Rapporto OCHA del periodo 16 novembre – 6 dicembre 2021

Durante il periodo in esame, in quattro attacchi perpetrati da palestinesi, un civile israeliano è stato ucciso, mentre altri due civili e cinque membri delle forze di sicurezza israeliane sono rimasti feriti [seguono dettagli]. I quattro aggressori palestinesi, di cui due minorenni, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane.

Gli episodi includono un’aggressione con arma da fuoco, due aggressioni con coltello nella Città Vecchia di Gerusalemme ed uno speronamento con auto a Tulkarm. ll 17 novembre, nella Città Vecchia di Gerusalemme, un ragazzo palestinese di 16 anni di Al ‘Isawiya (Gerusalemme Est) ha accoltellato e ferito due agenti della polizia di frontiera israeliana ed è stato ucciso dalla polizia israeliana. Il 21 novembre, un palestinese del Campo profughi di Shu’fat (Gerusalemme est) ha sparato uccidendo un civile israeliano e, a quanto riferito, ferendone un altro e ferendo due agenti della polizia di frontiera israeliana. È stato ucciso sul posto dalle forze israeliane. Inoltre, il 4 dicembre, fuori dalla Città Vecchia di Gerusalemme, vicino alla Porta di Damasco, un palestinese di 25 anni di Salfit ha accoltellato e ferito un civile israeliano ed ha cercato di accoltellare un poliziotto di frontiera israeliano. Le forze israeliane hanno sparato e ucciso il palestinese sul posto. Per quanto riguarda tali uccisioni sul posto, l’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR) ha sollevato preoccupazioni di possibili esecuzioni extragiudiziali. Secondo le autorità israeliane, gli agenti hanno agito in linea con il protocollo di sicurezza stabilito e hanno adottato le misure appropriate per limitare ulteriori perdite di vite umane. Il 6 dicembre, al checkpoint di Kafriat (Tulkarm), un altro sedicenne palestinese si è lanciato, in auto, contro una cabina di sicurezza, ferendo una guardia di sicurezza israeliana. Le altre guardie hanno sparato e ucciso l’aggressore. I corpi dei quattro palestinesi sono stati trattenuti dalle autorità israeliane.

A seguito degli attacchi di cui sopra, in tre diverse occasioni, le forze israeliane hanno chiuso per diverse ore sia i cancelli che conducono alla Moschea di Al Aqsa, sia le strade che conducono alla Città Vecchia di Gerusalemme, impedendo ai residenti di raggiungere le loro case. Le forze israeliane hanno anche effettuato molteplici operazioni di ricerca-arresto nel Campo profughi di Shu’fat e Al ‘Isawiya, dove vivevano due degli autori, arrestando diversi parenti. In entrambe le località sono seguiti scontri tra residenti palestinesi e forze israeliane, con almeno quattro palestinesi feriti. Coloni e altri israeliani sono scesi nelle strade della Città Vecchia di Gerusalemme e nei principali incroci stradali della Cisgiordania per protestare contro gli attacchi: alcuni di essi hanno lanciato pietre contro auto e case palestinesi e provocato danni alle proprietà.

A Tammun (Tubas), in scontri scoppiati durante un’operazione di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno sparato ed ucciso un palestinese 26enne e ne hanno ferito un altro. Inoltre, in Cisgiordania, gli scontri con le forze israeliane hanno provocato il ferimento di 441 palestinesi, tra cui 97 minori [seguono dettagli]. La maggior parte dei ferimenti è stata segnalata durante scontri legati alle manifestazioni settimanali tenute contro le attività di insediamento nei pressi di Beita (319) e Beit Dajan (51), entrambe nel governatorato di Nablus. Altri 26 feriti sono stati segnalati in scontri scoppiati con le forze israeliane conseguenti all’ingresso di israeliani in un luogo religioso della città di Nablus; 11 durante cinque operazioni di ricerca-arresto a Tubas, Gerusalemme e Ramallah; 28 in sette episodi verificatisi nell’area H2 della città di Hebron e a Nablus (vedi sotto). I rimanenti ferimenti sono stati registrati in tre diversi episodi accaduti nel Governatorato di Hebron e nella Città Vecchia di Gerusalemme (vicino alla Porta di Damasco), dove i palestinesi hanno lanciato pietre e le forze israeliane hanno sparato lacrimogeni e proiettili di gomma. Tra i feriti: 3 sono stati colpiti da proiettili veri, 59 da proiettili di gomma, 364 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni e i restanti 15 sono stati aggrediti fisicamente o colpiti da bombolette di gas lacrimogeno.

I 28 palestinesi feriti citati sopra (18 dei quali alunni) hanno inalato gas lacrimogeni o sono stati aggrediti fisicamente e feriti da forze israeliane nel corso di 7 episodi che hanno coinvolto scuole di Al Lubban ash Sharqiya (Nablus) e dell’area H2 della città di Hebron [seguono dettagli]. In H2, secondo quanto riferito, studenti palestinesi hanno lanciato pietre contro le forze israeliane e queste ultime hanno sparato candelotti lacrimogeni contro il vicino complesso scolastico; 15 ragazze sono state curate per inalazione di gas lacrimogeno e gli studenti di tre scuole vicine sono stati evacuati a causa dell’intensità del gas. In Al Lubban ash Sharqiya, in cinque episodi, le forze israeliane hanno sparato lacrimogeni e bombe assordanti agli studenti, interrompendo le lezioni e costringendo gli studenti a lasciare la scuola: 13 palestinesi sono rimasti feriti, tra cui tre studenti, mentre altre 70 persone circa hanno inalato gas lacrimogeno, ma non hanno avuto bisogno di cure mediche. Questi episodi si sono verificati dopo che coloni israeliani si erano radunati vicino alla scuola per protestare di essere stati colpiti da pietre lanciate dai locali della scuola.

A Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa, in almeno 35 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento [verso palestinesi], verosimilmente per far rispettare le restrizioni all’accesso. Non sono stati segnalati feriti. Sette pescatori palestinesi sono stati arrestati e due barche sono state confiscate dalle forze israeliane. Bulldozer militari israeliani hanno condotto cinque operazioni di spianatura del terreno all’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale. Le autorità israeliane hanno arrestato due uomini al valico di Erez, compreso uno che accompagnava la moglie per cure mediche a Gerusalemme Est. Altre tre persone, tra cui un minore, sono state arrestate mentre, secondo quanto riferito, cercavano di entrare [illegalmente] in Israele attraverso la recinzione perimetrale.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 100 operazioni di ricerca-arresto, arrestando 132 palestinesi. La maggior parte delle operazioni è stata svolta in Gerusalemme Est (33) e nel governatorato di Hebron (31), seguite da Betlemme (19) e Ramallah (14). Tra il 18 novembre e il 1° dicembre, le forze israeliane hanno chiuso rispettivamente gli ingressi principali di Mantiqat Shi’b al Butum (Hebron) e Deir Nidham (Ramallah), costringendo i residenti palestinesi a fare lunghe deviazioni e creando loro gravi difficoltà ad accedere ai servizi ed ai mezzi di sussistenza.

Il 30 novembre, nell’area di Ibziq della Valle del Giordano, almeno sei famiglie palestinesi sono state costrette, per otto giorni, ad evacuare le loro residenze per consentire gli addestramenti militari israeliani. Di conseguenza, 38 persone, tra cui 17 minori, sono state temporaneamente sfollate, senza che fossero fornite loro sistemazioni alternative.

In Cisgiordania, a causa della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o costretto i proprietari a demolire, un totale di 62 strutture di proprietà palestinese, di cui undici donate come assistenza umanitaria [seguono dettagli]. In totale, 55 persone sono state sfollate, inclusi 18 minori, e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di altre 3.000 persone circa. Quarantaquattro delle strutture erano situate in Area C (tra esse le undici donate come assistenza umanitaria). Nella Comunità Mirkez di Massafer Yatta (Hebron), le autorità israeliane hanno demolito otto case, cisterne e strutture legate al sostentamento. Questa zona è designata come “zona di tiro” per l’addestramento militare e i suoi 1.300 residenti sono sottoposti ad un contesto coercitivo che li mette a rischio di trasferimento forzato. A Khirbet Atuf, situata nell’Area C del governatorato di Tubas, le autorità israeliane hanno smantellato e confiscato circa 1.800 metri di un acquedotto finanziato da donatori. Tredici delle strutture si trovavano a Gerusalemme Est: sei di esse sono state demolite dai proprietari palestinesi per evitare tasse comunali e possibili danni ad altre strutture [adiacenti] e ad oggetti personali. Altre cinque strutture sono state demolite a seguito di una sentenza della Corte Suprema Israeliana che fa riferimento a un ordine militare del 2011; tale ordine individua, sul “versante Gerusalemme” della Barriera, una zona cuscinetto di sicurezza, dove la costruzione è vietata. Tale zona interessa Sur Bahir in Area A e la Comunità di Al Khas (Betlemme) in Area B. Tre famiglie composte da nove persone, tra cui tre minori e una donna anziana, sono state sfollate.

Il 28 novembre, il Tribunale Distrettuale di Gerusalemme ha respinto il ricorso dei residenti contro 58 ordini di demolizione emessi dalle autorità israeliane contro decine di strutture di proprietà palestinese situate nell’area Wadi Yasul di Silwan (Gerusalemme Est), mettendo centinaia di persone a rischio imminente di sfollamento. Wadi Yasul ospita circa 700 palestinesi, ma è stato destinato dalle autorità israeliane a diventare “area verde”. Negli ultimi 15 anni sono stati sempre respinti gli sforzi dei residenti per cambiare in “residenziale” la destinazione dell’area.

In Cisgiordania, 25 attacchi di coloni hanno provocato quattro feriti palestinesi e danni alle proprietà [seguono dettagli]. Otto di questi episodi hanno visto il lancio di pietre contro veicoli e case palestinesi nelle aree di Ramallah, Nablus e Hebron, con conseguente ferimento di due palestinesi, uno dei quali minore, e danni ad almeno 13 veicoli palestinesi. A Sheikh Jarrah sono state forate le gomme di 13 auto di proprietà palestinese. Altri tre attacchi sono stati registrati a Shufa (Nablus), Khirbet Sarura e Ash Shyukh (entrambi a Hebron), comprendenti l’irruzione in case, il furto di attrezzi agricoli, il danneggiamento di tre serbatoi d’acqua e il taglio di parte di una conduttura dell’acqua. Nella Comunità di Ein al Hilwa, nella Valle del Giordano settentrionale (Tubas), coloni israeliani hanno attaccato pastori palestinesi e le loro mucche, uccidendo tre mucche. Nei pressi dei villaggi di Yanun e Jalud (entrambi in Nablus) e Khallet Athaba’ a Hebron sono stati danneggiati oltre 130 alberi e alberelli.

Nei governatorati di Gerusalemme, Nablus e Gerico palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani, ferendo dieci coloni. Secondo fonti israeliane, in Cisgiordania il lancio di pietre ha danneggiato 35 auto israeliane. In un altro episodio accaduto il 1° dicembre, due israeliani, di cui uno colono, dopo essere entrati nel centro di Ramallah, sono stati attaccati e la loro auto è stata data alle fiamme da palestinesi; sono stati soccorsi dalle forze di sicurezza palestinesi.

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

L’8 dicembre, nel quartiere di Sheikh Jarrah, in Gerusalemme Est, una colona israeliana è stata accoltellata e ferita. La presunta autrice, una ragazza palestinese, è stata arrestata.

Il 10 dicembre, nel contesto delle proteste settimanali contro l’attività di insediamento colonico a Beita (Nablus), le forze israeliane hanno ucciso un palestinese.

Il 13 dicembre, a Nablus, durante scontri seguiti ad un’operazione di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno ucciso un 30enne palestinese.




Gli ordini di demolizione per i palestinesi nell’Area C della Cisgiordania raggiungono il livello più alto in cinque anni

Hagar Shezaf

7 dicembre 2021, Haaretz

Secondo l’Amministrazione Civile, lo scorso anno Israele ha emanato 797 ordini di demolizione, mentre delle licenze edilizie richieste dai palestinesi in Area C nemmeno l’1% è stato autorizzato fra il 2016 e il 2020

L’Amministrazione Civile ha emesso lo scorso anno 797 ordini di demolizione per strutture di proprietà palestinese nell’area C [sotto il pieno controllo israeliano, ndtr] della Cisgiordania, segnando un record in cinque anni, ha rivelato l’associazione per i diritti Bimkom – Planners for Planning Rights in base alla documentazione ottenuta ai termini della legge sulla Libertà di Informazione.

Le associazioni per i diritti umani attribuiscono l’aumento degli ordini di demolizione a una crescente pressione politica per aumentare l’applicazione delle procedure esecutive sulle costruzioni palestinesi in Cisgiordania.
Secondo i dati, tra il 2016 e il 2020, i palestinesi hanno presentato 2.550 richieste di permessi di costruzione, ma solo 24 di loro sono state concesse, un misero 0,9 per cento. Dal 2019-2020 il tasso di richieste approvate è stato ancora più basso, dello 0,65%.

Allo stesso tempo, tra il 2016 e il 2020, sono stati rilasciati permessi di costruzione per 8.356 unità abitative di coloni in Cisgiordania, 384 volte il numero di permessi concessi ai palestinesi nell’Area C, la parte della Cisgiordania sotto il pieno controllo israeliano.

Il mese scorso l’Amministrazione Civile ha approvato provvedimenti per la costruzione di 1.303 case in villaggi palestinesi dell’Area C.
Solo un progetto, per 170 case a Barta’a, è stato approvato in via definitiva, mentre per gli altri è probabile che ci vogliano anni prima che vengano autorizzati.

L’architetto Alon Cohen-Lifshitz di Bimkom ha detto ad Haaretz che alcuni dei piani attualmente in fase di elaborazione sono obsoleti o non soddisfano le esigenze attuali dei residenti palestinesi, perché ormai è passato quasi un decennio da quando sono stati originariamente sottoposti all’Amministrazione Civile. “Il quadro fosco che emerge dalle nostre informazioni è quello di gravi discriminazioni”, ha detto.

I dati mostrano anche che fra il 2018 e il 2020 c’è stato un aumento costante del numero di permessi richiesti dai palestinesi prima della costruzione. Mentre la stragrande maggioranza delle richieste viene presentata dai palestinesi solo dopo la costruzione, i dati dell’Amministrazione Civile indicano una chiara tendenza all’aumento delle richieste presentate in anticipo.

Nel 2018 – il primo anno su cui l’Amministrazione Civile ha cominciato a fornire questo tipo di dati – solo 57 richieste sono state presentate dai palestinesi prima dell’inizio della costruzione. Nel 2020 questa cifra si era raddoppiata, con 104 richieste.

Lo scorso ottobre il Ministero delle colonie ha trasferito 20 milioni di shekel a 14 autorità coloniali per acquistare droni e personale di pattuglia per aiutare quelle giunte a monitorare le costruzioni illegali palestinesi.

Le varie autorità hanno ricevuto fino a 4 milioni di dollari e hanno indetto gare d’appalto. Gli agenti non avranno l’autorità per far rispettare alcuna norma – questo è di competenza dell’Amministrazione Civile – ma la logica sottesa è che aiuteranno a localizzare le costruzioni illegali per poi lasciare le procedure esecutive (all’Amministrazione Civile).

Inoltre, nel corso del 2020, l’Amministrazione Civile ha istituito una linea diretta per i coloni per la segnalazione di costruzioni illegali nell’Area C. Nel corso degli anni, diverse organizzazioni e membri della Knesset (Parlamento israeliano), tra cui il presidente del Partito Sionista Religioso Bezalel Smotrich, hanno promosso una campagna chiamata “lotta per l’area C”, che vuole contrastare l’edilizia palestinese. La Knesset ha discusso di tali questioni e i vari provvedimenti sopra elencati sono stati presi per aumentare gli interventi esecutivi.

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero




Amnesty condanna la JCB per i macchinari usati per demolire le case dei palestinesi

Areeb Ullah

18 novembre 2021 – Middle East Eye

L’organizzazione per i diritti umani riporta che il rappresentante esclusivo della JCB in Israele ha venduto macchinari al ministero della difesa israeliano che li ha usati per demolire le case dei palestinesi e distruggere coltivazioni

Amnesty International ha accusato l’impresa edile britannica JCB di ignorare la vendita, tramite la sua unica sussidiaria in Israele, dei suoi bulldozer al governo israeliano che si dice li abbia usati per demolire le case dei palestinesi nella Cisgiordania occupata. 

In un’inchiesta divulgata giovedì, Amnesty International riporta che la JCB non ha adottato le misure necessarie per impedire alla Comasco, il suo distributore in esclusiva in Israele, di vendere ed eseguire la manutenzione di mezzi quali bulldozer e scavatrici al ministero della difesa israeliano.

L’organizzazione con sede a Londra ha detto che ci sono decine di casi specifici riguardanti macchinari della JCB usati per demolire edifici residenziali e agricoli appartenenti a palestinesi, oltre a condutture, oliveti e altre coltivazioni.

Peter Frankental, direttore del Programma affari economici di Amnesty UK (Regno Unito), ha attaccato la JCB per la sua inazione e ha detto che l’azienda aveva “i mezzi tecnologici e contrattuali per opporsi” all’uso dei suoi macchinari fatto da Israele per infrangere il diritto internazionale.   

“Nessuna azienda responsabile dovrebbe stare a guardare mentre i suoi prodotti sono usati per violare i diritti umani, specialmente quando ciò succede da oltre un decennio come la demolizione delle case dei palestinesi nei territori palestinesi occupati,” dice Frankental a Middle East Eye.   

“È assolutamente prevedibile che i macchinari che la JCB vende al suo unico distributore in Israele vengano usati per la demolizione delle case dei palestinesi e per la costruzione delle colonie illegali di Israele.

“È semplicemente imperdonabile la negligenza della JCB nel valutare l’impatto sui diritti umani dell’uso dei suoi macchinari nell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele.”

L’anno scorso il governo inglese lanciò un’indagine circa le denunce secondo cui i macchinari costruiti dalla JCB sono stati usati per demolire le case dei palestinesi e la costruzione di colonie israeliane illegali nei territori palestinesi occupati. 

L’UK National Contact Point (NCP) [Punto di contatto nazionale del Regno Unito] che è finanziato dal governo britannico per indagare in modo indipendente su reclami contro le imprese multinazionali per presunte violazioni dei diritti umani e di altri obblighi, ha accolto la denuncia contro la JCB presentata dall’ente britannico e filantropico di assistenza legale Lawyers for Palestinian Human Rights (LPHR).  

La scorsa settimana il NCP ha detto che è “deplorevole” che la JCB “non abbia preso alcuna iniziativa per applicare la dovuta diligenza circa la difesa dei diritti umani di ogni tipo, sebbene consapevole dell’impatto di eventi che potrebbero essere contrari ai diritti umani”.

Un portavoce della JCB ha detto a Middle East Eye che “l’impresa non tollera alcuna forma di violazione dei diritti umani” e che “non contribuisce né è in alcun modo responsabile o collegata a violazioni dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati, sia direttamente che indirettamente.” 

“Queste asserzioni sono state recentemente oggetto di un’indagine completa e indipendente da parte dell’UK National Contact Point per le linee guida OCSE [Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico] per le imprese multinazionali,” aggiunge il portavoce. 

“La recente conclusione del NCP-UK riconferma gli accertamenti iniziali secondo cui non ci sono state violazioni da parte della JCB. In particolare, il NCP–UK ha concluso che il presunto impatto sui diritti umani non può essere collegato alle operazioni commerciali o agli accordi contrattuali della JCB.”  

Una storia di violazioni dei diritti

Le attività della JCB in Israele sono al centro di polemiche e hanno ricevuto pesanti critiche da parte di attivisti per i diritti [umani]. 

L’azienda domina il mercato israeliano con una quota di mercato del 65% di tutte le scavatrici e con il 90% del mercato dei veicoli da carico comunemente usati nel Paese. 

All’inizio di quest’anno la JCB era su una lista pubblicata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite secondo cui l’impresa edile ha dei legami con le colonie israeliane ritenute da molte organizzazioni a livello globale in violazione del diritto internazionale. 

Il consiglio ha compilato la lista e detto che le imprese elencate hanno agevolato la costruzione delle colonie, fornito loro apparecchiature di sorveglianza o servizi di sicurezza a imprese che vi lavorano.

Nel 2018 Middle East Eye rivelò che attrezzature di perforazione della JCB erano usate nei pressi di Khan al-Ahmar, un villaggio palestinese nella Cisgiordania centrale occupata e da tempo minacciato di demolizione da Israele.

Nel 1984 la JCB cominciò a produrre veicoli di tipo militare appositamente ideati per costruire edifici. Tramite la sua branca JCB Defence Products ha fornito 3.500 veicoli alle forze armate di 57 Paesi. 

“Per molti palestinesi i caratteristici bulldozer gialli e neri della JCB sono un segno nefasto dell’incombente perdita delle loro case e di altre terre sottratte ai palestinesi per far posto alle illegali colonie israeliane,” dice Sacha Deshmukh, l’AD di Amnesty UK.

“Secondo gli standard internazionali di commercio, la JCB ha la chiara responsabilità di prendere misure per assicurare che i propri prodotti non siano usati nel commettere violazioni dei diritti umani e ciò dovrebbe essere considerato parte essenziale della diligenza dovuta per garantire i diritti umani.”

MEE ha contattato la JCB per un commento ma al momento della pubblicazione di questo articolo non ha ricevuto risposta.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 5 – 18 ottobre 2021

Secondo fonti israeliane, le forze israeliane hanno sparato uccidendo un 14enne palestinese e ferendo un altro ragazzo, poi arrestato: entrambi stavano lanciando bottiglie incendiarie contro veicoli israeliani.

L’episodio è avvenuto il 14 ottobre, nei pressi del checkpoint dei Tunnel che controlla l’accesso all’area di Gerusalemme per chi arriva dalla Cisgiordania meridionale. Sempre il 14 ottobre, nell’area di Qalandiya (Gerusalemme), ad un posto di blocco “volante”, un palestinese ha investito e ferito gravemente un agente della polizia di frontiera israeliana. Le forze israeliane gli hanno sparato ferendolo gravemente alla testa.

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno ferito 159 palestinesi [seguono dettagli]. La maggior parte (115) è rimasta ferita durante le ininterrotte proteste contro le attività di insediamento vicino a Beita (90 feriti) e Beit Dajan (25 feriti) nel governatorato di Nablus. Altri otto palestinesi sono stati curati per aver inalato gas lacrimogeni sparati dalle forze israeliane che erano intervenute nel villaggio di Burin a Nablus, durante una incursione di coloni (vedi sotto). I restanti feriti sono stati registrati principalmente durante scontri in prossimità di checkpoint. Nel complesso, cinque palestinesi sono stati colpiti da proiettili veri e 25 da proiettili di gomma, 21 sono stati aggrediti fisicamente o colpiti da granate sonore; i rimanenti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni. Oltre a quelli feriti direttamente dalle forze israeliane, cinque palestinesi sarebbero rimasti feriti nel villaggio di Beita, mentre scappavano dalle forze israeliane, o in circostanze che non è stato possibile verificare.

Intorno alla Città Vecchia di Gerusalemme, è stato registrato un incremento della violenza, con numerosi feriti o arrestati [seguono dettagli]. Il 10 ottobre, palestinesi hanno manifestato contro l’abbattimento di parti di un cimitero islamico vicino alla Città Vecchia; alcuni di loro hanno dato fuoco a un container appartenente alla municipalità di Gerusalemme. Le demolizioni erano iniziate lo scorso anno; erano state interrotte dopo un ricorso legale, ma sono riprese dopo una ordinanza del tribunale israeliano. Complessivamente, durante il periodo di riferimento [di questo rapporto], intorno alla Città Vecchia, 24 palestinesi sono stati colpiti da granate sonore o proiettili di gomma sparati dalle forze israeliane; tre israeliani (due coloni e un agente della polizia di frontiera) sono stati aggrediti fisicamente da palestinesi mentre 19 palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 113 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato circa 150 palestinesi. Il governatorato più colpito è stato quello di Gerusalemme.

In almeno 23 occasioni, in Gaza, vicino alla recinzione perimetrale e al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento [verso palestinesi] apparentemente per far loro rispettare le restrizioni di accesso. Non sono stati segnalati feriti. All’interno di Gaza, nella zona di Rafah, in prossimità della recinzione perimetrale, bulldozer militari israeliani hanno effettuato la spianatura di terreno. Sempre nell’area di Rafah, forze israeliane hanno confiscato un peschereccio ancorato a sei miglia nautiche dalla costa di Gaza, ben all’interno dell’area di pesca attualmente consentita [ai palestinesi] dalle autorità israeliane, cioè 15 miglia al largo della costa meridionale di Gaza. Le forze israeliane hanno anche arrestato due palestinesi (uno è un ragazzo) che, secondo quanto riferito, tentavano di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale.

In Area C, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 23 strutture di proprietà palestinese, sfollando quattro persone [seguono dettagli]. Gli sfollati vivevano nella Comunità di pastori di Az Za’ayyem (Gerusalemme). Dodici strutture, prevalentemente residenziali, sono state smantellate nella Comunità di pastori di Ras at Tin, a Ramallah, colpendo 50 persone. Si stima che siano circa 350 gli agricoltori e le rispettive famiglie della Comunità di Tayasir, nella Valle del Giordano, colpiti dalla demolizione di una strada agricola pavimentata. Le restanti demolizioni includono strutture di sussistenza ad Haris (Salfit) e Ma’in (Hebron).

Coloni israeliani hanno ferito sette palestinesi, mentre persone note come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato o rubato il raccolto di oltre 1.600 alberi, principalmente ulivi [seguono dettagli]. Quattro dei feriti sono stati colpiti con pietre da coloni israeliani che avevano fatto irruzione nel villaggio di Burin (Nablus), causando danni a case ed alberi. Nel villaggio di Yasuf, a Nablus, una donna è stata spruzzata con liquido al peperoncino da coloni che hanno anche lanciato pietre contro altri palestinesi che raccoglievano le olive. Gli altri due sono stati feriti a Hebron. Agricoltori palestinesi, testimoni oculari e proprietari di terreni (in alcuni casi avvalorati da rapporti del Ministero dell’Agricoltura) riferiscono che, dal 12 ottobre, inizio della raccolta annuale delle olive, nei villaggi intorno a Nablus, Hebron, Salfit e Ramallah, oltre 1.400 alberi, principalmente ulivi, sono stati vandalizzati o ne sono stati rubati i frutti. Molti di questi alberi erano stati piantati [su terreni di proprietà palestinese] in prossimità di insediamenti colonici israeliani. I restanti 200 alberi danneggiati sono stati segnalati da proprietari, poco prima dell’inizio della stagione. Coloni hanno anche vandalizzato diverse auto a Marda (Salfit) e Beit Iksa e nel quartiere di Silwan (entrambi a Gerusalemme).

Nel governatorato di Ramallah, persone note come palestinesi, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani, ferendo un colono. In Cisgiordania, secondo fonti israeliane, il lancio di pietre ha danneggiato 22 auto israeliane.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina:https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 24 agosto – 6 settembre 2021

In Cisgiordania, le forze israeliane hanno sparato ed ucciso due palestinesi, uno era un ragazzo

[seguono dettagli]. Durante un’operazione notturna, condotta il 24 agosto nel Campo profughi di Balata (Nablus), forze israeliane hanno sparato uccidendo un ragazzo di 15 anni che, esse dicono, cercava di lanciare un oggetto contro i soldati. Fonti locali dicono che [il ragazzo] non fosse coinvolto nell’operazione, ma semplice spettatore. Il 2 settembre, vicino a un cancello della Barriera che conduce a Beit ‘Ur, nel villaggio di Tahta (Ramallah), un palestinese di 39 anni è stato ucciso mentre tornava dal lavoro in Israele. L’esercito israeliano ha affermato che i soldati hanno sparato a un individuo “sospetto” che aveva cercato di appiccare un incendio lungo l’autostrada, e che [l’esercito] ha aperto un’indagine sull’episodio. In Cisgiordania, dall’inizio dell’anno ad oggi, 57 palestinesi, tra cui 12 minori, sono stati uccisi dalle forze israeliane con armi da fuoco.

Nei pressi [ed all’interno] della recinzione perimetrale israeliana che circonda la Striscia di Gaza, le forze israeliane hanno sparato e ucciso un palestinese e ferito oltre 70 altri; altri due palestinesi sono morti, per ferite riportate in circostanze simili prima del periodo di riferimento [di questo Rapporto]. È morto anche un soldato israeliano che, il 21 agosto, era stato colpito da un cecchino palestinese. In più occasioni, a quanto riferito, i manifestanti palestinesi hanno fatto scoppiare esplosivi o fuochi d’artificio ed hanno lanciato pietre e altri oggetti verso la recinzione; le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili ricoperti di gomma e lacrimogeni.

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno ferito 288 palestinesi [seguono dettagli]. La stragrande maggioranza (273) dei feriti accertati è da collegare alle reiterate proteste in corso contro le attività di insediamento [colonico] vicino al villaggio di Beita (Nablus). Altre quattro persone (due sono ragazzi) sono state ferite durante le operazioni di ricerca-arresto condotte nei governatorati di Jenin, Nablus e Betlemme; i rimanenti [dei 288] sono rimasti feriti in altri episodi. Dei feriti palestinesi, sei sono stati colpiti con proiettili veri, 44 con proiettili di gomma; i rimanenti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno o per aggressione fisica. Nella città di Abu Dis (Gerusalemme), un soldato israeliano è stato ferito durante un’operazione di ricerca-arresto. Oltre ai 288 palestinesi feriti direttamente dalle forze israeliane, 47 sono rimasti feriti a Beita, sia mentre scappavano dalle forze israeliane sia in circostanze che non è stato possibile verificare.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 118 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 134 palestinesi. La maggior parte delle operazioni sono state condotte nei governatorati di Gerusalemme ed Hebron. Il 1° settembre, le forze israeliane hanno fatto irruzione in una scuola del quartiere di Wadi Al Joz, a Gerusalemme Est, hanno arrestato il preside e un impiegato della scuola, ed hanno sequestrato computer e documenti.

Gruppi armati palestinesi hanno appiccato incendi in Israele lanciando palloni incendiari; le forze israeliane hanno effettuato attacchi aerei su Gaza, secondo quanto riferito, contro siti militari e campi aperti, causando lievi danni a tre case. In almeno 12 occasioni, vicino alla recinzione perimetrale e al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]: un pescatore è stato ferito.

In Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, a causa della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o costretto i proprietari a demolire 31 strutture di proprietà palestinese [seguono dettagli]. Sono state sfollate 30 persone, tra cui 21 minori, e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di altre 130 circa. Tutti gli sfollamenti sono stati registrati a Gerusalemme Est, a seguito della demolizione di cinque abitazioni, tre delle quali sono state demolite dagli stessi proprietari per evitare multe. Il 28 agosto, nella zona di Beit Hanina a Gerusalemme, un ragazzo palestinese di 17 anni che stava aiutando i suoi vicini a demolire la loro casa (come ordinato loro dalle autorità israeliane) è morto per la caduta di un muro di cemento. In Area C, la demolizione di 23 strutture, tra cui otto rifugi per animali a Khirbet Ar Rahwa (Hebron) e Ibziq (Tubas), ha interessato dieci Comunità. L’ultima di queste località si trova in un’area designata dalle autorità israeliane come “zona di tiro” utilizzata per l’addestramento militare.

Persone note o ritenute coloni israeliani hanno danneggiato proprietà palestinesi in molteplici episodi [seguono dettagli]. Fonti locali indicano che, complessivamente, almeno 650 alberi di proprietà palestinese sono stati vandalizzati ad At Taybe (Hebron) e Jamma’in (Nablus). Sempre a Hebron, nell’area H2 della città, sono stati danneggiati nove veicoli; a Khirbet Bir al Idd (Hebron) il conducente di una autocisterna per acqua è stato attaccato ed un serbatoio mobile d’acqua è stato danneggiato. In due episodi sono state vandalizzate condutture dell’acqua ed una serra; ad Al Lubban ash Sharqiya (Nablus) sono stati rubati attrezzi agricoli; a Silat adh Dhahr (Jenin), almeno due case e un veicolo sono stati danneggiati da pietre lanciate da coloni.

Persone note o ritenute palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani in transito nei governatorati di Hebron e Ramallah, ferendo due colone. Inoltre, secondo fonti israeliane, il lancio di pietre ha danneggiato 14 auto israeliane.

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Il 6 settembre, sei palestinesi sono evasi da una prigione israeliana. Dopo questo fatto, le autorità israeliane hanno arrestato alcuni parenti, hanno annullato le visite dei familiari ed hanno trasferito altri detenuti palestinesi in strutture diverse. In tutta la Cisgiordania, i palestinesi hanno manifestato in solidarietà con i prigionieri e le loro famiglie; ne sono seguiti scontri con le forze israeliane e alcuni feriti.

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Rapporto OCHA del periodo 10 – 23- agosto 2021

In Cisgiordania, durante operazioni di ricerca-arresto, cinque palestinesi sono stati uccisi da forze israeliane

[seguono dettagli]. Il 15 agosto, nel Campo profughi di Jenin, durante un’operazione notturna, le forze israeliane hanno sparato, uccidendo quattro palestinesi di età compresa tra i 19 e i 21 anni. Un quinto palestinese ha riportato gravi ferite. Durante l’operazione c’è stato uno scontro armato tra palestinesi e una unità israeliana sotto copertura che era entrata nel Campo per arrestare un palestinese, secondo quanto riferito, affiliato ad Hamas. Un altro palestinese, di 25 anni, è morto l’11 agosto per le ferite riportate durante un’altra operazione di ricerca-arresto svolta nella città di Jenin, il 3 agosto. Dall’inizio dell’anno, in Cisgiordania, sono stati uccisi dalle forze israeliane cinquantacinque (55) palestinesi; tutti colpiti da proiettili di arma da fuoco.

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno ferito 221 palestinesi [seguono dettagli]. Dei 221 feriti, 152 sono stati colpiti durante le perduranti proteste contro l’attività di insediamento [colonico] vicino a Beita, 19 a Beit Dajan (entrambi a Nablus) e dieci a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Altri trentadue sono rimasti feriti in scontri con forze israeliane sviluppatisi a Battir (Betlemme), nel corso di una demolizione (vedi sotto). Due scolari sono rimasti feriti durante scontri con forze israeliane nei pressi di una scuola nella Comunità di Tayasir (Tubas); i rimanenti feriti si sono avuti in altre località della Cisgiordania. Dei feriti palestinesi, tre sono stati colpiti con proiettili veri, 28 con proiettili di gomma; i restanti sono stati curati principalmente per inalazione di gas lacrimogeni o perché aggrediti fisicamente. Oltre ai 221 palestinesi feriti direttamente da forze israeliane, 23 sono rimasti feriti a Beita mentre scappavano dalle forze israeliane o in circostanze che non hanno potuto essere verificate.

In Cisgiordania, forze israeliane hanno effettuato 92 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 104 palestinesi. La maggior parte delle operazioni si è svolta nei governatorati di Gerusalemme e di Hebron. Dal 23 agosto, le forze israeliane hanno chiuso l’ingresso principale del villaggio [palestinese] di Sinjil a Ramallah con cumuli di terra (oltre ad aver chiuso una strada vicina), costringendo i residenti a fare lunghe deviazioni, rendendo difficoltoso il loro accesso ai servizi ed ai luoghi di lavoro. Circa 7.000 residenti palestinesi sono stati colpiti dalla chiusura.

Il 16 agosto, gruppi armati palestinesi hanno lanciato due razzi da Gaza verso il sud di Israele; si tratta del primo lancio dalla fine di maggio. Uno dei razzi è stato intercettato dal sistema di difesa israeliano “Iron Dome” e l’altro è caduto all’interno di Gaza. Non si registrano feriti o danni a cose. Il 23 agosto, gruppi armati palestinesi hanno lanciato da Gaza una serie di palloni incendiari che hanno causato diversi incendi in Israele. Jet militari israeliani hanno effettuato una serie di attacchi contro postazioni militari di Gaza, fronteggiati, a quanto riferito, da raffiche di mitragliatrice pesante sparate da gruppi armati palestinesi. A seguito del mitragliamento, le forze aeree israeliane hanno effettuato ulteriori attacchi aerei. Non si registrano feriti o danni.

Il 21 agosto, centinaia di persone hanno tenuto una manifestazione di massa sul lato palestinese della recinzione perimetrale israeliana che racchiude la Striscia di Gaza. Durante la protesta, i palestinesi hanno lanciato pietre e altri oggetti contro le forze israeliane che hanno risposto sparando proiettili veri e lacrimogeni. Il Ministero della Salute di Gaza ha documentato 53 feriti palestinesi (25 minorenni) di cui 46 feriti da proiettili di arma da fuoco. Un soldato israeliano è stato ferito gravemente da un colpo di pistola sparato da un manifestante palestinese. Successivamente, le forze israeliane hanno effettuato una serie di attacchi aerei su postazioni appartenenti a gruppi armati palestinesi di Gaza. Non sono stati segnalati feriti.

Ancora in Gaza, vicino alla recinzione perimetrale e al largo della costa, in almeno 11 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso. Bulldozer militari israeliani hanno condotto una operazione di spianatura del terreno all’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale, ad est del Campo profughi di Al Maghazi, nell’Area Centrale della Striscia. In un altro caso, le forze navali egiziane hanno aperto il fuoco contro imbarcazioni palestinesi al largo di Rafah, ferendo un pescatore. A Gaza City, in due distinti episodi, cinque minori sono rimasti feriti dall’esplosione di residuati bellici che stavano maneggiando. Il 23 agosto, l’Egitto ha chiuso il valico di frontiera di Rafah, in entrambe le direzioni, fino a nuovo avviso. Il motivo di questa chiusura imprevista non è stato reso noto.

In Cisgiordania, a causa della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o costretto i proprietari a demolire un totale di 31 strutture di proprietà palestinese, sfollando 32 persone, tra cui 14 minori, e colpendo i mezzi di sussistenza di circa altre 680 persone. Anche a Gerusalemme Est, nel quartiere di Shu’fat, è stato demolito dai proprietari un edificio ad un piano, sfollando quattro famiglie (15 persone). Ciò ha fatto seguito a una risoluzione definitiva della Corte Suprema israeliana che ha stabilito che il terreno su cui erano state costruite le abitazioni apparteneva ai coloni; alle famiglie palestinesi sono stati concessi 20 giorni per sgomberare le loro case. Il provvedimento è contestato dai proprietari palestinesi che affermano di aver acquistato il terreno nel 1952. Inoltre, il 10 agosto, nel villaggio di Battir (Betlemme), le autorità israeliane hanno spianato e reso inagibile una strada rurale, compromettendo l’accesso alla terra a circa 100 famiglie (500 persone). Inoltre, nel quartiere di Beit Safafa, a Gerusalemme Est, circa 100 bambini sono stati penalizzati dalla demolizione di un ampliamento di un edificio destinato ad essere utilizzato come asilo. Il 22 agosto, nell’area di Ibziq (Tubas), almeno otto famiglie sono state costrette ad allontanarsi dalla loro residenza per un periodo di dieci giorni per consentire le esercitazioni militari israeliane. Per gli stessi motivi, altri quattro episodi di allontanamento temporaneo sono stati registrati in altre due comunità di Tubas.

In Cisgiordania, coloni israeliani hanno ferito almeno sei palestinesi, compreso un ragazzo di 15 anni [seguono dettagli]. In un episodio del 17 agosto, vicino al villaggio di Silat adh Dhahr (Jenin), coloni hanno investito con il loro veicolo un ragazzo; lo hanno condotto nell’insediamento israeliano di Homesh precedentemente evacuato, lo hanno legato a un albero e lo hanno picchiato fino a fargli perdere conoscenza. Due ore dopo, l’equipaggio di una jeep militare israeliana ha trovato il ragazzo e lo ha consegnato ad un’ambulanza. Il ragazzo è stato portato in ospedale dove è stato curato per contusioni e ustioni. Altri cinque palestinesi sono stati colpiti con pietre o aggrediti fisicamente: una donna nella zona H2 della città di Hebron controllata da Israele, un autista nel quartiere di Silwan a Gerusalemme Est e tre contadini a ‘Urif (Nablus). Inoltre, persone note o ritenute coloni israeliani hanno vandalizzato o rubato almeno 30 ulivi e alberelli di proprietà palestinese. In un raid ad ‘Asira al Qibliya a Nablus, coloni hanno lanciato pietre contro abitazioni e dato fuoco a terreni agricoli, causando danni. A Khirbet Zanuta (Hebron) sono stati registrati episodi che hanno avuto per protagonisti coloni e palestinesi locali; in un caso un contadino palestinese è stato arrestato dalle forze di sicurezza israeliane.

Persone note o ritenute palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani in transito sulle strade della Cisgiordania, ferendo tre coloni. Inoltre, secondo fonti israeliane, il lancio di pietre ha danneggiato almeno 22 auto israeliane.

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segue

Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Il 24 agosto, durante un’operazione di ricerca-arresto israeliana, nel Campo profughi di Balata (Nablus), un ragazzo palestinese di 15 anni è stato colpito e ucciso dalle forze israeliane. [vedi  Zeitun ]

Il 25 agosto, un palestinese di 32 anni è deceduto per le ferite riportate il 21 agosto, durante una manifestazione tenutasi ad est della città di Gaza, dove era stato colpito da forze israeliane con arma da fuoco.




Il cessate il fuoco a Gaza è instabile e un’altra guerra potrebbe arrivare presto

Adnan Abu Amer

25 luglio 2021 – Al Jazeera

Il persistere della violenza contro i palestinesi a Gerusalemme e il desiderio israeliano di rivincita potrebbero riaccendere le ostilità.

A maggio, non appena sono terminati gli 11 giorni della guerra israeliana contro Gaza, in Israele e nella Striscia sono iniziati i preparativi per un nuovo scontro. Era chiaro fin dall’inizio che il cessate il fuoco mediato dall’Egitto era fragile e sarebbe potuto non durare a lungo. La tregua temporanea è stata conclusa sotto la pressione degli Stati Uniti, ma non ha risolto le principali questioni che hanno scatenato lo scontro tra le due parti. Di conseguenza, il conflitto tra Israele e Hamas potrebbe facilmente riaccendersi nel prossimo futuro.

Dal punto di vista palestinese, gli sponsor del cessate il fuoco non hanno fatto nulla per fermare l’aggressione israeliana a Gerusalemme e nella moschea di Al-Aqsa che ha provocato la rabbia dei palestinesi e alla fine ha portato Hamas a lanciare razzi il 10 maggio. Sono continuate le espulsioni forzate e le demolizioni di case palestinesi nella Gerusalemme occupata, così come le irruzioni dei coloni israeliani sotto la protezione della sicurezza israeliana nel complesso della moschea di Al-Aqsa.

Nonostante le pressioni internazionali sul governo israeliano per fermare questi raid nel terzo luogo più sacro dell’Islam, quest’ultimo ha continuato a consentirli. Una delle ragioni principali di ciò è la sua stessa fragilità. Il nuovo governo israeliano è una coalizione instabile di forze politiche molto diverse tra loro che è ora soggetta a feroci attacchi politici da parte dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu dopo la sua cacciata dal potere. Di fronte alle accuse di essere “di sinistra”, il primo ministro Naftali Bennett è intenzionato a dimostrare le sue credenziali di destra e non rischierebbe di far arrabbiare la comunità dei coloni o l’estrema destra israeliana interrompendo i raid contro Al-Aqsa

Lo stesso vale per le espulsioni forzate dei palestinesi dalle loro case nella Gerusalemme occupata. La pulizia etnica della città dalla sua popolazione palestinese per renderla esclusivamente ebraica è stata per decenni una priorità assoluta per l’estrema destra israeliana. Bennett probabilmente teme che porre fine a questi crimini destabilizzerebbe la sua coalizione. Se non affrontate, questa continua violenza contro i palestinesi e la violazione della sacralità di Al-Aqsa potrebbero benissimo innescare un altro conflitto.

Dal punto di vista israeliano, l’emergere di Hamas come parte vittoriosa della guerra degli 11 giorni è stato difficile da digerire. I razzi di Hamas lanciati contro Israele sono stati accolti con favore dai palestinesi in tutta la Palestina storica, non solo a Gaza, e hanno aumentato il sostegno al movimento. Ciò ha causato molta frustrazione nei ranghi dell’esercito israeliano ed è probabile che la sua leadership spingerà per avere l’opportunità di pareggiare i conti e ripulire la sua immagine offuscata.

Nel frattempo, per contrastare la crescente popolarità di Hamas, Israele ha intensificato l’assedio di Gaza, chiudendo i valichi per la Striscia, limitando l’ingresso di aiuti e l’esportazione e importazione di generi alimentari e riducendo la fornitura di elettricità.

Di conseguenza, la situazione umanitaria a Gaza si è notevolmente deteriorata. I palestinesi nella Striscia affrontano condizioni sempre peggiori e quindi stanno facendo sempre più pressione su Hamas affinché provveda ai loro bisogni. Hamas, tuttavia, non ha la possibilità di dare risposte a queste legittime richieste umanitarie. Trovandosi in questa difficile posizione, Hamas potrebbe tentare di esportare la sua crisi interna con un nuovo conflitto generalizzato con Israele.

Una delle più importanti questioni economiche su cui è improbabile che Hamas scenda a compromessi è il finanziamento fornito dal Qatar dall’ottobre 2018, quando il movimento e Israele raggiunsero un’intesa con il patrocinio di Qatar, Egitto e Nazioni Unite.

Come parte di questo accordo, Doha invia 30 milioni di dollari al mese distribuiti a molti settori economici di Gaza, incluso il trasferimento di 100 dollari all’inizio di ogni mese a decine di migliaia di famiglie palestinesi. Il denaro dato agli abitanti di Gaza aiuta a rivitalizzare l’economia della striscia e a mitigare gli effetti dell’assedio israeliano.

Israele e gli Stati Uniti hanno spinto per la fine della sovvenzione in denaro del Qatar e hanno suggerito di sostituirla con buoni di acquisto dello stesso valore. Questa proposta è stata categoricamente respinta da Hamas, poiché si rende conto che molti degli abitanti di Gaza sopravvivono con queste elargizioni in contanti e che perderle porterebbe probabilmente a una situazione esplosiva nella striscia.

Sembra esserci un’impasse anche su un’altra questione: lo scambio di prigionieri. Sebbene per un certo tempo si sia parlato di un accordo imminente, ci sono gravi disaccordi che hanno portato al fallimento delle trattative indirette. Questo è un altro problema che potrebbe potenzialmente riaccendere le ostilità tra le due parti.

Da parte sua Hamas ha espresso il desiderio di sfruttare qualsiasi scontro militare con Israele per aumentare il numero di soldati israeliani catturati al fine di ottenere più strumenti di pressione ed essere in grado di scambiarli con prigionieri palestinesi detenuti da Israele.

Sebbene le forze che spingono per un nuovo conflitto siano forti, ci sono alcune fattori che finora hanno impedito lo scoppio di un’altra guerra a Gaza.

In primo luogo, lo stesso motivo che tiene le mani legate al nuovo governo israeliano sui raid contro Al-Aqsa e sulle espulsioni forzate dei gerosolimitani palestinesi dalle loro case – la sua fragilità – gli impedisce anche di lanciare un altro attacco contro Gaza. Se lo facesse, uno dei suoi partner di coalizione, il partito palestinese Raam, probabilmente ritirerebbe il suo sostegno. Altri potrebbero anche abbandonare la nave se la rappresaglia di Hamas avesse successo, specialmente se riuscisse a colpire in profondità il territorio israeliano.

Per questo – almeno per ora – il nuovo governo preferirebbe impegnarsi in colloqui indiretti con Hamas, alzare le sue richieste negoziali e dedicarsi a gestire la situazione senza necessariamente cadere in uno scontro diretto.

In secondo luogo, Hamas è consapevole che sia i suoi combattenti che i civili di Gaza potrebbero non essere in grado di superare un’altra campagna israeliana di distruzione indiscriminata. Non appena finita l’ultima guerra, il suo braccio armato ha iniziato a ripristinare le proprie capacità militari, ma era evidente che i suoi combattenti avevano bisogno di “una pausa”. Data la difficile situazione umanitaria nella Striscia, anche gli abitanti sono gravemente provati dalla guerra.

La consapevolezza dello “sfinimento a causa del conflitto” tra i palestinesi di Gaza è stata evidente nella risposta di Hamas alla marcia organizzata dai coloni attraverso la Gerusalemme occupata dopo che il nuovo governo israeliano aveva preso il potere.

Piuttosto che lanciare una risposta militare alla marcia come è successo lo scorso Ramadan, Hamas si è accontentata di denunciarla.

Terzo, gli Stati Uniti non vogliono alcun conflitto armato nei territori palestinesi. A maggio hanno spedito i loro inviati nella regione per fare pressione su tutte le parti affinché si impegnassero per il cessate il fuoco, in modo che non vi siano nuove ostilità mentre cercano di portare a termine un accordo nucleare con l’Iran. Gli Stati Uniti vogliono la calma nella regione anche perché devono dedicarsi al confronto con Cina e Russia.

Sebbene finora questi fattori stiano impedendo un altro conflitto tra Israele e Hamas, la situazione è abbastanza instabile e imprevedibile. In qualsiasi momento il calcolo di ciascun attore può cambiare, e i benefici di un’altra guerra potrebbero essere percepiti come maggiori rispetto all’ impegno a mantenere l’attuale cessate il fuoco. Non vi sarà una tregua più stabile fino a quando non saranno risolte le principali questioni in sospeso tra Israele e Hamas.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Rapporto OCHA del periodo 29 giugno – 12 luglio 2021

Il 3 luglio, coloni israeliani, accompagnati da soldati, sono entrati nel villaggio di Qusra (Nablus), scontrandosi con i residenti palestinesi. Nel corso di tali scontri è stato ucciso un 21enne palestinese:

secondo i militari, l’uomo ha lanciato un ordigno esplosivo e le forze israeliane gli hanno sparato. Coloni israeliani e residenti palestinesi si sono lanciati pietre reciprocamente e, secondo fonti locali, dopo che il 21enne palestinese era stato colpito, alcuni coloni lo hanno percosso. Nel corso di manifestazioni in cui i palestinesi hanno chiesto alle autorità israeliane la restituzione del corpo dell’ucciso, le forze israeliane hanno disperso la folla sparando proiettili veri, proiettili di gomma e gas lacrimogeni: diversi palestinesi hanno subito lesioni.

In Cisgiordania, in scontri, le forze israeliane hanno ferito complessivamente almeno 981 palestinesi, tra cui 133 minori [seguono dettagli]. Del totale dei feriti, 892 sono stati registrati nel governatorato di Nablus, includendo i feriti nei suddetti eventi di Qusra, e quelli collegati alle proteste contro l’espansione degli insediamenti nei villaggi di Beita e Osarin; 19 sono rimasti feriti nei quartieri di Ras al ‘Amud e Silwan a Gerusalemme Est; 13 nel villaggio di Halhul (Hebron) e i rimanenti in altre località. Complessivamente, 36 palestinesi sono stati colpiti da proiettili veri, 214 da proiettili di gomma; i rimanenti sono stati curati principalmente per l’inalazione di gas lacrimogeni o sono stati aggrediti fisicamente. Oltre ai 981 feriti direttamente dalle forze israeliane, 58 sono rimasti feriti a Beita e Osarin cercando di sfuggire alle forze israeliane o in circostanze non verificabili.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 163 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 134 palestinesi, tra cui sei minori. La maggior parte delle operazioni è avvenuta a Nablus, seguita da Hebron e Gerusalemme Est; le restanti operazioni sono state effettuato in altri governatorati.

Il 4 luglio, nella Città Vecchia di Gerusalemme, le autorità israeliane hanno convocato un bambino palestinese di nove anni per un interrogatorio le cui ragioni restano sconosciute. Da metà aprile, a Gerusalemme Est, sono stati arrestati dalle autorità israeliane almeno 65 minori palestinesi, più della metà dei quali sono stati arrestati nel solo mese di giugno.

A Gaza, palestinesi hanno lanciato palloni incendiari verso Israele e le forze israeliane hanno effettuato quattro attacchi aerei, prendendo di mira siti militari, ferendo due persone e danneggiando case ed una manifattura. Vicino alla recinzione perimetrale e al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, in almeno nove occasioni; secondo quanto riferito per far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso [loro imposte]. Hanno anche svolto almeno quattro operazioni di spianatura del terreno vicino alla recinzione perimetrale, all’interno di Gaza.

Il 12 luglio, le autorità israeliane hanno esteso da 9 a 12 miglia nautiche la zona di pesca consentita [ai palestinesi] al largo della costa meridionale di Gaza, mentre l’hanno mantenuta a sei miglia nella parte settentrionale. Lo stesso giorno, le autorità israeliane hanno annunciato l’ampliamento della gamma di merci consentite in entrata e in uscita dalla Striscia di Gaza; le limitazioni erano state imposte dall’inizio del conflitto del 10-21 maggio.

In Cisgiordania, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, sono state demolite o sequestrate 59 strutture di proprietà palestinese, sfollando 81 persone e determinando ripercussioni su circa altre 1.300 [seguono dettagli]. 30 strutture sono state demolite a Humsa – Al Bqai’a (Valle del Giordano), una clinica mobile è stata confiscata nella Comunità di Umm Qussa (Hebron) e una scuola in costruzione è stata demolita a Shu’fat (Gerusalemme Est). L’8 luglio, nel villaggio di Turmus’ayya (Ramallah), le forze israeliane hanno demolito, con motivazioni punitive, una casa appartenente alla famiglia di un palestinese (con cittadinanza statunitense), che era stato arrestato dopo che, il 2 maggio, aveva ucciso un colono e ferito altri due.

Il 2 luglio 2021, coloni israeliani, sotto scorta della polizia israeliana, si sono trasferiti in un edificio vuoto nella zona di Wadi Hilweh, nel quartiere di Silwan, a Gerusalemme Est. Dall’inizio dell’anno, questo è il secondo insediamento di coloni all’interno di Comunità palestinesi a Gerusalemme Est, ed entrambi in Silwan.

Coloni israeliani hanno ferito nove palestinesi, tra cui quattro minori e due donne, aggredendoli fisicamente, lanciando loro pietre o spruzzando liquido al peperoncino su di loro. Sei dei ferimenti sono avvenuti nella zona H2 di Hebron, due a Maghayir al Abeed, uno a Tuba (tutti in Hebron) e uno a Kisan (Betlemme). In Cisgiordania, autori conosciuti o ritenuti coloni israeliani hanno danneggiato almeno 1.120 alberi o alberelli, almeno cinque veicoli, oltre a pali elettrici, recinzioni ed altre proprietà palestinesi.

Palestinesi hanno ferito, lanciando pietre, almeno tre coloni israeliani che viaggiavano su strade della Cisgiordania. Secondo fonti israeliane, sono state danneggiate almeno 21 auto israeliane.

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Il 14 luglio, le forze israeliane hanno confiscato almeno 49 strutture nella Comunità palestinese di Ras al Tin, sfollando 84 persone, tra cui 53 minori.

Il 15 luglio, a Humsa – Al Bqai’a, le forze israeliane hanno confiscato una struttura recentemente installata per ospitare una famiglia di otto persone, tra cui sei minori, che aveva già perso la casa in un precedente episodio avvenuto una settimana prima (vedi paragrafo 7 di questo Rapporto).

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Comunità palestinese in Cisgiordania distrutta per la sesta volta

Al Jazeera e agenzie di stampa

7 luglio 2021 – Al Jazeera

Le forze israeliane hanno distrutto case e attrezzature agricole a Humsa al-Baqai’a nella Valle del Giordano occupata.

Le forze israeliane hanno distrutto la comunità palestinese beduina di Humsa al-Baqai’a, nella Valle del Giordano, comprese strutture che sono state fornite dalla comunità internazionale.

Sono state sfollate almeno 65 persone, compresi 35 minori, ha detto Christopher Holt del Consorzio di Tutela della Cisgiordania, un gruppo di organizzazioni umanitarie internazionali sostenuto dall’Unione Europea, che dà assistenza agli abitanti.

La demolizione ha lasciato ancora una volta senza casa gli abitanti del villaggio, che si guadagnano da vivere essenzialmente allevando circa 4.000 pecore. In passato l’UE ha aiutato gli abitanti nella ricostruzione dopo precedenti demolizioni.

In base agli Accordi di Oslo la Valle del Giordano, che costituisce il 60% della Cisgiordania occupata, è classificata come area C – che significa sotto il pieno controllo militare e civile israeliano.

È la sesta volta che il villaggio viene distrutto dal novembre 2020, quando – secondo il Consiglio dei Rifugiati Norvegese (NRC) – sono state demolite 83 strutture nella più vasta azione di demolizione registrata negli ultimi anni.

Alcune delle case e fattorie provvisorie sono state fornite dall’Unione Europea. Humsa al-Baqai’a ha ricevuto assistenza materiale dal Consorzio di Tutela della Cisgiordania, creato per impedire il trasferimento forzato di palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Holt ha detto che le famiglie si sono rifiutate di abbandonare la zona.

Sappiamo che ciò che è successo stamattina è che l’esercito israeliano è entrato nella comunità verso le 9 e vi ha distrutto tutto, comprese otto strutture abitative e agricole e stalle per animali, ha detto ad Al Jazeera.

Le forze israeliane hanno cercato di trasferire con la forza le famiglie, cosa illegale in quanto questo è un territorio occupato, e che le famiglie hanno rifiutato di andarsene…È un’escalation molto grave.”

Un funzionario della sicurezza israeliano ha detto che per mesi il governo ha condotto incontri con gli abitanti ed ha offerto una località alternativa nelle vicinanze. Il funzionario, che non era autorizzato a rilasciare dichiarazioni pubbliche, ha detto alla Associated Press [agenzia di stampa USA, ndtr.] che l’offerta della nuova sistemazione resta valida.

In base al diritto internazionale, ad una potenza occupante è rigorosamente vietato trasferire membri della popolazione occupata dalle proprie comunità contro la loro volontà.

Lo scorso febbraio, dopo aver eseguito demolizioni in due precedenti occasioni nello stesso mese, le forze israeliane hanno anche confiscato i serbatoi d’acqua del villaggio, lasciando la comunità senza acqua potabile e per il bestiame.

Attualmente le famiglie di Humsa al-Baqai’a non hanno riparo dai torridi 39 gradi di calore nella Valle del Giordano.

Le forze israeliane hanno nuovamente distrutto la vita delle famiglie di Humsa e adesso le stanno scacciando dalle loro case,” ha detto Caroline Ort, direttrice per la Palestina del Consiglio dei Rifugiati Norvegese.

La comunità internazionale deve condannare fermamente questa espropriazione e dimostrare che non tollererà queste sfrontate violazioni del diritto internazionale. Le autorità israeliane devono garantire immediatamente l’accesso umanitario alla comunità per soddisfare le necessità urgenti.”

Ort ha affermato che le demolizioni sono l’ultima di una “incessante serie di dimostrazioni di forza da parte delle autorità israeliane, che solo nei primi sei mesi del 2021 hanno distrutto almeno 421 strutture appartenenti a palestinesi.”

Ciò rappresenta un incremento del 30% delle demolizioni rispetto allo stesso periodo del 2020”, ha affermato Ort.

Aree di tiro’

Il villaggio è una delle 38 aree beduine parzialmente o totalmente collocate all’interno di un’area che Israele ha dichiarato zona militare di prove di tiro.

Secondo l’Ufficio ONU per il Coordinamento delle Questioni Umanitarie (OCHA) le “aree di tiro” indicate costituiscono circa il 30% dell’area C, dove vivono 6.200 beduini.

Queste comunità sono alcune delle più vulnerabili nella Cisgiordania occupata, con accesso limitato ai servizi basilari quali acqua, igiene, elettricità, educazione e servizi per la salute.

Le case palestinesi nella Valle del Giordano sono soggette a demolizioni da parte delle autorità israeliane, che sostengono che sono state costruite senza permessi.

L’area della Valle del Giordano palestinese copre circa 160.000 ettari con circa 13.000 coloni israeliani che vivono in 38 insediamenti. Nel contempo, circa 65.000 palestinesi vivono in 34 comunità.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 15 – 28 giugno 2021

In Cisgiordania, in due distinti episodi, le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi, un ragazzo e una donna

[seguono dettagli]. Il 16 giugno, durante le ripetute proteste palestinesi contro la creazione di un insediamento [colonico] israeliano vicino a Beita (Nablus), le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un 16enne palestinese. A Beita, dall’inizio di maggio (data di avvio dell’insediamento), nel corso di proteste, le forze israeliane hanno ucciso cinque palestinesi. Ancora nella giornata del 16 giugno, vicino ad Hizma (Gerusalemme), è stata uccisa una donna palestinese 29enne che, secondo l’esercito israeliano, avrebbe cercato di investire dei soldati con un veicolo e successivamente avrebbe brandito un coltello.

Il 24 giugno, le forze palestinesi hanno arrestato un attivista politico palestinese [Nizar Banat], critico nei confronti del governo palestinese; poche ore dopo il dissidente è morto, presumibilmente per le lesioni subite durante l’arresto. Le autorità palestinesi hanno avviato un’indagine sulla sua morte. In protesta per l’accaduto, palestinesi hanno manifestato in tutta la Cisgiordania. In alcune di tali proteste le forze palestinesi hanno sparato gas lacrimogeni e granate assordanti ed hanno ferito o arrestato partecipanti ad alcune proteste.

A Gaza un palestinese è morto per le ferite riportate durante il conflitto del 10-21 maggio. Secondo l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR), a Gaza, durante la recente guerra sono stati uccisi 260 palestinesi, tra cui 66 minori. È stato accertato che 129 di loro erano civili e 64 erano membri di gruppi armati, mentre lo status dei restanti 67 non è stato determinato.

In Cisgiordania forze israeliane hanno ferito almeno 1.075 palestinesi, tra cui 238 minori [seguono dettagli]. Circa 790 di questi, tra cui 237 minori, sono rimasti feriti durante le suddette proteste a Beita, 78 a Gerusalemme Est, 77 a Kafr Qaddum (Qalqiliya), 74 ad Al Mughayyir (Ramallah) e i rimanenti in altre località. Sei dei feriti sono stati colpiti da proiettili veri e 245, tra cui 47 minori, da proiettili di gomma. Durante le proteste a Beita, almeno 154 palestinesi sono stati feriti mentre fuggivano dalle forze israeliane o in circostanze non verificabili (questi 154 feriti non sono inclusi nei 1.075 sopra menzionati). Il 25 giugno, le forze israeliane hanno sparato ad un palestinese, successivamente arrestato, che, a detta dei militari, stava progettando una aggressione con coltello vicino ad un insediamento israeliano nella Cisgiordania settentrionale; secondo fonti palestinesi, l’uomo soffre di disturbi psichici.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 144 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 180 palestinesi, tra cui sette minori. Quarantanove delle operazioni si sono svolte a Nablus, 29 ad Hebron e 20 a Gerusalemme, le rimanenti in vari governatorati. Quarantacinque degli arrestati sono di Hebron, i rimanenti di altre località.

In Cisgiordania, per mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o costretto i proprietari ad autodemolire 24 strutture palestinesi [seguono dettagli]. Ciò ha causato lo sfollamento di 23 persone, tra cui 11 minori, ed ha creato ripercussioni su più di 1.200 palestinesi. La maggior parte delle persone colpite dai provvedimenti vivono nell’area di Massafer Yatta di Hebron, dove il 23 giugno le autorità israeliane hanno distrutto, per la seconda volta, tre strade e la principale conduttura acquifera che serviva più Comunità; la precedente demolizione era avvenuta il 9 giugno e sia le strade che l’acquedotto erano stati successivamente riparati. Complessivamente, 16 [delle 24 strutture] e 20 [dei 23] sfollati si trovavano in Area C; le rimanenti [otto] strutture ed i 3 sfollati restanti si trovavano in Gerusalemme Est.

Coloni israeliani hanno ferito almeno nove palestinesi, tra cui quattro ragazze [seguono dettagli]. Queste ultime sono state spruzzate con spray al peperoncino nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est; in un altro distinto episodio è accaduta la stessa cosa ad una donna. Ad At Tuwani (Hebron), coloni hanno ferito due donne con pietre, tra cui una disabile di 73 anni. Altri due palestinesi sono stati aggrediti e feriti a Hebron, in episodi separati. Ad Al Mughayyir (Ramallah), in due occasioni, coloni hanno attaccato palestinesi. Le forze israeliane sono intervenute in entrambi i casi, ferendo 74 palestinesi (già conteggiati in un precedente paragrafo riguardante le persone ferite dalle forze israeliane). In molti altri episodi accaduti in Cisgiordania, aggressori noti come coloni israeliani, o ritenuti tali, hanno danneggiato veicoli di proprietà palestinese, oltre duecento alberi, sistemi idrici, strutture agricole, un’officina, apparecchiature elettriche, materiali da costruzione e altre proprietà.

In Cisgiordania, palestinesi noti o ritenuti tali, hanno lanciato pietre ferendo almeno 8 coloni. Secondo fonti israeliane, almeno 49 auto israeliane sarebbero state danneggiate

All’interno della Striscia di Gaza, tra il 15 e il 20 giugno, palestinesi hanno manifestato, vicino alla recinzione perimetrale israeliana, contro le restrizioni in atto; alcuni partecipanti hanno lanciato palloni incendiari verso Israele, causando molteplici incendi. Durante queste proteste le forze israeliane hanno sparato e ferito quattro palestinesi ed hanno effettuato attacchi aerei su Gaza, prendendo di mira siti militari. Vicino alla recinzione perimetrale e al largo della costa, in almeno altre 10 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, secondo quanto riferito, per far rispettare ai palestinesi le restrizioni di accesso [loro imposte], ed hanno svolto due operazioni di spianatura del terreno all’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale.

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Il 29 giugno, a Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno demolito due strutture palestinesi: una casa a Ras al Amud e un negozio a Silwan: due ragazzi e i loro genitori sono stati sfollati e altri 9 palestinesi hanno perso la loro fonte di reddito. Durante le proteste palestinesi contro tali demolizioni, le forze israeliane hanno sparato lacrimogeni e proiettili di gomma, ferendo almeno 19 persone (tra cui una donna) e arrestandone nove.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it