Secondo B’Tselem Israele si serve della violenza dei coloni come “strumento” per accaparrarsi le terre palestinesi

Secondo B’Tselem Israele si serve della violenza dei coloni come “strumento” per accaparrarsi le terre palestinesi

Secondo l’Ong israeliana Israele “sostiene e asseconda in toto” i coloni e le loro tattiche di intimidazione che spesso comportano la perdita delle terre agricole e dei pascoli palestinesi.

Redazione di MEE

15 novembre 2021 – Middle East Eye

 

Il governo israeliano si serve della violenza dei coloni come “importante strumento informale” per impadronirsi di terre palestinesi nella Cisgiordania occupata, afferma un’importante organizzazione israeliana di difesa dei diritti umani.

In un rapporto pubblicato domenica B’Tselem spiega che Israele si avvale di due metodi privilegiati per confiscare terre palestinesi in Cisgiordania: l’annessione ufficiale attraverso il proprio sistema giudiziario e le azioni ufficiose di intimidazione e violenza perpetrate dai coloni.

“Lo Stato sostiene ed asseconda in toto questi atti di violenza e i suoi soldati a volte vi partecipano direttamente”, denuncia la Ong israeliana nel suo rapporto.

“Così, la violenza dei coloni è una forma di politica governativa, con l’appoggio e l’incoraggiamento delle autorità statali ufficiali e la loro partecipazione attiva.”

Secondo questo documento i coloni israeliani negli ultimi cinque anni si sono appropriati di quasi 3.000 ettari di terreni agricoli e di pascoli nella Cisgiordania occupata.

“Mi hanno spezzato una gamba”

Attraverso cinque studi di caso per illustrare il modo in cui le sistematiche e costanti violenze perpetrate dai coloni fanno parte della politica ufficiale di Israele, B’Tselem dimostra che le autorità del Paese si servono della violenza dei coloni per procedere ad una “massiccia acquisizione” delle terre palestinesi.

Uno dei casi studiati riguarda la colonia di Ma’on Farm, che è stata costruita illegalmente nel sud della Cisgiordania e si estende su circa 260 ettari. I coloni hanno vessato, colpito e intimidito i palestinesi che utilizzano tradizionalmente questa terra per pascolare il loro bestiame e per le loro coltivazioni, cosa che ha provocato la sua confisca.

Jummah Ribii, di 48 anni, pastore del villaggio di al-Tuwani, ha raccontato a B’Tselem che i coloni hanno cercato per anni di allontanare la sua famiglia dall’agricoltura che le permetteva di nutrirsi. Nel 2018 i coloni l’hanno preso di mira e l’hanno picchiato, ferendolo in modo grave.

“Mi hanno spezzato una gamba e ho dovuto passare due settimane in ospedale e proseguire le terapie a casa”, ha raccontato Ribii alla Ong. “Ho dovuto vendere la maggior parte delle nostre pecore per pagare le cure.”

Secondo B’Tselem Israele legittima la violenza dei coloni sia legalizzando le loro acquisizioni di terre, non impedendo le violenze e non perseguendo i loro autori.

“L’esercito generalmente evita di scontrarsi con i coloni violenti, anche se i soldati hanno l’autorità e il dovere di arrestarli. Come norma generale, piuttosto che affrontare i coloni, l’esercito preferisce cacciare i palestinesi dalle terre agricole e dai pascoli che loro appartengono con tattiche diverse, come decretare delle zone militari chiuse che valgono solamente per i palestinesi o lanciare gas lacrimogeni, granate assordanti e proiettili di gomma, a volte proiettili veri”, elenca B’Tselem.

Moayyad Besharat, responsabile dei programmi e della progettazione dell’Unione dei Comitati di Lavoro Agricolo, riferisce a MEE che gli attacchi dei coloni contro i palestinesi quest’anno si sono moltiplicati, in particolare nel periodo della raccolta delle olive, in ottobre e novembre.

La raccolta delle olive è un’ancora di salvezza per circa 80.000-100.000 famiglie palestinesi nella Cisgiordania occupata. Quest’anno la stagione è stata la più difficile degli ultimi tempi, secondo Besharat che accompagna gli agricoltori come osservatore nei periodi di raccolta.

In linea con il rapporto di B’Tselem, sottolinea le difficoltà cui vanno incontro i palestinesi che vogliono cercare di resistere agli attacchi dei coloni e agli accaparramenti di terre a causa della frequenza con cui i coloni vengono scortati dall’esercito.

 “E’ violenza di Stato”

Anche se i palestinesi documentano e riferiscono regolarmente gli attacchi dei coloni (a volte per vie legali e attraverso libri, rapporti di ricerche e documentari), il governo israeliano non persegue quasi mai i coloni, lamenta il rapporto di B’Tselem.

“L’inazione di Israele persiste dopo gli attacchi dei coloni contro i palestinesi, le autorità fanno tutto il possibile per evitare di reagire a questi incidenti”, scrive l’organizzazione.

“È difficile sporgere denuncia e nei rari casi in cui viene avviata davvero un’indagine, il sistema la insabbia velocemente. Le incriminazioni contro i coloni che feriscono palestinesi sono estremamente rare e quando ciò accade si tratta di reati minori, con sanzioni simboliche per le rarissime condanne.”

Insomma, la mancanza di azione da parte del governo si traduce in un’approvazione de facto, riassume l’Ong.

“La violenza statale – ufficiale o di altro tipo – è parte integrante del regime di apartheid di Israele, che mira a creare uno spazio esclusivamente ebraico tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo”, ritiene B’Tselem.

“La combinazione tra la violenza statale e la violenza ‘non ufficiale’ consente a Israele due cose: garantirsi una smentita plausibile e addebitare la violenza ai coloni piuttosto che all’esercito, ai tribunali o all’amministrazione civile, procedendo intanto allo spossessamento dei palestinesi. Tuttavia i fatti escludono ogni negazione plausibile: quando la violenza avviene con il permesso e l’appoggio delle autorità israeliane e sotto la loro egida, si tratta di violenza di Stato. I coloni non sfidano lo Stato, sono ai suoi ordini.”

 

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)

 




Protezione per i ladri di terra

Editoriale Haaretz, 27 febbraio 2018

Un governo è obbligato a proteggere i diritti delle persone sotto occupazione. Ayelet Shaked lo sta rendendo difficile.

La motivazione del recente disegno di legge, promosso dalla ministra della Giustizia Ayelet Shaked, che toglie l’autorità di esaminare le petizioni dei palestinesi della Cisgiordania all’Alta Corte di Giustizia e la attribuisce alla Corte Distrettuale di Gerusalemme, è stata sintetizzata dalla ministra sulla sua pagina Facebook. In seguito alla legge, ha scritto, “Il ricorso automatico all’Alta Corte da parte dei palestinesi e dalle associazioni di sinistra finanziate da denaro straniero non avverrà più.”

Il significato del disegno di legge approvato domenica dalla Commissione Ministeriale per la Legislazione è che l’Alta Corte non sarà più il tribunale di prima istanza per i reclami palestinesi sulle decisioni relative a pianificazione e edificazione, ingresso e uscita dai territori e richieste di libertà di informazione. La rivoluzione prodotta da questa legge mira a rendere ancor più difficili le azioni dei palestinesi danneggiati da azioni governative.

Ciò che è peggio, la promessa di Shaked che la nuova legge ridurrà la pressione sulla corte non è convincente, dato che nessuno garantisce che questi casi non saranno alla fine impugnati presso la Corte Suprema. Shaked semplicemente non tollera l’intervento dell’Alta Corte contro il furto di terre e la costruzione illegale su terreni palestinesi, intervento che ha già portato alla demolizione di case di coloni e la restituzione dei terreni su cui erano state costruite quelle case ai proprietari, come è successo ad Amona e Netiv Ha’avot. Shaked intende porre una barriera tra i palestinesi e l’Alta Corte di Giustizia sotto forma della Corte Distrettuale di Gerusalemme.

Nel 2000 è stata approvata la Legge sui Tribunali per le Questioni Amministrative, in base alla quale certe questioni legali su cui la legge è chiara e coerente, e non necessita di frequenti aggiornamenti, sono state spostate dall’Alta Corte di Giustizia alle corti distrettuali. Ma qualunque caso di carattere fondamentale, o che riguardi decisioni del governo centrale, viene ancora esaminato dai giudici della più alta corte.

Nel caso dei palestinesi, che sono soggetti al governo militare in un’area sotto occupazione, il loro timore di vedere messi a repentaglio i propri diritti umani si realizza quotidianamente, da cui l’importanza di consentire all’Alta Corte di continuare ad occuparsi delle loro istanze. Lo scopo era di attribuire adeguato peso al diritto internazionale, alle iniquità perpetrate dal governo ed all’obbligo di Israele di rispettare i diritti dei palestinesi. Questi principi, che sono considerati dall’attuale governo come ostacoli al totale ed aggressivo controllo dei territori, non sono abitualmente presi in considerazione dalla corte distrettuale.

Shaked sostiene: “Non meno importante è porre fine alla discriminazione contro i residenti di Giudea e Samaria (nome storico della Cisgiordania, ndtr). I loro diritti devono essere uguali a quelli di ogni altro cittadino.” Il cinismo di Shaked non ha limiti. In un luogo in cui non vi è eguaglianza tra lo status di un residente palestinese e quello di un israeliano, ed un grande solco separa i diritti dei due gruppi di residenti, il governo è obbligato a proteggere realmente i diritti di coloro che sono soggetti all’occupazione. Questa nuova legge deve essere immediatamente abrogata.

Questo articolo è l’editoriale di apertura di Haaretz, pubblicato sui giornali ebraici e inglesi in Israele.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)