La mossa israeliana di accatastare terreni adiacenti ad al-Aqsa provoca timori che intenda impossessarsene

Redazione di MEE

27 giugno 2022 – Middle East Eye

Associazioni per i diritti umani affermano che ci sono voci secondo cui il governo israeliano potrebbe cercare di registrare l’area a sud della moschea di Al-Aqsa come terra dello Stato.

Lunedì alcune associazioni per i diritti umani hanno messo in guardia che la decisione del governo israeliano di iniziare la procedura per la registrazione della proprietà dei terreni adiacenti alla moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata rischia di consentire un’appropriazione che avrebbe “gravi conseguenze di ampia portata”.

La scorsa settimana il ministero della Giustizia ha iniziato il “procedimento di definizione dell’attribuzione fondiaria” nella zona di Abu Thor così come del sito dei palazzi omayyadi [dinastia araba insediata a Damasco tra il 661 e il 750 d.C., ndt.] adiacenti al muro meridionale della moschea di Al-Aqsa.

L’operazoine sta facendo ricorso a un fondo governativo destinato a “ridurre le diseguaglianze socio-economiche” e a “creare un futuro migliore” per i palestinesi della città.

Tuttavia, secondo un comunicato congiunto delle associazioni israeliane per i diritti umani Ir Amim e Bimkom visionato da Middle East Eye, questo fondo è stato largamente utilizzato per registrare al catasto terreni per le colonie illegali e in ultima istanza porterà a un’ulteriore spoliazione dei palestinesi.

Le ONG con sede a Gerusalemme affermano che ci sono voci secondo cui il governo israeliano starebbe cercando di registrare la zona a sud della Moschea di Al-Aqsa come terra dello Stato.

“(Il procedimento) potrebbe portare a conseguenze disastrose per centinaia di case palestinesi ad Abu Thor, mentre l’altro potrebbe provocare una grave accentuazione delle tensioni a causa della sua ubicazione estremamente sensibile nelle immediate vicinanze di Al-Aqsa,” afferma il comunicato congiunto.

Secondo i media palestinesi lunedì Sheikh Najeh Bakirat, vicedirettore del waqf [ente benefico religioso, ndt.] islamico di Gerusalemme, ha detto che modificare la proprietà dei palazzi omayyadi non è lecito e viola la Convenzione di Ginevra.

Il controllo israeliano su Gerusalemme est, compresa la Città Vecchia, viola una serie di principi delle leggi internazionali che stabiliscono che una potenza occupante non ha la sovranità sui territori occupati e non può apportarvi alcun cambiamento permanente.

A Gerusalemme est quasi il 90% dei terreni non è registrato, in quanto nel 1967, in seguito all’occupazione della città, le autorità israeliane interruppero gli accatastamenti.

Nel 2018 il governo ha iniziato per la prima volta a promuovere “la definizione della procedura della proprietà fondiaria”.

Tuttavia nel 2020, dopo un anno di monitoraggio del procedimento, secondo Ir Amim esso è stato utilizzato come strumento per “impossessarsi di altra terra a Gerusalemme est, portando a un’espansione delle colonie israeliane e ulteriore spoliazione dei palestinesi.”

Espulsione di massa

L’area a sud della moschea di Al-Aqsa è particolarmente sensibile a causa dei continui interventi nella zona del governo israeliano e dei coloni che potrebbero sostituire gli abitanti palestinesi con parchi turistici a tema biblico.

Secondo il Silwan Lands Defence Committee [Commissione per la Difesa della Terra di Silwan] nel quartiere di Silwan, a sud di Al-Aqsa, sono stati emessi contro palestinesi più di 7.820 ordini di demolizione, sia amministrativi che giudiziari, mettendo a rischio di espulsione migliaia di persone.

La zona è anche luogo di lavori archeologici di scavo del governo, che secondo i palestinesi minacciano le fondamenta della moschea di Al-Aqsa. Dalla fine degli anni ’70 il governo israeliano ha portato avanti scavi sotto la Città Vecchia e il quartiere palestinese di Silwan, a sud della moschea di Al-Aqsa, alla ricerca della Città di David, antica di tremila anni. È la presunta capitale di Re David, il biblico padre fondatore della nazione ebraica.

Ad oggi Israele ha investito almeno 40 milioni di shekel (circa 11 milioni di €) nell’iniziativa portata avanti dall’Autorità Israeliana per le Antichità (IAA) e finanziata dall’organizzazione dei coloni Ir David Foundation [Fondazione di Re David], comunemente nota come Elad.

L’associazione dei coloni è anche titolare del parco nazionale della Città di David, di cui ha preso il controllo dopo un accordo raggiunto nel 2002 con l’Autorità Israeliana per la Natura e i Parchi.

Il parco nazionale per la città antica è stato trasformato in una grande attrazione turistica, con centinaia di migliaia di visitatori all’anno.

I palazzi omayyadi (noti agli israeliani come il Parco Archeologico Ophel) sono situati tra la Città di David e le mura meridionali della moschea di Al-Aqsa.

“Ci sono seri timori che lo Stato stia promuovendo la definizione dei titoli di proprietà nel sito dei palazzi omayyadi/Ophel per consentire la presa di possesso israeliana di questo terreno attraverso la registrazione formale come terra dello Stato, favorendo nel contempo gruppi di coloni appoggiati dallo Stato nell’aggressivo tentativo di conquistare il controllo di questi luoghi molto sensibili,” affermano Ir Amim e Bimkom.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele: tre persone uccise durante un attacco in una città ultraortodossa

Redazione di MEE

5 maggio 2022 – Middle East Eye

In corso un’intensa caccia all’uomo per catturare i due sospettati che hanno attaccato gli israeliani mentre il Paese festeggia il Giorno dell’Indipendenza.

Almeno tre persone sono state uccise giovedì in una città ultraortodossa nel centro di Israele nel corso di un attacco mentre il Paese festeggiava il Giorno dell’Indipendenza.

È in corso un’intensa caccia all’uomo per trovare i due sospettati di 19 e 20 anni.

Magen David Adom, la Croce Rossa israeliana, ha detto che l’attentato ha causato 7 vittime: tre morti, due feriti in condizioni critiche, uno grave e uno con ferite lievi.

Secondo i media israeliani uno degli aggressori ha usato un’arma da fuoco e l’altro un’ascia o un grosso coltello. Middle East Eye non è riuscita a verificare in modo indipendente le dichiarazioni.

Video postati sui social mostrano ambulanze che accorrono sulla scena dell’attacco e personale medico che presta soccorso ai feriti.

L’attacco avvenuto a Elad, una città ultraortodossa a circa 30 km a est di Tel Aviv, arriva dopo una serie di aggressioni mortali nelle ultime settimane.

Un totale di 14 israeliani è stato ucciso da marzo in quattro sparatorie e accoltellamenti. Tutti i cinque assalitori, palestinesi provenienti da Cisgiordania e Israele, sono stati in seguito uccisi.

Sono almeno 50 i palestinesi uccisi fino ad ora quest’anno dall’esercito israeliano in Cisgiordania.

L’attacco di giovedì è avvenuto a pochi giorni dal primo anniversario dell’offensiva militare israeliana su larga scala contro l’assediata Striscia di Gaza.

Il picco di violenza si è registrato lo scorso maggio quando Israele aveva tentato di espellere alcune famiglie palestinesi da Sheikh Jarrah, un quartiere nella Gerusalemme Est occupata, per far posto a coloni israeliani.

Questo causò proteste diffuse nella Cisgiordania occupata e nella comunità palestinese in Israele che portò a 11 giorni di bombardamenti israeliani contro Gaza.

Secondo le Nazioni Unite l’operazione militare israeliana uccise 256 palestinesi, inclusi 66 minori. In Israele i razzi lanciati da Gaza uccisero 13 persone.

(traduzione di Mirella Alessio)




GERUSALEMME. Re Davide contro gli abitanti di Silwan

GERUSALEMME. Re Davide contro gli abitanti di Silwan

Michele Giorgio

Novembre 2021 – Pagine Esteri

«La storia di re Davide e le radici della sua dinastia sono qui, tra questi scavi, tra queste pietre. La storia di re Davide è quella di Gerusalemme e di Israele, da tremila anni fa fino ai nostri giorni». La guida, un giovane sulla trentina, sorride, accompagna la sua narrazione con movimenti lenti della testa e delle mani rivolgendosi a un gruppo di turisti seduti sugli spalti che si affacciano sugli scavi. La vista dal “Parco archeologico della Città di Davide” è mozzafiato. In alto si scorgono le mura antiche di Gerusalemme con le cupole delle moschee di Al Aqsa e della Roccia, il terzo luogo santo dell’Islam e, secondo la tradizione ebraica, l’area del biblico Tempio. Di fronte, ad est, dominano il Monte degli Ulivi e l’antico cimitero ebraico. In basso c’è la piscina di Shiloah. La giovane guida, come i suoi colleghi, abbina costantemente archeologia e narrazione delle gesta di re Davide e di eroici combattenti ebrei lanciati alla conquista di Gerusalemme e poi nella difesa della città. Un mix che si può ascoltare anche nei filmati descrittivi disponibili nel parco, visitato ogni anno prima della pandemia da mezzo milione di turisti e gestito interamente, con l’approvazione delle autorità comunali e governative, dalla Elad, società del movimento dei coloni israeliani insediati nella zona araba di Gerusalemme, occupata nel 1967. Guide turistiche e filmati rendono invisibile una presenza ben evidente ma che “stona” all’interno della narrazione ufficiale del luogo: le centinaia e centinaia di case palestinesi del quartiere di Silwan, che avvolgono il “sito archeologico”. Abitazioni che a decine rischiano di essere demolite o confiscate ai loro proprietari palestinesi per far posto ai coloni israeliani.

Nella “Città di Davide” non c’è spazio per una storia più articolata. Il resoconto offerto tra leggenda e storia è dominante. Qui il racconto biblico è una verità assoluta, guai a sollevare dubbi perché è considerato una sorta trattato di politica internazionale, di fatto accreditato e firmato anche dagli Stati uniti. L’ex ambasciatore Usa in Israele, David Friedman, partecipando nell’estate di due anni fa alla cerimonia di inaugurazione, nell’area della “Città di Davide”, quella della cosiddetta Via del Pellegrinaggio, il percorso che anticamente avrebbe collegato la piscina di Siloam al Monte del Tempio, ha dichiarato perentorio che «Essa porta alla luce la verità storica di quel periodo cruciale della storia ebraica. La pace tra Israele e palestinesi deve basarsi su un fondamento di verità. La Città di David contribuisce al nostro obiettivo collettivo di perseguire una soluzione fondata sulla verità. È importante per tutte le parti coinvolte nel conflitto». Friedman vuole che «la verità» emerga. La sua verità ovviamente, che è quella dei coloni e di coloro che usano l’archeologia biblica per fini politici e per negare i diritti dei palestinesi.

Sul racconto biblico si fonda il programma politico di diversi partiti israeliani sionisti religiosi. Come Yemina, guidato dal primo ministro Naftali Bennett e dalla sua fedele scudiera e ministra dell’interno Ayelet Shaked. Occorre ricordare che non pochi dei laici fondatori di Israele e alcuni dei primi leader dello Stato ebraico sono stati archeologi con evidenti finalità politiche. Il più noto di una lunga lista di nomi è quello di Moshe Dayan.

Ma re Davide è davvero esistito, le vicende che gli vengono attribuite sono realmente avvenute? E più di tutto, ha davvero vissuto ed esercitato il suo potere nell’area del quartiere di Silwan, tra le pietre della “Città di Davide” allestita dai coloni? «In quell’area hanno scavato famosi archeologi del passato e scavano quelli del presente ma la prova della presenza di re Davide non è mai stata trovata», spiega l’archeologo Yonathan Mizrachi, di Emek Shaveh, una ong israeliana che si oppone a chi usa le rovine del passato come uno strumento politico e per confiscare case palestinesi. «Per prove – aggiunge Mizrachi – intendiamo ritrovamenti materiali e iscrizioni che attestino l’esistenza della tomba o del palazzo di re Davide o che siano inequivocabilmente riconducibili a lui. L’era di re Davide, sulla base della Bibbia, è indicata nel X secolo a.C. ma non si è trovato molto di quell’epoca (nel sito della “Città di Davide”). I ritrovamenti annunciati da alcuni archeologi sono controversi. Un interrogativo grava su tutto ciò che riguarda Gerusalemme ai tempi di re Davide. Quanto fosse grande e quale funzione avesse la città in quel periodo da un punto di archeologico e dei fondamentali di storia, è un’area grigia che non ci permette di affermare nulla con certezza».

Profondi dubbi sulla credibilità storica del racconto biblico vengano sollevati da anni dal professore Israel Finkelstein, archeologo israeliano di fama mondiale (alcuni dei suoi libri sono stati tradotti in italiano). Pur non facendo parte della corrente minimalista, che colloca la composizione della Bibbia nel periodo del rientro degli ebrei dalla Babilonia, il docente sostiene che gran parte di ciò che si legge nel testo sacro è stato scritto tra il VII e il V secolo a.C. e che Gerusalemme nel X secolo a.C. era solo un villaggio o un centro tribale. Non solo. Finkelstein afferma che Davide e Salomone, considerati il seme della civiltà occidentale e spina dorsale della storia antica ebraica, se sono realmente esistiti dovevano essere ben diversi dai personaggi che hanno ispirato scultori, pittori, scrittori, poeti. Davide, sostiene Finkelstein, era a capo di una minuscola e invivibile Gerusalemme. Lui e il suo successore furono trasformati in potenti re e simboli di speranza dagli ebrei nei secoli successivi. «La loro storia è stata scritta in Giudea – ha dichiarato il docente in una intervista di qualche anno fa al quotidiano Yediot Ahronot – per giustificare il dominio su un gran numero di rifugiati arrivati lì dopo la distruzione del Tempio».

Tesi respinta dai coloni e dal faro dell’archeologia biblica Eilat Mazar (deceduta di recente). Il 4 agosto 2005 Mazar, per la gioia degli ultranazionalisti, annunciò di aver scoperto nel sito di Silwan il presunto palazzo del re Davide, un edificio, disse, risalente al X secolo a.C. Nel 2010 proclamò di aver individuato le presunte antiche mura della città di Davide. Scoperte smentite, per scarsità di prove, da specialisti israeliani e stranieri che accusavano la Mazar di credere che la Bibbia sia storia vera dalla prima all’ultima parola. Per la Elad e il movimento dei coloni invece quelle scoperte legittimano le occupazioni di case palestinesi a Silwan cominciate all’inizio degli anni ’90 e l’espansione continua del sito archeologico e il proseguimento degli scavi. Lavori in gran parte sotterranei che, denunciano i palestinesi, mettono a rischio la stabilità delle loro case. Ma le loro voci restano inascoltate.

«Il momento è delicato – spiega Yonathan Mizrachi –  determinate forze politiche spingono per accelerare i progetti di esproprio e di demolizione di case palestinesi nelle aree archeologiche e con essi i piani per una possibile futura spartizione con i musulmani della Spianata delle moschee di Gerusalemme, allo scopo di ricostruire il Tempio ebraico».

 

 




Documenti esclusivi rivelano decenni di stretta cooperazione fra il Fondo Nazionale Ebraico (FNE) ed Elad

Uri Blau 

19 ottobre 2020 – +972

Una relazione interna rivela che, fin dagli anni ’80, il Fondo Nazionale Ebraico ha permesso ai coloni di Elad di intentare azioni legali in loro nome. La collaborazione ha portato allo sfratto di palestinesi mentre si è rafforzata la presenza degli ebrei a Gerusalemme Est

Da tempo la famiglia Sumarin è un simbolo della lotta fra palestinesi e coloni israeliani a Silwan, quartiere di Gerusalemme Est. Sin dagli inizi degli anni ’90, la casa dei Sumarin, accanto alla moschea Al-Aqsa e che condivide un muro divisorio con la città di David, sito archeologico e attrazione turistica ebraica, è stata oggetto di una battaglia legale condotta dal Fondo Nazionale Ebraico (FNE) per ottenerne lo sfratto.

Recentemente però è emersa una vicenda molto più profonda. Ad agosto è stato rivelato che Elad, un’organizzazione che promuove colonie ebraiche a Gerusalemme Est, da dietro le quinte aveva avviato una causa presso tribunali israeliani. Con il crescere della pressione dell’opinione pubblica internazionale sul FNE per lo sfratto previsto, il rapporto fra Elad e JNF sembra essersi guastato. La scorsa settimana si è persino affermato che qualcuno all’interno dell’organizzazione stava cercando di porre termine alla cooperazione con Elad sul caso Sumarin, una decisione che probabilmente verrà presa lunedì.

Eppure questo caso è solo la punta dell’iceberg. Nel 1998, una relazione interna del FNE rivelata per la prima volta qui su +972 Magazine, insieme ad altri documenti storici e interviste condotte nelle ultime settimane, descrive una cooperazione deliberata, stretta e fruttuosa fra le due organizzazioni fin dai lontani anni ’80. Tale collaborazione, che include lettere personali scritte a mano e contratti, mostra che il FNE aveva concesso volentieri a Elad il diritto di perseguire il caso per conto proprio, ottenendo l’occupazione di varie proprietà a Silwan. “Niente è stato fatto in segreto,” ci ha detto l’altra settimana l’autore del rapporto.

È tutto organizzato’

ll Fondo Nazionale Ebraico è stato fondato nel 1901 per comprare e sviluppare terre per le colonie ebraiche in Palestina sotto controllo ottomano e britannico, e poi con lo Stato di Israele. Negli anni l’organizzazione è stata pesantemente criticata dai palestinesi e dai sostenitori dei loro diritti per le sue attività in Israele e oltre la Linea Verde [cioè nei territori palestinesi occupati, ndtr.]. Il FNE ha una forte presenza filantropica negli Stati Uniti, dove una sua sezione non-profit ha raccolto 72 milioni di dollari solo nel 2018.

La Fondazione Ir David, comunemente nota come Elad, è un’organizzazione non-profit fondata nel 1986 da David Be’eri, ex ufficiale dell’esercito delle unità di élite Sayeret Matkal e Duvdevan, insignito nel 2017 del Premio Israele, la più alta onorificenza civile del Paese. L’organizzazione persegue il consolidamento delle colonie ebraiche nella “Gerusalemme antica” e lo sviluppo di grandi siti turistici ebraici, inclusa la Città di David, nella parte orientale della città dove vivono circa 350.000 palestinesi. Elad ha lavorato per inserire centinaia di coloni nei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est, in particolare nell’area di Wadi Hilweh a Silwan, dove ha aiutato a insediarsi oltre 350 persone.

La capacità di Elad di promuovere le proprie attività a Silwan è sostenuta da ingenti risorse finanziarie. Stando ai suoi bilanci, Elad ha ricevuto donazioni per oltre 200 milioni di dollari fra il 2005 e il 2018, l’ultimo anno in cui i dati sono stati resi pubblici. Come rivelato il mese scorso in un documentario del canale in arabo della BBC, circa la metà della somma proviene da sole quattro compagnie con sede nelle isole Vergini britanniche, controllate da uno degli uomini più ricchi di Israele, Roman Abramovich, l’oligarca russo proprietario squadra di calcio del Chelsea. L’altra metà è arrivata da “Friends of Ir David” [Amici della Città di David], fondo newyorkese esentasse.

Dopo aver occupato Gerusalemme Est nel 1967, Israele ha cominciato un processo di occupazione delle proprietà che erano appartenute a ebrei prima del 1948. Ha anche usato la Legge sulla Proprietà degli Assenti (varata nel 1950 per espropriare terre e case appartenenti a palestinesi che erano fuggiti o erano stati espulsi durante la guerra del 1948) per confiscare proprietà palestinesi a Gerusalemme Est. Il FNE ha partecipato a questi procedimenti tramite Hemnutah, la sua filiale che ha acquistato varie proprietà dal Custode delle Proprietà degli Assenti a Silwan.

In seguito a queste transazioni, Hemnutah ha iniziato a lavorare per sfrattare le famiglie palestinesi da queste case. Per farlo l’organizzazione ha cooperato con Elad, come provano i documenti da noi pubblicati in ebraico.

Il 16 agosto 1998, Yehiel Leket, allora copresidente del FNE, riceve un documento di 12 pagine e alcuni allegati intitolato: “Un’analisi della Città di David (Silwan), Gerusalemme.” L’autore del rapporto, Avraham Haleli, direttore del dipartimento dei beni immobili del FNE, ha lasciato l’organizzazione circa 20 anni fa per fare l’avvocato in Israele. Haleli, che ha competenze ed esperienze uniche sulle proprietà in tali aree, dice che ancora oggi il FNE si avvale dei suoi servizi e lo consulta regolarmente.

Il rapporto di Haleli del 1998 descrive in dettaglio la stretta relazione fra il FNE ed Elad iniziata a metà degli anni ’80. “Era chiaro a tutte le parti coinvolte che l’organizzazione [Elad] avrebbe richiesto di usare le proprietà del FNE nella zona e di vivere là come residenti protetti,” scrive Haleli.

In proposito c’è un documento al dipartimento dei beni immobili del FNE,” ci ha detto durante una conversazione con lui la scorsa settimana. “Tutto è organizzato. Niente è stato fatto in segreto. Era stato tutto fatto in modo normale basandosi su decisioni.”

Secondo Hagit Ofran, che lavora al progetto “Settlement Watch” (Osservatorio sulle colonie) dell’ONG israeliana Peace Now (Pace ora), negli ultimi decenni la cooperazione fra le due organizzazioni ha permesso a Elad di insediare a Silwan ebrei israeliani in almeno 10 proprietà e anche in alcuni immobili nel quartiere di Abu Tur a Gerusalemme Est. Ofran, che ha analizzato il rapporto di Haleli, spiega che la maggior parte della terra di cui Elad ha preso possesso è stata usata per turismo e il resto come residenza da circa otto famiglie di coloni.

Uno degli allegati al rapporto, una lettera scritta a mano spedita da Be’eri, fondatore di Elad e suo direttore esecutivo nel 1985, rivela la profondità della relazione ai suoi inizi. “Buongiorno signor Haleli,” scrive Be’eri un anno prima della fondazione ufficiale di Elad. “Siamo venuti a sapere di proprietà ebraiche del FNE su appezzamenti nel villaggio di Shilo [Silwan].” Parecchi appezzamenti “sono stati presi da arabi”, spiega. Da una prospettiva sionista, etica e religiosa, scrive Be’eri, “noi consideriamo di grande importanza l’occupazione di quelle case, specialmente in questa zona.” Be’eri si offriva poi “come volontario” per ottenere queste proprietà.

L’anno dopo, nel 1986, Be’eri manda un’altra lettera a Shimon Ben Shemesh, amministratore di FNE, parlando del suo impegno per collaborare all’identificazione di proprietà da acquisire a Silwan. Quella lettera si riferiva a uno specifico lotto di terra i cui abitanti erano recentemente morti. “Noi crediamo che questo sia il momento di agire urgentemente, usando mezzi legali … per garantire che la terra venga data ai suoi proprietari legali (il FNE].” Be’eri concludeva la lettera dicendosi disposto a sostenere le spese legali, anche se non si sa se l’abbia poi fatto.

Il rapporto descrive il primo caso di cooperazione fra Elad e il FNE nel 1986: un’istanza presentata al tribunale da Hemnutah per sfrattare una famiglia palestinese in collaborazione con l’avvocato di Elad. Il rapporto nota che il padrone di casa era d’accordo con lo sfratto e che l’istanza era stata presentata solo perché così “i suoi vicini avrebbero pensato che era stato costretto ad andarsene.” Haleli aggiunge che Elad aveva anche compensato la famiglia palestinese. Inoltre descrive come in alcuni casi gli avvocati di Elad avessero fornito al FNE assistenza legale volontaria e gratuita.

Il rapporto si riferisce anche a un memorandum di intesa fra le due organizzazioni firmato prima delle cause legali. Nel memorandum, Hemnutah acconsentiva che Elad affittasse le proprietà dopo lo sfratto degli occupanti palestinesi. “Ovviamente non c’era conflitto di interessi fra le parti,” affermava Haleli nel rapporto. Aggiungeva che l’affitto pagato al FNE sarebbe stato dedotto dalla somma che Elad aveva già speso per le procedure di sfratto.

Haleli era chiaramente consapevole della delicatezza di questa cooperazione, e nel rapporto del 1998 scrive “abbiamo avvertito Elad di non provocare” gli abitanti della zona per “evitare le critiche di Hemnutah e del FNE.” Per questa ragione, continuava Haleli, il FNE “sosteneva l’idea che arabi provenienti dal Libano meridionale abitassero temporaneamente nelle proprietà oggetto dello sfratto … ma per varie ragioni abbiamo dovuto rinunciare a questo piano.”

Haleli aggiunge poi di essere al corrente delle opinioni divergenti sulle attività del JNF nella zona. Chi ci sostiene, scriveva, pensa che non facciamo abbastanza, mentre gli altri presentano il FNE come un gruppo che “strappa agli arabi le loro proprietà.” Secondo Haleli nessuno aveva ragione. “Il FNE opera come un’organizzazione ebraica sionista nazionale che mira a garantire la terra al popolo di Israele per l’eternità. È stato fatto secondo le leggi di Israele senza pregiudicare i diritti degli abitanti, arabi o ebrei … Sono convinto che il modo in cui abbiamo agito nella Città David meriti un plauso,” concludeva.

Il rapporto del 1998 non è l’ultimo a essere scritto dal FNE sulle sue relazioni con Elad. Da conversazioni avvenute la scorsa settimana con due membri del FNE, sappiamo che una sua versione aggiornata è stata redatta nel 2010. Il FNE non ha risposto alle domande poste da +972 a questo proposito né alla richiesta di ricevere una copia aggiornata del rapporto.

Nessun portavoce del FNE o di Elad ha risposto alle nostre richieste di un commento.

Differenze sul caso Sumarin

La casa Sumarin era stata dichiarata proprietà di assenti nel 1987 e venduta a Hemnutah dall’Autorità israeliana per lo Sviluppo nel 1990. In seguito Hemnutah presentò un’azione legale per sfrattare la famiglia Sumarin, che per trent’anni aveva lottato per restare nella propria casa. Alla fine di giugno di quest’anno il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha deliberato che i Sumarin non erano riusciti a dimostrare i propri diritti sulla proprietà e che dovevano lasciarla libera per metà agosto. La famiglia ha presentato appello e potrà rimanere nella casa fino alla decisione dell’Alta Corte il prossimo aprile.

La decisione del tribunale distrettuale di Gerusalemme ha suscitato massicce proteste e pressioni da parte dei sostenitori e donatori progressisti del FNE per annullare lo sfratto. Non tutti i dirigenti del fondo sono entusiasti di vedere la famiglia Sumarin cacciata di casa.

In agosto, come parte dell’ultima azione legale dei Sumarins, Hemnutah ha presentato alla Corte Suprema una lettera scritta nel 1991 da David Be’eri, fondatore di Elad, alla consociata del FNE. Nella lettera, svelata per la prima volta nel documentario della BBC su Elad (e al quale l’autore di questo articolo ha contribuito), Be’eri elencava vari lotti di terra a Silwan, inclusa la casa dei Sumarin, e scriveva che “ci occuperemo dello sfratto degli attuali proprietari dai loro immobili. Pagheremo tutte le spese legali per lo sfratto e gli indennizzi ai proprietari, con un accordo giudiziario o per ordine del tribunale.” Un bollo di Hemnutah conferma l’approvazione da parte dell’organizzazione dei contenuti della lettera.

Matityahu Sperber, presidente del consiglio di amministrazione di Hemnutah nominato dal progressista Movimento Riformista, in una conversazione telefonica con +972 ha detto che era stata sua la decisione di rivelare alla Corte Suprema l’accordo del 1991 per tentare di bloccare gli sfratti. La presentazione della lettera ha segnato un cambiamento nell’approccio del FNE al caso, che era iniziato poche settimane prima. Il 20 luglio, Sperber scrisse una lettera al presidente del FNE Danny Atar, in cui chiedeva che egli si impegnasse per bloccare i procedimenti contro la famiglia Sumarin perché era preoccupato che lo sfratto potesse danneggiare l’immagine del FNE.

Nella lettera, Sperber scrive che un parere legale preparato dall’avvocato del FNE non forniva risposte soddisfacenti a proposito di una “serie di aspetti sui rapporti fra Hemnutah ed Elad riguardo alla proprietà [Sumarin].” Questo include “l’impegno di Elad con Hemnutah riguardante la proprietà, […] l’autorità delle parti che si sono prese l’impegno a nome di Hemnutah,” e la “possibile invalidità di un giudizio indipendente di Hemnutah a proposito della proprietà in questione, a causa della partecipazione di Elad nel procedimento legale e nel suo finanziamento, insieme ad altre questioni.” Tutto ciò, scrive Sperber, crea un “conflitto di interessi strutturale.”

Il 12 ottobre il CDA di Hemnutah avrebbe dovuto votare una bozza presentata da Sperber per bloccare tutte le attività della causa contro i Sumarin e sostituire gli avvocati di Elad che se ne occupavano per conto di Hemnutah. 

+972 si è rivolto per un commento allo studio legale Ze’ev Scharf & Co. che rappresenta Hemnutah nel caso Sumarin. Lo studio deve ancora fornire una risposta.  

Comunque il giorno prima della data in cui si sarebbe dovuta tenere la riunione questa venne spostata dopo l’appello alla Corte Distrettuale di Gerusalemme presentato da Nachi Eyal, uno dei membri del CDA di Hemnutah, contro le bozze della risoluzione. Nella sua dichiarazione al tribunale, Eyal, il fondatore e direttore del Foro Legale per Israele e candidato del partito Nuova Destra [estrema destra dei coloni, ndtr.] nelle precedenti elezioni della Knesset, sostenne che la delibera era illegale ed era stata presentata di fretta e furia; Eyal obiettò che la riunione era stata fissata con poco preavviso e che Sperber l’aveva iniziata perché probabilmente avrebbe rischiato di perdere la presidenza nelle elezioni del CDA dell’Organizzazione Mondiale Sionista fissato per il martedì.

Il tribunale ha accolto la petizione di Eyal. Durante una conversazione con +972 Atar, il presidente del FNE, ha detto che il consiglio si sarebbe riunito lunedì 19 ottobre [2020] per votare sul blocco dello sfratto e la sostituzione degli avvocati.

Nel frattempo, la scorsa settimana, Elad’s Be’eri ha mandato una lettera esprimendo la sua ira a Sperber e Atar, criticando veementemente Hemnutah e il suo presidente. Noi abbiamo investito “una fortuna” nel caso Sumarin, scrive Be’eri e i diritti di occuparsi del caso erano stati affidati a Elad, non possono essere revocati. Be’eri aggiunge che ogni decisione sul caso presa da Hemnutah e dal FNE dovrà coinvolgere Elad. Ha anche dichiarato che Sperber è rapporto con gruppi di estrema sinistra, sostenitori del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni [contro Israele, ndtr.].

È uno scandalo. Non sarebbe dovuto succedere’

La fede politica di Sperber e Atar, che rappresentano l’ala progressista del FNE (Atar è un ex parlamentare laburista della Knesset che si è guadagnato il sostegno di Benny Gantz, leader del partito Blu e Bianco), verrà messa alla prova martedì 20 ottobre, quando il Congresso Mondiale Sionista si riunirà da remoto per scegliere i suoi nuovi rappresentanti.

Il CMS seleziona i leader di varie associazioni sioniste, inclusa l’Organizzazione Mondiale Sionista, l’Agenzia Ebraica per Israele e il FNE. Se Sperber e Atar resteranno al potere verrà deciso dal tipo di coalizione formata dalle varie parti del CMS su cui di solito ci si mette d’accordo in precedenza. Secondo il Jerusalem Post, Atar deve affrontare una grossa sfida alla sua posizione da parte della lista del Likud Mondiale, che si era diviso ma poi si è riconciliato alla vigilia delle elezioni grazie ad accordi di coalizione.

Negoziati per le alte cariche continueranno fino a poco prima dell’inizio del congresso. Ma la scorsa settimana, secondo il Jerusalem Post, sembrava che la presidenza del FNE sarebbe stata divista fra Avraham Duvdevani, della Lista religiosa Zionist World Mizrachi [movimento dei sionisti religiosi, ndtr.] e Haim Katz, parlamentare Likud, lascando Atar fuori dalla direzione dell’organizzazione. Secondo il giornale finanziario The Maker, probabilmente il nuovo direttore di Hemnutah sarà di Yisrael Beiteinu, il partito di [estrema] destra di Avigdor Liberman.

In una conversazione telefonica con Sperber, gli ho chiesto perché la sua decisione di bloccare lo sfratto dei Sumarin verrà presentata al consiglio solo alla vigilia delle elezioni. Sperber ha detto di aver saputo dell’accordo fra Elad e JNF solo agli inizi di quest’anno, e ha cercato di occuparsi del caso da allora. Ha aggiunto che ha il sostegno di Atar, ma ha ammesso che non è chiaro se Atar o Sperber manterranno i loro incarichi dopo le elezioni.

Sperber ha parlato della campgna dei Sumarin e ha espresso la speranza che influirà sulla decisione della Corte Suprema israeliana di esaminare l’appello della famiglia. Durante la nostra conversazione è apparso chiaro che Sperber conta sulla corte per risolvere il dilemma di Hemnutah che si è assunto il caso della famiglia.

Ma Sperber ha anche chiarito che il FNE non rinuncerà ai diritti sulla proprietà dei Sumarin. “Non abbiamo diritto a (rinunciarci),” ha detto, spiegando che la Corte Distrettuale di Gerusalemme ritiene che la casa sia di proprietà di Hemnutah. “Noi non possiamo farlo per il bene di un ebreo riformato, un ebreo ortodosso o un palestinese di Gerusalemme Est,” ha detto Sperber. L’unica possibilità per Hemnutah, ha continuato, è votare di congelare l’esecuzione del verdetto della corte. E se in un futuro il CDA decidesse di revocare il blocco? “È un rischio,” ha ammesso.

Hagit Ofran di Peace Now [Pace Adesso] dice che “il FNE deve immediatamente tagliare tutti i suoi rapporti con l’organizzazione di coloni Elad e permettere alla famiglia Sumarin di vivere in pace a casa propria.”

Atar, nel frattempo ha detto che lui ha scoperto dell’accordo fra il FNE e Elad solo due settimane fa. “Stiamo facendo di bloccarlo in qualche modo e di annullare l’accordo. C’è molta resistanza,” ha aggiunto. “Se non riusciamo a farlo ora, lo faremo subito dopo il congresso (dell’OSM)”. È molto complicato, ha detto, dato che Elad ha pagato 30 anni di battaglie legali contro i Sumarin.

Per me non ha senso che l’abbiate saputo solo due settimane fa.

È stato veramente così. L’abbiamo saputo per caso … durante una discussione di Sperber con gli avvocati … discutevano e noi ci siamo resi conto che non aveva senso che usassero il nostro nome ma non facessero quello che gli dicevamo.”

Eppure non era la prima udienza della corte sulla famiglia Sumarin avvenuta durante il suo ruolo come direttore del FNE.

Giusto, ma non eravamo entrati nei dettagli. Non sono cose di cui mi occupo giornalmente e non erano in programma fino a quando Matityahu [Sperber] non ha sollevato la questione.” 

Le relazioni fra le organizzazioni non sono cosa nuova. Haleli ne ha scritto nei suoi rapporti.

Vero. [Ma] Io l’ho saputo solo ora, nelle ultime due settimane.” 

Cosa pensa di quello che ha saputo nelle ultime settimane sui rapporti fra Elad e FNE?

Uno scandalo. Non sarebbe dovuto succedere … Stiamo studiando questi (rapporti) ora e il nostro ufficio legale li sta analizzando. Abbiamo imparato la lezione. Non è l’unica cosa su cui stiamo lavorando per migliorarla.”

Perché ha aspettato fino all’ultimo momento per occuparsene? È possibile che lei lo stia facendo ora in vista delle imminenti elezioni? 

Proprio l’opposto. È come un osso che mi si è incastrato in gola. Non ci guadagno nulla a occuparmene ora. Evitare questa ulteriore tensione in questo periodo sarebbe stato molto meglio per me.” 

Supponiamo che lei riesca a liberarsi degli avvocati di Elad. Cosa farà dopo?

Il nostro ufficio legale si occuperà dello status di ‘residenza protetta’(di Elad). Non è un caso semplice.”

La corte ha già deciso che la casa dei Sumarin appartiene al FNE. Se dipendesse da lei, ritirerebbe la petizione presentata alla corte per sfrattare la famiglia Sumarin?

La proprietà resterbbe (nostra), ma non sono sicuro che valga la pena sfrattarli. Dovremmo trovare un’altra soluzione… in base a quanto consentito dalla legge.”

Pubblicherete un rapporto sui rapporti con Elad? 

Naturalmente, come sempre. Quando finiremo la causa pubblicheremo tutto.”

Uri Blau è un giornalista investigativo nato in Israele con oltre 20 anni di esperienza nell’ indagare corruzione politica, sicurezza nazionale e problemi di trasparenza. Al momento vive a Washington.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Irresponsabilità aziendale di TripAdvisor

Laith Abu Zeyad

28 luglio 2019 – Al Jazeera

TripAdvisor afferma di voler aiutare i rifugiati, ma trascura il proprio appoggio alle violazioni dei diritti umani.

Il 20 giugno, Giornata Mondiale per i Rifugiati, l’amministratore delegato di TripAdvisor Stephen Kaufer ha pubblicato un editoriale in cui chiedeva alle imprese di contribuire ad affrontare la crisi globale dei rifugiati e si impegnava a donare milioni di dollari alle organizzazioni umanitarie “per sostenere e aiutare i rifugiati a ricostruire la propria vita e a rivendicare il proprio futuro.”

È certamente una lodevole iniziativa, se solo non contraddicesse lo spirito di altre prassi dell’azienda. Mentre TripAdvisor ha deciso di aiutare i rifugiati in alcune parti del mondo, altrove – in particolare nei territori palestinesi occupati – contribuisce alle sofferenze della popolazione locale, che è all’origine di una delle più grandi comunità di rifugiati al mondo.

Negli ultimi 70 anni le spietate politiche israeliane di confisca della terra, colonizzazione illegale e spossessamento, accompagnate da una violenta discriminazione, hanno inflitto enormi sofferenze ai palestinesi, privandoli dei loro diritti fondamentali. Anche TripAdvisor ha avuto parte in queste continue violazioni.

Nel gennaio 2019 Amnesty International ha pubblicato un rapporto intitolato ‘Destinazione Occupazione’, che illustra come le compagnie leader mondiali del turismo online – Airbnb, Booking.com, Expedia e TripAdvisor – contribuiscano e traggano profitto dal mantenimento, sviluppo ed espansione delle colonie illegali israeliane. In base al diritto internazionale tali attività costituiscono dei crimini di guerra.

TripAdvisor è il secondo sito web (dopo Google) più visitato dai turisti stranieri che arrivano in Israele, con oltre un quarto delle persone (più di 800.000) che dicono di aver consultato il sito prima del loro arrivo per le attrazioni turistiche, le escursioni, i ristoranti, i caffè, gli hotel o gli appartamenti in affitto.

Durante la nostra campagna abbiamo chiesto a Kaufer di smettere di inserire nei propri annunci, o promuovere, proprietà, attività e attrazioni situate nelle colonie illegali israeliane nei territori palestinesi occupati. TripAdvisor ha risposto sostenendo che “ l’inserimento negli annunci su TripAdvisor di una proprietà o di un’azienda non costituisce la nostra approvazione nei confronti di quella struttura”. Eppure la compagnia trae profitto da annunci che includono quelle che si trovano in colonie illegali israeliane.

TripAdvisor e altre compagnie cercano di difendere la loro posizione sostenendo che la questione delle colonie illegali israeliane è troppo politica, per cui loro non possono prendere posizione in merito. Comprendiamo che le aziende non hanno il compito di risolvere le questioni politiche, ma hanno la responsabilità di garantire che non provochino danni o non contribuiscano a violazioni dei diritti umani.

È forse difficile per i lettori immaginare l’impatto sui diritti umani del turismo e di altre attività aziendali in Palestina, ma è molto concreto per le persone che vivono sotto occupazione israeliana. Per esempio abbiamo scoperto che TripAdvisor ha segnalato con grande evidenza, fungendo da agenzia di prenotazioni, la ‘Città di Davide’, una nota attrazione turistica situata a Silwan, un quartiere palestinese nella Gerusalemme est occupata. Il sito è gestito da un’organizzazione chiamata ‘Fondazione Elad’, che è sostenuta dal governo israeliano e lavora per aiutare i coloni israeliani a trasferirsi in quell’area.

Silwan ospita circa 33.000 palestinesi. Ora vi vivono parecchie centinaia di coloni, per di più in insediamenti rigorosamente protetti. Israele ha trasferito i suoi cittadini nel quartiere fin dagli anni ’80. Questo ha comportato numerose violazioni di diritti umani, compresi l’espulsione e il trasferimento forzati di abitanti palestinesi.

Negli ultimi 10 anni almeno 233 palestinesi sono stati espulsi da Silwan. Molto recentemente, il 10 luglio, la polizia e le forze di sicurezza israeliane hanno cacciato dalla loro casa nel quartiere una famiglia di cinque palestinesi, compresi quattro bambini.

Incoraggiando attivamente gli utenti a visitare la ‘Città di Davide’ e a fare tour guidati del luogo, TripAdvisor ha promosso l’attività di Elad e tratto profitto da ogni prenotazione fatta attraverso il sito.

Se TripAdvisor avesse condotto almeno un’elementare valutazione del rischio della propria attività nelle, o con le, colonie israeliane, avrebbe scoperto che quelle inserzioni contribuiscono a sostenere una situazione illegale che è intrinsecamente discriminatoria e viola i diritti umani dei palestinesi. È stupefacente che una compagnia multimiliardaria (che sostiene di essere il sito di viaggi più visitato al mondo, con più di 450 milioni di visitatori al mese) o non abbia posto tale doverosa attenzione riguardo alle proprie operazioni in Israele e nei territori palestinesi occupati, o lo abbia fatto, ma abbia deciso di proseguire ugualmente le proprie attività.

Anche altre compagnie di turismo digitale hanno inviato messaggi ambigui sui diritti umani. Nell’aprile 2019 Airbnb ha annunciato che, in seguito ad una class-action da parte di avvocati israeliani ,avrebbe revocato una precedente decisione di eliminare le offerte nelle colonie illegali israeliane nella Cisgiordania occupata. La compagnia ha affermato che avrebbe donato i profitti derivanti da questi annunci a “organizzazioni non-profit impegnate negli aiuti umanitari che si occupano di persone in diverse parti del mondo.”

Airbnb, come TripAdvisor, mentre cerca di mostrare preoccupazione per le popolazioni bisognose attraverso un piano di responsabilità aziendale, non può continuare ad ignorare che la sua attività con le colonie israeliane illegali è contraria alle norme fondamentali delle leggi internazionali sui diritti umani,

Nessuna somma di denaro in donazioni cancellerà il danno che stanno commettendo nei territori palestinesi occupati e sicuramente nessun profitto a breve termine dovrebbe valere il prezzo della collaborazione con crimini di guerra.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Al Jazeera

Laith Abu Zeyad è responsabile delle campagne su Israele/Palestina per Amnesty International.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




La polizia israeliana espelle una famiglia palestinese a Gerusalemme est, mentre entra un gruppo di coloni

Redazione di MEE

10 luglio 2019 – Middle East Eye

La famiglia Siyam ha sostenuto una battaglia legale di 24 anni sulla proprietà contro il potente gruppo di coloni “Elad”

Mercoledì la polizia israeliana ha espulso una madre con i suoi quattro figli dalla loro casa nel quartiere della Gerusalemme est occupata di Silwan per consegnarla all’organizzazione di coloni “Elad”.

Negli ultimi 24 anni Jawad Siyam, un importante attivista locale che ha condiviso la titolarità della proprietà con la sua famiglia, è stato impegnato in una interminabile battaglia legale contro la ricca e potente “Elad” riguardo alla proprietà.

Secondo i media locali, è stato arrestato durante lo sfratto di sua sorella e dei suoi figli.

Dagli anni ’90 la famiglia Siyam ha vinto vari ricorsi nei tribunali israeliani contro Elad, ma il gruppo di coloni ogni volta ha presentato appello e esibito documenti ai giudici per dimostrare il proprio possesso della proprietà.

Lo scorso mese il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha sentenziato a favore di Elad, una potente organizzazione il cui patrimonio è stimato ammontare a oltre 300 milioni di shekel (circa 74 milioni di euro).

Ora alla famiglia Siyam sono rimaste solo due unità abitative di un edificio di otto unità, dopo che Elad ne ha ottenute quattro.

Altre due unità immobiliari sono andate alla “Custodia israeliana delle proprietà di assenti” – un ente coloniale istituito in seguito alla Nakba (Catastrofe) del 1948 per prendere il controllo delle proprietà di palestinesi fuggiti dalla repressione durante la creazione dello Stato di Israele.

Secondo testimoni, mercoledì membri di Elad hanno occupato l’ultimo appartamento dei Siyam, buttando fuori gli effetti personali della famiglia, cambiando le serrature, erigendo cancelli tra loro e i Siyam e tagliando alberi in giardino.

Il capo di Elad, David Beeri, è stato filmato mentre esaminava la proprietà e poi stringeva la mano a un ufficiale della polizia israeliana. Nel 2017 Beeri ha ricevuto il Premio Israel alla carriera.

Jawad Siyam è il fondatore e direttore del centro d’informazione “Wadi al-Hilweh”, una Ong che intende fornire informazioni ai media e all’opinione pubblica sulle attività israeliane di colonizzazione nei quartieri di Silwan e Wadi al-Hilweh e e sugli scavi e i tunnel realizzati sotto le case palestinesi dalle autorità israeliane.

A lungo i palestinesi hanno accusato Israele di cercare di “ebraicizzare” la Gerusalemme est occupata e di cacciare i suoi 300.000 abitanti palestinesi per avere il controllo totale sulla città santa.

I due quartieri si trovano a sud delle mura della Città Vecchia di Gerusalemme e nei pressi della moschea di Al-Aqsa. Il quartiere è stato una zona di attività dei coloni e delle autorità israeliane, dove vengono tuttora effettuati scavi sotto le case dei palestinesi per trovare la perduta Città di Davide.

Negli ultimi 30 anni Elad ha occupato circa 75 case palestinesi. Lo scorso mese l’ambasciatore USA in Israele David Friedman e l’inviato della Casa Bianca per il Medio Oriente Jason Greenblatt hanno partecipato all’inaugurazione di un discusso tunnel sotto Silwan.

Il progetto del tunnel, chiamato dal governo israeliano “Via del pellegrinaggio”, è stato costruito nel corso degli ultimi otto anni con il sostegno di Elad. Passa sotto il quartiere in maggioranza palestinese di Wadi al-Hilweh.

Dal 1995 l’Autorità Israeliana per le Antichità, con l’appoggio della fondazione di coloni “Ir David”, ha scavato siti archeologici a Wadi al-Hilweh, ufficialmente per creare una nuova attrazione turistica e scoprire nella zona prove dell’esistenza della trimillenaria “Città di David”.

Il completamento del progetto della nuova “Città di David”, compreso un viale di stile romano costruito su strade che hanno ospitato generazioni di palestinesi, rafforzerebbe la posizione dei 450 coloni illegali che attualmente vivono a Silwan sotto scorta pesantemente armata, ed emarginerebbe i 10.000 abitanti palestinesi del quartiere.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Come “colonie archeologiche” stanno distruggendo case palestinesi

Mersiha Gadzo

 8 luglio 2019 – Al Jazeera

Secondo una Ong, Israele sta creando una “realtà storica immaginaria” con scavi di tunnel nella Gerusalemme est occupata.

Fayyad Abu Rmeleh, 60 anni, teme che un giorno il pavimento e il cortile della sua casa crollino. Ogni giorno, dice, dalla mattina fino al tardo pomeriggio, la famiglia sente scavare e trivellare tunnel sotto l’edificio.

Gli scavi condotti dalle autorità israeliane sono iniziati per la prima volta nel 2000, ma è stato solo cinque anni fa che loro hanno iniziato a notare danni alla casa.

“Sta mettendo in pericolo le nostre vite,” dice Abu Rmeleh ad Al Jazeera. “Se ti guardi intorno trovi nuove crepe. Non sappiamo quanti tunnel ci siano sotto la nostra casa, ma crediamo che siano almeno tre.”

I cinquanta membri della famiglia Abu Rmeleh vivono nel quartiere Wadi Hilweh di Silwan, nella Gerusalemme est occupata, pubblicizzato come l’attrazione turistica della “Città di Davide”, dove secondo alcuni israeliani il re Davide biblico costruì l’“originaria città di Gerusalemme”, circa 3000 anni fa.

Sotto la loro casa le autorità israeliane hanno scavato tunnel, cercando le tracce dell’epoca del Secondo Tempio.

Nella sua casa si sono formate lunghe crepe irregolari in ogni direzione – sulle scale, vicino alle finestre in bagno e in sala, mentre in certi punti si sono staccati dal muro dei calcinacci.

Fuori di casa una crepa lunga un metro e mezzo si snoda sul terreno.

Ma la casa di suo nipote, che si trova nello stesso edificio, è stata ancora più danneggiata. All’inizio del 2018 è stato obbligato ad andarsene con la moglie e i cinque figli, in quanto il terreno ha ceduto e può a malapena sostenere i muri.

“Ho sempre paura, sono sempre preoccupato. Chiedo ai bambini di non giocare molto nel cortile o di non correre troppo, in quanto il pavimento potrebbe crollare in qualunque momento,” dice Umm Jihad, la moglie di Abu Rmeleh.

Da anni gli abitanti palestinesi di Silwan sono allarmati dai danni che le loro case hanno subito a causa degli scavi nel sottosuolo.

La scorsa settimana le autorità israeliane hanno inaugurato il tunnel scavato da poco, “il Cammino dei Pellegrini”, che si estende da Wadi Hilweh al Muro del Pianto, appena fuori dal complesso di Al Aqsa nella Città Vecchia della Gerusalemme est occupata.

Fonti ufficiali israeliane – compresi membri dell’organizzazione dei coloni “Elad”, che finanzia gli scavi e gestisce il sito – affermano che la strada era percorsa dai pellegrini ebrei verso il Secondo Tempio, che credono si trovasse dove ora c’è il complesso di Al Aqsa.

L’Autorità Nazionale Palestinese ha condannato la presenza di funzionari USA all’inaugurazione, definendo l’avvenimento come parte della “ebreizzazione” di Gerusalemme.

Il consigliere della Casa Bianca Jason Greenblatt ha risposto in un tweet che la protesta è “ridicola”, aggiungendo: “Non possiamo ‘ebreizzare’ quello che la storia/archeologia mostrano. Possiamo attestarlo e voi potete smettere di fare finta che non sia vero! La pace può essere costruita solo sulla verità.”

Cattiva archeologia”

Mentre Greenblatt e membri di “Elad” sono certi che il nuovo tunnel servisse come cammino dei pellegrini verso il Secondo Tempio, molti archeologi non lo sono, come ha notato in un articolo Yonathan Mizrachi, che vive a Gerusalemme.

Mizrachi, direttore dell’Ong israeliana “Emek Shaveh”, dice ad Al Jazeera che i tunnel che Israele ha scavato dentro e attorno alla Città Vecchia e a Silwan sono “problematici”.

Finora non è stato pubblicato nessun articolo accademico o scientifico sui tunnel, né è stato pubblicato alcun dato su quello che è stato scoperto. Secondo “Emek Shaveh”, riguardo al “Cammino dei Pellegrini” non ci sono certezze relative alla datazione del canale di drenaggio.

Oltretutto i tunnel sono stati scavati orizzontalmente, rompendo in pratica con il metodo di scavo verticale dalla superficie in giù accettato da un secolo, secondo Mizrachi il metodo utilizzato dagli archeologi in tutto il mondo. Le informazioni ottenute da scavi orizzontali sono quasi senza alcun valore.

“Quando scavi orizzontalmente, non puoi capire esattamente come i vari periodi si sono sviluppati nel sottosuolo, non capisci correttamente quello che trovi perché lo vedi da una sezione laterale, non dall’alto,” dice Mizrachi.

“Non è il modo di fare archeologia. Quando scavi orizzontalmente commetti fin dall’inizio un errore.” In precedenza due importanti funzionari dell’Autorità Israeliana delle Antichità, Jon Seligman e Gideon Avni, avevano criticato l’escavazione dei tunnel, affermando che, contrariamente alla prassi accettata, è “cattiva archeologia” e “le autorità non dovrebbero essere orgogliose di questi scavi.”

Realtà storica immaginaria”

L’ultima inaugurazione è emblematica del più complessivo problema: ai visitatori dei luoghi archeologici accompagnati nella Gerusalemme est occupata viene detto che gli scavi sono esclusivamente relativi alla storia ebraica, ignorando i diversi capitoli multiculturali della storia di Gerusalemme, come i periodi bizantino e omayyade.

“La gente della fondazione “Elad” ha creato una realtà storica immaginaria fondata sulle sue convinzioni religiose e sui suoi obiettivi nazionalisti piuttosto che su ritrovamenti archeologici e altre prove storiche,” ha osservato Emek Shaveh in un suo rapporto del 2017.

Per esempio, secondo Emek Shaveh presso i famosi tunnel del Muro del Pianto resti di periodi non relativi alla storia ebraica rimangono per lo più ignorati dai visitatori, nonostante gli archeologi concordino sul fatto che la maggior parte dei reperti sia successiva alla distruzione del Secondo Tempio.

In realtà la maggior parte degli scavi presso i tunnel del Muro del Pianto sono al di sotto di strati che sono totalmente musulmani, strutture dei Mamelucchi del XIV° e XV° secolo, nota Mizrachi.

Eppure quello che viene raccontato ai visitatori si concentra quasi esclusivamente sulla storia del Secondo Tempio. Uno degli spazi più vasti scavati nei tunnel del Muro del Pianto è un hammam (bagno turco) del periodo mamelucco, nel XIV° secolo.

Eppure è stato convertito in un’esposizione dell’eredità ebraica, dedicato a raccontare la storia del pellegrinaggio degli ebrei a Gerusalemme, “ignorando quindi completamente il significato storico del sito in cui si trova”, ha scritto Emek Shaveh.

Non ci sono indicazioni per fare in modo che il visitatore sappia che si tratta di una struttura mamelucca o che è stata costruita dal governatore di Damasco, Sayf al-Din Tankaz, responsabile di alcuni degli edifici più considerevoli del tempo, ha scritto Mizrachi in un articolo.

Allo stesso modo nel 2012 il governo israeliano ha deciso di progettare un Centro Biblico all’ingresso di Silwan, che avrebbe presentato storie bibliche e la loro importanza per gli israeliani.

Eppure, secondo Emek Shaveh, nessun resto significativo di periodi biblici è stato scoperto in quel luogo.

A Silwan continuano gli scavi sotto le case palestinesi per trovare prove storiche di re Davide per pubblicizzarla come la “Città di Davide”, nonostante il fatto che gli archeologi mettano in discussione le testimonianze di un regno nel X° secolo a.C.

“C’è un dibattito molto acceso tra gli archeologi su quanto avvenne a Gerusalemme nel X° secolo a.C., il periodo che intendo come l’epoca di Davide e del regno di Salomone,” dice Mizrachi.

“Le testimonianze archeologiche sono molto poche e non ci forniscono il quadro di una vera e propria città, né assolutamente di una città vasta, grande, importante.

“Ci sono stati 150 anni di scavi (alla ricerca della città di Davide), ci sono certamente ancora molte testimonianze mancanti riguardo al tempo di Davide e Salomone. Questo è sicuramente un problema.”

Colonia archeologica”

Mizrachi afferma che gli scavi del tunnel fanno “tutti parte di un progetto politico”.

“Sfortunatamente Israele sta utilizzando questi tunnel mascherati da scavi archeologici, ma in realtà ciò fa parte dell’obiettivo politico di impedire che Gerusalemme rientri in qualunque soluzione politica,” afferma Mizrachi. “Pensiamo che sia un’altra forma di colonizzazione. È una colonia senza persone, ma si tratta di una colonia archeologica. Non è meno problematica, ma persino di più, rispetto ad altre colonie.”

Riguardo alla famiglia Abu Rmeleh, pensa che la sua vita sia in pericolo ma non sa a chi rivolgersi per essere aiutata.

Oltre alle crepe che il loro edificio ha subito, nella casa del nipote hanno anche trovato un buco che porta ai tunnel.

“Lo abbiamo coperto con questo pezzo di legno e qualche pietra perché temiamo quello che potrebbe uscire da quel buco,” dice Abu Rmeleh.

In marzo l’agenzia di notizie Ma’an ha informato che a Silwan un campo giochi è crollato in seguito a 12 anni di scavi sotterranei.

“La cosa più importante nella vita di una persona è vivere in sicurezza e con stabilità. Una casa dovrebbe essere il luogo in cui ci possiamo sentire (sicuri), ma non è il nostro caso,” afferma Abu Rmeleh, aggiungendo che continueranno a vivere nell’edificio nonostante la sua fragilità.

“Questa casa vuol dire tutto per un anziano come me…Il legame tra me e la casa è come quello tra padre e figlio,” dice Abu Rmeleh.

Sull’autrice

Mersiha Gadzo è una giornalista e produttrice in rete di Al Jazeera in inglese.

(traduzione di Amedeo Rossi)




L’uso dell’archeologia al servizio del nazionalismo

Di Chemi Shiff e Yonathan Mizrachi

|5 luglio, 2019 – +972 Magazine

L’inaugurazione di una presunta antica ‘Via del pellegrinaggio’ ebraica da parte dell’ambasciatore (americano) David Friedman e dell’inviato della Casa Bianca Jason Greenblatt ci ricorda che l’archeologia non è mai neutrale come alcuni vorrebbero credere.

Si tende a pensare all’archeologia come ad una disciplina neutrale. Gli archeologi dissotterrano i manufatti, li datano e cercano di stabilire una cronologia per comprendere meglio la storia di un particolare luogo o popolo.

L’inaugurazione, la settimana scorsa, della “Via del Pellegrinaggio” a Gerusalemme da parte dell’ambasciatore USA in Israele David Friedman e dell’inviato della Casa Bianca in Medio Oriente Jason Greenblatt ci ricorda che l’archeologia non è mai neutrale come a qualcuno piacerebbe credere. Secondo alcuni archeologi quella via era percorsa dai pellegrini ebrei quando salivano al Secondo Tempio circa 2000 anni orsono.

Per i palestinesi il tunnel si trova proprio sotto il quartiere di Silwan, a lungo agognato dai coloni israeliani che operano attivamente per giudaizzare l’area.

Quando si tratta dell’archeologia di Gerusalemme sembra che tutti preferiscano non vedere l’elefante nella stanza: come può qualunque sito archeologico, soprattutto se con una storia molto stratificata, essere presentato come prova delle esclusive pretese di un solo gruppo etnico-nazionale?

Doron Spielman, vice presidente dell’organizzazione di coloni Elad, che ha finanziato gli scavi e gestirà il relativo sito archeologico, ha detto al Jerusalem Post che “questo luogo è il cuore del popolo ebraico ed è come il sangue che scorre nelle vene.” Commentando l’importanza della scoperta, Greenblatt ha sottolineato che “l’archeologia non modella il paesaggio storico”, ma piuttosto si concentra sugli “scavi e l’analisi di manufatti e resti materiali.”

La posizione di Greenblatt trascende le differenze politiche tra sinistra e destra. Dopotutto l’archeologia è stata a lungo usata da molte società per consolidare la propria ideologia in quanto parte inseparabile del paesaggio. Questo ovviamente non significa che l’archeologia non possa essere usata per distinguere tra differenti culture. Però, nella maggior parte dei luoghi che sono stati abitati da innumerevoli culture nel corso dei secoli – e soprattutto in luoghi molto stratificati come Gerusalemme – le scoperte archeologiche usualmente rivelano la storia di relazioni complesse tra le varie culture stanziate in ogni specifica area.

Mentre non vi è dubbio che gli ebrei siano vissuti nella zona circostante la Via del Pellegrinaggio in diversi periodi, gli scavi hanno rivelato che l’area è stata costantemente abitata per migliaia di anni prima e dopo il periodo romano (a cui in Israele ci si riferisce come ‘periodo del Secondo Tempio’), durante il quale la via fu costruita per la prima volta.

Inoltre, mentre i rappresentanti di Elad sono convinti che questa via venisse percorsa dai pellegrini per recarsi al Secondo Tempio, molti archeologi non lo sono. Le prove disponibili chiamano in causa l’esclusività ebraica sul sito. Però finora non è stato pubblicato alcun rapporto sui dati reperiti dagli scavi. In assenza di essi, ogni interpretazione della storia del sito deve essere considerata una congettura piuttosto che un fatto.

Ovviamente la parte non ebraica della storia deve ancora essere narrata. Quando si cammina nel sito archeologico della città di Davide, si apprende molto sull’eredità ebraica. Ci si dovrebbe interrogare sul fatto che la Via del Pellegrinaggio sia stata scavata come tunnel orizzontale, un metodo di scavo archeologico molto contestato, che impedisce la possibilità di distinguere tra gli strati del sito.

Inoltre il tunnel consente ai visitatori di attraversare il villaggio di Silwan senza vedere neanche una volta un palestinese o affrontare le implicazioni politiche dell’impresa archeologica di Elad a Gerusalemme. Così, gli scavi nel tunnel possono essere visti come un ulteriore passo nell’appropriazione di ciò che Friedman e Greenblatt definiscono la “verità” della storia di Silwan, dato che gli scavi stessi – e non soltanto l’interpretazione di essi – ignorano e distruggono gli strati al di sotto e al di sopra di questa via.

Alla domanda sull’importanza della Via del Pellegrinaggio, Friedman ha affermato che “espone la verità e la scienza ad una discussione che per troppo tempo è stata deformata dai miti e dalle mistificazioni”, spiegando che i ritrovamenti “mettono fine agli infondati sforzi di negare il fatto storico dell’antico legame di Gerusalemme con il popolo ebraico.” Friedman e Greenblatt hanno aggiunto che qualunque soluzione per una pace sostenibile con i palestinesi deve basarsi sulla “verità”.

Tuttavia, come per tanti casi precedenti, sembra che la ricerca della verità attraverso l’archeologia si riveli una giustificazione di programmi nazionalisti piuttosto che un tentativo di costruire ponti tra popoli.

Nella loro ricerca di una verità di convenienza, per Friedman e Greenblatt niente è più facile che rimuovere la complessa vicenda storica di Silwan, della Via del Pellegrinaggio e della violenza che questa zona ha subito a causa dell’uso dell’archeologia da parte sia di israeliani che di palestinesi come partita a somma zero. Invece di monopolizzare una narrazione nazionalista esclusiva, sarebbe forse meglio che i leader di tutte le parti creassero un contesto capace di includere le tante narrazioni che il paesaggio contiene.

Chemi Shiff e Yonathan Mizrachi sono membri di Emek Shaveh, una Ong israeliana che si occupa della protezione dei siti antichi come beni pubblici che appartengono ai membri di tutte le comunità, fedi e popoli.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)