Marginalizzare economicamente le donne palestinesi in Israele

Suheir Abu Oksa Daoud –

28 Settembre 2017,Al-Shabaka

Sintesi

Le donne palestinesi cittadine di Israele hanno una delle percentuali più basse di partecipazione al mercato del lavoro, mentre le loro omologhe ebree hanno una delle più alte. Benché i dirigenti del governo israeliano abbiano pubblicamente affermato che il Paese deve incentivare l’economia dei palestinesi di Israele, promuovendo soprattutto il lavoro delle donne palestinesi, le loro affermazioni non sono state seguite da fatti concreti. 1 2

Non sorprende che lo sviluppo palestinese non sia una priorità nell’elaborazione delle politiche israeliane. La minoranza, che costituisce circa il 21% della popolazione totale israeliana di 8,7 milioni, ha sofferto povertà, emarginazione e discriminazione da parte del governo israeliano fin dalla Nakba [l’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi nel ’47-’48 che ha permesso la nascita dello Stato di Israele, ndt.]. Inoltre durante lo scorso decennio le azioni israeliane hanno portato ad un più profondo peggioramento dei rapporti tra i palestinesi e le istituzioni statali e la comunità ebraica. La guerra contro il Libano del 2006 e gli attacchi contro Gaza del 2008 e del 2014, per esempio, hanno ulteriormente allontanato i palestinesi cittadini di Israele.

La lotta delle donne palestinesi per un lavoro in Israele è emblematica dell’oppressione sistematica di questa minoranza da parte di Israele. La bassa percentuale di donne nel mercato del lavoro non è, come in genere si pensa, semplicemente dovuta alla cultura “tradizionale” palestinese o musulmana. Mentre nel passato ostacoli sociali bloccavano il lavoro fuori casa delle donne palestinesi, profondi cambiamenti politici ed economici nella società palestinese hanno contribuito ad una maggiore accettazione e promozione di questo lavoro. Invece le politiche statali israeliane nei confronti delle lavoratrici palestinesi sono state centrali nella loro emarginazione dalla produzione e dal lavoro.

In questo articolo Suheir Daoud tratta dell’emarginazione delle donne palestinesi nel mercato del lavoro israeliano. Esamina il mancato appoggio di Israele alle donne palestinesi che lavorano nell’impiego pubblico come parte di una politica sia storica che attuale che intende isolare e controllare il potenziale della minoranza palestinese al servizio degli interessi della maggioranza ebraica. Conclude con raccomandazioni su quello che i palestinesi possono fare per favorire il lavoro delle donne palestinesi in Israele.

Emarginazione economica fin dalla Nakba

L’emarginazione delle donne palestinesi nel mercato del lavoro israeliano e più in generale l’ostruzionismo allo sviluppo economico dei palestinesi in Israele sono stati obiettivi fondamentali di Israele fin dalla Nakba.

Dopo il 1948 [anno della fondazione dello Stato di Israele, ndt.] Israele ha adottato una politica economica capitalistica intesa ad integrarsi nell’economia mondiale. Uno dei principali obiettivi era di assorbire e fornire un impiego agli immigrati ebrei, e questo scopo venne realizzato attraverso l’espropriazione dei palestinesi. In migliaia persero la propria terra e la propria casa.

In conseguenza di ciò, nei due decenni di legge marziale [in vigore nelle zone palestinesi in Israele dal 1948 al 1966, ndt.] che seguirono la fondazione di Israele, le donne palestinesi lavorarono principalmente in attività come addette alle pulizie e sarte nei villaggi arabi, soprattutto nel Nord [di Israele]. Altri fattori che contribuirono alla loro emarginazione professionale furono una mancanza di opportunità di lavoro nei villaggi e nelle città arabi e il ridotto tasso di alfabetizzazione.

La guerra del 1967 provocò cambiamenti fondamentali nell’economia israeliana, con un afflusso di capitali, di investimenti e di aiuti che creò molto lavoro. Ciò contribuì a un miglioramento delle condizioni di vita e spinse le donne palestinesi in Israele ad entrare nel mercato del lavoro retribuito per garantire risorse supplementari per aiutare le proprie famiglie e cercare di usufruire del miglioramento delle condizioni.

Eppure durante gli anni continuò ad essere difficile per le donne palestinesi garantirsi un lavoro. Negli anni ’90, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, circa un milione di ebrei russi immigrarono in Israele. La maggioranza di questi immigrati era in possesso di titoli di studio superiori ed ottenne lavori come medico e infermiere. Arabi istruiti con professionalità simili vennero sostituiti. Nel contempo russi non qualificati, soprattutto donne, vennero impiegati nelle pulizie, negli alberghi e come operai, portando a licenziamenti generalizzati delle donne palestinesi che avevano occupato quei posti per decenni.

Anche il trattato di pace tra Israele e la Giordania del 1994 contribuì all’emarginazione economica delle donne palestinesi. L’accordo aprì le porte agli investimenti israeliani in Giordania, spingendo Israele ad aprire molte fabbriche là, così come in Egitto. Molte donne palestinesi persero il loro lavoro in fabbrica in Israele, soprattutto nel ramo tessile e dell’abbigliamento, e le possibilità di lavoro in questo settore diminuirono. Alla metà degli anni ’90 il numero di donne palestinesi che lavoravano nelle fabbriche tessili israeliane scese da 10.700 a 1.700. Inoltre Israele accolse migliaia di lavoratori stranieri a lavorare nei settori agricoli e delle costruzioni, portando a una riduzione nella percentuale di lavoratori palestinesi in questi settori, soprattutto donne che svolgevano lavori agricoli stagionali.

Più istruite, ma ancora disoccupate

Dopo la guerra del 1967 l’immigrazione di migliaia di contadini palestinesi nelle città israeliane per lavorare ebbe un significativo impatto sulla struttura dei villaggi e delle famiglie arabi. L’esproprio delle terre da parte di Israele e la trasformazione dei palestinesi in forza lavoro a buon mercato fece sì che le famiglie estese perdessero il proprio sostentamento nell’agricoltura. Le grandi famiglie palestinesi si urbanizzarono e si frammentarono, e le famiglie nucleari divennero più frequenti.

Questi cambiamenti influirono sui rapporti economici e sociali dei palestinesi, compresi i loro atteggiamenti nei confronti dell’educazione delle donne. L’educazione delle ragazze e delle donne diventò più frequente in quanto la nuova generazione divenne più aperta ai concetti di libertà, uguaglianza sociale e ai diritti delle donne3 . E poiché i palestinesi di Israele compresero che l’istruzione era la strategia più importante per avere successo nella società, dopo la fine della legge marziale l’iscrizione di giovani arabi, comprese le donne, nelle università israeliane aumentò.

Allora donne palestinesi istruite fecero carriera, soprattutto nei campi dell’educazione e infermieristico, e contribuirono a fonti aggiuntive, e spesso primarie, di reddito per le loro famiglie. Di frequente lavoravano in scuole arabe come insegnanti, e col tempo dominarono la professione. E nel corso degli ultimi due decenni, le donne palestinesi in Israele si sono impiegate in molti ambiti lavorativi non tradizionali, tra cui il settore legale e giuridico, quello medico, le arti, la produzione cinematografica e l’ingegneria. L’indipendenza economica delle donne lavoratrici ha incentivato la consapevolezza da parte di altre di maggiori opportunità.

Tuttavia le lavoratrici palestinesi sono state l’eccezione piuttosto che la regola. Benché il tasso di impiego sia aumentato per le donne istruite, la partecipazione femminile palestinese nel mercato del lavoro israeliano non è stata commisurata al loro livello di istruzione. La loro percentuale di partecipazione è una delle più basse al mondo, di circa il 21%. Questo dato è rimasto pressoché costante per più di 20 anni, mentre nello stesso periodo quello delle donne ebree è aumentato – dal 47% nel 1990 al 59% nel 2016. L’attuale tasso per le donne ebree è uno dei più alti al mondo, superiore persino a quello degli Stati uniti, al 56%. Mentre i dati dell’ONU mostrano negli ultimi decenni un costante aumento della partecipazione femminile al lavoro salariato a livello globale, il modesto tasso di lavoro per le donne palestinesi in Israele racconta anche una storia diversa.

Ostacoli al lavoro delle donne palestinesi da parte dello Stato

L’incremento nelle assunzioni in ogni ordine di scuola tra le donne palestinesi in Israele dimostra che non sono solo la “cultura palestinese” o “l’Islam” che impediscono alle donne di ottenere un impiego, ma lo Stato israeliano.

Israele sottopone la propria minoranza palestinese a politiche discriminatorie che le negano, benché [si tratti di] cittadini israeliani, molte posizioni di alto livello, in molti casi per ragioni di “sicurezza”. Per esempio, istituzioni governative come la Banca Centrale di Israele, aeroporti e mezzi di comunicazione statali raramente assumono palestinesi. Inoltre, benché la legge israeliana per le pari opportunità vieti ai datori di lavoro discriminazioni sulla base del sesso, della razza o della religione contro chi si offre per un lavoro, le donne palestinesi che fanno domanda [di lavoro] si trovano di fronte a pregiudizi. Un velo da donna o un ebraico con un accento [arabo] sono spesso invocati come giustificazione per negare loro l’assunzione.

Israele continua anche a privare i palestinesi del loro ruolo nell’agricoltura, espropriando la loro terra e negando i sussidi governativi per i coltivatori. E i successivi governi israeliani hanno rifiutato lo sviluppo di città e villaggi arabi e continuano a perseguire politiche discriminatorie in termini di finanziamenti, pianificazione urbana, progetti di edilizia, trasporti pubblici e zone industriali che potrebbero fornire opportunità di lavoro.

Di conseguenza piccole città e villaggi arabi, i cui dirigenti sono anche noti per il malgoverno e la corruzione, soffrono a causa dello scarso sviluppo e pianificazione e per una limitata rete di trasporti, soprattutto nei nuovi quartieri, che spesso mancano di strade asfaltate e di servizi. Questa mancanza di mezzi di trasporto impedisce alle donne palestinesi di garantirsi un lavoro. Uno studio dell’organizzazione femminista “Kayan” ha mostrato che, mentre il numero di donne palestinesi in Israele che ottengono la patente di guida è in aumento, il 37% di chi ha risposto ha affermato di non poter comprare un’automobile per la mancanza di mezzi finanziari, e il 23% ha detto di non possedere una macchina a causa delle tradizioni e delle barriere sociali. Per esempio, le donne druse hanno il divieto di guidare per ragioni religiose, benché alcune di loro abbiano sfidato questo divieto e guidino automobili.

Anche la grave carenza di asili-nido nelle zone palestinesi impedisce alle donne di entrare nel mercato del lavoro. In effetti solo 25 asili finanziati dal governo operano nelle zone arabe di Israele, mentre in quelle ebraiche ce ne sono 16.000.

Persino quando lavorano, le donne palestinesi patiscono di una differenza di stipendio e di una doppia discriminazione, in quanto vivono in una società maschilista che inoltre discrimina gli arabi a favore degli ebrei. Benché la legge israeliana preveda salari uguali sul lavoro, tutte le donne in Israele guadagnano il 15% in meno rispetto agli uomini, e i cittadini palestinesi maschi di Israele guadagnano stipendi dimezzati rispetto ai loro colleghi ebrei per lo stesso lavoro.

Queste varie difficoltà obbligano molte donne palestinesi a rimanere a casa e ad occuparsi dei loro figli piuttosto che cercare un lavoro nella sfera pubblica.

Il ruolo del patriarcato

Come altre società industrializzate, Israele è patriarcale, basato sull’idea della superiorità maschile. Questo si può vedere nella separazione tra il privato ed il pubblico e nella differenza di stipendio tra uomini e donne.

Sia nella società ebraica che in quella palestinese atteggiamenti patriarcali riguardo al ruolo della donna e al lavoro fuori casa stanno cambiando. Tuttavia un cambiamento formale è stato evidente solo tra le donne ebree israeliane. Il patriarcato israeliano non ha impedito alle donne ebree di raggiungere uno dei più alti indici del mondo nella partecipazione al lavoro, mentre quella delle donne palestinesi rimane bassa.

La grande maggioranza della società araba appoggia una maggiore istruzione e il diritto al lavoro delle donne, benché questo appoggio si riduca in qualche misura tra quelle che si identificano con la religione, indipendentemente da quale essa sia. Eppure persino il “Movimento Islamico” in Israele, tradizionalmente accusato di conservatorismo riguardo alle donne, ha sottolineato l’importanza dell’educazione femminile. La sezione settentrionale del movimento, messa fuori legge da Israele, appoggia l’educazione delle donne anche se continua a isolare ragazzi e ragazze e a costruire scuole separate per le ragazze.

Cambiamenti nella cultura patriarcale palestinese sono stati più rapidi e più complessivi tra la gente della Galilea [nel nord di Israele, ndt.], tra i cristiani e tra le donne che si definiscono laiche. Le donne cristiane partecipano al mercato del lavoro con una percentuale del 45%, contro il 23,9% delle donne musulmane. Questa differenza può essere attribuita al fatto che la maggioranza delle donne cristiane vive nelle città, dove le donne trovano maggiori opportunità di lavoro rispetto a quelle che vivono in periferia o nei villaggi. I membri della comunità cristiana iscrivono inoltre i propri figli nei corsi scolastici superiori più dei loro omologhi musulmani ed ebrei, tendono a sposarsi più tardi e hanno il più basso livello di natalità dello Stato4 . Questi fattori, così come il fatto che le donne cristiane non sono sottoposte alle stesse restrizioni di quelle di altre religioni o che vivono in certe zone, come nel Naqab [Negev in arabo, ndt.], hanno contribuito a incrementare la loro partecipazione al mondo del lavoro.

Le donne beduine del sud del Naqab hanno il livello più basso di partecipazione tra le donne palestinesi, con solo il 6% della forza lavoro. La repressione israeliana dei beduini del Naqab, che sono circa 130.000, ossia l’11% della popolazione palestinese all’interno dello Stato, contribuisce a questa bassa percentuale.

La comunità beduina deve far fronte alla costante minaccia di deportazione e demolizione delle proprie case. Numerose leggi che potrebbero migliorare la condizione delle donne beduine, come il codice penale del 1977 che stabilisce una condanna a cinque anni per poligamia, non vengono applicate, e la poligamia tra gli uomini beduini è salita al 20-30%. Tuttavia l’istruzione delle donne sta aumentando nel Naqab, ed un crescente numero di donne beduine studentesse universitarie ed attiviste sta lavorando per aiutare le donne dal punto di vista sociale e a sfidare le politiche razziste dello Stato.

Sfide palestinesi al sistema israeliano

La società civile palestinese in Israele gioca un importante ruolo nell’appoggiare l’autonomia delle donne, anche organizzando campagne di sensibilizzazione, seminari e corsi di formazione per promuovere l’emancipazione femminile, così come pubblicando rapporti e ricerche sulle donne. Molte organizzazioni locali femminili, compresa l’organizzazione femminista “Kayan” di Haifa e “Donne contro la violenza” di Nazareth, si concentrano soprattutto sulla violenza contro le donne. Alcune organizzazioni israeliane operano all’interno della comunità palestinese sotto amministrazione palestinese, come “Shatil”, che appoggia le organizzazioni palestinesi che si concentrano sull’emancipazione delle donne, e organizzazioni dei diritti umani come il “Centro Mossawa” e “Adalah”.

Eppure i politici e le organizzazioni palestinesi in Israele concentrano le proprie azioni soprattutto su seminari, incontri e dichiarazioni. Raramente vengono proposti una politica pragmatica, un piano di azione specifico o un quadro inclusivo per coordinarsi tra i partiti. Ed anche quando è proposta una politica, tali iniziative in genere mancano di verifica. Questo è stato il caso della “Prospettiva futura degli arabo-palestinesi in Israele”, che è stata progettata da Ong e docenti universitari palestinesi in Israele. Il documento intende confermare i diritti storici della minoranza palestinese e chiede uno Stato inclusivo invece di uno “Stato democratico ebraico”.

Tuttavia alcuni parlamentari palestinesi alla Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] stanno lavorando per migliorare la condizione delle donne palestinesi nel mercato del lavoro e per garantire loro l’applicazione delle leggi sul lavoro. Tra questi c’è la deputata Aida Toma-Suleiman [deputata palestinese cristiana eletta nella “Lista unitaria”, ndt.], del “Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza” [coalizione di sinistra marxista, ndt.], che spinge per l’applicazione delle leggi che garantiscono l’inclusione delle donne. Anche la “Lobby delle Donne in Israele” sta lavorando con un numero verde per ricevere lamentele di donne sottoposte a pratiche di lavoro illegale e per assisterle nei processi.

Alcuni deputati palestinesi maschi, compreso Massoud Ghanayem, della sezione meridionale del “Movimento Islamico”, condannano fermamente lo sfruttamento delle donne sul posto di lavoro. Chiedono protezione ed appoggio per le lavoratrici e un controllo più rigido sul lavoro. Sostengono anche diritti come lo stipendio minimo. L’ex-deputato Issam Makhoul [del “Fronte Democratico”, ndt.] ha affermato che il fatto che Toma-Suleiman sia a capo della commissione delle donne alla Knesset è un indicatore positivo ed importante dell’appoggio ai diritti delle donne palestinesi.

Gli ostacoli che si trovano di fronte le donne palestinesi in Israele necessitano di azione, soprattutto da parte di intellettuali, partiti e leader religiosi palestinesi per cambiare i preconcetti ed ampliare il ruolo e la partecipazione delle donne. Mentre si devono concentrare sull’appoggio all’emancipazione delle donne dalle strutture patriarcali che determinano il loro ruolo all’interno della famiglia, devono soprattutto lottare contro le politiche repressive e discriminatorie di Israele.

Cosa possono fare i palestinesi

Poiché l’ideologia e la prassi israeliane sono volte principalmente all’esclusione dei palestinesi, soprattutto delle donne, dal lavoro e dallo sviluppo in Israele, i palestinesi in Israele devono assumere un ruolo guida nella progettazione e messa in opera di strategie per migliorare la partecipazione delle donne nella sfera pubblica. Qui di seguito vengono fatte alcune raccomandazioni per l’azione.

  • I cittadini palestinesi devono organizzare campagne internazionali di pressione per spingere il governo israeliano a ottemperare ai suoi obblighi verso l’OECD [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, organismo intergovernativo composto da 35 Paesi membri, ndt.] ed altre organizzazioni internazionali che prescrivono l’uguaglianza riguardo al sesso, alla razza o ad altri fattori.

  • L’”Alto Comitato di Controllo per i Cittadini Arabi di Israele” deve assumere un ruolo centrale come ente politico nazionale che rappresenta tutti i palestinesi in Israele e sviluppare meccanismi chiari ed integrati per affrontare l’emarginazione delle donne palestinesi nel mercato del lavoro. Deve anche condurre uno studio annuale dell’iniziativa “Prospettiva futura degli arabo-palestinesi di Israele” del 2006 per analizzare le dimensioni di questa messa in pratica e, se necessario, avanzare proposte ulteriori o alternative.

  • Le autorità locali palestinesi devono coordinarsi e collaborare per costruire reti di trasporti alternative ed aprire asili-nido nei villaggi e nelle città palestinesi.

  • La società civile e le organizzazioni dei diritti umani devono educare le donne sui loro diritti e su come affrontare le difficoltà e lo sfruttamento sul lavoro. Queste organizzazioni dovrebbero fornire aiuto legale alle donne presentando reclami e azioni legali nei casi di discriminazione e sfruttamento.

Altri passi possono essere intrapresi dai mezzi di comunicazione, da comunità e dai dirigenti palestinesi. Solo con simili azioni coordinate e integrate le donne palestinesi di Israele inizieranno a mettere in pratica il proprio potenziale e ad esercitare i propri diritti.

Notes:

  1. Al-Shabaka è grato per lo sforzo dei sostenitori dei diritti umani per la traduzione di questi testi, ma non è responsabile per eventuali modifiche del significato.

  2. Questo articolo è ricavato dalla tesi magistrale dell’autrice “Donne lavoratrici palestinesi in Israele,” Clark University, 2003, e da “Donne lavoratrici palestinesi in Israele: oppressione nazionale e restrizioni sociali”, Journal of Middle East Women’s Studies 8, 2 (Spring 2012): 78- 101.

  3. Anche la “Legge per l’obbligo scolastico di Israele” del 1949, che rende obbligatoria l’educazione per i bambini dai 5 ai 13 anni, ha aiutato a stimolare questo cambiamento.

  4. Le donne cristiane in Israele hanno una natalità di 2,2 rispetto al 3,5 delle musulmane e al 3 delle ebree.

Suheir Abu Oksa Daoud

Suheir Abu Oksa Daoud, membro di Al-Shabaka, ha un dottorato in scienze politiche dell’Università Ebraica di Gerusalemme ed è professore associato nel dipartimento di politiche alla “Coastal Carolina University”, Conway, South Carolina. E’ stata assistente ospite all’ “Harvey Mudd College”, borsista post dottorato al “Pomona College” e ricercatore in visita al “Center for Contemporary Arab Studies” alla “Georgetown University”. In precedenza ha lavorato come consulente di un parlamentare della Knesset. Daoud ha pubblicato quattro volumi di poesie e di letteratura arabe e il suo libro universitario “Palestinian Women and Politics in Israel” [Donne palestinesi e politica in Israele] è stato pubblicato nel 2009 dalla University of Florida Press. 

(traduzione di Amedeo Rossi)