. L’occupazione deve essere ritenuta responsabile dei suoi crimini”.

Sbeihat ha proseguito: “Abbiamo anche il referto medico del paziente assassinato oggi; è stato sottoposto a riabilitazione medica per mesi contrariamente a quanto affermato dagli occupanti secondo cui si nascondeva all’interno dell’ospedale”.

Dal 2022 Israele tenta di eliminare la resistenza nel campo e nella città di Jenin attraverso vari mezzi, tra cui bombardamenti aerei, omicidi ed esecuzioni di militanti. Tuttavia questa è la prima volta che gli occupanti hanno invaso un ospedale ed effettuato un’operazione di assassinio al suo interno.

Questo fatto è anche successo pochi giorni dopo che la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’accusa di genocidio avanzata dal Sudafrica contro Israele era “plausibile”, ordinando a Israele di “prevenire atti di genocidio” a Gaza.

Dall’inizio della campagna militare israeliana nella Striscia di Gaza il 7 ottobre l’esercito e il governo israeliani hanno continuato a perpetuare la narrazione secondo cui i gruppi militanti palestinesi utilizzano gli ospedali per le loro operazioni. Nonostante la mancanza di prove concrete dell’esistenza di “centri di comando” di Hamas all’interno o sotto gli ospedali di Gaza, Israele ha continuato ad attaccare gli ospedali di Gaza mentre le sue forze di terra si facevano strada attraverso la Striscia.

Il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Herzi Halevi, ha commentato l’assassinio avvenuto in ospedale, sostenendo che i tre giovani erano “coinvolti in una cellula terroristica che pianificava un grave attacco contro civili israeliani”. Halevi ha affermato che l’esercito israeliano “non permetterà che gli ospedali diventino una copertura per il terrorismo”.

Ha continuato: “Non vogliamo trasformare gli ospedali in campi di battaglia. Ma siamo ancora più determinati a non permettere che gli ospedali a Gaza, in Giudea e Samaria [così chiamano la Cisgiordania, ndtr.], in Libano, in superficie o nei cunicoli dei tunnel e nei tunnel sotto gli ospedali, diventino un luogo che funge da copertura per il terrorismo e che consente ai terroristi di nascondere armi, riposarsi, uscire per sferrare un attacco”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Immagini e video satellitari rivelano che a Gaza almeno 16 cimiteri sono stati profanati dalle forze israeliane

Jeremy Diamond, Muhammad Darwish, Abeer Salman, Benjamin Brown e Gianluca Mezzofiore

20 gennaio 2024 – CNN

Un’indagine della CNN ha rivelato che nella sua offensiva di terra a Gaza lesercito israeliano ha profanato almeno 16 cimiteri distruggendo lapidi, devastando la terra e, in alcuni casi, abbandonando corpi dissotterrati.

A Khan Younis, nel sud di Gaza, dove allinizio di questa settimana i combattimenti si sono intensificati, le forze israeliane hanno distrutto un cimitero e riesumato i cadaveri nel corso di ciò che le forze di difesa israeliane (IDF) hanno definito in una dichiarazione alla CNN parte di una ricerca dei resti degli ostaggi sequestrati da Hamas durante gli attacchi terroristici del 7 ottobre.

La CNN ha esaminato le immagini satellitari e i filmati dei social media che mostrano la distruzione dei cimiteri che ha verificato direttamente nel corso di un viaggio in un convoglio delle IDF. Nel complesso le prove rivelano una pratica attuata sistematicamente dalle forze di terra israeliane nel corso della loro avanzata attraverso la Striscia.

La distruzione intenzionale di siti religiosi, come i cimiteri, viola il diritto internazionale, tranne in circostanze limitate relative al fatto che quel sito diventi un obiettivo militare, ed esperti di diritto hanno detto alla CNN che le azioni di Israele potrebbero costituire crimini di guerra.

Un portavoce delle IDF non è stato in grado di spiegare la distruzione dei 16 cimiteri dei quali la CNN ha fornito le coordinate, ma ha detto che lesercito a volte non ha altra scelta” se non quella di prendere di mira i cimiteri che, ha sostenuto, Hamas utilizzerebbe per scopi militari.

L’esercito ha affermato che il salvataggio degli ostaggi, il ritrovamento e la restituzione dei loro corpi è una delle sue missioni chiave a Gaza, motivo per cui dei corpi sarebbero stati rimossi da alcune tombe.

Il processo di identificazione degli ostaggi, condotto in un luogo diverso e sicuro, garantisce condizioni professionali ottimali e rispetto per il defunto”, ha detto un portavoce dellesercito alla CNN, aggiungendo che i corpi non ritenuti appartenere ad ostaggi sarebbero restituiti con dignità e rispetto”.

Ma in altri casi sembra che lesercito israeliano abbia utilizzato i cimiteri come avamposti militari. Lanalisi da parte della CNN delle immagini e dei video satellitari ha mostrato che i bulldozer israeliani hanno trasformato numerosi cimiteri in aree di sosta militari, livellando ampi spazi ed erigendo terrapieni per fortificare le posizioni.

Nel quartiere Shajaiya di Gaza City, dove un tempo sorgeva il cimitero, si potevano vedere veicoli militari israeliani circondati da terrapieni su tutti i lati. Secondo quanto riportato dai media locali la parte centrale del cimitero di Shajaiya è stata sgomberata prima della guerra. Ma le immagini satellitari hanno mostrato che altre parti sono state demolite più recentemente e che è visibile la presenza delle IDF dal 10 dicembre.

Il 18 dicembre l’esercito israeliano ha pubblicato una foto non datata di quello che ha affermato essere la conseguenza dell’impatto sul terreno del cimitero di Shajaiya di un razzo lanciato da Hamas. La CNN non ha potuto verificare in modo indipendente quando o dove sia stata scattata la foto.

È stato possibile vedere un’analoga scena di distruzione nel cimitero di Bani Suheila, a est di Khan Younis, dove le immagini satellitari hanno rivelato la deliberata e progressiva demolizione del cimitero e la creazione di fortificazioni difensive nel corso di almeno due settimane tra la fine di dicembre e linizio di gennaio.

Nel cimitero di Al Falouja nel quartiere di Jabalya, a nord di Gaza City, in quello di Al-Tuffah, a est di Gaza City, e in un cimitero nel quartiere di Sheikh Ijlin di Gaza City, lapidi distrutte e marcate impronte di pneumatici indicavano il passaggio sopra le tombe di veicoli pesantemente blindati o di carri armati.

La settimana scorsa il veicolo corazzato che trasportava una squadra della CNN ha attraversato direttamente il cimitero di New Bureij ad Al-Bureij, un campo profughi palestinese nel centro di Gaza, mentre usciva dalla Striscia. Su uno schermo all’interno del veicolo che mostrava delle riprese in tempo reale attraverso la sua telecamera anteriore erano visibili tombe su entrambi i lati della strada sterrata appena demolita. La CNN ha confermato l’ubicazione del cimitero geolocalizzando le riprese fatte quel giorno all’interno di Gaza e confrontandole con le immagini satellitari.

Altri cimiteri presi in esame dalla CNN nelle immagini satellitari hanno mostrato pochi o nessun segno di distruzione o di fortificazioni militari: tra questi due cimiteri dove sono sepolti i caduti della prima e della seconda guerra mondiale, tra cui cristiani e alcuni ebrei.

Il portavoce dellIDF non ha spiegato perché ampie aree di cimiteri siano state demolite con i bulldozer per convertirle in avamposti militari o perché dove un tempo c’erano le tombe si trovassero dei veicoli militari. Abbiamo un serio obbligo di rispettare i morti e non esiste alcuna prassi di convertire i cimiteri in postazioni militari”, ha detto il portavoce alla CNN.

Secondo le immagini satellitari, i video esaminati e le geolocalizzazioni della CNN, le forze israeliane hanno gravemente danneggiato il cimitero di Khan Younis tra lunedì notte e mercoledì mattina, mentre si muovevano nell’area circostante il complesso dell’ospedale Al Nasser e un ospedale da campo giordano.

Lesercito ha dichiarato alla CNN che quando vengono ricevute importanti informazioni d’intelligence o operative”, fanno seguitooperazioni precise di salvataggio di ostaggi nei luoghi specifici in cui sulla base delle informazioni potrebbero essere localizzati i loro corpi”.

Israele ha affermato che durante gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre sono state prese in ostaggio 253 persone e ritiene che 132 ostaggi, di cui 105 vivi e 27 morti, si trovino ancora a Gaza.

Non sono riuscito a trovare la sua tomba”

Dina, la figlia di Munther al Hayek, è stata uccisa nella guerra contro Gaza del 2014. Allinizio di gennaio Munther ha visitato la tomba di Dina nel cimitero di Sheikh Radwan a Gaza City ma lei non c’era. Ha cercato la tomba di sua nonna. Non c’era neanche quella.

Le forze di occupazione le hanno distrutte e demolite”, ha detto alla CNN Hayek, portavoce dell’organizzazione di opposizione palestinese Fatah a Gaza. Le scene sono orribili. Vogliamo che il mondo intervenga per proteggere i civili palestinesi”.

Anche Mosab Abu Toha, un poeta di Gaza le cui opere sono state pubblicate sul New York Times e sul New Yorker, ha appreso che il cimitero dove sono sepolti suo fratello minore e suo nonno è stato gravemente danneggiato dall’esercito israeliano.

Ora al sicuro al Cairo, Abu Toha ha raccontato alla CNN come il 26 dicembre suo fratello lo abbia chiamato dal cimitero di Beit Lahia, nel nord di Gaza, mentre cercava i suoi cari senza riuscire a trovarli.

In una registrazione della loro videochiamata, vista dalla CNN, le macerie ricoprono il terreno dove un tempo sorgeva il cimitero. Nelle immagini satellitari il cimitero è solcato in lungo e in largo da impronte di pneumatici di veicoli militari pesanti.

Il bilancio delle vittime a Gaza cresce di giorno in giorno. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas più di 24.000 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani. Le sepolture spesso avvengono rapidamente secondo la pratica islamica e, dall’inizio della guerra, i morti sono stati spesso sepolti in fosse comuni.

Alla fine di dicembre Israele ha restituito le salme di 80 palestinesi uccisi nel corso della guerra, affermando di aver verificato che non si trattava di ostaggi israeliani catturati da Hamas. I resoconti dei media palestinesi di quel periodo affermavano che i cadaveri restituiti non erano identificabili. La CNN non può verificare in modo indipendente tali affermazioni.

Rispettare i morti

Esperti di diritto internazionale affermano che la profanazione dei cimiteri viola lo Statuto di Roma, il trattato del 1998 che ha istituito e regola la Corte Penale Internazionale (CPI) per giudicare crimini di guerra, genocidi, crimini contro lumanità e crimini di aggressione. Israele, che originariamente aveva sostenuto la creazione della Corte, non ha ratificato lo Statuto di Roma.

I cimiteri sono tutelati in quantobeni civili” ai sensi del diritto internazionale e vengono loro concesse protezioni speciali, con limitate eccezioni.

I cimiteri possono essere attaccati o distrutti solo se laltra parte in guerra li utilizzi per scopi militari o se ciò sia ritenuto una necessità militare e il vantaggio militare ottenuto sovrasti il danno ai beni civili.

Janina Dill, co-direttrice presso lIstituto di Etica, Diritto e Conflitti Armati dellUniversità di Oxford, ha detto alla CNN: La natura civile del cimitero rimane in una certa misura intatta. Quindi chi vuole attaccare un cimitero deve comunque tenere conto della caratteristica di uso civile delle tombe e dellimportanza civile del cimitero, e deve ridurre al minimo i danni alla funzione civile del cimitero”.

Il Sudafrica ha sollevato la questione della distruzione dei cimiteri di Gaza da parte delle IDF come parte della sua denuncia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo che Israele sta commettendo un genocidio. Israele nega laccusa, ma Dill afferma che, sebbene la sola distruzione dei cimiteri non equivalga a un genocidio, può tuttavia contribuire a dimostrare le intenzioni di Israele.

C’è un profondo significato simbolico nellidea che nemmeno i morti siano lasciati in pace”, dice Dill. Il diritto internazionale umanitario protegge la dignità di chi è estraneo al combattimento come di chi combatte, e tale protezione non termina con la morte”.

Ma in almeno due casi è chiaro che si è fatto di tutto per rispettare i morti – nei cimiteri dove i palestinesi non sono sepolti.

A nemmeno un chilometro di distanza dal cimitero distrutto di Al-Tuffah, a est di Gaza City, si trova in gran parte intatto un cimitero che conserva i corpi di soldati, per lo più britannici e australiani, morti durante la prima e la seconda guerra mondiale. Un cratere sul luogo di sepoltura appare nelle immagini satellitari tra l’8 e il 15 ottobre, ma per il resto non è stato toccato dalla guerra.

Un secondo cimitero amministrato dalla Commissione delle Tombe di Guerra del Commonwealth nel centro di Gaza offre un esempio ancora più evidente. Relitti di veicoli dilaniati e strade distrutte circondano il cimitero. Ma il cimitero in sé, che contiene soprattutto tombe di cristiani e di alcuni soldati ebrei della prima guerra mondiale, è intatto.

Dei soldati israeliani hanno persino posato con una bandiera israeliana accanto alla tomba di un soldato ebreo sepolto lì e unaltra immagine pubblicata sui social media mostra un carro armato fermarsi al confine del cimitero – rispettando la sacralità di quel terreno consacrato.

Il rispetto di alcuni morti, ma non di altri, è in violazione del diritto internazionale, ha detto alla CNN Muna Haddad, avvocatessa per i diritti umani e studiosa del culto dei morti, aggiungendo: Ciò che sta accadendo è una chiara violazione di queste regole fondamentali e ‘commettere oltraggio alla dignità personale’ è considerato un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)