Perché Israele pensa di aver vinto in Siria

Asa Winstanley e Ali Abunimah 

9 dicembre 2024 The Electronic Intifada 

All’alba di martedì mattina i carri armati israeliani erano alla periferia di Damasco, e Israele lanciava attacchi aerei in tutto il Paese definiti come “i più pesanti nella storia siriana”.

L’escalation degli attacchi israeliani sul Paese arriva dopo che il presidente Bashar al-Assad è fuggito in Russia nelle prime ore di domenica mentre gli insorti sostenuti dagli Stati Uniti e dalla Turchia hanno preso la capitale Damasco.

Benjamin Netanyahu ha immediatamente rivendicato il merito della caduta di Assad, la cui famiglia aveva governato la Siria per cinquant’anni.

I commenti del primo ministro israeliano risalgono a​ domenica mattina, quando ha visitato il territorio occupato da Israele sulle alture del Golan in Siria.

“Questo è un giorno storico”, ha detto Netanyahu, “un risultato diretto dei colpi che abbiamo inflitto all’Iran e a Hezbollah, principali sostenitori del regime di Assad”.

Le forze di occupazione israeliane hanno approfittato della caduta del governo per bombardare la Siria, occupare ulteriori territori siriani e distruggere infrastrutture pubbliche vitali, impianti di difesa e basi aeree.

Nuovi attacchi aerei israeliani hanno colpito Damasco e la Siria meridionale, distruggendo “sistemi d’arma avanzati e strutture di produzione di armi” e lasciando la Siria più vulnerabile che mai.

Gli attacchi aerei sulla capitale sembrano aver preso di mira l’ufficio immigrazione e passaporti. È stato segnalato un enorme incendio che stava distruggendo l’edificio.

Lunedì la Reuters, citando funzionari della sicurezza siriana, ha riferito che i massicci raid aerei israeliani “hanno bombardato almeno tre importanti basi aeree dell’esercito siriano che ospitavano decine di elicotteri e jet”.

I territori siriani recentemente occupati da Israele includono Jabal al-Sheikh, noto anche come Monte Hermon, che si trova al confine siriano con il Libano. L’ufficio stampa del governo israeliano ha sottolineato che era “la prima volta dal 1973” che occupavano l’area. Il primo ministro israeliano ha anche annunciato che avrebbe posto fine unilateralmente all’accordo del 1974 sul disimpegno tra Siria e Israele, sostenendo che quell’accordo sostenuto dall’ONU era “finito”.

Guerra lampo dei ribelli

La caduta del governo siriano è avvenuta dopo una guerra lampo di 11 giorni, partita dall’enclave settentrionale di Idlib dove gli insorti armati avevano mantenuto una roccaforte al confine con la Turchia dopo la tregua del 2016 mediata da Russia e Turchia.

A fine novembre gli insorti sono partiti armati da Idlib verso sud, occupando una dopo l’altra le città siriane di Aleppo, Hama, Homs e infine Damasco.

Sebbene fosse sostenuto da alleati regionali e internazionali, l’esercito siriano ha ceduto la maggior parte delle sue posizioni senza combattere, indicazione dell’esistenza di un accordo a garanzia dell’uscita di Assad.

Il presidente uscente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato domenica che il fallimento di Russia, Iran ed Hezbollah nel difendere il governo siriano è stato “il risultato diretto dei colpi sferrati da Ucraina [e] Israele” con il “continuo sostegno degli Stati Uniti”. Alcune analisi suggeriscono che l’Iran e la Russia, principali sostenitori del governo siriano, abbiano concluso che il governo di Assad fosse ormai un guscio vuoto e non potesse essere salvato.

Dopo anni di guerra che hanno causato orribili morti, sfollamenti e distruzione, la partenza di Assad senza combattere ha risparmiato un ulteriore massiccio spargimento di sangue, almeno per ora. La sua partenza è stata seguita da scene di giubilo quando i siriani si sono riuniti con i propri cari provenienti da parti del paese precedentemente tagliate fuori o appena rilasciati dalle prigioni.

Ma in una società profondamente divisa, molti continueranno a temere ciò che i nuovi governanti, con il loro noto passato di atrocità, potrebbero fare.

In episodi che ricordano l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003, ci sono stati saccheggi e uccisioni per vendetta di soldati siriani in fuga.

La Libia, il cui leader è stato rovesciato e ucciso nell’insurrezione del 2011 sostenuta dagli Stati Uniti, è un avvertimento: la speranza e il giubilo iniziali sono stati rapidamente infranti. Tredici anni dopo il paese versa in condizioni disperate e molte persone temono una guerra civile.

Gli Stati Uniti preferirebbero di gran lunga una Siria nel caos ampiamente sotto il loro controllo a un paese unito che si oppone a Israele.

Mantenere la Siria in macerie

Dal 2014 gli Stati Uniti hanno mantenuto un’esplicita occupazione militare su ampie zone della Siria, principalmente nella regione nord-orientale ricca di petrolio, dove sono aiutati da milizie locali.

Quando Donald Trump è stato eletto presidente la prima volta ha ritirato alcune delle truppe statunitensi, ma sarebbero rimasti circa 900 soldati.

Dana Stroul, allora ricercatrice presso il Washington Institute for Near East Policy affiliato all’AIPAC [gruppo di pressione statunitense noto per l’incondizionato sostegno a Israele, ndt.], ha co-presieduto il bipartisan “Syria Study Group” che ha definito gli obiettivi della politica statunitense. Nel 2019 ha illustrato le sue raccomandazioni su come gli Stati Uniti dovrebbero mirare a indebolire lo Stato siriano e impoverire il suo popolo.

Il primo obiettivo, ha affermato Stroul, è quello di mantenere l’occupazione militare statunitense sul terzo del territorio siriano più “ricco di risorse”, comprendente i giacimenti petroliferi e la “produzione agricola”.

Oltre all’ “isolamento diplomatico e politico del regime di Assad”, Stroul ha sottolineato l’importanza delle sanzioni economiche statunitensi e dell’impedire al paese dilaniato dalla guerra di ricostruirsi.

La maggior parte della Siria, ha detto Stroul, “è un cumulo di macerie”.

La commissione da lei co-presieduta ha raccomandato, nelle sue parole, che gli Stati Uniti usino la loro enorme influenza internazionale per “mantenere la politica di impedire gli aiuti alla ricostruzione e che le competenze tecniche tornino in Siria”.

Dal 2021 al 2023 Stroul ha avuto un ruolo diretto nell’implementazione di queste politiche come vice assistente segretario alla difesa per il Medio Oriente, la massima carica civile del Pentagono nella regione. Stroul è ora tornata come direttrice della ricerca al Washington Institute, il think tank più influente della lobby israeliana.

Gli Stati Uniti sono impegnati da anni ad aggiudicarsi il controllo della ricchezza materiale della Siria.

Nuovo brand per al-Qaida

L’offensiva lampo da Idlib è stata guidata dal gruppo Hayat Tahrir al-Sham, emerso da al-Qaida.

Leader del gruppo è Abu Muhammad al-Julani, ex leader di Jabhat al-Nusra, affiliato di al-Qaida in Siria e un tempo agente dello Stato islamico dell’Iraq (che in seguito è diventato ISIS).

Secondo i gruppi per i diritti umani, sotto al-Julani Jabhat al-Nusra ha compiuto numerose atrocità contro i civili siriani.

Human Rights Watch ha indagato sulle atrocità dei ribelli nella regione costiera attorno alla città di Latakia e in un rapporto del 2013 ha affermato che al-Nusra e i gruppi ad esso alleati hanno compiuto crimini di guerra “premeditati e organizzati”, tra cui “l’uccisione sistematica di intere famiglie”.

E con il rebranding in Hayat Tahrir al-Sham tali abusi non si sono fermati. Human Rights Watch afferma di aver documentato gravi abusi da parte di Hayat Tahrir al-Sham nell’enclave di Idlib da esso controllata negli ultimi anni.

“La repressione di Hayat Tahrir al-Sham nei confronti di coloro che si percepiscono come oppositori al loro governo rispecchia proprio alcune delle tattiche oppressive utilizzate dal governo siriano”, diceva nel 2019 Lama Fakih, vicedirettore per il Medio Oriente del gruppo per i diritti umani. “Non esiste una ragione legittima per rastrellare gli oppositori, detenerli e torturarli arbitrariamente”. A marzo, Voice of America ha riferito che le proteste sono scoppiate per diversi giorni in circa 20 località nell’enclave di Idlib. “I manifestanti intonano slogan contro il leader di HTS Abu Muhammad al-Julani, chiedendo il rilascio dei prigionieri detenuti dal gruppo estremista e la fine del suo stretto controllo sull’enclave”, ha affermato la rete radiotelevisiva finanziata dal governo degli Stati Uniti. Un’altra rivolta è scoppiata a maggio contro il governo “sempre più dittatoriale” di Hayat Tahrir al-Sham, che prevedeva anche la tortura a morte dei prigionieri. In una dichiarazione rilasciata domenica dopo la caduta del governo di Damasco, Human Rights Watch ha accusato Assad di “innumerevoli atrocità, crimini contro l’umanità e altri abusi durante i suoi 24 anni di presidenza”. Ha anche affermato che Hayat Tahrir al-Sham e altri “gruppi armati non statali” che “hanno lanciato l’offensiva” da Idlib il 27 novembre sono responsabili “di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra”.

Al-Julani non è mai stato chiamato a risponderne.

Al contrario, funzionari statunitensi e britannici stanno discutendo la possibilità di cancellare lui e il suo gruppo dalle loro liste dei terroristi.

Sembra persino probabile che al-Julani sia stato addestrato per guidare la Siria, poiché i media occidentali stanno lavorando sodo a ripulire la sua immagine con interviste e reportage favorevoli.

Questi sforzi di rebranding si basano sull’affermazione secondo cui al-Julani e Hayat Tahrir al-Sham si sarebbero lasciati il ​​passato alle spalle.

Ma non è sempre stato così. Lo stesso governo degli Stati Uniti ha affermato nel 2017 che “HTS è un accorpamento e qualsiasi gruppo che vi si unisca diventa parte della rete siriana di al-Qaida”.

È in base a queste ragioni che gli Stati Uniti hanno messo una taglia di 10 milioni di dollari su al-Julani, il cui vero nome è Ahmed al-Shara, una ricompensa che rimane ufficialmente disponibile per chiunque possa aiutare l’FBI a localizzarlo.

Biden ammette di aver finanziato gruppi legati ad al-Qaeda

Negli ultimi 13 anni i vari gruppi armati che hanno collaborato per rovesciare il governo siriano sono stati sostenuti dagli Stati Uniti, dagli Stati del Golfo, dalla Turchia e dallo stesso Israele.

In un raro momento di onestà, per il quale in seguito ha dovuto scusarsi, l’allora vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ammesso nel 2014 che un’ondata di finanziamenti aveva aiutato gruppi che gli Stati Uniti considerano estremisti.

Biden ha affermato che Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e altri “erano così determinati ad abbattere Assad e a promuovere essenzialmente una guerra per procura fra sunniti e sciiti… [che] hanno riversato centinaia di milioni di dollari, decine, migliaia di tonnellate di armi a chiunque volesse combattere contro Assad”.

“Se non fosse che le persone che venivano rifornite erano al-Nusra e al-Qaida e gli elementi estremisti dei jihadisti provenienti da altre parti del mondo”, ha aggiunto Biden.

Ciò che Biden non ha menzionato è l’Operazione Timber Sycamore, l’enorme quantità di finanziamenti e addestramento con cui anche la CIA, sotto il presidente Barack Obama, ha partecipato dagli Stati Uniti alla multimiliardaria guerra per procura in Siria.

Nel 2017 il New York Times l’ha definita “uno dei programmi di azione segreta più costoso nella storia della CIA”.

La logica è stata ben riassunta da Jake Sullivan, attualmente consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, in un’e-mail del 2012 all’allora Segretario di Stato Hillary Clinton.

“AQ [Al-Qaida] è dalla nostra parte in Siria”, ha scritto Sullivan.

Battuta d’arresto per l’asse di resistenza

L’ultima volta che al-Qaeda e altri gruppi di insorti sono arrivati alle alture del Golan, Israele ha stabilito relazioni cordiali con loro, curando i loro combattenti in un ospedale da campo appositamente costruito e persino armandoli.

Domenica Netanyahu ha segnalato la ripresa di quella politica. Ha detto che Israele avrebbe perseguito “lo stesso approccio che abbiamo mantenuto quando abbiamo allestito qui un ospedale da campo che ha curato migliaia di siriani feriti durante la guerra civile. Centinaia di bambini siriani sono nati qui in Israele”.

Poiché la Siria è stata per decenni la spina dorsale dell’asse di resistenza all’egemonia statunitense e al colonialismo di insediamento israeliano, molti nella regione vedono la caduta di Assad come una grande vittoria strategica di Israele e Stati Uniti.

La Siria è stata un anello vitale nella catena di fornitura militare, un ponte di terra tra l’Iran e il suo alleato regionale Hezbollah. Questa fazione libanese di resistenza ha cacciato le forze di occupazione israeliane dal Libano meridionale nel 2000 e ha respinto il tentativo di invasione terrestre israeliana partito all’inizio di ottobre di quest’anno. L’offensiva terrestre israeliana si è conclusa alla fine di novembre con una tregua impari che secondo l’ONU Israele ha già violato più di 100 volte. Israele aveva disperatamente bisogno di un cessate il fuoco con Hezbollah poiché non era riuscito a procedere più di qualche chilometro dal confine e il suo esercito non era in grado di mantenere il territorio.

Le sue truppe sono state semplicemente sconfitte dalle forze superiori dei combattenti libanesi.

Solo poche ore dopo che Damasco è caduta nelle mani degli insorti, Israele ha lanciato una nuova incursione in Siria, come hanno riferito i media israeliani domenica. Carri armati e soldati israeliani hanno occupato nuova terra siriana sulle alture del Golan, definendola “zona cuscinetto”.

Dall’invasione del 1967 Israele ha occupato gran parte della regione sud-occidentale del Golan in Siria, espellendo la maggior parte della popolazione siriana. Israele ha annesso unilateralmente il territorio siriano occupato nel 1981 e ha colonizzato la terra con circa 20.000 coloni.

Insorti filo-israeliani?

Gli oppositori di Assad stanno celebrando quella che sperano sarà una nuova alba per la Siria. Ma molte persone nella regione vedono l’offensiva degli insorti come deliberatamente programmata per aiutare Israele.

La rivendicazione di Netanyahu domenica mattina della responsabilità per la caduta di Damasco nelle mani degli insorti non fa che rafforzare questa visione.

L’ex leader di al-Qaida al-Julani, da parte sua, sembra quasi un lobbista filo-israeliano. In un video recente ha fatto riferimento a ciò che ha definito “le guerre dell’Iran contro la regione”, riecheggiando il linguaggio spesso usato da Netanyahu dall’ottobre 2023.

Al-Qaida e altri gruppi simili tendono a vedere la regione attraverso una settaria lente estremista musulmana sunnita, considerando l’Iran a maggioranza musulmana sciita e il gruppo musulmano sciita Hezbollah come nemici mortali. Sia tacitamente che apertamente ciò consente a tali gruppi di fare causa comune con Israele e gli Stati Uniti, come ha riconosciuto il funzionario statunitense Jake Sullivan nella sua famigerata e-mail del 2012.

“Eravamo molto contenti quando avete attaccato Hezbollah”, ha detto di recente un “attivista dell’opposizione” a un giornalista israeliano che ha riferito i suoi commenti in TV. “Siamo felici di aiutarvi”, ha aggiunto l’attivista. “Amiamo lo Stato di Israele e non siamo mai stati suoi nemici, perché non nuoce a nessuno se nessuno nuoce a lui”. In un’altra intervista con The Times of Israel, un “comandante dei ribelli” ha detto che il suo Esercito Siriano Libero sostenuto dagli Stati Uniti era pronto a normalizzare le relazioni con Israele, nonostante il genocidio israeliano in corso contro i palestinesi e la decennale occupazione illegale israeliana del territorio siriano. “Sottoscriveremo una pace completa con Israele”, ha detto il comandante. “Dallo scoppio della guerra civile siriana non abbiamo mai fatto commenti critici contro Israele, a differenza di Hezbollah, che ha dichiarato di voler liberare Gerusalemme e le alture del Golan.”

Il comandante degli insorti, parlando al sito di notizie israeliano, ha anche lasciato intendere che potrebbe essere già in contatto con funzionari israeliani.

Anche se questi personaggi anonimi non parlano ufficialmente, tale riabilitazione del regime genocida israeliano non dà speranza ai palestinesi, specialmente quelli di Gaza.

Parlando a un canale televisivo israeliano, l’ufficiale dell’intelligence militare israeliana Mordechai Kedar ha detto di essere “in costante contatto con i leader delle fazioni dell’opposizione siriana… Sono pronti per un accordo di pace con Israele, se solo riescono a controllare Siria e Libano”.

Tali dichiarazioni mettono in allarme le persone in Libano, un avvertimento che il loro paese potrebbe essere il prossimo obiettivo e parte di un tentativo di trascinare Hezbollah in una guerra civile.

“I leader delle fazioni di opposizione siriane hanno comunicato a Tel Aviv che stanno pianificando di aprire un’ambasciata israeliana a Damasco e Beirut”, ha affermato Kedar.

Riferendo i commenti di un altro “comandante dei ribelli” all’emittente governativa israeliana Channel 12, la scorsa settimana The Times of Israel ha sottolineato che “l’offensiva è stata lanciata proprio mentre entrava in vigore un cessate il fuoco” tra Israele e Hezbollah.

Secondo questo comandante, la tempistica non è stata una coincidenza.

“Abbiamo esaminato l’accordo [di cessate il fuoco] con Hezbollah e abbiamo capito che era il momento giusto… Non lasceremo che Hezbollah combatta nelle nostre aree e non lasceremo che gli iraniani vi mettano radici”, ha detto.

Secondo la testata il comandante ha affermato che il suo obiettivo era sostituire il governo siriano con uno che avesse buoni rapporti con Israele

Parte di ciò potrebbe essere propaganda, pio desiderio o pura e semplice montatura. Ma dato che gli Stati Uniti sostengono questi gruppi da più di un decennio, i loro sostenitori li considerano chiaramente molto preferibili ai gruppi il cui obiettivo dichiarato è la resistenza a Israele.

Trame settarie

I nuovi insorti ora emergenti hanno rancori di vecchia data contro la resistenza.

Hezbollah è intervenuto in Siria nel 2013 dopo che la guerra per procura degli Stati Uniti contro il Paese, iniziata due anni prima, era quasi riuscita a rovesciare il governo di Damasco.

Il gruppo e il suo alleato dell’asse della resistenza, l’Iran, insieme alla Russia che ha basi militari nel paese, hanno impedito che il governo venisse rovesciato.

Con le milizie che hanno preso il controllo della Siria ora in grado di dominare il paese, il futuro dell’asse della resistenza è incerto.

Alcuni pianificatori israeliani stanno progettando di dividere la Siria in cantoni etnici e settari tra loro in guerra, una classica strategia coloniale di dividi et impera.

In un’intervista pubblicata lunedì da The Times of Israel, il colonnello dell’intelligence militare israeliana Wahabi Anan Wahabi ha esposto il suo piano per quella che la testata ha descritto come “una libera confederazione di quattro sottostati etnici”.

Wahabi ha affermato che “il paese è già diviso in quattro cantoni. Il passo successivo è rendere ufficiale questa divisione”. “Lo Stato nazionale moderno ha fallito in Medio Oriente”, ha affermato.

Piano di emergenza americano-israeliano”

Gli Stati Uniti hanno coordinato l’offensiva di Idlib in stretto accordo con Israele.

Una fonte informata ha detto a Said Arikat, stimato corrispondente a Washington del quotidiano palestinese Al-Quds, che l’offensiva di Hayat Tahrir al-Sham è stata pianificata in coordinamento fra Stati Uniti, Israele e Turchia.

È “giunta come risultato di un ‘piano di emergenza’ americano-israeliano coordinato dall’amministrazione del presidente Joe Biden con la Turchia” ed “è stata implementata secondo una visione americana per il giorno dopo l’accordo di cessate il fuoco tra Libano e Israele”.

Arikat ha scritto che la sua fonte precedentemente aveva addestrato gli insorti, tra cui l’affiliata di al-Qaida Jabhat al-Nusra e il succedaneo Hayat Tahrir al-Sham in basi in Giordania e Turchia, fino al 2021.

L’invasione israeliana di domenica sembra essere stata in preparazione da un po’ di tempo. Solo una settimana prima che venisse lanciata l’offensiva di Hayat Tahrir al-Sham, i media israeliani hanno riferito che il capo dello Shin Bet, la polizia segreta israeliana, era stato in Turchia per un incontro con il capo di un’agenzia di intelligence turca. Sempre una settimana prima dell’offensiva, Israele ha iniziato nuove costruzioni illegali nella zona demilitarizzata tra le aree delle alture del Golan controllate dalla Siria e quelle occupate da Israele, in violazione dell’accordo di disimpegno del 1974.

Secondo l’UNDOF, la forza di pace delle Nazioni Unite che monitora il cessate il fuoco, si è trattato di “gravi violazioni”.

I siriani, indipendentemente dalle loro posizioni politiche, vorrebbero vedere il loro paese rimettersi in piedi, unito e indipendente il prima possibile. Nessun sostenitore della liberazione palestinese ha nulla da temere da una Siria veramente sovrana.

Questo è esattamente il motivo per cui ci sono molte potenti forze esterne, principalmente Israele e Stati Uniti, che vogliono che la Siria rimanga debole e subordinata alla loro agenda. Se divisione, dipendenza e caos sono gli unici modi per raggiungere questo obiettivo, allora è ciò che favoriranno e fomenteranno.

Israele, da parte sua, non sta perdendo tempo a capitalizzare i tumultuosi eventi storici per impadronirsi di più terra e consolidare la sua presa genocida sulla regione.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Docente ebrea licenziata per post antisionisti

Nora Barrows-Friedman 

17 Novembre 2024 Electronic Intifada

Negli Stati Uniti gli studenti e i docenti continuano a resistere alle misure repressive delle amministrazioni universitarie volte a soffocare o addirittura criminalizzare ogni discorso a sostegno dei diritti dei palestinesi – mentre il genocidio a Gaza continua.

Accanto alle università statunitensi d’élite che chiamano la polizia antisommossa contro i propri studenti che fanno sit-in di protesta, o che tentano di impedire del tutto agli studenti di condurre proteste, alcune università hanno cercato di classificare l’ideologia politica del sionismo come un genere di identità protetta per definire il discorso antisionista come incitamento all’odio razzista.

“Da quando sono insegnante ho tenuto corsi sulla Palestina: è sempre stata centrale o costitutiva nel lavoro che svolgo”, ha detto Maura Finkelstein a The Electronic Intifada Podcast.

Finkelstein, studiosa di antropologia e scrittrice, ha insegnato al Muhlenberg College di Allentown, Pennsylvania, per nove anni.

Teneva un corso di Antropologia della Palestina, un corso che, dice, era stato approvato dal college. Ma nonostante fosse di ruolo è stata licenziata a maggio 2024 per i suoi post sui social media a sostegno dei diritti dei palestinesi e contro l’ideologia politica del sionismo, un provvedimento che è stato interpretato come avvertimento per gli altri professori anti-genocidio.

Il licenziamento è seguito a mesi di mirate persecuzioni da parte di gruppi di lobbisti e di singoli individui israeliani che hanno fatto pressione sull’università affinché licenziasse Finkelstein accusandola di “odio verso gli ebrei” per i suoi principi antisionisti. Finkelstein è ebrea.

The Intercept [organizzazione giornalistica americana di sinistra senza scopo di lucro, ndt.] ha riferito che Finkelstein “è stata oggetto di una campagna di migliaia di email anonime generate da bot, inviate ogni minuto per oltre 24 ore agli amministratori della scuola nonché a organi di informazione e politici locali per chiederne la rimozione”. L’amministrazione del college ha detto a Finkelstein che “numerose famiglie di studenti avevano chiamato per esprimere preoccupazione per le sue opinioni”, nota The Intercept. “Una petizione Change.org avviata a fine ottobre da anonimi ‘ex studenti e sostenitori del Muhlenberg College’ che chiedeva il licenziamento di Finkelstein per presunta retorica ‘pro-Hamas’ ha ottenuto oltre 8.000 firme”.

Finkelstein ha detto a The Electronic Intifada che uno dei suoi post sui social media, la ripubblicazione sul suo account personale della dichiarazione del poeta palestinese americano Remi Kanazi di rifiuto di normalizzare il sionismo, ha provocato la condanna di uno studente di Muhlenberg che non aveva mai frequentato le sue lezioni. “Poiché lo studente si identificava come sionista e poiché credeva che sionismo ed ebraismo fossero la stessa cosa, [lo studente ha affermato che] stavo violando la politica di non discriminazione sulle pari opportunità, il che sostanzialmente avrebbe negato allo studente l’accesso all’istruzione”, ha detto Finkelstein.

E ha spiegato che, nonostante lo studente non la conoscesse, “ha dato per scontato dai post sui social media che non sarebbe stato al sicuro nella mia classe. La cosa è passata attraverso un’indagine lunga tre mesi e mezzo, è passata attraverso vari comitati di docenti, personale e amministrativi, e mi è stato detto che ero stata licenziata per giusta causa, il che significa che non ho ricevuto il TFR”.

“Coincidenza perfetta”

Finkelstein afferma che secondo l’ Associazione Americana dei Professori Universitari (AAUP) è la prima professoressa di ruolo a essere licenziata dall’ottobre 2023 per il suo sostegno ai diritti dei palestinesi. “Certo, ci sono stati casi in passato”, nota, citando il licenziamento del professor Steven Salaita da parte dell’Università dell’Illinois nel 2014 [per tweet giudicati antisemiti di protesta contro il bombardamento di Gaza, ndt.] così come “innumerevoli professori associati, professori assistenti in visita, docenti, altri docenti a contratto che hanno perso i loro contratti, che hanno perso il lavoro senza lo stesso tipo di causa che avrebbe causato indignazione”.

La paura, dice, per gli accademici che adesso vengono sanzionati,è che se viene divulgata la vicenda non lavoreranno mai più nell’istruzione superiore. E penso che questa sia una minaccia reale”. Nel suo caso, spiega Finkelstein, si cristallizzano almeno due delle grandi criticità dell’istruzione superiore in questo momento. Una è la “costante erosione dei finanziamenti federali, del sostegno federale [che] ha fatto sì che queste istituzioni siano completamente, o quasi completamente, dipendenti dalle tasse universitarie e dal sostegno dei donatori”, il che crea un modello finanziario che “in realtà non riguarda l’istruzione ma la raccolta di fondi”, dice.

La seconda criticità è che gli amministratori sono nella condizione per cui “non sanno cosa sia l’ebraismo. Non sanno cosa sia il sionismo. Probabilmente non sanno molto delle decisioni che prendono. Ciò che sanno è [che] se si alienano la base finanziaria tracolleranno”. Finkelstein dice di capire perché alcuni professori abbiano paura di parlare in difesa della Palestina e potenzialmente perdere il lavoro. Ma, aggiunge, i suoi colleghi non dovrebbero autocensurarsi. “Dobbiamo tutti parlare della Palestina. Dobbiamo tutti fare lezioni sulla Palestina perché, teoricamente, non possono licenziarci tutti.”

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Una e-mail interna rivela che il New York Times ha bloccato un’inchiesta sugli ultras israeliani

Asa Winstanley

18 novembre 2024 – The Electronic Intifada

Il New York Times ha bloccato un’inchiesta di uno dei suoi stessi reporter sulle violenze dei facinorosi israeliani ad Amsterdam all’inizio del mese.

In una e-mail interna del Times, inavvertitamente condivisa con The Electronic Intifada, il reporter olandese Christiaan Triebert ha spiegato a un manager di aver proposto “un’indagine visiva che stavo conducendo sugli eventi del [6-8 novembre] ad Amsterdam”.

“Purtroppo il servizio è stato bloccato”, ha scritto. “Mi dispiace che la prevista indagine visiva momento per momento non sia stata portata avanti”.

“È stato molto frustrante, a dir poco”, ha scritto Triebert.

L’e-mail era indirizzata al senior manager del Times Charlie Stadtlander, ex addetto stampa dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti e dell’esercito americano.

Triebert sembrava interessato a realizzare un reportage che facesse chiarezza, rimediando alla falsa narrazione insistentemente avanzata dal suo stesso giornale secondo la quale i tifosi israeliani sarebbero stati vittime di violenze di gruppo dettate dall’odio per gli ebrei.
La corrispondenza intercorsa venerdì tra Triebert e Stadtlander è scaturita dalle richieste di commento di
The Electronic Intifada al Times in merito al resoconto altamente fuorviante che il giornale aveva fatto della violenza dei facinorosi israeliani ad Amsterdam.

Come il reporter ha spiegato mercoledì sul livestream di The Electronic Intifada, il giornale ha di fatto capovolto la realtà.

Le prove che anche un solo attacco antisemita abbia avuto luogo ad Amsterdam sono ancora esattamente zero, per non parlare del “pogrom” che i funzionari del governo israeliano hanno immediatamente evocato.

Il Times è finito sotto tiro per aver utilizzato un video di violenze di ultras israeliani ad Amsterdam la scorsa settimana per affermare l’esatto contrario di ciò che il video mostrava in realtà.

Il Times ha affermato che il filmato girato da un fotoreporter olandese mostrava “attacchi antisemiti” contro gli israeliani, anche se in realtà mostrava la violenza dei facinorosi israeliani contro un cittadino olandese.

Per diversi giorni il filmato è stato messo in cima al servizio dell’8 novembre sugli eventi di Amsterdam della sera precedente.

Ma martedì il giornale è stato costretto a rettificare dopo che la creatrice del video – la fotoreporter olandese Annet de Graaf – ha condannato pubblicamente i media internazionali per aver etichettato erroneamente il suo video come prova di “attacchi antisemiti” contro i tifosi di calcio israeliani.

In realtà, il video mostra un’orda di decine di ultras israeliani che attaccano una persona dopo che la loro squadra, il Maccabi Tel Aviv, ha perso una partita in trasferta per 5-0 contro la squadra olandese dell’Ajax il 7 novembre.

Il manager del NY Times Stadtlander ha dichiarato venerdì a The Electronic Intifada che, dopo la correzione, il giornale aveva “rimosso il video su richiesta dell’autrice”.

Ma de Graaf ribadisce che questo non è vero. “Non ho assolutamente detto questo”, ha dichiarato venerdì per telefono a The Electronic Intifada. “Non è vero quello che il capo redattore [Stadtlander] vi sta dicendo nell’e-mail. Non è vero”.

Alla richiesta di un commento Stadtlander ha rifiutato di rispondere, scrivendo solo che “la dichiarazione che vi ho rilasciato ieri sera costituisce il nostro commento sulla questione”.

Minimizzare la violenza genocida israeliana

Nessuno dei quattro autori dell’articolo – John Yoon, Christopher F. Schuetze, Jin Yu Young e Claire Moses – ha risposto alle richieste di commento di Electronic Intifada.

Stadtlander nega di aver avuto alcun ruolo nel commissionare o rivedere l’articolo.

Dopo che The Electronic Intifada ha ricevuto l’e-mail di Triebert, “inavvertitamente copiata”, Stadtlander ha inviato un’altra e-mail in quello che sembra essere un tentativo di limitare i danni.

Vi afferma che “il prezioso lavoro che Christiaan [Triebert] e altri del suo team stavano facendo non è diventato un pezzo a sé stante” perché “molto del materiale è stato incorporato” in un altro articolo che il Times aveva pubblicato.

Ma il pezzo che Stadtlander ha linkato è l’ennesimo insabbiamento della violenza israeliana ad Amsterdam – uno dei tanti pubblicati dal Times.

Offusca o inverte completamente causa ed effetto e minimizza gli attacchi israeliani contro i cittadini olandesi, basandosi quasi interamente sulle dichiarazioni degli ultras israeliani.

Inoltre sminuisce un video dei tifosi del Maccabi che tornano da Amsterdam all’aeroporto di Tel Aviv cantando uno slogan apertamente genocida, in cui esultano per il fatto che a Gaza “non ci sono più bambini”, minimizzandolo come semplici “canti provocatori contro arabi e gazawi”.

Agenda anti-palestinese

Che la redazione del Times avesse un’agenda pro-Israele fin dall’inizio della sua copertura dell’incidente è evidente dalla lettura della prima versione del pezzo, ancora disponibile negli archivi online.

Quella versione non includeva il video di Annet de Graaf e non conteneva alcuna prova – o anche solo un’accusa – di antisemitismo, a parte le affermazioni infondate di funzionari del governo israeliano.

Una delle fonti principali citate in quella versione era Itamar Ben-Gvir, ministro israeliano della Sicurezza Nazionale di estrema destra, che vuole espellere tutti i palestinesi. “I tifosi che sono andati a vedere una partita di calcio sono vittime di antisemitismo e sono stati attaccati con una crudeltà inimmaginabile solo perché ebrei”, ha dichiarato Ben-Gvir.

Tuttavia, tutti i riferimenti a Ben-Gvir sono stati rimossi dall’articolo in meno di due ore.

Ad oggi, il New York Times ha pubblicato più di una dozzina di articoli sostanzialmente incentrati sulla violenza ad Amsterdam.

Si tratta di un numero sorprendentemente alto se confrontato, ad esempio, con il modo in cui il giornale ha ignorato o costantemente minimizzato i gravi crimini perpetrati dagli israeliani in Palestina, tra cui le sistematiche e ben documentate aggressioni sessuali e gli stupri di prigionieri palestinesi da parte delle forze israeliane.

La copertura del Times non comprende solo numerosi articoli di cronaca che senza fondamento presentano le violenze di Amsterdam come “antisemite”, ma anche articoli di opinione con titoli incendiari come “Amsterdam odia gli ebrei – come Gaza”, “Una ‘caccia agli ebrei’ mondiale” e “L’era del pogrom ritorna”.

La volontà del Times di dipingere falsamente Israele e gli israeliani come vittime in questo caso ricorda il modo in cui il Times ha insistentemente avanzato la narrazione, ormai smentita, di “stupri di massa” da parte di combattenti palestinesi il 7 ottobre 2023, compreso il falso reportage del suo corrispondente di punta Jeffrey Gettleman.

Questa propaganda di atrocità mascherata da giornalismo è stata usata per giustificare il genocidio di Israele a Gaza.

Un nuovo fronte nella guerra genocida di Israele?

Nella mail interna del Times a Stadtlander, il giornalista Christiaan Triebert spiega che, dopo una conversazione con de Graaf, ha “contattato gli autori dell’articolo per affrontare le inesattezze fattuali che conteneva”.

Triebert ha scritto di non essere sicuro su “quale sia la motivazione che ha portato a cancellare il video piuttosto che includere i dettagli nell’articolo. Penso che sarebbe stato utile avere il video con il contesto che mostrava i tifosi israeliani che attaccavano un uomo”.

La stessa De Graaf ha più volte chiarito la questione, come ammette anche la rettifica del Times.

“Quello che ho spiegato a diversi canali mediatici è che i tifosi del Maccabi hanno deliberatamente scatenato la rivolta davanti alla stazione centrale al ritorno dalla partita”, ha scritto la de Graaf su X, noto anche come Twitter.

Un filmato degli stessi fatti, condiviso su un canale Telegram israeliano, mostra l’attacco degli ultras del Maccabi da un’angolazione diversa, apparentemente girato da uno di loro. Il canale ha falsamente affermato in ebraico che il video mostrava i tifosi del Maccabi Tel Aviv “violentemente attaccati nell’ultima ora da decine di rivoltosi palestinesi”.

C’è anche un video completo della furia degli ultras israeliani, realizzato dal popolare YouTuber olandese Bender, che riprende lo stesso episodio.

Il teppismo calcistico israeliano in Europa sembra essere diventato l’ultimo fronte globale di Israele nella sua guerra genocida a Gaza.

Giovedì sera, gli ultras israeliani hanno attaccato i tifosi della Francia durante una partita della Lega Europea delle Nazioni a Parigi tra le due squadre.

Il giornalista britannico Peter Allen ha riferito di essere stato testimone di “orrende violenze” da parte degli israeliani. Ha detto di aver “parlato con tre soldati fuori servizio provenienti da Tel Aviv, mentre uno indossava apertamente” una maglietta dell’esercito israeliano.

Residente a Parigi da molti anni, Allen collabora con molti media internazionali, e occasionalmente con The Electronic Intifada.

Nonostante la presenza del presidente francese Emmanuel Macron, la partita è stata pesantemente boicottata: la Reuters ha riferito che lo Stade de France era pieno per appena un quinto e che a Parigi si sono svolte proteste contro l’evento.

Si è trattato della più bassa affluenza di pubblico per una partita casalinga nella storia della nazionale francese.

Asa Winstanley è un giornalista investigativo che vive a Londra. È redattore associato di The Electronic Intifada e co-conduttore del nostro podcast.
È autore del bestseller Weaponising Anti-Semitism: How the Israel Lobby Brought Down Jeremy Corbyn [Strumentalizzare l’antisemitismo. Come la lobby israeliana ha fatto cadere Jeremy Corbin, ndt.] (OR Books, 2023).

(Traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola)




Un chirurgo palestinese sopravvive alle prigioni di Sde Teiman e Ofer

Fedaa al-Qedra

10 novembre 2024 The Electronic Intifada

Il dott. Khaled Al Serr, chirurgo del Nasser Medical Complex di Khan Younis, ha recentemente trascorso sei mesi come prigioniero nel sistema giudiziario militare israeliano. Prima del suo arresto si stava prodigando quanto possibile nell’impegno assistenziale durante una delle peggiori crisi umanitarie che Gaza abbia mai visto.

“Dal momento in cui è iniziata la guerra ho fatto tutto il possibile per aiutare la mia gente”, ha ricordato Al Serr durante un’intervista all’inizio di ottobre. “Non potevo pensare alla mia sicurezza quando così tanti miei connazionali avevano bisogno di aiuto”.

Ma alla fine di marzo le forze israeliane hanno preso d’assalto il Nasser Medical Complex per la seconda volta durante il genocidio in corso. I soldati hanno costretto il personale medico, tra cui Al Serr, a evacuare.

Ronzando sopra le loro teste i droni impartivano l’ordine di lasciare l’edificio. Nonostante indossasse il camice bianco da medico e uno stetoscopio al collo, che lo identificavano chiaramente come un medico, Al Serr è stato arrestato.

“Ci hanno fatto spogliare, ci hanno legato le mani e ci hanno bendato gli occhi”, racconta a The Electronic Intifada. “È stato umiliante, ma peggio ancora, ci hanno trattato come criminali. Eravamo solo medici che cercavano di salvare vite”.

Sopportare condizioni disumane

I soldati hanno poi portato Al Serr e gli altri in una casa vicina che era stata trasformata in un centro di comando militare. Lì, afferma, lui e i suoi colleghi hanno sopportato cinque giorni di detenzione in condizioni disumane.

“Per i primi quattro giorni non ci hanno dato cibo”, dice Al Serr, “e il quarto giorno (la sera), ci hanno portato un pezzettino di pane e del formaggio, appena sufficienti per sopravvivere”.

Durante tutto il calvario i medici sono rimasti con le mani legate e gli occhi bendati, mentre venivano sottoposti a interrogatori aggressivi e trattamenti violenti, ricorda.

Dopo cinque giorni di tormento, sono stati gettati dentro jeep militari, stipati insieme come sacchi di verdura.

“Ci hanno ammucchiati uno sopra l’altro”, dice Al Serr. “Siamo stati trattati peggio degli animali e i soldati, seduti su di noi, ci hanno deriso e picchiato durante tutto il tragitto fino al centro di detenzione di Sde Teiman” nel deserto del Negev.

Il centro di detenzione di Sde Teiman, noto per il trattamento disumano riservato ai detenuti, è diventato la nuova prigione di Al Serr. Racconta come i prigionieri non solo fossero disumanizzati, ma anche sottoposti a continui abusi fisici e psicologici.

“Ci hanno legato le mani e bendato gli occhi. Non ci era permesso muoverci, parlare o anche solo guardare di lato. Ogni piccolo movimento dava seguito a brutali percosse”, afferma Al Serr.

Uno degli aspetti più strazianti della prigionia è stato l’abuso sessuale e l’uso eccessivo della forza contro i prigionieri, dice.

“Ci picchiavano senza pietà, prendendo di mira le zone sensibili del nostro corpo con i manganelli”, racconta Al Serr. “Ci hanno persino aggrediti sessualmente, usando qualsiasi mezzo possibile per degradarci e umiliarci. Ci hanno spruzzato spray al peperoncino sulle parti intime. Era orribile.”

Il trattamento era un tentativo calcolato di distruggere i prigionieri, fisicamente e mentalmente.

Li ho visti torturare un uomo anziano solo perché muoveva le labbra nel recitare il Corano,dice Al Serr

La crudeltà andava oltre il dolore fisico, precisa.

Ai prigionieri era consentito lavarsi solo una volta alla settimana e, anche in quel caso, i vestiti che venivano dati loro erano stati cosparsi di sputi da parte dei soldati. “Avevamo due minuti per fare la doccia e, una volta finito, dovevamo indossare vestiti sporchi su cui [i soldati] si erano asciugati i piedi”, aggiunge Al Serr.

Le condizioni di vita a Sde Teiman erano squallide, con la struttura infestata da insetti e topi.

I detenuti erano costretti a dormire sopra sottili stuoie su pavimenti di cemento grezzo.

“Il freddo era insopportabile e non avevamo coperte per proteggerci”, dice Al Serr. “In quei pochi mesi ho perso 40 chili, sopravvivendo a malapena con un pezzo di pane tostato e una piccola porzione di marmellata o formaggio ogni giorno. Non era abbastanza per sostenere una persona”.

I prigionieri venivano spesso picchiati, soprattutto quelli che sfidavano le regole arbitrarie e oppressive delle guardie.

“Quando gli andava le guardie facevano irruzione nella cella e ci intimavano di sdraiarci a faccia in giù con la testa a terra. Chi disobbediva veniva picchiato con i manganelli”, dice Al Serr. “Alcuni prigionieri mi hanno detto che venivano picchiati sulle parti intime con i manganelli e colpiti con scariche elettriche. Usavano qualsiasi metodo possibile per tormentarci”.

Trasferiti nella prigione di Ofer

Nel corso delle proteste internazionali per gli abusi a Sde Teiman alcuni prigionieri, tra cui Al Serr, sono stati trasferiti nella prigione di Ofer nella Cisgiordania occupata. Al Serr è stato portato nella prigione di Ofer a giugno.

Sebbene le condizioni fossero leggermente migliori, gli abusi psicologici e fisici sono continuati. Amnesty International ha riferito che era trattenuto lì “senza accuse o processo ai sensi della legge abusiva sui combattenti illegali“.

“A Ofer i pestaggi erano meno frequenti, ma l’umiliazione non è mai cessata”, afferma Al Serr. “Non ci fornivano cure mediche adeguate. Ho avuto un’emorragia interna e non sono stato visitato da un medico per oltre un mese”.

Al Serr ha detto che quando finalmente gli è stato prescritto un farmaco è arrivato 10 giorni dopo la sua visita in ospedale. La mancanza di cibo e cure mediche nella prigione di Ofer rispecchiavano le terribili condizioni di Sde Teiman.

Dopo essere arrivati ​​alla prigione di Ofer Al Serr e i suoi colleghi sono stati condannati da un tribunale militare.

È stato un processo farsa condotto al telefono”, ha ricordato. “Non conoscevamo nemmeno le accuse contro di noi. Ci hanno etichettati come ‘combattenti illegali’ catturati durante la guerra e ci hanno imposto condanne arbitrarie fino alla fine del conflitto”.

Preoccupazioni per la famiglia e il rilascio

Ciò che ha pesato di più su Al Serr durante la sua prigionia è stata l’incertezza riguardo alla sua famiglia. “Ero costantemente preoccupato per loro, soprattutto perché durante la guerra erano stati sfollati. Ho sentito voci di operazioni militari vicino a Rafah, dove si trovavano, e ho temuto il peggio”, dice.

Dopo il suo inaspettato rilascio il 30 settembre, probabilmente perché non era considerato una minaccia, Al Serr è tornato al lavoro determinato a continuare a servire il suo popolo nonostante il trauma che aveva sopportato. Ma quando si è riunito alla sua famiglia loro vivevano tra le rovine della loro casa a Khan Younis.

“Siamo persone forti e resilienti”, dice, riflettendo sulla sua esperienza. “Questa non è la fine; è una testimonianza”.

Fedaa al-Qedra è una giornalista a Gaza.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Perché l’UE non divorzierà da Israele

David Cronin

7 novembre 2024The Electronic Intifada

Ora che il suo mandato come responsabile della politica estera dell’Unione Europea sta per concludersi Joseph Borrell si sta trasformando in Mister Rabbia. In un commento recente ha sostenuto che è “giunto il momento” di porre fine all'”occupazione illegale” della Cisgiordania e di Gaza.

Borrell non ha nulla da perdere nell’essere schietto e preciso.

<<La situazione a Gaza e nei Territori Occupati peggiora di ora in ora, con sofferenze insopportabili per i civili. Nessuno sembra essere in grado o disposto a fermarla.

I coloni violenti seminano distruzione, gli ospedali sono assediati, le attività dell’UNRWA sono sempre più a rischio.>>

Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) 4 novembre 2024

Non c’è alcuna prospettiva di una rapida riconciliazione tra lui e il governo israeliano, che ha infondatamente diffamato Borrell come antisemita. E se qualcuno si lamenta di come lui definisca l’occupazione “illegale”, Borrell può fare riferimento a una sentenza emessa dalla Corte Internazionale di Giustizia a luglio.

Tuttavia occorrerà più di qualche aspro commento per compensare il modo in cui Borrell ha favorito relazioni più strette con Israele durante gran parte del suo mandato quinquennale.

Ha ottenuto un certo successo in tal senso. Nel 2022 è stato risuscitato il Consiglio di Associazione UE-Israele, un forum di dialogo di alto livello, dopo essere stato messo in naftalina per un decennio.

Né la rabbia di Borrell dovrebbe nascondere il modo in cui la burocrazia di Bruxelles ha continuato a fare affari con Israele mentre massacra persone a Gaza e in Libano.

Il mese scorso l’UE ha annunciato che avrebbe dato un marchio di missione” a Eilat, una città in Israele. Il marchio – che dovrebbe aiutare le autorità locali ad avere un maggiore accesso ai finanziamenti – premia i piani volti a raggiungere la “neutralità climatica”.

Elogiare un’istituzione israeliana per la “neutralità climatica” è uno scherzo di cattivo gusto considerando che la guerra contro Gaza è stata un disastro ambientale. Secondo una stima la quantità di carbonio rilasciata durante i primi 120 giorni ha superato quella che 26 paesi poco inquinanti emetterebbero in un anno intero.

Grossolana incoerenza

Un altro esempio di grossolana incoerenza può essere il modo in cui l’UE ha recentemente approvato una sovvenzione per la ricerca scientifica per un progetto sulla pancreatite gestito dall’Università Ebraica di Gerusalemme.

La sovvenzione è stata firmata il 21 ottobre, solo pochi giorni dopo che Israele ha attaccato due dei tre ospedali ancora funzionanti (anche se a malapena) nel nord di Gaza.

Perché l’UE è pronta a sostenere progetti medici israeliani nello stesso momento in cui Israele sta annientando il sistema sanitario palestinese?

Un indizio può essere trovato in un documento informativo interno all’UE che ho ottenuto tramite una richiesta di accesso alle informazioni. Risale al dicembre 2021 e sostiene che la partecipazione di Israele a Horizon Europe, il programma scientifico dell’UE, è preziosa.

“Come UE noi beneficiamo dell’eccellenza, della capacità di innovazione di prim’ordine di Israele nelle nostre aree prioritarie chiave (verde, digitale, salute pubblica), nonché di un sostanziale contributo finanziario”, afferma.

Il contributo finanziario era “molto importante” all’epoca “vista l’incertezza” sul coinvolgimento della Gran Bretagna in Horizon Europe, aggiunge il documento (vedi sotto).

Queste poche frasi sono rivelatrici. I paesi che prendono parte a Horizon Europe da fuori UE pagano per farlo.

Dopo che la Gran Bretagna ha lasciato l’Unione Europea nel 2020 non è più stata coinvolta nelle attività di ricerca dell’UE per alcuni anni.

La Gran Bretagna alla fine è entrata a far parte di Horizon Europe nel gennaio 2024. Durante la sua assenza, alcuni addetti ai lavori di Bruxelles hanno evidentemente visto Israele come sostituto della Gran Bretagna, almeno per quanto riguarda il programma di ricerca, un cardine della spesa dell’UE.

Josep Borrell è il secondo spagnolo a ricoprire la carica di capo della politica estera dell’UE.

Quando il suo connazionale Javier Solana stava per concludere il suo mandato in quel ruolo ha definito Israele “un membro dell’Unione Europea senza esserne membro istituzionale”.

Nell’ottobre 2009 Solana ha definito la cooperazione nella ricerca scientifica con Israele come “molto importante”.

Da allora gli addetti ai lavori dell’UE hanno continuato a sostenere lo stesso argomento.

Per parecchie persone a Bruxelles la relazione con Israele è considerata una specie di matrimonio. Non importa a quale barbarie si riduca Israele, la gerarchia dell’UE non osa pensare a un divorzio.

(traduzione dall’ inglese di Giuseppe Ponsetti)




La raccolta delle olive in Cisgiordania è “più pericolosa” perché sono raddoppiati gli attacchi dei coloni

Tamara Nassar

5 novembre 2024 – Electronic Intifada

L’esercito israeliano e i coloni ebrei stanno rendendo questa “la stagione della raccolta delle olive più pericolosa in senso assoluto” per i contadini palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Questa segnalazione proviene da decine di esperti ONU dei diritti umani, tra cui Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

In ottobre sono stati documentati dall’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHAalmeno 270 attacchi connessi ai coloni contro i palestinesi e le loro proprietà in 110 comunità nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est.

Coloni armati e soldati israeliani attaccano, vessano e impediscono ai contadini l’accesso alla propria terra, talvolta ferendoli o uccidendoli.

In ottobre gli israeliani hanno bruciato, tagliato e vandalizzato oltre 1000 alberi, principalmente ulivi. Hanno anche rubato i raccolti e gli attrezzi per la raccolta.

I coloni hanno persino arato terre di proprietà palestinese per poi piantarci alberi nel villaggio di Ein al-Baida, nella valle del Giordano.

Israele blocca l’accesso alle terre ai palestinesi con barriere fisiche, limitando il tempo a loro concesso per stare sui propri terreni e persino imponendo restrizioni arbitrarie sull’età e il numero di contadini che vi possono accedere.

Per esempio le autorità di occupazione israeliana stanno limitando l’accesso ai terreni vicino alla colonia israeliana di Mevo Dotan “a circa 50 contadini dai quarant’anni in su,” secondo l’OCHA.

Ciò intralcia seriamente l’accesso a circa 2.000 ettari di terra appartenenti a varie famiglie del governatorato di Jenin.

I contadini palestinesi possono accedere alle proprie terre solo con permessi di “coordinamento preventivo” concessi dalle autorità israeliane.

Secondo gli esperti ONU gli attacchi contro i contadini “potrebbero peggiorare dato che le autorità israeliane li hanno progressivamente revocati o hanno omesso” di rilasciarli.

Le autorità israeliane hanno parzialmente revocato le restrizioni all’accesso agli uliveti entro 200 metri dai confini delle colonie israeliane.

Ma ciò non è mai una garanzia di sicurezza per i raccoglitori palestinesi mentre sono al lavoro.

Il 17 ottobre una donna palestinese 59enne è stata colpita a morte dal fuoco israeliano mentre raccoglieva olive a circa 200 metri dal muro dell’apartheid nel villaggio di Fuqaa, vicino a Jenin, nella Cisgiordania settentrionale occupata.

Ma in quella zona non sono richiesti permessi da parte dell’esercito israeliano.

Un uomo in uniforme militare è arrivato e ha sparato circa 10 colpi nella sua direzione,” riferisce Haaretz, quotidiano di Tel Aviv.

È stata identificata dal ministero della Salute palestinese come Hanan Abd al-Rahman Abu Salama.

Una fonte della sicurezza ha affermato che, secondo un’indagine preliminare, ad Abu Salama è stato sparato in una zona dove non è richiesto ai palestinesi di coordinare il raccolto con le autorità israeliane, anche se si consiglia di informarli prima di avvicinarsi alla barriera,” scrive Haaretz.

Un membro del consiglio del villaggio ha detto al giornale che l’ufficio di collegamento dell’Autorità Palestinese aveva informato il consiglio che la raccolta era autorizzata, in coordinazione con le autorità di occupazione israeliane. L’assessore Munir Barakat ha detto che gli abitanti erano poi stati informati che avrebbero potuto accedere ai loro uliveti vicino al muro dell’apartheid, esattamente ciò che stava facendo Abu Salama.

Attacchi raddoppiati

Anno dopo anno gli attacchi dei coloni sono una parte normale della stagione della raccolta delle olive e una seria minaccia alle vite e ai mezzi di sostentamento dei palestinesi.

Ma dal genocidio israeliano dei palestinesi a Gaza gli estremisti ebrei sono stati incoraggiati a un’escalation dei loro attacchi, talvolta letali, contro i palestinesi, nella più totale impunità e con l’abituale protezione dell’esercito israeliano.

Dal 7 ottobre 2023 sono stati sradicati, distrutti o danneggiati oltre 14.000 alberi, quasi tutti ulivi, come ha riferito la pubblicazione Arab 48 citando dati documentati dai palestinesi.

Gli attacchi documentati dei coloni contro i palestinesi relativi al raccolto delle olive quest’anno sono fino ad ora almeno il doppio dei 60 riportati durante il raccolto dello scorso anno. L’Ufficio delle Nazioni Unite OCHA che li monitora ha detto che ci sono stati 59 incidenti nel 2022 e 36 nel 2021.

Durante la stagione dell’anno scorso le forze di occupazione israeliane hanno annullato quasi tutte le autorizzazioni dei palestinesi per accedere alle loro terre.

I palestinesi non hanno potuto andare sulle proprie terre situate entro i confini delle colonie esclusivamente ebraiche o lungo le strade usate dai coloni.

Secondo l’OCHA anche quest’anno esse restano “completamente off limits” per i contadini palestinesi che quindi non hanno potuto raccogliere oltre 9.600 ettari di uliveti perdendo 1.200 tonnellate di olio d’oliva per un valore stimato di 10 milioni di dollari.

Da quando è iniziato il genocidio israeliano a Gaza nell’ottobre 2023 i palestinesi della Cisgiordania occupata hanno subito il maggiore livello di violenza e di restrizioni dei movimenti da parte dell’esercito israeliano e dei coloni ebrei in molti anni.

Significato

Il raccolto autunnale delle olive è vitale per l’economia palestinese e l’olio d’oliva è un elemento profondamente radicato nella dieta e cultura palestinese.

Dieci anni fa i dati dell’ONU indicavano che l’industria dell’olio d’oliva costituiva il 25% del reddito agricolo nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

La raccolta di solito inizia dopo le prime piogge all’inizio dell’autunno per continuare in ottobre fino a novembre. I palestinesi di tutte le età si riuniscono nei loro uliveti, cantando insieme canzoni popolari e facendo la cernita dei loro raccolti.

Gli esperti ONU hanno aggiunto che l’attacco israeliano contro una celebrazione plurisecolare del loro patrimonio è un ulteriore attacco all’autodeterminazione palestinese.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La vita che ho costruito per la mia famiglia – distrutta

Amjad Hamdouna

21 Ottobre 2024 ,The Electronic Intifada

Sono del nord di Gaza City, di una zona chiamata Sheikh Radwan.

Da ragazzo, la mia famiglia era molto povera. Ho dovuto lasciare la scuola in giovane età, circa 15 anni, ed entrare nel mercato del lavoro per aiutare la mia famiglia.

Ho lavorato in una fabbrica tessile e data la mia giovane età il mio salario era misero, appena sufficiente per mangiare e bere. Però speravo che avrei potuto acquisire qualche competenza da usare successivamente e magari guadagnare di più per avere una vita migliore.

Ho lavorato in questa fabbrica fino ai 20 anni. Era un lavoro fisicamente estenuante e spesso noioso. La mia speranza era di risparmiare abbastanza denaro per avviare una fabbrica per conto mio, ma non ero ancora pronto.

Nel frattempo, lavorando con il padrone della fabbrica, vendevo merci nei mercati locali. Ho guadagnato di più in questo modo che come operaio. Ho lavorato così per due anni finché non ho potuto permettermi di avviare una fabbrica per conto mio.

Il padrone mi ha detto che mi avrebbe aiutato per qualunque cosa avessi bisogno per riuscire. Questo mi ha reso felice, soprattutto perché avevo fatto tanti sforzi per questo ed ero spesso preoccupato e stressato.

Ho preso in affitto un edificio a Sheikh Radwan in via al-Nasr per confezionare abiti femminili e venderli in zona.

Ho lavorato duramente. Ho comprato tutta l’attrezzatura necessaria per il mio lavoro di cucitura e creazione di abiti palestinesi. Sono andato dai commercianti di tessuti ed ho predisposto ogni cosa affinché la mia fabbrica avesse successo.

Finalmente abbiamo aperto e tutto andava bene.

Quando ho aperto questa fabbrica i miei obbiettivi sono cresciuti ancor di più. Volevo risparmiare più denaro per sposarmi ed avere figli, per comprare una casa ai miei genitori e case per i miei fratelli.

Il primo mese ho potuto provvedere al salario dei lavoratori, all’affitto della fabbrica, al costo dei prodotti dei commercianti e alle spese della mia famiglia. E’ vero che la mia attività non era poi così grande, ma ero felice di fare questo lavoro e di ricevere tanto sostegno.

La mia fabbrica è andata avanti per quattro anni. Con grandi sforzi abbiamo venduto in tutta Gaza ed accresciuto le nostre capacità.

Ho risparmiato il denaro per sposarmi e per arredare il mio appartamento nell’edificio dei miei genitori. Mi sono sposato e nel febbraio 2023 mia moglie ha dato alla luce una bella bambina, Alma.

Ma la guerra genocida di Israele scatenata nell’ottobre 2023 aveva idee diverse su come dovesse essere la mia vita.

Dopo quattro giorni di guerra Israele ha bombardato la mia fabbrica, le scorte di materiali e le attrezzature a Sheikh Radwan. L’edificio è stato completamente distrutto. Un operaio è rimasto ucciso.

La mia famiglia ed io siamo stati sfollati forzatamente dalla nostra casa verso il sud di Gaza, dove siamo rimasti fino ad oggi. Pensavo che saremmo tornati a casa dopo breve tempo, perciò ho preso solamente poco denaro con me e ho lasciato indietro il resto.

I nostri soldi si sono esauriti in due mesi. La mia famiglia condivideva una tenda e abbiamo dovuto chiedere aiuto ad altri per superare l’inverno e poi l’estate.

Non riesco a dare un senso all’anno passato. Tutti noi che lavoriamo duramente nel mondo, è questa la nostra ricompensa?

Chi ricostruirà la mia fabbrica? Chi la nostra casa?

La situazione a Gaza è disperata e non so quando torneranno nella nostra vita la gioia e il sorriso. Non so dove andremo poi e che cosa succederà. Alma ha quasi due anni. Le nostre vite sono piene di ingiustizia e oscurità e il mondo sta dormendo.

Amjad Hamdouna vive a Gaza.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele progetta una colonia su un sito patrimonio UNESCO, mentre aumentano i furti di terra

Tamara Nassar

23 Agosto 2024 – Electronic Intifada

Quando la scorsa settimana un gruppo di più di 100 ebrei facinorosi, a volto coperto e armati di pistole e fucili automatici, ha ucciso un palestinese, ne ha feriti altri e ha appiccato il fuoco a diverse abitazioni nella cittadina palestinese di Jit, nel nord della Cisgiordania occupata, il governo israeliano li ha prontamente condannati.

“É una minoranza di estremisti che danneggia la comunità dell’insediamento rispettosa della legge e l’intero insediamento, nonché il nome e lo status di Israele nel mondo”, ha scritto, su X – già Twitter – Isaac Herzog, il presidente di Israele.

Secondo quanto riferito, l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha chiesto che “i responsabili di ogni illecito” siano arrestati e processati.

Infatti, sono stati arrestati in tutto ben quattro coloni.

Il Palestinian Center for Human Rights [Centro Palestinese per i Diritti Umani] riferisce che i coloni hanno sparato agli abitanti palestinesi del villaggio, lanciato pietre contro le loro case e dato alle fiamme i loro automezzi.

I coloni hanno sparato al ventitreenne Rashid Mahmoud al-Sadeh che, colpito al petto, è morto sul colpo.

Dopo un’ora dall’inizio dell’assalto dei coloni l’esercito israeliano ha preso parte all’aggressione, disperdendo con la forza i palestinesi e “impedendo loro di spegnere le fiamme che avvolgevano le case e i veicoli”.

L’esercito israeliano “ha sparato in aria sia proiettili che candelotti di gas lacrimogeno e non ha intrapreso nessuna azione per fermare la furia dei coloni”. Al contrario, si sono assicurati che i coloni potessero ritirarsi dal villaggio in sicurezza.

Le forze di occupazione israeliane hanno chiuso le vie d’accesso al villaggio, bloccando ambulanze e paramedici.

“Questo crimine fa parte di una più ampia ondata di violenze istigate dalla campagna di continuo incitamento [all’odio] che alcuni ministri israeliani stanno mettendo in atto”, ha dichiarato il PCHR.

“Questi attacchi sono incoraggiati dall’impunità istituzionalizzata e dal sostegno incessante da parte dei vertici politici e militari di Israele nei confronti delle violenze dei coloni”.

I coloni sono lo Stato

Le dichiarazioni del governo israeliano secondo le quali una manciata di coloni sono le mele marce di un cesto altrimenti “rispettoso della legge” sono un tentativo di distogliere l’attenzione da coloro ai quali i coloni obbediscono, e di nascondere il il progetto di colonizzazione nel suo insieme.

I coloni sono la fanteria dello Stato colonizzatore di Israele e, come dimostra il recente attacco a Jit, agiscono d’intesa con l’esercito.

L’impennata di violenze da parte dei coloni dopo il 7 ottobre non è riconducibile ad una minoranza di fuorilegge, come vorrebbero invece far credere le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.

Negli ultimi mesi Stati Uniti, Francia, Regno Unito e altri alleati di Israele che hanno sempre sostenuto le sue azioni a Gaza hanno annunciato sanzioni contro un piccolo numero di coloni israeliani.

Questo è un evidente tentativo di distogliere l’attenzione dalla loro complicità nel genocidio dei palestinesi a Gaza, mentre promuove l’idea, falsa, che le violenze dei coloni siano dovute a poche mele marce. Le sanzioni, se fossero minimamente serie, dovrebbero essere contro Israele e i suoi dirigenti, non contro alcuni individui isolati.

I coloni sono indispensabili per la politica israeliana di colonizzazione di insediamento, la quale è intrinsecamente violenta e si sta intensificando mentre l’attenzione di tutti è catturata dal genocidio dei palestinesi a Gaza.

“La violenza dei coloni è inseparabile dal disegno politico israeliano nel suo insieme, finalizzato a stabilire la propria sovranità sulla Cisgiordania e proseguire il piano di pulizia etnica dei palestinesi,” ha affermato il CPDU.

Quando Herzog, il presidente israeliano, parla di “comunità dell’insediamento rispettosa della legge”, fa riferimento unicamente alla legge israeliana – il rispetto della quale peraltro è raramente imposto ai coloni.

In realtà le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est, e nelle alture del Golan, che appartengono alla Siria, costituiscono una violazione della legge internazionale e sono considerate un crimine di guerra.

Costruendo colonie Israele commette violazioni dei diritti umani contro la popolazione palestinese sotto occupazione, inclusi demolizioni di case, espulsioni forzate e furto di terre.

Un insediamento in un sito UNESCO

Nel frattempo il governo israeliano premedita di costruire insediamenti per soli ebrei nel territorio del villaggio palestinese di Battir, dichiarato nel 2014 sito UNESCO Patrimonio dell’umanità.

La designazione dell’UNESCO intendeva proteggere lo straordinario e antico paesaggio agricolo di Battir e la sua cultura dal piano israeliano di costruirvi il muro di separazione.

“Il paesaggio culturale di Battir comprende antichi terrazzamenti, siti archeologici, tombe scavate nella roccia, torri agricole e soprattutto un sistema idrico intatto, costituito da un insieme di vasche e canali”, scrive l’UNESCO. “L’integrità di questo sistema idrico tradizionale è garantita dalle famiglie di Battir, che da esso dipendono”.

L’ente culturale mondiale aggiunge che “il sistema di distribuzione dell’acqua usato dalle famiglie di Battir è la testimonianza di un antico sistema egalitario di distribuzione”.

L’Amministrazione Civile – il braccio burocratico dell’occupazione militare israeliana – ha rivelato questo mese la mappa della “linea blu” intorno al territorio di Battir, destinandolo a sito di costruzione per la colonia denominata Nahal Heletz.

La “linea blu” delimita un terreno che il governo israeliano dichiara “territorio dello Stato”, destinandolo così al furto e alla colonizzazione. Per la maggior parte questo territorio è composto da terre private, abitate e lavorate dalle famiglie di Battir da generazioni – come del resto ovunque in Cisgiordania, che Israele sta colonizzando.

I trucchi pseudo-legali israeliani sono una farsa finalizzata a giustificare quello che a tutti gli effetti è un furto di terra palestinese a mano armata.

Serve “a legittimare l’impresa di colonizzazione”, commenta l’osservatorio [israeliano] sugli insediamenti Peace Now.

Ma i palestinesi non hanno mezzi adeguati per difendere i loro diritti nel sistema legale israeliano, nel quale molti giudici sono essi stessi coloni.

L’occupazione aveva inizialmente previsto poco più di 12 ettari per la costruzione dell’insediamento. Secondo Peace Now la nuova “linea blu” annette altri 60 ettari per il potenziale sviluppo futuro – tutti all’interno del sito UNESCO patrimonio dell’umanità.

“La nuova colonia a Nahal Heletz creerà un’enclave isolata in profondità nel territorio palestinese”, ha aggiunto l’associazione. Ma si tratta indubbiamente soltanto del punto di partenza per future espansioni.

Nahal Heletz è uno dei cinque insediamenti approvati dal governo israeliano a giugno, quattro dei quali erano in precedenza avamposti – un termine che Israele usa per i nuovi piccoli insediamenti creati dai coloni in aperta violazione delle stesse normative israeliane.

“Il ritmo delle dichiarazioni di linee blu e territori dello Stato è senza precedenti”, dice Peace Now.

Netanyahu e Bezalel Smotrich, il Ministro delle Finanze di estrema destra, “stanno portando avanti senza tregua annessioni di fatto, ignorando palesemente la convenzione UNESCO di cui Israele è firmatario”, afferma Peace Now.

Fatti sul terreno

Quando la scorsa settimana gli è stato chiesto della colonia prevista a Battir, il portavoce [aggiunto n.d.t.] del Dipartimento di Stato statunitense Vedant Patel ha detto che “ognuno di questi nuovi insediamenti ostacolerebbe lo sviluppo economico e la libertà di movimento dei palestinesi”.

Cosa non priva di interesse, Patel non ha menzionato in alcun modo il fatto che le colonie israeliane violano le leggi internazionali.

Quando gli è stato chiesto se l’opposizione statunitense agli insediamenti potrebbe impedirne la costruzione, Patel ha liquidato l’espansione delle colonie come “un’iniziativa unilaterale israeliana” e non ha proposto nessuna azione statunitense per fermarla.

“Vi siete opposti a centinaia di annunci di nuove colonie, e sono state tutte costruite. Allora che senso ha continuare a dire che vi opponete?” ha chiesto il corrispondente della BBC Tom Bateman.

“Ci preme chiarire quali siano la nostra prospettiva e il nostro punto di vista”, ha replicato Patel.

Ciò schematizza bene il processo, che ha inizio con il furto di terra palestinese da parte di coloni cosiddetti “estremisti” e culmina in fatti sul terreno che gli Stati Uniti sono più che disposti a tollerare.

Il governo israeliano permette ai coloni di creare avamposti, li aiuta a farlo e infine li riconosce ufficialmente.

Una volta che gli insediamenti hanno ottenuto il riconoscimento ufficiale dal governo israeliano, gli Stati Uniti reagiscono con vuote formule retoriche sull’espansione delle colonie come ostacolo alla moribonda “soluzione a due Stati”.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite OCHA dal 7 ottobre i coloni hanno condotto almeno 1.270 attacchi contro i palestinesi.

Questo numero comprende gli attacchi che hanno provocato ferite ai palestinesi e danni alla proprietà.

I coloni israeliani minacciano i palestinesi con armi da fuoco, vandalizzano le loro proprietà, ostacolano il loro accesso all’acqua, distruggono i loro alberi, danneggiano i loro veicoli, rubano le loro beni, li intimidiscono e aggrediscono fisicamente.

Questa violenza è pianificata e calcolata con l’intento di terrorizzare i palestinesi al punto da farli desistere dal coltivare o accedere alle loro terre, in modo che i coloni possano impossessarsene, lo Stato israeliano possa riconoscere ufficialmente il furto e gli Stati Uniti infine fare pressione sui palestinesi affinché accettino dei “compromessi”, rinunciando alla terra rubata in futuri accordi “di pace”.

Dal 7 ottobre 2023 a metà agosto di quest’anno nella Cisgiordania occupata Israele ha demolito, confiscato o costretto a demolire più di 1.400 strutture di proprietà palestinese, più di un terzo dei quali edifici residenziali.

Si tratta del doppio delle demolizioni in rapporto allo stesso periodo prima del 7 ottobre.

Queste demolizioni hanno spinto fuori dalle loro case circa 3.200 palestinesi, 1.400 dei quali bambini.

[traduzione dall’inglese di Giacomo Coggiola]




Un’inchiesta dell’esercito israeliano ha insabbiato le uccisioni dovute a fuoco amico il 7 ottobre

David Sheen e Ali Abunimah 

29 luglio 2024 – The Electronic Intifada 

Il primo rapporto dell’esercito israeliano reso pubblico sugli eventi del 7 ottobre 2023 elogia il generale che quel giorno ha guidato le forze israeliane in battaglia nel kibbutz Be’eri per aver ordinato a un tank di sparare contro una casa uccidendo oltre 10 civili presi in ostaggio.

Il bombardamento ha ucciso praticamente tutti quelli che si trovavano all’interno e nei pressi della casa, tra cui decine di combattenti della resistenza palestinese.

Il rapporto rappresenta un grossolano insabbiamento, non compatibile con fatti noti e un’intenzionale riscrittura di quanto avvenuto per discolpare le forze israeliane dall’uccisione di loro concittadini quel giorno.

Benché il rapporto avrebbe dovuto essere scritto da ufficiali senza alcun legame con quanti parteciparono alla battaglia, uno dei suoi autori è il tenente colonnello Elihai Bin Nun, che il 7 ottobre ha combattuto a Be’eri sotto il comando del generale Barak Hiram, il responsabile delle forze israeliane presenti quel giorno nel kibbutz, come rivelato dal New York Times.

Il sito di informazione israeliano Ynet ha evidenziato che, quando è stata svelata la partecipazione di Bin Nun alla battaglia, l’esercito ha eliminato dal rapporto ogni menzione del suo ruolo come autore.

In conseguenza di questa inchiesta l’esercito ha elogiato Hiram per aver agito in “modo professionale ed etico” avendo ordinato il fuoco letale del tank. Ha occultato la morte di civili provocata dal bombardamento, accettando la responsabilità solo per uno dei 13 ostaggi uccisi nella casa di Pessi Cohen, abitante del kibbutz.

L’esercito ammette l’uccisione di un solo civile, Adi Dagan, in quanto la sua morte è stata testimoniata direttamene dall’unico ostaggio sopravvissuto al bombardamento da parte del carrarmato, Hadas Dagan, moglie di Adi. Durante la battaglia la coppia e altri quattro civili israeliani, tra cui la stessa Pessi, si trovavano sul prato erboso fuori dalla casa, nascosti per evitare le raffiche di proiettili che per ore hanno fischiato sulle loro teste.

Mentre il resoconto completo della battaglia non è stato reso pubblico, una sintesi dettagliata di sei pagine del rapporto pubblicata dall’inviato militare della radio dell’esercito Doron Kadosh fa ulteriore luce sugli eventi. Essa riconosce che il numero di civili all’interno della casa era di sette.

Nella sua prima descrizione pubblica dell’incidente una settimana dopo l’attacco del 7 ottobre l’esercito ha affermato che nella casa erano morti non 7 ma 15 civili, e che otto di loro erano neonati.

In quella casa c’erano altre 15 persone bruciate. Tra esse 8 neonati,” ha detto a un folto gruppo di giornalisti stranieri il 14 ottobre di fronte alla casa di Pessi Cohen il capo del soccorso militare israeliano Vach. “Erano concentrati lì, li hanno uccisi e bruciati.” Erano menzogne vergognose, e, anche se il nuovo rapporto non le ripete, esso crea nuove fandonie su questo incidente divenuto celebre.

La sintesi ufficiale in inglese nota indirettamente che “due civili sono stati colpiti da schegge” e sostiene senza fondamento che la maggior parte degli altri ostaggi probabilmente è stato ucciso dai rapitori palestinesi, nonostante ogni prova suggerisca il contrario.

Nessun civile all’interno dell’edificio è stato colpito dal fuoco del carrarmato,” sostiene. “La maggior parte degli ostaggi è stata probabilmente uccisa dai terroristi.”

Queste affermazioni non sono supportate da riferimenti ad alcuna autopsia. Infatti, a causa degli effetti catastrofici del bombardamento del tank, tale esame post-mortem in molti casi sarebbe stato impossibile anche se le autorità israeliane avessero voluto farlo.

È difficile capire da cosa sia stato ucciso ognuno di loro perché non sono state effettuate autopsie, ma per me è importante che non dicano mai che tutti sono stati uccisi dai terroristi,” ha detto alla radio militare israeliana Yasmin Porat dopo aver appreso il contenuto del rapporto. “Sicuramente questo non è vero.”

Porat è una degli unici due civili sopravvissuti agli avvenimenti nella casa di Pessi Cohen. Fin dall’incidente ha continuato ad affermare che il fuoco israeliano ha probabilmente ucciso molti degli israeliani che si trovavano lì.

Il racconto israeliano contraddice ogni logica

Nel tentativo di dimostrare le proprie affermazioni secondo cui i combattenti della resistenza palestinese hanno giustiziato tutti i civili meno uno, l’esercito delinea uno scenario dettagliato che non solo contraddice le testimonianze delle sopravvissute, Hadas Dagan e Yasmin Porat, ma contrasta con il senso comune.

Il rapporto afferma che alle 18 il capo di tutte le forze che combattevano a Be’eri e che circondavano la zona, il comandante della 99esima divisione di fanteria Barak Hiram, ha ordinato che i soldati si trincerassero presso la casa di Pessi Cohen per lanciare immediatamente un attacco di terra contro la casa. “Il generale di brigata Hiram ha ordinato: iniziate la conquista prima del buio,” afferma la sintesi del giornalista Doron Kadosh. “Ha sottolineato di temere che i terroristi avrebbero approfittato dell’imbrunire per scappare a Gaza con gli ostaggi.”

Poi nota che le forze israeliane hanno aspettato fino alle 17,57 prima di iniziare l’operazione di irruzione nella casa, un’ora dopo il tramonto e due ore dopo che l’ordine era stato dato.

Alle 18, mentre secondo il rapporto Hiram ha dato l’ordine di fare irruzione prima del tramonto, il sole era già calato su Be’eri. Aver aspettato due ore per mettere in pratica quell’ordine, dopo che già da un’ora le stelle erano visibili nel cielo notturno, non è coerente con le conclusioni del rapporto secondo cui “il commando sul campo dello Shin Bet, il comandante della YAMAM e le forze presenti hanno dimostrato un grande eroismo e con la massima determinazione hanno fatto tutto il possibile fino agli ultimi istanti.”

Lo Shin Bet è il servizio segreto interno israeliano e la YAMAM è un’unità speciale paramilitare simile ai gruppi SWAT [unità speciali della polizia, ndt.] degli USA.

Un’altra affermazione fatta nel rapporto che contraddice la logica più elementare è che sono stati i combattenti palestinesi a bruciare la casa di Pessi Cohen, incendiando tutto quello che c’era dentro, compresi se stessi.

Alle 20,30, mezz’ora dopo che le forze israeliane avrebbero iniziato a fare irruzione nella casa, secondo la sintesi di Kadosh gli israeliani avrebbero ricominciato “un violento tentativo di occupare la casa”.

Per un’altra ora ha avuto luogo una dura battaglia tra le nostre forze e i terroristi, che nel frattempo hanno dato fuoco alla casa e l’hanno bruciata,” afferma l’esercito, secondo quanto raccontato nella sintesi.

Inoltre il riassunto afferma che, quando hanno iniziato a incendiarla “per impedire alle forze israeliane di farvi irruzione”, i combattenti palestinesi avevano già giustiziato i civili tenuti nella casa.

In altre parole gli autori del rapporto vorrebbero farci credere che dopo ore di intensa sparatoria i combattenti palestinesi barricati in casa si sarebbero auto-immolati. Si stenta a credere all’idea che i combattenti palestinesi avrebbero scelto di morire patendo pene terribili avvolti dalle fiamme quando avrebbero potuto rapidamente e facilmente porre fine alle proprie vite con un colpo di pistola o morendo in combattimento contro gli israeliani.

Ma questo serve come comoda scusa della ragione per cui la casa e tutti quelli che erano dentro siano stati totalmente bruciati.

Un botto terribile”

Oltre ad essere pieno di incongruenze e affermazioni improbabili, lo scenario descritto nel rapporto dell’esercito è completamente contraddetto dalle testimonianze dei civili sopravvissuti, Hadas Dagan e Yasmin Porat.

Le affermazioni dell’esercito secondo cui i proiettili sparati dal carrarmato contro la casa non hanno colpito nessuno dei civili vicino ad Hadas e a suo marito Adi non quadra con i racconti fatti dalle due donne.

La sintesi nota che, dopo aver sparato alle 17,33 e alle 18,27 due proiettili di tank contro il sentiero fuori dalla casa, alle 18,34 e alle 18,57 sono stati sparati contro la casa altri due colpi. Nel riassunto il terzo proiettile “ha rimbalzato per terra e ha colpito il tetto all’ingresso dell’edificio. Il tetto è crollato in seguito all’impatto e pezzi di cemento sono caduti su Adi e Hadas Dagan, che erano all’esterno della casa. Adi è morto, Hadas è stata ferita ma è rimasta in vita,” afferma l’esercito.

Ci sono prove che la granata non è esplosa e che quelli che hanno colpito Adi e Hadas erano pezzi di cemento del tetto colpito,” aggiunge la sintesi. Secondo l’esercito questa conclusione è stata raggiunta dalla “perizia tecnica” dell’esercito, non da un esame forense o da un’autopsia indipendenti.

La ricostruzione di Hadas Dagan suggerisce qualcosa di diverso. “Improvvisamente un botto terribile … Per me era chiaro che si trattava di un carrarmato… E poi una seconda esplosione,” ha raccontato Dagan al Channel 12 israeliano a dicembre. “Per me è assolutamente evidente che io e Adi siamo stati feriti da schegge del proiettile del carrarmato, perché è avvenuto proprio in quel momento.”

Dagan ha descritto nei minimi particolari di essere rimasta distesa vicino a suo marito Adi e di aver messo il pollice sul buco nella sua “arteria principale” nel tentativo di bloccare il copioso fiotto di sangue, per poi togliere la mano solo quando si è resa conto che era morto.

Mentre stava parlando Dagan ha indicato con il pollice e un dito le dimensioni della ferita di suo marito: circa quelle di una grossa moneta.

È da notare che, nonostante abbia descritto chiaramente il letale bombardamento del carrarmato, Dagan abbia manifestato comprensione per il “dilemma” in cui secondo lei si è trovato l’esercito.

In base alla sintesi, il secondo bombardamento del carrarmato contro la casa mirava “al tetto, alle tegole. La granata è caduta. Non si sa ancora se qualcuno degli ostaggi è stato colpito, ma in base alle prove si stima che lì nessuno lo sia stato.”

Riguardo a Yasmin Porat, settimane dopo, in un’intervista con l’emittente radiofonica statale Kan, ha ricordato come Dagan le abbia raccontato che almeno altri due civili, tra cui il compagno di Porat, Tal Katz, erano stati sicuramente uccisi dalle stesse granate che hanno ferito Hadas e ucciso suo marito Adi.

Yasmin, quando le due fortissime esplosioni hanno colpito ho sentito come se volassi in aria,” Porat ha ricordato che le ha raccontato Dagan. “Mi ci sono voluti due o tre minuti per aprire gli occhi… Quando l’ho fatto o ho visto che il mio Adi stava morendo… A quel punto anche il tuo Tal ha smesso di muoversi.”

Porat ha spiegato che Dagan l’ha poi informata di come lo stesso carrarmato abbia ucciso anche il civile più giovane prigioniero nella casa, la dodicenne Liel Hatsroni.

Ricordo che, quand’ero lì la prima ora (della battaglia), lei (Liel Hatsroni) non ha mai smesso di gridare,” ha detto Porat a Kan, notando che i suoi ricordi coincidevano con quelli di Dagan. “La ragazzina non ha smesso di gridare in tutte quelle ore. Non smetteva di gridare,” Porat ricorda che Dagan le ha detto: “Yasmin, quando le due granate sono esplose lei ha smesso di gridare. Allora si è fatto silenzio.”

Quindi cosa ne deduci?” riflette Porat. “Che dopo quel gravissimo incidente, la sparatoria, che è terminata con due granate, è stato praticamente allora che tutti sono morti.”

Hatsroni e la sua prozia e tutrice Ayala sono state dichiarate ufficialmente morte solo un mese e mezzo dopo la battaglia perché di loro era rimasto ben poco per identificarle. Un parente delle Hatsroni ha detto a The Electronic Intifada che, dopo la battaglia, di Ayala, Liel e del suo fratello gemello Yanai sono rimaste solo ceneri.

Testimoni oculari uccisi a Gaza

Il confronto tra la cronologia degli avvenimenti e le testimonianze delle sopravvissute stabilisce che Liel Hatsroni è stata ferita a morte dalla quarta granata del carrarmato che si dice sia stata sparata alle 18,57, ed è probabile che contemporaneamente Yanai e Ayala siano stati feriti mortalmente.

Nel suo rapporto tuttavia l’esercito sostiene che la battaglia è continuata per altre due ore e mezza, fino alle 21,30, e durante questo tempo gli Hatsroni e gli altri quattro civili tenuti nella casa sono stati giustiziati dai combattenti palestinesi.

Questa versione dei fatti libera le forze israeliane dalla responsabilità per la loro morte, ma ciò è inequivocabilmente smentito dalla testimonianza di Hadas Dagan. Dopo aver descritto nei dettagli come il bombardamento del carrarmato abbia ucciso suo marito Adi, Hadas ha detto a Channel 12 come esso abbia posto fine alla battaglia nel suo complesso, ore prima rispetto a quello che sostiene l’esercito.

Ho sentito un altro sparo da dentro la casa e poi non ho più sentito niente. E ho aspettato che mi uccidessero. Non so quanto tempo sono rimasta distesa lì. Ho visto che non è spuntata nessuna testa. Ho visto le ombre, tutte. Nessuno si muoveva,” ha affermato.

Dagan ha detto a Channel 12 di essere stata effettivamente portata via dal campo di battaglia da forze israeliane verso le 20,15. “Improvvisamente ho sentito delle voci: ‘C’è un ostaggio che ha sollevato la testa!’ E ho visto puntini luminosi, lampadine frontali, e quelle figure armate nel buio. Mi hanno circondata,” ha ricordato Hadas a Channel 12.

Mi hanno messa seduta lì in un veicolo. Ho sentito che dicevano: ‘Ne abbiamo una qui gravemente ferita.’”

L’esercito conferma l’affermazione di Hadas Dagan secondo cui è stata portata via dal campo di battaglia a quell’ora, stimando che sia avvenuto alle 20,10. “I combattenti che cercavano di fare irruzione nella casa hanno notato Hadas Dagan ferita dal tetto della casa, ancora viva, e l’hanno evacuata lontano dalla casa”, afferma la sintesi.

Tuttavia nella narrazione dell’esercito l’allontanamento di Dagan dal campo di battaglia non avrebbe segnato la fine delle ostilità, ma piuttosto l’inizio di scontri più violenti.

Nel frattempo un combattente (israeliano) che parla arabo ha cercato di stabilire un dialogo con i terroristi, ma questi hanno sparato contro di loro in continuazione e non si sono arresi,” aggiunge la sintesi. “Nei primi minuti due combattenti di YAMAM sono stati gravemente feriti nella battaglia per fare irruzione nella casa.”

Poi, secondo il riassunto, alle 20,30 un soldato israeliano si è avvicinato alla casa dei Cohen ed ha preso contatto all’interno della casa con Ayala Hatsroni, che in quel momento sarebbe stata ancora viva. “Gli ha detto che avevano assassinato i suoi figli,” afferma la sintesi. Allora il soldato ha sentito “una lunga raffica di spari, e poi silenzio. Da quel momento i combattenti YAMAM non hanno più sentito grida o voci di ostaggi.”

La fonte dell’esercito per questa affermazione sospettosamente conveniente è il capo ispettore Arnon Zmora, ma la sua dichiarazione non può essere verificata in modo indipendente in quanto è stato ucciso in combattimento nella Striscia di Gaza all’inizio di giugno, un mese prima della pubblicazione del rapporto.

E ovviamente anche l’altra parte di questa presunta conversazione, Ayala Hatsroni, è morta. Allo stesso modo non si può ottenere una nuova testimonianza dal tenente colonello Salman Habaka, che ha sparato le ultime granate del carrarmato contro la casa dei Cohen, in quanto anche lui è stato ucciso nella Striscia di Gaza a novembre, e il comandante che l’ha chiamato perché partecipasse a quella battaglia è anche lui morto in combattimento una settimana dopo.

Giorni dopo la battaglia di Be’eri, quando gli è stato chiesto di deliziare gli israeliani con il racconto di “aver salvato una famiglia” il 7 ottobre, Habaka ha esitato, affermando solo che “abbiamo distrutto i terroristi prima di far entrare la fanteria per portar fuori la gente.”

Le prove suggeriscono in modo schiacciante che Habaka ha accuratamente descritto il combattimento alla casa di Pessi Cohen: prima le forze israeliane hanno sparato granate del carrarmato che hanno ucciso tutti quelli che si trovavano dentro e attorno alla casa, e solo dopo hanno evacuato l’unico civile sopravvissuto che era ancora lì, Hadas Dagan.

Nessuna prova di esecuzioni

La sintesi del rapporto completo dell’esercito israeliano fatta da Doron Kadosh nota che i corpi di tutti e sette i civili tenuti nella casa di Pessi Cohen – i tre Hatsroni, altre tre nonne abitanti a Be’eri e un palestinese di Gerusalemme est occupata che i combattenti della Qassam [la milizia armata di Hamas, ndt.] hanno obbligato a fungere da traduttore – erano carbonizzati. Le identità degli Hatsroni e del palestinese, Suhaib al-Razim, hanno potuto essere confermate solo grazie a test del DNA.

Eppure il rapporto dell’esercito sostiene che questi sette sono morti non a causa delle granate del carrarmato che potrebbero facilmente averli dilaniati, o del fuoco che ha totalmente bruciato i loro corpi, ma da colpi di arma da fuoco, da pallottole che sarebbero state sparate dai loro rapitori palestinesi prima che bruciassero.

Tuttavia l’esercito ammette che non ci sono prove di questa asserzione. “L’inchiesta afferma che la maggior parte degli ostaggi nella casa dei Cohen è stata uccisa dai terroristi e non colpita dalle granate (del carrarmato), ma ciò non può essere confermato, afferma l’IDF, perché i corpi sono stati bruciati,” ha informato Haaretz.

Oltretutto l’affermazione dell’esercito secondo cui i sette civili presi in ostaggio nella casa sono stati giustiziati dai loro rapitori palestinesi non può essere verificata “perché sia le forze di sicurezza che l’unità ZAKA che si è occupata dei cadaveri non hanno conservato in modo corretto le prove forensi dei corpi per consentire di verificare se sono stati uccisi da armi da fuoco o accoltellati,” ha notato il Jerusalem Post.

ZAKA, un’organizzazione ebraica ultra-ortodossa che raccoglie corpi e li prepara per l’inumazione rituale, è stata fondamentale nel diffondere numerose falsità riguardo agli eventi del 7 ottobre, inventando di sana pianta crimini di barbara atrocità mai avvenuti, ma che continuano ad essere utilizzati come pretesto e giustificazione del genocidio israeliano in corso a Gaza.

Familiari ancora all’oscuro

Mentre il rapporto dell’esercito sostiene di avere “presentato alle famiglie in lutto i propri accertamenti su come è morto ogni cittadino tenuto nell’edificio,” un rappresentante di una di queste famiglie ha negato alla rete nazionale israeliana di aver ricevuto questi esami.

Non abbiamo sentito niente di nuovo, non comprendiamo ancora come la maggioranza delle persone sia stata uccisa nella casa di Pessi, non hanno fatto le autopsie,” ha detto un parente a Kan Channel 11.

Il disappunto è stato condiviso da altri abitanti di Be’eri, ha detto la portavoce del kibbutz Miri Gat Mesika. “Sappiamo da quale angolo e dove il carrarmato è entrato, che tipo di granata ha usato, com’è fatta, ecc.,” ha detto alla testata israeliana Ynet. “Fino ad oggi non abbiamo ricevuto una risposta su come i nostri amici nella casa di Pessi siano stati uccisi quel giorno. Quello che era più importante e rilevante per noi è stato omesso nei dettagli e nelle conclusioni del rapporto.”

Comunque le cause della loro morte possono di fatto essere facilmente accertate incrociando il rapporto dell’esercito con la testimonianza resa dall’unica sopravvissuta all’ultimo bombardamento del tank, Hadas Dagan.

Se contiamo solo Liel Hatsroni, Adi Dagan e Tal Katz, che sono tutti morti sicuramente in seguito all’ultimo bombardamento da parte del carrarmato, raggiungiamo un bilancio minimo di tre civili uccisi dal fuoco del carrarmato. Se includiamo tutti e sette i civili tenuti nella casa che sono stati trovati carbonizzati (compresi i tre Hatsroni, Suhaib al-Razim, Zehava Hacker, Hannah Siton and Hava Ben-Ami) raggiungiamo il numero di nove civili probabilmente uccisi nella casa di Pessi Cohen dalle granate del carrarmato.

Un altro civile che era sdraiato sul prato, Tal Siton, è morto a causa del bombardamento da parte del carrarmato o nel fuoco incrociato che lo ha preceduto. Due civili, Ze’ev Hacker e Pessi Cohen, secondo la testimonianza di Hadas Dagan sono sicuramente morti durante le ore della sparatoria. Solo un civile, il fratellastro di Pessi Yitzhak Siton, sicuramente è morto per mano dei combattenti palestinesi, che gli hanno sparato a morte attraverso una porta all’inizio dell’occupazione del kibbutz.

Secondo il riassunto “la quarta e ultima granata è stata sparata” alle 18,57. E aggiunge: “Dopo il lancio di quattro granate e quando le forze hanno visto che i terroristi non si arrendevano, si è deciso di effettuare un’occupazione pianificata della casa ed è stata pianificata l’operazione per la presa della casa.”

Tuttavia questa “operazione di occupazione” non sarebbe iniziata fino alle 19,57, un’ora più tardi: “Comando ‘VAI’, l’operazione di conquista della casa è iniziata.”

Se Hiram ha davvero ordinato il bombardamento di una casa piena di ostaggi da parte del carrarmato “per mettere pressione sui terroristi”, come sostiene il capo di stato maggiore Herzi Halevi nella sintesi ufficiale, allora perché le forze sotto il comando di Hiram non hanno approfittato di quella pressione e non sono corse nella casa per eliminare i combattenti della resistenza che vi si trovavano, mentre erano colti di sorpresa dal bombardamento del carrarmato?

Perché le forze israeliane hanno aspettato, in base al loro stesso racconto, due ore dopo l’ordine di Hiram e un’ora dopo l’ultimo lancio di granate del carrarmato, quando il cielo era già buio?

L’ovvia risposta è che le forze israeliane non avevano più fretta di irrompere nella casa perché le decine di combattenti palestinesi e i sette civili che erano ancora all’interno erano già morti, inceneriti dal bombardamento da parte del carrarmato. A quanto pare la combustione della granata ha creato un tale inferno che è passata un’ora intera prima che i soldati israeliani mettessero piede all’interno. Ogni prova disponibile suggerisce che, ordinando il fuoco del carrarmato sulla casa di Pessi Cohen, probabilmente Hiram ha posto fine alle vite di almeno nove civili, sette dei quali bruciati vivi.

Un’accusa totalmente nuova

Così come sostiene senza prove che i civili all’interno della casa sono stati uccisi dai loro rapitori, il rapporto dell’esercito israeliano introduce un inedito pretesto per il bombardamento ordinato da Hiram: sarebbe stato giustificato dall’incombente minaccia da parte dei combattenti palestinesi di uccidere se stessi e i loro prigionieri.

Le affermazioni che supportano questo pretesto sono incongruenti sia all’interno del rapporto che alla luce delle precedenti asserzioni di quanti erano presenti sul posto.

Il resoconto ufficiale afferma: “Dopo che si è sentito sparare da dentro la casa e che i terroristi hanno comunicato l’intenzione di commettere suicidio e uccidere gli ostaggi, le forze di sicurezza hanno deciso di fare irruzione nella casa per cercare di salvare gli ostaggi e hanno condotto operazioni di combattimento in condizioni difficili.”

Pare sia la prima volta che Israele ha sostenuto che una esplicita minaccia rappresentata dai combattenti palestinesi abbia spinto Hiram a ordinare al carrarmato di fare fuoco.

Il resoconto ufficiale non specifica come questa minaccia sia stata comunicata, ma lascia l’impressione che sia avvenuto nel contesto dei negoziati con i rapitori.

La sintesi di Doron Kadosh, della radio dell’esercito israeliano, fornisce una versione in parte diversa. Sostiene che un gruppo dello Shin Bet avrebbe cercato di intercettare le comunicazioni tra i combattenti palestinesi nella casa di Pessi Cohen e i loro superiori nella Striscia di Gaza e che, dopo che le forze israeliane hanno fatto esplodere due granate del carrarmato fuori dalla casa, avrebbero sentito che i palestinesi annunciavano la loro intenzione di suicidarsi. Alle 16,32, nota il rapporto, “i terroristi hanno informato i loro comandanti che erano circondati e intendevano uccidersi.”

Al contrario la sintesi ufficiale non cita comunicazioni intercettate. Anche così, a differenza del resoconto ufficiale, la versione più dettagliata degli eventi fornita dalla sintesi di Kadosh non sostiene che i combattenti palestinesi abbiano affermato esplicitamente che pensavano di uccidere i prigionieri israeliani, ma solo che si volessero suicidare.

Cosa i combattenti palestinesi abbiano detto o pensato – sempre che qualcosa del racconto israeliano sia vero – senza audio o una trascrizione rimane una questione di supposizioni. Ma, data la nota dottrina della resistenza palestinese, più probabilmente i combattenti avrebbero detto di aver intenzione di morire come martiri – intendendo che, in una situazione in cui non avevano altre vie d’uscita, avrebbero combattuto fino alla morte certa piuttosto che arrendersi.

Non sarebbe stato lo stesso che uccidere intenzionalmente se stessi e gli ostaggi.

È anche da notare che le affermazioni dell’esercito israeliano secondo cui il suo attacco contro la casa era motivato dalla minaccia di uccidere i prigionieri guarda caso compaiono per la prima volta nel contesto di un rapporto che giustifica il bombardamento con i carrarmati e assolve l’ufficiale di alto grado che lo ha ordinato. Data l’incoerenza e la tardiva comparsa di questa affermazione, esse dovrebbero anche essere valutate alla luce di precedenti racconti forniti da quanti erano lì.

La sopravvissuta alla battaglia Yasmin Porat è stata coerente nei suoi resoconti: con parole sue, durante tutto il dramma i palestinesi hanno trattato i prigionieri “umanamente” e hanno garantito loro che non avevano intenzione di ucciderli.

Secondo Porat i combattenti non hanno maltrattato o fatto del male gratuitamente ai loro ostaggi. Il loro scopo dichiarato era portare gli israeliani a Gaza e rilasciarli rapidamente in cambio di palestinesi detenuti da Israele.

Quanto a Hiram, sembra non aver mai sostenuto in precedenza che i palestinesi abbiano comunicato l’intenzione di uccidere a breve se stessi e gli ostaggi, neppure nella sua intervista auto-giustificatoria e piena di invenzioni con Ilana Dayan, la conduttrice del prestigioso programma investigativo Uvda di Channel 12 del 26 ottobre 2023.

Hiram ha raccontato a Dayan che un gruppo di negoziatori portato sul posto “ha cercato di comunicare con loro e ha chiamato i rapitori palestinesi.

Hanno risposto?” chiede Dayan.

Ci hanno risposto con un razzo di RPG [lanciarazzi di fabbricazione sovietica, ndt.]” ha affermato Hiran. A quel punto, racconta Hiram a Dayan, ha ordinato alle forze speciali “di fare irruzione all’interno e cercare di salvare i cittadini intrappolati in quegli edifici.”

In quella “battaglia veramente eroica” – come l’ha definita l’adulatrice Dayan – Hiram ha sostenuto che sono stati salvati quattro ostaggi. Tuttavia in nessun momento le forze israeliane hanno salvato alcuna persona viva dalla casa e, come notato, non ci sono prove credibili che siano mai entrati nella casa se non molto dopo il bombardamento del carrarmato, quando tutti quelli che si trovavano all’interno erano già morti.

Neppure nel contesto di questo racconto largamente falso, fornito meno di tre settimane dopo i fatti, Hiram ha pensato di sostenere che la sua azione sia stata provocata da una minaccia di uccidere gli ostaggi e se stessi da parte dei rapitori.

Hiram ha parlato anche al New York Times per un articolo del 22 dicembre, che è stato uno dei pochissimi sui media occidentali ad occuparsi dell’incidente.

Secondo il Times, quando il 7 ottobre è scesa la notte nel kibbutz Be’eri il comandante della forza paramilitare specializzata, o gruppo SWAT, che si trovava sul posto e Hiram “hanno iniziato a discutere”. “Il comandante dello SWAT pensava che, in seguito alla comparsa di Porat e di uno dei combattenti palestinesi, altri rapitori si sarebbero arresi”. Ma Hiram “voleva che la situazione si risolvesse al tramonto,” ha riportato il Times.

Secondo il generale e altri testimoni pochi minuti dopo i miliziani hanno lanciato una granata anticarro a razzo,” secondo il Times.

I negoziati sono finiti,” ha ricordato di aver detto al comandante del carrarmato il generale Hiram. “Fate irruzione, anche a costo di vittime civili,” ha aggiunto il giornale.

È allora che un carrarmato ha sparato quello che il Times descrive come “due granate leggere” contro la casa. Come citato sul Times, Hiram non ha menzionato il fatto che i combattenti palestinesi avrebbero detto di aver intenzione di uccidere se stessi e gli ostaggi, da cui la necessità di un’azione immediata per salvarli.

Un altro veterano dell’incidente, un certo colonnello Ashi, ha rilasciato il proprio resoconto in un’intervista con la rete ufficiale israeliana Kan, mandata in onda il 1 marzo.

Secondo Ashi tutti i civili uccisi nella casa di Pessi Cohen erano già morti quando Hiram ha dato l’ordine di sparare le granate.

Non credo che ci fossero ancora persone vive lì,” ha affermato Ashi. “Per quanto ne so le bombe del carrarmato hanno colpito in alto, sopra le travi della casa, quindi non penso affatto che qualcuno ne sia rimasto ferito.”

Ashi ha aggiunto: “In seguito sono entrato nella casa e di nuovo non penso che qualcuno sia stato ferito dalla granata sparata all’interno.”

Il racconto di Ashi è totalmente smentito dalle sopravvissute Hadas Dagan e Yasmin Porat, e contraddice il suo stesso comandante Barak Hiram, che ha sostenuto che il bombardamento era motivato dal desiderio di liberare gli ostaggi vivi.

Nonostante le palesi contraddizioni con le mutevoli versioni degli eventi date da Hiram, neppure Ashi sostiene che un’imminente minaccia da parte dei rapitori palestinesi abbia provocato il bombardamento del carrarmato.

Pentola a pressione”?

Benché il rapporto non usi esplicitamente questo termine, il resoconto ufficiale dell’esercito israeliano sembra dipingere retrospettivamente l’incidente alla casa di Pessi Cohen come un’ordinaria applicazione della cosiddetta procedura militare della “pentola a pressione”, una forma di esecuzione extragiudiziaria abitualmente utilizzata contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Tuttavia c’è scritto che il bombardamento del carrarmato è stato effettuato “in modo professionale, una decisione congiunta presa congiuntamente dai comandanti di tutte le organizzazioni di sicurezza dopo un’attenta riflessione e una valutazione della situazione” con l’“intento di mettere pressione sui terroristi e salvare i civili presi in ostaggio all’interno.”

Nella procedura della pentola a pressione l’esercito circonda un edificio e vi spara contro proiettili progressivamente più potenti, iniziando con quelli piccoli, passando poi a mitragliatrici dei carrarmati, alle granate dei carrarmati o ai missili anticarro, nel tentativo di obbligare ad arrendersi una persona ricercata che si trova all’interno. Se si rifiuta di uscire alla fine le forze israeliane demoliscono la casa su di lei.

In tali casi la demolizione finale della casa intende uccidere gli occupanti. Persino in base agli standard dell’esercito israeliano questa forma di attacco ovviamente non sarebbe servita a salvare gli ostaggi.

Ma concepire l’incidente come l’applicazione di una procedura ben definita potrebbe, nella mente degli autori del rapporto, giustificare le uccisioni in un modo più presentabile per l’opinione pubblica israeliana.

Forse corrisponderebbe più adeguatamente alla direttiva Hannibal, la regola d’ingaggio dell’esercito israeliano, ampiamente applicata il 7 ottobre, che consente l’uccisione di prigionieri insieme ai loro rapitori per impedire che israeliani vengano presi in ostaggio come moneta di scambio.

Imputando ai combattenti della resistenza palestinese le orrende morti che ha provocato, l’esercito assolve il generale di brigata Barak Hiram e lo applaude per aver agito “in coordinamento e con professionalità di fronte a una situazione difficile e complessa.”

La conduzione della battaglia da parte di Hiram è stata guidata dall’obiettivo “di salvare quanti più cittadini possibile,” afferma il capo di stato maggiore Halevi nella sintesi ufficiale del rapporto in ebraico. L’11 luglio, presentando il rapporto ai media israeliani, il portavoce dell’esercito, contrammiraglio Daniel Hagari, ha lodato Hiram per il suo comportamento alla casa di Pessi Cohen il 7 ottobre: “Barak ha agito nel modo migliore possibile. Ha creato l’ordine dove c’era il caos,” ha affermato Hagari.

I complimenti dell’esercito per la conduzione delle operazioni da parte di Hiram quel giorno sarebbero stati eliminati dalla versione presentata, ore prima che il rapporto venisse reso pubblico, agli abitanti di Be’eri e ai loro parenti.

Se l’esercito avesse osato condividere con loro il suo grande elogio di Hiram “ogni uovo rimasto dopo la colazione gli sarebbe stato lanciato addosso,” ha detto a Ynet uno dei presenti.

Significative omissioni

Non sorprende che il rapporto non citi il modo in cui il colonello Golan Vach, comandante dell’unità di soccorso del fronte interno dell’esercito israeliano, ha raccolto i corpi dei morti dopo la battaglia e ha mentito su di essi alla stampa: ha detto a decine di giornalisti di aver raccolto personalmente nel soggiorno di Pessi Cohen i corpi carbonizzati di 15 israeliani, tra cui “otto neonati” che non sono mai esistiti.

Non fa menzione neppure del fatto che Hiram si è impossessato della storia inventata da Vach riguardo agli otto neonati giustiziati dai combattenti palestinesi e ha ripetuto questa sanguinosa calunnia senza fondamento nella sua intervista di ottobre a Ilana Dayan dell’israeliano Channel 12.

In quell’intervista Hiram ha mentito anche quando ha sostenuto che i combattenti palestinesi hanno legato gli otto inesistenti bambini insieme a due adulti e poi li hanno giustiziati tutti e dieci.

Come Dayan, la maggioranza dei media israeliani sta ripetendo acriticamente le menzogne dell’esercito riguardo alla battaglia presso la casa di Pessi Cohen e ignorando la notevole mole di prove che le smentiscono totalmente.

Akiva Novick, inviato dell’emittente pubblica israeliana Kan, ha rimproverato le critiche a Hiram su X, noto in precedenza come Twitter,: “Ora dovrebbero dimostrare umiltà e chiedergli scusa,” ha postato Novick dopo la pubblicazione del rapporto.

Un altro giornalista, Nati Kalish della stazione radiofonica religiosa Kol Chai, ha chiesto un’azione legale contro i detrattori di Hiram: “Chiunque dica anche solo la minima cosa sull’eroe israeliano Barak Hiram deve essere processato per calunnia,” ha twittato Kalish.

Hiram è stato osannato da un suo collega ufficiale che ha anche lui inventato storie di atrocità il 7 ottobre, il maggiore Davidi Ben Zion. “Barak Hiram, tu sei un eroe israeliano! Il popolo ebraico ti saluta,” ha twittato Ben Zion.

Ben Zion, che ha falsamente affermato di aver visto 40 neonati israeliani giustiziati da Hamas, ha aggiunto: “Grazie per quello che hai fatto a Be’eri e scusa per il coro di calunniatori che si è affrettato a giudicarti ingiustamente.”

Il portale d’informazione israeliano Walla ha dato notizia che, pronto ad essere promosso in anticipo a comandante della divisione Gaza o a un’altra posizione importante, il 15 luglio Hiram ha iniziato ad addestrare il successore che lo sostituirà come comandante della Brigata 99.

Benché abbia nascosto come il fuoco del carrarmato ha ucciso almeno tre civili e probabilmente tre volte tanto, se non di più, il rapporto critica anche duramente la condotta di soldati e ufficiali israeliani che il 7 ottobre hanno combattuto a Be’eri.

L’indagine ha rilevato che centinaia di soldati di varie unità si trovavano nei pressi dell’ingresso del kibbutz, ma non vi sono entrati; che le truppe hanno portato via soldati feriti anche mentre civili venivano uccisi nelle proprie case e rapiti verso la Striscia di Gaza; che non hanno aiutato i civili che cercavano di salvarsi; che a volte hanno lasciato il kibbutz senza aver informato i propri comandanti. Ha anche scoperto che i soldati hanno combattuto in modo non professionale in una zona piena di civili,” ha informato Haaretz.

L’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] ha fallito nella sua missione di proteggere gli abitanti del kibbutz Be’eri,” ha concluso il portavoce militare Hagari. È penoso e difficile per me dirlo.”

Se questo è il disprezzo che Israele dimostra per le vite dei suoi stessi civili e per la verità riguardo a come sono morti, allora il suo spregio per le vite dei palestinesi, le vittime del genocidio da parte di Israele, non può che essere superiore come ordine di grandezza.

David Sheen è l’autore di Kahanism and American Politics: The Democratic Party’s Decades-Long Courtship of Racist Fanatics [Il Kahanismo e la politica americana: il fidanzamento durato decenni tra il partito Democratico e i razzisti fanatici] e Ali Abunimah è direttore esecutivo di The Electronic Intifada.

(tradotto dall’inglese da Amedeo Rossi)




La campagna diffamatoria contro la sinistra francese sa di disperazione

David Cronin

25 giugno 2024 – The Electronic Intifada

In Francia il razzismo contro i palestinesi è accettato.

Yonathan Arfi del CRIF [Conseil Représentatif des Institutions juives de France] la più importante organizzazione filo-israeliana a Parigi ha dichiarato allinizio di questanno che non esiste alcuna equivalenza morale tra le vittime collaterali, civili, che non sono state deliberatamente prese di mira, e le vittime del terrorismo”.

Il messaggio è chiaro: per Arfi le vite dei palestinesi non contano.

Lungi dallessere messo da parte per il palese fanatismo e l’atteggiamento sprezzante nei confronti del genocidio che Israele sta perpetrando a Gaza, Arfi e la sua organizzazione intrattengono ancora rapporti cordiali con l’élite al potere francese. A maggio pochi mesi dopo lo spregevole commento di Arfi Gabriel Attal, il primo ministro francese, ha partecipato alla cena annuale del CRIF.

Attal in quell’occasione ha cercato di compiacere i suoi ospiti inveendo contro il partito di sinistra La France Insoumise (LFI).

Diffamare quel partito costituisce un pensiero fisso della lobby filo-israeliana. E nellattuale stagione elettorale le calunnie sono state implacabili.

Arfi è andato fuori di sé quando qualche settimana fa Rima Hassan ha vinto un seggio per LFI al Parlamento Europeo.

Hassan ha trascorso la sua prima infanzia in un campo profughi palestinese vicino alla città siriana di Aleppo prima di trasferirsi in Francia all’età di 10 anni. È stata soprannominata Lady Gazaper la sua energica protesta contro lattuale genocidio.

Quando recentemente ad Arfi è stato chiesto alla radio se considerava la sua elezione al Parlamento europeo un pericolo per gli ebrei, ha risposto sì”.

Arfi non ha prodotto alcuna prova che Hassan rappresenti un pericolo del genere. Invece, ha potenzialmente messo a rischio Hassan sostenendo (ancora una volta senza prove) che lei sarebbe una portavoce di Hamas e che seguirebbe una cultura di violenza politica”.

Domenica prossima [domenica 30 giugno, ndt.] gli elettori francesi si recheranno alle urne per il primo turno delle elezioni dell’Assemblea Nazionale.

Arfi ha affermato che i frequenti riferimenti alla Palestina fatti da La France Insoumise nella sua campagna creano un clima estremamente dannosoper gli ebrei.

La France Insoumise ha stretto un patto elettorale con altri partiti per presentare un fronte comune contro il Raggruppamento Nazionale di estrema destra di Marine Le Pen.

La sola idea che LFI potesse far parte di quel fronte al fianco di partiti considerati più moderati ha rappresentato un anatema per Arfi, che ha anche sostenuto che LFI starebbe promuovendo lodio verso gli ebrei per fini elettorali.

La settimana scorsa Arfi ha affermato che il principale carburante dellantisemitismo dal 7 ottobre è lodio per Israele, che viene strumentalizzato. In precedenza aveva puntualizzato che le generazioni più giovani sarebbero più ricettive allodio per Israele.

Attraverso tali accuse Arfi rivela le sue vere paure.

Israele potrebbe essere percepito come un alleato dalla Francia e da altri governi dellUnione Europea. Tuttavia, il diffuso disgusto nellopinione pubblica nei confronti del genocidio di Gaza rivela come le fondamenta su cui è costruita lalleanza siano sempre più traballanti.

I sostenitori di Israele non oserebbero ammettere che il disgusto sia una risposta diretta alla barbarie di Israele. Quindi devono denigrare chiunque dimostri solidarietà verso i palestinesi descrivendoli come antisemiti.

Tali tattiche saranno familiari a coloro che hanno seguito il modo in cui la lobby filo-israeliana ha creato una crisi di antisemitismoin Gran Bretagna quando Jeremy Corbyn era a capo del partito laburista di quel Paese. Le calunnie contro LFI e il suo più noto rappresentante Jean-Luc Mélenchon sono praticamente identiche a quelle affrontate da Corbyn.

Tuttavia, mentre Corbyn ha cercato una conciliazione con i bulli filo-israeliani, finora LFI li ha contrastati. Si spera che continui a farlo.

David Cronin è un co-redattore di The Electronic Intifada. Tra i suoi libri Balfours Shadow: A Century of British Support for Zionism [L’ombra di Balfour: un secolo di appoggio britannico al Sionismo, ndt.] e Israel and Europes Alliance with Israel: Aiding the Occupation [Israele e l’alleanza europea: un aiuto all’occupazione, ndt.]

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)