La “S” in BDS: L’insegnamento della Campagna della Elbit Systems (Parte I)

Da: Al-Shabaka

Al-Shabaka è un’organizzazione indipendente senza scopo di lucro la cui missione è di educare e stimolare il dibattito pubblico sui diritti umani palestinesi e sull’autodeterminazione nel quadro del diritto internazionale.

In questo documento programmatico di Al-Shabaka, Maren Mantovani e Jamal Juma analizzano alcune delle congiunture che il complesso militare industriale di Israele si trova ad dover affrontare, con un focus particolare sulla campagna contro la Elbit Systems.

6 settembre 2016

Il rapporto esamina i momenti difficili che attendono il settore, il mito della superiorità tecnologica israeliana, i cambiamenti locali e globali del settore, e le alleanze emergenti al fine di ribaltare (il processo di, n.d.t.) militarizzazione e la cartolarizzazione delle aziende. Sulla base di questa analisi, essi traggono insegnamenti importanti e identificano, per il movimento globale per la solidarietà palestinese, gli indirizzi da perseguire.

Le più grandi aziende militari di Israele l’anno scorso hanno lanciato il segnale d’allarme per un calo dei contratti internazionali, citando tra i motivi i budget ridotti, una maggiore concorrenza e una minore richiesta dei prodotti israeliani. Si tratta di un indicatore del fatto che l’industria delle armi israeliana potrebbe non essere così imbattibile come sembra? Che cosa ha indotto il crollo del commercio di armi con le aziende israeliane? Qual è stato il ruolo del movimento a guida palestinese per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), che ha chiesto le sanzioni militari come parte della sua campagna per promuovere i diritti umani?

Un settore “imbattibile” si confronta con momenti difficili.

Per anni, i palestinesi e i loro sostenitori – personaggi mondiali come Desmond Tutu, Adolfo Peres Esquivel, Naomi Klein e Noam Chomsky – hanno chiesto un embargo militare immediato e globale contro Israele sostenendo la sua responsabilità nelle violazioni dei diritti umani dei palestinesi. Decine di migliaia di persone hanno firmato petizioni e gli attivisti hanno manifestato contro le aziende legate al settore militare israeliano. Negli ultimi dieci anni, gli attivisti hanno condotto una campagna contro la Elbit Systems, una delle più grandi compagnie militari di Israele. Lo sforzo va da pressioni a livello governativo ad attività di blocco delle filiali della Elbit in paesi come l’Australia, il Regno Unito (UK), e il Brasile.

Una dozzina di istituti finanziari, tra cui quasi tutti i principali fondi pensione scandinavi, non stanno più investendo nella Elbit Systems. Inoltre, e in particolare a seguito di importanti attacchi israeliani, alcuni governi europei hanno adottato misure restrittive, inclusi il congelamento temporaneo del commercio di armi e il rifiuto di licenze di esportazione di armi. Ad esempio, il Regno Unito ha revocato cinque licenze di esportazione di armi dopo il massacro di Gaza del 2009-10, la Spagna ha congelato la vendita di armi dopo il massacro di Gaza del 2014, e durante il periodo del suo governo di centro-sinistra (2005-13), la Norvegia ha rifiutato costantemente le licenze di esportazione di armi a Israele e ha anche impedito che un costruttore tedesco sperimentasse nelle sue acque sommergibili di appartenenza israeliana. Il Sud Africa ha di fatto cessato le sue relazioni militari con Israele.

Eppure, fino a poco tempo sembrava che queste azioni mantenessero un impatto simbolico: L’industria militare israeliana appariva imbattibile, come le armi che produceva. La situazione è cambiata nel mese di ottobre dello scorso anno, quando le più grandi aziende militari di Israele hanno chiesto un incontro con il governo per discutere su come affrontare la riduzione delle esportazioni militari, che si prospettavano, al momento, in calo dai 7,5 miliardi di dollari del 2012 ai circa 4,5 miliardi di dollari nel 2015. Le aziende sottolineavano che il margine di profitto dell’industria della difesa di Israele è di circa il 4,5 per cento – 5,5 per cento, contro l’8 per cento – 9 per cento del settore della difesa in ambito mondiale. Esse adducevano come motivi “budget ridotti, maggiore concorrenza, minore richiesta di prodotti israeliani, e la crescita delle richieste di trasferimento di know-how e di lavoro all’estero.

La spesa militare globale è rimasta pressoché invariata negli ultimi anni e in effetti è aumentata dell’1 per cento nel 2015. Ci si aspetta  che le entrate da uno dei prodotti di esportazione militari chiave di Israele – i droni – dovrebbe quasi raddoppiare da 6,4 miliardi a 11,5 miliardi di dollari tra il 2014 e il 2024. Mentre le ragioni citate dall’industria militare israeliana sembrano rappresentare una descrizione accurata delle tendenze nel settore del commercio militare mondiale, il calo delle esportazioni israeliane non può essere spiegato semplicemente a causa di una mancanza di domanda per gli armamenti.

È vero, l’industria militare israeliana è riuscita a garantire le esportazioni per oltre 5 miliardi di dollari nel 2015 – una lieve ripresa rispetto all’anno precedente – e gli sviluppi politici a livello mondiale possono essere di buon auspicio per il settore nel prossimo futuro. Ma il complesso militare industriale si trova ad affrontare cambiamenti nelle dinamiche del suo commercio e della propaganda. L’erosione del marchio “Made in Israel”, anche nei settori della difesa e della sicurezza, alla quale hanno contribuito gli sforzi del movimento BDS 2014, è un terreno fertile in cui i sostenitori dei diritti umani possono ottenere un cambiamento.

Interrogato di recente circa l’impatto del BDS sulle operazioni della Elbit Systems, l’amministratore delegato Bezhalel Machlis ha ammesso: “Non sto dicendo che non sia una minaccia, ma penso che complessivamente siamo in grado di gestire la cosa.” Gli attivisti per i diritti umani stanno ora affrontando la sfida di incrementare la capacità del movimento BDS in modo che incida sull’economia di guerra israeliana in misura tale che possa passare dall’essere una minaccia al diventare un cambiamento definitivo.

In che modo la Elbit Systems e la campagna Brand Israel stanno perdendo terreno.

(Dopo, n.d.t.) quasi un decennio di campagna per fermare  investimenti, contratti e altre forme di cooperazione con la Elbit Systems, alcuni insegnamenti possono essere tratti circa il mix di dinamiche di mercato, strutture di governo, e l’attivismo, che contribuisce al cambiamento. Questa sezione si concentra sulle più recenti perdite subite dalla Elbit in Francia e in Brasile: due governi che hanno avuto visioni quasi opposte sulla Palestina e la legittimità del movimento BDS.

La decisione contraria della Francia all’offerta della Elbit nella sua ultima gara sui droni, all’inizio del 2016, è stata una cattiva, inaspettata, notizia per l’azienda. Il drone Watchkeeper, ora scartato, deriva dal drone Elbit Hermes 450, che venne utilizzato nei massacri contro Gaza. Il Watchkeeper era in costruzione nel Regno Unito da una joint venture tra Elbit e una società del Regno Unito. Un intensa campagna della società civile in Francia ha chiesto l’esclusione del Watchkeeper dalla gara per motivi di coinvolgimento della Elbit in crimini di guerra israeliani, mentre nel Regno Unito gli attivisti hanno protestato nei confronti del sito di produzione del Watchkeeper.

La società francese Segem, che alla fine ha vinto l’appalto, ha minimizzato il fatto che i suoi droni includono anche la tecnologia Elbit. Invece, ha celebrato la sua tecnologia e produzione “nazionale”. Solo pochi anni fa, il tag “Made in Israel” sarebbe stato valutato come un plus per un drone. Oggi, la crescente tendenza a garantire la crescita delle industrie militari nazionali e un optimum di trasferimenti di tecnologie ha rappresentato un elemento centrale, erodendo il fascino della tecnologia militare israeliana in tutto il mondo. Questo inoltre, in ultima analisi, contribuisce ad uno degli obiettivi dei difensori dei diritti umani palestinesi – la riduzione dei profitti che Israele ricava dalla sua macchina da guerra – e rafforza il sostegno per l’acquisizione dei risultati.

Non è chiaro fino a che punto la pressione del movimento di solidarietà con la Palestina abbia influenzato la decisione del governo francese, che ha sviluppato leggi contro il BDS ancora più draconiane di quelle in Israele. Tuttavia, nel mese di aprile Israele ha riferito che nel 2015 il governo francese ha respinto un altro affare, in questo caso riguardo la tecnologia di sorveglianza. Fox News ha citato un “esperto israeliano dell’antiterrorismo molto titolato:” “Alle autorità francesi è piaciuto, ma il funzionario è tornato e ha riferito che esistevano istruzioni dall’alto di non comprare la tecnologia israeliana” Se il rapporto non è una propaganda rivolta a spingere avanti altri contratti, indica una riluttanza inaspettata all’interno degli ambienti governativi francesi a stipulare accordi con Israele.

In Brasile, la filiale locale della Elbit, AEL Sistemas, ha visto la fine di un decennio, durante il quale i suoi ricavi sono cresciuti in modo esponenziale, con una quota in ogni grande progetto di difesa brasiliana. Il paese è stato uno dei maggiori importatori di armi israeliane, quinto tra il 2009 e il 2014 e uno dei clienti più importanti per i droni  Elbit. Tuttavia, nel dicembre 2014, la società ha perso il suo primo progetto strategico: il governo di Rio Grande do Sul, nel sud del Brasile, ha annullato un memorandum d’intesa con AEL Sistemas per lo sviluppo di un parco tecnologico per la costruzione di satelliti militari. L’accordo è stato contrastato da una intensa campagna della società civile per un embargo militare. Questa campagna era fondata sulla solidarietà con il popolo palestinese e sulla necessità di porre fine all’impunità di Israele, ma è andata anche oltre. Ha ‘smascherato il tentativo di AEL Sistemas’ di passare come una società brasiliana e ha rivelato che era una filiale israeliana, sottolineando il fatto che le imposte brasiliane sarebbero state incanalate verso Israele. Inoltre, ha dimostrato che il trasferimento di tecnologia, in effetti, sarebbe passato dalle università brasiliane ad una società israeliana. In definitiva, il governo ha addotto vincoli di bilancio e il suo impegno alla cooperazione con la comunità e palestinese e ai movimenti come ragioni per porre fine al progetto. Questa è stata una chiara vittoria per il movimento BDS.

Nel mese di gennaio del 2016, la Elbit Systems ha dovuto abbandonare il suo progetto di ricerca e sviluppo del drone (R & S) in Brasile, che aveva lanciato nel 2011 in pompa magna. Il Ministero della Difesa, guidato da un membro del partito comunista filo-palestinese del Brasile, fino al colpo di stato contro il governo del maggio di quest’anno, ha rifiutato i fondi per la sua attuazione. La reticenza del ministero è stata senza dubbio influenzata dalla presa di posizione politica del governo brasiliano. Un alto funzionario della difesa brasiliano ha scatenato una discussione sui media, quando ha avvertito che la spaccatura diplomatica provocata dal rifiuto del Brasile di accettare un leader dei coloni come ambasciatore di Israele avrebbe potuto ritardare l’esecuzione dei contratti militari tra i due paesi. Questa preoccupazione è stata ripresa da altre figure come l’ex-ministro della Difesa, Celso Amorim, il quale sosteneva che ora è il “tempo di diversificare i nostri fornitori” e ridurre la dipendenza eccessiva dalla tecnologia israeliana.

Vale la pena notare che le organizzazioni palestinesi come Stop the Wall e il movimento di solidarietà con la Palestina avevano fornito la prova del fatto che il software, il monitoraggio e la tecnologia di sorveglianza israeliana erano a quel tempo parte integrante di quasi tutti i progetti di sviluppo industriale strategici del Ministero della Difesa brasiliana.

La tecnologia avionica nella maggior parte dei velivoli, l’arsenale dei droni in Brasile, la tecnologia di sorveglianza nei sistemi di controllo delle frontiere, la tecnologia dei carro armati del Brasile, e il sistema di comunicazione delle forze di mare brasiliane sono tutti forniti sia dalla Elbit Systems o da Israel Aerospace Industries  che dalle loro filiali. Ciò si traduce in modo efficace in una perdita di sovranità nazionale e indipendenza, i principi fondamentali sui quali sono impegnate le strutture della difesa. Un rapporto del 2015 da The Marker, il più importante quotidiano economico di Israele, ha giustamente sottolineato che “ragioni politiche” hanno portato a un congelamento de facto delle transazioni militari con il Brasile – uno sviluppo che è particolarmente doloroso per la Elbit Systems.

Senza dubbio, i tempi duri che la Elbit Systems ha dovuto affrontare in Brasile sono in gran parte causa dell’inasprirsi delle relazioni tra Brasile e Israele durante gli ultimi anni del governo guidato dal Partito dei Lavoratori, che ha governato il paese dal 2003 al maggio 2016. Questo a sua volta è in parte il risultato della crescente influenza del movimento BDS nel paese e l’accettazione delle sue argomentazioni nell’ambito di settori del Partito dei Lavoratori. Le campagne di sensibilizzazione che cercano di smantellare

il “Brand Israel” sottolineano che le armi israeliane sono “testate sul terreno” contro i palestinesi e avvertono il pubblico del fatto che i soldi delle tasse vengono spesi per sostenere le imprese militari israeliane. Queste strategie sono penetrate fin dentro l’organizzazione della difesa. Tuttavia, sarà ora necessario per i sostenitori per i diritti umani dei palestinesi identificare nuove strategie, dato il colpo di stato contro il Governo eletto.

Il fallimento del Watchkeeper nel vincere la gara coi droni francesi dimostra che anche in contesti del tutto ostili alle richieste di un embargo militare, l’incantesimo della tecnologia militare israeliana può sbiadire e altri interessi possono prevalere. E’ fondamentale capire che cosa, in un governo apparentemente antagonista ad atteggiamenti pro-Palestina, sta creando spaccature tra i settori militari israeliano e francese e come capitalizzare su questo nel migliore dei modi. Una nuova proposta per un ulteriore contratto su droni, in cui la Elbit Systems è di nuovo tra gli offerenti, rende questo sforzo urgente.

Ciò che queste occasioni di studio dimostrano è che investire tempo ed energia nella comprensione  delle dinamiche nei settori della sicurezza e della difesa della patria è fondamentale per lo sviluppo efficace dell’attivismo del BDS. In questa fase, dato che i vantaggi di una cooperazione militare con Israele diventano sempre più discutibili, gli attivisti  per la Palestina  possono usare questa conoscenza acquisita per fornire, o trovare, alleati che possono offrire argomenti che soddisfano gli interessi dei decisori nazionali. Il risultato netto potrebbe essere la riduzione del mercato dell’industria militare israeliana.

Fonte:  Ma’an News Agency

Traduzione di Aldo Lotta per BDS Italia