Alla fine la lobby israeliana dovrà fronteggiare delle conseguenze

Yves Engler

2 ottobre 2020 – The Palestine Chronicle

Quanto è troppo? Quand’è che i nazionalisti israeliani in Nord America si screditeranno del tutto a causa di un uso eccessivo del loro potere per annientare coloro che difendono i palestinesi?

L’attuale spregiudicatezza della lobby israeliana è notevole. Recentemente hanno convinto Zoom ad annullare un dibattito sponsorizzato da un‘università , un importante facoltà di legge a revocare un’offerta di lavoro, un’emittente pubblica a scusarsi per aver usato la parola Palestina e alcune aziende a interrompere le consegne per un ristorante.

Una settimana fa gruppi di pressione israeliani hanno convinto Zoom a cancellare dibattito alla San Francisco State University con l’icona della resistenza palestinese Leila Khaled [membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ndtr.] l’ex ministro sudafricano Ronnie Kasrils, la direttrice degli studi sulle donne alla Birzeit University Rula Abu Dahou [Bir Zeit è una città palestinese situata a circa 25 km a nord della città di Gerusalemme, alla periferia di Ramallah, ndtr.] e altri. Si ritiene che sia la prima volta che Zoom sopprima un dibattito sponsorizzato da un’università[vedi Zeitun]

Il mese scorso la lobby israeliana ha sollecitato la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Toronto a revocare un’offerta di lavoro per dirigere il suo Programma internazionale sui diritti umani. La pressione rivolta a bloccare la candidata della commissione per le assunzioni, Valentina Azarova, è giunta dal giudice David Spiro, che è stato a Toronto un ex co-presidente del Center for Israel and Jewish Affairs (CIJA) [organizzazione sionista di difesa ebraica e agenzia delle federazioni ebraiche del Canada, ndtr] e il cui zio Larry Tanenbaum possiede i Toronto Raptors [squadra di pallacanestro che milita nel massimo campionato professionistico statunitense e canadese, ndtr.] e la cui nonna Anne Tanenbaum ha finanziato il centro per gli studi ebraici dell’Università di Toronto. Mentre gli sforzi di Spiro erano segreti, B’nai B’rith [loggia massonica ebraica nata nel 1843 durante la presidenza di John Tyler ed ancora esistente ed attiva, ndtr.] ha apertamente invitato gli amministratori dell’Università di Toronto a bloccare la decisione del comitato di assunzione.

The Current [popolare programma radio canadese del mattino, ndtr.] della CBC si è recentemente scusato per aver utilizzato la parola “Palestina”. Il 18 agosto il presentatore ospite Duncan McCue ha presentato l’artista grafico Joe Sacco facendo riferimento al suo lavoro in Bosnia, Iraq e Palestina (Sacco ha prodotto un’opera chiamata Palestina). All’inizio dell’edizione del giorno successivo, McCue si è scusato per aver menzionato la Palestina e la Honest Reporting Canada [Honestreporting è un’organizzazione non governativa che “monitorizza i media riguardo le scorrettezze riguardanti Israele”, ndtr.] si è vantata dei propri interventi per fare pressione sull’emittente pubblica affinché non impieghi la parola P.

Come parte del tentativo di mandare in bancarotta un piccolo ristorante di Toronto simpatizzante per la sinistra che mostra sulla propria vetrina il messaggio “I love Gaza”, la CIJA e B’nai B’rith hanno condotto con successo una campagna per bloccare i servizi di consegna da parte di Foodbenders [rinomata azienda di Toronto che provvede alla fornitura di piatti pronti, ndtr.], oltre i contratti istituzionali e gli account sui social media. Si sono alleati con l’organizzazione di estrema destra Jewish Defense League e altri che hanno vandalizzato il ristorante a luglio.

In un articolo di agosto su Walrus [rivista politico-culturale canadese, ndtr.] intitolato “L’obiettività è un privilegio concesso ai giornalisti bianchi”, l’ex giornalista della CBC Pacinthe Mattar descrive un caporedattore che interviene per sopprimere un’intervista da Gerusalemme con Ahmed Shihab-Eldin, un giornalista di origini palestinesi con una nomina agli Emmy. Molti mesi dopo a Mattar non ha ottenuto una promozione già prevista da parte deldirettore che aveva deciso di non mandare in onda l’intervista del 2017 da Gerusalemme”, il quale “aveva espresso il timore che io fossi di parte e quindi non dovessi essere promossa, opinione condivisa da alcuni altri membri del comitato di redazione. Ed è andata così.”

Le organizzazioni anti-palestinesi stanno conducendo una campagna aggressiva per far sì che Facebook adotti la definizione di antisemitismo centrata su “basta con le critiche ad Israele”, della International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) [organizzazione intergovernativa che unisce i governi e gli esperti per rafforzare, promuovere e divulgare l’educazione sull’Olocausto, ndtr.]. L’obiettivo esplicito di coloro che promuovono la definizione di antisemitismo dell’IHRA è quello di mettere a tacere o emarginare chi critica la spoliazione dei palestinesi e sostiene il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento, le sanzioni (BDS) guidato dalla società civile palestinese.

La macchina della censura della lobby israeliana procede nonostante siano sempre più palesi il razzismo, l’ occupazione e le violazioni dei diritti israeliani. Molti di coloro che sono stati presi di mira nelle vicende di cui sopra hanno sofferto emotivamente e in termini di carriera, ma l’impatto su di loro sono è insignificante rispetto alle umiliazioni quotidiane che soffrono i palestinesi. Lo Stato israeliano continua a rubare territori palestinesi in Cisgiordania, a mantenere un blocco punitivo su Gaza e a consentire agli ebrei di Toronto di emigrare mentre i palestinesi cacciati dalle loro case nel 1948 non possono nemmeno andare a visitare [il loro Paese, ndtr.], figuriamoci emigrarvi.

La lobby israeliana è una forza politica compatta. Radicata nel colonialismo europeo e negli interessi regionali dell’impero statunitense, è sostenuta da molti zelanti miliardari e da una parte sostanziale di una comunità etnico / religiosa generalmente influente. Inoltre sfrutta in modo grossolano il vittimismo. Come John Clark ha recentemente postato su Facebook, “Il sionismo è l’unica ideologia politica che conosco che sostenga che il disaccordo con essa rappresenti un crimine d’odio”.

Fortunatamente, ogni campagna di esclusione e diffamazione che intraprende allontana nuove persone e apre gli occhi ad altre. Sfortunatamente, molte altre persone ben intenzionate subiranno conseguenze emotive e finanziarie prima che la macchina della censura della lobby israeliana venga fermata.

  • Yves Engler è l’autore di Canada and Israel: Building Apartheid [Canada e Israele: la costruzione dell’apartheid, ndtr.] e una serie di altri libri. Ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Ridefinire l’antisemitismo su Facebook

Neve Gordon

22 settembre 2020 – Al-Jazeera

Se Facebook adottasse la definizione di antisemitismo dell’ IHRA, ciò sarebbe dannoso per la libertà di parola.

Con i suoi 2,7 miliardi di utenti Facebook è la rete sociale più estesa e probabilmente più influente del mondo. Pertanto, non sorprende che le organizzazioni sioniste di destra labbiano identificata come una piattaforma chiave per promuovere i loro progetti.

Diversi anni fa, ad esempio, il Ministero israeliano degli Affari strategici insieme agli studenti dell’IDC, un’università israeliana di Herzliya, ha contribuito a creare ACT.IL, una “comunità online che si impegna nel promuovere un’influenza positiva sull’opinione pubblica internazionale nei confronti dello Stato di Israele tramite le piattaforme dei social media”. ACT.IL ha creato un esercito di troll [agenti provocatori o che condizionano l’opinione pubblica attraverso le reti sociali, ndtr.] e poi ha sviluppato un’applicazione per rendere il loro lavoro più efficace coordinando l’insieme delle segnalazioni dei commenti critici nei confronti di Israele postati su Facebook.

Ben presto, è diventato chiaro che nessun esercito di troll può far fronte al monitoraggio dell’enorme quantità di contenuti su Facebook. Questo è il motivo per cui le organizzazioni sioniste di destra hanno recentemente iniziato a fare pressioni su Facebook affinché includa le critiche a Israele come parte della propria definizione di incitamento all’odio. In altre parole, il loro obiettivo è costringere Facebook ad alterare gli algoritmi che utilizza per rilevare l’incitamento all’odio in modo che gli algoritmi della società rimuovano automaticamente qualsiasi critica a Israele dalla piattaforma. Si sono resi conto che gli algoritmi sono più efficienti dei troll.

La campagna

La scorsa estate, lavorando a stretto contatto con il governo israeliano, il gruppo di pressione pro-Israele StopAntisemitism.org ha lanciato la nuova campagna dopo aver ricevuto finanziamenti dal filantropo di destra Adam Milstein [investitore immobiliare e lobbista israeliano-americano, ndtr.].

A luglio Orit Farkash-Hacohen, ministro israeliano degli Affari Strategici, ha pubblicato un editoriale su Newsweek [noto settimanale USA, ndtr.] in cui esorta le società di social media a sradicare il “virus” antisemita adottando pienamente la definizione corrente di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) [organizzazione intergovernativa fondata nel 1998 che unisce governi ed esperti al fine promuovere e divulgare l’educazione sull’Olocausto, ndtr.]

Poche settimane dopo, il 7 agosto, 120 organizzazioni che rappresentano il gotha dei gruppi sionisti di destra hanno inviato una lettera al Consiglio di amministrazione di Facebook, invitandolo ad adottare pienamente la definizione dell’IHRA come “pietra angolare della politica di Facebook contro l’incitamento all’odio riguardo l’antisemitismo”.

Questa definizione, che è stata approvata o adottata in una qualche veste ufficiale da più di 30 Paesi, include 11 esempi di antisemitismo, molti dei quali implicano la critica di Israele. Questa è solo l’ultima manifestazione concreta di come ogni critica al governo israeliano e alla sua politica assuma ora lo stigma di essere antisemita.

Qui cè certo un pizzico di ironia. Storicamente, la lotta contro l’antisemitismo ha cercato di promuovere la parità di diritti e l’emancipazione degli ebrei. Tuttavia nella definizione dell’IHRA coloro che si pronunciano contro la sottomissione dei palestinesi sono definiti antisemiti.

Così, invece di favorire la lotta contro chi ambisce a opprimere, dominare e sterminare gli ebrei, questa nuova definizione di antisemitismo persegue coloro che desiderano prendere parte alla lotta per la liberazione dal dominio coloniale. In questo modo – come ha osservato Judith Butler [filosofa statunitense esperta in filosofia etica e politica, ndtr.] – “la passione per la giustizia [viene] ribattezzata antisemitismo”.

Tuttavia, le persone che stanno dietro questa campagna non sono interessate né all’ironia né alla giustizia, e certamente non alla giustizia nei riguardi dei palestinesi. Come ha sottolineato Lara Friedman, presidentessa della Foundation for Middle East Peace [organizzazione no profit americana che promuove una giusta soluzione al conflitto israelo-palestinese, ndtr.], che ha scritto per Jewish Currents [rivista trimestrale ebraica progressista e secolare e sito di notizie della sinistra ebraica, ndtr.] un articolo sulla campagna nei confronti di Facebook, la loro lettera al Consiglio di amministrazione [di Facebook] “rappresenta l’ultimo fronte nella battaglia per utilizzare la definizione dell’IHRA per escludere ufficialmente le critiche a Israele dal novero dei pareri accettabili”.

Facebook risponde

Monika Bickert, vicepresidente di Facebook in materia di contenuti, ha inviato una lettera ai firmatari, osservando che la società “attinge allo spirito – e al testo – dell’IHRA” e che, secondo la politica di Facebook, “l’essere ebreo e israeliano sono considerate caratteristiche che implicano un particolare riguardo’”.

Sheryl Sandberg, direttore generale di Facebook, ha persino scritto una nota personale a Milstein, che ha finanziato la campagna. Lo ha assicurato che la definizione dell’IHRA è stata “preziosa, sia per indirizzare il nostro approccio, sia come punto di avvio di schiette discussioni relative alla politica [di Facebook] con organizzazioni come la sua”.

Tuttavia la società sembra essere ancora riluttante ad adottare le parti della definizione che si riferiscono a Israele, e non è una coincidenza che nelle risposte di Facebook essa menzioni solo l’incitamento all’odio nei confronti degli ebrei.

Friedman, della Foundation for Middle East Peace, cita Peter Stern, alto funzionario di Facebook, che tre mesi prima del lancio della campagna ha affermato: “Noi non consentiamo alla gente di fare certi tipi di dichiarazioni di odio contro le persone. Se l’attenzione si concentra su un Paese, un’istituzione, una filosofia, allora consentiamo alle persone di esprimersi più liberamente, perché pensiamo che sia una parte importante del dialogo politico … e che ci sia una componente legittima importante in questo. Quindi permettiamo alle persone di criticare lo Stato di Israele, così come gli Stati Uniti e altri Paesi “.

La battaglia continua

Non sorprende che la nuova politica di Facebook sull’incitamento all’odio non abbia soddisfatto la lobby filo-israeliana, e nella lettera del 7 agosto parte della collera era rivolta contro Stern in quanto vi si sosteneva che egli avesse “ammesso che Facebook non abbraccia la piena adozione della definizione frutto del lavoro dell’IHRA in quanto questa sostiene che le moderne manifestazioni di antisemitismo riguardino Israele”.

In un tweet in risposta alla lettera di Sandberg, Milstein ha chiarito che la campagna continuerà: “Non vediamo l’ora di lavorare con @Facebook per garantire che #antisemitismo venga sradicato dalla piattaforma e che la definizione di antisemitismo dell’#IHRA sia pienamente adottata dalla vostra organizzazione.”

Dall’altro lato dello spettro politico, un gruppo di studiosi (me compreso) specializzati in antisemitismo, storia ebraica e dell’Olocausto e sul conflitto israelo-palestinese ha scritto a Facebook sui pericoli dell’adozione della definizione dell’IHRA.

Esortando Mark Zuckerberg a “combattere tutte le forme di incitamento all’odio su Facebook”, lo abbiamo invitato ad astenersi dall’ “adottare e applicare una definizione politicizzata di antisemitismo, che è stata utilizzata come arma per minare la libertà di parola, al fine di proteggere il governo israeliano e mettere a tacere le voci palestinesi e dei loro sostenitori”.

Se Facebook alla fine cedesse e includesse nei suoi algoritmi la definizione testuale dell’IHRA, la libertà di parola su Israele/Palestina, che è già sotto un’enorme pressione, riceverà un colpo letale. Spetta agli utenti di Facebook esprimere la loro preoccupazione notificando a Zuckerberg e Sandberg che essi abbandoneranno la piattaforma nel momento in cui il gigante dei media decidesse di adottare la definizione dell’IHRA. In definitiva siamo noi, gli utenti, ad avere in mano il potere.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Neve Gordon

Neve Gordon è borsista del Marie Curie [le azioni Marie Skłodowska-Curie sono una serie di importanti borse di ricerca create dall’Unione europea per sostenere la ricerca in Europa, ndtr.] e professore di diritto internazionale presso la Queen Mary University di Londra.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)