Rapporto OCHA della settimana 19 – 25 luglio 2016

Il 19 luglio, durante scontri vicino all’ingresso settentrionale della città di Ar Ram (Gerusalemme), le forze israeliane (a quanto riferito, si trattava di agenti della polizia di confine) hanno colpito con un proiettile di gomma un ragazzo palestinese di 12 anni, uccidendolo.

Dal 12 luglio, Ar Ram è stata un luogo critico di operazioni militari e scontri. Il caso sopraccitato porta a 76, di cui 22 minori, il numero totale dei palestinesi uccisi nel 2016 dalle forze israeliane nei Territori occupati; 18 di questi sono stati uccisi durante proteste e scontri.

In Cisgiordania, nel corso di molteplici scontri, le forze israeliane hanno ferito 74 palestinesi, tra cui 15 minori. La maggior parte degli scontri, e dei feriti (46), sono stati registrati durante le proteste tenutesi nella città di Abu Dis (Gerusalemme), in solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, e nel corso della manifestazione settimanale a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Gli altri scontri sono stati registrati durante operazioni di ricerca-arresto, la più ampia delle quali ha avuto luogo a Jayyus (Qalqiliya), dove si sono registrati dieci feriti. Nel complesso, durante la settimana, sono stati registrati 135 operazioni di ricerca-arresto; 150 i palestinesi arrestati, la quota più alta (21%) nel governatorato di Gerusalemme.

A Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno dieci occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi, causando il ferimento di un agricoltore palestinese che stava lavorando la sua terra nei pressi della recinzione perimetrale. In un caso, verificatosi in mare, quattro pescatori, tra cui un 17enne, sono stati arrestati; in un altro caso, un pescatore è stato costretto a nuotare verso l’imbarcazione militare israeliana. Nelle ARA di terra, in tre circostanze, le forze israeliane hanno spianato il terreno ed effettuato scavi. Analogamente a quanto avvenuto per i pescatori, l’operato delle forze israeliane ha sconvolto il sostentamento di centinaia di agricoltori i cui terreni sono vicini alla recinzione.

A Gerusalemme Est, in quattro casi, per mancanza di permessi edilizi rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito sette strutture palestinesi, sfollando una persona e coinvolgendone, in modi diversi, altre 71, tra cui 19 minori.

Il 20 luglio, nel villaggio di Duma (Nablus), ignoti hanno appiccato il fuoco ad una casa palestinese. Gli occupanti sono riusciti a fuggire, ma il padre è stato intossicato dal fumo ed ha avuto bisogno di cure mediche. A causa dei danni subiti dall’abitazione, i cinque membri della famiglia, tra cui tre minori, sono stati costretti allo sfollamento. Nello stesso villaggio di Duma, nei mesi di luglio 2015 e marzo 2016, coloni israeliani praticarono due attacchi incendiari simili, nel primo dei quali morì un bambino ed entrambi i suoi genitori. Sull’accaduto le autorità palestinesi e israeliane hanno avviato separate indagini.

Nel governatorato di Hebron l’esercito israeliano ha riaperto al traffico palestinese otto importanti snodi stradali che, dall’inizio del mese, erano stati bloccati in seguito a due attacchi palestinesi verificatisi nella zona. L’apertura ha notevolmente facilitato l’accesso delle persone ai servizi ed ai mezzi di sussistenza. Tuttavia, permane ancora una serie di blocchi, imposti nella stessa circostanza, che costringono i residenti a ricorrere a lunghe deviazioni; tra i più colpiti, i villaggi di Ad Dahriyya, Karma, Deir Razeh e Ar Ramadin (circa 44.500 persone).

Coloni israeliani armati hanno fatto irruzione in una zona agricola vicino alla città di Al-Khader e all’insediamento colonico di El’azar (Betlemme); hanno sparato in aria e costretto i contadini palestinesi, intenti a coltivare la terra, a lasciare la zona; nella circostanza uno dei contadini è stato aggredito fisicamente e ferito. Nella stessa area, in altri due episodi, secondo quanto riferito ad opera di palestinesi, un veicolo israeliano è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco e un altro da pietre; entrambi i veicoli hanno riportato danni.

Il 19 luglio, nella Striscia di Gaza, un uomo è stato condannato a morte. Altre due condanne a morte, emesse in precedenza, sono state convalidate da un tribunale militare palestinese; tutte le condanne sono state emesse per “collaborazione con Israele”.

A Gaza circa 600.000 persone sono colpite da una significativa riduzione nella fornitura di acqua corrente. Questa riduzione è stata provocata dall’aumento delle interruzioni di energia elettrica in programma dal 14 luglio; interruzioni dovute ad un parziale spegnimento dell’unica Centrale elettrica di Gaza.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone, con esigenze urgenti, sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 27 luglio, nel villaggio di Surif (Hebron), nel corso di una operazione di ricerca-arresto, a quanto riferito dopo uno scambio di colpi di arma da fuoco, le forze israeliane hanno ucciso un palestinese sospettato di aver effettuato, il 1° luglio, un’aggressione con arma da fuoco, nel corso della quale fu ucciso un colono israeliano. Durante l’operazione, i soldati hanno bombardato l’edificio di tre piani in cui l’indagato si era nascosto, distruggendolo completamente e sfollando tre famiglie.

Il 26 luglio, a causa della mancanza di permessi di costruzione, in una sezione del villaggio di Qalandiya che rientra nei confini municipali israeliani di Gerusalemme, ma dai quali la Barriera la separa, le autorità israeliane hanno demolito 15 strutture; in conseguenza delle demolizioni sei persone sono state sfollate e altre 180 circa sono state in vario modo colpite.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto OCHA della settimana 12 – 18 luglio

In Cisgiordania, in due distinti episodi, le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi.

Nel primo caso, il 18 luglio, all’ingresso del Campo profughi di Al Arrub (Hebron), un palestinese ha accoltellato e ferito due soldati israeliani; successivamente è stato a sua volta ferito gravemente con arma da fuoco ed è morto il giorno seguente.

Nel secondo caso, il 12 luglio, durante una operazione di ricerca-arresto svoltasi nella città di Ar Ram (Gerusalemme), le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro un veicolo uccidendo un giovane palestinese di 22 anni e ferendone altri due; secondo i media israeliani, i soldati sospettavano che i palestinesi stessero per investirli; tale versione dei fatti è stata smentita da fonti locali palestinesi.

In Qabatiya (Jenin), le forze israeliane hanno demolito la casa di famiglia di un uomo sospettato di aver aiutato gli autori di un accoltellamento, avvenuto il febbraio 2016, durante il quale fu ucciso un poliziotto israeliano; per effetto della demolizione, una famiglia di dieci persone, tra cui un minore, è stata sfollata. Prima della demolizione, gli abitanti della città si sono scontrati, anche con l’impiego di armi da fuoco, con le forze israeliane e otto palestinesi sono rimasti feriti. Dall’inizio del 2016 le autorità israeliane, per motivi punitivi, hanno demolito o sigillato 22 case, sfollando 110 persone; in tutto il 2015, per gli stessi motivi, vi erano state 25 demolizioni e 157 persone sfollate.

Nei Territori palestinesi occupati, in totale, le forze israeliane hanno ferito 44 palestinesi, tra cui 13 minori. 42 di questi ferimenti sono stati registrati in Cisgiordania, di cui 10 verificatisi durante gli scontri in Ar Ram e Qabatiya [vedi i paragrafi precedenti] e 29 durante operazioni di ricerca-arresto, le più vaste delle quali hanno avuto luogo in Al Mazra’a al Qibliya (Ramallah) e nel campo profughi di Ayda (Betlemme). Due palestinesi sono stati colpiti con armi da fuoco e feriti nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA): uno nel corso di una protesta ed un altro, secondo quanto riferito, mentre cacciava uccelli. Nel corso della settimana, in altri cinque casi le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle ARA, a terra e in mare: non sono stati registrati feriti.

Il 17 luglio, a Gerusalemme Ovest, le forze israeliane hanno arrestato un palestinese che trasportava ordigni esplosivi e coltelli che, secondo la polizia israeliana, intendeva utilizzare per effettuare un attentato alla Metropolitana leggera di Gerusalemme.

Durante la settimana, in tutto il governatorato di Hebron sono state mantenute le restrizioni ai movimenti imposte [da Israele], dall’inizio di luglio, in seguito a due attacchi palestinesi; restrizioni che ostacolano l’accesso ai servizi e ai mezzi di sostentamento per centinaia di migliaia di residenti. La comunità più colpita è Bani Na’im, con una popolazione 26.500 abitanti, dove i tre ingressi principali sono rimasti bloccati per il movimento veicolare; una parziale eccezione è consentita per i casi di emergenza, a fronte di accordi preventivi. Secondo la Camera di Commercio palestinese, l’attività economica di tutto il governatorato di Hebron è stata notevolmente influenzata, tra le altre cause, dalle restrizioni imposte alla circolazione dei veicoli commerciali.

In Area C e in Gerusalemme Est, in quattro casi, per la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito 23 strutture palestinesi, sfollando 43 persone, tra cui 25 minori, e coinvolgendone altre 43. Il caso più grave, che comprende tutti gli sfollamenti di questa settimana, è stato registrato in una comunità beduina a nord della città di ‘Anata (Gerusalemme), in cui le autorità israeliane hanno demolito 14 strutture, una delle quali era stata fornita precedentemente come assistenza umanitaria. Questa è una delle 46 comunità beduine nella Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato a causa di un piano israeliano di rilocalizzazione.

Per gli stessi motivi, sempre nella zona C e in Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno consegnato almeno 13 ordini di demolizione e arresto dei lavori contro case, strutture commerciali e cisterne d’acqua. Le comunità colpite includono: Frush Beit Dajan, Qusra (entrambe a Nablus), Susiya (Hebron), Silwan (Gerusalemme Est).

Questa settimana vengono riportati nove attacchi da parte di coloni israeliani con conseguenti ferimenti o danni alle proprietà palestinesi: dall’inizio del 2016 questo è il più alto numero di attacchi condotti da coloni in una sola settimana. In particolare: tre palestinesi sono stati aggrediti fisicamente e feriti da coloni israeliani, in tre distinti casi, a Al-Khader (Betlemme), ad Haris (Salfit) e nella città di Hebron; altri tre episodi hanno riguardato l’incendio di 150 ulivi secolari a Betlemme, la devastazione di una piantagione di sorgo di 5.000 mq vicino a Huwwara (Nablus); il furto di più di 50 sacchi di fieno e di grano nel villaggio di Qusra (Nablus), a quanto riferito, sempre ad opera di coloni israeliani. Inoltre, nei governatorati di Qalqiliya, Salfit ed Hebron, in tre diverse occasioni, per il lancio di pietre da parte di coloni, sei veicoli palestinesi hanno riportato danni.

Il 14 luglio, per carenza di carburante, la centrale elettrica di Gaza è stata costretta a fermare una delle due turbine attive, innescando interruzioni di corrente per 18-20 ore al giorno; in precedenza le interruzioni erano di 16-18 ore. Questo ha avuto un impatto significativo sulla fornitura dei servizi di base, l’approvvigionamento idrico e, in particolare, sui servizi sanitari. Sembra che la carenza di carburante sia causata dalle continue controversie, tra le autorità di Ramallah e quelle di Gaza, in merito ad una esenzione fiscale relativa al carburante acquistato per l’impianto.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Durante la notte del 19 luglio, ignoti hanno dato fuoco ad una casa nel villaggio di Duma (Nablus); anche se i residenti sono riusciti a mettersi in salvo, la casa è stata gravemente danneggiata. Nel luglio 2015, nello stesso villaggio, un attacco incendiario simile, operato da coloni israeliani, uccise un bambino ed entrambi i suoi genitori.

Il 19 luglio, durante scontri con le forze israeliane nei pressi dell’ingresso settentrionale della città Ar Ram (Gerusalemme), un dodicenne palestinese è stato ucciso da un proiettile di gomma.

Il 19 luglio, nella Striscia di Gaza, un uomo è stato condannato a morte. Questa e altre due condanne a morte, emesse in precedenza, sono state convalidate da un tribunale militare palestinese, motivate da “collaborazione con Israele”.

Il 19 luglio, dopo più di tre settimane di rigida chiusura, è stato riaperto uno dei tre ingressi del villaggio di Bani Na’im (Hebron).

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

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https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Rapporto Ocha sulla settimana 5- 11 luglio 2016

Il 9 luglio, secondo i media israeliani, sulla strada 356, nei pressi del villaggio di Tuqu’ (Betlemme), un colono israeliano è stato ferito da spari provenienti da un veicolo con targa palestinese.

Il sospetto autore dell’attacco, secondo quanto riferito, sarebbe fuggito verso il villaggio di Sa’ir (Hebron). Dopo l’attacco, le forze israeliane hanno bloccato tutti gli ingressi e le uscite del villaggio ed hanno avviato operazioni di ricerca-arresto nella zona; nel corso di tali operazioni due palestinesi sono rimasti feriti. Inoltre, il 6 luglio, vicino allo snodo stradale Neve Daniyyel (Betlemme), in un sospetto attacco con auto, un palestinese ha investito un veicolo militare israeliano, ferendo tre soldati. Anche il sospetto autore è rimasto ferito ed è stato successivamente arrestato dalle forze israeliane. Infine, il 5 luglio, una 17enne palestinese è stata ferita dalle forze israeliane con armi da fuoco: secondo una videoregistrazione, avrebbe minacciato i soldati con un coltello ad una fermata d’autobus vicino ad Haris (Salfit).

Il 7 luglio, un palestinese è morto per le ferite riportate nel maggio 2015, quando fu colpito con armi da fuoco dalle forze israeliane nei pressi della recinzione perimetrale di Gaza.

In Cisgiordania, 50 palestinesi, tra cui 14 minori, sono stati feriti nel corso di scontri con le forze israeliane. Quasi tutti i ferimenti sono riferibili ad operazioni di ricerca-arresto, la più ampia delle quali ha avuto luogo nella città di Dura (Hebron), in cui si sono avuti 38 feriti. In totale, in Cisgiordania, questa settimana, le forze israeliane hanno condotto 98 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 95 palestinesi; il governatorato di Hebron registra il più alto numero sia di operazioni che di arresti.

Nella striscia di Gaza, a sud-est di Rafah, il 10 luglio le forze egiziane ha aperto il fuoco verso il territorio palestinese, ferendo una ragazza palestinese 13enne.

Continuano, da parte delle forze israeliane, i blocchi di diversi snodi stradali che collegano villaggi e città palestinesi del governatorato di Hebron; il 2 luglio, dopo l’uccisione, in due distinti episodi, di due coloni israeliani, sulla zona è stata imposta una chiusura generale che intralcia pesantemente l’accesso ai servizi e ai mezzi di sostentamento dei circa 400.000 palestinesi residenti. Il 12 luglio, nel corso di una informativa al Consiglio di Sicurezza, il Segretario generale dell’ONU ha dichiarato che “gli autori dei recenti attacchi terroristici devono assolutamente essere ritenuti responsabili. Tuttavia, le chiusure – come quelle messe in atto in Hebron – così come le demolizioni punitive e la revoca generalizzata dei permessi penalizzano migliaia di palestinesi innocenti e si configurano come punizioni collettive”.

Il 7 luglio, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto una petizione volta ad evitare la demolizione punitiva della casa di un palestinese di Qabatiya (Jenin) che fu arrestato per aver collaborato, secondo quanto riferito, ad un accoltellamento mortale avvenuto a Gerusalemme Est nel febbraio 2016. Il 25 giugno, l’UN Relief and Works Agency per i Rifugiati di Palestina (UNRWA), ha invitato le autorità israeliane a porre fine alla pratica delle demolizioni punitive.

A Gaza, in almeno sette occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare; non sono stati segnalati feriti, ma pescatori ed agricoltori palestinesi hanno dovuto interrompere il lavoro. In quattro occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza, hanno spianato il terreno ed effettuato scavi.

Nella zona H2 di Hebron, si è verificato un caso di vandalismo contro proprietà palestinese, ad opera, secondo quanto riferito, di coloni israeliani. Inoltre, ancora in questa settimana, ci sono state due manifestazioni di coloni armati che, per protesta contro i recenti attacchi palestinesi contro israeliani, si sono riuniti [nel primo caso] all’ingresso del villaggio di Bani Naim (Hebron) impedendone l’accesso e [nel secondo caso] hanno marciato dall’insediamento di Haggai fino all’insediamento di Otniel (Hebron), intimidendo i palestinesi presenti

Sono stati segnalati tre episodi di lancio di pietre, ad opera di palestinesi contro veicoli israeliani, nei pressi di Beit El (Ramallah), presso l’insediamento di Kiryat Arba (Hebron) e nella città di Hizma (Gerusalemme) con conseguente ferimento di tre israeliani e danni a tre veicoli. In altri due episodi, verificatisi vicino a Betlemme e ad Hebron, palestinesi hanno lanciato bottiglie incendiarie contro veicoli israeliani; non sono stati segnalati danni.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli quattordici giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 12 luglio, nella città di Ar Ram (Gerusalemme), durante una operazione di ricerca-arresto, un 22enne palestinese è stato ucciso e altri due (entrambi di 20 anni) sono stati feriti da soldati israeliani. Secondo i media israeliani, le forze israeliane, ritenendosi in pericolo, hanno aperto il fuoco. Secondo fonti palestinesi locali, le vittime stavano viaggiando ad alta velocità e non si sono resi conto della presenza dei soldati israeliani che hanno sparato contro di loro. Uno dei feriti è stato arrestato dai soldati israeliani.

Il 12 e il 13 luglio, in Area C (nella città di ‘Anata e presso la confinante comunità beduina di Nord ‘Anata Bedouins) e in Gerusalemme Est (Jabal Al Mukabbir), a causa della mancanza di permessi di costruzione israeliani, le autorità israeliane hanno demolito 23 strutture, sfollando 43 persone, tra cui 25 minori.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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Rapporto OCHA della settimana 21 – 27 giugno 2016

Il 24 giugno, vicino all’ingresso dell’insediamento colonico di Kiryat Arba’ (Hebron), una 18enne palestinese, alla guida di un veicolo, ha speronato un’auto con targa israeliana, ferendo due coloni; la donna è stata uccisa dalle forze israeliane.

In seguito all’attacco, per tre giorni consecutivi le forze israeliane hanno bloccato o disposto punti di controllo sugli accessi principali al villaggio di Bani Naim (Hebron), dove viveva la ragazza. Nella prima metà del 2016, le forze israeliane hanno ucciso 54 palestinesi presunti responsabili di attacchi, tra cui sei donne e due ragazze. Per confronto: nell’ultimo trimestre del 2015 furono 89 i presunti aggressori colpiti a morte. Le circostanze di molti episodi hanno sollevato preoccupazione sull’eccessivo uso della forza.

Il 21 giugno, presso il villaggio di Tahta (Ramallah), le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro due veicoli palestinesi che viaggiavano in direzione di Beit ‘Ur: un 15enne è stato ucciso ed altri quattro palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti. Poco prima una vettura con targa israeliana era stata colpita da pietre e tre passeggeri erano stati feriti; l’esercito israeliano ha confermato che il palestinese ucciso ed i feriti non erano coinvolti nel lancio di pietre. Dopo circa 40 ore dall’episodio le autorità israeliane hanno consegnato alla famiglia il cadavere del 15enne ed hanno annunciato l’apertura di un’indagine penale.

In due occasioni durante la settimana, palestinesi si sono scontrati con le forze israeliane nel Complesso di Haram al Sharif/ Monte del Tempio, in Gerusalemme Est: 26 palestinesi, tra cui tre minori, sono rimasti feriti. Gli scontri hanno fatto seguito all’entrata di coloni israeliani ed altri gruppi nel Complesso: secondo le autorità palestinesi ciò ha costituito una trasgressione allo status quo applicato negli anni passati durante gli ultimi dieci giorni del mese di Ramadan.

Altri 30 palestinesi, nove dei quali minori, sono stati feriti dalle forze israeliane durante scontri in altre zone della Cisgiordania: durante la dimostrazione settimanale in Kafr Qaddum (Qalqiliya), prima di una demolizione punitiva [vedere paragrafo successivo] e durante operazioni di ricerca-arresto. In questa settimana, le forze israeliane hanno svolto 89 operazioni di ricerca-arresto, durante le quali sono stati arrestati 112 palestinesi.

Il 21 giugno, in Hajja (Qalqiliya), le forze israeliane hanno demolito, a scopo punitivo, la casa di famiglia di un palestinese che, nel marzo 2016, compì una aggressione con coltello: cinque persone, tra cui due minori, sono state sfollate. Palestinesi, cercando di evitare la demolizione si sono scontrati con le forze israeliane: nove i palestinesi feriti (inclusi nel totale riportato nel paragrafo precedente). Dall’inizio del 2016, le autorità israeliane hanno demolito 19 abitazioni palestinesi per motivi punitivi; per confronto: nella seconda metà del 2015 furono 25. Il 25 giugno 2016, l’UN Relief and Works Agency per i Rifugiati di Palestina (UNRWA), ha invitato le autorità israeliane a porre fine alla pratica delle demolizioni punitive in Cisgiordania.

Per la quarta settimana consecutiva, tredici comunità palestinesi nei governatorati di Salfit, Nablus e Jenin hanno riferito che l’azienda idrica israeliana Mekorot ha ridotto del 50-70% la quantità di acqua a loro fornita. Le oltre 53.000 persone che risiedono in queste aree sono state costrette, per soddisfare i bisogni domestici e di sussistenza, a fare affidamento in misura maggiore sulla costosa acqua trasportata con le autobotti. Le motivazioni di questa riduzione rimangono controverse.

Nella comunità di Al Baq’a, situata in Area C, vicino alla città di Hebron, le autorità israeliane hanno smantellato i tubi dell’acqua di irrigazione, a motivo del loro collegamento illegale alla rete; come parte dell’episodio, è stato distrutto un ettaro di terra coltivata. Ancora in Area C, nella città di Al Khadr (Betlemme), i proprietari di tre strutture abitative e due locali ad uso agricolo hanno ricevuto ordini di arresto-lavori; il provvedimento colpisce cinque famiglie palestinesi.

Nella Striscia di Gaza, in sette occasioni durante la settimana, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti in Aree ad Accesso Riservato, di terra e di mare; non sono stati segnalati feriti. In alcuni dei casi, pescatori ed agricoltori palestinesi hanno dovuto interrompere il lavoro.

Il 26 giugno, Israele ha ridotto da 9 a 6 miglia nautiche la zona di pesca lungo la costa meridionale della Striscia di Gaza. Il 3 aprile 2016, Israele aveva ampliato la zona di pesca [lungo la costa meridionale] a 9 miglia nautiche, pur mantenendo il limite a 6 miglia nautiche lungo la costa settentrionale. Secondo il Ministero dell’Agricoltura [della Striscia di Gaza], la temporanea espansione aveva consentito un aumento significativo della quantità e qualità del pescato. Oltre 35.000 palestinesi dipendono dalla pesca per il loro sostentamento.

Nel terzo venerdì del mese del Ramadan (24 giugno), circa 100.000 palestinesi in possesso di documenti identificativi della Cisgiordania sono stati ammessi in Gerusalemme Est per pregare nella Moschea di Al Aqsa. Ai maschi ultra 45enni ed infra 12enni e alle donne di tutte le età è stato consentito l’accesso senza preventiva autorizzazione. Le autorità israeliane, dopo l’attentato dell’8 giugno a Tel Aviv, tengono ancora in sospeso circa 83.000 permessi precedentemente rilasciati a palestinesi della Cisgiordania per il mese di Ramadan. Durante il periodo di riferimento, tre palestinesi sono stati feriti mentre cercavano di scavalcare la Barriera per andare a pregare a Gerusalemme Est.

In due separati episodi, in As Sawiya (Nablus) e nei pressi di Kafr Malik ed Al Mughayyir (Ramallah), circa 280 alberi di proprietà palestinese ed alcuni ettari di terra coltivata sono stati incendiati e danneggiati, secondo quanto riferito, da coloni israeliani provenienti dall’insediamento di Shilo e da insediamenti colonici illegali della zona. Negli ultimi anni questi insediamenti sono stati una fonte di sistematica violenza e di molestie, minando la sussistenza e la sicurezza fisica dei palestinesi che vivono nei villaggi circostanti. Ancora in questa settimana, un palestinese è stato fisicamente aggredito e ferito da un gruppo di israeliani mentre lavorava nell’insediamento di Ramot, in Gerusalemme Est. Inoltre, coloni israeliani hanno fatto un’incursione nel villaggio di Asira al Qibliya (Nablus), rubando e vandalizzando alcune proprietà e spruzzando scritte tipo “Questo è il prezzo che dovete pagare”.

Sono stati riportati due episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli con targa israeliana che viaggiavano nei pressi dei villaggi di Hizma (Gerusalemme) e di Beit Sira (Ramallah), con conseguenti danni a due veicoli. In cinque casi aggiuntivi, nei pressi di Betlemme, Hebron e Ramallah, palestinesi hanno scagliato bottiglie incendiarie verso auto con targa israeliana: non sono stati segnalati danni.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli nove giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 30 giugno, un giovane palestinese ha accoltellato e ucciso una 13enne israeliana nell’insediamento di Kiryat Arba’ (Hebron), ed è stato successivamente ucciso dalle guardie di sicurezza dell’insediamento.

Il 29 giugno, tre palestinesi sono rimasti uccisi e 14 feriti nel corso di uno scontro armato tra famiglie palestinesi nella città cisgiordana di Ya’bad (Jenin); diverse case e veicoli sono stati incendiati o danneggiati.

Il 29 giugno, a Nablus, in circostanze non chiare, uomini armati sconosciuti hanno ucciso due membri delle forze di sicurezza palestinesi e gravemente ferito una donna palestinese.

Il 28 giugno, le autorità egiziane hanno annunciato che il valico di Rafah verrà eccezionalmente aperto, in entrambe le direzioni, dal 29 giugno al 4 luglio (tranne il 1° luglio) per i casi umanitari e le persone pre-registrate.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




La “preghiera per la pioggia” della Palestina:in che modo Israele usa l’acqua come un’arma da guerra.

 

di Ramzy Baroud

Ma’an News – 22 giugno 2016

Intere comunità anche in Cisgiordania non hanno accesso all’acqua o hanno avuto una riduzione di circa la metà della fornitura.

Questo sviluppo allarmante è durato per settimane, da quando l’impresa idrica nazionale di Israele, “Mekorot”, ha deciso di interrompere, o ridurre in modo significativo, le sue forniture d’acqua a Jenin, Salfit e a molti villaggi attorno a Nablus, tra le altre zone.

Secondo il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese Rami Hamdallah, Israele ha intrapreso una “guerra dell’acqua” contro i palestinesi. L’ironia della vicenda risiede nel fatto che quella fornita da “Mekorot” è in realtà acqua palestinese, di cui Israele si è ingiustamente appropriato, proveniente dalle riserve acquifere della Cisgiordania. Mentre gli israeliani, comprese le colonie illegali in Cisgiordania, ne usano la grande maggioranza, i palestinesi ricomprano la loro stessa acqua a prezzi alti.

Riducendo le forniture idriche in un momento in cui i funzionari israeliani stanno progettando di esportare acqua essenzialmente palestinese, Israele ancora una volta sta utilizzando l’acqua come una forma di punizione collettiva.

Non è certo una novità. Ricordo ancora la preoccupazione nella voce dei miei genitori tutte le volte che temevano che la fornitura d’acqua stesse raggiungendo un livello pericolosamente basso. Si trattava di una discussione pressoché quotidiana in casa mia. Ogni volta che scoppiavano scontri tra ragazzini che lanciavano pietre e le forze di occupazione israeliane nei dintorni del campo di rifugiati, noi correvamo istintivamente sempre a riempire i pochi secchi d’acqua e bottiglie che avevamo sparsi in giro per la casa.

Questo accadeva durante la prima Intifada, o rivolta, palestinese scoppiata nel 1987 nei Territori Palestinesi Occupati.

Ogni volta che scoppiavano incidenti, una delle prime azioni messe in atto dall’amministrazione civile israeliana (una denominazione meno sinistra per indicare gli uffici dell’esercito di occupazione israeliano) era punire collettivamente l’intera popolazione di qualsiasi campo di rifugiati si ribellasse.

Le misure prese dall’esercito israeliano divennero copiose, anche se con il tempo si fecero sempre più vendicative: un rigido coprifuoco militare (che significava la chiusura dell’intera zona e il confinamento di tutti gli abitanti nelle loro case, sotto minaccia di morte); l’interruzione della corrente elettrica e la riduzione delle forniture idriche. Ovviamente, queste misure venivano prese solo nella prima fase della punizione collettiva, che durava per giorni o settimane, a volte persino mesi, punendo qualche campo di rifugiati fino alla fame. Poiché c’era poco che i rifugiati potessero fare per sfidare l’autorità di un esercito ben armato, essi investivano ogni loro magra risorsa o tempo a disposizione per ingegnarsi a sopravvivere.

Di qui l’ossessione per l’acqua, perché una volta che la fornitura era interrotta, non c’era niente da fare; tranne, naturalmente, la “Salat Al-Istisqa”, ossia la “Preghiera per la pioggia” che i musulmani osservanti invocano durante i periodi di siccità. Gli anziani del campo insistevano sul fatto che funzionasse davvero, e riportavano storie miracolose del passato, quando questa speciale preghiera aveva dato risultati durante l’estate, quando c’era meno da aspettarsi che piovesse.

In effetti molti più palestinesi che in ogni altra epoca hanno invocato la pioggia nelle loro preghiere dal 1967. Quell’anno, circa 49 anni fa, Israele ha occupato le due regioni rimanenti della Palestina storica: la Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e la Striscia di Gaza. E durante quegli anni, Israele ha fatto ricorso ad una costante politica di punizioni collettive, limitando ogni sorta di libertà e utilizzando il rifiuto di fornire l’acqua come un’arma.

In effetti l’acqua è stata utilizzata come un’arma per soggiogare i palestinesi ribelli durante molte fasi della loro lotta. Di fatto questa storia risale alla guerra del 1948, quando le milizie sioniste hanno interrotto le forniture di acqua a moltissimi villaggi palestinesi attorno a Gerusalemme per permettere la pulizia etnica di quella regione.

Durante la “Nakba” (o “Catastrofe”) del 1948, ogni volta che un villaggio o una cittadina venivano conquistati, le milizie distruggevano immediatamente i suoi pozzi per impedire agli abitanti di tornare. Oggi gli illegali coloni israeliani utilizzano ancora questa tattica.

Anche l’esercito israeliano ha continuato ad utilizzarla, soprattutto durante la prima e la seconda rivolta. Nel corso della seconda Intifada, gli aerei israeliani hanno bombardato il sistema idrico di qualunque villaggio o campo di rifugiati che avevano progettato di invadere e sottomettere. Durante l’invasione del campo di rifugiati di Jenin ed il massacro dell’aprile 2002, le forniture di acqua del campo sono state fatte saltare in aria prima che i soldati entrassero nel campo da ogni direzione, uccidendo e ferendo centinaia di persone.

Gaza rimane finora l’esempio più estremo di punizione collettiva riguardante l’acqua. Durante la guerra è stato preso di mira non solo il sistema idrico, ma anche i generatori di elettricità utilizzati per purificare l’acqua sono stati fatti saltare in aria dal cielo. E finché sarà in vigore l’assedio decennale, ci sono poche speranze di riparare in modo permanente entrambi.

C’è ormai una consapevolezza condivisa del fatto che gli accordi di Oslo siano stati un disastro politico per i palestinesi; è tuttavia meno noto come Oslo abbia facilitato l’attuale crescente diseguaglianza in Cisgiordania. Il cosiddetto “Oslo II”, o accordo interinale israeliano-palestinese del 1995, ha separato il sistema idrico di Gaza dalla Cisgiordania, lasciando così alla Striscia lo sviluppo delle sue fonti di acqua situate all’interno dei confini. Con l’assedio e le periodiche guerre le falde acquifere producono in totale tra il 5 e il 10% dell’acqua potabile. Secondo l’ANERA [ong statunitense che si occupa di interventi umanitari in Medio Oriente. Ndtr.], il 90% dell’acqua di Gaza “non è idonea per il consumo umano.”

Pertanto la maggior parte dei gazawi sopravvive con acqua inquinata dagli scarichi o non potabilizzata. Ma la Cisgiordania dovrebbe, per lo meno teoricamente, godere di un maggior accesso all’acqua rispetto a Gaza. Eppure non è così. La più grande risorsa idrica della Cisgiordania è l'”Acquifero montano”, che include una serie di bacini: settentrionale, occidentale e orientale. La disponibilità di questi bacini da parte degli abitanti della Cisgiordania è limitata da Israele, che nega loro anche l’accesso alle acque provenienti dal fiume Giordano e all'”Acquifero costiero”. “Oslo II”, che era stato pensato come un accordo temporaneo fino al termine dei negoziati per lo status definitivo, ha sancito l’attuale disparità, concedendo ai palestinesi meno di un quinto della quantità di acqua di cui gode Israele.

Ma neppure questo accordo sfavorevole è stato rispettato, in parte perché il comitato congiunto [tra l’ente di controllo israeliano e quello palestinese. Ndtr.] sulla questione dell’acqua concede ad Israele il diritto di veto sulle richieste palestinesi. Praticamente, ciò si traduce nel fatto che il 100% di tutti progetti idrici israeliani ricevono l’approvazione, compresi quelli nelle colonie illegali, mentre circa metà delle richieste palestinesi viene rifiutata.

Attualmente, secondo Oxfam [confederazione di ong internazionali. Ndtr.] Israele controlla l’80% delle risorse idriche palestinesi, mentre “i 520.000 coloni israeliani utilizzano circa sei volte la quantità di acqua rispetto a quella che utilizzano i 2.6 milioni di palestinesi della Cisgiordania.”

Secondo Stephanie Westbrook, che ha scritto sulla rivista israeliana “972”, i motivi che stanno dietro tutto ciò sono evidenti,: “L’impresa che fornisce l’acqua è ‘Mekorot’, l’azienda idrica nazionale israeliana. Non solo ‘Mekorot’ gestisce più di 40 pozzi in Cisgiordania, appropriandosi delle risorse idriche palestinesi, ma in pratica Israele controlla anche le valvole di derivazione, decidendo chi ha l’acqua e chi no.”

“Non c’è da sorprendersi che la priorità venga data alle colonie israeliane mentre il servizio alle città palestinesi è regolarmente ridotto o interrotto,” come in questo momento.

L’ingiustizia di tutto ciò è inoppugnabile. Infatti per circa cinque decenni Israele ha messo in atto le stesse politiche contro i palestinesi senza molte proteste o misure significative da parte della comunità internazionale.

Con le temperature di quest’estate in Cisgiordania, arrivate a 38°, secondo quanto riportato famiglie intere vivono con appena 2-3 litri a testa al giorno. Il problema sta raggiungendo proporzioni catastrofiche. Questa volta la tragedia non può essere ignorata, in quanto le vite ed il benessere di intere comunità sono a repentaglio.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale dell’agenzia Ma’an News.

Ramzy Baroud è un editorialista di fama internazionale, autore e fondatore di PalestineChronicle.com. Il suo ultimo libro è “Mio padre era un combattente per la libertà: la storia mai raccontata di Gaza.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA della settimana 14 – 20 giugno 2016

In Area C, nel governatorato di Hebron, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito sette strutture, cinque delle quali si trovavano nel villaggio di Susiya:

sfollati 19 palestinesi, tra cui 12 minori. All’inizio di questo mese, le autorità israeliane avevano annunciato che durante il mese di Ramadan, iniziato il 6 giugno, vi sarebbe stata una sospensione delle demolizioni per mancanza di permessi di costruzione, ad eccezione delle strutture che potessero costituire una minaccia alla sicurezza di Israele.

Il 14 giugno, la Corte Suprema israeliana ha respinto una petizione volta ad evitare la demolizione punitiva delle case di due palestinesi del Campo Profughi di Qalandiya i quali, nel mese di dicembre 2015, a Gerusalemme Est, avevano compiuto una aggressione con coltelli. Nel mese di novembre 2015, Robert Piper, coordinatore umanitario per i Territori palestinesi occupati, aveva invitato le autorità israeliane a fermare le demolizioni punitive poiché costituiscono una forma di punizione collettiva, illegale secondo il diritto internazionale.

È stato riferito che, nel corso delle ultime due settimane, la società idrica israeliana Mekorot ha ridotto la fornitura di acqua a dodici comunità palestinesi comprese nei governatorati di Salfit, Nablus e Jenin. Oltre 53.000 persone residenti in queste aree sono state costrette, per far fronte alle loro necessità domestiche e di sostentamento, ad utilizzare in misura maggiore la costosa acqua da autocisterna. I motivi di questa riduzione restano controversi. In alcune delle comunità colpite, l’8 giugno si è svolta una protesta contro questa situazione.

In due distinti casi, le autorità israeliane hanno confiscato due trattori di proprietà privata, una pompa ed una cisterna che consentivano l’approvvigionamento di acqua per tre famiglie palestinesi residenti nel nord della Valle del Giordano. La confisca è stata motivata, in un caso, con la mancanza delle necessarie autorizzazioni e, nell’altro caso, con il fatto di trovarsi in un’area destinata all’addestramento militare. Ancora nella settimana, in Area C sono stati notificati ordini di arresto-lavori e di demolizione per due invasi per la raccolta dell’acqua, per una scuola materna in costruzione e per sei strutture residenziali disabitate.

In Cisgiordania, 30 palestinesi, dieci dei quali minori, sono stati feriti dalle forze israeliane durante scontri scoppiati nel corso di proteste in Kafr Qaddum (Qalqiliya) e nel Campo Profughi di Ayda (Betlemme), così come nel corso di cinque operazioni di ricerca-arresto, tre delle quali effettuate nel governatorato di Qalqiliya. Il 19 giugno, un ventiduenne palestinese, malato di mente, è morto a causa delle ferite subite dalle forze israeliane durante scontri verificatisi il 4 maggio 2016 nel villaggio di Sa’ir (Hebron). Sempre in questa settimana, un 51enne palestinese è stato aggredito fisicamente in circostanze poco chiare ed è stato ricoverato in ospedale per le cure mediche.

Nella Striscia di Gaza, durante la settimana, in 22 occasioni le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) a terra e in mare; non sono stati registrati feriti. In uno degli episodi, quattro barche da pesca sono state sequestrate e portate in Israele, dieci pescatori palestinesi sono stati arrestati, otto dei quali sono stati rilasciati dopo poche ore.

Nel villaggio di Kafr ‘Aqab (Gerusalemme), nel corso di una operazione di ricerca, in scontri con un gruppo di palestinesi armati, le forze di sicurezza palestinesi hanno ferito alla testa, con armi da fuoco, un 15enne palestinese. Altri due scontri armati si sono verificati tra le forze di sicurezza palestinesi e residenti palestinesi dei Campi Profughi di Ramallah e Jenin; non sono stati segnalati feriti.

Un 23enne palestinese è stato ferito dalla deflagrazione di un residuato bellico (ERW) in una zona agricola in Ash-Shuja’iyeh, ad est di Gaza City. Dalla fine delle ostilità [con Israele] del luglio-agosto 2014, nella Striscia di Gaza 13 palestinesi sono stati uccisi e 108 sono stati feriti da residuati bellici.

Nel secondo venerdì di Ramadan (17 giugno), a circa 73.000 palestinesi, in possesso di documenti di identificazione della Cisgiordania, è stato concesso l’ingresso in Gerusalemme Est occupata per pregare nel Complesso della Moschea di Al Aqsa. I maschi di età superiore ai 45 anni, i ragazzi sotto i 12 anni e le donne di tutte le età hanno potuto attraversare senza alcun permesso. Le autorità israeliane, in conseguenza dell’attacco verificatosi l’8 giugno a Tel Aviv, mantengono ancora la sospensione per circa 83.000 permessi rilasciati a palestinesi della Cisgiordania in occasione del mese di Ramadan.

È stato riferito che, nel villaggio di Huwwara (Nablus), un colono israeliano ha sparato contro un palestinese che, fermo ad un incrocio stradale, attendeva un mezzo pubblico. Sono stati inoltre segnalati, nelle aree di Ramallah e Nablus, due episodi di lancio di pietre da parte di coloni israeliani che hanno provocato il ferimento di due palestinesi e danni ai loro veicoli.

Secondo i media israeliani quattro coloni israeliani, tra cui un minore, sono stati feriti da pietre lanciate da palestinesi contro veicoli israeliani nel villaggio di Huwwara, vicino a Burin (Nablus) e presso il villaggio di Jaba’ (Gerusalemme). Dopo il primo episodio, le forze israeliane hanno chiuso quattro strade della zona per almeno due giorni, ed hanno intensificato le ricerche ai checkpoint. In un altro caso, a Gerusalemme Est, nell’insediamento colonico di Talpiot Est, palestinesi hanno lanciato bottiglie incendiarie contro case, senza causare danni; in risposta, le forze israeliane hanno chiuso con blocchi di cemento una strada nel vicino quartiere di Jabal al Muakkbir. Sono stati segnalati altri cinque casi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte palestinese contro veicoli israeliani, di cui due con danni.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli nove giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 21 giugno, le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro due veicoli palestinesi, uccidendo un ragazzo di 15 anni e ferendone altri tre, tra cui due minori, che stavano tornando a casa nel villaggio di Beit ‘Ur at Tahta (Ramallah). L’episodio ha fatto seguito al ferimento di tre persone che viaggiavano su una macchina israeliana colpita da pietre; l’esercito israeliano ha confermato che i palestinesi uccisi e feriti non erano implicati in questo episodio. Le autorità israeliane hanno annunciato l’apertura di un’indagine penale.

Il 21 giugno, nel villaggio Hajja (Qalqiliya), le forze israeliane hanno demolito la casa di famiglia del colpevole di una aggressione con coltello avvenuta nel marzo 2016, nel corso della quale un cittadino straniero e l’autore stesso erano stati uccisi; a causa della demolizione, cinque persone, tra cui due minori, sono state sfollate.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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Rapporto OCHA sulla settimana 7 – 13 giugno 2016

L’8 giugno, due 21enni palestinesi provenienti dalla città cisgiordana di Yatta (Hebron) hanno ucciso tre israeliani e ne hanno feriti altri sette in un centro commerciale a Tel Aviv (Israele).Nella stessa circostanza un’altra israeliana è morta, secondo i media israeliani, per crisi cardiaca.

La polizia israeliana ha arrestato i due aggressori, uno dei quali era stato precedentemente ferito. Il Segretario generale dell’ONU ha decisamente condannato l’attacco. Questo episodio porta a nove il numero di israeliani uccisi in attacchi compiuti da palestinesi della Cisgiordania a partire dall’inizio del 2016; negli ultimi quattro mesi del 2015 le uccisioni furono 23.

nota (nel testo originale): Altri tre israeliani sono stati uccisi nel mese di gennaio 2016, e uno nel mese di ottobre 2015, durante attacchi perpetrati da due cittadini palestinesi di Israele, anch’essi rimasti uccisi.

Dopo questo attacco, le forze israeliane hanno chiuso, per tre giorni, tutte le vie di accesso a Yatta, impedendo ogni movimento in entrata e in uscita dalla città, ad eccezione dei casi umanitari preventivamente concordati. Inoltre, per tutta la settimana, è stato impedito l’ingresso in Israele, o nell’area chiusa posta oltre la Barriera (la “Seam Zone “), a circa 350 titolari di permesso aventi il medesimo cognome del sospetto autore di un tentativo di accoltellamento avvenuto il 2 giugno nella zona di Tulkarem, nel corso del quale il presunto attentatore venne ucciso.

Nello stesso contesto, le autorità israeliane hanno sospeso i permessi rilasciati, per il Ramadan, ad oltre 83.000 palestinesi della Cisgiordania e ad alcune centinaia di abitanti della Striscia di Gaza; permessi utilizzati soprattutto per visite a familiari residenti in Israele. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, oltre a condannare l’attacco, ha espresso preoccupazione per la cancellazione dei permessi, fatto che può configurarsi come una punizione collettiva.

Inoltre, dal 10 al 12 giugno, in occasione di una festa ebraica (Shavuot), le autorità israeliane hanno imposto una chiusura della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, precludendo ai titolari di permesso l’ingresso in Israele e a Gerusalemme Est, ad eccezione degli operatori umanitari, del personale delle organizzazioni internazionali e dei titolari di permesso di ricongiunzione familiare.

Nonostante le misure di cui sopra, durante il primo venerdì del Ramadan (10 giugno), almeno 30.000 palestinesi in possesso di documenti di identità della Cisgiordania sono stati autorizzati ad entrare a Gerusalemme Est per la preghiera. Ciò è dovuto principalmente alla già annunciata rinuncia, da parte di Israele, ad esigere alcuni requisiti per consentire l’ingresso [a Gerusalemme Est] dei palestinesi della Cisgiordania; in particolare, nell’annuncio precedente, si autorizzavano ad entrare gli uomini di età superiore ai 45 anni, i ragazzi al di sotto dei 12 anni e le donne di tutte le età.

L’11 giugno, a Beit ‘Amra (Hebron), le forze israeliane hanno distrutto la casa di famiglia di un 15enne palestinese, attualmente accusato dell’accoltellamento e uccisione di una donna israeliana verificatosi nel gennaio 2016 nell’insediamento colonico di ‘Otni’el. In seguito alla demolizione, sei persone, tra cui un minore, sono state sfollate. Dal quando, nel luglio 2014, questa pratica è stata ripristinata, le autorità israeliane hanno demolito o sigillato 48 case per motivi punitivi, sfollando 288 persone, tra cui 133 minori. Nel mese di novembre 2015, Robert Piper, coordinatore umanitario per i Territori palestinesi occupati, ha invitato le autorità israeliane a fermare questa pratica, che è una forma di punizione collettiva, illegale secondo il diritto internazionale.

Al checkpoint di ‘Awarta (Nablus), nel corso di un presunto tentativo di accoltellamento, le forze israeliane hanno gravemente ferito con arma da fuoco un palestinese mentalmente disabile; nessun soldato israeliano è rimasto ferito. È stato riferito che l’uomo sarebbe stato lasciato a terra sanguinante per circa un’ora, fino a quando un’ambulanza israeliana lo ha prelevato per le cure mediche. In Cisgiordania, in vari episodi, le forze israeliane hanno ferito complessivamente 15 palestinesi, tra cui due minori. Ciò rappresenta, dall’inizio del 2016, una riduzione dell’82% della media settimanale di palestinesi feriti.

L’8 giugno, le forze della Sicurezza palestinese hanno ferito cinque palestinesi durante scontri scoppiati nel corso di una protesta contro l’ingresso di israeliani in un santuario nella città di Nablus (la Tomba di Giuseppe); queste visite avevano già portato a scontri con le forze israeliane: il 6 giugno, era stato ucciso un giovane palestinese. Una protesta simile si era verificata il 4 giugno, con scontri tra manifestanti e forze palestinesi: dieci persone avevano subito lesioni causate dalla inalazione di gas lacrimogeno.

Durante una operazione di ricerca nella città di Qalqiliya, le forze israeliane hanno lanciato razzi illuminanti: almeno 50 alberi di ulivo hanno preso fuoco e sono rimasti danneggiati. In Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, le forze israeliane hanno condotto 87 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 128 palestinesi; circa il 30% degli arresti hanno avuto luogo nel governatorato di Hebron.

Nella zona (H2) della città di Hebron, sotto controllo israeliano, coloni israeliani hanno spruzzato liquido al peperoncino in faccia ad un 13enne palestinese. Inoltre, ci sono stati almeno cinque attacchi di coloni israeliani con conseguenti danni a proprietà palestinesi: 13 alberi di ulivo vandalizzati in Turmus’ayya (Ramallah); lanci di pietre ed atti vandalici contro almeno 21 veicoli in due episodi accaduti nelle zone di Gerusalemme Est e Nablus; 1.500 mq di terra spianati ad Al-Khader (Betlemme); 30 pecore di proprietà palestinese investite ed uccise nel villaggio di Az Zubeidat (Jericho).

Secondo quanto riferito dai media israeliani, in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, in quattro distinti episodi di lanci di pietre da parte di palestinesi contro veicoli israeliani, cinque israeliani, tra cui un minore, sono stati feriti e un veicolo è stato danneggiato.

Nella Striscia di Gaza, durante la settimana, in dieci occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) a terra e in mare; non sono stati registrati feriti. In uno degli episodi, una barca da pesca è stata danneggiata e tre palestinesi sono stati arrestati.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è rimasto chiuso in entrambe le direzioni. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli nove giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza oltre 30.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

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Rapporto OCHA riguardante il periodo: 24 maggio – 6 giugno 2016

Il 2 giugno, una 24enne palestinese, madre di due figli, è stata uccisa dalle forze israeliane mentre si avvicinava al checkpoint di ‘Enav (Tulkarem); si presume abbia tentato di accoltellare un soldato.

In un altro episodio, il 30 maggio, un 17enne palestinese ha accoltellato e ferito un soldato israeliano a Tel Aviv (Israele) ed è stato in seguito arrestato. Dall’inizio del 2016, nel corso di attacchi e presunti attacchi contro israeliani, sono stati uccisi 53 sospetti aggressori palestinesi, tra cui cinque donne e 13 minori; nell’ultimo trimestre del 2015 gli uccisi furono 89. Le circostanze di molti episodi hanno suscitato preoccupazione per l’uso eccessivo della forza.

Le autorità israeliane hanno consegnato alle loro famiglie i corpi di due palestinesi, tra cui una ragazza di 17 anni, sospettati di aver perpetrato attacchi contro israeliani. Sono tuttora trattenuti i cadaveri di altri nove palestinesi.

Un palestinese di 20 anni, colpito con arma da fuoco dalle forze israeliane, durante scontri verificatisi il 2 giugno nella città di Nablus, è successivamente morto in conseguenza delle ferite; gli scontri, che provocarono il ferimento di altri undici palestinesi, erano scoppiati a seguito dell’ingresso di un gruppo di israeliani in visita ad un santuario (la Tomba di Giuseppe).

In Cisgiordania, nelle due settimane cui si riferisce questo rapporto, in scontri con le forze israeliane sono stati feriti 97 palestinesi, tra cui 30 minori e una donna. La stragrande maggioranza degli scontri si è verificata durante manifestazioni e proteste: nei Campi Profughi di Ni’lin e Al Jalazun (governatorato di Ramallah); ad Azzun e Kafr Qaddum (governatorato di Qalqiliya); ad Abu Dis, Al ‘Eizariya e Silwan (governatorato di Gerusalemme). A Gaza, due palestinesi sono stati feriti, con armi da fuoco, durante manifestazioni nei pressi della recinzione perimetrale di Israele.

Durante le due settimane di riferimento, in almeno 25 casi, le forze israeliane hanno aperto il fuoco verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e in mare. In uno di questi episodi, cinque pescatori sono stati arrestati dalle forze navali israeliane e due loro barche sono state confiscate.

In Cisgiordania, nell’arco delle due settimane, le forze di Israele hanno condotto 167 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 240 palestinesi; la percentuale di arresti più alta (35%) è stata registrata nel governatorato di Gerusalemme. Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato, in sei occasioni le forze israeliane hanno compiuto operazioni di spianatura del terreno ed effettuato scavi.

Il 5 giugno, in Area C, presso la comunità beduina palestinese di Sateh al Bahr (Jericho), per mancanza di permessi edilizi israeliani, le autorità israeliane hanno smantellato e confiscato sei strutture residenziali e due roulotte adibite a scuola materna. Le strutture coinvolte erano state fornite come assistenza umanitaria e finanziate dal Fondo Umanitario per i Territori occupati. Sei famiglie sono state sfollate e tredici bambini privati della scuola. Questa è una delle 46 comunità beduine della Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato a causa di un piano israeliano di rilocalizzazione. Dall’inizio del 2016, sono state demolite o confiscate un totale di 180 strutture assistenziali, rispetto alle 108 relative all’intero 2015. Nel periodo di riferimento, con le stesse motivazioni, altre cinque strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, coinvolgendo 19 persone.

Nella Città Vecchia di Gerusalemme Est, a causa di un ordine di sfratto emesso dalle autorità israeliane, due famiglie palestinesi, composte da sette persone, sono a rischio di sfollamento. Ciò fa seguito alla sentenza emessa da un tribunale israeliano a favore di una organizzazione di coloni che rivendica la proprietà delle case dei palestinesi.

Nel nord della Valle del Giordano, tre comunità di pastori (Khirbet ar Ras al Ahmar, Humsa al Bqai’a e Hamamat Al Maleh), composte da circa 360 persone, tra cui 205 minori, sono stati temporaneamente sfollate per tre giorni consecutivi, per più di 14 ore al giorno, per consentire esercitazioni militari israeliane. Ci sono 38 comunità di pastori palestinesi situate in zone designate dalle autorità israeliane come “zone per esercitazione a fuoco”; tali zone coprono circa il 18% della Cisgiordania. Molte di queste comunità, che sono tra le più vulnerabili della Cisgiordania, risiedono in queste zone da prima che le stesse venissero dichiarate “zone per esercitazione a fuoco”.

Secondo i media israeliani, nei governatorati di Hebron e Gerusalemme, tre israeliani, tra cui una donna, sono stati feriti e quattro veicoli israeliani sono stati danneggiati nel contesto di sette episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi.

Nelle due settimane sono stati riferiti quattro episodi di vandalismo contro proprietà palestinesi da parte di coloni israeliani: due episodi di lancio di pietre con danni a due veicoli vicino a Salfit e Betlemme; l’incendio di 15 alberi di ulivo in ‘Urif (Nablus); danni alle colture stagionali ad Al-Khader (Betlemme).

Le autorità israeliane hanno annunciato che durante il mese del Ramadan musulmano, iniziato il 6 giugno, a tutte le donne palestinesi in possesso di documenti di identificazione della Cisgiordania, così come a tutti gli uomini di età superiore ai 45 anni e ai ragazzi al di sotto dei 12 anni, al venerdì sarà consentito l’accesso senza permesso a Gerusalemme Est; uomini e ragazzi che non rientrano in queste categorie potranno richiedere il permesso.

Il valico di Rafah, al confine con l’ Egitto, è stato eccezionalmente aperto per quattro giorni (1, 2, 4, 5 giugno), permettendo a 3.142 palestinesi di uscire e a 894 di entrare a Gaza. Secondo le autorità palestinesi, ci sono più di 30.000 persone registrate e in attesa di attraversare, tra cui circa 9.500 malati e 2.700 studenti. Dall’inizio del 2016, Rafah è stato aperto per soli nove giorni.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

L’8 giugno, due palestinesi provenienti dalla città di Yatta (Hebron) hanno aperto il fuoco in un centro commerciale a Tel Aviv (Israele), uccidendo quattro israeliani e ferendone più di altri dieci; gli autori sono stati successivamente arrestati. Le forze israeliane hanno bloccato tutti gli accessi a Yatta, ad eccezione dei casi umanitari, ed eseguito operazioni di ricerca-arresto.

Il 9 giugno, dopo l’attacco di Tel Aviv, le autorità israeliane hanno annunciato la sospensione di circa 83.000 autorizzazioni concesse a palestinesi per entrare a Gerusalemme Est per la preghiera dei venerdì del Ramadan; sospesi anche i permessi per le visite ai familiari risiedenti in Israele.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli

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Dopo l’attacco di Tel Aviv i palestinesi manifestano poca gioia ma comprendono le ragioni di chi ha sparato

Ogni settimana, centinaia di palestinesi sono soggetti a colpi di arma da fuoco da parte degli israeliani e scappano terrorizzati. Secondo loro quello che hanno provato gli israeliani in questo unico attacco è nulla rispetto a quello che sperimentano ogni giorno.

di Amira Hass | 10 giugno, 2016 |

Haaretz

Wafa, l’agenzia ufficiale di notizie dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina [OLP], ha messo sul suo sito una spettacolare fotografia dei fuochi d’artificio a Gaza in onore del sacro mese musulmano del Ramadan e non per inneggiare all’attacco armato di mercoledì a Tel Aviv. Anche se ci sono stati palestinesi che hanno espresso soddisfazione per l’attacco di fronte alle telecamere che li hanno trovati proprio nel momento e nel luogo giusti, né la soddisfazione né l’appoggio[all’attacco] potrebbero descrivere con precisione i sentimenti della maggior parte dei palestinesi sulla sparatoria.

C’è una generale comprensione riguardo al motivo che ha spinto [ad agire]i due attaccanti della città cisgiordana di Yatta, insieme all’apprezzamento per quello che è apparso il loro coraggio. Vi è anche molta preoccupazione rispetto a quale sarà la risposta di Israele.

L’agenzia Wafa ha anche pubblicato una condanna dell’attacco proveniente dall’ufficio del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas. Sicuramente gli israeliani non si accontenteranno di questo, mentre allo stesso tempo i palestinesi si arrabbiano per la sua equidistanza. “L’ufficio di presidenza ha espresso la sua ripetuta condanna di ogni azione da qualunque parte provenga che prenda di mira i civili indipendentemente da quello che potrebbero essere le motivazioni,” afferma il comunicato. Ha anche affermato che la creazione di un clima positivo e la realizzazione di una giusta pace potrebbero garantire la sicurezza dei civili.

L’opposizione di Abbas a qualsiasi escalation ha avuto un riflesso concreto. Per esempio, le sue forze di sicurezza stanno arrestando e imprigionando gli attivisti che non sono stati arrestati da Israele e che hanno guidato le manifestazioni contro il muro di separazione a Betlemme. Di conseguenza sono cessati gli scontri in uno dei punti più caldi. Ma con questo suo comunicato moderato, Abbas ha evidentemente cercato di evitare di urtare la suscettibilità del suo pubblico.

Il suo partito Fatah non ha potuto condannare l’attacco di Tel Aviv. Un comunicato dell’organizzazione ha definito la sparatoria “una risposta individuale e naturale” alla violenza dello Stato israeliano. Un portavoce ha spiegato che per “violenza dello Stato” si intendeva la politica delle demolizioni delle case e lo sradicamento dei palestinesi dalle loro comunità, le “irruzioni dei coloni” sulla spianata delle moschee di Al-Aqsa a Gerusalemme e “gli omicidi a sangue freddo di palestinesi ai checkpoint”.

Da parte sua il movimento Hamas ha elogiato l’attacco, mentre il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina [FPLP] lo ha definito un punto di svolta nell’attuale intifada e una condivisibile reazione al gran numero di palestinesi uccisi da Israele. Riferendosi al luogo dell’attacco di Tel Aviv, avvenuto di fronte al Ministero della difesa, [il FPLP] ha detto che si è trattato di una sfida al nuovo ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, e che è la conferma che la lotta armata è il modo migliore per garantire i diritti dei palestinesi.

Il comunicato del Fronte Popolare si avvicina allopinione prevalente nell’opinione pubblica palestinese rispetto alle posizioni di Abbas o di Fatah, come riportato dal sondaggio pubblicato questa settimana dal Palestinian Center for Policy and Survey Research [Centro palestinese di ricerca e analisi politica]. Il sondaggio ha rivelato che il 58% degli intervistati (il 68% nella Striscia di Gaza e il 52% in Cisgiordania) è convinto che la rivolta degli attacchi individuali esplosa a ottobre, caratterizzata in prevalenza da attacchi all’arma bianca e che si sta trasformando in un’intifada armata, potrebbe essere più utile agli interessi nazionali palestinesi rispetto ai negoziati con Israele.

L’appoggio agli attacchi all’arma bianca è diminuito. Solamente il 36% degli intervistati nella Cisgiordania è solidale. Nella più lontana Gaza, invece, gli attacchi all’arma bianca sono stati appoggiati dal 75% degli intervistati.

In altre parole, vi è un ampio sostegno a parole da parte di coloro che sono lontani e che non sono coinvolti, mentre quelli che possono agire sono restii a farlo.

L’uso delle armi conserva nelle analisi e nelle dichiarazioni la propria aura quale punto più alto della lotta nazionale contro l’occupazione israeliana. Ma né il FPLP, né Hamas o Fatah hanno cercato o osato trasformare l’escalation dell’anno scorso in una lotta armata, perché non possono oppure sanno che fallirebbe, o che la gente non è realmente interessata o preparata.

I programmi televisivi che hanno mostrato gli israeliani che scappavano terrorizzati dagli attentatori sono scene familiari ai palestinesi. Giorno dopo giorno, sperimentano la paura asfissiante degli israeliani armati. Ogni settimana centinaia di palestinesi sono esposti alle sparatorie degli israeliani e fuggono terrorizzati; qualche volta sono feriti o uccisi. Secondo la loro opinione, quello che hanno passato gli israeliani in questo unico attacco è nulla rispetto a quello che sperimentano ogni giorno.

I palestinesi si prendono qualche rivalsa se viene sconvolta la normalità di Tel Aviv, solo a un’ora di macchina dalle zone di disperazione individuale e nazionale a Gaza e in Cisgiordania. La maggior parte è ben consapevole che questo sconvolgimento non cambierà l’orientamento e il comportamento degli israeliani. Tuttavia neppure le dimostrazioni pacifiche, le trattative diplomatiche e i resoconti dei media hanno trasformato gli israeliani in sostenitori del Meretz [partito sionista della sinistra moderata sostenitore della soluzione dei due Stati, ndt]. Quindi tutto quello che rimane è una soddisfazione momentanea di vendetta.

( Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Il futuro di Israele è terrificante: la “moralità” inquietante di Moshe Yaalon e di Israele

1 giugno 2016

Ma’an news

di Ramzy Baroud

La società israeliana sta continuamente andando a destra e, di conseguenza, viene regolarmente ridefinita l’intera scala di valori [del sistema] politico.

La società israeliana sta continuamente andando a destra e, di conseguenza, viene regolarmente ridefinita l’intera scala di valori [del sistema] politico. Che Israele sia ora governato dal “governo di destra più estrema della sua storia” è passato nel giro di pochi anni dall’essere un’affermazione fondata ad un vuoto luogo comune.

Infatti quella stessa argomentazione è stata utilizzata nel maggio del 2015 quando il primo ministro di destra Benjamin Netanyahu ha formato il suo governo con una risicata maggioranza di esponenti della destra con idee simili, con fanatici religiosi e ultranazionalisti. Lo stesso concetto, praticamente con le medesime parole viene nuovamente adottato, quando Netanyahu ha allargato la sua coalizione imbarcando l’ultranazionalista Avigdor Lieberman.

Così mercoledì 25 maggio Lieberman è diventato anche il ministro della difesa d’Israele. Tenendo conto della sua politica facinorosa e violenta, come ha dimostrato nei suoi due incarichi come ministro degli esteri (dal 2009 al 2012 e di nuovo dal 2013 al 2015), con lui come ministro della difesa del “governo di destra più estrema della storia” ci si aspetta ogni tipo di terrificante futuro”.

Mentre molti commentatori ricordano opportunamente le passate provocazioni di Lieberman e le [sue ] rozze affermazioni, per esempio, la sua dichiarazione del 2015 in cui minacciava di decapitare con un’ascia i cittadini palestinesi d’Israele se non avessero manifestato piena lealtà nei confronti di Israele; in cui propugnava la pulizia etnica dei palestinesi d’Israele; il suo ultimatum [con minaccia] di morte all’ex primo ministro palestinese Ismail Haniyeh e così via, al suo predecessore, Moshe Yaalon è stata risparmiata gran parte delle critiche.

Peggio, l’ex ministro della difesa Yaalon è stato additato da alcuni come un esempio di professionalità e di moralità. Egli è “ben stimato”, ha scritto William Booth sul Washington Post, paragonato a Lieberman “ un ribelle divisivo”. Ma “stimato bene” da chi? Dalla società israeliana la cui maggioranza appoggia l’assassinio a sangue freddo di palestinesi?

Israele si è attenuto per un lungo periodo a una definizione sua propria della terminologia politica. Il suo “socialismo” di prima maniera era una combinazione di vita in comune resa possibile dai massacri dei militari e basata sul colonialismo. La sua attuale definizione di “sinistra”, “destra” e “centro” è relativa, valida solo per Israele.

Yaalon è ora un esempio di livello di ragionevolezza e di moralità grazie a Lieberman, l’ex immigrato russo , buttafuori nei club trasformatosi in politico che sta organizzando costantemente il milione circa di ebrei russo- israeliani in base al suo programma politico sempre più violento.

Infatti, la citazione riportata numerose volte dai media sulle ragioni delle dimissioni di Yaalon è che ha perso fiducia “nella capacità decisionale di Netanyahu e nella sua moralità”.

Moralità? Analizziamo la realtà.

Yaalon ha partecipato a ogni importante guerra israeliana fin dal 1973 e il suo nome è stato più tardi associato alle più atroci guerre ed ai massacri israeliani prima in Libano e dopo a Gaza.

La sua “moralità” non gli ha mai impedito di ordinare alcuni dei più indicibili crimini di guerra perpetrati contro la popolazione civile, sia a Qana in Libano(1996) sia a Shujayya ,Gaza (2014).

Yaalon si è rifiutato di collaborare con qualsiasi inchiesta internazionale organizzata dalle Nazioni Unite o da qualsiasi altra organizzazione sulla sua violenta condotta. Nel 2005 è stato portato in giudizio in un tribunale degli Stati Uniti dai sopravissuti al massacro di Qana dove centinaia di civili e di operatori delle forze di pace delle Nazioni Unite sono stati uccisi e feriti dalle incursioni militari israeliane in Libano. In questo caso, non è prevalsa né la moralità israeliana né quella americana, e la giustizia deve ancora fare il suo corso.

Yaalon, che ha ricevuto l’addestramento militare all’inizio della sua carriera presso il British Army’s Camberley Staff College dell’esercito inglese [scuola di guerra inglese di origine coloniale e che ha formato molti ufficiali superiori israeliani, tra cui Rabin, ndtr], ha continuato ad avanzare di grado nell’esercito fino al 2002 quando è stato nominato capo di stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane [IDF]. Rimasto per quasi tre anni in tale veste di conseguenza ha ordinato l’assassinio di centinaia di palestinesi e ha sovrainteso a diversi massacri che sono stati perpetrati dall’esercito israeliano durante la seconda intifada.

L’allora ministro della difesa, Shaul Mofaz, l’ha sollevato dal suo incarico nel 2005. Anche in questo caso è stata l’immoralità, non la moralità che ha giocato un ruolo nel conflitto tra lui e i suoi superiori. Yaalon era e rimane un fervente sostenitore della colonizzazione illegale del territorio palestinese. Nel 2005 egli si è opposto con forza al cosiddetto trasferimento dalla Striscia di Gaza dalla quale poche migliaia di coloni illegali sono stati ricollocati in colonie ebraiche nella Cisgiordania.

Nel 2006 in Nuova Zelanda fu raggiunto[da un ordine di cattura] per i suoi crimini di guerra riguardo all’assassinio di un comandante di Hamas, Saleh Shehade, insieme a 14 membri della sua famiglia e ad altri civili. L’ ordine di arresto fu emesso ma revocato in seguito, dopo pesanti pressioni politiche, permettendo a Yaalon di scappare dal paese.

È tornato alla guida dell’esercito nel 2013, giusto in tempo per intraprendere la guerra devastante contro Gaza nel 2014 nella quale furono uccisi 2.257 palestinesi in 51 giorni. L’OCHA , l’agenzia delle Nazioni Unite per il monitoraggio della situazione [nei territori occupati], ha calcolato che oltre il 70% degli uccisi fossero civili, tra cui 563 bambini.

La distruzione di Shujayya, in particolare, era una strategia preordinata concepita dallo stesso Yaalon. In un incontro nel luglio del 2013 con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, Yaalon informò il capo dell’ONU che avrebbe bombardato l’intero quartiere in caso di guerra. L’ha fatto.

Nel maggio del 2015 non si era ancora pentito. Parlando a una conferenza a Gerusalemme, ha minacciato di ammazzare civili nel caso di un’altra guerra contro il Libano. “ Noi colpiremo i civili libanesi comprese le famiglie con bambini” ha detto.

Abbiamo discusso molto approfonditamente. Lo abbiamo fatto allora, lo abbiamo fatto nella Striscia di Gaza e lo rifaremo in futuro in qualunque altro conflitto”, ha detto. Ha anche parlato implicitamente di sganciare una bomba nucleare sull’Iran.

Yaalon ha più volte dato via libera all’esercito israeliano di occupazione perché metta in pratica la politica di “sparare per uccidere” i palestinesi per contrastare la “tensione” in aumento nei Territori Occupati.

Queste sono le parole [pronunciate]da Yaalon durante una visita alla base militare di Gush Etzion nel novembre del 2014:[prima colonia costruita dagli israeliani in Cisgiordania, ndtr.]

Deve essere chiaro che chiunque viene per uccidere ebrei deve essere eliminato. Qualunque terrorista che usa un’arma, un coltello o una pietra, che prova a investire o in qualsiasi modo attaccare ebrei deve essere ammazzato.”

Centinaia di palestinesi sono stati uccisi nei mesi scorsi nella Gerusalemme Est occupata e in Cisgiordania. Molte delle vittime sono ragazzi che tiravano le pietre per fronteggiare i veicoli dell’esercito israeliano e migliaia di coloni ebrei felici di premere il grilletto.

Nella sua prima dichiarazione publica dopo le dimissioni, Yaalon ha accusato “una minoranza chiassosa” in Israele di attaccare “i valori fondamentali” del paese, affermando che si sono persi i “punti di riferimento morali” del paese .

La cosa preoccupante è che molti israeliani sono d’accordo con Yaalon. Considerano come un esempio di moralità e un difensore di principi fondamentali l’uomo che è stato accusato di aver commesso crimini di guerra per la maggior parte della sua carriera.

Mentre Lieberman ha dimostrato di essere una mina vagante e di essere politicamente irresponsabile, Yaalon ha parlato pubblicamente di colpire i bambini e più volte ha mantenuto le sue promesse.

Quando i “mi piace” per Yaalon , un uomo dal passato sanguinario, diventa il volto della moralità in Israele, si può comprendere perché c’è poca speranza per il futuro di quel Paese, specialmente adesso che Lieberman ha portato il suo partito “Israele è Casa Nostra” nel terrificante covo di partiti politici[del governo] di Netanyahu.

Ramzy Baroud è un editorialista di fama internazionale, scrittore e fondatore di Palestine Chronicle.com. Il suo ultimo libro è “Mio padre era un combattente per la libertà: la storia non raccontata di Gaza.”

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale dell’Agenzia Ma’an News.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)