Successo nell’ostacolare la macchina da guerra israeliana

Huda Ammori

11 Marzo 2024-Declassified UK

Negli ultimi tre mesi Palestine Action ha costretto quattro società britanniche a tagliare i legami con la società di armi israeliana Elbit Systems.

Mentre il genocidio di Gaza infuria molte persone cercano modi concreti per smantellare la macchina da guerra israeliana.

Per molti anni Palestine Action ha intrapreso un’azione diretta e coerente contro Elbit Systems, la più grande azienda di armi israeliana. Un killer un tempo silenzioso che opera in tutta la Gran Bretagna è diventato l’obiettivo più noto del movimento di solidarietà con la Palestina.

Ma prendere di mira Elbit richiede anche comprendere che l’azienda non agisce da sola. Coloro che facilitano le operazioni della Elbit traggono profitto anche dallo spargimento di sangue palestinese e possono essere più suscettibili alle pressioni esterne.

Per mantenere le fabbriche di armi funzionanti, Elbit ha bisogno di appaltare una moltitudine di servizi tra cui fornitori, reclutatori di personale, gestori di strutture e trasporti.

Alcune delle fabbriche non sono di proprietà della Elbit, che quindi richiede ai proprietari e ai gestori immobiliari di ospitare le sue attività criminali. Coloro che lavorano direttamente con Elbit sono considerati obiettivi secondari della campagna di Palestine Action.

Poiché la campagna contro Elbit è cresciuta nel corso degli anni, sono aumentate anche le azioni contro obiettivi secondari. Tra queste: dipingere i loro edifici con vernice rossa per simboleggiare lo spargimento di sangue palestinese, lo smantellamento di infrastrutture, atti vandalici e assalti agli uffici.

Le azioni intraprese hanno dato i loro frutti poiché solo negli ultimi tre mesi quattro società hanno tagliato i legami con Elbit dopo campagne mirate.

Obiettivi secondari

Il 1° dicembre dello scorso anno è stato annunciato che Fisher German, i gestori della proprietà della fabbrica di motori UAV [per droni, n.d.t.] di Elbit a Shenstone, nello Staffordshire, hanno abbandonato ogni collaborazione con Elbit. La notizia è arrivata dopo una campagna di due anni contro l’azienda che prevedeva ripetute verniciature e occupazioni dei loro uffici in tutto il paese.

Dopo una campagna di due mesi i soci di iO, gli unici reclutatori di Elbit nel Regno Unito, hanno concluso la loro collaborazione con il produttore di armi israeliano, che era anche il loro più grande cliente.

La campagna contro di loro è iniziata con l’assalto degli attivisti ai loro nuovissimi uffici di Manchester presso l’edificio Express, a cui è seguita rapidamente la copertura con vernice rossa spruzzata su quattro dei loro uffici in tutto il paese.

Prima che i soci di iO annunciassero di aver rescisso il loro contratto con Elbit, sono stati espulsi dai loro uffici di Manchester a causa di “problemi di sicurezza” nell’edificio Express.

La vittoria successiva ha richiesto solo un’azione! Naked Creativity, il sito web indicizzato che pubblicizza la fabbrica UAV Tactical Systems di Elbit a Leicester, ha smesso di lavorare con Elbit dopo che i loro uffici di Londra sono stati verniciati con lo slogan “Drop UAV”.

Ultima, ma forse la più significativa, una delle maggiori compagnie di navigazione del mondo, Kuehne+Nagel, ha dichiarato di aver smesso di collaborare con Elbit e che si asterrà dal farlo in futuro.

Il colosso della logistica è una delle sole sei società autorizzate alla raccolta, consegna e smaltimento sicuro di armi in Gran Bretagna.

Ridurre il bacino degli appaltatori

Lavorare con Elbit ora comporta il rischio aggiuntivo di Palestine Action. Per la compagnia israeliana di armamenti questo significa l’obbligo di informare ogni nuovo potenziale appaltatore della pressione che dovrà affrontare.

Anche se non lo facessero, una semplice ricerca su Google rivelerà il loro potenziale destino. Ridurre il potenziale bacino di appaltatori significa che Elbit , a differenza di altre società, non sarà in grado di ottenere il miglior prezzo per i servizi esterni, il che può ridurre la loro competitività e i margini di profitto.

La reputazione costruita da Palestine Action per l’instancabile azione diretta ha reso più rapido il raggiungimento delle vittorie.

Per coloro che lavorano con Elbit il dilemma che si pone è: sostenere anni di azione diretta contro di noi o porre fine ai nostri legami con Elbit il prima possibile ed evitare lo scontro?

Sempre più aziende stanno optando per quest’ultima ipotesi.

Per Elbit, la pressione perché cessi le operazioni in Gran Bretagna continua a crescere. Dopotutto, per i trafficanti di armi il denaro è l’aspetto più importante.

Poiché continuano a non essere in grado di mantenere un modello di produzione affidabile a causa della tempistica imprevedibile delle azioni contro di loro e lavorano costantemente per trovare nuovi appaltatori a un prezzo peggiore, a che punto interromperanno e cesseranno le operazioni in questo paese?

Sancire la vittoria

Forse il risultato più significativo dell’azione diretta contro obiettivi secondari è il modo in cui vengono sancite le vittorie.

Invece che evitare di ammettere che la dissociazione da Elbit sia dovuta alle pressioni della campagna ciascuna delle quattro società che hanno recentemente tagliato i legami con Elbit ha dovuto inviare direttamente un’e-mail di conferma a Palestine Action.

Questo è diventato un requisito necessario per cessare la campagna contro un’azienda complice.

Nel mezzo di un genocidio è necessario intraprendere ogni strada per isolare, danneggiare e distruggere la macchina da guerra israeliana.

Concentrare i nostri sforzi su Elbit Systems e su tutti coloro che li facilitano si sta rivelando una strategia di successo, una strategia che molti altri possono seguire per incanalare la nostra rabbia verso risultati.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra a Gaza: un sindacato indiano rifiuta di caricare le navi con armi destinate a Israele

Azad Essa

18 febbraio 2024 – Middle East Eye

L’iniziativa ha luogo alcuni giorni dopo che Israele ha ricevuto 20 droni Hermes 900 di fabbricazione indiana, normalmente usati negli attacchi contro Gaza.

Un sindacato indiano attivo in diversi porti di tutto il Paese si è impegnato a non caricare né scaricare navi che trasportino armi a Israele, ha detto il segretario generale della Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua pochi giorni dopo che era emersa la notizia che droni da combattimento di fabbricazione indiana erano partiti per Israele.

In un’intervista a Middle East Eye di domenica T. Narendra Rao, segretario generale della Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua, ha detto che il sindacato si è rifiutato di essere coinvolto in qualunque azione che potesse comportare ulteriori sofferenze per i palestinesi.

Abbiamo deciso di boicottare qualunque imbarcazione o nave che trasportasse armi o munizioni o carico di armamenti verso Israele. Non collaboreremo a questo”, ha detto Rao a MEE.

La settimana scorsa il sindacato ha rilasciato una dichiarazione che annunciava la decisione di boicottare tutte le navi che trasportassero armi a Israele. Ha aggiunto che la decisione valeva anche per qualunque nave con materiale militare diretta a Israele.

Nella dichiarazione rilasciata il 14 febbraio il sindacato ha detto che i lavoratori portuali “sarebbero sempre stati contro la guerra e l’uccisione di persone innocenti come donne e bambini”.

Donne e bambini sono stati fatti a pezzi nella guerra. I genitori non erano in grado di riconoscere i propri figli uccisi dalle bombe che esplodono ovunque”, aggiungeva il comunicato.

Rao ha detto a MEE che il sindacato non ha ancora avuto contatti con navi cariche di armi dirette a Israele e che la dichiarazione del sindacato vuole essere una mossa preventiva e un atto di solidarietà con i palestinesi, vista la devastazione di Gaza.

La Federazione Indiana dei Lavoratori del Trasporto su Acqua è attiva in 11 dei principali porti statali su un totale di 13. Non è attiva nel porto di Mundra, gestito da Adani, un’impresa con quota di maggioranza nella società congiunta con Elbit Systems, il più grande produttore di armi israeliano.

Dal 7 ottobre più di 29.000 palestinesi sono stati uccisi dagli attacchi israeliani nell’enclave assediata.

Israele inoltre ha sistematicamente impedito l’accesso all’acqua, all’elettricità, al cibo e alle comunicazioni a Gaza.

Droni di fabbricazione indiana per Israele

L’azione del sindacato arriva proprio una settimana dopo che si è diffusa notizia che l’esercito israeliano ha ricevuto 20 droni Hermes 900 di fabbricazione indiana che vengono normalmente utilizzati negli attacchi a Gaza.

Né il governo israeliano né quello indiano hanno ammesso pubblicamente l’accordo.

Ma una fonte di Adani, che gestisce 12 piccoli porti in diversi Stati, ha confermato a The Wire [canale televisivo indiano, ndt.] che effettivamente i droni erano partiti per Israele.

Attivisti per i diritti umani e analisti della difesa affermano che questo sviluppo coinvolgerebbe ulteriormente l’India nel genocidio dei palestinesi in atto a Gaza.

Il 7 febbraio il canale di informazioni indiano TV9 ha riferito che i droni fabbricati nella città indiana del centro-sud Hyderabad avrebbero contribuito a soddisfare “le necessità di Israele nella guerra tra Israele e Hamas”.

L’India è il maggiore acquirente di armi israeliane, costituendo circa il 46% di tutte le armi vendute da Israele nel mondo. Inoltre le imprese indiane co-producono diverse armi israeliane in fabbriche in tutta l’India.

Sotto il Primo Ministro Narendra Modi i rapporti tra India e Israele si sono intensificati, essendo i due Paesi impegnati in una cooperazione strategica dal 2018.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




la giapponese Itochu interrompe i rapporti con la israeliana Elbit Systems a seguito della sentenza della CIG

Redazione CNN Business

6 febbraio 2024 – CNN Business

In seguito alle proteste l’azienda giapponese ha posto termine alla cooperazione con la più grande impresa nel settore della difesa di Israele che rifornisce l’esercito in guerra a Gaza

Una delle più grandi aziende del Giappone, la Itochu, ha deciso di interrompere la sua collaborazione con un’importante impresa del settore della difesa israeliana a causa della perdurante guerra di Israele contro Gaza.

L’unità di aviazione della Itochu Corp interromperà la sua collaborazione strategica con la Elbit Systems israeliana entro la fine del mese, dopo che la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato a Israele di impedire atti di genocidio contro i palestinesi e di fare di più per aiutare i civili.

Itochu Aviation, Elbit Systems e Nippon Aircraft Supply (NAS) nel marzo dello scorso anno avevano firmato un protocollo d’intesa (MOU) di collaborazione strategica.

Tenendo conto dell’ordine della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio e del fatto che il governo giapponese sostiene il lavoro della Corte, abbiamo già sospeso le nuove attività collegate al MOU e stiamo pianificando di sospendere il MOU entro la fine di febbraio”, ha dichiarato il responsabile del settore finanziario, Tsuyoshi Hachimura.

Martedì un portavoce della Itochu ha detto alla CNN che l’azienda giapponese aveva chiesto indicazioni al Ministero degli Affari Esteri del Giappone, che aveva detto all’azienda di rispettare le conclusioni della CIG “in buona fede”. 

La CIG ha ordinato a Israele di “prendere tutte le misure” per limitare le morti e le distruzioni provocate da una delle più sanguinose campagne militari di questo secolo, impedire e punire l’incitamento al genocidio proveniente da pubblici funzionari israeliani e garantire l’accesso agli aiuti umanitari.

Hachimura, il responsabile finanziario dell’azienda, ha dato l’annuncio lunedì durante una presentazione degli utili.

La Itochu, che nel 2023 ha conseguito utili per 104 miliardi di dollari, è stata bersaglio di proteste studentesche a Tokyo per il suo accordo di collaborazione con il “mercante di morte” Elbit Systems.

Appelli al boicottaggio di Itochu

A novembre l’amministratore delegato di Elbit Bezhalel Machlis ha detto che l’azienda aveva aumentato la produzione con l’intento di sostenere l’esercito israeliano, che usufruisce “ampiamente” dei suoi servizi.

A gennaio i manifestanti giapponesi si sono radunati di fronte alla sede centrale di Itochu con cartelli che recavano scritto: “Itochu fa soldi uccidendo! Imperdonabile!” e “Itochu è complice del massacro!”.

Il mese scorso i manifestanti hanno consegnato a mano una petizione, firmata da più di 25.000 persone, direttamente a Itochu, chiedendo all’azienda di interrompere la collaborazione con Elbit.

Un manifestante di fronte alla sede centrale dell’azienda giapponese ha detto che Itochu è coinvolta in una collaborazione con “un’impresa che appoggia il sistema razzista e genocida di Israele.”

Interrompere questa collaborazione manderebbe un messaggio dal Giappone a Israele e al mondo che non tollererà soluzioni violente”, ha aggiunto il manifestante.

Anche una delle filiali di Itochu in Malesia, la FamilyMart, è stata costretta a emanare un comunicato secondo cui “non contribuisce, non fa donazioni né affari con Israele” in seguito agli appelli al boicottaggio dell’azienda.

McDonald’s e Starbucks hanno visto i loro profitti subire un duro colpo a causa del conflitto a Gaza, che le aziende imputano al boicottaggio delle loro posizioni considerate filoisraeliane.

Secondo CNBC [rete televisiva finanziaria, ndtr.] le azioni McDonald’s lunedì sono scese di quasi il 4%, in seguito a notizie che una caduta delle vendite in Medio Oriente aveva contribuito alle mancate entrate del quarto trimestre.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Come l’Intelligenza Artificiale sta intensificando i bombardamenti israeliani su Gaza

Sophia Goodfriend

6 giugno 2023 – +972 Magazine

Con gli algoritmi che rendono più facile sostenere una guerra, le armi automatizzate hanno trasformato gli assalti israeliani contro i palestinesi assediati in un evento annuale.

“I cieli sopra Gaza sono pieni di bombe israeliane”, mi ha detto Anas Baba quando abbiamo discusso su WhatsApp qualche settimana fa, subito dopo che l’esercito israeliano e la Jihad islamica avevano raggiunto un labile cessate il fuoco successivamente all’ultima offensiva israeliana sulla Striscia bloccata, che ha ucciso 33 persone e ne ha ferite altre decine. Nonostante gli attacchi dei droni fossero cessati, persisteva il ronzio incessante degli UAV [droni, ndt.]. Il loro suono ricordava come ha detto Baba, un giornalista di Gaza che la guerra costituisce ormai un evento con cadenza annuale.

Nel corso dei 16 anni dall’inizio dell’assedio così tante famiglie palestinesi hanno perso la casa nei ripetuti bombardamenti della Striscia che la ricostruzione non ha mai fine ed è resa ancora più difficile dal coinvolgimento di numerose organizzazioni e governi che offrono una assistenza umanitaria limitata. E a causa dell’alto numero di persone interessate e della ingente quantità di fondi necessari per ricostruire, spiega Baba, le famiglie potrebbero trovarsi in lista d’attesa per anni.

I bombardamenti israeliani su Gaza stanno diventando più frequenti grazie alle innovazioni nell’intelligenza artificiale (AI) e a un esercito che si piega ai dettami di governi sempre più di destra. L’esercito si vanta che le unità di intelligence ora possono individuare obiettivi – un processo che richiedeva anni – in appena un mese. Anche se cresce il bilancio delle vittime nei territori occupati le evidenze di questa crisi umanitaria raramente fanno breccia nell’opinione pubblica ebraico-israeliana, barricata dietro censori militari, sistemi di difesa missilistica e semplice indifferenza. Invece, la violenza nella regione viene analizzata attraverso il linguaggio salvifico dell’innovazione tecnologica.

Sulla stampa israeliana queste guerre si svolgono secondo uno schema familiare. Nuove offensive militari su Gaza vengono annunciate come l’uscita di un tanto atteso videogioco della serie Call of Duty. L’esercito satura le pagine dei social media con immagini epiche di soldati armati, mentre nomi biblici evocano una potenza militare di proporzioni mitologiche. Poi i missili piovono su Gaza, spazzando via le infrastrutture, le case e le vite dei palestinesi, mentre le sirene d’allarme per i razzi invitano gli abitanti del sud di Israele a correre nei rifugi fortificati.

Nei giorni successivi all’accordo sul cessate il fuoco i generali fanno il loro giro dei media per parlare delle innovazioni nell’automazione, rivelate nel corso dell’ultimo assalto. Sciami di droni assassini diretti da algoritmi di supercalcolo, che possono sparare e uccidere con un minimo intervento umano, sono celebrati allo stesso modo in cui i CEO della Silicon Valley elogiano i chatbot [gli algoritmi alla base del funzionamento delle chat, ndt.]. Mentre il mondo fa i conti con gli sviluppi fuori controllo dell’AI, ogni guerra intrapresa contro Gaza dall’arsenale militare automatizzato di Israele illustra il costo umano di questi sistemi.

“Un moltiplicatore di forza”

La guerra è sempre stata un’occasione per i militari per il commercio di armi. Ma poiché i bombardamenti asimmetrici di Israele su Gaza sono diventati eventi con cadenza annuale l’esercito ha iniziato a definirsi una sorta di pioniere che esplora il territorio sconosciuto della guerra automatizzata. Le IDF [esercito israeliano,ndt.] hanno proclamato di aver condotto la “prima guerra AI al mondo” nel 2021 – l’offensiva di 11 giorni su Gaza denominata in codice Operation Guardian of the Walls” [Operazione Guardiano delle Mura, ndr.] che, secondo B’tselem, ha ucciso 261 palestinesi ferendone 2.200. I droni hanno spazzato via intere famiglie, danneggiato scuole e cliniche mediche e fatto esplodere grattacieli che ospitavano famiglie, aziende e uffici dei media lontani da qualsiasi obiettivo militare.

Mentre 72.000 palestinesi erano sfollati e altre migliaia piangevano i morti, i generali israeliani si vantavano di aver rivoluzionato la guerra. “L’intelligenza artificiale è stata un moltiplicatore di forza per le IDF”, si sono vantati gli ufficiali, descrivendo in dettaglio come sciami di droni robotici avessero accumulato dati di sorveglianza, individuato obiettivi e sganciato bombe con un intervento umano minimo.

Lo schema si è ripetuto poco più di un anno dopo. Nell’agosto 2022 le IDF hanno lanciato un’offensiva di cinque giorni contro Gaza, denominata “Operazione Breaking Dawn” [sorgere dell’alba, ndt.], che ha causato la morte di 49 palestinesi, inclusi 17 civili. Missili sono esplosi per le strade del campo profughi di Jabalia, uccidendo sette civili, fuori dalle loro case a causa delle interruzioni di corrente. I droni hanno colpito anche un vicino cimitero uccidendo dei bambini che giocavano in un raro lembo di spazio aperto.

Sulla scia della distruzione l’esercito ha lanciato un’altra curatissima campagna di pubbliche relazioni, infrangendo un divieto pluridecennale di discutere apertamente dell’uso nelle operazioni militari di droni basati sull’intelligenza artificiale. Il Brigadier Generale Omri Dor, comandante della base aerea di Palmachim, ha dichiarato al Times of Israel [quotidiano online israeliano, ndt.] che i droni dotati di intelligenza artificiale hanno conferito all’esercito una “precisione chirurgica” nell’assalto, consentendo alle truppe di ridurre al minimo “danni collaterali o danni a altre persone”.

Tuttavia, come tutte le autopromozioni, tali annunci sono un esercizio di autoesaltazione. Per cominciare, nel 2021 Israele non ha condotto la “prima guerra AI” al mondo. Droni, sistemi di difesa missilistica e guerra informatica sono stati usati per decenni in tutto il mondo e piuttosto che l’esercito israeliano sono gli Stati Uniti ad essere spesso considerati il vero pioniere.

Ad esempio in Vietnam sensori e centinaia di computer IBM hanno aiutato le truppe statunitensi a rintracciare, localizzare e uccidere i combattenti vietcong – e molti civili – in attacchi aerei letali. Quando i soldati statunitensi sono entrati in Iraq, lo stesso hanno fatto i robot armati di fucili e in grado di far saltare in aria esplosivi. Dalla fine degli anni 2000 la maggior parte dei governi ha incorporato nei propri arsenali militari e di sorveglianza sistemi di apprendimento automatico. Oggi sciami di droni automatizzati hanno ucciso militanti e civili nelle guerre in Libia e Ucraina.

È stato quindi un problema di saturazione del mercato a motivare l’esercito israeliano a trasformare gli attacchi contro Gaza in campagne pubblicitarie coordinate. Nel 2021 gli esperti di intelligenza artificiale hanno lanciato l’allarme sui droni assassini di fabbricazione turca che potrebbero sciamare e uccidere obiettivi senza intervento umano. La Cina è stata presa di mira per aver esportato sistemi d’arma automatizzati – da sottomarini robotici a droni invisibili – in Pakistan e Arabia Saudita.

Vedendo questo i trafficanti israeliani di armi hanno temuto che altri Paesi potessero eclissare il vantaggio competitivo della “nazione start-up” sulle esportazioni di armi a favore di regimi con sordidi primati a proposito di diritti umani. “E’ovvio che le cose sono cambiate e che Israele deve cambiare atteggiamento se non vuole perdere altri potenziali mercati”, ha detto un alto funzionario militare israeliano in una newsletter dell’industria della difesa dopo l’operazione dell’agosto 2022.

I loro sforzi sono stati ripagati: dopo Guardian of the Walls le esportazioni di armi di Israele hanno raggiunto nel 2021 il massimo storico. Tra i ripetuti bombardamenti su Gaza e con la guerra che infuria in Ucraina, quel numero probabilmente aumenterà.

Nuovi pericoli

L’ubiquità della guerra dell’IA non significa che questa tecnologia debba essere implementata senza salvaguardie e limitazioni. Gli algoritmi possono davvero rendere più efficienti molti aspetti della guerra, dalla guida dei missili all’esame delle informazioni al monitoraggio dei valichi di frontiera. Eppure gli esperti elencano una litania di pericoli posti da questi sistemi: dalla disumanizzazione digitale che riduce gli esseri umani a codici a barre per una macchina in grado di determinare chi dovrebbe vivere o morire, a un costo e una soglia ridotti per un sistema bellico che sostituisce le truppe di terra con algoritmi. Gran parte delle armi sul mercato sono piene di problemi tecnici, per cui si dice identifichino erroneamente gli obiettivi o siano pre-programmate per uccidere determinati gruppi demografici con maggiore frequenza. Anche se riducono il numero di civili uccisi in un singolo bombardamento, come affermano i loro sostenitori, i sistemi d’arma automatizzati rischiano di rendere le battaglie più frequenti e più facili da sostenere facendo sì che la guerra si trascini senza che se ne veda la fine.

Questo è il caso di Gaza. Come afferma Baba, il giornalista: Con una popolazione di 2,3 milioni di persone in un’area di meno di 45 chilometri, Gaza è uno dei luoghi più densamente popolati del mondo. Non importa quanto siano avanzate le tecnologie utilizzate, ogni bombardamento israeliano sulla Striscia uccide innumerevoli spettatori innocenti. “I civili sono spesso vittime del fuoco incrociato”, aggiunge.

Dal 2021, quando Israele ha iniziato a promuovere pubblicamente l’uso dell’intelligenza artificiale nelle operazioni militari, negli attacchi annuali di Israele oltre 300 palestinesi sono stati uccisi e altre migliaia sono stati feriti e sfollati; nei ripetuti assalti infrastrutture vitali come i sistemi fognari e le reti elettriche sono state irrimediabilmente danneggiate. L’automazione potrebbe aver consentito a Israele – se avesse potuto raccogliere le forze e il sostegno politico – di non inviare truppe di terra, impedendo perdite di vite umane dalla sua parte, ma soprattutto la tecnologia ha semplicemente reso più frequente la caduta delle bombe e l’uso di proiettili.

Gli esperti politici discutono spesso dei pericoli posti dai sistemi d’arma automatizzati nel futuro. Ma il costo umano è già evidente in tutta la Palestina. “Abbiamo assistito a lungo alle prove dell’uso da parte di Israele dei TPO [territori palestinesi occupati, ndt.], in particolare di Gaza, come laboratorio per testare e dispiegare tecnologie di armi sperimentali”, ha detto a +972 Omar Shakir, direttore per Israele e Palestina di Human Rights Watch.

Shakir sottolinea che tali armi utilizzate in Cisgiordania e a Gaza, dai droni alla biometria alle torrette potenziate dall’intelligenza artificiale, “servono ad automatizzare l’uso illegale della forza e dell’apartheid da parte di Israele contro i palestinesi”. Data la centralità di Israele nei mercati globali delle armi, Shakir ritiene che “è solo una questione di tempo prima che i sistemi d’arma schierati oggi da Israele finiscano negli angoli più remoti del globo”.

I sostenitori dei diritti digitali hanno anche avvertito che le armi sviluppate in Palestina causeranno il caos se esportate all’estero, sottolineando che questi sistemi provengono da contesti politici in cui il pregiudizio contro i palestinesi è fondamentale. Ad esempio, se l’esercito israeliano ha fornito agli operatori delle istruzioni secondo cui in attacchi con droni un certo numero di non combattenti potrebbe essere ucciso, come +972 ha riportato l’anno scorso, questo numero è replicato negli algoritmi che guidano i missili di precisione? Se i soldati israeliani che gestiscono posti di blocco hanno il compito di detenere temporaneamente uomini palestinesi di una certa età, i nuovi confini biometrici, come riportato di recente da Amnesty International, raccomanderanno la detenzione di tutti coloro che rientrano in questo gruppo demografico? Come ha spiegato Mona Shtaya, direttrice del sistema di patrocinio di 7amleh [associazione no profit che favorisce l’uso del digitale tra i palestinesi in particolare a sostegno dei loro diritti, ndt.]: “Se i dati sono distorti, il risultato finale del prodotto sarà sbilanciato contro i palestinesi”.

L’esercito israeliano non sembra preoccupato dal ritmo di tale sviluppo dell’IA. Cosa fa ChatGPT? Distilla la conoscenza, l’intuizione di cui hai bisogno “, ha affermato il colonnello Uri, comandante della nuova unità di ricerca e informazione sull’IA delle IDF, durante una rara intervista a febbraio. C’è un limite alle tue capacità come essere umano. Se stessi seduto una settimana per elaborare le informazioni potresti giungere alla stessa identica conclusione. Ma una macchina può fare in un minuto ciò che ti richiederebbe una settimana.

Questo tecno-ottimismo si ritrova in tutti i ranghi militari di Israele e lo ha aiutato a giustificare la guerra in corso. I comandanti delle unità di intelligence d’élite hanno volantini auto-pubblicati che esaltano una “sinergia uomo-macchina”. Altri occupano posizioni chiave in aziende di armi come Elbit Systems, desiderose di esportare sistemi d’arma automatizzati in tutto il mondo. Quando a febbraio 60 paesi, tra cui Cina e Stati Uniti, hanno stilato un “invito ad agire” in gran parte simbolico a sostegno dell’uso responsabile dell’IA militare Israele ha rifiutato di firmare la dichiarazione. Invece, i comandanti di alto rango paragonano i robot assassini alle chatbot, scimmiottando i dirigenti tecnologici della Silicon Valley che affermano che l’intelligenza artificiale potrà solo migliorare la vita umana.

La vastità della distruzione in una Gaza assediata rende sempre più difficile credere a tali affermazioni. Se l’ultimo bombardamento rivela qualcosa è che anche le armi tecnologicamente più avanzate non possono compensare il costo umano della guerra, non importa quanto sofisticati siano gli algoritmi.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Timori dei palestinesi dopo che l’israeliana Elbit Systems ha rivelato che nella Cisgiordania occupata verrà utilizzato un nuovo “terribile” drone

Redazione di The New Arab

25 novembre 2022 – The New Arab

Il nuovo drone di Elbit Systems presenta nuovi pericoli per i civili palestinesi nella Cisgiordania occupata

Un recente video reso pubblico dall’industria bellica israeliana Elbit Systems in cui si mostra un nuovo drone ha sollevato timori riguardo ad armi automatizzate con tecnologia avanzata che potrebbero essere utilizzate contro civili palestinesi.

Lanius è un nuovo drone armato in grado di mappare edifici e di volare attraverso stretti corridoi e vani della porta anche in aree urbane.

L’industria bellica afferma che renderà più facile per chi lo utilizzerà trovare “punti di interesse per possibili minacce” e che può portare carichi letali o non letali per eseguire un “ampio spettro di possibili missioni”.

“Lanius riunisce una serie di tecnologie che lo pongono all’avanguardia nel modo in cui i droni stanno trasformando la guerra,” afferma Elbit.

Secondo il sito di Elbit il drone “è un’arma vagante molto manovrabile e versatile basata su un drone e destinata a operazioni a corto raggio in contesto urbano.”

https://www.youtube.com/watch?v=4McPHBQ9pNw

Il dottor Samuel Perlo-Freeman, della Campaign Against Arms Trade [Campagna Contro il Commercio delle Armi] (CAAT) afferma che è probabile che ogni nuova potenzialità letale israeliana significhi più terrore e morte per i palestinesi della Cisgiordania occupata.

“Il fatto che questi droni siano concepiti per operare in angusti contesti urbani… potrebbe aggiungere una nuova dimensione al terrore per la popolazione civile, con droni mortali che svolazzano attorno agli edifici dove essa vive e lavora, non sapendo mai se e quando potrebbero colpire,” dice a The New Arab.

Secondo Perlo-Freeman pare che Lanius abbia una “persona responsabile” che prende le decisioni su quando colpire i bersagli.

“La possibilità che armi totalmente autonome (sistemi d’arma letali autonome) possano prendere la decisione di colpire un bersaglio senza intervento umano è una delle prospettive più terrificanti nella guerra contemporanea.”

Il coordinatore di ricerca del CAAT afferma che, mentre ciò non è ancora avvenuto, la tecnologia militare sta avanzando rapidamente senza alcuna regolamentazione internazionale su tali armi.

The New Arab si è rivolto a Elbit System per un commento, ma al momento della pubblicazione [di questo articolo] non ha ancora ricevuto una risposta.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Decade di nuovo la causa contro Palestine Action

Kit Klarenberg

10 ottobre 2022 The Electronic Intifada

Il 22 settembre cinque attivisti di Palestine Action [rete di protesta pro-palestinese che pratica la disobbedienza civile, ndt.] avrebbero dovuto presentarsi in tribunale per un’udienza di patteggiamento per avere intrapreso quest’estate un’azione contro il produttore di armi israeliano Elbit Systems.

Tuttavia, prima ancora che il procedimento fosse iniziato, i cinque sono stati informati all’ultimo minuto che tutte le accuse erano state ritirate. Le autorità hanno stabilito che nella causa “non c’erano prove sufficienti per fornire una prospettiva realistica di condanna”, come hanno confermato i rappresentanti di Palestine Action.

I cinque attivisti erano stati arrestati all’inizio di luglio per danni penali e violazione di domicilio aggravata per aver interrotto l’attività della fabbrica di motori UAV [unmanned aerial vehicle, velivolo senza pilota, drone ndt] di Elbit a Shenstone, Staffordshire, nelle Midlands occidentali inglesi. Avevano spruzzato la fabbrica, i cancelli e i sistemi di sicurezza esterni con vernice rossa, a simboleggiare il sangue dei palestinesi, e si erano incatenati ai cancelli della fabbrica.

Il sito è stato reso inutilizzabile. Elbit è stata costretta a interrompere temporaneamente la produzione di componenti per droni come i motori.

L’azienda fornisce circa l’85% della flotta di droni israeliani.

La fabbrica di Shenstone, UAV Engines, produce componenti per droni ed è una parte fondamentale degli investimenti di Elbit in Gran Bretagna.

Fra i droni con componenti realizzati a Shenstone c’è il Watchkeeper, utilizzato dall’esercito britannico nelle guerre all’estero e dalla forza di frontiera britannica per sorvegliare e attaccare i migranti.

Perciò il sito è stato a lungo bersaglio degli attacchi di Palestine Action e quello di luglio è stato solo l’ultimo di una campagna ad ampio raggio per distruggere le strutture di Elbit e rendere impossibile la normale produzione.

Nel corso di questa campagna alcuni attivisti del gruppo sono stati arrestati, ma i conseguenti procedimenti giudiziari sono falliti.

A febbraio, quattro attivisti erano stati liberati, perché di nuovo non c’era “alcuna possibilità realistica di condanna”.

Considerazioni su chi indaga

Uno dei cinque di Shenstone, un attivista che desidera essere chiamato Randeep, non è particolarmente sorpreso dalla notizia.

Randeep è comunque leggermente irritato dal fatto che le accuse siano state ritirate dopo che ha sostenuto la spesa per l’acquisto dei biglietti del treno per partecipare all’udienza di patteggiamento.

Questo conferma ulteriormente ciò che già sapevamo. Non siamo noi i criminali e ostacolare la colonizzazione israeliana della Palestina non solo un è dovere morale, è anche giuridicamente valido”, ha affermato in una nota.

Un altro accusato, Richard Spence, ha detto a The Electronic Intifada che la conclusione dell’accusa di mancanza di “prove sufficienti per fondare una realistica prospettiva di condanna” è particolarmente degna di nota, dato che né lui né i suoi colleghi attivisti hanno fatto alcun tentativo di eludere l’arresto o hanno negato di aver agito. In altre parole, un caso facile da risolvere, se mai avessero fatto qualcosa di criminale.

“Il CPS [Crown Prosecution Service, la Procura della Corona] deve aver capito, dopo che altri portati in tribunale per aver preso di mira lo stesso sito sono stati dichiarati non colpevoli, che non c’è ragione per punire degli attivisti che difendono i diritti umani”, ha affermato.

Ad oggi, diversi attivisti di Palestine Action sono stati arrestati e perseguiti per aver violato i siti Elbit e quelli dei suoi fornitori in Gran Bretagna.

Solo un caso si è concluso con una effettiva condanna. L’attivista in questione ha ricevuto una sospensione condizionale della pena di tre mesi e una multa trascurabile di soli 25 dollari.

È raro che i casi anche solo raggiungano il tribunale. In uno di questi casi nel dicembre 2021, tre attivisti – che avevano ugualmente preso di mira il sito di Shenstone – sono stati dichiarati non colpevoli di danni penali dopo un processo di due giorni.

Gli avvocati dei tre attivisti, tra cui l’avvocata palestinese Mira Hammad, hanno sostenuto con successo che, sebbene le loro azioni avessero apportato un danno alla fabbrica, non erano di natura criminale, ma costituivano un’azione proporzionata per prevenire crimini molto più gravi in Palestina.

All’epoca Huda Ammori, co-fondatore di Palestine Action, sostenne che la sentenza equivaleva ad un sostegno del tribunale per la campagna del gruppo. Secondo le stime della polizia britannica ad agosto, e come riportato in un cortometraggio su Palestine Action, nell’arco di un anno il gruppo avrebbe inflitto perdite per oltre 22 milioni di dollari ai siti Elbit in tutto il paese.

Le prossime sfide

Tuttavia, sono in vista importanti sfide legali per il gruppo e i suoi attivisti. In tutto, da qui al prossimo anno sono previsti 13 diversi procedimenti giudiziari contro gli attivisti di Palestine Action.

Il 21 novembre, gli attivisti che hanno scalato il tetto della fabbrica di Elbit a Oldham, vicino a Manchester, e sono entrati nel sito danneggiando dei macchinari, sono accusati di danni penali e furto con scasso.

All’inizio di ottobre, inoltre, presso la Corte di Snaresbrook a Londra sarebbe dovuto iniziare un processo contro un gruppo di attivisti che è stato soprannominato “gli otto di Elbit”. Come apparso su The Electronic Intifada il mese scorso, devono affrontare una marea di accuse per le quali potrebbero essere incarcerati individualmente e collettivamente per molti anni.

Degli otto, tre – Ammori, il suo collega co-fondatore di Palestine Action Richard Barnard e la loro compagna Emily Arnott – affrontano l’accusa più grave di tutte, quella di associazione a delinquere a fini di ricatto.

L’accusa si basa sul fatto che gli attivisti hanno scritto alla società che ha affittato gli uffici londinesi di Elbit incoraggiandone i dirigenti a sfrattare la produzione di armi e minacciando di intensificare la campagna se questa richiesta non fosse stata soddisfatta. La pena massima per il ricatto secondo la legge inglese è di 14 anni di carcere.

Tuttavia, per ragioni poco chiare, tale processo è stato rinviato almeno fino al novembre 2023.

Forse si spera che un lungo periodo da trascorrere con un futuro incerto smorzi la passione. Nel frattempo, però, gli otto attivisti accusati rimangono sulle loro posizioni e considerano il loro eventuale processo un’opportunità d’oro per mettere Elbit sul banco degli imputati.

Sperano di porre ai rappresentanti dell’azienda domande sgradite sulle sue operazioni e, nel processo, impegnarsi a rendere pubbliche sicure prove degli scopi distruttivi per cui quelle armi vengono regolarmente usate a Gaza e in Cisgiordania.

Palestine Action sospetta fortemente che uno dei motivi principali per cui i casi precedenti sono decaduti prima di arrivare in tribunale è che i rappresentanti di Elbit non vorrebbero trovarsi a dover ammettere in una udienza pubblica la loro complicità attiva, continua e diretta negli abusi perpetrati contro i civili palestinesi. In termini di pubblicità negativa, il prossimo processo potrebbe produrre grande disagio ai potenti – ciò che il gruppo considererebbe un grande successo anche in caso di condanna.

“Il governo britannico e Elbit sanno che stiamo decostruendo la loro violenza, il loro apartheid, le loro spudorate violazioni del diritto internazionale”, ha detto un attivista di Palestine Action che ha chiesto di essere chiamato Finn.

“Hanno paura che i loro crimini vengano smascherati, e hanno ragione ad essere spaventati”, ha aggiunto Finn, uno degli attivisti che è uscito dal tribunale il mese scorso. “Questo è un appello a chiunque stia pensando di prendere parte all’azione diretta. Noi siamo innocenti e loro colpevoli, non importa quello che dicono i tribunali”.

Kit Klarenberg è un giornalista investigativo che indaga il ruolo dei servizi di intelligence nel plasmare la politica e la percezione del pubblico.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Sfidare Golia: come Palestine Action ha cacciato la Elbit

Huda Ammori

28 giugno 2022 – The New Arab

Huda Ammori, cofondatrice di Palestine Action [rete di attivisti filo-palestinesi che usa tattiche di disobbedienza civile contro fabbriche di armi israeliane, ndtr.], descrive l’azione diretta degli attivisti contro la fabbrica di armi Elbit Systems per il suo ruolo nel produrre armi per Israele e di come siano riusciti a estrometterla dal Regno Unito.

Armati di vernice rosso sangue, stencil fatti in casa e una macchina fotografica: eravamo pronti a prendere d’assalto 77 Kingsway, il quartier generale londinese della maggiore industria bellica israeliana, Elbit Systems. Per farci aprire la porta ed entrare nei loro prestigiosi uffici è bastato un sorriso. Siamo entrati: la vernice spruzzata ovunque nell’atrio, gli striscioni appesi, le riprese fatte e tutto finito prima che gli addetti alla sicurezza ci buttassero fuori. Ma prima di andarcene avevamo scritto una promessa sul loro muro: ritorneremo!  

E siamo ritornati.

Per creare un movimento abbastanza forte da far chiudere tutte e dieci le sedi della Elbit in Gran Bretagna dovevamo essere destabilizzanti e costanti. Azioni occasionali non sarebbero servite. Ogni minuto senza una nostra azione era un minuto in cui la Elbit avrebbe commesso un altro omicidio. Per sconfiggerli dovevamo bombardarli.  

Lottavamo contro Golia: una fabbrica di armi fondata nel 1966 con lo scopo specifico di armare le milizie sioniste per attuare la pulizia etnica del popolo palestinese. Oggi il loro modello aziendale si basa sullo sviluppo di armi sperimentali usate contro la popolazione imprigionata a Gaza ed etichettate come “testate in battaglia” e poi spedite verso Israele e altri regimi repressivi.

A luglio 2020 la Gran Bretagna ospitava dieci sedi della Elbit che producevano droni militari, software per artiglieria e acquisizione dati.   

Palestine Action è nata per cacciare dal Paese il commercio di armi israeliane. Le azioni non hanno solo preso di mira le sedi della Elbit, ma abbiamo anche fatto pressione su chi ne agevolava la capacità di operare in Gran Bretagna.

Israele non potrebbe fabbricare in modo autonomo la sua sanguinaria catena produttiva di armi. Per ottenere un prestigioso spazio per i propri uffici nel centro di Londra la Elbit aveva avuto bisogno di un agente immobiliare che chiudesse un occhio sui crimini di guerra israeliani, una carneficina che le ha permesso di fare una paccata di soldi. Ecco perché la multimiliardaria società immobiliare JLL è diventata il punto focale a livello nazionale degli attivisti autonomi. Da York a Brighton le sedi di JLL sono regolarmente state oggetto delle scritte con la vernice rossa di Palestine Action.

Con un bersaglio secondario e una palazzina di uffici nel centro di Londra da prendere sistematicamente di mira, la duplice strategia per cacciare la Elbit da Londra si è velocemente messa in moto.

A poche settimane dal lancio della campagna i ministeri israeliani degli Affari Strategici e della Difesa hanno incontrato il governo britannico per discutere su come “reprimere il nostro movimento”. Come noi, anche loro avevano capito il potere dell’azione diretta. 

È cominciata così una campagna strategica dello Stato per distruggere il nostro movimento nelle fasi iniziali della sua formazione. Passaporti rubati dalla polizia, irruzioni nelle case e una serie di arresti violenti non sono esperienze piacevoli, ma nulla a confronto con quello che succede a chi si trova dalla parte sbagliata delle armi di Elbit.

Ogni ostacolo che affrontavamo era un passo avanti verso la sconfitta del commercio israeliano di armamenti. E ogni volta che lo Stato interveniva, altre persone si offrivano di unirsi alla lotta per far chiudere Elbit. Le tattiche dello Stato hanno avuto l’effetto contrario.  

Palestine Action non faceva che rafforzarsi mentre le sedi della Elbit diventavano sempre più deboli. Il maggiore trafficante di armi israeliano è stato costretto a spendere in sicurezza cifre sempre maggiori, tra l’altro non riuscendo a tenere lontani i nostri attivisti. Le azioni sono diventate più frequenti, più dirompenti e, per la Elbit, considerevolmente più costose.

Con il tempo quello che era partito come un prestigioso edificio nel centro di Londra è diventato un posto squallido, vecchio e fatiscente. Hanno rimosso le sporgenze per impedire alla gente di arrampicarsi, tolto le decorazioni esterne in modo che non fossero abbattute dagli attivisti e assunto un servizio di sicurezza 24 ore su 24 per sorvegliare l’ingresso.

Comunque tutte le loro ulteriori misure per tener lontana Palestine Action sono continuamente fallite. Siamo andati, siamo rimasti e li abbiamo fatti chiudere mille volte.

Nell’aprile 2022 gli attivisti hanno piantato l’ultimo chiodo nella bara del quartier generale londinese di Elbit. Settimana dopo settimana abbiamo danneggiato 77 Kingsway, bloccando gli ingressi, spruzzando l’edificio di vernice rosso sangue e facendo sì che l’opinione pubblica sapesse esattamente chi si nascondeva dietro la porta.

Mentre Elbit era contrariata da tutte le continue azioni al loro quartier generale, la comunità circostante offriva agli attivisti caffè, cibo e costanti messaggi di sostegno. Man mano che cresceva la pressione sulla Elbit e sull’agenzia immobiliare che le aveva affittato la sede, l’unica opzione che restava loro era quella di andarsene.  

E infatti se ne sono andati! Proprio la settimana scorsa è stato annunciato che Elbit Systems ha abbandonato il quartier generale londinese a causa della continua campagna di azione diretta di Palestine Action durante la quale sono state arrestate 60 persone. La notizia è arrivata esattamente 5 mesi dopo la chiusura permanente della fabbrica di armi Elbit-Ferranti a Oldham.

La prova è nei fatti: l’azione diretta funziona. 

Le pressioni sui governi, le petizioni e le tattiche tradizionali delle campagne non sono mai riuscite a bloccare il traffico di armi fra Gran Bretagna e Israele. Ma nessuno riesce a fermare chi si impegna in prima persona per far chiudere le fabbriche di armamenti sulla soglia di casa nostra. 

Huda Ammori è la cofondatrice della rete azione diretta Palestine Action e ha condotto vaste ricerche e campagne contro la complicità britannica con l’apartheid israeliano. 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non rappresentano necessariamente quelle di The New Arab, della sua direzione o redazione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’israeliana Elbit vende la fabbrica di armi britannica presa di mira dagli attivisti

Asa Winstanley  10 gennaio 2022

Electronic Intifada

Lunedì i membri del gruppo Palestine Action hanno celebrato la propria vittoria quando il gigante delle armi israeliano Elbit Systems ha venduto una delle sue fabbriche nel Regno Unito.

Il gruppo ha condotto una prolungata campagna di azione diretta contro la fabbrica da agosto 2020.

Gli attivisti hanno protestato, occupato, bloccato e generalmente interrotto i normali affari, spiega il gruppo.

Questa notizia conferma la nostra strategia a lungo termine”, ha detto lunedì Palestine Action.

“L’azione diretta funziona: le persone coraggiose che hanno occupato la fabbrica nell’ultimo anno possono affermare con orgoglio che la tecnologia dei droni non è più prodotta a Oldham”.

Gli attivisti hanno sistematicamente rotto le finestre della struttura Ferranti di Elbit a Oldham. Hanno anche fatto irruzione nei locali e causato danni all’interno. Il sito è stato costretto a chiudere per giorni e Palestine Action afferma di aver causato “milioni di danni”.

Il gruppo riferisce che 36 dei suoi attivisti sono stati arrestati sul posto dall’anno scorso. Ma ad oggi nessuno è stato condannato.

La fabbrica di componenti Ferranti a Oldham, vicino a Manchester nel nord dell’Inghilterra, era uno dei 10 siti di proprietà di Elbit nel Regno Unito.

Elbit ha annunciato lunedì di aver venduto la parte principale di Ferranti a TT Electronics, una società britannica, per circa 12 milioni di dollari in contanti.

Il produttore dei micidiali droni non ha menzionato la campagna di Palestine Action, sostenendo che la vendita fosse una “riorganizzazione” che aiuterebbe a “concentrare le attività su determinate aree”.

Elbit UK ha affermato in un secondo comunicato stampa che la vendita era solamente finalizzata a “consolidare la posizione di mercato” della società.

Ma Huda Ammori, co-fondatrice di Palestine Action, ha dichiarato lunedì a The Electronic Intifada che la vendita è stata “una vittoria assolutamente straordinaria” che, secondo lei, “dimostra il potere delle persone quando si uniscono”.

Ammori ha affermato che mentre il commercio di armi di Israele trae vantaggio dall’essere parzialmente basato in Gran Bretagna, questo potrebbe rappresentare “anche il suo peggior tracollo perché le persone qui non lo approvano”.

Ha detto che il gruppo intende “continuare la nostra campagna di azione diretta, prendendo di mira tutti i siti di Elbit fino a quando non saranno costretti a lasciare definitivamente la Gran Bretagna”.

Elbit non ha risposto alle e-mail che chiedevano una reazione.

I suoi comunicati stampa di lunedì affermavano che le restanti parti di Ferranti non vendute a TT Electronics sarebbero state integrate in Elbit Systems UK, la cui sede legale è a Bristol, nel sud-ovest dell’Inghilterra.

Fino a novembre, la fabbrica Ferranti sembrava sull’orlo di una improvvisa chiusura con la perdita di posti di lavoro.

La municipalità di Oldham ha elencato sul suo sito web l’edificio di Ferranti come una delle “proprietà commerciali attualmente disponibili” in città, pubblicizzandolo come “luogo perfetto per le aziende che desiderano spazi flessibili per uffici “.

Raggiunto da The Electronic Intifada via telefono a novembre, un portavoce del consiglio comunale ha negato che l’attività fosse chiusa, affermando che l’elenco era “un vecchio link” di circa sei anni fa.

Subito dopo la telefonata, la pagina è stata cancellata dal sito web del consiglio comunale di Oldham.

Palestine Action afferma che lo stesso mese fonti anonime gli hanno rivelato “che erano stati emessi avvisi di licenziamento di massa al personale che lavorava in fabbrica e che i locali erano stati sgomberati in preparazione all’abbandono da parte di Elbit “.

Il mese scorso una giuria ha assolto tre attivisti di Palestine Action per il reato di danni arrecati in un altro sito Elbit a Shenstone vicino a Birmingham.

Gli attivisti hanno sostenuto con successo che, sebbene le loro azioni costituissero un danno alla fabbrica, non si trattava di un reato penale.

Hanno sostenuto invece che le loro azioni erano commisurate a prevenire un crimine molto più grande: quello della violenza israeliana contro i palestinesi, come il bombardamento israeliano di Gaza a maggio.

Elbit è responsabile di oltre l’80% della flotta di droni israeliani.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Quali sono state le principali vittorie del BDS nel 2021?

Nora Barrows-Friedman

30 dicembre 2021 – Electronic Intifada

Nonostante il fatto che la pandemia di Covid-19 sia continuata, il 2021 è stato un anno in cui c’è stato un incremento di mobilitazione della campagna per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni [contro Israele] (BDS), di azioni della società civile coronate da successo e di significative vittorie giudiziarie per i diritti dei palestinesi.

Fondi pensione hanno abbandonato imprese israeliane, personalità della cultura hanno rifiutato di superare i limiti [posti dal BDS] e un’importante azienda produttrice di gelati ha ritirato i propri prodotti dalle illegali colonie israeliane.

A Oakland, in California, prolungate azioni dirette hanno avuto successo nel far pagare un prezzo a Israele dopo che a maggio ha scatenato un attacco letale di 11 giorni contro Gaza.

All’inizio di giugno, come parte di un’ondata di proteste internazionali sotto la bandiera di #BlockTheBoat [Blocca la Nave], attivisti e lavoratori portuali hanno impedito per più di due settimane dalla data di arrivo prevista che una nave cargo israeliana attraccasse al porto della città.

La nave ha palesemente cercato di evitare il picchetto ed ha lasciato la zona portuale della baia con il suo carico intatto.

Nel Regno Unito manifestanti di Palestine Action [rete di attivisti filo-palestinesi che usa tattiche di disobbedienza civile contro fabbriche di armi israeliane, ndtr.] hanno obbligato industrie belliche israeliane a chiudere le attività in parecchie delle loro 10 sedi in Gran Bretagna.

Alcuni attivisti hanno condotto sit-in e sabotaggi contro filiali di Elbit Systems, di proprietà israeliana, chiudendo fabbriche, rompendo vetri, danneggiando macchinari, scrivendo graffiti e spruzzando di pittura rossa muri per simbolizzare il sangue palestinese.

Nel suo primo anno di vita Palestine Action – creata nel 2020 – ha effettuato più di 70 azioni contro Elbit, tra cui 20 importanti occupazioni di sedi e fabbriche.

A dicembre Palestine Action ha vinto un’importante battaglia giudiziaria, in quanto attivisti che avevano imbrattato una fabbrica di droni israeliani sono stati assolti da accuse di danneggiamento.

Continueremo a compiere azioni dirette per interrompere e sabotare il commercio di armi israeliane,” ha detto a The Electronic Intifada la co-fondatrice Huda Ammori.

A luglio, dopo anni di attività negli Usa e da parte di attivisti palestinesi del boicottaggio, Ben & Jerry’s – impresa che produce gelati di proprietà di Unilever – ha annunciato che non avrebbe più venduto i suoi prodotti nelle illegali colonie israeliane, affermando che tale vendita è “in contrasto con i propri valori”.

Dirigenti israeliani e associazioni della lobby sono stati duramente colpiti dalla notizia ed hanno fatto ricorso a calunnie contro l’impresa di gelati e i membri del suo consiglio di amministrazione.

Il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha promesso di fare ricorso alla ventina di Stati USA che hanno approvato misure anti-BDS per “far valere quelle leggi contro Ben & Jerry’s”, mentre il primo ministro Naftali Bennett ha promesso di “agire in modo aggressivo” contro l’industria che produce gelati.

Ma, pur tra le minacce, finora l’azienda ha difeso la sua decisione.

Il Comitato Nazionale del BDS palestinese ha invitato Ben & Jerry’s a “porre fine a qualunque attività nell’Israele dell’apartheid.”

A fine dicembre un noto sito antipalestinese che stila liste nere ha nominato il presidente del consiglio di amministrazione dell’impresa come suo “principale antisemita dell’anno”, portando l’associazione per i diritti civili Palestine Legal [organizzazione USA che si dedica alla difesa legale di attivisti filo-palestinesi, ndtr.] a evidenziare quanto tali accuse suonino vuote.

L’associazione ha affermato: “La decisione di Ben & Jerry’s di smettere di trarre profitto da colonie esclusivamente ebraiche costruite su terra rubata è il minimo indispensabile che la ditta possa fare per rispettare il suo pubblicizzato impegno per la giustizia sociale.”

Ecco alcune delle altre principali vittorie del BDS per i diritti dei palestinesi di cui Electronic Intifada ha informato nel 2021.

Imprese israeliane sono state scaricate

In tutto il mondo fondi pensione hanno tolto imprese israeliane dal portafoglio dei loro investimenti a causa delle violazioni dei diritti umani e delle leggi internazionali da parte di Israele.

Un importante fondo pensioni di un ente locale britannico ha disinvestito dall’impresa israeliana di armamenti Elbit System. Benché inizialmente il fondo pensioni abbia cercato di negare che l’iniziativa riguardasse il ruolo dell’impresa nelle violenze contro i palestinesi, gli attivisti avevano inondato l’ufficio con richieste di eliminare Elbit dai suoi investimenti.

Il presidente della commissione pensioni del Comune ha comunque ammesso che Elbit è stata esclusa dal suo nuovo gestore degli investimenti, Storebrand, “per ragioni legate ai diritti umani e alle leggi internazionali.”

Storebrand è un’azienda norvegese che esclude Elbit a causa di problemi legati ai diritti umani.

Quest’anno un fondo pensioni statale neozelandese da 29 miliardi di euro ha annunciato di aver escluso cinque banche israeliane dal proprio piano di investimenti a causa del loro ruolo nel finanziamento delle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata.

Una valutazione di NZ Super Fund ha concluso che possedere azioni delle principali banche israeliane violerebbe la sua politica di investimenti responsabili.

Anche in Norvegia e Scozia fondi pensione hanno disinvestito da imprese che traggono profitto dalle colonie israeliane, tra cui imprese edili, aziende delle telecomunicazioni e banche.

KLP, il principale fondo pensioni norvegese, ha escluso 16 imprese che traggono profitto dalle colonie perché, ha affermato, c’è un “rischio inaccettabile” che contribuiscano a violazioni dei diritti umani.

A dicembre in Finlandia una parlamentare ha presentato un progetto di legge che vieterebbe l’importazione di prodotti dalle colonie israeliane costruite su terra palestinese e siriana occupata.

A settembre l’Unione Europea è stata obbligata a registrare un’iniziativa di cittadini europei che intende bloccare i commerci con colonie su territori occupati.

La misura potrebbe interrompere il redditizio accesso sui mercati UE di cui godono attività economiche nelle colonie israeliane costruite su terre palestinesi in violazione delle leggi internazionali.

Vittorie su leggi anti-BDS e sulla persecuzione di attivisti

A febbraio, facendo seguito a decisioni simili del tribunale federale in Arizona, Kansas e Texas, una misura contro il BDS in Arkansas è stata dichiarata incostituzionale.

Una corte d’appello federale USA ha sentenziato che la legge statale del 2017 che impone a imprese contrattate dallo Stato di dichiarare che non boicotteranno Israele rappresenta una violazione della libertà di parola.

Questa è la prima corte d’appello federale a decidere sulla costituzionalità di leggi contro il boicottaggio, e con questa decisione nessuna legge anti-BDS è stata accolta nel merito,” ha affermato Palestine Legal.

Ogni legge che ha superato una disputa giudiziaria lo ha fatto attraverso espedienti legali per evitare un’analisi costituzionale,” ha aggiunto l’associazione.

A gennaio un tribunale spagnolo ha respinto una denuncia penale per presunti crimini d’odio contro otto attivisti del BDS, una grande vittoria per il diritto a boicottare Israele in quel Paese.

Il tribunale ha sentenziato che gli attivisti avevano esercitato il proprio diritto alla libera espressione perseguendo obbiettivi politici legittimi.

I giudici hanno citato una fondamentale decisione del giugno 2020 della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo secondo cui invitare a un boicottaggio contro Israele a causa delle sue politiche non è una forma di discriminazione ma un discorso politico protetto.

Gli attivisti hanno salutato la vittoria come un segno di come “la strategia globale dei sionisti e (i tentativi da parte dei) loro alleati di estrema destra per delegittimare il movimento BDS stanno fallendo.”

Negli USA, benché l’amministrazione Biden abbia ripreso la promessa di lottare contro il BDS dell’era di Trump e Obama – con la lobby israeliana che ha chiesto al nuovo presidente di incrementare gli attacchi contro gli attivisti nei college – gli studenti hanno ottenuto una vittoria che segna un precedente.

A marzo un giudice della California ha sentenziato contro le richieste di un querelante anti-palestinese di perseguire attivisti per i diritti umani riguardo al loro appoggio al BDS e ai diritti dei palestinesi.

Ciò ha segnato la prima volta in cui un tribunale USA “ha riconosciuto il contesto maccartista che devono affrontare quanti parlano a favore dei diritti dei palestinesi,” secondo il gruppo per i diritti civili Palestine Legal, che insieme ad altri avvocati ha rappresentato otto imputati.

La sentenza “respinge il concetto secondo cui gli studenti perdono i loro diritti costituzionali quando sostengono i diritti dei palestinesi in un’università pubblica,” ha affermato Palestine Legal.

I canadesi vogliono interrompere la vendita di armi a Israele

In Canada i leader del formalmente progressista Nuovo Partito Democratico [di orientamento socialdemocratico, ndtr.], Jagmeet Singh, ha chiesto al primo ministro Justin Trudeau di porre fine alla vendita di armi a Israele.

L’iniziativa di Singh è arrivata dopo che dirigenti e iscritti del partito hanno approvato una mozione per porre fine al commercio di armi con Israele.

La mozione ha specificato che il commercio di armi tra Canada e Israele deve essere interrotto “finché non verranno rispettati i diritti dei palestinesi.”

Il voto “invia il messaggio che in Canada i progressisti e le persone che hanno a cuore i diritti umani non appoggiano lo status quo e vedono le sanzioni contro Israele non solo come appropriate, ma necessarie,” ha detto in aprile a Electronic Intifada Amy Kishek, una importante promotrice della risoluzione.

Ampio sostegno ai diritti dei palestinesi e al BDS

Nonostante le enormi pressioni da parte di dirigenti e sostenitori della lobby israeliana nel partito Laburista britannico, i delegati del congresso di settembre del partito hanno approvato una risoluzione che chiede sanzioni ed embargo militare contro Israele.

La risoluzione appoggia l’indagine della Corte Penale Internazionale su crimini di guerra nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza occupate.

Essa sostiene altre “misure efficaci chieste dalla società civile palestinese” – un’affermazione del movimento BDS che intende porre fine alle violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi e delle leggi internazionali.

Essa ribadisce anche esplicitamente “il diritto del popolo palestinese di tornare alle proprie case, come sancito dalle leggi internazionali.”

All’inizio dell’anno un sondaggio ha evidenziato che più del 60% dei membri del partito Laburista appoggia la campagna BDS.

Nella stessa indagine circa metà di quanti sono stati interpellati è d’accordo con l’affermazione secondo cui “Israele è uno Stato di apartheid, che discrimina sistematicamente i palestinesi.”

Negli USA un sondaggio di marzo ha indicato che la maggioranza dei democratici vuole che gli USA esercitino maggiori pressioni su Israele.

Cultura e sport

Benché a causa della pandemia molti artisti, personaggi della cultura, scrittori e atleti abbiano dovuto cancellare o rinviare tournée, concerti e apparizioni, una schiera di musicisti ha incrementato le campagne per invitare artisti a non organizzare spettacoli in Israele.

Rage Against the Machine, Patti Smith, Noname, Vic Mensa, Thurston Moore e Run the Jewels sono stati tra i primi firmatari di “Iniziativa dei Musicisti per la Palestina”, che ha continuato ad attirare adesioni.

A luglio un atleta algerino si è rifiutato di competere con un israeliano ai Giochi Olimpici di Tokio ed ha affrontato sanzioni amministrative da parte del Comitato Olimpico Internazionale. Il 26 luglio Fethi Nourine non ha partecipato alle eliminatorie contro l’avversario sudanese Mohamed Abdalrasool in quanto il vincitore dell’incontro avrebbe dovuto competere contro l’israeliano Tohar Butbul.

Ogni competizione tenuta sotto la bandiera israeliana è un riconoscimento non solo dello Stato di Israele, ma anche della legittimità dell’occupazione della terra palestinese,” ha scritto Nourine su Facebook alla fine di luglio.

Il suo ritiro ha evitato la possibilità di affrontare l’israeliano.

Nourine ha spiegato di rifiutare la normalizzazione con il rappresentante di un “colonizzatore e occupante”.

L’atleta e il suo allenatore Amar Benikhlef sono stati privati dell’accredito olimpico e sono stati rispediti in patria.

E infine ad ottobre la scrittrice irlandese di successo Sally Rooney ha rispettato l’appello al boicottaggio rifiutando di consentire a una casa editrice israeliana di comprare i diritti di traduzione e pubblicazione in ebraico del suo ultimo romanzo, Beautiful World, Where Are You [Dove sei, mondo bello, Einaudi, 2022].

La Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI) ha elogiato Rooney per essersi aggiunta a “innumerevoli scrittori internazionali nell’appoggio al boicottaggio delle istituzioni culturali del settore editoriale complice di Israele.”

Rooney ha affermato che sarebbe stata contenta di vendere i diritti per la traduzione in ebraico se fosse stato possibile trovare un’impresa che non violasse i principi dell’appello del BDS.

Ho semplicemente sentito che nelle attuali circostanze non sarebbe stato giusto per me accettare un nuovo contratto con un’impresa israeliana che non prendesse pubblicamente le distanze dall’apartheid,” ha affermato Rooney.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Difettose, imprecise, letali: Israele sceglie le bombe del Vietnam per Gaza

Frank AndrewsShir Hever

17 agosto 2021 – Middle East Eye

Dopo la guerra di Gaza del 2014 l’ONU ha diffidato dall’uso delle MK-84. Perché dunque l’esercito israeliano ne ha lanciate così tante a maggio?

Fra le bombe in generale poche sono più distruttive delle Mark-84, un’arma di circa 907 kg utilizzata per la prima volta dagli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam.

Queste bombe contengono più di 400 kg di esplosivo e hanno un rivestimento in acciaio di quattro metri e mezzo con un “raggio letale” di oltre 30 metri, e quando esplodono creano un’onda di pressione supersonica.

Secondo le Nazioni Unite possono distruggere gli edifici vicini e “spaccare i polmoni, far esplodere le cavità nasali e strappare gli arti” a chiunque si trovi entro 350-360 metri dall’esplosione.

Le Mark-84, o MK-84 – “distruggi bunker” progettate per penetrare strati di acciaio o cemento – sono quindi considerate particolarmente pericolose se lanciate su aree civili.

Sono state utilizzate dalle forze statunitensi in Iraq e in Afghanistan e si ritiene siano il tipo di bomba usata negli attacchi aerei della coalizione guidata dall’Arabia Saudita che hanno ucciso almeno 97 civili in un mercato in Yemen nel 2016.

La bomba è talmente letale se sganciata in aree densamente popolate che la commissione indipendente delle Nazioni Unite che ha indagato sulla guerra del 2014 a Gaza [l’operazione Margine Protettivo, ndtr.] ha specificamente diffidato dal suo uso, avvertendo che verosimilmente “costituirebbe una violazione al divieto di attacchi indiscriminati”.

Eppure sei anni dopo gli esperti nello smaltimento di bombe a Gaza raccontano a Middle East Eye (MEE) che nei 2.750 attacchi aerei sulla Striscia di Gaza durante l’offensiva del maggio scorso, che ha ucciso 248 palestinesi tra cui 66 bambini, durante gli 11 giorni dell’attacco Israele ha lanciato in gran parte MK-84.

La squadra per l’Eliminazione degli Ordigni Esplosivi (EOD) del Ministero degli Interni di Gaza setaccia l’enclave assediata dopo ogni bombardamento israeliano, eliminando gli ordigni inesplosi che ricoprono la Striscia. Afferma che i resti che hanno trovato più di frequente da maggio appartengono alle MK-84.

Secondo l’OED sono state ad esempio le MK-84 ad aver ucciso almeno 42 persone – tra cui cinque membri della stessa famiglia – durante il bombardamento in via al-Wehda ad al-Rimal, a nord di Gaza, la notte del 15 maggio.

L’uso di MK-84 a maggio è particolarmente sconcertante, dato che l’aeronautica israeliana ha un’altra bomba più moderna nel suo arsenale, progettata per svolgere la stessa funzione con molti meno rischi per i civili.

Secondo Human Rights Watch Israele potrebbe essere incolpato di crimini di guerra per gli attacchi che hanno ucciso i civili a Gaza. (Anche Hamas, che ha lanciato razzi non mirati su Israele uccidendo 13 persone, potrebbe aver commesso crimini di guerra.)

MEE ha chiesto all’Esercito israeliano perché ha usato questa bomba e se abbia sganciato alcune delle armi più precise del suo arsenale. Al momento della pubblicazione l’esercito non aveva ancora risposto alle domande di MEE.

Un’arma incontrollabile

Oltre ad essere mortalmente pericolose per i civili, le MK-84 sono anche spesso imprecise e difettose.

Secondo l’ONU le bombe possono atterrare fino a sette metri di distanza dal loro obiettivo.

E in un’intervista del 2016 Dani Peretz, vicepresidente dell’Ingegneristica per le Industrie Militari Israeliane – ora confluite nella impresa israeliana di produzione di armi Elbit Systems – ha affermato che le MK-84 utilizzate nella guerra in Libano del 2006 sono rimaste inesplose al 40%. Secondo Action On Armed Violence (AOAV), un ente di beneficenza con sede a Londra che conduce ricerche sulla violenza armata, questa cifra è di solito intorno al 5%.

A differenza di quando furono prodotte per la prima volta nel 1955, le MK-84 sono ora spesso dotate di una Joint Direct Attack Munition (JDAM) [Munizione d’attacco diretto combinato], un kit sviluppato dagli Stati Uniti che guida le “bombe stupide” con il GPS. Queste versioni “più intelligenti” dell’arma sono conosciute come GBU-31.

Ma il JDAM, ha scoperto Peretz, “cambia il comportamento della bomba”.

Ciò significa che in alcuni casi “le [MK-84] raggiungevano il bersaglio ma… colpivano la stanza sbagliata”, e in altri casi “la miccia si è staccata dalla bomba che non è esplosa”.

Le bombe inesplose possono esplodere inaspettatamente quando vengono spostate, uccidendo o mutilando le persone. Molti abitanti di Gaza sono sfollati o non frequentano la scuola perché le MK-84 si sono infilate nella terra sotto le case senza esplodere.

Secondo l’EOD attualmente quattro di queste bombe sepolte in profondità si trovano sotto le scuole gestite dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro per i Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), il che significa che rimangono inaccessibili. Un portavoce dell’UNRWA non ha risposto alla richiesta di commenti.

Altre bombe meno comuni che l’EOD ha trovato durante e dopo l’offensiva sono state le GBU-39 di fabbricazione statunitense, bombe a piccolo diametro molto più piccole delle GBU-31 e potenzialmente meno dannose per i civili, e le BLU-109, distruggi-bunker fabbricate negli Stati Uniti che contengono meno esplosivo delle GBU-31 ma “che esplodendo infliggono probabilmente un livello molto simile di danni,” secondo AOAV.

L’area letale

L’aeronautica israeliana ha nel suo arsenale un’altra bomba che svolge lo stesso lavoro dell’MK-84 ma presenta un rischio molto minore per i civili.

La brochure della bomba chiamata MPR-500, prodotta da Elbit Systems, vanta “la stessa efficacia delle potenti MK-84” senza “l’elevato danno collaterale”, affermando che l’MPR-500 ha un’ “area letale” inferiore.

L’MPR-500, come l’MK-84, è progettata per penetrare in edifici, stanze o tunnel prima di esplodere. Il suo produttore afferma che essa ha una probabilità del 90-95% di raggiungere il suo obiettivo ed esplodere correttamente, rispetto al 60 % dell’MK-84. In effetti, i produttori hanno affermato di aver iniziato a sviluppare l’MPR-500 proprio a causa dell’imprevedibilità – e dei costi – di Mark-84.

Elbit Systems potrebbe benissimo esagerare il divario tra il pericolo e l’efficacia di ogni bomba. I loro opuscoli utilizzano diversi confronti “fra mele e pere”, ha detto a MEE Mark Hiznay, direttore associato della divisione armi di Human Rights Watch.

E le affermazioni riguardo alla riduzione dei danni collaterali possono anche essere discutibili, dato che, secondo il rapporto della Commissione Indipendente d’Inchiesta delle Nazioni Unite sul conflitto di Gaza del 2014, le MPR-500 hanno ucciso 28 civili inclusi 15 bambini.

Ma Elbit ha convinto l’aeronautica americana che valeva la pena di investire in quelle armi.

Anche gli israeliani. Un portavoce delle forze armate israeliane ha confermato a MEE che le bombe MPR-500 sono ” operativamente in uso all’esercito”.

Tuttavia, il team dell’EOD di Gaza ha detto a MEE che, pur avendo visto tracce di MPR-500 sul terreno nel 2012 e nel 2014, non avevano trovato alcuna prova di un uso di quelle bombe a maggio.

L’esercito israeliano non ha rilasciato dichiarazioni quando gli è stato chiesto se avesse lanciato le MPR-500 su Gaza in maggio e gli esperti affermano che il numero esatto di MPR-500 nell’arsenale israeliano è probabilmente molto riservato.

Un portavoce di Elbit, che ha stabilimenti in vari Paesi incluso il Regno Unito, non ha risposto alle domande su quanti MPR-500 l’azienda abbia venduto a Israele. Elbit ha ripetuto che tutti i suoi sistemi d’arma sono utilizzati dall’esercito israeliano, senza fornire dettagli.

Perché, allora, gli israeliani userebbero le MK-84 invece delle MPR-500 se sono note per essere altamente distruttive, incontrollabili e più dannose per i civili?

Perché usare le MK-84?

  1. Sbarazzarsi di vecchie giacenze

È noto che in generale le forze aeree utilizzano vecchie scorte, afferma Brian Castner, consigliere di crisi di Amnesty International specializzato in armi e operazioni militari.

Le bombe sono costose da immagazzinare e mantenere e devono essere tenute sotto stretta sorveglianza. Hanno un tempo definito di conservazione e ad un certo punto può diventare pericoloso maneggiarle e imbarcarle, quindi ha senso eliminare prima le più vecchie.

Inoltre, se Elbit Systems – che ha assunto diversi ex ufficiali di alto rango dell’esercito israeliano e ha influenza su di esso – vuole che Israele faccia scorta di MPR-500, allora è nel suo interesse commerciale fare pressione sull’ esercito perché si sbarazzi delle sue MK-84 il più velocemente possibile.

Né l’ esercito né Elbit hanno risposto alle domande di MEE su questo punto.

2) Pressioni americane

In base a un accordo di assistenza 2019-2028 per la sicurezza, gli Stati Uniti hanno concordato, previa approvazione del Congresso, di concedere a Israele 3,8 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti militari dall’estero, da spendere quasi tutti in armi di fabbricazione statunitense.

Ciò che Israele compra è per lo più deciso dal Pentagono, e anche il Pentagono vuole sbarazzarsi delle vecchie bombe. Quindi gli Stati Uniti potrebbero aver cercato di liberarsi delle loro MK-84 vendendole in passato a Israele.

Un portavoce del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti non ha risposto a una richiesta di commento.

3) Preoccupazioni economiche

Ogni anno il ministero della Difesa israeliano richiede uno speciale budget extra per far fronte a minacce impreviste. E più bombe sgancia l’ esercito, più ha bisogno di rifornire il suo arsenale – e di più soldi per farlo.

Nel 2014, Netanyahu ha promesso di tagliare il budget della Difesa, ma si è tirato indietro quando l’ esercito ha chiesto 10 miliardi di shekel israeliani (più di 3 miliardi di dollari) dopo l’invasione di Gaza.

“Dobbiamo prenderci cura del tenore di vita, ma prima dobbiamo preoccuparci della vita stessa”, ha detto Netanyahu a proposito della decisione, facendo seguito ai timori manifestati dal ministero della Difesa secondo cui l’ esercito aveva bisogno di maggiori investimenti per essere pronto a futuri scontri.

4) Necessità operative

Il 14 maggio l’ esercito israeliano ha fornito ai media stranieri la falsa informazione riguardo a un ingresso di truppe di terra a Gaza, cosa che alcuni hanno ritenuto uno stratagemma per battere Hamas spingendo i suoi combattenti nei tunnel per poi colpirli con più di 400 bombe.

Poiché la cosiddetta “Metro” è una vasta rete di tunnel, non è sufficiente sfondarla in un determinato luogo. Si potrebbe pensare che le distruggi-bunker ad alta frammentazione potessero uccidere e mutilare più combattenti nei tunnel sotteranei.

A prescindere dalle giustificazioni militari o di altro tipo, l’uso di MK-84 in aree civili edificate quando l’ esercito israeliano ha nel suo arsenale bombe meno dannose che svolgono lo stesso lavoro solleva ulteriori domande sulla legislazione di guerra in merito alla proporzionalità – alla perdita potenziale di vite di civili – della recente campagna di bombardamenti israeliani.

Chi è responsabile?

La colpa di ciò è principalmente di Israele, ma anche i Paesi che gli vendono bombe che uccidono civili sono responsabili. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggior fornitore di armi a Israele, seguiti da Germania e Italia.

Delle bombe che l’EOD ha detto essere state sganciate su Gaza, gli Stati Uniti hanno venduto sia le GBU-39 (SDB) che le BLU-109, nonché i JDAM che controllano le MK-84, e la società israeliana Elbit Systems le MPR-500 .

Ha venduto agli israeliani anche le MK-84, ma potrebbero averlo fatto anche altri Paesi.

“Stranamente è difficile dire esattamente quali Paesi producano e vendano bombe della serie Mark-80 [di cui la MK-84 è la più grande]”, ha detto Castner di Amnesty. La General Dynamics, con sede negli Stati Uniti, produce bombe della serie Mark-80 per l’esercito americano e, secondo diverse comunicazioni del Dipartimento della Difesa al Congresso, ne ha vendute migliaia a Israele.

Nel 2007 gli Stati Uniti hanno approvato la vendita a Israele di 3.500 MK-84 prodotte da General Dynamics, per un valore di circa 65 milioni di dollari. La società è stata coinvolta in un affare anche più grosso nel 2012, del valore di 647 milioni di dollari, che includeva altre 3.450 MK-84.

Nel 2015, gli Stati Uniti hanno approvato la vendita di 10.000 kit JDAM per le MK-84. Ancora una volta, la General Dynamics è stata indicata come fornitrice.

Ma anche altri Paesi della NATO – tra cui Spagna, Italia, Polonia, Norvegia, Francia e Turchia – sono autorizzati a venderle, come anche aziende in Russia e Cina.

“Sempre più spesso anche i Paesi del Golfo sono autorizzati a produrre componenti”, ha aggiunto Castner, “ed è anche chiaro che alcuni Paesi si limitano a copiarle e provano a realizzarle da soli”.

Per gli abitanti di Gaza coinvolti nei bombardamenti, tuttavia, il risultato finale è stato lo stesso, chiunque abbia fabbricato e venduto le bombe.

Secondo l’AOAV, il 98% delle 1.474 vittime totali di maggio erano civili e tre su quattro di queste vittime sono state causate da attacchi aerei.

“La tecnologia di mira negli attacchi aerei è migliorata negli ultimi decenni, ma la precisione e l’accuratezza sono alquanto irrilevanti quando si sganciano bombe con un raggio di esplosione di 360 metri su una delle aree più densamente popolate del mondo”, ha affermato Murray Jones, un ricercatore dell’AOAV.

“Sganciare bombe Mk-84 su Gaza significa che il danno civile su larga scala è inevitabile”.

Maha Hussaini ha collaborato a questo articolo

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)